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CAPITOLO I

I DIRITTI UMANI:
PROFILI DI CARATTERE GENERALE

1. Genesi storica dei diritti umani

L’affermazione dei diritti umani si lega al periodo storico delle rivoluzioni


moderne, con le quali trovano riconoscimento una serie di diritti civili, politici e
sociali successivamente accolti nei testi costituzionali e nelle carte dei diritti 1.
Particolarmente rilevante appare però la questione relativa alla natura di tali diritti,
ovvero se debbano ritenersi, seguendo l’indirizzo giusnaturalistico, connaturati
all’essenza dell’uomo, o se invece, sulla scorta delle tesi giuspositivistiche, debbano
esclusivamente rintracciarsi in un dimensione storica e pertanto connotata da
un’intrinseca relatività2.
Nel Seicento, da un lato la Rivoluzione inglese, culminata nel 1689 con
l’emanazione del Bill of Rights, e dall’altro il panorama internazionale scaturito dalla
pace di Westfalia nel 1648, costituiscono la cornice entro cui fiorisce il dibattito in
merito ai diritti umani. Sebbene gli Stati nazionali vivano immersi in uno stato di
natura in cui campeggia il ricorso alla forza per la soluzione delle controversie
internazionali, e popoli e individui non vedano riconoscersi ancora alcun rilievo
giuridico3, le esigenze di libertà religiosa, che avevano mosso prima il Parlamento
inglese e poi la cosiddetta gloriosa rivoluzione del biennio 1688-89, vengono accolte
nel testo fondamentale della monarchia costituzionale inglese, ossia in quella
dichiarazione dei diritti che, approvata il 13 febbraio 1689, rappresenta

1
Nel ricostruire le varie fasi del costituzionalismo, Nicola Matteucci sottolinea il mutamento dei testi
fondamentali che, da un’originaria struttura caratterizzata da vaghi richiami alla sovranità popolare, si
arricchiscono col tempo di decaloghi contenenti un elenco di diritti. Cfr. N. Matteucci, Lo Stato
moderno. Lessico e percorsi, Bologna, 1997, p. 142 s.
2
Cfr. C. Cardia, Genesi dei diritti umani, Torino, 2005, p. VIII.
3
Su tale ricostruzione cfr. A. Cassese, I diritti umani oggi, Roma-Bari, 2009, p. 10 s.

1
l’affermazione di una parte dei diritti moderni di libertà 4, come il frutto di un
compromesso istituzionale tra le forze sociali in conflitto5.
Ma è con le dichiarazioni statunitensi avutesi nel periodo 1776-1789, e con la
Déclaration des droits de l’Homme et du citoyen approvata dall’Assemblea nazionale
francese il 26 agosto del 17896, che si giunge a quella che potremmo considerare la
positivizzazione dei diritti dell’uomo; sul punto si è infatti notato che,
dall’affermazione puramente teorica di matrice giusnaturalistica, si è dunque
approdati alla formulazione politico-giuridica, con la quale si è passati
dall’elaborazione di codici di doveri o di obblighi alla formulazione di cataloghi di
diritti7.
Da questo momento, come è stato notato 8, le sorti del costituzionalismo
moderno, caratterizzato dalla presenza di un testo scritto posto a fondamento del

4
I parlamentari inglesi “per rivendicare ed asserire i loro antichi diritti e libertà”, elencano una serie di
diritti, tra i quali “presentare delle petizioni al re”, nonché “la libertà di parola, di discussione o di
procedura in seno al Parlamento”, ribadendo che “nessuna dichiarazione, giudizio, atto o procedura,
che abbia pregiudicato il popolo in uno dei punti suddetti in nessuna maniera possa servire, in
avvenire, da precedente o da esempio”. Bill of Rights, in Appendice a M. Fioravanti, Appunti di storia
delle costituzioni moderne. Le libertà fondamentali, Torino, 1995, p. 145 s.
5
Nel 1689 dunque si afferma quella convinzione “per cui la materia della libertà (…) è
sostanzialmente indisponibile da parte di un potere politico che in Inghilterra (…) stenta ad assumere
le forme dello Stato assoluto”. M. Fioravanti, Appunti di storia delle costituzioni moderne. Le libertà
fondamentali, cit., p. 26. È da ricordare come già a partire dal 1215, con l’emanazione della Magna
Charta, fosse iniziata sull’isola britannica un embrionale riconoscimento delle libertà individuali: ad
esempio l’art. 39 di tale documento afferma: “Gli uomini liberi non possono essere catturati o
imprigionati, privati dei loro averi, messi fuori legge, esiliati o danneggiati in alcun modo, se non da
un tribunale legale dei loro pari e secondo le leggi del paese”. A partire da tali documenti la riflessione
giuridica del tempo giunge a formulare una nozione di costituzionalismo che, forte della tradizione
giurisprudenziale, costituirà il baluardo delle libertà civiche contrapposto al potere del re. Cfr. C.H.
McIlwain, Costituzionalismo antico e moderno, Bologna, 1990, p. 89 s.
6
Già a partire dalle costituzioni adottate dagli Stati del New England, fino a giungere alla
Dichiarazione di indipendenza approvata il 2 luglio del 1776 e nella quale si legge: “We hold these
truths to be self-evident, that all men are created equal, that they are endowed by their Creator with
certain unalienable Rights, that among these are Life, Liberty and the pursuit of Happiness. That to
secure these rights, Governments are instituted among Men, deriving their just powers from the
consent of the governed. That whenever any Form of Government becomes destructive of these ends,
it is the Right of the People to alter or to abolish it, and to institute new Government, laying its
foundation on such principles and organizing its powers in such form, as to them shall seem most
likely to effect their Safety and Happiness”. The Declaration of Indipendence, in www.ushistory.org.
7
Tale mutamento è stato considerato da Norberto Bobbio un vero e proprio “capovolgimento radicale
nella storia secolare della morale”. N. Bobbio, Teoria generale della politica, Torino, 1999, p. 432 s.
8
Cfr. N. Matteucci, voce Diritti dell’uomo, in Dizionario di politica, Milano, 1990, p. 304.

2
nuovo ordine giuridico, si legano alla previsione di elenchi più o meno completi e
ampi dei diritti riconosciuti al cittadino o più in generale all’uomo9.
L’affermazione di tali diritti si intreccia con il delinearsi del concetto moderno
di libertà politica, che alle origini della riflessione politica dell’epoca trova in Hobbes
la declinazione negativa, ossia quale assenza di impedimenti esterni che possano
limitare l’uomo nel suo agire10. Da questa definizione, con la quale si garantisce la
possibilità di disporre di se stessi, a fronte di una minima o addirittura assente
interferenza dei poteri pubblici o degli altri consociati, si giunge alla nozione di
libertà positiva che, se può coincidere in una prima accezione con l’obbedienza a
quelle leggi di cui lo stesso soggetto si dota 11, può però intendersi anche, in modo più
ampio, come possibilità di disporre di quei mezzi e di quelle risorse che possano
permettere il godimento effettivo di tale libertà 12. Infine, secondo un’ulteriore
accezione, la libertà si afferma solo quando le norme che il soggetto segue siano il
frutto di una volontà che però dovrà essere razionale13.

9
Agli articoli 1, 2, 4, 5, 10, 11 e 16 della Déclaration si legge: “Les hommes naissent et demeurent
libres et égaux en droits”; “Le but de toute association politique est la conservation des droits
naturels et imprescriptibles de l’Homme. Ces droits sont la liberté, la propriété, la sûreté, et la
résistance à l’oppression”; “La liberté consiste à pouvoir faire tout ce qui ne nuit pas à autrui : ainsi,
l’exercice des droits naturels de chaque homme n’a de bornes que celles qui assurent aux autres
Membres de la Société la jouissance de ces mêmes droits. Ces bornes ne peuvent être déterminées que
par la Loi”; “La Loi n’a le droit de défendre que les actions nuisibles à la Société. Tout ce qui n’est
pas défendu par la Loi ne peut être empêché, et nul ne peut être contraint à faire ce qu’elle n’ordonne
pas”; “Nul ne doit être inquiété pour ses opinions, même religieuses, pourvu que leur manifestation ne
trouble pas l’ordre public établi par la Loi”; “La libre communication des pensées et des opinions est
un des droits les plus précieux de l’Homme: tout Citoyen peut donc parler, écrire, imprimer librement,
sauf à répondre de l’abus de cette liberté dans les cas déterminés par la Loi”; “Toute Société dans
laquelle la garantie des Droits n’est pas assurée, ni la séparation des Pouvoirs déterminée, n’a point
de Constitution”. Déclaration des droits de l’Homme et du citoyen, in www.legifrance.gouv.fr.
10
Per Hobbes, se libertà “significa propriamente assenza di opposizione”, deve intendersi per libero
quell’uomo che “nelle cose che è capace di fare con la propria forza e il proprio ingegno non è
impedito di fare ciò che ha la volontà di fare”. T. Hobbes, Leviatano, Roma-Bari, 1989, p. 175.
11
Secondo Rousseau, mentre “sottostare all’impulso dei soli appetiti è schiavitù … l’obbedienza a una
legge che l’uomo si è prescritta è libertà”. J.-J. Rousseau, Il contratto sociale, Milano, 1974, p. 52.
12
Già Filippo Buonarroti sosteneva che “la natura ha dato a ogni uomo un diritto uguale al godimento
di tutti i beni” e “lo scopo della società è di difendere questa uguaglianza”. F. Buonarroti, Congiura
per l’eguaglianza o di Babeuf, Torino, 1946, pp. 277 e 279.
13
È sempre in Rousseau che trova accoglimento la tesi secondo cui “i singoli vedono il bene che
rigettano, la collettività vuole il bene che non vede. Tutti hanno ugualmente bisogno di guida: bisogna
costringere gli uni ad adeguare le loro volontà alla loro ragione; bisogna insegnare al popolo a
conoscere ciò che vuole”. J.-J. Rousseau, Il contratto sociale, cit., p. 68.

3
Nelle dichiarazioni statunitensi e francese si affacciano le tensioni fra le
diverse nozioni di libertà, accompagnate dalla qualificazione di naturalità e
inalienabilità dei diritti proclamati, con ciò distanziandosi almeno in parte dalle tesi
di quella filosofia politica seicentesca di matrice giusnaturalista e contrattualista, così
come affermatasi nella riflessione e nelle opere di Grozio, Hobbes e Pufendorf, che
vedevano nello Stato ab-solutus il soggetto al quale i diritti individuali potevano
essere trasferiti consapevolmente e volontariamente attraverso lo strumento del
contratto sociale14.
Lo stacco tra tale tesi e quanto affermato nei documenti costituzionali di fine
Settecento, si rintraccia non tanto nella qualifica di naturale, riferita ai diritti
inalienabili, quanto nell’emergere della nozione di sovranità popolare quale
fondamento di ogni potere pubblico.
Da ciò nasce quel nesso che vede, da un lato, la sovranità popolare come
elemento fondativo e giustificativo in senso democratico del potere legislativo, e,
dall’altro, i diritti la cui individuazione scaturisce dal momento autodeterminativo del
corpo elettorale attraverso i propri rappresentanti, che si rivolgono contro quegli
organi statuali che detengono il monopolio della forza nelle forme dei poteri
esecutivo e giudiziario, in modo da garantire ai cittadini quell’area di non intervento
del potere pubblico15.
In particolare negli emendamenti che verranno ad arricchire il testo
costituzionale statunitense, si rintracciano alcuni diritti che troveranno accoglimento
nei testi successivi con i quali si proclameranno universalmente i diritti umani, quali
ad esempio l’eguaglianza nel diritto di libertà religiosa, di parola, di stampa e di
riunione16.
La dialettica tra sovranità popolare e diritti di natura individuale e sociale si
manifesta ancor di più nel periodo successivo, quando si tratterà di estendere e
14
Cfr. S. Petrucciani, Modelli di filosofia politica, Torino, 2003, p. 77 s.
15
In particolare nella Déclaration si può rintracciare una sorta di “decalogo di tipo riflessivo”, con il
quale si individua “una serie di prescrizioni che dovrebbero fungere da linee guida per il futuro
legislatore, ossia una serie di raccomandazioni sui principi da rispettare che l’Assemblea nazionale
francese rivolge a se stessa”. V. Mura, Sulla nozione di cittadinanza, in Il cittadino e lo Stato, a cura di
Virgilio Mura, Milano, 2002, p. 35.
16
Il primo emendamento introdotto nel 1791 statuisce che “Congress shall make no law respecting an
establishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech,
or of the press; or the right of the people peaceably to assemble, and to petition the Government for a
redress of grievances”. Constitution of United States, in www.senate.gov.

4
meglio definire l’insieme dei diritti riconosciuti. Col pensiero politico liberale
ottocentesco il modello costituzionale rappresenterà il mezzo con il quale operare
una regolamentazione della sovranità ormai istituzionalizzata, limitando la
partecipazione del popolo alla formazione degli organi istituzionali, in particolare del
potere legislativo17.
Da ciò consegue l’attribuzione di una diversa natura attiva o passiva ai singoli
cittadini, con questi ultimi destinati ad assumere la figura di meri destinatari del
comando giuridico, sudditi di un potere che comunque garantiva loro il rispetto dei
diritti inalienabili dell’uomo. Tale disegno comporta necessariamente una diversa
interpretazione del catalogo di tali diritti, che perdono quell’elemento di naturalità
che dovrebbe caratterizzarli, assumendo la qualifica di sottoclasse del più ampio
insieme di diritti fondamentali, considerando questi ultimi come quei diritti che
“circoscrivono quella che possiamo chiamare la sfera dell’indecidibile”18, ossia di
quei divieti che corrispondono ai diritti di libertà, nonché degli obblighi pubblici
contrapposti ai diritti sociali19.
Il costituzionalismo novecentesco orientato fortemente in senso democratico,
ha contrastato tale proposta ermeneutica caratterizzata da una lettura liberale e
conservatrice dei diritti in questione, annoverando tra questi, come vedremo in
seguito, la gamma dei cosiddetti diritti sociali, affrancandosi in tal modo dalle
affermazioni di puro principio, incapaci di una concreta applicazione nel contesto
sociale ed economico, riconoscendo inoltre la necessità di un’articolazione degli
organi di governo per garantire la realizzazione di politiche multilivello20.
Nel pensiero liberale il tema dei diritti, siano essi fondamentali o umani, ha
trovato ampio spazio già a partire da Locke, al punto da doversi ritenere che tale

17
Come constatava Tocqueville, “il suffragio universale assegna dunque realmente il governo della
società ai poveri” e in particolare negli Stati Uniti “il popolo regna nel mondo politico … come Iddio
regna nell’universo. Esso è la causa e il fine di ogni cosa: tutto esce da lui e tutto finisce da lui”. A. de
Tocqueville, La democrazia in America, Milano, 1997, pp. 200 e 66.
18
L. Ferrajoli, Diritti fondamentali. Un dibattito teorico, Roma-Bari, 2001, p. 19.
19
Da un punto di vista formale i diritti fondamentali possono essere determinati a priori, elencandone
i caratteri strutturali, mentre da un punto di vista contenutistico la risposta potrà essere solo a
posteriori, poiché, se “si vuol garantire un bisogno o un interesse come fondamentali, li si sottrae sia
al mercato che alle decisioni di maggioranza”. L. Ferrajoli, Diritti fondamentali. Un dibattito teorico,
cit., p. 18.
20
Cfr. G. Lizza, Espressioni dell’esercizio del potere, in Geopolitica delle prossime sfide, a cura di
Gianfranco Lizza, Torino, 2011, p. 6 s.

5
corrente di pensiero ne sia stata la maggiore sostenitrice, sebbene debbano prendersi
in considerazione le diverse e a volte molto distanti posizioni dei singoli autori 21;
infatti nel pensiero liberale possono ricomprendersi ad esempio sia von Hayek e
Nozick che Dworkin e Rawls, ossia le tendenze più liberali e quelle più attente alla
dimensione sociale ed egualitaria. Tuttavia il pensiero liberale incontra due limiti
rispetto all’individuazione e alla giustificazione dei diritti umani: in primo luogo,
quando il singolo autore ne ammetta un elenco comprendente i diritti di pari
opportunità, al momento dell’enumerazione formerà un catalogo minimalista, da
riconoscersi da qualsiasi comunità politica a prescindere dalla collocazione storica e
geografica – ad esempio Rawls, ritenendo che tali diritti costituiscano la condizione
necessaria per l’esistenza di un sistema di cooperazione sociale sorto in forza del
consenso dei membri, li limita però al solo diritto alla vita, alla libertà (anche di
coscienza), alla proprietà e all’eguaglianza formale 22; in secondo luogo, il profondo
scetticismo che caratterizza il pensiero liberale riguardo alla non assolutezza delle
argomentazioni morali, risulta difficilmente compatibile con la tesi che vede i diritti
umani doversi applicare universalmente23: tali diritti, letti quali limiti invalicabili che
proteggono il singolo dalla collettività sociale e dal potere statale, sono però
considerati come frutto del portato storico e di una società caratterizzata da una
cultura individualista e pluralista, indifferente alla determinazione del vero e del
giusto. Da ciò deriva, anche per consentire l’estensione dei diritti umani alla pluralità
dei popoli, una elencazione che sia minimale e restrittiva, tale da permetterne il
recepimento anche a culture fortemente organicistiche e gerarchiche, ben distanti dal
modello individualista da cui la loro formulazione ha trovato origine24.

21
Caratteristica precipua del liberalismo è “la convinzione che il fine delle leggi pubbliche sia quello
di tutelare i diritti indisponibili degli individui, cioè di assicurare ad essi una sfera protetta dalle
intrusioni sia da parte di altri individui, sia da parte dei poteri pubblici”. S. Petrucciani, Modelli di
filosofia politica, cit., p. 180.
22
Cfr. J. Rawls, Il diritto dei popoli, Milano, 2001, p. 85 s.
23
Pertanto la teoria dei diritti umani, chiusa nel conflitto che vede contrapposti universalismo e
scetticismo, appare “al pensiero filosofico liberale come un terreno di indagine alquanto rischioso”. S.
Shute, S. Hurley, I diritti umani. Oxford Amnesty Lectures, 1993, Milano, 1994, p. 13.
24
Non a caso Rawls, constatando l’intrinseco pluralismo di qualsiasi società democratica, sottolinea
che “in una tale società esiste una molteplicità di dottrine comprensive ragionevoli tra loro in conflitto
(siano esse religiose, filosofiche o morali)”, per cui “i cittadini comprendono che è impossibile
raggiungere un accordo o quanto meno aprire la strada a una reciproca intesa”; pertanto ne consegue
“che nella ragione pubblica le dottrine comprensive della verità e del giusto siano sostituite da un’idea
del politicamente ragionevole, che possa essere rivolta ai cittadini in quanto cittadini”. L’idea di

6
In una direzione diversa da quella percorsa dal pensiero liberale, così
esaurendo l’esame delle tesi proposte dalle diverse scuole filosofiche a sostegno dei
diritti umani, si è cercato di individuare alcuni bisogni fondamentali propri di ogni
essere umano, che dovrebbero essere garantiti da tali diritti, in modo tale da
realizzare, seguendo una tesi altamente plausibile e intuitivamente elementare, il
conseguimento di esigenze fondamentali e irrinunciabili. Tale tesi, peraltro
maggioritaria, trova il suo momento originario nella riflessione aristotelica e
tomista25, ed è attualmente propugnata da autori quali Amartya Sen e Martha
Nussbaum: mentre il primo definisce il modello con cui poter comparare in modo
interpersonale la qualità della vita e con ciò misurare adeguatamente i livelli di
uguaglianza e diseguaglianza di soggetti appartenenti alla stessa o a diverse società 26,
la seconda intende stilare una lista di funzionamenti e capacità di rilevanza centrale
per ogni vita umana, prescindendo da quanto venga perseguito o scelto dal singolo
soggetto27.
Parrebbero però difficilmente definibili, costituendo queste le maggiori
criticità delle tesi richiamate, le qualificazioni richieste dai due autori in merito, ad
esempio, ai bisogni e alle esigenze da considerare nella formazione dell’elenco delle
necessità da garantire ad ogni singolo individuo28.

ragione pubblica si caratterizza per non criticare né attaccare nessuna dottrina “a meno che tale
dottrina non sia incompatibile con gli elementi essenziali della ragione pubblica e delle società
democratiche”. J. Rawls, Il diritto dei popoli, cit., p. 175 s.
25
Cfr. S. Petrucciani, Modelli di filosofia politica, cit., pp. 47 s. e 68 s.
26
Per l’economista indiano è necessario definire le capacità di funzionare, ossia quelle varie
combinazioni di stati di essere e di fare che la persona acquisisce o può acquisire. Tali funzionamenti
“variano da quelli fisici elementari come essere ben nutrito, adeguatamente vestito e protetto, sfuggire
alla morbilità prevenibile, ecc., a più complesse acquisizioni sociali come partecipare alla vita della
comunità, essere in grado di apparire in pubblico senza vergognarsene, ecc. Si tratta di funzionamenti
piuttosto ‘generali’, ma … la forma specifica assunta dalla loro concreta realizzazione tenderà a
variare da società a società”. A. Sen, La diseguaglianza. Un riesame critico, Bologna, 2000, p. 155.
27
Ciò presuppone l’elencazione puntuale di quegli elementi fondamentali di un modo di vivere
umano, da non ritenersi però esclusivamente strumentali ad ulteriori conquiste; a questo si aggiunga la
necessità di promuovere un livello minimo di tali capacità, in modo da garantire un fondamento di
giustizia alle istituzioni politiche, tese a realizzare la promozione delle capacità di ogni singolo
individuo. Cfr. M. Nussbaum, Diventare persone. Donne e universalità dei diritti, Bologna, 2001, p.
93.
28
Cfr. V. Marzocchi, Le ragioni dei diritti umani, Napoli, 2004, p. 89 s.

7
2. Universalità dei diritti umani

Il primo passo verso la costruzione di una complessa architettura


internazionale, idonea a garantire universalmente la tutela dei diritti umani, è
costituito dall’approvazione dello Statuto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite,
cui seguirà l’emanazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo da parte
dell’Assemblea Generale dell’ONU, il 10 dicembre 194829.
Come è stato sottolineato30, a partire da tale documento si assiste ad una
metamorfosi del diritto internazionale, in quanto nella Dichiarazione vengono
recepite prescrizioni fino ad allora caratteristiche dei testi legislativi nazionali; inoltre
a partire da tale documento si è assistito a un continuo proliferare di documenti
giuridici contenenti cataloghi di diritti umani, al punto che la Dichiarazione potrebbe
considerarsi come l’atto con il quale si indica un ideale comune da realizzarsi
attraverso la protezione e la tutela degli stessi31.
La mancanza di una specifica disciplina in materia di diritti umani nella Carta
dell’ONU, conseguenza delle diverse posizioni presenti all’interno della Conferenza
di San Francisco dell’aprile-giugno 194532, rese necessarie prima l’istituzione di una
Commissione dei diritti umani, composta dai rappresentanti di diciotto Stati, e poi
l’emanazione della ricordata Dichiarazione.
Quest’ultimo documento fu comunque il frutto dell’incontro di tre diverse
posizioni: giusnaturalista e nazionalista, propugnate soprattutto dai Paesi occidentali,
e statualista, sostenuta dal blocco dei Paesi socialisti. La prima è rintracciabile sia nel

29
Cfr. A. Cassese, I diritti umani oggi, cit., p. 28. Il Preambolo di tale Statuto riveste un tono solenne,
pari a quello che appare nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti e nella Dichiarazione
francese dei diritti dell’uomo e del cittadino, ribadendovisi la condanna delle condotte che negli anni
precedenti avevano leso drammaticamente i diritti della persona, nonché il valore principale della
pace. Cfr. C. Cardia, Genesi dei diritti umani, cit., p. 154.
30
Cfr. C. Cardia, Genesi dei diritti umani, cit., p. 156.
31
Cfr. V. Marzocchi, Le ragioni dei diritti umani, cit., p. 46.
32
Nel corso della Conferenza emersero tre schieramenti diversi: da un lato i Paesi latinoamericani,
unitamente ad altri Stati occidentali e all’India, che ritenevano necessario affermare il rispetto dei
diritti umani come obbligo internazionale; dall’altro, prevalentemente costituito dalle potenze
occidentale, il fronte di quei Paesi che si opponeva a un ampliamento delle competenze della nuova
istituzione internazionale; infine il gruppo dei Paesi socialisti rivendicava l’importanza del diritto dei
popoli all’autodeterminazione. Da tale ricostruzione appare evidente la difficoltà di giungere a una
nozione unitaria dei diritti dell’uomo, come traspare dalla mancanza di una specifica definizione
all’interno della Carta dell’ONU. Cfr. A. Cassese, I diritti umani oggi, cit., p. 29 s.

8
Preambolo33 che in varie disposizioni della Dichiarazione (come ad esempio agli
articoli 1, 16 par. 3, 22, 27 par. 1, 28, 29 par. 3 e 3034); con la seconda si intendeva
garantire la sovranità nazionale contro l’ingerenza internazionale, eliminando ad
esempio il diritto di petizione, di ribellione e non recependo i diritti delle minoranze
nazionali; infine la terza ribadiva la storicità dell’individuo, collocato non
astrattamente al di fuori di qualsiasi contesto sociale, bensì condizionato
positivamente e negativamente dall’ambiente in cui si trovava a vivere, da cui
scaturivano una serie di disposizioni tese a ribadire i diritti economici e sociali e i
doveri dell’individuo nei confronti della propria comunità di appartenenza (articoli
22-27 e 29 par. 135).

33
Nel Preambolo si legge: “Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri
della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà,
della giustizia e della pace nel mondo; Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti
umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità, e che l’avvento di un
mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal
bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell’uomo; Considerato che è indispensabile
che i diritti umani siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a
ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione; Considerato che è
indispensabile promuovere lo sviluppo di rapporti amichevoli tra le Nazioni; Considerato che i popoli
delle Nazioni Unite hanno riaffermato nello Statuto la loro fede nei diritti umani fondamentali, nella
dignità e nel valore della persona umana, nell’uguaglianza dei diritti dell’uomo e della donna, ed
hanno deciso di promuovere il progresso sociale e un miglior tenore di vita in una maggiore libertà;
Considerato che gli Stati membri si sono impegnati a perseguire, in cooperazione con le Nazioni
Unite, il rispetto e l’osservanza universale dei diritti umani e delle libertà fondamentali; Considerato
che una concezione comune di questi diritti e di questa libertà è della massima importanza per la piena
realizzazione di questi impegni”. Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, in www.ohchr.org.
34
Disposizioni che così recitano: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.
Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”;
“La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla
società e dallo Stato”; “Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza
sociale, nonché alla realizzazione attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in
rapporto con l’organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali
indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità”; “Ogni individuo ha diritto
di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al
progresso scientifico ed ai suoi benefici”; “Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e
internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere
pienamente realizzati”; “Questi diritti e queste libertà non possono in nessun caso essere esercitati in
contrasto con i fini e principi delle Nazioni Unite”; “Nulla nella presente Dichiarazione può essere
interpretato nel senso di implicare un diritto di un qualsiasi Stato, gruppo o persona di esercitare
un’attività o di compiere un atto mirante alla distruzione di alcuno dei diritti e delle libertà in essa
enunciati”. Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, in www.ohchr.org.
35
Che così dispongono: “1. Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste
e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione. 2. Ogni individuo,
senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro. 3. Ogni individuo che

9
Le difficoltà emerse, sia durante i lavori che all’analisi del testo approvato,
condussero gli estensori del documento ad adottare un atteggiamento pragmatico,
evitando di perdersi nel dedalo delle diverse possibili definizioni filosofiche dei
diritti umani, formulando così un testo lessicalmente essenziale, gravido però di
precetti e di diritti. Tuttavia tale documento, difettando di una disciplina
sanzionatoria in presenza di violazioni o inadempienze, nonché mancando di un
esplicito obbligo in capo agli Stati di applicare i diritti formulati, non parrebbe
costituire, come è stato sottolineato36, un diritto positivo in senso stretto37.
Ciò però non preclude la possibilità di ritenere la Dichiarazione, seguendo
un’autorevole opinione, “una sorta di residuo comune, una specie di comune legge
non scritta”38, su cui possano convergere ideologie e tradizioni completamente
diverse; può inoltre aggiungersi, secondo altri39, che con tale atto si è dato un forte
impulso alla protezione internazionale dei diritti dell’uomo, giungendosi ad una

lavora ha diritto ad una rimunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia
una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione
sociale. 4. Ogni individuo ha diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri
interessi”; “Ogni individuo ha diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole
limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite”; “1. Ogni individuo ha diritto ad un tenore
di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare
riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali
necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza,
vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua
volontà. 2. La maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini, nati nel
matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale”; “1. Ogni individuo ha
diritto all’istruzione. L’istruzione deve essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari
e fondamentali. L’istruzione elementare deve essere obbligatoria. L’istruzione tecnica e professionale
deve essere messa alla portata di tutti e l’istruzione superiore deve essere egualmente accessibile a
tutti sulla base del merito. 2. L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità
umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve
promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi,
e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace. 3. I genitori hanno diritto
di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli”; “2. Ogni individuo ha diritto
alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e
artistica di cui egli sia autore”; “1. Ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale
soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità”. Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo, in www.ohchr.org.
36
Cfr. D. Archibugi, D. Beetham, La Dichiarazione universale dei diritti umani cinquant’anni dopo,
in D. Archibugi, D. Beetham, Diritti umani e democrazia cosmopolitica, Milano, 1998, p. 10.
37
Secondo Vittorio Frosini la Dichiarazione non presenta “un valore di razionalità assoluta, ma un
carattere pragmatico”. V. Frosini, Teoria e tecnica dei diritti umani, Napoli, 1988, p. 63.
38
J. Maritain, L’uomo e lo Stato, Roma, 1963, p. 91.
39
Cfr. A. Cassese, I diritti umani oggi, cit., p. 40.

