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CAPITOLO 4

I caratteri sovrani caratteristici dello Stato gli avevano attribuito fin dall'inizio
un immenso e pericoloso potere: il monopolio della decisione politica unito al
monopolio della forza. Le rivoluzioni liberali della fine del 700 posero il
problema della limitazione e del controllo contro gli eccessi e gli arbitri del
potere. Prima, il popolo, ossia i sudditi, dovevano pregare Dio affinché
illuminasse il sovrano. Quando non si consigliava semplicemente la pia
rassegnazione, ad esempio, si chiedeva al Papa di sciogliere i sudditi dal dovere
di obbedienza al re, ma si trattava di rimedi eccezionali extra ordinem. Per la
legge delle azioni delle reazioni ad un eccesso sarebbe seguito un eccesso
opposto. Poi, la ricerca della soluzione alla questione del sovrano degenere si
orientò dall’ esterno all’interno del potere. In breve: dal potere assoluto al
potere moderato e qui appare sulla scena il costituzionalismo, ossia un
movimento intellettuale che fece suo questo progetto. Costituzionalismo non
coincide con la costituzione, nel senso del documento giuridico. Ci può essere
costituzionalismo senza costituzione, come nel caso del Regno unito e
costituzione senza costituzionalismo, ad esempio negli Stati le cui costituzioni
attribuiscono ai governanti poteri illimitati. Il costituzionalismo è un ideale
politico, per ragioni storiche concrete può accadere che l'aspirazione al
costituzionalismo si accompagni alla richiesta di una costituzione formale dai
contenuti conformi a questo ideale. Costituzionalismo è la parola che sintetizza
l'ostilità agli abusi di potere e l'amicizia verso la libertà dei cittadini. Del
costituzionalismo possono essere fatte due classificazioni: costituzionalismo
degli antichi e dei moderni oppure con riferimento alla triade,
costituzionalismo antico medievale moderno. Il costituzionalismo come idea e
dottrina politica affonda le sue radici nella storia della costituzione inglese,
Benjamin Constant è considerato il padre di quella che consideriamo essere la
versione moderna del costituzionalismo. La storia del costituzionalismo
moderno si fa normalmente iniziare alla fine del 600 con la gloriosa rivoluzione
il Bill of rights del 1689 che posero fine al governo assoluto del re tuttavia, il
concetto e il termine nell’ Europa continentale seguì molto più tardi. Constant
scrive nell’ epoca della restaurazione e il costituzionalismo della restaurazione,
ossia il tempo della sua teorizzazione e denominazione, è stato concepito
come reazione alla dittatura giacobina in nome dei principi dell'articolo 16
della dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino che affermava che senza
garanzia dei diritti senza separazione dei poteri non c'è costituzione. I principi
del costituzionalismo di quell'epoca erano quelli della costituzione liberale:
governo della ragione contro principi tratti senza mediazione della pura
ragione, rappresentanza politica e separazione dei poteri contro il potere
immediato del popolo, libertà di stampa e della pubblica opinione, d'altronde
tutte cose che costituiscono punti fermi del costituzionalismo anche del nostro
tempo. La rivoluzione in Francia che si è dapprima rivoltata contro i privilegi
dell'Ancien régime, aveva scatenato il popolo senza intermediazioni. Il
problema politico sociale del costituzionalismo moderno del tempo delle sue
origini era trovare una forma di governo in cui pur in presenza di un governo
fondato sul popolo o sulla nazione, cioè non più sulla legittimazione di diritto
divino, i diritti della proprietà fossero assicurati e non si attentasse gli stessi.