10
formulazione unitaria della nozione e rivolgendosi non solo ai membri delle Nazioni
Unite ma anche a quei Paesi che ancora non ne facevano parte.
Il carattere universale del documento viene però minato dall’astensione di
otto Stati al momento dell’approvazione, ossia l’Unione Sovietica, la Bielorussia,
l’Ucraina, la Cecoslovacchia, la Polonia, la Jugoslavia, il Sud Africa e l’Arabia
Saudita40. A tale implicita affermazione di parzialità dei diritti umani contenuti nella
Dichiarazione, si aggiunge il principio che garantisce la sovranità statuale nel diritto
internazionale come limite all’intervento delle Nazioni Unite, quasi a segnare la
contrapposizione tra l’autonomia e l’indipendenza del singolo Stato e l’affermazione
dei diritti di libertà dei cittadini, questi ultimi collocati in una posizione secondaria
rispetto alle prerogative riconosciute all’organizzazione statuale.
A giustificazione della mancata universalizzazione dei diritti umani è stata
posta da alcuni41 la particolare natura, nonché ruolo e funzione, dell’ONU, sorta dal
tentativo dei Paesi vincitori del secondo conflitto mondiale di concentrare nelle
proprie mani il potere internazionale, limitando la sovranità degli Stati più deboli e
ribadendo tale attributo soltanto per alcune superpotenze, in modo assoluto e
illimitato, in quanto garantito dal potere economico e militare, oltre che dalla
legittimazione proveniente dal diritto internazionale. Secondo tale ricostruzione la
Carta delle Nazioni Unite esprimerebbe compiutamente un atteggiamento autoritario
e gerarchico dei rapporti internazionali, sancendo giuridicamente la diseguaglianza
tra gli Stati42.
Proseguendo nell’esame dei documenti che a livello internazionale
riconoscono e tutelano i diritti umani, bisogna ricordare che all’indomani

40
Per i Paesi del socialismo reale le maggiori riserve riguardano la formulazione dei diritti civili e
politici, per il Paese africano i diritti sociali non debbono far parte dell’elenco formulato nel
documento, mentre per l’Arabia Saudita dal testo deve espungersi qualsiasi riferimento al diritto di
libertà religiosa e alla possibilità di mutare confessione e di contrarre matrimonio senza limitazioni
religiose. Cfr. C. Zanghì, La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, Torino, 2002, p. 23.
41
Cfr. D. Zolo, Libertà, proprietà ed uguaglianza nella teoria dei “diritti fondamentali”, in L.
Ferrajoli, Diritti fondamentali. Un dibattito teorico, cit., p. 71 s.
42
Secondo Cassese l’elaborazione del testo della Dichiarazione “fu in tutto e per tutto un pezzo di
‘guerra fredda’”. A. Cassese, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Roma-Bari, 1994, p. 33. In
merito alle dinamiche che portarono alla costituzione delle Nazioni Unite, si ricordi che
originariamente vennero esclusi i Paesi ritenuti responsabili del secondo conflitto mondiale, come ad
esempio Germania, Giappone e Austria, attribuendosi una posizione di preminenza al Consiglio di
sicurezza e ai suoi membri permanenti, ossia i Paesi vincitori. Cfr. C. Cardia, Genesi dei diritti umani,
cit., p. 161.

11
dell’approvazione della Dichiarazione la Commissione iniziò i lavori per la stesura di
una Convenzione, che avrebbe dovuto contenere una serie di obblighi per gli Stati
contraenti; i documenti che ne scaturirono vennero approvati il 16 dicembre 1966,
entrando in vigore dieci anni dopo, ossia il Patto sui diritti civili e politici e il Patto
sui diritti economici, sociali e culturali, i quali, come vedremo meglio in seguito, non
solo contengono specifiche determinazioni delle prescrizioni contenute nella
Dichiarazione ma, soprattutto nei Protocolli addizionali, sottoscrivibili però
discrezionalmente dagli Stati firmatari del Patto, delineano procedure di controllo
dell’effettivo rispetto dei diritti sul territorio degli Stati aderenti, attraverso la
costituzione di un organo apposito, ovvero il Comitato sui diritti umani43.
A tali documenti seguiranno poi alcune convenzioni internazionali, in
precedenza anticipate da atti di natura analoga, volte a garantire uno specifico diritto
o una particolare comunità di riferimento, come ad esempio i trattati sul genocidio
(1948), sulla discriminazione razziale (1965) e contro le donne (1979), sulla tortura
(1984), sui diritti dei minori (1989) e sui lavoratori immigrati (1990) 44. La stagione
dei diritti umani positivizzati è proseguita anche a livello regionale, coinvolgendo le
singole organizzazioni tra Stati di natura locale ed approdando all’adozione di una
serie di documenti, tra cui si ricordano la Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (1950), la Convenzione americana
sui diritti umani (1969), la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli (1981) e
infine la Carta araba dei diritti umani (1994)45.
Rispetto alla questione dell’universalità dei diritti umani, e tenendo conto
delle discipline e degli elenchi redatti nei diversi contesti locali e culturali, le
profonde diversità di concezioni filosofiche presupposte dai singoli documenti
rendono tale caratteristica soltanto un mero auspicio46. Una delle maggiori
divaricazioni riguarda le differenze culturali e religiose presenti, ad esempio, tra gli

43
Cfr. A. Cassese, I diritti umani oggi, cit., p. 43 s.
44
Cfr. C. Cardia, Genesi dei diritti umani, cit., p. 175 s.
45
Mentre la Convenzione americana sui diritti umani, auspicata dall’OSA, è stata ratificata da
venticinque Paesi latinoamericani e dell’America centrale, con l’esclusione degli Stati Uniti e del
Canada, la Carta africana adottata in seno all’Unione africana è stata munita nel 1998 di un Protocollo
addizionale, entrato in vigore il 25 gennaio 2004, il quale prevede una vera e propria Corte africana
dei diritti dell’uomo. Cfr. A. Cassese, I diritti umani oggi, cit., p. 50 s.
46
Secondo Cassese tale qualificazione rivestirebbe per ora soltanto una valenza mitologica. Cfr. A.
Cassese, I diritti umani oggi, cit., p. 61.

12
Stati occidentali e i Paesi arabi: si pensi al Preambolo della ricordata Carta araba dei
diritti dell’uomo, in cui si opera un rinvio alla religione islamica o, ancora, all’art. 1
dello stesso documento, dove si accumuna il razzismo al sionismo e all’occupazione
e dominazione straniera quali espressioni della limitazione della dignità umana e dei
diritti fondamentali dei popoli47. Ulteriori criticità sono rappresentate dai diversi
trattamenti previsti in materia di pluralismo politico, di uguaglianza di genere, di
libertà religiosa e di condizione della donna e del non appartenente alla religione
islamica48: criticità però che trovano spiegazione nel rinvio operato dal testo in esame
sia alla shari’ah che al diritto dei cittadini “di vivere in un’atmosfera intellettuale e
culturale in cui il nazionalismo arabo sia fonte di fierezza” 49, presupposti che
rimandano a un particolarismo palesemente incompatibile con la dimensione
universale dei diritti umani50.
Per quanto riguarda invece la Carta adottata dai Paesi africani, si rileva un
accostamento tra il diritto dell’uomo e quello dei popoli e un implicito richiamo
all’epoca coloniale, unitamente ad una enfatizzazione della dimensione comunitaria
tipica della società africana, caratterizzata dallo scarso sviluppo industriale e

47
Nel Preambolo si legge: “Premessa la fede della nazione Araba nella dignità dell’uomo, sin da
quando Allah l’ha onorata facendo del mondo arabo la culla delle religioni ed il luogo d’origine di
civiltà che hanno affermato il diritto ad una vita degna, fondata sulla libertà, la giustizia e la pace; Nel
perseguire i principi eterni di fratellanza ed eguaglianza tra gli esseri umani, stabiliti dalla Shari’ah
islamica e dalle altre religioni rivelate”; l’art. 1, lett. b) così recita: “Il razzismo, il sionismo,
l’occupazione e la dominazione straniera sfidano la dignità umana e costituiscono un impedimento
fondamentale alla realizzazione dei diritti fondamentali dei popoli. È doveroso condannare tali
pratiche ed operare per eliminarle”. Carta araba dei diritti dell’uomo, in www.federalismi.it.
48
Cfr. A. Merad, Riflessioni sulla Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo, in L’Islam e il dibattito
sui diritti dell’uomo, a cura di A. Pacini, Torino, 1998, p. 121.
49
Così dispone l’incipit dell’art. 35 della Carta. Cfr. Carta araba dei diritti dell’uomo, in
www.federalismi.it.
50
La legge islamica prevede un diverso trattamento giuridico nei riguardi dei cittadini musulmani
rispetto a quelli di altra religione; questi ultimi ad esempio non hanno diritto a ricevere lo stesso
risarcimento monetario in caso di omicidio o lesioni previsto per il musulmano; inoltre, mentre un
uomo di religione islamica può contrarre matrimonio con una donna di diversa confessione, alla donna
musulmana tale possibilità è preclusa; l’uomo poi si vede attribuire una particolare posizione di
primazia all’interno del nucleo familiare, esercitando la potestà sia sui figli che sulla moglie, potendo
tra l’altro proibirne l’uscita dalla dimora o vietare l’accesso dei parenti di lei; infine il risarcimento, le
quote di successione e il peso della testimonianza di una donna sono valutati la metà di quelli
dell’uomo. Cfr. A.A. an-Na’im, Il conflitto tra Shari’a e i moderni diritti dell’uomo, in L’Islam e il
dibattito sui diritti dell’uomo, cit., p. 110; J. Schacht, Introduzione al diritto musulmano, Torino, 1995,
p. 174.

13
dall’importanza degli aggregati familiari e territoriali51. Da ciò scaturiscono la
qualificazione della famiglia come unità naturale e base della società, il dovere per il
cittadino di preservare la solidarietà sociale e nazionale, nonché l’indipendenza e
l’integrità dello Stato di appartenenza 52; viceversa mancano riferimenti al diritto di
voto, scarni sono i rinvii ai diritti sociali, e riguardo alla libertà religiosa non è
previsto espressamente il diritto a mutare confessione53.
L’esame dei documenti di livello regionali sembrerebbe confermare
l’impossibilità di attribuire una qualificazione universale alla categoria dei diritti
umani, piuttosto segnata dal contesto geografico, politico e culturale che di volta in
volta la recepisce. Tuttavia da un punto di vista dinamico può ritenersi, secondo una

51
Si legge tra l’altro nel Preambolo: “Considerando la Carta dell’Organizzazione dell’Unità Africana,
ai sensi della quale "la libertà, l’eguaglianza, la giustizia e la dignità sono obiettivi essenziali alla
realizzazione delle legittime aspirazioni dei popoli africani"; Riaffermando l’impegno che essi hanno
solennemente preso all’articolo 2 di detta Carta di eliminare, in ogni sua forma, il colonialismo
dell’Africa, di coordinare e di intensificare la loro cooperazione e i loro sforzi per offrire migliori
condizioni di esistenza ai popoli d’Africa, di favorire la cooperazione internazionale tenendo
debitamente conto della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo Tenendo conto delle virtù delle loro tradizioni storiche e dei valori della civiltà africana che
devono ispirare e caratterizzare le loro riflessioni sulla concezione dei diritti dell’uomo e dei popoli;
Riconoscendo, da una parte, che i diritti fondamentali dell’essere umano sono fondati sugli attributi
della persona umana, ciò che giustifica la loro protezione internazionale, dall’altra, che la realtà e il
rispetto dei diritti del popolo devono necessariamente garantire i diritti dell’uomo”. Carta africana dei
diritti dell’uomo e dei popoli, in www.cirpac.it.
52
Infatti, secondo l’art. 18, par. 1: “La famiglia è l’elemento naturale e la base della società. Essa deve
essere protetta dallo Stato che deve vegliare sulla sua salute fisica e morale”; in forza degli articoli 27,
par. 1 e 29, invece ogni individuo “ha doveri verso la famiglia e verso la società, verso lo Stato e verso
le altre collettività parimenti riconosciute e verso la comunità internazionale” nonché “1. Di
preservare lo sviluppo armonioso della famiglia e di operare in favore della coesione e del rispetto di
questa famiglia; di rispettare in ogni momento i suoi genitori, di nutrirli e di assisterli in caso di
necessità; 2. Di servire la propria comunità nazionale mettendo al servizio di questa le sue capacità
fisiche e intellettuali; 3. Di non compromettere la sicurezza dello Stato di cui è cittadino o residente; 4.
Di preservare e rafforzare la solidarietà sociale e nazionale, specialmente quando questa sia
minacciata; 5. Di difendere e rafforzare l’indipendenza nazionale e l’integrità territoriale della patria e,
in via generale, di contribuire alla difesa del proprio paese, alle condizioni stabilite dalla legge; 6. Di
lavorare, nella misura delle sue capacità e delle sue possibilità, e di versare i contributi fissati dalla
legge per la salvaguardia degli interessi fondamentali della società; 7. Di provvedere, nelle sue
relazioni con la società, alla preservazione e al rafforzamento dei valori culturali africani positivi, in
uno spirito di tolleranza, di dialogo e di concertazione e, in via generale, di contribuire alla
promozione della salute morale della società; 8. Di contribuire con tutte le sue capacità, in ogni
momento e ad ogni livello, alla promozione e alla realizzazione dell’unità africana”. Carta africana
dei diritti dell’uomo e dei popoli, in www.cirpac.it.
53
Cfr. M. Papa, La Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli: un approccio ai diritti umani tra
tradizione e modernità, in I diritti dell’uomo: cronache e battaglie, 1998, p. 5 s.

14
possibile lettura54, che tali diritti possano acquisire nel corso del tempo, a seguito
dell’evoluzione subita dalle singole società, un valore universale che consenta di
distinguere quanto sia realmente universale rispetto alle istanze valide
esclusivamente in un contesto occidentale, caratterizzato dalla presenza di Stati
industrialmente e democraticamente avanzati. Con ciò si potrà arrivare alla
definizione di un orizzonte complessivo all’interno del quale collocare una tipicità di
diritti, nella prospettiva futura di un loro ripensamento e di una ulteriore
rideterminazione, conseguente all’apparire di nuovi bisogni e nuove differenze,
scongiurando così il pericolo di doverli interpretare in modo assoluto e in funzione
limitativa, attribuendo loro invece un significato tale da costituire il nucleo fondativo
della sfera politico-giuridica, incessantemente alimentata e rigenerata dal legame con
la società55.

3. I nuovi diritti

La fine del XX secolo e l’inizio del XXI, in particolare prendendo la data del
crollo del muro di Berlino quale momento di inizio, vede l’affermarsi di quella che è
stata denominata l’età dei nuovi diritti56; tale ampliamento delle situazioni giuridico-
soggettive trova giustificazione, da una parte, nelle diverse condizioni in cui le
persone vengono a trovarsi a seguito dell’incremento delle possibilità della scienza e
della tecnica57, e, dall’altra, da una serie di fattori che specialmente in Europa hanno
comportato la permeabilità dei confini nazionali alle prescrizioni europee, tra cui si

54
Cfr. C. Cardia, Genesi dei diritti umani, cit., p. 191.
55
Cfr. V. Marzocchi, Le ragioni dei diritti umani, cit., p. 66 s.
56
Cfr. M. Cartabia, I “nuovi” diritti, febbraio 2011, in www.olir.it, p. 1.
57
Cfr. V. Marzocchi, Le ragioni dei diritti umani, cit., p. 64.

15
segnala la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché l’attività
giurisprudenziale delle Corti internazionali58.
È bene ricordare che la dottrina distingue i diritti umani almeno in tre
generazioni: la prima comprende i diritti civili e politici rivendicati dalle rivoluzioni
moderne di marca liberale; la seconda contiene i diritti frutto del pensiero socialista
ottocentesco, in risposta all’avanzare della società industriale 59; infine la terza si
riferisce a quel meccanismo di specificazione che ha condotto dai diritti uguali a
quelli delle differenze60.
L’esplosione del tema dei diritti umani e il suo affermarsi nell’opinione
pubblica internazionale, soprattutto occidentale, costituisce il termine ultimo di
quelle battaglie promosse dai movimenti per i diritti civili a partire dagli anni
Sessanta del secolo scorso, a tutela ad esempio dei cittadini di colore e delle donne,
contrapponendosi al meccanismo ideologico dell’Europa orientale e alla conseguente
formulazione dei diritti in quei Paesi. La sovrapposizione tra una serie di eventi
storici, ossia, come già ricordato, quanto accaduto il 9 novembre 1989 e il
contemporaneo anniversario della proclamazione della Déclaration des droits de
l’Homme et du citoyen, segna l’inizio della riflessione sul tema dei diritti umani
all’alba di quel fenomeno di globalizzazione che ormai caratterizza la nostra epoca61.
58
Per una valutazione della giurisprudenza della Corte di Strasburgo cfr. A. Cassese, I diritti umani
oggi, cit., p. 115 s.
59
Cfr. V. Frosini, Teoria e tecnica dei diritti umani, cit., p. 82.
60
Quest’ultima distinzione operata da Norberto Bobbio viene però articolata in modo diverso da
Gregorio Peces-Barba, per il quale, mentre con la terza si intende classificare i diritti in base ai titolari
– ad esempio donne, bambini, ecc. – una quarta generazione riguarderebbe quei diritti nuovi aventi
particolare contenuto (si pensi all’ambiente, allo sviluppo, alla pace, ecc.). Cfr. N. Bobbio, L’età dei
diritti, Torino, 1990, pp. XV e 62; G. Peces-Barba, Teoria dei diritti fondamentali, Milano, 1993, p.
160 s. Per Vittorio Frosini nella terza generazione debbono collocarsi quei diritti “sorti ex novo nella
coscienza umana, giacché le precedenti generazioni non potevano conoscerne le premesse: la scoperta
dell’energia atomica ha conferito un nuovo profilo al diritto alla pace, al diritti alla difesa
dell’ambiente, al diritto alla salute; l’informazione automatizzata lo ha conferito al right of privacy,
divenuto diritto di libertà informatica; i satelliti artificiali, la conquista della luna e dello spazio
extraterresstre, la diffusione planetaria delle telecomunicazioni hanno contribuito a creare la coscienza
di una comunità umana globale, e con essa i nuovi diritti umani)”. V. Frosini, Teoria e tecnica dei
diritti umani, cit., p. 82 s.
61
Per globalizzazione deve intendersi “una collocazione del politico al di fuori del quadro categoriale
dello Stato-nazione, e perfino al di fuori dello schema che assegna i ruoli di ciò che vale come azione
‘politica’ e ‘non-politica’”. U. Beck, Che cos’è la globalizzazione. Rischi e prospettive della società
planetaria, Roma, 2001, p. 13. E ancora, tale fenomeno coinciderebbe con “l’impatto sempre più
veloce e profondo delle relazioni interregionali e dei modelli di interazioni sociali”, riferendosi “ad
una vera e propria trasformazione nella scala dell’organizzazione della società umana, che pone in

16
Pertanto con l’acuirsi dei conflitti tra globale e locale, tra nord e sud del
mondo, corredati da quelle emergenze planetarie che minacciano non solo la pace ma
la stessa sopravvivenza del pianeta (si pensi ad esempio alle questioni del
riscaldamento globale, dell’inquinamento e del depauperamento delle risorse
naturali), i diritti umani divengono gli strumenti di difesa e di denuncia non solo
contro gli organi statali, bensì nei confronti di un agire collettivo però sempre meno
riferibile a soggetti determinati o determinabili62. L’attenuarsi dell’importanza e delle
funzioni dello Stato nazionale, come conseguenza dell’erosione provocata dalle
istituzioni internazionali, da quelle locali e dalle spinte degli operatori economici
globali, conduce ad uno scenario che vede i diritti umani posti quale limite sia ad un
soggetto statale indebolito, che a centri di potere sovranazionali o locali, per
rivendicare le garanzie proprie degli individui63.
Il delinearsi di una serie di nuovi diritti, così come emergono soprattutto dalla
giurisprudenza internazionale, spesso a garanzia della vita privata e del principio di
non discriminazione, si colloca in quell’ambito culturale che ha alimentato le
rivendicazioni dei diritti individuali di matrice liberale nell’ambito del
costituzionalismo statunitense64. L’individualismo anglosassone e il riconoscimento
dell’autonomia e dell’autodeterminazione del singolo sono pertanto alla base dei
nuovi diritti, e conseguentemente il principio dell’uguaglianza deve leggersi quale
affermazione della neutralità giuridica65. Con la libertà positiva, espressione per
relazione comunità tra loro distanti ed allarga la portata delle relazioni di potere abbracciando le
regioni e i continenti più importanti del mondo”. D. Held, A. McGrew, Globalismo e antiglobalismo,
Bologna, 2003, p. 9.
62
Cfr. V. Marzocchi, Le ragioni dei diritti umani, cit. p. 73.
63
Tale situazione giustificherebbe secondo alcuni il fallimento della politica dei diritti umani, in
quanto contribuirebbe “a produrre una società il cui progetto globale sfugge ai propri membri”, anche
se tale politica potrebbe “ampliare le prerogative dell’individuo nella società”. Tuttavia, quanto più ciò
accada, tanto più “diventa difficile afferrare la coerenza complessiva di questa società degli individui,
che diventa così sempre meno intellegibile e meno governabile”. M. Gauchet, I diritti umani come
politica, in Micromega, 2001, 5, p. 169.
64
Ciò a partire da quella giurisprudenza della Corte Suprema federale, che nel 1965, nel caso
Griswold v. Connecticut, sanzionò annullandola una legge del Connecticut che vietava l’uso dei
contraccettivi, in forza del riconoscimento del diritto costituzionale alla privacy. A tale decisione seguì
poi la pronuncia nel 1973 dello stesso organo, Roe v. Wade, con la quale, annullando una legge del
Texas, si ritenne che lo stesso diritto alla privacy attribuisse alla donna la decisione autonoma di
interrompere o meno la gravidanza. Cfr. M. Cartabia, I “nuovi” diritti, cit., p. 11 s.
65
Con ciò parrebbe affermarsi quanto sostenuto da Franco Modugno, secondo cui, riconoscendosi alla
libertà, intesa positivamente come autonomia e autodeterminazione dell’individuo, la natura di
fondamento dei diritti costituzionali, diviene possibile nonché necessario attribuire alle formule

17
alcuni di quel desiderio di essere padroni di se stessi, soggetti e mai oggetti, causa del
proprio agire e strumento della volontà autonoma e mai eteronoma, l’assenza di
costrizioni esterne individua l’emancipazione da qualsiasi legame e condizionamento
anche relazionale, descrivendo un soggetto umano totalmente artefice delle proprie
scelte66.
La caratterizzazione giurisprudenziale dei nuovi diritti parrebbe dotarli inoltre
di un’assolutezza e pertanto di una mancanza di limitazioni, che invece vige per le
situazioni giuridiche riconosciute nei cataloghi scritti contenuti nelle convenzioni
internazionali e nelle costituzioni nazionali; a ciò si aggiunga il principio di non
discriminazione, quale elemento che esclude l’applicazione di limiti nella
formulazione di nuovi diritti67. A partire pertanto da diritti e principi espressamente
sanciti in documenti giuridici di particolare rilievo internazionale o nazionale, gli
organi giudicanti giungono a formulare nuovi diritti che, sebbene a volte non
compiutamente autonomi, possono costituire il punto di partenza per la formulazione
di nuove posizioni giuridiche soggettive.
Tale ampliamento delle situazioni giuridiche soggettive potrebbe però causare
un isterilimento della categoria dei diritti umani, a quel punto identificata con lo
spazio proprio del singolo ordinamento giuridico e contenente in modo paritetico una
serie di diritti di intensità e significato diversi. Pertanto i diritti umani verrebbero a

positive dei singoli diritti costituzionali la natura di “chiavi che aprono le porte di qualsiasi
manifestazione di libertà”. F. Modugno, I “nuovi” diritti nella giurisprudenza costituzionale, Torino,
1994, p. 9 s.
66
Cfr. I. Berlin, Due concetti di libertà, Milano, 2000, p. 22.
67
Tra gli esempi giurisprudenziali ricordati da Marta Cartabia, le decisioni assunte dalla Corte europea
dei diritti dell’uomo nel 2010 e sempre nei confronti dell’Austria. In un primo caso la Corte,
intervenendo su una legge austriaca che distingueva tra fecondazione omologa ed eterologa, la prima
permessa, la seconda vietata, ha ritenuto che tale distinzione provocasse una discriminazione a danno
di quelle coppie affette da problemi di sterilità, violando il diritto alla vita privata e familiare,
quest’ultimo comprensivo anche del diritto ad avere un figlio (Corte europea dei diritti dell’uomo, 1
aprile 2010, n. 57813/00, S.H. et al. v. Austria). Successivamente lo stesso organo giudicante, pur non
condannando l’Austria, ha ritenuto che le coppie omosessuali debbano considerarsi famiglie ed essere
sottoposte pertanto alla protezione prevista dall’art. 8 della Convenzione europea, nella parte in cui
viene tutelata la vita familiare, anche se ciò non comporta una discriminazione in capo alle stesse
coppie, almeno al tempo della decisione dei giudici di Lussemburgo (Corte europea dei diritti
dell’uomo, 24 giugno 2010, n. 30141/04, Schalk and Kopf v. Austria). Cfr. M. Cartabia, I “nuovi”
diritti, cit., p. 8 s.