Ciò poteva essere rappresentato dalla monarchia unita alla camera
rappresentativa basata sull’ istruzione sul censo. Attraverso ciò si sarebbero
stabilizzate contenute anche le spinte democratiche che la rivoluzione in
Francia aveva conosciuto ma come tutte le cristallizzazioni anche questa
sarebbe stata travolta da eventi rivoluzionari come avviene nel 1848 oppure si
sarebbe sciolta in una visione aperta a noi equilibri. Il punto centrale al quale
tutto è collegato e rispetto al quale si possono misurare le trasformazioni del
costituzionalismo e la concezione della società punto allora era una concezione
in termini duali, da una parte i proprietari e dall'altra i non proprietari, ossia i
proletari nella terminologia marxista. I primi in condizioni di libertà, i secondi in
condizione servile, questa era la visione perfino del diritto naturale: affinché ci
possa essere la libertà di alcuni ci deve essere il servaggio di altri. Il lavoro era
concepito come alternativa alla proprietà, ciò significava che il riconoscimento
dei diritti politici ai lavoratori avrebbe costituito la minaccia al diritto di
proprietà cioè alla libertà perché la libertà albergava solo nella sfera della
proprietà. Da questa ragione, deriva il suffragio ristretto, il rifiuto dell'idea di
cittadinanza generale. Il costituzionalismo come dottrina politica nacque con
questo marchio classista che lo oppose alla democrazia radicale à la Rousseau,
il quale sognava la libertà politica di tutti. Il fine della democrazia di Rousseau è
una forma politica che restituisca a tutti la libertà originaria, ceduta dalla
maggior parte dell'umanità a una minor parte. Il costituzionalismo si oppone
anche alla sociologia marxiana, la quale stabiliva sì la divisione della società in
proprietari e lavoratori, ma non per ragioni naturali bensì come effetto dei
rapporti di produzione. L'articolo primo della costituzione italiana stabilisce che
l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Quello che all'inizio
del costituzionalismo moderno, era criterio di esclusione dai diritti politici,
diventa titolo di inclusione. Attualmente la condizione di lavoratore non è
intesa in senso classista, l'articolo quattro della costituzione qualifica il
lavoratore come un soggetto addetto ad attività che concorrano al progresso
materiale o spirituale della società, ossia i lavoratori sono parti attive della
società. Tra il lontano esordio del costituzionalismo e il punto di approdo
attuale c'è stata l'ascesa alla vita politica delle masse popolari, cioè del mondo
del lavoro. Si è verificato l’innesto della democrazia e quindi della
generalizzazione dei diritti di partecipazione politica. Oggi, un regime che
privasse dei diritti politici una parte della popolazione lo definiremmo
anticostituzionale, mentre all'inizio della storia del costituzionalismo questa
esclusione si considerava come fondamento costituzionale necessario. Fin
dall'antichità la democrazia ha dovuto confrontarsi con l'accusa di essere il
regime della parte inferiore e infima della società, composta da coloro che per
vivere sono costretti a lavorare, cioè schiavi del lavoro. La democrazia in questi
termini si può definire il regime dei non possidenti: artigiani, marinai.. Ecc. Per
secoli ha aleggiato sulla democrazia la qualifica di regime violento dove regna
l'invidia nei confronti dei pochi possidenti. Parlando di democrazia non si
dovrebbe dimenticare che storicamente è stata la parola d'ordine degli esclusi.
Tra il punto di partenza e quello attuale c'è stata l'incorporazione della
questione sociale nelle strutture dello Stato, questa incorporazione ha
riguardato innanzitutto le strutture politiche con l'allargamento del suffragio
appunto, le funzioni dello Stato si sono estese per favorire il benessere dei
deboli attraverso politiche a favore dei cosiddetti diritti sociali. Tali acquisizioni
sono da qualificarsi come diritti e non cedimenti o concessioni sempre
revocabili una volta mutati i rapporti di forza. In seguito alla caduta dei regimi
totalitari del secolo scorso, il costituzionalismo ha conosciuto un processo di
diffusione nello spazio, tanto che è avvenuto un mutamento nella concezione
dei diritti umani, nella prima proposizione della dichiarazione universale dei
diritti dell'uomo approvata nel 1948, sono presenti termini come “membri
della famiglia umana”, quindi iniziò ad essere chiaro che un diritto
costituzionale dell’umanità in cominciava a muovere i suoi primi passi.
D'altronde, le costituzioni nazionali rappresentano le tessere di un mosaico che
forma un quadro riportato universalistica. Un costituzionalismo nazionale,
limitato dai confini delle sovranità degli Stati non avrebbe più senso, ma in
realtà il costituzionalismo dalle sue origini è stato un movimento ideale che
proclamava principi universali. Si è assunta la consapevolezza del valore ultra
nazionale delle esperienze nazionali. La dignità degli esseri umani,
l'uguaglianza, la non discriminazione sono i contenuti dell’odierno
universalismo costituzionale che trovano espressione nelle costituzioni e in
innumerevoli documenti internazionali. Ogni violazione di questi diritti, è
capace di determinare risonanze in qualunque altra parte del mondo. Alla
dilatazione dello spazio dei principi dell'odierno costituzionalismo ha
contributo il diritto internazionale tramite dichiarazioni e trattati globali che
concorrono alla realizzazione della supra costituzionalità. L'espansione del
costituzionalismo del nostro tempo non sarebbe stata possibile se non fosse
sostenuta a partire dalle realtà costituzionali nazionali, pur nella differenza
delle tradizioni, si è determinato un avvicinamento delle concezioni
costituzionali della vita politica e sociale. Il preambolo dello statuto istitutivo
della Corte penale internazionale nel 1999, è un documento rappresentativo
dell’evoluzione odierna del costituzionalismo che intacca uno dei capisaldi
della sovranità statale: il monopolio della giurisdizione penale. I popoli e le loro
culture formano un patrimonio da tutti condiviso, si tratta di un delicato
mosaico che rischia di essere distrutto. La condivisione del patrimonio
determina un’interdipendenza tra le parti, quindi è necessario che sia garantito
il medesimo standard di rispetto nei confronti dei diritti umani, in particolare
dinanzi alle più gravi violazioni dei diritti umani.
L' universalizzazione dei principi del costituzionalismo ha influito sulla nozione
stessa di costituzionalismo. Si parla oggi di neo costituzionalismo, adattandosi
ad uno Stato costituzionale aperto. Prende atto dei caratteri delle costituzioni
del nostro tempo con principi di carattere universale: la dignità umana,
l'uguaglianza, la libertà e la giustizia. Il costituzionalismo si trova dinanzi ad una
sfida: allargare lo sguardo in una dimensione finora ignorata, il tempo. A tal
proposito si prende in considerazione la riflessione dell’archeologo
antropologo Jared Diamond sull'isola di Pasqua: un’isola polinesiana. Diamond
ha effettuato un parallelismo tra l'isola di Pasqua e il mondo moderno. Grazie
alla globalizzazione, il commercio internazionale, a internet la terra condivide
le risorse, esattamente come facevano i clan che abitavano l'isola di Pasqua.
Così come l'isola di Pasqua era sperduta nel Pacifico, la terra è sperduta n nello
spazio. Quando gli indigeni si trovarono in difficoltà, a causa dello sfruttamento
incondizionato delle risorse, non poterono fuggire e cercare aiuto fuori
dall'isola. Ciò è quello che potrebbe capire agli abitanti della terra che non
potranno cercare aiuto altrove, in caso i problemi dovessero aumentare. Il
crollo dell’isola di Pasqua, secondo i più pessimisti potrebbe indicarci il destino
dell'umanità nel prossimo futuro. Il problema è che ogni generazione si è
comportata come se fosse l'ultima, trattando le risorse di cui disponeva come
sua proprietà esclusiva di cui usare e abusare. Il costituzionalismo non può più
ignorare questioni di questo genere, dal momento in cui il suo nucleo
essenziale minimo è la protezione del diritto di tutti all’ uguale rispetto. Fino
ad ora il costituzionalismo non si è occupato delle prevaricazioni
intergenerazionali, in quanto la cerchia dei tutti che hanno il diritto all'uguale è
stata limitata ai viventi. Il fatto è che gli uomini di oggi e domani hanno lo
stesso diritto all’ uguale rispetto. I furti e lo sfruttamento non riguardano
soltanto le risorse naturali e le fonti energetiche della terra, ma anche le
risorse finanziarie, l’indebitamento a lunga scadenza graverà sulle future
generazioni che non godranno delle risorse. La felicità e il benessere delle
generazioni attuali determinano infelicità e malessere di quelle future. La
nozione chiave del costituzionalismo è stata il diritto soggettivo, il quale
presuppone l’esistenza di un titolare presente, per questo in questo caso può
soccorrere la categoria dei doveri. Le generazioni successive possono anche
non avere diritti da vantare nei confronti delle successive, ma queste ultime