18
confondersi con una qualsiasi pretesa individuale legittima, fino a ricomprendere
qualsiasi bisogno di natura umana68.
Un’ulteriore possibile modificazione della categoria dei diritti umani potrebbe
condurre all’enucleazione di un insieme indefinito di situazioni, con ciò segnando
una sorta di relativismo dei valori: assumere ogni bisogno quale contenuto possibile
di un diritto umano, determina un ampliamento smisurato del repertorio delle
situazioni fondamentali, segnato però da un’evidente aporia, per cui se tutto è
ritenuto fondamentale, nulla in realtà lo è69.
O ancora, l’illimitata espansione sia nel numero che nel contenuto dei diritti
riferiti all’individuo, fondata come già ricordato su una concezione antropologica
libertaria, potrebbe condurre a una degenerazione utopistica: l’affermazione di diritti
assoluti appare illusoria nel momento in cui tale proclamazione intenda delineare un
essere umano libero da qualsiasi fragilità e contingenza, dipendenza invece del tutto
manifesta in quelle situazioni nelle quali l’apparente esercizio di una non
conculcabile libertà venga a scontrarsi con la necessità di poter contare
successivamente sulla solidarietà sociale 70. Non necessariamente poi la
moltiplicazione dei diritti, come è stato avvertito dalla dottrina 71, coincide con un
miglioramento della loro tutela, poiché l’indivisibilità e l’interdipendenza dei diritti
umani comporta, ogniqualvolta si assista a un loro ampliamento, il bilanciamento
complessivo tra le vecchie e le nuove situazioni giuridiche soggettive riconosciute. Si
pensi inoltre alle difficoltà pratiche che comporterebbe un maggior numero di diritti,
ossia il conseguente incremento delle controversie dinanzi a giudici nazionali o
internazionali, da cui scaturirebbe la possibilità di rilevanti ritardi per l’emanazione
delle decisioni72.

68
Cfr. C. Cardia, Genesi dei diritti umani, cit., p. 181.
69
Cfr. D. Zolo, Fondamentalismo umanitario, in M. Ignatieff, Una ragionevole apologia dei diritti
umani. Interventi di Salvatore Veca e Danilo Zolo, Milano, 2003, p. 140.
70
Mary Glendon tratteggia tale considerazione descrivendo la situazione di chi, rivendicando
l’illegittimità dell’obbligo di indossare le cinture o il casco, per un incidente alla spina dorsale
conseguente a una guida su strada a gran velocità, divenga il più dipendente degli individui. Cfr. M.A.
Glendon, Rights talk. The Impoverishment of Political Discourse, New York, 1991, p. 45, nota 6,
citato in M. Cartabia, I “nuovi” diritti, cit., p. 15.
71
Cfr. M. Luciani, Positività, metapositività e parapositività dei diritti, in Scritti in onore di Lorenza
Carlassare, III, Padova, 2009, p. 1055 s.
72
Cfr. M. Cartabia, I “nuovi” diritti, p. 16.

19
Tale risultato implicherebbe un aumento dei costi per il settore giustizia, a
fronte di una scarsità di risorse che minerebbe la realizzabilità e la sostenibilità dei
diritti73. Infine non irrilevante la considerazione secondo cui la moltiplicazione dei
diritti di fatto non riduca ma invece aumenti il rischio della loro violazione, in base
alla prassi che vede negare i diritti di alcuni soggetti in nome dei diritti stessi74.
Se si riflette invece sugli effetti che i diritti umani, così come formulati e poi
applicati nell’ambito del consesso delle Nazioni Unite, hanno prodotto a livello
internazionale, si deve sottolineare il riconoscimento quasi unanime di alcuni assunti
da parte dei Paesi membri: il valore primario della dignità degli esseri umani, da
proteggersi a prescindere dalla nazionalità, dal genere, ecc.; la realizzazione dei
diritti fondamentali delle collettività dei popoli; l’inaccettabilità della
discriminazione razziale; il divieto per qualsiasi Stato di violare ripetutamente e
sistematicamente i diritti umani; la legittimazione a intervenire con mezzi pacifici, da
parte della comunità internazionale, qualora si assista alla violazione di tali diritti su
larga scala. Per sopperirne al deficit applicativo, purtroppo facilmente constatabile
alla luce anche di fatti di cronaca, è stata proposta una serie di soluzioni: limitare
l’attenzione a un numero definito e limitato di diritti umani da ritenersi essenziali;
prevedere un complesso circoscritto di strumenti di controllo e di garanzia posti a
73
Infatti “rights have social costs as well as budgetary costs. For instance, the harms to private
individuals that are sometimes inflicted by criminal suspects released on their own recognizance can
reasonably be classed among the social costs of system that takes serious measures to protect the
rights of the accused. A comprehensive study of the costs of rights, therefore, would necessarily devote
considerable attention to such nonmonetary costs. But the budgetary costs of rights, treated in
isolation from both social costs and private costs, provides an ample and important domain for
exploration and analysis. Focusing exclusively on the budget is also the simplest way to draw
attention to the fundamental dependence of individual freedoms on collective contributions managed
by public officials”. S. Holmes, C. Sunstein, The Cost of Rights. Why Liberty Depends of Taxes, 1999,
New York-London, p. 21 s.
74
Secondo Gianluigi Palombella “the denial of rights in the name of rights is spreading under many
forms, even through the paternalism that, for example, bans women from wearing the hijab in official
buildings in countries like France or Turkey. Similar problems are caused by affirmative action,
which imposes quotas for women in the lists of candidates for general elections; this is an example of
how safeguarding some individuals’ substantial political rights leads to denial of others’ political
rights and equality. Moreover, another different, and ever re-emerging phenomenon, i.e., the denial of
rights in the name of the rule of law, has been a dominant trait of the legal experience of the Stato di
diritto (Etat de droit, Rechsstaat) in continental Europe, where it has assumed the form of legalistic
positivism, according to which the defense of the imperative ‘dura lex sed lex’, together with a pre-
constitutional idea of separation of powers, has come to ban the judiciary from defending principled
rights that were not directly provided by legislation”. G. Palombella, The Abuse of Rights and the Rule
of Law, in A. Sajo (ed.), Abuse: the Dark Side of Fundamental Rights, Utrecht, 2006, p. 6.

20
difesa di tali diritti; ricorrere alla sanzione penale per le violazioni più gravi,
chiamando a rispondere gli individui presunti responsabili degli illeciti; definire la
possibilità di un intervento armato di natura eccezionale, qualora si ritenga
necessario far cessare violazioni di particolare intensità, come ad esempio per gli atti
di genocidio o per i crimini contro l’umanità75.
Nell’epoca in cui si assiste all’affermazione dei nuovi diritti, così come
vengono a svilupparsi nella loro formulazione, occorre altresì essere consapevoli che
si è passati dal tentativo di assicurare ai diritti affermati positivamente una tutela
effettiva, alla necessità di preservare la natura delle situazioni giuridiche individuali
poste a garanzia della persona nei confronti di ogni potere, evitando però che
attraverso questi stessi diritti possa esercitarsi una qualsiasi forma di coercizione o
limitazione sulla persona76.

CAPITOLO II

CATTOLICESIMO E DIRITTI UMANI

1. Il Magistero della Chiesa con riguardo ai diritti umani

Il rapporto della Chiesa cattolica con i diritti umani, o più in generale con la
cosiddetta modernità, è segnato sin dall’inizio da un atteggiamento di diffidenza e
resistenza, così come appare da una serie di documenti pontifici tra cui spiccano il

75
Cfr. A. Cassese, I diritti umani oggi, cit. p. 211 s.
76
Cfr. M. Cartabia, I “nuovi” diritti, p. 17.

21
breve Quod aliquantum di Pio VI del 1791 e le encicliche Mirari vos di Gregorio
XVI, Quanta cura di Pio IX, Immortale Dei, Libertas praestantissimum e Rerum
novarum di Leone XIII, rispettivamente del 1832, 1864, 1885, 1888 e 189177.
Tale spirito polemico, che si indirizza anche contro il diritto soggettivo e il
costituzionalismo di marca illuministica, si lega ai violenti attacchi mossi dalla curia
di Roma alla Rivoluzione francese e alle teorie filosofico-politiche illuministiche78.
Se si risale ai primi momenti della Rivoluzione del 1789 e dunque ai giorni
che videro la proclamazione del catalogo dei diritti dell’uomo e del cittadino, si
rinvengono le iniziali preoccupazioni che attraversavano in primo luogo la Chiesa
francese, sospettosa verso quelle tesi che parevano mettere in discussione la religione
quale fondamentale elemento della comunità politica79.
Tuttavia i rappresentanti delle istituzioni ecclesiali gallicane si erano mostrati
non totalmente contrari ad una carta dei diritti, sebbene richiedessero all’interno di
essa un’elencazione dei contestuali doveri80.
Anche nel cattolicesimo romano erano emerse posizioni che sottolineavano il
rovesciamento dei veri diritti operato dalla Dichiarazione, sia censurando alcuni
articoli specifici, quale il 10 in materia di libertà di manifestazione del pensiero
anche in tema di libertà religiosa, sia riferendosi indirettamente a quei provvedimenti
da cui era stata colpita la Chiesa francese, tra cui spiccavano non soltanto la
nazionalizzazione dei beni del clero, l’abolizione delle decime, il divieto di nuovi
77
Cfr. M. Pera, Diritti umani e cristianesimo. La Chiesa alla prova della modernità, Venezia, 2015, p.
23.
78
Cfr. V. Ferrone, Chiesa cattolica e modernità. La scoperta dei diritti dell’uomo dopo l’esperienza
dei totalitarismi, in Chiesa cattolica e modernità. Atti del Convegno della Fondazione Michele
Pellegrino, a cura di Franco Bolgiani, Vincenzo Ferrone, Francesco Margiotta Broglio, Bologna,
2004, p. 40. Nel 1791 a Parigi appare un’incisione raffigurante una donna con paramenti regali,
evidente simbolo della Francia, che si poggia sulla Dichiarazione incisa su un pilastro gravante sul
clero e la nobiltà, con ciò rifiutando i brevi papali che avevano condannato la costituzione civile del
clero nonché i valori di libertà e uguaglianza. Cfr. C.-M. Bosséno, C. Dhoyen, M. Vovelle, Immagini
della libertà. L’Italia in rivoluzione, Roma, 1988, p. 44, n. 1.
79
Cfr. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, Bologna, 2012, p. 16. Nelle intenzioni dei costituenti si
voleva fondare la nuova società e le istituzioni politiche su basi razionali, anche attraverso la solenne
proclamazione di principi e diritti, questi ultimi scaturiti direttamente da due elementi connessi, loro
nucleo imprescindibile: l’autonomia dell’individuo e il contratto. Cfr. A. Soboul, Storia della
Rivoluzione francese, Milano, 2001, p. 69 s.
80
In seno all’Assemblea costituente era stata respinta, con 570 voti contro 433, la mozione presentata
dal canonista d’orientamento giansenista Armand-Gaston Camus, che richiedeva la redazione di una
dichiarazione contenente sia i diritti che i doveri dell’uomo e del cittadino. Cfr. D. Menozzi, Chiesa e
diritti umani, cit., p. 17.

22
voti religiosi e l’abilitazione degli acattolici agli impieghi pubblici, ma anche la ben
più avversata costituzione civile del clero, con cui tutti gli ecclesiastici erano invitati
a prestare giuramento di fedeltà al nuovo ordinamento81.
Pio VI, schierandosi apertamente al fianco del clero francese refrattario, che
si era rifiutato di giurare, emanò il già citato breve Quod aliquantum, nel quale si
condannavano non solo il decreto del 1790, ma anche i valori di libertà, uguaglianza
e sovranità popolare, come contrari al dettato biblico e alla ragione82.
Con tale atto si affermava in modo deciso l’assoluta inconciliabilità tra valori
cattolici e diritti dell’uomo, così come formulati nella Dichiarazione
dell’Ottantanove83. Alle prese di posizione pontificie seguì una vera e propria
81
Con l’emanazione del decreto del 26 novembre 1790, all’iniziale atteggiamento che intendeva non
tanto contrapporsi alla Chiesa, quanto favorire la razionalizzazione dei rapporti tra istituzioni
ecclesiastiche e civili ormai superati alla luce della nuova mentalità introdotta con l’Illuminismo, si
sostituì il tentativo di colpire i rapporti interni alla gerarchia ecclesiastica, sottraendo a Roma qualsiasi
possibilità di esercitare un’attività di controllo nei confronti dei vescovi francesi. Cfr. D. Menozzi, La
Chiesa cattolica, in Storia del cristianesimo. L’età contemporanea, a cura di G. Filoramo e D.
Menozzi, Roma-Bari, 2001, p. 134.
82
Nel documento papale si individua nell’intimazione divina rivolta ad Adamo, con cui si comminava
la pena di morte a seguito dell’eventuale violazione del divieto di assaporare i frutti dell’albero del
bene e del male, la negazione assoluta della libertà naturale dell’uomo. Inoltre viene ribadita quella
concezione che vede pervenire soltanto da Dio l’autorità e la legittimità di ogni potere costituito e non
certo da un accordo sottoscritto tra uomini liberi ed eguali, tesi che trova conferma, secondo le
argomentazioni pontificie, nella derivazione divina delle tavole della legge consegnate a Mosè e nella
paolina epistola ai Romani. Cfr. V. Ferrone, Chiesa cattolica e modernità. La scoperta dei diritti
dell’uomo dopo l’esperienza dei totalitarismi, cit., p. 55.
83
“Ma quale stoltezza maggiore può immaginarsi quanto ritenere tutti gli uomini uguali e liberi in tal
modo che nulla venga accordato alla ragione, di cui principalmente l’uomo è stato fornito dalla natura
e per la quale si distingue dalle bestie? Quando Dio ebbe creato il primo uomo e lo collocò nel
Paradiso terrestre, non gli intimò nello stesso tempo la pena di morte se avesse gustato i frutti
dell’albero della scienza del bene e del male? Con questo primo precetto non ne pose egli tosto in
freno la libertà? E dopo che l’uomo con la sua disubbidienza si era fatto colpevole, non aggiunse Iddio
molti altri precetti, che vennero da Mosè promulgati? ... Ove è dunque quella libertà di pensare e di
operare, che i decreti dell’Assemblea attribuiscono all’uomo vivente in società come un diritto
immutabile della natura? Dunque, per ciò che risulta da tali decreti, a tenore di essi converrà
contraddire al diritto del Creatore, per mezzo del quale noi esistiamo, e dalla cui liberalità si deve
riconoscere tutto ciò che siamo e che abbiamo. Oltre ciò, chi non sa che gli uomini sono stati creati
non semplicemente per vivere ciascuno come singolo, ma per vivere anche ad utilità e giovamento
degli altri? ... Ma per confutare una così assurda invenzione di libertà può anche essere sufficiente dire
che questo appunto fu lo stolto pensiero dei Valdesi e dei Beguardi condannati da Clemente V con
universale approvazione del Concilio Ecumenico Viennese; errore che fu poi seguito dai Wicleffisti e,
ultimamente, da Lutero, al quale appartengono le parole «Noi in tutto, e per tutto siamo liberi»”. Pio
VI, Quod aliquantum, in www.vatican.va. Tale posizione venne in seguito ribadita dallo stesso
Pontefice in un breve diretto all’Arcivescovo e ai fedeli di Avignone, in cui i diritti dell’uomo
vengono qualificati come contrari alla religione e alla società. Cfr. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani,
cit., p. 29 s.

23
campagna propagandistica, rintracciabile sia nella pubblicistica che nella letteratura
teologica, con la quale la contrapposizione tra le tesi accolte nell’ordinamento sorto
dalla Rivoluzione francese e le condanne papali venne esacerbata, costituendo un
portato culturale che da quel momento in poi caratterizzerà l’atteggiamento
complessivo della dottrina e del magistero cattolici84.
Tra gli esempi di maggiore radicalismo si segnalano le pagine scaturite dalla
riflessione di autori quali De Maistre e De Bonald 85, cui si affianca l’opera della
Compagnia di Gesù, ricostituita nel 1814, e di nuovi ordini religiosi, tra cui spicca la
Congregazione del Preziosissimo Sangue istituita da Gaspare del Bufalo, tutti
schierati contro quella linea eversiva culminata con la Rivoluzione francese ma
proveniente dal Rinascimento e dalla Riforma protestante, fautrice dell’autonomia
dell’uomo dalla Chiesa e contro cui l’unica soluzione non era la riaffermazione dei
valori e degli equilibri dell’ancien régime, bensì la totale cancellazione della
modernità e la riaffermazione dei valori medievali86.
L’atteggiamento critico e di contestazione nei confronti dell’idea illuministica
di libertà trova conferma nell’enciclica Mirari vos del 1832 di Gregorio XVI, il quale
si trova a dover far fronte alle teorie del cattolicesimo liberale propugnate sulle
84
A tal proposito si può ricordare l’esperienza del Giornale ecclesiastico di Roma che accoglieva nelle
proprie pagine recensioni a opere che ribadivano le critiche ai principi di libertà e uguaglianza, nonché
a scritti che si esprimevano in favore del riconoscimento del cattolicesimo come religione di Stato e
pertanto unica confessione a poter godere del culto pubblico. Cfr. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani,
cit., p. 31.
85
Fautori del cattolicesimo legittimista, De Maistre e De Bonald criticavano l’individualismo che
scaturiva dalla Rivoluzione, ribadendo l’intrinseca originarietà dell’elemento societario rispetto a
quello del soggetto. L’individuo infatti, secondo tali autori, può identificarsi soltanto nel popolo-
nazione, inserito organicamente nella società attraverso i gruppi, che vengono invece dissolti da quel
razionalismo rivoluzionario che relega l’individuo in se stesso, trasformando l’autorità di governo in
un potere rivestito da quelle minoranze capaci al momento di impadronirsene. Con la Rivoluzione
invece della democrazia si è instaurata la monarchia, incarnata nella figura di Napoleone,
assolutizzandosi lo Stato e negandosi la società, quest’ultima addirittura intesa come materia informe
che qualsiasi legislatore può plasmare a proprio piacimento. La libertà degli uomini risulta così
garantita soltanto ammettendo una società inserita in un ordine provvidenziale manifestantesi nel
corso della storia, società la cui unità è assicurata e mantenuta dalla religione, che così permette la
continuità storica del consorzio civile. Cfr. M. D’Addio, Storia delle dottrine politiche, II, Genova,
1996, p. 244 s.
86
Cfr. D. Menozzi, La Chiesa cattolica, cit. p. 142 s. Recentemente è stato scritto che il personismo
discrimina gli esseri umani negando ad alcuni di essi la qualità di persona, potendosi articolare in due
possibili versanti: il dualismo cartesiano e l’utilitarismo. In particolare il primo, muovendo dalle
posizioni del filosofo francese e di Locke, giunge ad individuare nell’autonomia del singolo “l’unica
realtà che conferisce i diritti”. J. Ballesteros, Cristianesimo e diritti umani, in Teologia ed etica
politica, a cura di Angel Rodrígez Luño, Enrique Colom, Roma, 2005, p. 66.

24
pagine de L’Avenir, con le quali si giustificava il principio della separazione tra Stato
e Chiesa come possibile atteggiamento nei confronti dei fatti rivoluzionari del
183087.
Il Pontefice colpiva dunque una non ben definita cospirazione che intendeva
sovvertire la Chiesa e di conseguenza l’ordine della società civile, additando la
libertà di coscienza come assurda, erronea e delirante, mentre la libertà di
manifestazione del pensiero veniva definita peste della società e la libertà di stampa
ritenuta una pessima dottrina mai sufficientemente esecrata e aborrita88.
Toni analoghi si rinvengono nelle encicliche successive89: nella Quanta cura,
accompagnata da ottanta proposizioni condannate e contenute nel Sillabo90, Pio IX
nel 1864 ribadiva quella visione contrapposta che vedeva ergersi l’una contro l’altra,
87
Particolare rilievo assume la riflessione di Lammenais, fondatore de L’Avenir, secondo cui i rapporti
tra Chiesa e Stato – alla luce della pluralità dei centri di vita spirituale ormai presenti nella società e
del principio di libertà di coscienza caratteristico della religiosa cristiana – si dovevano ormai regolare
stabilendo l’impossibilità per l’organizzazione civile di assumere un particolare orientamento
spirituale poi da imporre con leggi ed istituzioni, quasi espressione di un dispotismo delle coscienze
capace di produrre inevitabilmente contrasti e lotte civili. Cfr. M. D’Addio, Storia delle dottrine
politiche, cit., p. 249 s.
88
Cfr. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., p. 48. Secondo il Pontefice l’indifferentismo costituisce
una delle cause dei mali che affliggono la Chiesa; con tale termine si indicava “quella perversa
opinione (...) che in qualunque professione di fede si possa conseguire l’eterna salvezza dell’anima, se
i costumi si conformino alla norma del retto e dell’onesto (...) E da questa correttissima sorgente (...)
scaturisce quella assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che debbasi ammettere e garantire
per ciascuno la libertà di coscienza”. Gregorio XVI, Mirari vos, 2730, in H. Denzinger, Enchiridion
Symbolorum, Bologna, 1995, p. 977.
89
Cfr. V. Ferrone, Chiesa cattolica e modernità. La scoperta dei diritti dell’uomo dopo l’esperienza
dei totalitarismi, cit., p. 57.
90
Tra le proposizioni condannate possono ricordarsi le seguenti: “3. La ragione umana, senza tenere
assolutamente Dio in nessuna considerazione, è l’unico vero arbitro del vero e del falso, del bene e del
male, è legge a se stessa, e con le sue forze naturali è sufficiente a procurare il bene degli uomini e dei
popoli”; “15. Ogni uomo è libero di abbracciare e professare quella religione che, guidato dal lume
della ragione, ciascuno avrà ritenuto vera”; “16. Gli uomini, nel culto di qualsiasi religione, possono
trovare la via della salvezza eterna, e conseguire l’eterna salvezza”; “20. La potestà ecclesiastica non
deve esercitare la propria autorità senza il permesso e il consenso del governo civile”; “39. Lo stato,
come origine e fonte di tutti i diritti, gode di un diritto tale, che non è circoscritto da nessun confine”;
“59. Il diritto consiste nel fatto materiale, e tutti i doveri degli uomini sono un nome vuoto, e tutti i
fatti umani hanno forza di legge”; “60. L’autorità non è altro se non la somma del numero e delle forze
materiali”; “78. In modo lodevole quindi, in alcune regioni cattoliche, è stato stabilito per legge che è
lecito agli uomini che lì sono andati ad abitare, avere il pubblico esercizio del culto proprio di
ciascuno”; “79. È falso infatti, che la libertà civile di qualsiasi culto, come anche la piena potestà a
tutti concessa di manifestare apertamente e in pubblico qualunque opinione o pensiero, porti più
facilmente a corrompere i costumi e gli animi dei popoli e a propagare la peste dell’indifferentismo”;
“80. Il pontefice romano può e deve riconciliarsi e farsi amico con il progresso, il liberalismo e al
civiltà moderna”. Pio IX, Sillabo, in H. Denzinger, Enchiridion Symbolorum, cit., p. 1029 s.

25
da una parte, la concezione illuministica e liberale della libertà, intesa come diritto
soggettivo innato dell’uomo e, dall’altra, quella teologica e cattolica, da identificarsi
con la perfetta adesione alla legge divina e alla verità così come insegnata dalla
Chiesa di Roma91.
L’atteggiamento di Pio IX trova ulteriore conferma nei lavori del Concilio
Vaticano I che, apertosi a Roma nel 1869, venne fortemente condizionato dal vincolo
di segretezza imposto ai padri conciliari e dalla presenza al suo interno di una
maggioranza che intendeva giungere alla proclamazione dell’infallibilità papale92.
Al termine della sessione vennero approvate due costituzioni dogmatiche: la
Dei Filius93 – con la quale, condannando il razionalismo, il panteismo, l’ateismo, il
tradizionalismo e il fideismo, si dimostrava l’assenza di qualsiasi opposizione tra
fede e ragione, accogliendo però la tesi secondo cui tutti gli errori moderni
originavano dalla Riforma protestante – e la Pastor aeternus94, con la quale si
proclamavano l’infallibilità papale per i pronunciamenti ex cathedra, riguardanti la
fede o i costumi, affermazioni intrinsecamente non riformabili, e il primato
monarchico del Pontefice su tutta l’organizzazione ecclesiale95.

91
Nell’enciclica si legge: “Ora chi non vede e pienamente capisce come l’umana società, sciolta dai
vincoli della religione e della vera giustizia, non possa certamente prefiggersi altro, fuorché lo scopo
di procacciare e aumentare ricchezze, né seguire altra legge nelle sue azioni, se non l’indomita
cupidigia dell’animo di servire ai propri comodi e piaceri?”. Pio IX, Quanta cura, 2890, in H.
Denzinger, Enchiridion Symbolorum, cit., p. 1025. Cfr. D. Menozzi, La Chiesa cattolica, cit. p. 151;
R. Taveneaux, Il cattolicesimo post-tridentino, in Storia del cristianesimo, a cura di Henri-Charles
Puech, Milano, 1982, p. 599.
92
Cfr. R. Aubert, I concili a dimensione mondiale, in R. Aubert, G. Fedalto, D. Quaglioni, Storia dei
concili, Cinisello Balsamo, 1995, p. 182 s.
93
Secondo i padri conciliari “la Chiesa cattolica ha sempre unanimemente creduto e ancora crede che
esistono due ordini di conoscenza, distinti non solo per il loro principio, ma anche per il loro oggetto:
per il loro principio, perché nell’uno conosciamo con la ragione naturale, nell’altro con la fede divina;
per l’oggetto, perché oltre la verità che la ragione naturale può capire, ci è proposto di vedere i misteri
nascosti in Dio, che non possono essere conosciuto se non sono rivelati dall’alto”. Concilio Vaticano I,
Dei Filius, 3015, in H. Denzinger, Enchiridion Symbolorum, cit., p. 1053.
94
“Il vescovo di Roma, quando parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo il suo ufficio di pastore e
di dottore di tutti i cristiani, definisce, in virtù della sua suprema autorità apostolica, che una dottrina
in materia di fede o di morale deve essere ammessa da tutta la Chiesa, gode, per quell’assistenza
divina che gli è stata promessa nella persona del beato Pietro, di quella infallibilità, di cui il divino
Redentore ha voluto fosse dotata la sua Chiesa, quando definisce la dottrina riguardante la fede o la
morale. Di conseguenza queste definizioni del vescovo di Roma sono irreformabili per se stesse, e non
in virtù del consenso della Chiesa”. Concilio Vaticano I, Pastor aeternus, 3074, in H. Denzinger,
Enchiridion Symbolorum, cit., p. 1071.
95
Cfr. D. Menozzi, La Chiesa cattolica, cit. p. 157 s.

26
Circa quindici anni dopo, Leone XIII pubblicava l’enciclica Immortale Dei96,
con la quale riproponeva il modello secondo cui la Riforma luterana era stata la
causa della dissoluzione dell’Europa cristiana medievale e il punto di partenza di
quell’allontanamento dalla verità cattolica, molla del disordine sociale e delle
rivoluzioni settecentesche.
Ne era scaturito il riconoscimento di un insieme di libertà, come quelle di
coscienza, di culto, di pensiero e di stampa, che minavano i diritti della Chiesa quale
unica detentrice della verità e sola garante del raggiungimento del fine naturale
proprio degli uomini97.
Tre anni dopo, nel giugno 1888, venne pubblicata l’enciclica Libertas
praestantissimum che, sebbene confermasse la condanna della nozione di libertà così
come proposta dal giusnaturalismo naturalista, pareva prendere in considerazione
l’ipotesi di accogliere seppur moderatamente quelle stesse libertà, consentendo di
conseguenza la partecipazione dei fedeli alla vita pubblica degli Stati liberali98.
A ciò si deve aggiungere l’importante chiarimento fornito dal documento
papale in merito alla definizione di legge naturale, che permetteva di differenziare la
versione cattolica da quella giusnaturalistica dei diritti dell’uomo. Con l’enciclica
veniva affermata l’identificazione della legge naturale con quella divina, di cui la
Chiesa costituiva la sola interprete autentica, nonché il rispetto che la stessa Chiesa
aveva manifestato nei confronti di tale legge, avendola posta a fondamento
dell’organizzazione collettiva e così favorendo la formazione della civiltà 99; da ciò
deriva la constatazione secondo cui l’istituzione ecclesiastica, che trova compimento
96
Secondo Leone XIII “si ha da ritenere che l’autorità pubblica non è dal popolo, ma da Dio; che il
diritto che chiamano di ribellione è un assurdo; che né agli individui né agli Stati è lecito fare a meno
dei doveri religiosi, ovvero esser indifferenti circa le varie forme di culto; che la sfrenata libertà del
pensiero e della stampa non può mai essere un diritto, né meritare favore e protezione”. Leone XIII,
Immortale Dei, 3170, in H. Denzinger, Enchiridion Symbolorum, cit., p. 1103.
97
Cfr. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., p. 71 s.
98
Si legge infatti nell’enciclica: “Dove esista o si abbia ragione di temere un ordine di cose, in cui
siano violentemente oppressi i sudditi o tolta alla Chiesa la libertà dovuta, non è riprovevole cercare
altra forma di governo, nella quale sia permesso di agire con libertà: in questo caso infatti non si vuole
libertà eccessiva e viziosa, ma si cerca qualche sollievo a salute di tutti, e unicamente si vuole questo,
che non si neghi o impedisca la facoltà del bene, ove tanta licenza si concede al male. Similmente non
è vietato prediligere governi moderati con forme democratiche, salva però la dottrina cattolica circa
l’origine e l’uso del potere. Purché adatte per sé a fare il bene dei cittadini, nessuna della varie forme
di governo è riprovata dalla Chiesa: essa vuole bensì ciò che è pur voluto da natura, che si stabiliscano
senza offendere il diritto di alcuno, e specialmente, rispettando le ragioni della Chiesa stessa”. Leone
XIII, Libertas praestantissimum, 3253-3254, in H. Denzinger, Enchiridion Symbolorum, cit., p. 1125.