hanno doveri nei confronti delle prime. Affinché ciò si realizzi, è necessario che
i diritti siano considerati come posizioni giuridiche autonome, senza aspettarsi
una corrispondente situazione di vantaggio. Il costituzionalismo, nei confronti
di un movimento pro-doveri, è impreparato perché ha sempre condotto la sua
battaglia in nome dei diritti e non dei doveri. I doveri sono stata la parola
d’ordine dei regimi autoritari e totalitari, ma ovviamente c’è una differenza tra
doveri di obbedienza all’autorità e doveri di responsabilità nei confronti degli
esseri umani presenti e futuri. Affinché i diritti possano essere estesi nel futuro,
potrebbe essere necessario ridurne la portata nel presente, anche se questa
prospettiva genera perplessità perché è come se ci si dovesse subordinare ai
diritti di non viventi. Si potrebbe optare per la selezione di scienziati e tecnici
indipendenti dagli interessi immediati non solo in casi eccezionali di catastrofe
ecologica o finanziaria, è proprio in situazioni di normalità che si deve
prevenire l’insorgere di situazioni eccezionali. Il problema è che in politica le
decisioni da prendere riguardano tempi brevi e devono essere in sintonia con
l’interesse prevalente della società, è poco probabile che siano prese in
considerazione ansie e preoccupazioni lontane nel tempo.

CAPITOLO 5
Il XIX secolo è stato il secolo dello Stato di diritto, lo stato di diritto si distingue
dallo stato assoluto e dallo stato di polizia, cioè lo stato dell'assolutismo
illuminato, orientato alla felicità dei sudditi. Lo stato di diritto indica un valore
e accenna solo ad una direzione di sviluppo di organizzazione dello Stato, ma
non contiene in sé precise implicazioni e può prestarsi perfino ad usi perversi. Il
valore è eliminazione dell'arbitrio dall’ambito delle attività facenti capo allo
Stato e al potere che esso incorpora. La direzione è l’inversione del rapporto
tra il potere e il diritto: non più il diritto sotto il potere, ma il potere sotto il
diritto. Data la possibilità di ridurre lo stato di diritto una formula priva di
significato sostanziale dal punto di vista politico costituzionale, non ci si
stupisce che, all'epoca dei totalitarismi tra le due guerre, tali regimi vennero
definiti come stati di diritto. I regimi totalitari non si qualificarono come
frattura, ma come compimento delle premesse dello Stato ottocentesco.
Addirittura sostennero che essi rappresentassero la restaurazione. Lo Stato di
diritto, nella sua origine liberale, aveva una connotazione precisa: la
distinzione tra la politica e la società come premessa della protezione della
seconda dell'onnipotenza potenza della prima, una distinzione in radicale
contrasto con le pretese dello Stato totalitario, che erano quelle assorbire in sé
la società tutta intera. Tuttavia, privata di tale contenuto sostanziale, la
qualifica di Stato di diritto si sarebbe potuta applicare in qualunque situazione
in cui fosse bandito virgola in linea di principio, l'arbitro pubblico e privato
sregolato il potere si esercitasse “per mezzo della legge”. Diveniva irrilevante
che la legge imposta la facesse coincidere con la volontà di un Fuhrer invece
che con quella di un libero Parlamento. Si poteva giungere a un rovesciamento
della nozione di Stato di diritto, per sradicarlo dalla sua origine liberale.
Il concetto di Stato di diritto, ha radici nello stato liberale e lo stato liberale di
diritto è necessariamente legato a una connotazione sostanziale relativa ai
compiti e ai fini dello Stato appunto in questa forma di Stato proprio
dell'Ottocento ciò che veniva in primo piano era la protezione e la promozione
dello sviluppo di tutte le forze naturali della popolazione come scopo della vita
dei singoli e della società punto a quel tempo le forze naturali della
popolazione erano soprattutto quelle della borghesia punto la società con le
sue esigenze autonome e stato il punto focale della comprensione della
seguente formula. La legge iniziavo a concepirsi come strumento di garanzia
dei diritti e di limitazione della libertà d'azione dei governi dell'epoca, piuttosto
che imporsi incondizionatamente il nome di interessi dello Stato. L'idea dello
Stato di diritto è caratterizzata dalla legge come atto deliberato da un
Parlamento rappresentativo ed è specificata attraverso la supremazia della
legge sull’ amministrazione, la subordinazione della legge è solo la legge dei
diritti dei cittadini e la presenza di giudici indipendenti competenti ad applicare
la legge alle controversie tra cittadini tra cittadini amministrazione dello Stato.