27
nel papato, costituisce la sede in cui la legge naturale, presente fin dalla creazione nel
cuore di ogni uomo, si realizza compiutamente100.
L’accoglimento dei diritti dell’uomo secondo la versione leonina doveva
intendersi in senso economico-sociale, come appare chiaramente dalla pubblicazione
nel 1891 dell’enciclica Rerum novarum, volta a rispondere ai nuovi assetti provocati
dalla rivoluzione industriale e in contrapposizione con quanto sostenuto dal
movimento socialista101.
Presupposto della riflessione papale è l’individuazione di alcuni diritti
naturali di tipo economico, quali quello di proprietà, alla remunerazione del
lavoratore con un giusto salario e all’associazionismo, nonché alla cittadinanza, quali
membri del corpo sociale, anche dei proletari, da cui consegue il dovere dello Stato
di prendersi cura del loro benessere102.
Con tale enciclica, in particolare nei passaggi dedicati all’associazionismo
cattolico, si affaccia l’intenzione del Pontefice di favorire una sorta di
ricristianizzazione dell’Occidente, con l’affermazione dei corpi intermedi e nel
rispetto del principio di sussidiarietà dello Stato nei confronti di quelle forme
spontanee presenti nella società civile, tra cui comprendere la Chiesa stessa e le
associazioni ad essa collegate103.

99
Tale legge è “scritta e impressa nell’animo di ciascuno, non essendo altro che la ragione stessa che
ci comanda di fare il bene, e proibisce di fare il male e tuttavia questo medesimo comando e divieto
della ragione umana non ha forza di legge, se non perché voce e interprete di una ragione più alta, da
cui la ragione e la libertà nostre assolutamente dipendono (…) Ciò che in ciascun uomo opera la
ragione e la legge naturale, è similmente operato nella società dalla legge umana promulgata per il
bene comune dei cittadini. Delle umane leggi alcune cadono su cose intrinsecamente buone o cattive
(...) ma è chiaro che tali comandi o divieti non hanno origine dall’umana società (...) precedono invece
la stessa società, e sono dettami della legge naturale, e perciò della legge eterna”. Leone XIII, Libertas
praestantissimum, 3247-3248, in H. Denzinger, Enchiridion Symbolorum, cit., p. 1121 s.
100
Cfr. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., p. 76.
101
Cfr. P. Barucci, A. Magliulo, L’insegnamento economico e sociale della Chiesa (1891-1991). I
grandi documenti sociali della Chiesa cattolica, Milano, 1996, p. 38 s.
102
In particolare per i primi due, così si legge nell’enciclica: “La proprietà privata è diritto di natura
(...) Non v’è ragione di ricorrere alla provvidenza dello Stato perché l’uomo è anteriore allo Stato:
quindi prima che si formasse la società civile egli dovette avere da natura il diritto di provvedere a se
stesso (...) Conservarsi in vita è un dovere a cui nessuno può mancare senza colpa. Di qui nasce, come
necessaria conseguenza, il diritto di procurarsi i mezzi di sostentamento, che nella povera gente si
riducono al salario del proprio lavoro”. Leone XIII, Rerum novarum, 3265 e 3270, in H. Denzinger,
Enchiridion Symbolorum, cit., p. 1129 e 1131.
103
Cfr. V. Ferrone, Chiesa cattolica e modernità. La scoperta dei diritti dell’uomo dopo l’esperienza
dei totalitarismi, cit., p. 61.

28
A cavallo tra l’Ottocento e il Novecento la concezione del regno sociale di
Cristo, che aveva attraversato ampi settori della cultura cattolica 104, veniva recepita
nell’insegnamento del magistero e in particolare nelle encicliche Annum sacrum e
Tametsi futura, del 1899 e del 1900, sempre di Leone XIII, nelle quali si rivendicava
a favore delle autorità ecclesiastiche il riconoscimento del potere di determinare le
regole fondamentali della convivenza civile, in contrapposizione, in quanto
espressione di un diritto sacro e divino, agli ordinamenti originati dalla Rivoluzione
francese105. Addirittura, nella seconda delle encicliche citate si riaffacciava la
distinzione tra diritti dell’uomo, affermatisi nel XVIII secolo e causa di disordini
sociali, e i diritti di Dio, proclamati dalla Chiesa e di cui ci si augurava il definitivo
trionfo nel Novecento106.
Nel corso del XX secolo la questione dei diritti umani si riaffaccia
implicitamente nelle questioni che il magistero petrino è chiamato ad affrontare in
risposta all’atroce bagno di sangue del primo conflitto mondiale e poi all’affermarsi
dei totalitarismi europei sia di destra che di sinistra. Nelle encicliche Ubi arcano del
1922 e Quas primas del 1925 Pio XI intravedeva nel laicismo della modernità
secolarizzata la causa principale della lotta di classe, del materialismo e del
nazionalismo più miope, che aveva condotto l’umanità sull’orlo del baratro. Secondo
il Pontefice l’unica risposta possibile era la restaurazione di quel modello medievale
raccolto intorno alla figura del vicario di Cristo, ribadendosi la provenienza di

104
La regalità sociale di Cristo, inizialmente proposta da Lamennais, col tempo era divenuta il cavallo
di battaglia del cattolicesimo più intransigente, che ne aveva travisato i presupposti e modificato il
contenuto: si pensi ad esempio che il vescovo di Poitiers nel 1855 aveva affermato la totale antitesi tra
una società che avesse accolto la sovranità di Cristo e i diritti umani, questi ultimi frutto della
Dichiarazione dell’Ottantanove. A partire dagli anni Sessanta e grazie all’attività del gesuita Ramière,
si era avuta la diffusione del tema attraverso la rete internazionale collegata al culto devozionale del
Sacro Cuore, reinterpretato però in dimensione politica. Cfr. D. Menozzi, Sacro Cuore. Un culto tra
devozione interiore e restaurazione cristiana della società, Roma, 2001, p. 107 s.
105
In merito alla potestà regale di Cristo, nell’enciclica Annum sacrum si legge: “La sua autorità [di
Gesù Cristo re e signore di tutte le cose] non si estende solo ai popoli che professano la fede cattolica
e a coloro che, validamente battezzati, appartengono di diritto alla Chiesa (...) ma abbraccia anche tutti
coloro che sono privi della fede cristiana (...) Cristo non ha il potere di comandare soltanto per diritto
di nascita, essendo il Figlio unigenito di Dio, ma anche per diritto acquisito. Egli infatti ci ha liberato
dal potere delle tenebre e «ha dato se stesso in riscatto per tutti». E perciò per lui non soltanto i
cattolici e quanti hanno ricevuto il battesimo, ma anche tutti e singoli gli uomini sono diventati «un
popolo che egli si è conquistato»”. Leone XIII, Annum sacrum, 3350 e 3352, in H. Denzinger,
Enchiridion Symbolorum, cit., pp. 1177 e 1179.
106
Cfr. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., p. 96.

29
qualsiasi autorità non dagli uomini bensì da Dio107. Ma soprattutto nelle tre encicliche
del marzo 1937 – Mit brennender Sorge, Divini Redemptoris e Firmissimam
constantiam – lo stesso Pontefice, esaminando la situazione in Germania, nei Paesi in
cui si era affermato il comunismo e nel Messico, denuncia la violazione fino alla
negazione dei diritti di Dio e della Chiesa. Nelle sue argomentazioni il Papa affronta
anche, sia pur incidentalmente, l’analisi di alcuni diritti conculcati nelle singole
situazioni: se in Germania si sottolineava il diritto dei genitori all’educazione dei
figli, nei Paesi comunisti il rinvio era ai diritti alla vita, all’integrità del corpo,
all’associazionismo, alla proprietà e ai mezzi necessari all’esistenza 108. Infine per la
situazione messicana si riecheggiava l’esercizio dei diritti civili e politici, soprattutto
per perorare le richieste dell’associazionismo cattolico, così consentendo la tipica
attività di assistenza sociale109.
Nel pontificato pacelliano però la questione dei diritti naturali riemerge in
tutta la sua rilevanza, sollecitata sia dall’opera di alcuni intellettuali cattolici, tra cui
spicca Jacques Maritain110, sia dall’incalzare degli eventi, soprattutto la crisi
mondiale favorita dal delirio nazionalsocialista che culminerà con la barbarie dei
campi di sterminio. In particolare, nel radiomessaggio del Natale del 1942 Pio XII
evidenziava la necessità di difendere la dignità e i diritti della persona umana, senza

107
Nella Quas primas viene ribadito che “non v’è differenza fra gli individui e il consorzio domestico
e civile, poiché gli uomini, uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che lo
siano gli uomini singoli. È lui solo la fonte della salute privata e pubblica”. Pio XI, Quas primas,
3679, in H. Denzinger, Enchiridion Symbolorum, cit., p. 1279.
108
In questa enciclica il Pontefice ribadisce la critica al cosiddetto liberalismo individualistico, che
“subordina la società all’uso egoistico dell’individuo”, unitamente alle teorie comuniste, le quali
“impoveriscono la persona umana capovolgendo i termini della relazione dell’uomo e della società”.
Pio XI, Divini Redemptoris, 3772-3773, in H. Denzinger, Enchiridion Symbolorum, cit., pp. 1327 e
1329.
109
Cfr. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., p. 129.
110
Nel 1936 veniva pubblicato Humanisme intégral, in cui il filosofo francese evidenziava il netto
contrasto intercorrente tra i totalitarismi e la concezione cattolica della persona e delle sue libertà,
muovendo da argomentazioni neotomiste, sebbene la linea indicata da Maritain, per sua stessa
ammissione, si smarcasse nettamente da quella concezione tradizionale legata all’ideale medievale
della cristianità. Cfr. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., p. 126. In particolare Maritain riscriveva
la genealogia del diritto naturale, qualificandolo come “eredità del pensiero cristiano e del pensiero
classico”, facendone risalire l’origine “a Grozio e prima di lui a Suárez e a Francesco de Vitoria; e più
oltre a San Tommaso d’Aquino; e più oltre ancora a Cicerone, agli Stoici, ai grandi moralisti
dell’antichità e ai suoi grandi poeti, a Sofocle in particolare. Antigone è l’eterna eroina del diritto
naturale, che gli antichi chiamavano legge non scritta, ed è il nome che meglio le conviene”. J.
Maritain, I diritti dell’uomo e la legge naturale, Milano, 1977, p. 55.

30
però indicare i soprusi perpetrati da nazisti e fascisti, ma prospettando piuttosto una
sorta di restaurazione cristiana111.
Si pensi che appena varcato il soglio pontificio nel 1939, Papa Pacelli aveva
pubblicato l’enciclica Summi pontificatus in cui rintracciava la radice profonda dei
mali della società moderna nel rifiuto di una “norma di moralità universale” 112, valida
per la vita individuale, sociale e nelle relazioni tra Stati.
Si tratta chiaramente, come peraltro il documento esplicita subito dopo, della
legge naturale, che trova il suo unico ed ineliminabile fondamento in Dio. Ciò
comporta, quale diretta conseguenza, l’impossibilità di riconoscere
all’organizzazione civile, ossia lo Stato, un’autonomia assoluta fondata
esclusivamente sulla volontà dei governanti, che invece dovrà tener conto,
sottomettendovisi, della legge immanente e naturale, vera e propria espressione del
diritto divino, unica ancora di salvezza contro l’“infausta dinamica dell’interesse
privato e dell’egoismo collettivo tutto intento a far valere i propri diritti e a
disconoscere quelli degli altri”113.
Nei successivi radiomessaggi del 1944, Per la civiltà cristiana e Il problema
della democrazia, alla luce dell’esito del conflitto sempre più favorevole agli Alleati,
Pio XII intravedeva nella democrazia il fondamento del futuro ordinamento
internazionale, sebbene quella dovesse mantenersi all’ombra del Magistero della
Chiesa.
Con ciò si ribadiva quell’evidente distinzione tra la cultura che impregnava la
civiltà occidentale, pesantemente debitrice all’influenza statunitense, e i valori propri
di una civiltà cristiana, distanti da una visione schiettamente economicistica e
meccanicistica del progresso114.
Anche i lavori dell’Assemblea costituente italiana, soprattutto tra i
rappresentanti del mondo cattolico, vennero attraversati dagli stessi temi. Tra i
costituenti si segnalano gli interventi di Guido Gonella, Giorgio La Pira, Costantino
Mortati, Aldo Moro, solo per ricordarne alcuni115.

111
Cfr. V. Ferrone, Chiesa cattolica e modernità. La scoperta dei diritti dell’uomo dopo l’esperienza
dei totalitarismi, cit., p. 69.
112
Pio XII, Summi pontificatus, 3780, in H. Denzinger, Enchiridion Symbolorum, cit., pp. 1333.
113
Pio XII, Summi pontificatus, 3786, in H. Denzinger, Enchiridion Symbolorum, cit., pp. 1335.
114
Cfr. D. Menozzi, La Chiesa cattolica, cit., p. 211.

31
La questione coinvolgeva principalmente l’opportunità di dotare il nuovo
testo costituzionale di una serie di principi che potessero determinare l’indirizzo
complessivo delle disposizioni; se questa era la posizione assunta ad esempio da La
Pira, che comunque esprimeva un giudizio negativo sulla Dichiarazione francese
dell’Ottantanove, in quanto dimentica della legge naturale come limite all’autonomia
dell’uomo116, d’altro canto Gonella, ritenendo il documento francese espressione del
fanatismo e del dogmatismo miope dei giacobini, esprimeva l’interesse non tanto ai
diritti dell’uomo o alla loro dichiarazione, quanto alla consapevolezza che a ciascuno
si dovessero riconoscere tali diritti e la libertà117.
Ciononostante La Pira si fece promotore di una proposta che vedeva nel testo
costituzionale la proclamazione espressa dei diritti naturali dell’uomo, che però
contenesse un rinvio alla trascendenza divina quale garante di tali diritti; tale
posizione, fortemente osteggiata da altri gruppi politici, venne poi superata dal testo
presentato da Dossetti, con il quale si introduceva una serie di principi generali di
impronta personalista, tuttavia sganciati da qualsiasi richiamo alla trascendenza.
Palese dunque che per la cultura cattolica italiana l’affermazione dei diritti
umani fosse strettamente connessa con il loro fondamento religioso, aspetto
problematico che riemerse successivamente dinanzi al testo della Dichiarazione dei
diritti universali approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite118

2. La Chiesa e la Dichiarazione universale del 1948

Il testo presentato nel settembre del 1948 all’esame dell’Assemblea generale


delle Nazioni Unite, venne esaminato soprattutto dalla Commissione incaricata degli
affari umanitari e sociali; oggetto preminente della valutazione fu, sulla scorta delle

115
Per una ricostruzione del periodo storico cfr. P. Scoppola, La repubblica dei partiti. Evoluzione e
crisi di un sistema politico 1945-1996, Bologna, 1997, p. 102 s.
116
Cfr. G. La Pira, Esame di coscienza di fronte alla Costituente, in Costituzione e Costituente. Atti
della XIX settimana sociale dei cattolici d’Italia, Roma, 1946, p. 279 s.
117
Cfr. G. Gonella, Il programma della Democrazia Cristiana per la nuova Costituzione, in N.
Antonetti, U. De Siervo, F. Malgeri (a cura di), I cattolici democratici e la Costituzione, Bologna,
1998, II, p. 729.
118
Cfr. D. Menozzi, La Chiesa cattolica, cit., p. 157.

32
sollecitazioni provenienti dal mondo cattolico, l’eventuale origine divina dei diritti
umani119.
Nel corso dei lavori caddero dal progetto originario tutti i riferimenti
filosofici o religiosi presupposti quali fondamento dei diritti affermati, limitandosi,
così seguendo l’atteggiamento proposto dai britannici, alla sola enunciazione di
concetti puramente giuridici, e in tal modo espungendo qualsiasi richiamo alla natura
o alla divinità nel testo finale.
Sul punto Pio XII si era già espresso in una lettera inviata al Presidente
statunitense Truman, il quale, volendo coinvolgere i rappresentanti delle religioni
mondiali, si era presentato quale fautore di un rinnovamento della fede religiosa nella
dignità della persona, in modo da garantire in tutto il mondo i sacri diritti
dell’individuo120.
Prima in una serie di radiomessaggi, e poi in prossimità dell’approvazione
della Carta da parte delle Nazioni Unite, Papa Pacelli aveva ribadito il principio per
cui è Dio a concedere alla persona umana diritti imprescrittibili, rimettendo alla
società il compito di difenderli e assicurarne l’esercizio, funzione garantita grazie
anche alla cooperazione della Chiesa; inoltre, secondo il Pontefice, l’affermazione
dei diritti dell’uomo non sarebbe stata sufficiente a garantire l’ordine e la pace nella
convivenza sociale, salvo che non si fossero espressamente riconosciuti i diritti di
Dio e della sua legge, perlomeno naturale, in quanto unico e granitico fondamento su
cui poggiare gli stessi diritti dell’uomo121.
I lavori sul testo delle Nazioni Unite erano particolarmente seguiti dai
quotidiani cattolici: L’Osservatore Romano ad esempio manifestava tutta la sua
posizione fortemente critica, rintracciando nell’atteggiamento dell’organismo
internazionale le stesse intenzioni dei rivoluzionari francesi dell’Ottantanove, ossia la
119
Già a partire dal 1941 alcuni organismi della Chiesa americana si erano impegnati per influenzare i
lavori della Conferenza di San Francisco, nell’ambito della quale quattro anni dopo si giunse
all’approvazione della Carta costitutiva dell’ONU. In particolare la Catholic Association for
International Peace, struttura autonoma della National Catholic Welfare Conference, commissionò al
gesuita Parsons, professore alla Catholic University of America, un progetto di dichiarazione dei diritti
della persona. La stessa Conferenza dei vescovi statunitensi si attivò, inviando propri rappresentanti in
vista dei lavori californiani e facendo persino arrivare un proprio progetto di dichiarazione alla
Commissione incaricata di redigere la Carta. Cfr. M. Flores, Storia dei diritti umani, Bologna, 2008, p.
202 s.
120
Cfr. E. Di Nolfo, Vaticano e Stati Uniti (1939-1952), Milano, 1978, p. 73 s.
121
Cfr. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., p. 165.

33
presunzione degli uomini di potersi attribuire determinate prerogative, dimenticando
che soltanto il riconoscimento di un fondamento divino dei diritti poteva garantirne
l’effettività.
Inoltre, la necessità di giungere a un compromesso condiviso dalle diverse
rappresentanze in seno all’Assemblea, aveva condotto all’elaborazione di un
documento particolarmente debole, del tutto privo di quella legittimazione
trascendente, unico baluardo a tutela dell’autorità e della stabilità delle affermazioni
in esso contenute. Dal canto suo La civiltà cattolica individuava nella sola legge
naturale, riflesso della legge eterna di Dio quale supremo e universale legislatore, il
fondamento della vita collettiva, che vedeva nella Chiesa, nel corso di tutta la sua
storia, l’unica istituzione che aveva considerato l’uomo in quanto persona, in tal
modo proteggendone i diritti fondamentali e favorendo lo sviluppo di una tutela
giuridica internazionale.
Il giudizio sul documento delle Nazioni Unite era ovviamente negativo, e il
mancato rinvio ad un carattere sacro lo rendeva particolarmente fragile e destinato
alla sorte toccata alla Dichiarazione francese122.
Da ricordare però come la volontà di giungere a una dichiarazione dei diritti
dell’uomo tale da garantire una futura convivenza civile mondiale, fosse appartenuta,
già a partire dagli anni immediatamente precedenti a quelli del secondo conflitto, a
diversi rappresentanti della cultura mondiale. Per quanto riguarda il mondo cattolico,
un gruppo di intellettuali di varia nazionalità, con l’approvazione di Roma, tentò di
formulare un documento cattolico dei diritti dell’uomo nello stesso periodo in cui la
Commissione delle Nazioni Unite era impegnata nei suoi lavori. Le riunioni del
gruppo chiamato a formulare il documento cattolico si tennero in Spagna, sulla
scorta, così come auspicato da Pio XII, dei principi indicati nei documenti del
Magistero romano, allo scopo di giungere a una dichiarazione del tutto alternativa a
122
Dagli ambienti cattolici non provenivano però soltanto giudizi critici. Nel 1947, sotto l’egida
dell’UNESCO, si era proceduto a richiedere agli intellettuali di maggiore spicco, tra cui molti
cattolici, un giudizio sulla questioni relative alla formulazione universale dei diritti umani. Contributi
che vennero poi raccolti in un volume apparso nel 1949 e introdotto da Maritain. In particolare il
filosofo francese constatava che la distanza fondamentale nella definizione dei diritti fosse tra chi si
riferiva alla legge naturale e chi invece al momento storico, posizioni però conciliabili, essendo
sufficiente articolare i diversi diritti a seconda della loro cogenza, in modo che venisse condivisa la
tesi per cui i diritti assoluti dovessero considerarsi l’esigenza primaria della legge naturale, essendo
condizione dell’esistenza della società. Cfr. J. Maritain, Introduzione a Aa. Vv., I diritti dell’uomo.
Testi raccolti dall’Unesco, Milano, 1960, p. 11.

34
quella che sarebbe stata adottata dall’ONU123. Il testo che ne scaturì fu fortemente
improntato alla linea più intransigente e i diritti della Chiesa, unica depositaria della
verità, venivano garantiti e tutelati a scapito di quelle libertà che la Dichiarazione
delle Nazioni Unite avrebbe poi attribuito ad ogni uomo, a prescindere dalla
confessione religiosa di appartenenza124. Nel mondo cattolico però veniva a maturare
una profonda frattura che trovava in Maritain l’espressione più evidente, in quanto il
filosofo francese aveva pubblicamente sostenuto l’intenzione dei cattolici di
partecipare alla preparazione della Dichiarazione universale e neppure il tentativo
successivo intrapreso nel 1952 ebbe maggior fortuna.
Dunque il rapporto tra Magistero petrino e diritti umani venne
definitivamente chiarito nel discorso che nel dicembre del 1953 Pio XII tenne di
fronte ai giuristi italiani, nel quale – affermando un principio generale del tutto in
contrasto con quello recepito dalle Nazioni Unite – ribadì che la norma unica e
ultima in base alla quale orientare “il cammino verso la comunità dei popoli e la sua
costituzione” non sia da rinvenirsi nella volontà degli Stati, bensì nella “natura, ossia
il Creatore”, per cui “il diritto all’esistenza, il diritto al rispetto e al buon nome, il
diritto a un carattere e a una cultura propri, il diritto allo sviluppo, il diritto
all’osservanza dei trattati internazionali e diritti equivalenti, sono esigenze del diritto
delle genti dettato dalla natura”125.

3. I diritti umani tra il concilio Vaticano II e l’esperienza successiva


123
I partecipanti all’incontro di San Sebastián si segnalavano per l’alto spessore culturale e per la
rilevanza nel mondo cattolico. Tra essi possono ricordarsi alcuni professori universitari – tra i quali
Arthur Beales del King’s College di Londra, Francis Canavas dell’Università di Dublino, Marcel De
Corte dell’Università di Liegi, Jacques Leclercq dell’Università di Lovanio, Albert de la Pradelle
dell’Istituto cattolico di Parigi –, rappresentanti di alcune organizzazioni cattoliche laicali – tra cui
André Aumonier, segretario della Federazione degli intellettuali cattolici francesi, Jean Le Cour de
Grandmaison, presidente della Federazione nazionale dell’Azione cattolica francese – e i direttori o
redattori di importanti periodici cattolici come Robert Bosc, direttore di Etudes, Eustaquio Guerrero,
direttore di Pensamiento, Teofilo Urdanoz, direttore de La Ciencia Tomista. Cfr. D. Menozzi, Chiesa e
diritti umani, cit., p. 175 s.
124
Difficilmente universalizzabile il presupposto della Dichiarazione cattolica, la quale, diretta agli
uomini di buona volontà, individuava questi ultimi in tutti coloro che riconoscevano “la existencia de
un ser superior y trascendente, Dios, y de una ley moral por El impuesta, el Decálogo”. C.
Santamaria, Hacia una declaración de derechos de la persona humana, in Conversaciones católicas
internacionales. Documentos, 1949, 1, p. 28.
125
Pio XII, Ci riesce, in La civiltà cattolica, 1953, 4, p. 618.

35
Una svolta nei rapporti tra il Magistero di Roma e la Dichiarazione universale
del 1948 si rintraccia nell’enciclica Pacem in terris, pubblicata nel 1963, nella quale
Giovanni XXIII individua nel documento internazionale “un passo importante nel
cammino verso l’organizzazione giuridico-politica mondiale” 126 e in cui si riconosce
in modo solenne la dignità della persona nonché una serie di diritti da ritenersi
universali, inviolabili e inalienabili127. A ben vedere, tuttavia, in questo documento
pontificio non muta l’essenziale atteggiamento della Chiesa, in quanto si afferma
l’importanza dei diritti della persona e non certo dell’uomo, a partire da una natura
umana immessa nell’ordine universale voluto da Dio, all’interno del quale la Chiesa
assume un ruolo centrale128.
Intendendo però rinvenire nell’enciclica almeno un elemento di novità,
occorre evidenziare la convergenza tra i diritti individuati nella Dichiarazione del
1948 e quelli affermati dalla Chiesa: i primi appaiono infatti come il presupposto la
cui tutela consente di considerarli prossimi ai diritti della persona conseguenti alla
legge naturale proclamata dall’istituzione ecclesiale129.
Nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, approvata al termine dei lavori
del Concilio Vaticano II nel 1965, non si rintracciano riferimenti alla Dichiarazione
universale, sebbene siano presenti considerazioni elogiative rivolte alle istituzioni

126
Giovanni XXIII, Pacem in terris, 75, in www.vatican.va.
127
Cfr. D. Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei
conflitti, Bologna, 2007, p. 257 s.
128
Cfr. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., p. 190.
129
La novità appare ancor più rilevante considerando l’atmosfera culturale della curia romana: La
civiltà cattolica pochi anni prima raccoglieva alcuni articoli nei quali si ribadiva la distanza della
Dichiarazione del 1948 dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la quale a differenza della
prima non prescinde dall’ordine naturale della giustizia, quasi recependo e positivizzando le leggi
dell’ordinamento naturale, sottolineando pertanto come tale mancanza nel documento dell’ONU
potesse costituire un grave deficit sostanziale. A ciò si aggiunga la riproposizione alla Commissione
teologica preparatoria del Vaticano II di un documento stilato in precedenza, nel quale si cercava di
pervenire alla condanna delle opere di Maritain, indicando alcune proposizioni censurate, tratte
dall’opera del filosofo francese Les droits de l’homme et la loi naturelle, nelle quali venivano
riconosciuti agli uomini dei diritti soggettivi diversi da quelli riconosciuti dalla Chiesa, unica
interprete della verità divina in materia di ordinamento sociale e pertanto sola garante dell’integrità del
diritto naturale. Cfr. V. Ferrone, Chiesa cattolica e modernità. La scoperta dei diritti dell’uomo dopo
l’esperienza dei totalitarismi, cit., p. 94 s.

36
internazionali che si erano prodigate, sulla scorta del diritto e della giustizia, nel
tentativo di organizzare la comunità dei popoli130.
Nel documento conciliare si ribadisce l’estraneità e l’indipendenza della
Chiesa nei confronti di qualsiasi regime politico, confermando che l’istituzione
ecclesiale si erge quale strumento di salvaguardia della persona umana caratterizzata
da quella trascendenza che vede i propri diritti riconducibili all’uomo come essere
creato a immagine e somiglianza di Dio.
Da ciò deriva un ben più ampio riferimento ai diritti della persona, dei quali si
fornisce una sorta di elencazione 131, distinguendoli però dai diritti umani che,
secondo i padri conciliari, costituiscono un portato storico da valutare positivamente,
a condizione che però risultino coerenti con l’insegnamento della Chiesa, sottratti
dunque alla mutabilità delle interpretazioni e alla variabilità delle definizione fornite
autonomamente dagli uomini132.
Tuttavia il riferimento ai diritti degli uomini nel testo finale sembra riferirsi
alla possibilità di essere lo strumento per garantire la presenza della Chiesa in quelle
collettività statali da cui viene esclusa (si pensi ai regimi comunisti) 133, ancorché
130
Tale documento costituisce il punto conclusivo di quel dibattito sorto nell’ambito della nouvelle
théologie, racchiudendone in forma essenziale la parte migliore, contrapposta, grazie a una cristologia
profondamente rinnovata, all’umanesimo illuministico. Cfr. E. Fouilloux, Il cattolicesimo, in Storia
del cristianesimo, a cura di J.-M. Mayeur, Ch. Pietri, A. Vauchez e M. Venard, XII, Roma, 1997, p.
159 s.
131
Si legge nella Costituzione: “Contemporaneamente cresce la coscienza dell’eminente dignità della
persona umana, superiore a tutte le cose e i cui diritti e doveri sono universali e inviolabili. Occorre
perciò che sia reso accessibile all’uomo tutto ciò di cui ha bisogno per condurre una vita veramente
umana, come il vitto, il vestito, l’abitazione, il diritto a scegliersi liberamente lo stato di vita e a
fondare una famiglia, il diritto all’educazione, al lavoro, alla reputazione, al rispetto, alla necessaria
informazione, alla possibilità di agire secondo il retto dettato della sua coscienza, alla salvaguardia
della vita privata e alla giusta libertà anche in campo religioso”. Concilio Vaticano II, Gaudium et
spes, 26, in www.vatican.va.
132
Chiariscono i padri conciliari che: “Tutti gli uomini, dotati di un’anima razionale e creati ad
immagine di Dio, hanno la stessa natura e la medesima origine; tutti, redenti da Cristo godono della
stessa vocazione e del medesimo destino divino: è necessario perciò riconoscere ognor più la
fondamentale uguaglianza fra tutti. Sicuramente, non tutti gli uomini sono uguali per la varia capacità
fisica e per la diversità delle forze intellettuali e morali. Ma ogni genere di discriminazione circa i
diritti fondamentali della persona, sia in campo sociale che culturale, in ragione del sesso, della razza,
del colore, della condizione sociale, della lingua o religione, deve essere superato ed eliminato, come
contrario al disegno di Dio”. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 29, in www.vatican.va.
133
Si legge infatti: “Le umane istituzioni, sia private che pubbliche, si sforzino di mettersi al servizio
della dignità e del fine dell’uomo. Nello stesso tempo combattano strenuamente contro ogni forma di
servitù sociale e politica, e garantiscano i fondamentali diritti degli uomini sotto qualsiasi regime
politico. Anzi, queste istituzioni si debbono a poco a poco accordare con le realtà spirituali, le più alte

37
riconoscendosene il dinamismo, che però deve essere sempre informato ai principi
contenuti nella legge divina134.
L’accoglimento condizionato dei diritti umani, da sottoporre dunque al
giudizio della dottrina cattolica, in modo da saggiarne la corrispondenza con il fine
della tutela della dignità, deve essere interpretato alla luce di quei passi in cui i padri
conciliari attribuivano alla storia una sorta di capacità rivelativa dell’imperscrutabile
disegno di Dio sull’uomo, trovando così conferma quell’orientamento espresso anche
nella Dichiarazione Dignitatis humanae del 1965, in cui si affrontava la questione
relativa alla libertà religiosa135.

di tutte, anche se talora occorra un tempo piuttosto lungo per giungere al fine desiderato”. Concilio
Vaticano II, Gaudium et spes, 29, in www.vatican.va.
134
Delineando le forme dell’aiuto che la Chiesa può fornire ai singoli individui, la Costituzione rileva
che: “L’uomo d’oggi procede sulla strada di un più pieno sviluppo della sua personalità e di una
progressiva scoperta e affermazione dei propri diritti. Poiché la Chiesa ha ricevuto la missione di
manifestare il mistero di Dio, il quale è il fine ultimo dell’uomo, essa al tempo stesso svela all’uomo il
senso della sua propria esistenza, vale a dire la verità profonda sull’uomo. Essa sa bene che soltanto
Dio, al cui servizio è dedita, dà risposta ai più profondi desideri del cuore umano, che mai può essere
pienamente saziato dagli elementi terreni. Sa ancora che l’uomo, sollecitato incessantemente dallo
Spirito di Dio, non potrà mai essere del tutto indifferente davanti al problema religioso, come
dimostrano non solo l’esperienza dei secoli passati, ma anche molteplici testimonianze dei tempi
nostri. L’uomo, infatti, avrà sempre desiderio di sapere, almeno confusamente, quale sia il significato
della sua vita, della sua attività e della sua morte. E la Chiesa, con la sua sola presenza nel mondo, gli
richiama alla mente questi problemi. Ma soltanto Dio, che ha creato l’uomo a sua immagine e che lo
ha redento dal peccato, può offrire a tali problemi una risposta pienamente adeguata; cose che egli fa
per mezzo della rivelazione compiuta nel Cristo, Figlio suo, che si è fatto uomo. Chiunque segue
Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo. Partendo da questa fede, la Chiesa può sottrarre
la dignità della natura umana al fluttuare di tutte le opinioni che, per esempio, abbassano troppo il
corpo umano, oppure lo esaltano troppo. Nessuna legge umana è in grado di assicurare la dignità
personale e la libertà dell’uomo, quanto il Vangelo di Cristo, affidato alla Chiesa. Questo Vangelo,
infatti, annunzia e proclama la libertà dei figli di Dio, respinge ogni schiavitù che deriva in ultima
analisi dal peccato onora come sacra la dignità della coscienza e la sua libera decisione, ammonisce
senza posa a raddoppiare tutti i talenti umani a servizio di Dio e per il bene degli uomini, infine
raccomanda tutti alla carità di tutti. Ciò corrisponde alla legge fondamentale della economia cristiana.
Benché, infatti, i1 Dio Salvatore e il Dio Creatore siano sempre lo stesso Dio, e così pure si
identifichino il Signore della storia umana e il Signore della storia della salvezza, tuttavia in questo
stesso ordine divino la giusta autonomia della creatura, specialmente dell’uomo, lungi dall’essere
soppressa, viene piuttosto restituita alla sua dignità e in essa consolidata. Perciò la Chiesa, in forza del
Vangelo affidatole, proclama i diritti umani, e riconosce e apprezza molto il dinamismo con cui ai
giorni nostri tali diritti vengono promossi ovunque. Questo movimento tuttavia deve essere
impregnato dallo spirito del Vangelo e dev’essere protetto contro ogni specie di falsa autonomia.
Siamo, infatti, esposti alla tentazione di pensare che i nostri diritti personali sono pienamente salvi
solo quando veniamo sciolti da ogni norma di legge divina. Ma per questa strada la dignità della
persona umana non si salva e va piuttosto perduta”. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 41, in
www.vatican.va.

38
Quest’ultimo documento, muovendo da posizioni tomiste affermava l’obbligo
dello Stato di garantire ad ogni persona la libertà religiosa, non potendo mai
costringere un uomo a comportarsi in contrasto con la propria coscienza. Tale libertà
trova, dunque, fondamento sulla dignità della persona umana, così come rivelato
dalla parola di Dio e conosciuto dalla ragione, sulla scorta dell’impossibilità di
costringere chiunque ad abbracciare la fede contro la sua volontà136.
Se dunque la verità deve essere testimoniata e mai imposta, ciò deve avvenire
considerando il dualismo tra potere civile e religioso, riconoscendo alla Chiesa il
ruolo di fondatrice e maestra della libertà, affiancando alla libertà religiosa della
persona quella delle comunità naturali137.
Tali argomentazioni sfociano necessariamente nella richiesta rivolta alle
istituzioni internazionali e nazionali di garantire in ogni luogo del mondo il rispetto
della libertà delle comunità religiose e in particolare della Chiesa, alla quale deve
esser riconosciuto il diritto di predicare liberamente la verità, istruendo gli uomini
con tutti i mezzi consentiti138.
135
Cfr. V. Ferrone, Chiesa cattolica e modernità. La scoperta dei diritti dell’uomo dopo l’esperienza
dei totalitarismi, cit., p. 99.
136
Definendo il contenuto della libertà dell’atto di fede, l’assemblea conciliare stabilisce che: “Un
elemento fondamentale della dottrina cattolica, contenuto nella parola di Dio e costantemente
predicato dai Padri, è che gli esseri umani sono tenuti a rispondere a Dio credendo volontariamente;
nessuno, quindi, può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volontà. Infatti, l’atto di fede
è per sua stessa natura un atto volontario, giacché gli essere umani, redenti da Cristo Salvatore e
chiamati in Cristo Gesù ad essere figli adottivi, non possono aderire a Dio che ad essi si rivela, se il
Padre non li trae e se non prestano a Dio un ossequio di fede ragionevole e libero. È quindi
pienamente rispondente alla natura della fede che in materia religiosa si escluda ogni forma di
coercizione da parte degli esseri umani. E perciò un regime di libertà religiosa contribuisce non poco a
creare quell’ambiente sociale nel quale gli esseri umani possono essere invitati senza alcuna difficoltà
alla fede cristiana, e possono abbracciarla liberamente e professarla con vigore in tutte le
manifestazioni della vita”. Concilio Vaticano II, Dignitatis humanae, 10, in www.vatican.va.
137
Come è stato sottolineato, tali considerazioni eliminano con disinvolta superficialità le
responsabilità avute dalla Chiesa nelle persecuzioni, nei genocidi perpetrati in nome di Cristo, nei
roghi, nella negazione della libertà degli individui e negli afflati teocratici che hanno frequentemente
attraversato il Magistero petrino. Cfr. V. Ferrone, Chiesa cattolica e modernità. La scoperta dei diritti
dell’uomo dopo l’esperienza dei totalitarismi, cit., p. 101.
138
Si legge nel documento conciliare: “Fra le cose che appartengono al bene della Chiesa, anzi al bene
della stessa città terrena, e che vanno ovunque e sempre conservate e difese da ogni ingiuria, è
certamente di altissimo valore la seguente: che la Chiesa nell’agire goda di tanta libertà quanta le è
necessaria per provvedere alla salvezza degli esseri umani. È questa, infatti, la libertà sacra, di cui
l’unigenito Figlio di Dio ha arricchito la Chiesa acquistata con il suo sangue. Ed è propria della
Chiesa, tanto che quanti l’impugnano agiscono contro la volontà di Dio. La libertà della Chiesa è
principio fondamentale nelle relazioni fra la Chiesa e i poteri pubblici e tutto l’ordinamento giuridico
della società civile. Nella società umana e dinanzi a qualsivoglia pubblico potere, la Chiesa rivendica

39
Il testo approvato dall’assemblea conciliare nel 1965 risulta particolarmente
importante, poiché si attribuisce la garanzia dei diritti civili a prescindere
dall’appartenenza ad una confessione religiosa, ribadendosi che chiunque deve essere
libero di professare qualsiasi credo, anche attraverso manifestazioni esteriori di
natura individuale o collettiva139.
Tuttavia la stessa dichiarazione ribadisce quel dovere morale che grava sui
singoli individui e sulle società nei confronti della “vera religione e [della] unica
Chiesa di Cristo”140, attribuendo al potere politico il compito di delimitare l’esercizio
del diritto alla libertà religiosa, compito però che deve realizzarsi seguendo norme
conformi all’ordine morale oggettivo141, ossia a quella legge divina, eterna e
universale il cui possesso è riservato esclusivamente alla Chiesa142.
Nel corso del pontificato di Paolo VI si ricorre alternativamente alle
espressioni ‘diritti dell’uomo’ e ‘diritti della persona’: la prima si rintraccia ad
a sé la libertà come autorità spirituale, fondata da Cristo Signore, alla quale per mandato divino
incombe l’obbligo di andare nel mondo universo a predicare il Vangelo ad ogni creatura. Parimenti, la
Chiesa rivendica a sé la libertà in quanto è una comunità di esseri umani che hanno il diritto di vivere
nella società civile secondo i precetti della fede cristiana. Ora, se vige un regime di libertà religiosa
non solo proclamato a parole né solo sancito nelle leggi, ma con sincerità tradotto realmente nella vita,
in tal caso la Chiesa, di diritto e di fatto, usufruisce di una condizione stabile per l’indipendenza
necessaria all’adempimento della sua divina missione: indipendenza nella società, che le autorità
ecclesiastiche hanno sempre più vigorosamente rivendicato. Nello stesso tempo i cristiani, come gli
altri uomini godono del diritto civile di non essere impediti di vivere secondo la propria coscienza. Vi
è quindi concordia fra la libertà della Chiesa e la libertà religiosa che deve essere riconosciuta come
un diritto a tutti gli esseri umani e a tutte le comunità e che deve essere sancita nell’ordinamento
giuridico delle società civili”. Concilio Vaticano II, Dignitatis humanae, 13, in www.vatican.va.
139
Cfr. S. Scatena, La fatica della libertà. L’elaborazione della dichiarazione “Dignitatis humanae”
sulla libertà religiosa del Vaticano II, Bologna, 2003, p. 7.
140
Nel Proemio i padri conciliari ribadiscono: “E poiché la libertà religiosa, che gli esseri umani
esigono nell’adempiere il dovere di onorare Iddio, riguarda l’immunità dalla coercizione nella società
civile, essa lascia intatta la dottrina tradizionale cattolica sul dovere morale dei singoli e delle società
verso la vera religione e l’unica Chiesa di Cristo. Inoltre il sacro Concilio, trattando di questa libertà
religiosa, si propone di sviluppare la dottrina dei sommi Pontefici più recenti intorno ai diritti
inviolabili della persona umana e all’ordinamento giuridico della società”. Concilio Vaticano II,
Dignitatis humanae, Proemio, in www.vatican.va.
141
Infatti, “poiché la società civile ha il diritto di proteggersi contro i disordini che si possono
verificare sotto pretesto della libertà religiosa, spetta soprattutto al potere civile prestare una tale
protezione; ciò però va compiuto non in modo arbitrario o favorendo iniquamente una delle parti, ma
secondo norme giuridiche, conformi all’ordine morale obiettivo: norme giuridiche postulate
dall’efficace difesa dei diritti e dalla loro pacifica armonizzazione a vantaggio di tutti i cittadini, da
una sufficiente tutela di quella autentica pace pubblica che consiste in una vita vissuta in comune sulla
base di una onesta giustizia, nonché dalla debita custodia della pubblica moralità”. Concilio Vaticano
II, Dignitatis humanae, 7, in www.vatican.va.
142
Cfr. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., p. 219.

40
esempio nell’enciclica Christi matri del 1966, mentre la seconda viene utilizzata
nella successiva Populorum progressio del 1967143. Ma sono le necessità storiche a
richiedere una puntuale identificazione della nozione di diritti: nel 1967 l’Assemblea
generale delle Nazioni Unite approva all’unanimità la Convenzione sui diritti
economici, sociali e culturali e la Convenzione sui diritti civili e politici, documenti
mai sottoscritti dalla Santa Sede, sebbene La civiltà cattolica avesse accolto
positivamente l’approvazione dei due documenti144.
Tale tendenza, ossia quella che vedeva la promozione dei diritti umani così
come formulati a livello delle Nazioni Unite, trova conferma nella partecipazione nel
1968 della Santa Sede alle celebrazioni per il ventesimo anniversario della
Dichiarazione del 1948145.
L’impegno di Paolo VI nella difesa dei diritti umani si ritrova anche in atti
sinodali, come appare in prima battuta nel documento Convenientes ex universo sulla
giustizia nel mondo, del 1971146, seguito dall’appello a favore di tali diritti, redatto
nel 1974. Negli anni successivi la Santa Sede si attiva per veder riconoscere il diritto
alla libertà religiosa nel corso dei lavori della Conferenza sulla sicurezza e la
cooperazione in Europa, da cui scaturirà l’approvazione del Trattato di Helsinki del

143
Nel documento del 1966 il Pontefice, indicando le modalità con cui realizzare la pace nel mondo,
ribadisce che essa debba essere “fondata sulla giustizia e sulla libertà degli uomini, che tenga quindi
conto dei diritti delle persone e delle comunità, altrimenti essa sarà debole e instabile”. Da segnalare
però che il testo italiano dell’enciclica, presente sul sito istituzionale della Santa Sede, traduce con
“diritto delle persone” il testo latino “iurium hominum”. Paolo VI, Christi matri, 4, in www.vatican.va.
La Populorum progressio, individuando le funzioni del potere pubblico, attribuisce a quest’ultimo il
compito di “scegliere, o anche di imporre, gli obiettivi da perseguire, i traguardi da raggiungere, i
mezzi onde pervenirvi; tocca ad essi stimolare tutte le forze organizzate in questa azione comune.
Certo, devono aver cura di associare a quest’opera le iniziative private e i corpi intermedi, evitando in
tal modo il pericolo d’una collettivizzazione integrale o d’una pianificazione arbitraria che, negatrici
di libertà come sono, escluderebbero l’esercizio dei diritti fondamentali della persona umana”. Paolo
VI, Populorum progressio, 33, in www.vatican.va.
144
Cfr. J.M. Castillo, La Chiesa e i diritti umani, Verona, 2009, p. 49 s.
145
Tale atteggiamento trova espressione nel messaggio pasquale del 14 aprile 1968, nonché nel
messaggio inviato dal Pontefice alla Conferenza internazionale di Teheran, alla quale prenderanno
parte i delegati vaticani. Successivamente Montini ebbe modo di ribadire la propria posizione
nell’omelia della messa per la giornata mondiale della pace del 1° gennaio 1969 e ancora nella lettera
apostolica del maggio 1971, Octagesima adveniens. Cfr. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., p.
224 s.
146
In particolare nel primo documento i vescovi affermano: “La Dichiarazione dei diritti dell’uomo,
fatta dalle Nazioni Unite, sia ratificata da tutti quei governi che non hanno ancora aderito a tale
convenzione e sia integralmente rispettata da tutti”. Sinodo dei vescovi, Dichiarazione “Convenientes
ex universo”, in Enchiridion del sinodo dei vescovi, 1. 1965-1968, Bologna, 2005, p. 882.

41
1975. Ma lo stesso Pontefice nell’ultimo discorso tenuto prima della morte al
personale del corpo diplomatico nel 1978, si sofferma in particolare sui diritti
umani147.
Il pontificato di Giovanni Paolo II, come è stato notato 148, al di là di un
evidente atteggiamento di modernizzazione delle forme e degli strumenti di
comunicazione, si è caratterizzato per un complessivo atteggiamento conservatore,
che trova una prima formulazione nell’enciclica del 1979 Redemptor hominis149.
In tema di diritti umani si riproponeva l’idea secondo cui la rivelazione
costituiva il fondamento per la Chiesa di tali situazioni, che presentano elementi
comuni con la Dichiarazione del 1948, sebbene il contenuto di tali diritti non possa
ritenersi perfettamente sovrapponibile. Ma è dopo il 1989 che si delinea con maggior
chiarezza la posizione pontificia sui diritti umani: all’interno della Chiesa soprattutto
si ribadisce la totale mancanza di relazione tra diritti umani e diritti dei fedeli e
pertanto l’inapplicabilità dei primi nell’ambito ecclesiale150.
Nel 1993, nell’enciclica Veritatis splendor si ribadisce la differenza
sostanziale tra l’ordinamento gerarchico della Chiesa e il sistema democratico e il
conseguente diritto fondamentale del fedele a sottomettersi alla dottrina cattolica
proposta dall’autorità ecclesiastica151.
Nello stesso documento si riafferma il collegamento tra i diritti fondamentali
della persona e la legge naturale, quest’ultima universale, immutabile e
permanentemente valida: compete alla Chiesa il possesso esclusivo e autentico di tali

147
Cfr. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., p. 233 s.
148
Cfr. V. Ferrone, Chiesa cattolica e modernità. La scoperta dei diritti dell’uomo dopo l’esperienza
dei totalitarismi, cit., p. 118.
149
In tale documento il Pontefice pone in relazione l’umanesimo autentico con Cristo e dunque con gli
insegnamenti che provengono dal suo vicario e dalle gerarchie ecclesiastiche. In un’epoca in cui si
assiste a una crisi morale ed esistenziale dell’uomo, che però non viene in alcun modo superata con il
trionfo della tecnica e della scienza, aumentano le angosce e l’alienazione dell’essere umano. Soltanto
la Chiesa, in un rinnovato ruolo di guida e di tutela morale e spirituale, può dar corso a una nuova
primavera cristiana, per sopperire al fallimento del progetto di emancipazione illuministico e così
indicare all’uomo l’unica via percorribile. Cfr. P. Barucci, A. Magliulo, L’insegnamento economico e
sociale della Chiesa (1891-1991). I grandi documenti sociali della Chiesa cattolica, cit., p. 133 s.
150
Cfr. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., p. 245.
151
Pertanto, “secondo la fede cristiana e la dottrina della Chiesa, «solamente la libertà che si
sottomette alla Verità conduce la persona umana al suo vero bene. Il bene della persona è di essere
nella Verità e di fare la Verità»”. Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, 84, in www.vatican.va.

42
diritti, essendo il riflesso di quella legge eterna posta da Dio a fondamento del
creato152.
In precedenza, nell’enciclica Centesimus annus del 1991, esaminando la
formazione dei nuovi Stati sul territorio appartenuto al blocco sovietico, il Pontefice
manifestava la preoccupazione per le modalità con cui si stava elaborando l’elenco
dei diritti, affidato alla formazione di maggioranze composite o prodotto dalla
pressione di gruppi particolarmente efficaci nel coagulare consenso, dimenticando
quella gerarchia di valori proposta dalla Chiesa, unica depositaria della corretta
comprensione della dignità della persona. Il Pontefice riteneva che il mancato
rispetto di quanto definito dal Magistero di Roma potesse persino portare alla
trasformazione della democrazia, fino ai limiti del totalitarismo153.
Tale atteggiamento trova conferma alcuni anni dopo nell’enciclica
Evangelium vitae, in cui il diritto alla vita viene considerato la pietra d’angolo dei
diritti umani, essendo anche il canone per valutare tutte le altre situazioni.
Se nei primi anni di pontificato il diritto alla libertà religiosa costituiva il
perno su cui articolare la tavola dei diritti, dopo il crollo del comunismo si affacciava
prepotentemente la questione del diritto alla vita quale criterio per la valutazione dei
sistemi politici154. È impensabile per Giovanni Paolo II concepire un ordinamento in
cui si introduca un riconoscimento giuridico dei diritti palesemente contrari alla
natura155, quali ad esempio l’aborto e l’eutanasia, affermazione tale da vanificare,
152
Cfr. I. Santus, Il contributo della Santa Sede al diritto internazionale. Dal diritto di ingerenza alla
responsabilità di proteggere la dignità umana, Padova, 2012, p. 350.
153
Particolarmente efficaci le parole del Pontefice per una definizione del retto sistema politico
democratico: “Un’autentica democrazia è possibile solo in uno Stato di diritto e sulla base di una retta
concezione della persona umana. Essa esige che si verifichino le condizioni necessarie per la
promozione sia delle singole persone mediante l’educazione e la formazione ai veri ideali, sia della
«soggettività» della società mediante la creazione di strutture di partecipazione e di corresponsabilità.
Oggi si tende ad affermare che l’agnosticismo ed il relativismo scettico sono la filosofia e
l’atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche, e che quanti son convinti
di conoscere la verità ed aderiscono con fermezza ad essa non sono affidabili dal punto di vista
democratico, perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a
seconda dei diversi equilibri politici. A questo proposito, bisogna osservare che, se non esiste nessuna
verità ultima la quale guida ed orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser
facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in
un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia”. Giovanni Paolo II, Centesimus
annus, 46, in www.vatican.va.
154
Cfr. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., p. 255.
155
Come chiarisce il Pontefice, valutando quegli Stati in cui si ammettono aborto ed eutanasia,
“l’originario e inalienabile diritto alla vita è messo in discussione o negato sulla base di un voto

43
privandolo di fondamento giuridico, l’elenco di altri eventuali diritti umani
riconosciuti da quello stesso ordinamento156.
Il mutamento nei confronti di tali diritti, che inizialmente vedevano un
appoggio del pontificato di Giovanni Paolo II a favore delle organizzazioni
internazionali, trova un chiaro segnale nel messaggio per le giornate della pace del
1998 e del 2003, nelle quali il Pontefice, pur esprimendo una valutazione positiva nei
confronti della Dichiarazione del 1948, sottolinea l’incapacità e le mancanze
dell’ONU nell’ottenere il rispetto di diritti umani che siano autentici, ossia
promananti da quella legge morale universale iscritta nel cuore di ciascun uomo157.
Anche il pontificato di Benedetto XVI si colloca nell’alveo delle tesi
sostenute nell’ultima parte dell’insegnamento di Giovanni Paolo II, con la novità che
vede la tesi cattolica sui diritti dell’uomo porsi nell’ambito di una visione
complessiva della società, da cui trova derivazione l’importanza del ruolo che
assume la Chiesa158.
A fronte del relativismo dilagante, favorito dalla democrazia, solo
l’organizzazione ecclesiale resta custode e interprete della legge naturale, in un ruolo
indispensabile per la corretta istituzione di una società ordinata 159. Particolare rilievo
parlamentare o della volontà di una parte — sia pure maggioritaria — della popolazione. È l’esito
nefasto di un relativismo che regna incontrastato: il «diritto» cessa di essere tale, perché non è più
solidamente fondato sull’inviolabile dignità della persona, ma viene assoggettato alla volontà del più
forte. In questo modo la democrazia, ad onta delle sue regole, cammina sulla strada di un sostanziale
totalitarismo. Lo Stato non è più la «casa comune» dove tutti possono vivere secondo principi di
uguaglianza sostanziale, ma si trasforma in Stato tiranno, che presume di poter disporre della vita dei
più deboli e indifesi, dal bambino non ancora nato al vecchio, in nome di una utilità pubblica che non
è altro, in realtà, che l’interesse di alcuni”. Ed ancora: “Le leggi che autorizzano e favoriscono
l’aborto e l’eutanasia si pongono dunque radicalmente non solo contro il bene del singolo, ma anche
contro il bene comune e, pertanto, sono del tutto prive di autentica validità giuridica. Il
misconoscimento del diritto alla vita, infatti, proprio perché porta a sopprimere la persona per il cui
servizio la società ha motivo di esistere, è ciò che si contrappone più frontalmente e irreparabilmente
alla possibilità di realizzare il bene comune. Ne segue che, quando una legge civile legittima l’aborto
o l’eutanasia cessa, per ciò stesso, di essere una vera legge civile, moralmente obbligante”. Giovanni
Paolo II, Evangelium vitae, 20 e 72, in www.vatican.va.
156
Nell’Evangelium vitae parrebbe rivendicarsi una potestas indirecta sulle determinazioni etiche dei
governi democratici, segnalando una sorta di deriva teocratica all’interno del dualismo fra poteri. Cfr.
V. Ferrone, Chiesa cattolica e modernità. La scoperta dei diritti dell’uomo dopo l’esperienza dei
totalitarismi, cit., p. 127.
157
Cfr. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., p. 256.
158
Cfr. G. Miccoli, In difesa della fede. La Chiesa di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Milano,
2007, p. 323 s.
159
Rivolgendosi ai partecipanti al Congresso internazionale sulla legge morale e ai membri della
Commissione teologica internazionale, Benedetto XVI affermava: “La legge naturale è la sorgente da

44
assume quanto Joseph Ratzinger ha sostenuto dinanzi all’Assemblea generale delle
Nazioni Unite, in occasione del sessantesimo anniversario della Dichiarazione,
ribadendo l’universalità dei diritti fondamentali insiti nella natura dell’uomo,
sebbene tale legge naturale sia presente solo perché scritta dal Creatore nella
coscienza umana, elemento comune ad ogni uomo160.
È evidente anche in questo caso il rinvio operato dal Pontefice ad un elemento
trascendente, il solo idoneo a legittimare i diritti fondamentali, ribadendo
implicitamente l’ineffabilità di quelle dichiarazioni, uniche espressioni della volontà
autonoma degli uomini161.
Nell’enciclica Laudato si’ del 2015, Papa Francesco, rivendicando i diritti
fondamentali delle persone svantaggiate, intravede nell’accesso all’acqua potabile il
diritto umano essenziale, universale e fondamentale, condizionante l’esercizio degli
altri diritti, in quanto in grado di garantire la sopravvivenza delle persone162.
cui scaturiscono, insieme a diritti fondamentali, anche imperativi etici che è doveroso onorare.
Nell’attuale etica e filosofia del Diritto, sono largamente diffusi i postulati del positivismo giuridico.
La conseguenza è che la legislazione diventa spesso solo un compromesso tra diversi interessi: si
cerca di trasformare in diritti interessi privati o desideri che stridono con i doveri derivanti dalla
responsabilità sociale. In questa situazione è opportuno ricordare che ogni ordinamento giuridico, a
livello sia interno che internazionale, trae ultimamente la sua legittimità dal radicamento nella legge
naturale, nel messaggio etico iscritto nello stesso essere umano. La legge naturale è, in definitiva, il
solo valido baluardo contro l’arbitrio del potere o gli inganni della manipolazione ideologica. La
conoscenza di questa legge iscritta nel cuore dell’uomo aumenta con il progredire della coscienza
morale. La prima preoccupazione per tutti, e particolarmente per chi ha responsabilità pubbliche,
dovrebbe quindi essere quella di promuovere la maturazione della coscienza morale. È questo il
progresso fondamentale senza il quale tutti gli altri progressi finiscono per risultare non autentici. La
legge iscritta nella nostra natura è la vera garanzia offerta ad ognuno per poter vivere libero e
rispettato nella propria dignità”. Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al Congresso internazionale
sulla legge morale naturale promosso dalla Pontificia Università Lateranense, 12 febbraio 2007, in
www.vatican.va.
160
Con le parole del Pontefice: “La dignità di ogni uomo è garantita veramente soltanto quando tutti i
suoi diritti fondamentali vengono riconosciuti, tutelati e promossi. Da sempre la Chiesa ribadisce che i
diritti fondamentali, al di là della differente formulazione e del diverso peso che possono rivestire
nell’ambito delle varie culture, sono un dato universale, perché insito nella stessa natura dell’uomo.
La legge naturale, scritta da Dio nella coscienza umana, è un denominatore comune a tutti gli uomini e
a tutti i popoli; è una guida universale che tutti possono conoscere e sulla base della quale tutti
possono intendersi. I diritti dell’uomo sono, pertanto, ultimamente fondati in Dio creatore, il quale ha
dato ad ognuno l’intelligenza e la libertà. Se si prescinde da questa solida base etica, i diritti umani
rimangono fragili perché privi di solido fondamento”. Benedetto XVI, Senza una solida base etica i
diritti umani rimangono fragili, in L’Osservatore Romano, 12 dicembre 2008, p. 6, citato in I. Santus,
Il contributo della Santa Sede al diritto internazionale. Dal diritto di ingerenza alla responsabilità di
proteggere la dignità umana, cit., p. 353.
161
Cfr. D. Menozzi, Chiesa e diritti umani, cit., p. 263 s.
162
Cfr. Francesco, Laudato si’, 30, in www.vatican.va.