Lo stato di diritto veniva ad assumere un significato orientato alla garanzia dei
diritti contro gli abusi di potere lo stato liberale di diritto rinvia il primato alla
legge punto lo stato liberale di diritto si affermava attraverso il principio di
legalità, il principio di legalità virgola in generale, esprime l'idea della legge
come atto regolativo supremo al quale non è opponibile alcun diritto più forte:
nel potere eccezionale del re e della sua amministrazione. Lo stato di diritto il
principio di legalità comportavano la riduzione del diritto alla legge e
l'esclusione o almeno la sottomissione alla legge di ogni altra forma di
normazione: regolamenti del governo e consuetudini locali. La sottoposizione
dell’amministrazione alla legge è affermata in generale. Le formulazioni di
questa sottoposizione sono state varie e di significato non coincidente. Non era
lo stesso dire che l'amministrazione dovesse essere sorretta e quindi
predeterminata dalla legge oppure delimitata dalla legge. Secondo la prima e
più rigorosa concezione del principio di legalità, il potere esecutivo, privo di
legittimazione originaria era integralmente dipendente dalla legge. La capacità
di agire dell'esecutivo dipendeva da leggi autorizzative. La seconda concezione
al contrario manteneva all'esecutivo l'originale titolarità dei poteri per la cura
degli interessi dello Stato, circoscrivendola, eventualmente per mezzo di leggi
limitative. In ogni caso, per quanto si sostenesse l'esistenza presso l'esecutivo e
l’amministrazione di poteri autonomi per la cura degli interessi dello Stato, ciò
poteva valere solo fin dove non si determinassero contrasti con le esigenze di
protezione dei diritti dei soggetti privati: la libertà e la proprietà. Affinché si
possa comprendere cosa si intende per principio di legalità (se legge del
Parlamento o legge come diritto), è necessario far riferimento a tre diverse
concezioni dello Stato di diritto da cui derivano versione del principio di
legalità: nella Francia della rivoluzione la sovranità della legge si appoggiava
alla dottrina della sovranità della nazione. La legge è unica forza motrice dello
Stato. La Francia è il paese del vincolo rigoroso alla legge del Parlamento,
espressione della volontà generale. I giuristi ragionavano deducendo dalla
legge la volontà del legislatore. La vicenda del Rule of law inglese converge con
quella del principio di legalità in Europa continentale per quanto riguarda le
finalità costituzionali. Si prevedeva che nessuno dovesse essere punito se non
per una specifica violazione della legge (intesa come diritto) , tutti erano
soggetti ai tribunali comuni del Regno. Nella tradizione europea continentale,
per la contestazione dell'assolutismo Regio significò la pretesa di sostituire al
re un altro potere assoluto: i parlamenti continentali post rivoluzionari
seguirono la strada della concentrazione della potestà politica sotto forma
legislativa, mentre il Parlamento inglese si pose come organo tutelare dei diritti
contro l'assolutismo regio., portando il segno dell’origine giudiziaria della
legge. Nell’ originaria concezione inglese, la legge si considerava un prodotto di
giustizia, questo perché l'attività parlamentare inglese era più giustiziale virgola
in quanto il Parlamento inglese ha origine da consessi che il re consultava per il
miglioramento del diritto. Essendo quello inglese, un sistema di Common Law,
la legge come atto parlamentare era solo uno degli elementi di un sistema
giuridico complesso, mentre nel caso francese si può parlare di assolutismo
parlamentare espresso con la legge.