45
L’attenzione per la dimensione ecologica dell’uomo presuppone però il necessario
riconoscimento della legge naturale scritta in ciascun uomo, fonte indispensabile per
la costituzione di un ambiente più dignitoso163.
Nel settembre dello stesso anno Papa Bergoglio, pronunciando un discorso
dinanzi all’Assemblea generale dell’ONU, nel sottolinearne l’importanza per la
codificazione del diritto internazionale, per la definizione dei diritti umani e il
perfezionamento del diritto umanitario 164, ribadiva l’attenzione per gli ultimi, per gli
esclusi, vittime della ‘cultura dello scarto’165, cui il potere politico dovrebbe
perlomeno assicurare un minimo livello sia materiale che spirituale: rispetto al primo
si tratta di garantire casa, lavoro e terra, mentre per il secondo occorre assicurare la
libertà di spirito, che si traduce nella libertà religiosa, nel diritto all’educazione e nel
novero di tutti gli altri diritti civili. Tale condizione di minorità dei più svantaggiati è
il prodotto dell’“oscurità del disordine causato dalle ambizioni incontrollate e dagli
egoismi collettivi”166, espressioni da cui riecheggia implicitamente la
contrapposizione delle polarità alternative ordine-disordine, che trova manifestazione
nella distruzione dell’ambiente e nell’esclusione dell’altro, situazioni da potersi
risolvere solo avvalendosi di quella legge morale scritta nella natura umana,
163
Cfr. Francesco, Laudato si’, 155, in www.vatican.va.
164
Così Papa Francesco sintetizza l’esperienza dell’ONU: “La storia della comunità organizzata degli
Stati, rappresentata dalle Nazioni Unite, che festeggia in questi giorni il suo 70° anniversario, è una
storia di importanti successi comuni, in un periodo di inusitata accelerazione degli avvenimenti. Senza
pretendere di essere esaustivo, si può menzionare la codificazione e lo sviluppo del diritto
internazionale, la costruzione della normativa internazionale dei diritti umani, il perfezionamento del
diritto umanitario, la soluzione di molti conflitti e operazioni di pace e di riconciliazione, e tante altre
acquisizioni in tutti i settori della proiezione internazionale delle attività umane”. Francesco, Discorso
ai membri dell’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, 25 settembre 2015, in
www.vatican.va.
165
Per il Pontefice “l’abuso e la distruzione dell’ambiente, allo stesso tempo, sono associati ad un
inarrestabile processo di esclusione. In effetti, una brama egoistica e illimitata di potere e di benessere
materiale, conduce tanto ad abusare dei mezzi materiali disponibili quanto ad escludere i deboli e i
meno abili, sia per il fatto di avere abilità diverse (portatori di handicap), sia perché sono privi delle
conoscenze e degli strumenti tecnici adeguati o possiedono un’insufficiente capacità di decisione
politica. L’esclusione economica e sociale è una negazione totale della fraternità umana e un
gravissimo attentato ai diritti umani e all’ambiente. I più poveri sono quelli che soffrono
maggiormente questi attentati per un triplice, grave motivo: sono scartati dalla società, sono nel
medesimo tempo obbligati a vivere di scarti e devono ingiustamente soffrire le conseguenze
dell’abuso dell’ambiente. Questi fenomeni costituiscono oggi la tanto diffusa e incoscientemente
consolidata ‘cultura dello scarto’”. Francesco, Discorso ai membri dell’Assemblea generale
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, 25 settembre 2015, in www.vatican.va.
166
Francesco, Discorso ai membri dell’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite,
25 settembre 2015, in www.vatican.va

46
comprensiva della distinzione uomo-donna e del rispetto assoluto della vita in ogni
sua fase.
L’esperienza dei prossimi anni potrà mostrare più chiaramente l’orientamento
dell’attuale pontificato nei confronti dei diritti umani, per ora volto a rivendicare le
legittime aspettative degli ultimi del mondo, sebbene attraverso la conferma di
quell’indirizzo che individua nella natura umana quella legge morale, inestirpabile
riferimento trascendente, unica idonea a fondare in modo assoluto e universale i
diritti umani.

47
CAPITOLO III

DIRITTI UMANI E ORDINAMENTO CANONICO

1. Diritti umani, Magistero della Chiesa e legislatore canonico

Nell’ambito dell’ordinamento della Chiesa i diritti fondamentali poggiano sul


diritto naturale e trovano tutela nel tessuto normativo. Si tratta pertanto di diritti
universali riconducibili all’essenza propria dell’uomo, con carattere perpetuo,
venendo meno soltanto con la morte, essendo irrinunciabili e potendosi far valere
erga omnes167. Da ricordare che il diritto naturale, mezzo attraverso cui l’uomo può
così realizzare il proprio fine, rappresenta il nucleo fondativo dell’ordinamento
ecclesiale, assumendo l’intera struttura normativa una sorta di costituzione rigida,
pertanto inderogabile e immodificabile168.
Particolare importanza assume la tesi che ritiene i diritti fondamentali non
confinabili nella mera sfera individualistica, del tutto irrelati rispetto ai rapporti di
solidarietà tra gli uomini; tali diritti si connettono strettamente all’afflato di
liberazione contenuto ed espresso nel momento redentivo consumato nel sacrificio
della Croce. Come ribadito nel Magistero romano 169, attraverso tale sacrificio
all’uomo viene attribuito definitivamente quella dignità che in particolare nel fedele,
membro attivo della comunità cristiana, trova particolare espressione soprattutto
quale libertà e responsabilità.
167
Cfr. L. Spinelli, I diritti umani nella relazione tra Stato e Chiesa, in I diritti fondamentali del
cristiano nella Chiesa e nella società. Atti del IV Congresso internazionale di diritto canonico, a cura
di Eugenio Corecco, Niklaus Herzog, Angelo Scola, Fribourg (Suisse), 6-11.X.1980, Milano, 1981, p.
1148.
168
Da ciò deriverebbe l’ininfluenza delle vicende politiche e sociali sull’apparato normativo,
espressione di un diritto inviolabile che assurge a limite anche nei confronti dei poteri
dell’ordinamento ecclesiale e delle sue funzioni. Cfr. L. Spinelli, I diritti umani nella relazione tra
Stato e Chiesa, cit., p. 1148.
169
Nell’enciclica Redemptor Hominis si legge infatti: “La Chiesa, che non cessa di contemplare
l’insieme del mistero di Cristo, sa con tutta la certezza della fede, che la Redenzione, avvenuta per
mezzo della croce, ha ridato definitivamente all’uomo la dignità ed il senso della sua esistenza nel
mondo, senso che egli aveva in misura notevole perduto a causa del peccato. E perciò la Redenzione
si è compiuta nel mistero pasquale, che attraverso la croce e la morte conduce alla risurrezione”.
Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 10, in www.vatican.va.

48
La maggiore attenzione al tema dei diritti umani, come già visto, si rintraccia
nel pontificato di Giovanni Paolo II, con il passaggio dal tema dell’ethos dell’amore
del prossimo e dell’aiuto umanitario all’ethos della giustizia, con la conseguente
promozione e difesa dei diritti dell’uomo, fatti valere nei confronti di qualsiasi
situazione od ordinamento in cui venga a trovarsi 170. La dignità dell’uomo dunque
non costituisce un elemento esclusivamente presente nella cultura moderna e diviene
parte dell’annuncio di verità della Chiesa e un elemento essenziale per valutare
l’autenticità della religione171.
Tuttavia la provenienza di tali diritti dallo statuto creazionale e pertanto il loro
radicamento nello ius divinum naturale172, se da un lato implica il loro rispetto da
parte di tutti, dall’altro pone la questione della loro individuazione e configurabilità
all’interno dell’ordinamento ecclesiale, non potendo costituire, come è stato
sottolineato da alcuni173, un parametro adatto a valutare i diritti del cristiano nella
170
Nella Veritatis splendor viene ribadito che “di fronte alle gravi forme di ingiustizia sociale ed
economica e di corruzione politica di cui sono investiti interi popoli e nazioni, cresce l’indignata
reazione di moltissime persone calpestate e umiliate nei loro fondamentali diritti umani e si fa sempre
più diffuso e acuto il bisogno di un radicale rinnovamento personale e sociale capace di assicurare
giustizia, solidarietà, onestà, trasparenza. Certamente lunga e faticosa è la strada da percorrere;
numerosi e ingenti sono gli sforzi da compiere perché si possa attuare un simile rinnovamento, anche
per la molteplicità e la gravità delle cause che generano e alimentano le situazioni di ingiustizia oggi
presenti nel mondo. Ma, come la storia e l’esperienza di ciascuno insegnano, non è difficile ritrovare
alla base di queste situazioni cause propriamente «culturali», collegate cioè con determinate visioni
dell’uomo, della società e del mondo. In realtà, al cuore della questione culturale sta il senso morale,
che a sua volta si fonda e si compie nel senso religioso”. Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, 98, in
www.vatican.va
171
Cfr. G. Comotti, Sui diritti umani nell’ordinamento canonico, in Daimon, 2007, 7, p. 81.
172
È da ricordare che il diritto canonico fonda la propria esistenza su un diritto divino, distinguibile in
diritto divino naturale e diritto divino positivo: il primo “si rifà alla concezione della persona umana
come essere razionale creato da Dio, la cui dignità richiede in modo vincolante i diritti e i doveri che
derivano dalla natura conferitale da Dio, in unione armonica con l’ordine impresso dal Creatore a tutto
l’universo”; il secondo invece “è l’insieme dei fattori giuridici riguardanti l’elevazione dell’uomo
all’ordine soprannaturale, come frutto della redenzione realizzata dal Verbo incarnato, che continua ad
operare in virtù dell’efficacia dei mezzi di salvezza istituzionalizzati nella Chiesa”. Mentre il diritto
divino naturale è conoscibile “non solo attraverso argomentazioni d’ordine razionale, ma anche
attraverso la rivelazione, che ce lo trasmette armonicamente unito con il diritto divino positivo”,
quest’ultimo invece “è conoscibile solamente attraverso la rivelazione divina”, contenuta
embrionalmente nell’Antico Testamento e compiutamente nel Nuovo, cui si aggiunge quanto è stato
trasmesso dalla tradizione della predicazione degli apostoli e successivamente dai vescovi. Cfr. P.
Lombardia, Lezioni di diritto canonico. Introduzione. Diritto costituzionale. Parte generale, Milano,
1985, p. 8 s.
173
Secondo Corecco infatti, “persino nell’ipotesi che i diritti fondamentali e costituzionali del
cittadino riuscissero a declinare in un determinato momento storico i valori specifici del ius divinum
naturale (che comunque rappresenta il diritto proprio allo status naturae dopo il peccato originale e

49
Chiesa174. Pur non essendo estranea ai valori umani fondamentali, la Chiesa deve
tener conto di quelli soprannaturali, che non coincidono esattamente con i primi,
neppure qualora nei diritti fondamentali venisse totalmente recepito il contenuto
dello ius divinum naturale che, seguendo le indicazioni fornite da Suarez, potrebbe
compendiarsi nelle quattro virtù cardinali, da cui individuare la specificità
dell’esperienza giuridica ecclesiale nella carità come valore che integra il concetto di
giustizia175.
L’accostamento tra diritti fondamentali e diritti umani ha inciso nel
recepimento dell’ordinamento canonico dei primi, e pertanto la dottrina 176 ha
segnalato sia i rischi che i profili di inammissibilità di un’eventuale trasposizione
nell’ordinamento canonistico dei diritti umani, come intesi dalla speculazione
secolare. In particolare risulta incompatibile l’elemento fondativo o giustificativo che
tali diritti hanno nella concezione cristiana, e infatti molti dei diritti fondamentali
presenti nel tessuto normativo canonico hanno matrice sacramentale, pertanto non
potendosi ritenere antecedenti bensì coevi alla Chiesa e dunque ben distanti dai diritti
umani qualificabili come fondamentali per la loro preesistenza allo Stato177.

non quello della natura umana dello stato di giustizia originale) non potrebbero ancora essere
considerati come criterio qualificante l’esperienza ecclesiale. Infatti i valori umani fondamentali, pur
non essendo, per principio, contraddittori a quelli soprannaturali non coincidono con essi; anzi, se
applicati in modo assoluto, potrebbero diventare di ostacolo ad una esperienza ecclesiale”. E. Corecco,
Considerazioni sul problema dei diritti fondamentali del cristiano nella Chiesa e nella società. Aspetti
metodologici della questione, in I diritti fondamentali del cristiano nella Chiesa e nella società. Atti
del IV Congresso internazionale di diritto canonico, cit., p. 1229.
174
Essendo la Chiesa il luogo di salvezza universale, il diritto canonico è quindi “volto ad attuare in
essa la specifica esigenza di giustizia, che è intrinseca e naturale degli uomini pure nella Chiesa, e
legata in maniera mirabile alla loro tensione verso la vita soprannaturale”. G. Lo Castro, Il mistero del
diritto. I. Del diritto e della sua conoscenza, Torino, 1997, p. 102.
175
Infatti “le virtù teologali, di cui la carità è l’espressione globale, non rappresentano il livello di
valore non necessario rispetto alla giustizia. Se si dovesse accettare questa dicotomia tra etica naturale
necessaria e carità non necessaria, bisognerebbe allora accettare l’affermato antagonismo tra diritto e
carità, che non ha fondamento nell’ecclesiologia”. E. Corecco, Considerazioni sul problema dei diritti
fondamentali del cristiano nella Chiesa e nella società. Aspetti metodologici della questione, cit., p.
1230. Come ribadisce Ballesteros, “la carità non rende superflui il diritto e la giustizia, perché richiede
esattamente un andare oltre essi (…) D’altra parte la pietà, l’unione con Dio, caratteristica essenziale
del cristiano, fornisce il coraggio necessario per difendere ciò che è giusto di fronte alle pressioni del
potere”. J. Ballesteros, Cristianesimo e diritti umani, in Teologia ed etica politica, a cura di Angel
Rodrígez Luño e Enrique Colom, Roma, 2005, p. 77.
176
Cfr. G. Dalla Torre, Diritti dell’uomo o diritti del cristiano?, in I diritti fondamentali del cristiano
nella Chiesa e nella società. Atti del IV Congresso internazionale di diritto canonico, cit., p. 127 s.
177
Come precisa Dalla Torre, “la semplice trasposizione e l’adattamento dei diritti umani così come
enucleati nella speculazione e nell’esperienza secolari [è] operazione rischiosa, se non addirittura

50
Se è evidente l’impossibilità di separare nettamente l’ordine della soggettività
naturale da quello della soggettività canonica, e sebbene, come è stato evidenziato da
alcuni178, non possa ritenersi risolto il problema del fondamento o della
giustificazione dei diritti dell’uomo nell’ordinamento canonico, stante l’eterogeneità
tra la categoria storica dei diritti fondamentali e la nozione cristiana di tali diritti, per
altri179 invece appare evidente che i diritti e i doveri nella Chiesa sono sia quelli
sovrannaturali o strettamente ecclesiali propri del fedele, sia quelli naturali riferibili
all’uomo in quanto tale180.
Tuttavia ci si è anche domandato se sia necessario distinguere i diritti
fondamentali dell’uomo, prendendo in considerazione lo specifico ordinamento
all’interno del quale venga in considerazione la tutela della persona umana. Secondo
alcuni181 tali diritti debbono riconoscersi al fedele, in quanto presenti
nell’ordinamento canonico, seppure al battezzato debbano attribuirsi anche quegli
altri diritti conseguenti al sacramento ricevuto e peculiari della società ecclesiastica.
Per altri182 invece, non potendosi separare il piano della creazione da quello della
redenzione, per cui il battezzato è prima ancora un uomo e quindi portatore di un
insieme di diritti inviolabili, riferibili alla dignità umana, nell’ordinamento canonico
il centro dell’interesse dovrà essere costituito dai diritti dell’uomo che, diversamente
da quanto avviene per i diritti fondamentali, non preesistono all’istituzione ecclesiale
ma vengono attribuiti attraverso i sacramenti, per cui sorge la domanda relativa alla
inammissibile. E ciò non solo perché il manipolo di diritti fondamentali riconosciuti e raccolti da carte
costituzionali e da documenti internazionali scaturisce essenzialmente dalla lotta di emancipazione
dell’individuo dal potere dello Stato moderno, cioè nasce in un contesto culturalmente e storicamente
ben individuato; non solo perché in moltissimi casi tali diritti si sono venuti via via riconoscendo nella
prassi, in relazione cioè alle via via nuove esigenze che l’evoluzione della società e delle sue forme di
organizzazione politica venivano ponendo circa la tutela dell’uomo; ma anche per la profonda
eterogeneità, per non dire incompatibilità, sussistente fra la concezione cristiana dei diritti umani e
quelle rinvenibili nelle ideologie oggi imperanti”. G. Dalla Torre, Diritti dell’uomo o diritti del
cristiano?, cit., p. 128.
178
Cfr. G. Dalla Torre, Diritti dell’uomo o diritti del cristiano?, cit., p. 128.
179
Cfr. G. Comotti, Sui diritti umani nell’ordinamento canonico, cit., p. 84.
180
Sia il battezzato che il non battezzato partecipano alla stessa legge della creazione e sono chiamati
entrambi alla salvezza, permanendo integra la condizione umana, anche per coloro che hanno ricevuto
il sacramento, il quale ovviamente non annulla tale condizione nel fedele. Cfr. G. Lo Castro, La
persona nella Chiesa e il suo diritto, in La persona nella Chiesa. Diritti e doveri dell’uomo e del
fedele. Atti del Convegno (Trento, 6-7 giugno 2002), Padova, 2003, p. 83.
181
Cfr. T. Bertone, Persona e struttura nella Chiesa (I diritti fondamentali dei fedeli), in Problemi e
prospettive di diritto canonico, a cura di E. Cappellini, Brescia, 1977, p. 84 s.
182
Cfr. G. Dalla Torre, Diritti dell’uomo o diritti del cristiano?, cit., p. 129.

51
possibilità di poter ammettere nell’ordinamento canonico diritti fondamentali, in
quanto tale caratteristica sembra indicare esclusivamente la preesistenza di tali
situazioni giuridiche soggettive allo Stato183.
Volendo delineare i presupposti giuridici e teologici dei diritti fondamentali
dell’uomo, occorre esaminare alcuni elementi essenziali propri del diritto naturale
secondo le indicazioni fornite dal pensiero tomista: tale diritto non deve risolversi in
un complesso sistematico di norme, strutturato organicamente e oggettivamente
rilevabile, ma piuttosto in una serie di conseguenze rilevanti da un punto di vista
normativo e connesse a specifiche situazioni, derivate razionalmente da un novero di
principi primi, quali ad esempio nemine laedere e unicuique suum tribuere184.
Tale concezione si allontana radicalmente da quanto proposto dal
giusnaturalismo razional-laicista, il quale dimentica che diritto e obbligo morale sono
nozioni che poggiano sulla libertà dei soggetti spirituali, per cui “se l’uomo è
moralmente obbligato a cose necessarie per il compimento del suo destino (…) egli
ha il diritto di perseguire il suo destino, e, se ha il diritto di compiere il suo destino,
ha pure il diritto alle cose a ciò necessarie”185.

183
Secondo Dalla Torre “l’equivoco della meccanica trasposizione dei diritti fondamentali dell’uomo,
sia pure considerati nel quadro della concezione cristiana del diritto naturale, dalla società civile alla
società ecclesiastica, nasce certo dalla tentazione antica ma ricorrente del canonista di fare proprie,
senza un adeguato vaglio, le acquisizioni che via via caratterizzano gli sviluppi della scienza giuridica
e degli ordinamenti secolari. Ma l’equivoco in questione nasce forse anche da residui d’una visione
che portava ad accentuare certi aspetti della concezione controriformistica e bellarminiana della
Chiesa; una visione – in qualche modo connessa con la nota teorica della potestas indirecta Ecclesiae
in temporalibus – per cui la Chiesa non è estranea all’ordine temporale: trascendendolo, essa in
qualche modo lo comprende in sé, come il più contiene il meno. Per cui è chiaro che quanto esiste
nell’ordine temporale a maggior ragione sussiste in quello superiore proprio della Chiesa”. G. Dalla
Torre, Diritti dell’uomo o diritti del cristiano?, cit., p. 131.
184
Il diritto naturale è dunque “la legge della nostra essenza come persone umane, considerate non in
astratto ma in concreto, in quanto consiste nella concordanza della nostra condotta con i fini
esistenziali pretracciati nella nostra natura da Dio stesso. Allora, conoscere la legge naturale significa
conoscere le vere inclinazioni dell’uomo, le sue vibrazioni più intime, coordinate in una interiore
armonia, orchestrate secondo la vibrazione più alta e naturale dell’uomo, lo slancio del suo spirito
verso la verità e il bene, in una visione che è dunque teleologica e insieme teologica”. Tale legge è
iscritta nel cuore dell’uomo, per cui questi “nella giusta realizzazione della sua essenza fisico-
spirituale, interrogando il suo stesso essere, scopre e trova dentro di sé ‘inclinazioni’ che esprimono la
volontà di Dio su di lui, e così riconosce indipendentemente da ogni sua libera scelta dei principi
regolatori della sua condotta umana, i suoi diritti e i suoi doveri, cioè quale atteggiamento di vita e di
comportamento corrisponde alla persona nel suo concreto essere umano”. R. Pizzorni, Diritto
naturale e diritto positivo in S. Tommaso d’Aquino, Bologna, 1999, pp. 31 e 43.
185
J. Maritain, I diritti dell’uomo e la legge naturale, Milano, 1977, p. 60.

52
Da un punto di vista teologico, la giustificazione dei diritti umani può seguire
diversi percorsi: il primo di natura razionalistica, procede dal basso in via
ascendente, muovendo dall’uomo inteso come essere munito di ragione e volontà
libera, che attraverso l’autoriflessione razionale si percepisce come persona dotata di
dignità e valore propri e pertanto fonte di diritti186; per il secondo, scendendo dall’alto
si parte dal testo biblico e dunque dalla fede nel Dio che ha creato l’uomo a sua
immagine, da cui ciascuno si vede attribuire dignità e valore187; infine la terza via
muove dall’evento escatologico dell’incarnazione di Cristo, che dota l’uomo della
massima dignità su cui fondare l’insieme dei diritti188.
Tutte le tesi suesposte sono accomunate dal concetto di persona quale punto
di arrivo, cui si aggiunge l’implicazione tra i diritti dell’uomo e la dignità della
creatura, relazione che manifesta la sua rilevanza su un piano sia dottrinale che
pratico: attraverso il primo si giunge all’affermazione secondo cui la proclamazione
da parte del Vangelo della dignità della persona comporta l’affermazione dei suoi
diritti; per il secondo invece questi divengono lo strumento con cui la Chiesa può

186
Riecheggiando quanto contenuto nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Benedetto XVI
ribadisce che “la dottrina sociale della Chiesa argomenta a partire dalla ragione e dal diritto naturale,
cioè a partire da ciò che è conforme alla natura di ogni essere umano. E sa che non è compito della
Chiesa far essa stessa valere politicamente questa dottrina: essa vuole servire la formazione della
coscienza nella politica e contribuire affinché cresca la percezione delle vere esigenze della giustizia
e, insieme, la disponibilità ad agire in base ad esse, anche quando ciò contrastasse con situazioni di
interesse personale. Questo significa che la costruzione di un giusto ordinamento sociale e statale,
mediante il quale a ciascuno venga dato ciò che gli spetta, è un compito fondamentale che ogni
generazione deve nuovamente affrontare. Trattandosi di un compito politico, questo non può essere
incarico immediato della Chiesa. Ma siccome è allo stesso tempo un compito umano primario, la
Chiesa ha il dovere di offrire attraverso la purificazione della ragione e attraverso la formazione etica
il suo contributo specifico, affinché le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente
realizzabili”. Benedetto XVI, Deus caritas, 28, in www.vatican.va.
187
Infatti “quale immagine di Dio, l’uomo possiede e gode realmente di una natura spirituale,
sussistente in sé stessa, che costituisce un tutto ontologico, aperto alla verità, alla bontà, e alla
bellezza, che egli cerca per raggiungere la sua perfezione, finché non la trova in Dio, verità, bontà e
bellezza assoluta. Ma l’uomo non è solo natura, è anche storia ed è attraverso l’evolversi dei secoli
che egli, mediante la lettura dei segni dei tempi, va scoprendo nel suo essere una luminosità sempre
maggiore di tale immagine. Il riflesso di questo fondamentale dato ontologico a livello della coscienza
è il fatto che l’uomo, per sua natura, è aperto all’Assoluto e potrà trovare il suo appagamento e la sua
perfezione, attraverso il dono sincero di sé, solo in Dio, che lo ha voluto per sé stesso”. Pontificia
Commissione “Justitia et Pax”, La Chiesa e i diritti dell’uomo, 47, Città del Vaticano, 2011, p. 39.
188
Cfr. W. Kasper, The Theological Foundations of Human Rights, in The Jurist, 1990, 50, p. 160.