Ciò che contraddistingue lo Stato liberale di diritto è la diversa posizione della
legge nei confronti dei privati e della pubblica amministrazione. In vista della
protezione dei diritti dei privati, la legge stabilisce cosa l’amministrazione può e
non cosa non può. Quindi, in caso l’attività dell’amministrazione andasse a
collidere con un diritto dei privati, si trattava di un’esecuzione di autorizzazioni
legislative e non si trattava di espressioni di autonomia. Per i privati valeva il
principio opposto: ossia quello di autonomia, l’autonomia veniva meno dinanzi
al limite della legge. Come la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino
stabiliva: “tutto ciò che non è difeso dalla legge non può essere impedito e
nessuno può essere costretto a fare ciò che essa non ordina”. (libertà dei
cittadini come regola, intervento dello Stato come eccezione).
Il principio di legalità in termini costituzionali traduceva la preminenza della
borghesia espressa dalla Camera rappresentativa e il regresso dell’esecutivo e
dei giudici da poteri autonomi ad apparati subordinati della legge. L’attività dei
giuristi era concepita come un semplice servizio della legge se non come
un’esegesi alla ricerca della volontà del legislatore. A questa visione del diritto
fu rivolto un motto di disprezzo: “tre parole di rettifica del legislatore e intere
biblioteche vanno al macero”. Tale declassamento comportava la mera
applicazione di un diritto da loro non deciso. Pur essendo subordinata alla
legge, l’amministrazione difficilmente si poneva su un piano di parità con gli
altri soggetti, considerando che dovendo curare gli interessi pubblici esisteva
“il privilegio dell’amministrazione” e le radici assolutistiche degli ordinamenti
europei (esecutivo monopolio del re). La piena affermazione del principio di
legalità fu difficoltosa, soprattutto quando la supremazia della legge doveva
essere organizzata mediante controlli all’amministrazione stessa. L’egemonia
borghese si esprimeva nella legge, anche le Carte costituzionali di allora
risultavano essere un compromesso tra monarchia e borghesia, si trattava di
costituzioni flessibili, cioè non protette nei confronti delle modifiche
effettuabili con legge. L’assenza di procedure per la modifica fu favorevole al
fascismo. L’unico elemento di intangibilità era contro il ritorno indietro alle
concezioni assolutistiche. Le leggi non avevano sopra di sé alcuna regola
giuridica che stabilisse limiti e ordine, ma non ce n’era bisogno, dato che la
legge era vincolata ad un contesto politico-sociale omogeneo, la società
politica liberale era monoclasse o monista, la coerenza della legislazione era a
priori assicurata. Il proletariato e le sue organizzazioni sociali erano, per il
momento, tenuti lontano dallo Stato attraverso la limitazione del diritto di
voto. La legge per eccellenza era allora il Codice civile di Napoleone Bonaparte,
nei codici erano esaltate le caratteristiche della legge: la volontà positiva del
legislatore capace di imporsi su tutto il territorio dello Stato nei confronti dei
cittadini. Le costituzioni flessibili nei confronti degli strati sociali esclusi
prevedevano interventi d’eccezione (stato d’assedio, leggi eccezionali) per il
contenimento della contestazione politica in modo da salvaguardare il
fondamento omogeneo del regime costituzionale liberale. Si trattava di atti
episodici e quindi considerati fuori dall’ordinamento, incapaci di contraddire la
fondamentale unità e omogeneità.

STATO COSTITUZIONALE
Lo Stato costituzionale è una novità, non un semplice arricchimento di quello di
diritto legislativo. Si tratta di una novità riconducibile alla vicenda storica del
costituzionalismo. La novità principale riguarda la posizione della legge, per la
prima volta in epoca moderna, viene messa in rapporto di conformità e quindi
subordinata ad uno strato più alto di diritto, stabilito dalla Costituzione. La
legge è stata “detronizzata”. Un’altra novità riguarda il rapporto intercorrente
tra la legge, l’amministrazione e i cittadini, oggi sarebbe problematica la
riproposizione in termini generali della doppia regola che costituiva la base del
principio di legalità: libertà del singolo in linea di principio, potere dello Stato
limitato in linea di principio. Basti pensare ai “servizi pubblici”: istruzione,
sanità e previdenza sociale. Non domina l’applicazione della legge, ma
l’autonomia funzionale rispetto allo scopo. La predeterminazione legislativa
dell’azione amministrativa è fatalmente destinata a retrocedere, in quanto è
necessario affrontare una quantità e una varietà di valutazioni non prevedibili,
quindi la legge si limita a individuare l’autorità pubblica e ad autorizzarla ad
agire per il perseguimento di un interesse pubblico. I confini di azione
potrebbero essere incerti e questo spiega le numerose istanze a favore di
dichiarazioni settoriali di diritti: studenti e docenti per esempio. D’altro canto la
posizione di libertà dei privati si è andata ad affievolirsi in alcuni settori
particolarmente rilevanti a livello sociale. Funzionalizzazione per fini collettivi.