53
dialogare con la cultura secolare, senza però rompere con la tradizionale dottrina dei
doveri189.
Tornando alla nozione di diritti dell’uomo, ritenuti fondamentali nell’ambito
delle concezioni sia giusnaturalistica sia statualistica moderne in quanto inviolabili,
si può ritenere, secondo alcuni 190, che proprio questa caratteristica consenta di dotarli
intrinsecamente di uno specifico rilievo soprattutto nell’ordinamento canonico: il
diritto della Chiesa è infatti diretto ad assicurare la salute delle anime 191, principio
supremo che diviene parametro di legittimità dello stesso diritto e pietra d’angolo
della natura funzionale dell’ordinamento, volto a garantire la persona umana. Ne
consegue l’impossibilità nell’ordinamento canonico di disconoscere in qualsiasi
maniera o addirittura di violare i diritti fondamentali, opportunità invece possibile,
persino legittimata giuridicamente e ideologicamente, negli ordinamenti statuali, in
base al principio ius quia iussum, attraverso cui si potranno limitare tali diritti,
utilizzando il ricorso ai principi fondamentali o supremi dell’ordinamento 192.
Viceversa nell’ordinamento ecclesiale, sul fondamento che il servizio alla persona
costituisce uno dei principi supremi, tale violazione non potrà mai realizzarsi, al
punto che l’eventuale misconoscimento minerebbe la stessa giustificazione e
legittimazione dell’ordinamento.
Da ciò deriva, come è stato osservato in dottrina 193, l’impossibilità di recepire
i diritti fondamentali nell’elencazione fornita nei testi costituzionali degli Stati
moderni e nei documenti emanati dalle organizzazioni internazionali, all’interno
dell’ordinamento canonico, stante la radicale incompatibilità con i principi

189
Cfr. M. Pera, Diritti umani e cristianesimo. La Chiesa alla prova della modernità, Venezia, 2015,
p. 103.
190
Cfr. G. Dalla Torre, Diritti dell’uomo o diritti del cristiano?, cit., p. 134.
191
Il fine della salvezza delle anime, come proprio della società ecclesiastica e sua legge suprema,
“rappresenta un dato fondamentale per determinare la natura di qualsiasi società”. Dall’affermazione
di tale fine deriva, da un lato, l’incompetenza per la Chiesa per ciò che ne è estraneo e dall’altro
l’elenco dei diritti e dei doveri fondamentali “che la costituzione della Chiesa riconosce e tutela, e la
posizione dei soggetti che hanno la titolarità di tali diritti e doveri”. P. Lombardia, Lezioni di diritto
canonico. Introduzione. Diritto costituzionale. Parte generale, cit., pp. 92 e 95.
192
Paradossalmente, come è stato evidenziato, nello Stato possono sommarsi le posizioni opposte “del
potenziale violatore dei diritti e del loro unico tutore”. F. Gentile, L’uomo e i suoi diritti. Scienza e
filosofia di fronte al problema del fondamento e della tutela dei diritti dell’uomo, in Verifiche, 1980, 1,
p. 157.
193
Cfr. G. Dalla Torre, Diritti dell’uomo o diritti del cristiano?, cit., p. 135.

54
dell’istituzione ecclesiale, nonché dall’accoglimento storicamente determinato di tali
situazioni all’interno degli ordinamenti positivi secolari.
L’assenza di qualsiasi rilevanza del fenomeno temporale nell’ordinamento
canonico comporta l’assenza di quella tendenza evolutiva del diritto, in particolare
delle situazioni giuridiche soggettive fondamentali, che invece affligge il diritto
positivo delle istituzioni politiche statuali, quando queste adottino una concezione sia
giuspositivista che contrattualista dell’ordinamento.
Pertanto i diritti umani nella Chiesa non si connotano per la loro storicità,
sebbene risentano delle esigenze dettate dalle diverse situazioni di tempo e di luogo:
non si tratta della questione relativa alla positivazione o formalizzazione del diritto
divino194 o della determinazione dei requisiti e delle modalità per l’esercizio dei
singoli diritti, individuate dal legislatore ecclesiastico, bensì della possibilità di
evidenziare alcuni diritti dell’uomo particolarmente sensibili alla dimensione storica
e che pertanto risultano dipendenti dall’evoluzione umana, e dunque storica e
contingente, della società ecclesiale, delle sue norme e delle sue istituzioni195.
Se dunque possono individuarsi principi generali astratti di origine divina e
immediatamente vigenti, o per i quali si richieda un’opera di positivazione soltanto
formale, si riscontrano anche diritti qualificati come fondamentali dalla dottrina, che
risultano legati alla situazione odierna della società ecclesiastica e pertanto
storicamente determinati196.
A ciò si aggiunga che il riconoscimento dei diritti fondamentali dell’uomo è
stato condizionato dalla concezione dei singoli diritti soggettivi, dalla loro
individuazione e dalla crisi che ha colpito il loro fondamento. Come è stato
osservato197, la mancanza di qualsiasi fondamento ontologico dei diritti dell’uomo ha

194
Hervada denomina positivazione la “presa di coscienza ecclesiale dei contenuti del diritto divino”,
cui segue la formalizzazione, ossia “il suo inserimento nell’ordinamento giuridico”, da intendersi
quest’ultimo come ordine strutturato tecnicamente, condizionante o indicante le regole per la validità,
l’efficacia e l’applicazione del diritto. Cfr. P. Lombardia, Lezioni di diritto canonico. Introduzione.
Diritto costituzionale. Parte generale, cit., p. 14.
195
Cfr. G. Dalla Torre, Diritti dell’uomo o diritti del cristiano?, cit., p. 137.
196
Si pensi ad esempio al diritto dei fedeli di far parte di quegli organismi di partecipazione alla
missione della Chiesa, come il Consiglio pastorale, o ancora a quei diritti di natura sindacale o sociale,
riferiti a chierici, religiosi o laici, che prestino la loro attività nelle istituzioni ecclesiastiche. Cfr. J.A.
Coriden, I diritti umani nella Chiesa: una questione di credibilità e di autenticità, in Concilium, 1979,
4, p. 115.
197
Cfr. G. Lo Castro, Il soggetto e i suoi diritti nell’ordinamento canonico, Milano, 1985, p. 268 s.

55
condotto ad una loro nozione volontaristica ed arbitraria, con l’assoluta mancanza di
una tutela obiettiva. Soltanto il recupero di una retta idea di norma potrà fornire il
sicuro fondamento ai diritti dell’uomo, liberandolo anche dalla necessità di
attribuirgli qualifiche o aggettivazioni, sintomo evidente di debolezza e non certo di
forza della nozione, con ciò allontanando quella volontaristica assolutizzazione di tali
situazioni giuridiche che può, quasi paradossalmente, coincidere con la loro totale
negazione, evidenza che appare fenomenicamente osservando il panorama mondiale
in cui, pur in presenza di solenni affermazioni dei diritti umani, si assiste alla loro
quotidiana violazione198.

2. Diritti e doveri come criterio per l’individuazione dello statuto dei diritti
umani nell’ordinamento canonico

La persona umana, soggetto titolare di diritti e doveri fondamentali, secondo


quanto espresso in una molteplicità di documenti del Magistero199, è tenuta a
riconoscere e rispettare le stesse situazioni giuridiche soggettive attive in capo alle
altre persone. Da ciò deriva l’apprezzamento necessario dei doveri così come
delineati nello stesso ordinamento canonico, diversamente delineati a seconda del
soggetto che ne risulta onerato. In particolare per i fedeli l’obbligo di rispettare i

198
Come rileva Lo Castro, “la reiterata, universale, affannosa proclamazione dei diritti fondamentali
dell’uomo non riuscirebbe così a nascondere la labilità della loro radice; essi, fondanti nella volontà
dell’uomo, potrebbero con il suo mutare non essere più rispettati, senza che si possa rimproverare a
chi li lede una incoerenza teoretica, giacché questa supporrebbe fermo e immutabile il parametro di
riferimento (la volontà dell’Essere sottesa al concetto di natura), mentre l’operazione diventa
perfettamente coerente quando ad un concetto di natura relativizzato se ne sostituisce un altro”. G. Lo
Castro, Il soggetto e i suoi diritti nell’ordinamento canonico, cit., p. 269.
199
Ad esempio nella Pacem in terris si legge: “Nella convivenza umana ogni diritto naturale in una
persona comporta un rispettivo dovere in tutte le altre persone: il dovere di riconoscere e rispettare
quel diritto. Infatti ogni diritto fondamentale della persona trae la sua forza morale insopprimibile
dalla legge naturale che lo conferisce, e impone un rispettivo dovere. Coloro pertanto che, mentre
rivendicano i propri diritti, dimenticano o non mettono nel debito rilievo i rispettivi doveri, corrono il
pericolo di costruire con una mano e distruggere con l’altra”. Giovanni XXIII, Pacem in terris, 15, in
www.vatican.va. Analogamente nella Gaudium et spes: “I diritti delle persone, delle famiglie e dei
gruppi e il loro esercizio devono essere riconosciuti, rispettati e promossi non meno dei doveri ai quali
ogni cittadino è tenuto. Tra questi ultimi non sarà inutile ricordare il dovere di apportare allo Stato i
servizi, materiali e personali, richiesti dal bene comune”. Const. dogm. Gaudium et spes, 75, in
www.vatican.va.

56
diritti altrui trova fondamento non solo su di un presupposto razionale ma soprattutto
nei doveri conseguenti all’adesione al Magistero200.
Lo stesso codice canonico attribuisce alla Chiesa il compito di annunciare i
principi morali, come conseguenza dell’affermazione dei diritti fondamentali della
persona umana201, ed i fedeli laici sono chiamati a tener conto della dottrina della
Chiesa nel corso di quelle attività variegate poste in essere nell’ambito della società
civile, al fine di promuovere e realizzare il bene comune202. Anzi, la partecipazione
attiva alla vita pubblica, anche quando conduca all’assunzione di incarichi di
governo, è condizionata dall’osservanza dei diritti della persona umana, e dunque i
laici, pur nell’esercizio di quella libertà attribuitagli dall’ordinamento canonico 203,
devono ordinare le loro azioni allo spirito evangelico, in ossequio a quanto contenuto
nella dottrina della Chiesa e pertanto, in tema di diritti umani, seguendo le
indicazioni fornite dal Magistero204.
200
Cfr. G. Comotti, Sui diritti umani nell’ordinamento canonico, cit., p. 85.
201
Il §2 del can. 747 così recita: “È compito della Chiesa annunciare sempre e dovunque i principi
morali anche circa l’ordine sociale, e così pure pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana, in
quanto lo esigono i diritti fondamentali della persona umana o la salvezza delle anime”.
202
Come chiarisce Giovanni Paolo II: “Per animare cristianamente l’ordine temporale, nel senso detto
di servire la persona e la società, i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla
«politica», ossia alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e
culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune. Come
ripetutamente hanno affermato i Padri sinodali, tutti e ciascuno hanno diritto e dovere di partecipare
alla politica, sia pure con diversità e complementarietà di forme, livelli, compiti e responsabilità (…)
Inoltre, una politica per la persona e per la società trova la sua linea costante di cammino nella difesa e
nella promozione della giustizia, intesa come «virtù» alla quale tutti devono essere educati e come
«forza» morale che sostiene l’impegno a favorire i diritti e i doveri di tutti e di ciascuno, sulla base
della dignità personale dell’essere umano … Nello stesso tempo – e questo è sentito oggi come
urgenza e responsabilità – i fedeli laici devono testimoniare quei valori umani ed evangelici che sono
intimamente connessi con l’attività politica stessa, come la libertà e la giustizia, la solidarietà, la
dedizione fedele e disinteressata al bene di tutti, lo stile semplice di vita, l’amore preferenziale per i
poveri e gli ultimi. Ciò esige che i fedeli laici siano sempre più animati da una reale partecipazione
alla vita della Chiesa e illuminati dalla sua dottrina sociale. (…) Collaborando con tutti coloro che
cercano veramente la pace e servendosi degli specifici organismi e istituzioni nazionali e
internazionali, i fedeli laici devono promuovere un’opera educativa capillare destinata a sconfiggere
l’imperante cultura dell’egoismo, dell’odio, della vendetta e dell’inimicizia e a sviluppare la cultura
della solidarietà ad ogni livello”. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 42, in www.vatican.va.
203
Secondo il can. 227: “È diritto dei fedeli laici che venga loro riconosciuta nella realtà della città
terrena quella libertà che compete ad ogni cittadino; usufruendo tuttavia di tale libertà, facciano in
modo che le loro azioni siano animate dallo spirito evangelico e prestino attenzione alla dottrina
proposta dal magistero della Chiesa, evitando però di presentare nelle questioni opinabili la propria
tesi come dottrina della Chiesa”.
204
È infatti diritto della Chiesa “predicare la fede e insegnare la propria dottrina sociale, esercitare
senza ostacoli la propria missione tra gli uomini e dare il proprio giudizio morale, anche su cose che

57
Ai diritti dell’uomo corrispondono anche doveri della Chiesa intesa nella sua
unità, configurabili come coerenti con le caratteristiche e le finalità dell’ordinamento
canonico e di quei beni al cui conseguimento è preordinato 205. I diritti umani quindi,
similmente a quanto accade per le istituzioni secolari, divengono una sorta di norma
oggettiva, posta a fondamento del diritto positivo, che allora non potrà mai assumere
contenuti in contrasto con tali diritti. In questi trovano espressione massima quelle
universali esigenze di giustizia, limite invalicabile persino per il legislatore canonico,
norme pertanto inderogabili e di natura cogente, precedenti a qualsivoglia
legislazione positiva206. L’eventuale disciplina ecclesiastica che manifestasse
elementi di contrasto con tali fondamenti, dovrebbe allora ritenersi incostituzionale e
dunque illegittima, carente di qualsiasi efficacia giuridica e, qualora si trattasse
dell’applicazione ad una fattispecie concreta, la disposizione così qualificata
dovrebbe essere disapplicata, avvalendosi dello strumento dell’aequitas canonica207.
riguardano l’ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla
salvezza delle anime. E farà questo utilizzando tutti e soli quei mezzi che sono conformi al Vangelo e
in armonia col bene di tutti, secondo la diversità dei tempi e delle situazioni”. Const. dogm. Gaudium
et spes, 76, in www.vatican.va.
205
La Chiesa, in quanto mistero di fede, è costituita da quell’insieme di uomini “uniti da vincoli
soprannaturali, consistenti nella partecipazione al mistero di Cristo-Verbo incarnato, della cui opera e
missione la Chiesa afferma di essere continuatrice”. Attraverso l’istituzione ecclesiale opera Cristo, e
la Chiesa “conserva e propaga la parola di Dio e dispensa i mezzi di salvezza istituiti dallo stesso Dio-
Uomo (sacramenti)”. Pertanto la Chiesa può essere rappresentata nella triplice prospettiva di popolo,
comunità e società: con il primo aspetto “si vuole segnalare che i cristiani appartengono ad una
medesima stirpe – quella di figli di Dio – in virtù di vincoli ontologici, che, unendo ciascuno di essi
con Cristo, li mettono altresì in relazione fra loro”; la Chiesa è poi comunità in quanto sussiste quella
“solidarietà derivante da tali vincoli”, avendosi tra i fedeli “beni, oggetti e interessi comuni”; in
particolare devono intendersi per beni comuni quei “mezzi di salvezza – specialmente la parola di Dio
e i sacramenti – che Cristo affidò alla sua Chiesa”; infine il concetto di società sottolinea
evidenziandolo quell’aspetto secondo cui la Chiesa “è un’entità strutturata in maniera unitaria e
organica”. P. Lombardia, Lezioni di diritto canonico. Introduzione. Diritto costituzionale. Parte
generale, cit., p. 4 s.
206
Come chiarito da Benedetto XVI nel corso del Congresso internazionale sul diritto naturale,
tenutosi a Roma il 12 febbraio 2007, presso la Pontificia Università Lateranense: “Si esprimono, in
questi valori, norme inderogabili e cogenti che non dipendono dalla volontà del legislatore e neppure
dal consenso che gli Stati possono ad esse prestare. Sono infatti norme che precedono qualsiasi legge
umana: come tali, non ammettono interventi in deroga da parte di nessuno”. Benedetto XVI, Discorso
ai partecipanti al Congresso internazionale sul diritto naturale, in www.vatican.va.
207
La norma giuridica all’interno dell’ordinamento canonico può ritenersi legittima qualora presenti
la caratteristica della razionalità, da intendersi come congruenza fra diritto divino e diritto umano, cui
si aggiunge l’elemento dell’armoniosità dell’intero ordinamento nei rapporti sussistenti tra i diversi
momenti del diritto, i quali “devono tendere congiuntamente al conseguimento del fine della salvezza
delle anime”. P. Lombardia, Lezioni di diritto canonico. Introduzione. Diritto costituzionale. Parte
generale, cit., p. 200. Si ricorda che, secondo il §2 del canone 221, “i fedeli hanno anche il diritto, se

58
Le relazioni interpersonali che assumono rilevanza per l’ordinamento della
Chiesa, vengono disciplinate secondo giustizia, recependo così quella dimensione del
diritto naturale all’interno dell’ordinamento e munendo in tal modo l’istituzione
ecclesiale di quella razionalità idonea ad informare di senso e significato il dover
essere del diritto, che tuttavia riconosce quale suo fondamento la stessa natura
umana208. L’eventuale presenza di un esplicito rinvio del legislatore canonico al
diritto naturale comporta l’obbligo generale di obbedienza del testo normativo da
parte dei destinatari del precetto e ciò anche quando venisse determinato che l’opera
legislativa non intendeva impegnare definitivamente l’autorità del Magistero.
Tuttavia la presenza di tale rinvio renderà impossibile l’applicazione
dell’istituto della dispensa209, nonché la formazione di consuetudini contrarie, le quali
dovrebbero correttamente qualificarsi come irrazionali210, ritenendosi per alcuni211 la
menzione del diritto naturale un sintomo di maggior forza della prescrizione, così da

sono chiamati in giudizio dall’autorità competente, di essere giudicati secondo le disposizioni di


legge, da applicare con equità”.
208
Precisa così Benedetto XVI: “Quando sono in gioco le esigenze fondamentali della dignità della
persona umana, della sua vita, dell’istituzione familiare, dell’equità dell’ordinamento sociale, cioè i
diritti fondamentali dell’uomo, nessuna legge fatta dagli uomini può sovvertire la norma scritta dal
Creatore nel cuore dell’uomo, senza che la società stessa venga drammaticamente colpita in ciò che
costituisce la sua base irrinunciabile. La legge naturale diventa così la vera garanzia offerta ad ognuno
per vivere libero e rispettato nella sua dignità, e difeso da ogni manipolazione ideologica e da ogni
arbitrio e sopruso del più forte. Nessuno può sottrarsi a questo richiamo. Se per un tragico
oscuramento della coscienza collettiva, lo scetticismo e il relativismo etico giungessero a cancellare i
principi fondamentali della legge morale naturale, lo stesso ordinamento democratico sarebbe ferito
radicalmente nelle sue fondamenta. Contro questo oscuramento, che è crisi della civiltà umana, prima
ancora che cristiana, occorre mobilitare tutte le coscienze degli uomini di buona volontà, laici o anche
appartenenti a religioni diverse dal Cristianesimo, perché insieme e in modo fattivo si impegnino a
creare, nella cultura e nella società civile e politica, le condizioni necessarie per una piena
consapevolezza del valore inalienabile della legge morale naturale. Dal rispetto di essa infatti dipende
l’avanzamento dei singoli e della società sulla strada dell’autentico progresso in conformità con la
retta ragione, che è partecipazione alla Ragione eterna di Dio”. Benedetto XVI, Discorso ai membri
della Commissione teologica internazionale (5 ottobre 2007), in www.vatican.va.
209
Secondo quanto statuito dal can. 85, “la dispensa, ossia l’esonero dall’osservanza di una legge
puramente ecclesiastica in un caso particolare, può essere concessa da quelli che godono di potestà
esecutiva, entro i limiti della loro competenza, e altresì da quelli cui compete la potestà di dispensare
esplicitamente o implicitamente sia per lo stesso diritto sia in forza di una legittima delega”.
210
I requisiti richiesti per l’applicazione della consuetudine sono: il consenso del legislatore, l’animus
communitatis, la razionalità e il decorso del tempo. In particolare il secondo richiede la congruenza
della norma consuetudinaria con i principi del diritto divino e con le linee fondamentali della
regolazione canonica della materia cui la consuetudine si deve applicare. P. Lombardia, Lezioni di
diritto canonico. Introduzione. Diritto costituzionale. Parte generale, cit., p. 209 s.
211
Cfr. G. Dalla Torre, Diritti dell’uomo o diritti del cristiano?, cit., p. 111.

59
renderla indisponibile alle modifiche prodotte dagli strumenti ordinari di
innovazione.
Parallelamente al concetto di diritto fondamentale della persona umana,
nell’ordinamento canonico si introduce la nozione di diritti fondamentali del fedele,
da ritenersi universali, perpetui ed irrinunciabili212. Tali diritti vengono riconosciuti in
capo al fedele derivando direttamente e immediatamente dalla costituzione della
Chiesa, delineando gli spazi di autonomia riconosciuti agli stessi fedeli,
affidandosene loro l’esercizio e la difesa213. Secondo la dottrina214 possono
distinguersene tre profili, ossia i diritti propriamente detti, i principi informatori e gli
interessi giuridicamente proteggibili e protetti: i primi sono rappresentati da quei beni
dovuti secondo giustizia; i secondi invece informano l’ordinamento giuridico e
l’azione pastorale, indicando i criteri di interpretazione del diritto e le direttive da
seguire per lo svolgimento dell’attività gerarchica in merito al loro riconoscimento,
alla loro tutela e alla loro promozione; i terzi possono rintracciarsi quando manchi il
riconoscimento di un diritto in senso proprio, sebbene sia individuabile un interesse
legittimo relativo ai beni costituenti i diritti fondamentali e pertanto al fedele si dovrà

212
Presente nel dibattito dottrinale postconciliare in materia di diritti dei fedeli, una loro
formalizzazione, unitamente ai doveri, si è avuta nel codice di diritto canonico del 1983. Cfr. J.I.
Arrieta, voce Diritto soggettivo II) Diritto canonico, in Enc. giur., Roma, XI, 1989, p. 6. È bene
ricordare con Corecco che “il problema della formalizzazione di un catalogo dei diritti-doveri del
fedele nell’ordinamento giuridico della Chiesa cattolica, in termini analoghi a quello dei cataloghi
delle dichiarazioni dei diritti dell’uomo e dei diritti fondamentali nelle costituzioni statuali moderne,
risale soltanto all’epoca del Vaticano II”. E. Corecco, Il catalogo dei doveri-diritti del fedele nel CIC,
in I diritti fondamentali della persona umana e la libertà religiosa. Atti del V Colloquio giuridico (8-
10 marzo 1984), a cura di Franco Biffi, Roma, 1985, p. 101.
213
Come è stato rilevato da Mirabelli, “l’assetto fondamentale dei poteri nella Chiesa deriva dalla
volontà costitutiva del suo divino Fondatore e non dipende dalla (mutevole e mutabile) volontà dei
suoi membri. Non si ha dunque, come invece nella società politica, una radice competitiva (se non
conflittuale) del potere, che è destinata ad incidere sul modo d’essere dei diritti fondamentali, diretti a
garantire la sfera di inviolabilità individuale di fronte all’autorità che il potere esprime ed in relazione
alle forme in cui esso si esprime. Ciò non significa, tuttavia, che nella Chiesa i diritti fondamentali sia
pure ricognitivi dell’assetto costituzionale ‘voluto’ e non costitutivi di esso, non concorrano a
garantire il corretto modo di esercizio del potere, e quindi a determinarne i limiti, mediante il
riconoscimento e la tutela delle situazioni giuridiche individuali che esprimono il nucleo essenziale ed
inviolabile del patrimonio giuridico della persona in relazione alla funzione propria dell’ordinamento
di appartenenza. Essi anzi sono ‘fondamentali’ in quanto costituiscono e realizzano in modo
‘dinamico’ lo sviluppo della stessa appartenenza confessionale”. C. Mirabelli, La protezione giuridica
dei diritti fondamentali, in I diritti fondamentali del cristiano nella Chiesa e nella società. Atti del IV
Congresso internazionale di diritto canonico, cit., p. 406 s.
214
Cfr. J. Hervada, Diritto costituzionale canonico, Milano, 1989, p. 93.

60
riconoscere la capacità di intervenire legittimamente in quei procedimenti, di natura
sia giudiziale che amministrativa, che lo riguardino.
Derivando dalla costituzione stessa della Chiesa, tali diritti fondamentali si
basano necessariamente su principi di diritto divino, nell’esplicitare positivamente
quel riconoscimento immediato di una realtà ontologica e sacramentale del fedele,
garantendo le esigenze proprie dell’essere cristiano. Il loro esercizio potrà essere
fatto valere fino a quando tali situazioni giuridiche soggettive corrispondano al loro
fondamento e al loro significato, essendo pertanto manifestazioni della libertà
cristiana, in considerazione della posizione del fedele nella Chiesa, della sua
responsabilità e della sua partecipazione alla comunità del popolo di Dio215.
I canoni del codice, che dal 1983 hanno affermato pienamente diritti e doveri
comuni a tutti i fedeli216, hanno introdotto nell’ordinamento canonico, anche se nella
forma della legge ordinaria, disposizioni cui deve riconoscersi, secondo quanto
ritenuto dalla dottrina217, un valore sostanzialmente costituzionale, poiché
recepiscono nella gran parte contenuti di diritto divino, naturale e positivo, che come
già visto è ritenuto vigente dall’ordinamento ecclesiale, con una forza che prevale nei
confronti di qualsiasi diritto umano.
Da ciò consegue un’importanza giuridica particolarmente incisiva, in quanto
tali disposizioni potranno essere strumento utilizzabile per procedere
all’interpretazione dell’intero ordinamento canonico, come pure valutare le
prescrizioni del diritto umano.
È anche però vero che il codice, come evidenziato della dottrina218, non ha
accolto, e ciò per garantire esigenze sistematiche, l’affermazione relativa alla dignità
della persona umana, nonché l’elenco dei suoi diritti e doveri fondamentali, il che
consegue alla difficoltà di attribuire all’elemento della fondamentalità quel senso
proprio degli ordinamenti secolari219.

215
Cfr. J. Hervada, Diritto costituzionale canonico, cit., p. 94.
216
In particolare il titolo I della parte I del libro II (cann. 208-223) disciplina i diritti e i doveri di tutti i
fedeli, il titolo II (cann. 224-231) detta le disposizioni in materia di diritti e doveri dei fedeli laici, il
titolo III (cann. 273-289) elenca i diritti e i doveri sanciti per i chierici e infine il cap. IV del titolo II
della I sezione della parte II del libro II (cann. 662-672) è dedicato ai diritti e ai doveri dei religiosi,
membri di istituti di vita consacrata e di società di vita apostolica.
217
Cfr. J.I. Arrieta, voce Diritto soggettivo II) Diritto canonico, cit., p. 7.
218
Cfr. G. Lo Castro, Il soggetto e i suoi diritti nell’ordinamento canonico, cit., p. 270.
219
Cfr. E. Corecco, Il catalogo dei doveri-diritti del fedele nel CIC, cit., p. 118.