In alcuni casi sono addirittura posti limiti generalizzati che vengono rimossi in
casi particolari. È il caso dell’utilizzazione di beni di scarso interesse collettivo e
quindi preziosi. I divieti generalizzati riguardano anche ciò che ha a che vedere
con interventi artificiali sulla vita umana (interruzione volontaria della
gravidanza, trapianti). Le eccezioni anche in questo caso sono positivamente
stabilite per evitare i pericoli di una libertà senza responsabilità e sorge anche
l’aspetto paternalistico dello Stato.
Occasionalità delle leggi: il nostro tempo è caratterizzato da un’invasione di
leggi che si sovrappongono le une alle altre, questo ha determinato
un’ipertrofia legislativa. Sempre più spesso si tratta di misure provvisorie ed
emergenziali con generalità ridotta e basso grado di astrattezza. La legge è
chiamata a dare risposte ad emergenze insorte nel passato, a ciò deve anche
aggiungersi la marcata contrattualizzazione dei contenuti della legge. L’atto
creativo della legge è l’esito di processi politici nei quali operano diversi
soggetti, ciò marca l’occasionalità, in quanto nel momento in cui una delle parti
ottiene più forza, saranno richieste nuove leggi che sanciscono nuovi rapporti
di forza. Questa occasionalità è frutto delle pressioni di interessi particolari ed
è la perfetta contraddizione della generalità e dell’astrattezza. Si aggiunge poi
l’eterogeneità dei contenuti della legge, poiché lo Stato democratico è
caratterizzato da un pluralismo delle forze politiche e sociali. La legge diviene
strumento di competizione e confronto sociale, diviene un atto personalizzato
(proveniente da gruppi individuabili di persone) che persegue interessi
particolari. La legge non è più garanzia e stabilità, ma diviene essa stessa
strumento e causa di instabilità. L’accesso allo Stato di forze numerose ed
eterogenee che richiedono protezione attraverso il diritto solleva pretese
continue di regole sempre nuove e di interventi giuridici diffusivi. Il carattere
compromissorio della legge causano leggi contraddittorie e caotiche ed
esprimono l’idea che tutto sia oggetto di transazione tra le parti, anche i diritti
più intangibili. Gli ordinamenti attuali sono caratterizzati anche da una
molteplicità di fonti, le normazioni sono di origine diversa conformemente al
decentramento politico che caratterizza gli Stati odierni. Infine, le norme di
matrice statale vengono sovrapposte da norme di matrice sovra-statale che
implicano una restrizione della sovranità normativa dello Stato. Il fenomeno
più massiccio è caratterizzato da norme che derivano da strutture politiche
europee: Unione Europea. La fabbrica delle leggi corrisponde ad una situazione
strutturale delle società attuali, a questi effetti distruttivi dell’ordine giuridico,
si cerca di porre rimedio mediante le costituzioni, quindi la previsione di un
diritto più alto. L’obiettivo è quello di condizionare e contenere gli sviluppi
contraddittori della produzione del diritto, generati dall’eterogeneità e
dall’occasionalità delle pressioni sociali che su di esso si scaricano, per questo
sussiste la necessità di stabilire valori e principi costituzionali superiori, sui
quali si realizzi un ampio consenso sociale. Il pluralismo non degenera in
anarchia normativa, a condizione che al di sopra della divisione sociale, vi sia
una convergenza su alcuni aspetti politico-sociali e che questi siano messi in
sicurezza, consacrandoli in un testo non disponibile da parte degli occasionali
signori della legge. La legge viene detronizzata a favore di un’istanza più alta,
tale istanza assume il compito di reggere in unità e pace intere società divise
tra forze in competizione. Quella della costituzione non è una sovranità
astratta, ma è una ricognizione del pluralismo. Lo Stato costituzionale odierno
è basato sulle diversità delle sue forze costitutive. Le differenze culturali e
d’interesse che sono la ragione della frammentazione e dell’instabilità della
legge sono a loro volta la ragione delle costituzioni democratiche. Le
costituzioni del nostro tempo non operano al di sopra, ma nelle fondamenta
dell’ordinamento giuridico. In un certo senso sta alla base, deve porre i principi
dai quali le componenti delle società possono legittimamente muovere per
trovare soddisfazione nella legge. La sovranità della legge è stata sostituita
dalla fondamentalità della costituzione. Se si pensa alla costituzione come
grado in più del diritto, sovrapposto al diritto legislativo, significherebbe
proporre un’idea monarchico-gerarchica della costituzione. La costituzione si
può dire, in questo senso, che è una norma sottana, ma anche norma sovrana,
perché ammette le posizioni e i soggetti conciliabili ed esclude quelli
inconciliabili e traccia le modalità delle “regole del gioco” politico-
costituzionale. L’espressione “Stato di diritto” ha perso il suo significato,
perché gli Stati sono di diritto, in quanto gli Stati sono di diritto in quanto
identificati con la legge che da esso è creata. La legge era la legge: benefica o
malefica che essa fosse e nessun diritto le si poteva contrapporre. Il fascismo e
il nazismo cercarono di fregiarsi del titolo scientifico di “Stati di diritto” e lo
poterono fare perché la forza della legge, di per sé, non distingue diritto da
delitto. Ideologi fanatici e movimenti criminali hanno preteso la legittimità
delle loro azioni alla stregua di leggi fatte da loro stessi, per mezzo del
controllo totale che avevano acquisito. La democrazia stessa aveva dimostrato
di non essere l’ultima e definitiva garanzia contro l’arbitrio, avendo consentito,
nel rispetto delle sue regole, la presa di potere da parte di autocrazie
totalitarie. Per porre limiti e organizzare cautele, ogni strumento diverso dalla
legge era andato perduto. Nelle “società di massa”, il diritto sociale, ossia il
diritto antico delle piccole cerchia umane era andato perduto. I rapporti sociali
non potevano più fondarsi su un ethos spontaneamente condiviso. La legalità
come unica forma di legittimità aveva spianato la strada a forme degeneri di
potere, quindi lo strumento per tentare di limitare e stabilizzare la legislazione
era la legge, ma una legge dotata di forza e valore maggiori di quelli ordinari.
Alle costituzioni che si dissero rigide ci si affidò, scrivendo il catalogo di diritti
inviolabili, principi di giustizia inderogabili, procedure cautele e speciali per
cambiarle, capi di Stato garanti della costituzione, come sono i presidenti della
Repubblica previsti da molte costituzioni, tribunali e corti costituzionali. Il
positivismo giuridico, quindi la riduzione del diritto una sola legge positiva,
precludeva ogni soluzione diversa da quella di porre un'altra legge, la legge più
alta. De Maistre, Critico della rivoluzione dell' 89, affermò che la costituzione
non poteva vincolare tutti dal momento in cui qualcuno l'aveva fatta virgola in
quanto così come la costituzione era stata posta, così la si poteva sospendere
eludere e modificare, al di fuori delle garanzie la costituzione stessa posto per
difendersi da tutto questo. Il quesito era come sarebbe stato possibile contare
sul potere, per difendersi dallo stesso. Senza ius, anche la legge rivestita dei più
alti attributi può diventare arbitraria e tirannica. La scommessa del
costituzionalismo sta tutta qui: nella capacità della costituzione posta come lex
di diventare ius ed entrare nella sfera vitale delle convinzioni ed idee che
abbiamo più care. Il primo compito di chi agisce per costituzione è di
trascendere la volontà politica da cui essa nasce e trasformarla in forza
culturale. Per sostenere la rinascita dello ius attraverso la costituzione,
quest’ultima non può essere ridotta ad una legge come le altre, come il
positivismo legalistico invita a fare, configurando l’ordinamento come un
insieme di norme legislative poste su gradini diversi di una medesima scala,
altrimenti il tentativo di contrastare il degrado della legge sarebbe infruttuoso.

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