61
Pertanto, tornando ai diritti e ai doveri elencati in apertura del libro II del
codice canonico, non sembrerebbero identificabili caratteri di omogeneità: se
prevalentemente tali diritti-doveri costituiscono quella condizione ontologica e
sacramentale del fedele, riconducibile alla lex redemptionis o gratiae, essendo
espressione della Chiesa intesa come società religiosa, altre situazioni giuridiche
soggettive riconosciute devono ascriversi all’uomo in quanto tale, riferibili pertanto
alla lex creationis o naturae, ma da viversi all’interno della chiesa, in quanto
organismo sociale giuridicamente strutturato e nel quale i valori umani non possono
trascurarsi, rappresentando la premessa necessaria e indispensabile per poter
realizzare i valori religiosi220.
Scorrendo i singoli canoni, si osserva come ai fedeli venga riconosciuta una
serie di diritti, riconducibili alla prima e alla seconda categoria sopra individuate, che
per la prima sono i seguenti: di attivarsi affinché il messaggio di salvezza possa
essere comunicato a tutti gli uomini (can. 211)221; di manifestare ai pastori della
Chiesa quelle necessità soprattutto spirituali nonché i propri desideri (can. 212 §
2)222; di far conoscere la propria opinione su quanto deve rappresentare il bene della
Chiesa (can. 212 §3)223; di ricevere dai pastori i beni spirituali, soprattutto la parola di
Dio e i sacramenti (can. 213)224; di esprimere il culto in base al proprio rito, seguendo
la propria forma di vita spirituale (can. 214)225; di promuovere e sostenere le
iniziative apostoliche, con ciò realizzando il diritto naturale a costituirsi in

220
Cfr. G. Lo Castro, Il soggetto e i suoi diritti nell’ordinamento canonico, cit., p. 227.
221
“Tutti i fedeli hanno il dovere e il diritto di impegnarsi perché l’annuncio divino della salvezza si
diffonda sempre più fra gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo”.
222
“I fedeli sono liberi di manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie necessità, soprattutto spirituali,
e i propri desideri”.
223
“In modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi hanno il
diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che
riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e
dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità delle
persone”.
224
“I fedeli hanno il diritto di ricevere dai sacri Pastori gli aiuti derivanti dai beni spirituali della
Chiesa, soprattutto dalla parola di Dio e dai sacramenti”.
225
“I fedeli hanno il diritto di rendere culto a Dio secondo le disposizioni del proprio rito approvato
dai legittimi Pastori della Chiesa e di seguire un proprio metodo di vita spirituale, che sia però
conforme alla dottrina della Chiesa”.

62
associazione (can. 216)226; a ricevere e impartire un’educazione cristiana (can.
217)227; a determinare liberamente il proprio stato di vita (can. 219) 228. Sono
riconducibili alla seconda categoria invece i diritti: alla fama e all’intimità (can.
220)229; di associazione e di riunione (can. 215)230; alla protezione giurisdizionale dei
diritti (can. 221 §1)231; ad essere giudicato secondo la legge applicata con equità (can.
221 §2)232; di libertà di ricerca nelle scienze sacre, nel rispetto del Magistero (can.
218)233.
Per quanto riguarda gli ulteriori diritti previsti per le categorie dei laici, dei
chierici e dei religiosi, si può affermare che si tratti di una specificazione di quelli già
riconosciuti a ciascun fedele, attribuiti con la particolare declinazione che tiene conto
della peculiarità della situazione soggettiva del titolare234, cui si aggiungono capacità
226
“Tutti i fedeli, in quanto partecipano alla missione della Chiesa, hanno il diritto di promuovere o di
sostenere l’attività apostolica anche con proprie iniziative, secondo lo stato e la condizione di
ciascuno; tuttavia nessuna iniziativa rivendichi per se stessa il nome di cattolica, senza il consenso
dell’autorità ecclesiastica competente”.
227
“I fedeli, in quanto sono chiamati mediante il battesimo a condurre una vita conforme alla dottrina
evangelica, hanno diritto all’educazione cristiana, con cui possano essere debitamente formati a
conseguire la maturità della persona umana e contemporaneamente a conoscere e a vivere il mistero
della salvezza”.
228
“Tutti i fedeli hanno il diritto di essere immuni da qualsiasi costrizione nella scelta dello stato di
vita”.
229
“Non è lecito ad alcuno ledere illegittimamente la buona fama di cui uno gode, o violare il diritto di
ogni persona a difendere la propria intimità”.
230
“I fedeli sono liberi di fondare e di dirigere liberamente associazioni che si propongano un fine di
carità o di pietà, oppure associazioni che si propongano l’incremento della vocazione cristiana nel
mondo; sono anche liberi di tenere riunioni per il raggiungimento comune di tali finalità”.
231
“Compete ai fedeli rivendicare e difendere legittimamente i diritti di cui godono nella Chiesa
presso il foro ecclesiastico competente a norma del diritto”.
232
“I fedeli hanno anche il diritto, se sono chiamati in giudizio dall’autorità competente, di essere
giudicati secondo le disposizioni di legge, da applicare con equità”.
233
“Coloro che si dedicano alle scienze sacre godono della giusta libertà di investigare e di
manifestare con prudenza il loro pensiero su ciò di cui sono esperti, conservando il dovuto ossequio
nei confronti del magistero della Chiesa”.
234
Come ad esempio i cann. 226 §1 (“I laici che vivono nello stato coniugale, secondo la propria
vocazione, sono tenuti al dovere specifico di impegnarsi, mediante il matrimonio e la famiglia,
nell’edificazione del popolo di Dio”), 273 (“I chierici sono tenuti per un obbligo speciale a prestare
rispetto e obbedienza al Sommo Pontefice e al proprio Ordinario”) e 663 (“§1. Primo e particolare
dovere di tutti i religiosi deve essere la contemplazione delle realtà divine e la costante unione con Dio
nell’orazione. §2. I religiosi per quanto è possibile partecipino ogni giorno al Sacrificio eucaristico,
ricevano il Corpo santissimo di Cristo e adorino lo stesso Signore presente nel Sacramento. §3.
Attendano alla lettura della sacra Scrittura e all’orazione mentale, alla dignitosa celebrazione della
liturgia delle ore secondo le disposizioni del diritto proprio, fermo restando per i chierici l’obbligo di
cui nel can. 276, §2, n. 3 e compiano gli altri esercizi di pietà. §4. Onorino con culto speciale, anche
con la pratica del rosario mariano, la Vergine Madre di Dio, modello e patrona di ogni vita consacrata.

63
riconosciute in capo ai soggetti235, nonché diritti che parrebbero esercitabili nei
confronti delle autorità civili piuttosto che di quella ecclesiastica236.
In dottrina237 è stato proposto, al fine di sistematizzare i diritti e i doveri
contenuti nel codice, un criterio interpretativo che tenga conto di quattro aspetti
relativi alla condizione giuridica del fedele, in considerazione della relazione che
deve sussistere con il popolo di Dio: la condizione di comunione nella fede e negli
strumenti di salvezza; la condizione di libertà che delimita la sfera della legittima
autonomia nell’agire ecclesiale; la condizione attiva nell’ambito della partecipazione
alla vita attiva della Chiesa in quegli aspetti che assumono particolare rilievo sociale;
la condizione di subordinazione all’istituzione ecclesiale e di legame con i pastori
legittimamente istituiti238. Tuttavia permangono difficoltà nell’individuare un
principio unificante delle disposizioni esaminate, che non potrà certo essere la sola
qualifica formale e neppure il fondamento ultimo dei diritti e dei doveri, residuando
ulteriormente, come è stato sottolineato239, la questione del rapporto tra la legge e il
diritto soggettivo fondamentale, ossia se quest’ultimo debba aver bisogno del
riconoscimento positivo da parte dell’ordinamento per ricevere la qualificazione
giuridica.

3. Singoli diritti umani e specificità dell’ordinamento canonico

Nell’enciclica Centesimus annus, Giovanni Paolo II ha fornito un catalogo dei


diritti umani la cui fonte e compendio è la libertà religiosa, di cui si parlerà

§5. Osservino fedelmente i tempi annuali di sacro ritiro”).


235
Si pensi al can. 228: Ҥ1. I laici che risultano idonei, sono abili ad essere assunti dai sacri Pastori in
quegli uffici ecclesiastici e in quegli incarichi che sono in grado di esercitare secondo le disposizioni
del diritto. §2. I laici che si distinguono per scienza adeguata, per prudenza e per onestà, sono abili a
prestare aiuto ai Pastori della Chiesa come esperti o consiglieri, anche nei consigli a norma del
diritto”.
236
Come il can. 227: “È diritto dei fedeli laici che venga loro riconosciuta nella realtà della città
terrena quella libertà che compete ad ogni cittadino; usufruendo tuttavia di tale libertà, facciano in
modo che le loro azioni siano animate dallo spirito evangelico e prestino attenzione alla dottrina
proposta dal magistero della Chiesa, evitando però di presentare nelle questioni opinabili la propria
tesi come dottrina della Chiesa”.
237
Cfr. J. Hervada, P. Lombardia, El Derecho del Pueblo de Dios, I, Pamplona, 1970, p. 271.
238
Cfr. J.I. Arrieta, voce Diritto soggettivo II) Diritto canonico, cit., p. 7.
239
Cfr. G. Lo Castro, Il soggetto e i suoi diritti nell’ordinamento canonico, cit., p. 238.

64
diffusamente nel capitolo successivo, da intendersi come diritto a vivere nella propria
fede, conformemente alla dignità trascendente della propria persona; nell’elenco dei
diritti indicati dal Pontefice si trovano: quello alla vita, che comprende il diritto a
crescere con la madre, all’interno di una famiglia unita e connotata da una moralità
che possa favorire lo sviluppo della personalità; il diritto a rafforzare la propria
intelligenza e la libertà nella ricerca della verità; alla partecipazione al lavoro,
valorizzando i beni del mondo e ricavandone sostentamento; infine il diritto a
fondare una famiglia, accogliendo ed educando gli eventuali figli, nell’esercizio
responsabile della sessualità240.
La diversa natura che contraddistingue da un lato la Chiesa e dall’altro
l’ordinamento dello Stato, rende impossibile, come è stato sottolineato in dottrina 241,
la realizzazione o la tutela di alcuni dei diritti appena ricordati, sebbene tali
situazioni giuridiche appaiano evidentemente coessenziali alla istituzione di un
ordinamento sociale e giuridico che possa qualificarsi giusto. Il dualismo pertanto,
che fin dalle origini attraversa la predicazione cristiana, fondato sulla distinzione tra
l’ordinamento di Cesare e quello di Dio 242, non esclude però, come peraltro ribadito
nei documenti del Magistero, che la Chiesa, la quale non può sostituirsi alle
istituzioni politiche statali, debba comunque impegnarsi affinché il giusto possa
essere riconosciuto e dunque realizzato, avvalendosi dell’argomentazione razionale e
240
Così chiarisce Giovanni Paolo II: “Dopo il crollo del totalitarismo comunista e di molti altri regimi
totalitari e «di sicurezza nazionale», si assiste oggi al prevalere, non senza contrasti, dell’ideale
democratico, unitamente ad una viva attenzione e preoccupazione per i diritti umani. Ma proprio per
questo è necessario che i popoli che stanno riformando i loro ordinamenti diano alla democrazia un
autentico e solido fondamento mediante l’esplicito riconoscimento di questi diritti. Tra i principali
sono da ricordare: il diritto alla vita, di cui è parte integrante il diritto a crescere sotto il cuore della
madre dopo essere stati generati; il diritto a vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale,
favorevole allo sviluppo della propria personalità; il diritto a maturare la propria intelligenza e la
propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità; il diritto a partecipare al lavoro per
valorizzare i beni della terra ed a ricavare da esso il sostentamento proprio e dei propri cari; il diritto a
fondare liberamente una famiglia ed a accogliere e educare i figli, esercitando responsabilmente la
propria sessualità. Fonte e sintesi di questi diritti è, in un certo senso, la libertà religiosa, intesa come
diritto a vivere nella verità della propria fede ed in conformità alla trascendente dignità della propria
persona”. Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 47, in www.vatican.va.
241
Cfr. G. Comotti, Sui diritti umani nell’ordinamento canonico, cit., p. 96.
242
Per dualismo cristiano si intende quell’impostazione che trova fondamento nel Nuovo Testamento e
una prima formulazione con Papa Gelasio I, secondo cui tra il potere politico e quello religioso
sussiste una distinzione tale per cui spetta al primo il governo delle cose temporali e al secondo il
regime dei fedeli, associati nella Chiesa per la realizzazione del fine supremo della salvezza delle
anime. Cfr. P. Lombardia, Lezioni di diritto canonico. Introduzione. Diritto costituzionale. Parte
generale, cit., p. 56.

65
in tal modo avvicinando la ragione al diritto naturale, conscia però che l’interesse e il
potere producano un accecamento etico difficilmente eliminabile243.
Pertanto i diritti umani potranno assumere rilevanza giuridica e la
conseguente tutela dell’ordinamento canonico solo qualora, così come accade per
qualsiasi sistema normativo, non pongano in discussione quella coerenza interna tra
gli elementi costitutivi dello stesso ordinamento, ovviamente, come ribadito dalla

243
Nell’enciclica Deus caritas est, Benedetto XVI puntualizza: “Per definire più accuratamente la
relazione tra il necessario impegno per la giustizia e il servizio della carità, occorre prendere nota di
due fondamentali situazioni di fatto: a) Il giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale
della politica. Uno Stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe ad una grande banda di
ladri, come disse una volta Agostino: «Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia?».
Alla struttura fondamentale del cristianesimo appartiene la distinzione tra ciò che è di Cesare e ciò che
è di Dio (cfr. Mt 22, 21), cioè la distinzione tra Stato e Chiesa o, come dice il Concilio Vaticano II,
l’autonomia delle realtà temporali. Lo Stato non può imporre la religione, ma deve garantire la sua
libertà e la pace tra gli aderenti alle diverse religioni; la Chiesa come espressione sociale della fede
cristiana, da parte sua, ha la sua indipendenza e vive sulla base della fede la sua forma comunitaria,
che lo Stato deve rispettare. Le due sfere sono distinte, ma sempre in relazione reciproca. La giustizia
è lo scopo e quindi anche la misura intrinseca di ogni politica. La politica è più che una semplice
tecnica per la definizione dei pubblici ordinamenti: la sua origine e il suo scopo si trovano appunto
nella giustizia, e questa è di natura etica. Così lo Stato si trova di fatto inevitabilmente di fronte
all’interrogativo: come realizzare la giustizia qui ed ora? Ma questa domanda presuppone l’altra più
radicale: che cosa è la giustizia? Questo è un problema che riguarda la ragione pratica; ma per poter
operare rettamente, la ragione deve sempre di nuovo essere purificata, perché il suo accecamento
etico, derivante dal prevalere dell’interesse e del potere che l’abbagliano, è un pericolo mai totalmente
eliminabile. In questo punto politica e fede si toccano. Senz’altro, la fede ha la sua specifica natura di
incontro con il Dio vivente – un incontro che ci apre nuovi orizzonti molto al di là dell’ambito proprio
della ragione. Ma al contempo essa è una forza purificatrice per la ragione stessa. Partendo dalla
prospettiva di Dio, la libera dai suoi accecamenti e perciò l’aiuta ad essere meglio se stessa. La fede
permette alla ragione di svolgere in modo migliore il suo compito e di vedere meglio ciò che le è
proprio. È qui che si colloca la dottrina sociale cattolica: essa non vuole conferire alla Chiesa un
potere sullo Stato. Neppure vuole imporre a coloro che non condividono la fede prospettive e modi di
comportamento che appartengono a questa. Vuole semplicemente contribuire alla purificazione della
ragione e recare il proprio aiuto per far sì che ciò che è giusto possa, qui ed ora, essere riconosciuto e
poi anche realizzato. La dottrina sociale della Chiesa argomenta a partire dalla ragione e dal diritto
naturale, cioè a partire da ciò che è conforme alla natura di ogni essere umano. E sa che non è compito
della Chiesa far essa stessa valere politicamente questa dottrina: essa vuole servire la formazione della
coscienza nella politica e contribuire affinché cresca la percezione delle vere esigenze della giustizia
e, insieme, la disponibilità ad agire in base ad esse, anche quando ciò contrastasse con situazioni di
interesse personale. Questo significa che la costruzione di un giusto ordinamento sociale e statale,
mediante il quale a ciascuno venga dato ciò che gli spetta, è un compito fondamentale che ogni
generazione deve nuovamente affrontare. Trattandosi di un compito politico, questo non può essere
incarico immediato della Chiesa. Ma siccome è allo stesso tempo un compito umano primario, la
Chiesa ha il dovere di offrire attraverso la purificazione della ragione e attraverso la formazione etica
il suo contributo specifico, affinché le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente
realizzabili. La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare

66
dottrina244, essendo tali situazioni giuridiche espresse positivamente per essere rese
valide ed efficaci nell’azione giuridica.
Di conseguenza appare evidente che il membro della Chiesa in quanto
battezzato non possa far valere la libertà di professione di fede, o persino di ateismo,
essendo tale richiesta del tutto logicamente incompatibile con quella professione di
fede presupposto del vincolo comunitario che unisce i fedeli, tale che l’eventuale
accoglimento di una simile libertà renderebbe drammaticamente incoerente la
prescrizione che la contenesse con il fine proprio della comunione ecclesiale.
Ciò non esclude però, come si evidenzierà nelle pagine successive, che la
libertà religiosa debba considerarsi, secondo quanto chiarito più volte dal Magistero,
un diritto fondamentale dell’uomo245, da declinare però tenendo nella debita
considerazione gli elementi essenziali che caratterizzano, così come delineati già
nell’insegnamento di Cristo, la natura della Chiesa.

la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non
deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via
dell’argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che
sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare. La società giusta non può essere
opera della Chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica. Tuttavia l’adoperarsi per la giustizia
lavorando per l’apertura dell’intelligenza e della volontà alle esigenze del bene la interessa
profondamente. b) L’amore – caritas – sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è
nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole
sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo. Ci sarà sempre sofferenza
che necessita di consolazione e di aiuto. Sempre ci sarà solitudine. Sempre ci saranno anche situazioni
di necessità materiale nelle quali è indispensabile un aiuto nella linea di un concreto amore per il
prossimo. Lo Stato che vuole provvedere a tutto, che assorbe tutto in sé, diventa in definitiva
un’istanza burocratica che non può assicurare l’essenziale di cui l’uomo sofferente – ogni uomo – ha
bisogno: l’amorevole dedizione personale. Non uno Stato che regoli e domini tutto è ciò che ci
occorre, ma invece uno Stato che generosamente riconosca e sostenga, nella linea del principio di
sussidiarietà, le iniziative che sorgono dalle diverse forze sociali e uniscono spontaneità e vicinanza
agli uomini bisognosi di aiuto. La Chiesa è una di queste forze vive: in essa pulsa la dinamica
dell’amore suscitato dallo Spirito di Cristo. Questo amore non offre agli uomini solamente un aiuto
materiale, ma anche ristoro e cura dell’anima, un aiuto spesso più necessario del sostegno materiale.
L’affermazione secondo la quale le strutture giuste renderebbero superflue le opere di carità di fatto
nasconde una concezione materialistica dell’uomo: il pregiudizio secondo cui l’uomo vivrebbe «di
solo pane» (Mt 4, 4; cfr. Dt 8, 3) – convinzione che umilia l’uomo e disconosce proprio ciò che è più
specificamente umano”. Benedetto XVI, Deus caritas est, 28, in www.vatican.va.
244
Cfr. J.I. Arrieta, Diritti fondamentali e governo della Chiesa, in Atti del Convegno “La persona
nella Chiesa. Diritti e doveri dell’uomo e del fedele”, Trento, 6-7 giugno 2002, Padova, 2003, p. 30 s.
245
Cfr. J. Krukowski, La libertà e l’autorità nella Chiesa, in I diritti fondamentali del cristiano nella
Chiesa e nella società. Atti del IV Congresso internazionale di diritto canonico, cit., p. 160 s.; G. Lo
Castro, Il soggetto e i suoi diritti nell’ordinamento canonico, cit., p. 283 s.

67
Al pari è diritto fondamentale quello alla manifestazione del pensiero nella
Chiesa, che poggia sulla natura umana e sulla realtà ontologica e sacramentale del
fedele e il cui esercizio costituisce una condizione necessaria per realizzare
pienamente la maturità umana e cristiana di ciascun membro del popolo di Dio.
All’interno della comunità ecclesiale tale diritto acquista una specificità ben diversa
da quella attribuitagli nel consorzio civile, conseguenza delle caratteristiche appena
ricordate, nonché espressione di quel completamento della natura e della dignità
umane del cristiano246.
Da quanto detto emergono criteri, forme e modalità di esercizio di tale diritto,
propri dell’ordinamento canonico: in primo luogo la dimensione comunitaria della
Chiesa elimina qualsiasi contrapposizione tra il bene del singolo e quello comune,
poiché il primo, attraverso l’esercizio del diritto di manifestazione del pensiero,
arricchisce in un mutuo scambio il secondo.
A ciò si aggiunga quella differenziazione tra funzioni in forza dei singoli
carismi, implicante un’attuazione in diverse modalità dell’esercizio del diritto, che
comporta ad esempio per i fedeli ordinati la necessità del permesso del superiore, a
differenza di quanto accade per il laico, per poter manifestare il proprio pensiero
attraverso la pubblicazione di un libro. La dottrina247 evidenzia come la
canonizzazione della libertà di manifestazione del pensiero nella Chiesa comporti la
definizione di alcuni caratteri, per cui tale libertà è sì diritto fondamentale, ma
dev’essere funzionalizzata ai munera docendi et regendi della gerarchia e alla
communis utilitatis248.
L’ambito di esercizio della libertà di pensiero appare evidentemente
delimitato dalla valutazione del grado di obbligatorietà di quanto stabilito dal
Magistero, che trova una chiarificazione attraverso la natura dei documenti
considerati, dalla ricorrenza delle specifiche affermazioni dottrinali e dal tenore delle

246
Cfr. I. Scapolo, Diritto di manifestazione del pensiero nella Chiesa, in I diritti fondamentali della
persona umana e la libertà religiosa. Atti del V Colloquio giuridico (8-10 marzo 1984), cit., p. 481.
247
Cfr. N. Colaianni, La libertà di manifestazione del pensiero nella Chiesa. Spunti metolodogici, in I
diritti fondamentali del cristiano nella Chiesa e nella società. Atti del IV Congresso internazionale di
diritto canonico, cit., p. 505.
248
Per i rapporti tra i diritti fondamentali del cristiano e l’esercizio dei munera docendi et regendi cfr.
G. Feliciani, I diritti fondamentali dei cristiani e l’esercizio dei “munera docendi et regendi”, in I
diritti fondamentali del cristiano nella Chiesa e nella società. Atti del IV Congresso internazionale di
diritto canonico, cit., p. 228 s.

68
espressioni utilizzate. Anche quando però il pronunciamento del Magistero non
assuma forme particolarmente obbliganti dovrà applicarsi in via presuntiva il
principio della verità, lasciandosi maggior spazio soltanto agli argomenti per i quali
manchi ancora una presa di posizione dichiarata249.
Un criterio utilizzabile per ovviare a tali rischi e per assicurare un giusto
esercizio del diritto di manifestazione del pensiero è quello della prudenza, con cui
assicurare, da un lato, la promozione del vero bene comune e, dall’altro, il rispetto
della dignità delle persone. Attraverso tale strumento si potrà optare per il mezzo di
comunicazione più efficace e adeguato, in modo da raggiungere inequivocabilmente
e nel momento adeguato il maggior numero di persone; l’ausilio della prudenza non
deve infatti condurre a un atteggiamento timoroso, ma soltanto consentire una scelta
giusta e collocata nel tempo, per realizzare il bene sia personale che comunitario250.
Riguardo al diritto a fondare una famiglia e dunque al matrimonio, già la
riflessione tomista era giunta ad attribuire a tale situazione giuridica la qualifica di
naturale, in quanto lo status coniugale è una condizione essenziale all’essere
dell’uomo, non acquisita nel tempo bensì presente fin dall’origine, frutto inscindibile
dell’atto creazionale251.
Possono individuarsi limiti naturali o intrinseci e positivi o estrinseci al diritto
naturale al matrimonio: i primi comportano la totale scomparsa del diritto e seguono
necessariamente dalla struttura ontologica di tale situazione giuridica (si pensi ad
esempio alla demenza o all’impotenza); i secondi invece, espressione della legge
positiva, non possono in alcun modo incidere sul diritto naturale, limitandosi a
regolarlo. Attraverso la regolamentazione del matrimonio si vuole garantire la
trascendenza della famiglia quale cellula naturale della società, consorzio che può e
249
Come chiarisce Karl Rahner, “in questi casi quindi, in cui da una parte si tratta di questioni
importanti dal punto di vista strettamente teologico, non ancora chiaramente decise dal Magistero
ecclesiastico, e dall’altra l’opinione sostenuta non si può a priori definire ‘sicura’, può naturalmente
accadere che il magistero ecclesiastico, di fronte alla libertà che si manifesta nell’espressione delle
proprie opinioni, dichiari pubblicamente con pieno diritto che questa o quella presa di posizione ha
superato i limiti del possibile”. K. Rahner, La libertà di parola nella Chiesa: le prospettive del
cristianesimo, Torino, 1964, p. 39.
250
Cocco precisa che “la prudenza cristiana non è un freno che mortifica la creatività e l’entusiasmo,
ma sollecita la pronta e generosa scelta, vocazionalmente la più conveniente, nella concreta
situazione”. F. Cocco, voce Prudenza, in Dizionario enciclopedico di teologia morale, Roma, 1976, p.
838.
251
Cfr. B. Gangoiti, Limiti naturali del diritto naturale al matrimonio, in I diritti fondamentali della
persona umana e la libertà religiosa. Atti del V Colloquio giuridico (8-10 marzo 1984), cit., p. 423 s.

69
deve essere regolato dall’esterno per determinarne le condizioni di validità e di
liceità, senza che però si possa mutare quanto emerga dal diritto naturale. Infatti il
matrimonio, in quanto istituzione naturale e sacramentale, presuppone l’elemento
essenziale della capacità naturale, la cui mancanza produce l’automatica estinzione
del diritto al matrimonio, poiché il consenso costituisce l’essenza stessa nonché
l’anima dei requisiti costitutivi naturali del negozio matrimoniale. A ciò si aggiunge,
quale ulteriore situazione d’incapacità, l’impotentia coeundi, in quanto lo ius in
corpus rappresenta la parte naturale dell’essere del matrimonio252.
I diritti fondamentali della famiglia cristiana vengono però spesso messi in
discussione dagli ordinamenti civili, in particolare, come evidenziato dalla dottrina253,
quando venga violato o addirittura negato il diritto a impartire un’educazione
cristiana ai figli, magari introducendo una politica che radicalizzi l’ateismo nelle
scuole, o ancora si impedisca la comunione di vita o la realizzazione del vero
matrimonio cristiano e dunque uno, indissolubile, ordinato alla prole e mezzo di
santificazione254. Inoltre la violazione dei diritti dei cristiani in tema di matrimonio si
realizza anche quando i giudici dei tribunali ecclesiastici non presentino la
preparazione necessaria ad affrontare la materia, quando non venga prestata alle parti

252
Cfr. B. Gangoiti, Limiti naturali del diritto naturale al matrimonio, cit., p. 426 s.
253
Cfr. Z. Grocholewski, Diritti fondamentali della famiglia cristiana di fronte allo Stato e di fronte
alla Chiesa, in I diritti fondamentali del cristiano nella Chiesa e nella società. Atti del IV Congresso
internazionale di diritto canonico, cit., p. 1110.
254
Secondo Grocholewski, “se il matrimonio è per sua natura indissolubile (…) lo Stato in nessun
caso dovrebbe ammettere il divorzio, e non soltanto nei confronti del matrimonio cristiano. Infatti, se
Dio ha voluto l’indissolubilità del matrimonio questa certamente costituisce un bene ed i coniugi
saranno più perfettamente realizzati nella unione indissolubile. Di conseguenza, invece di cercare il
braccio secolare per l’indissolubilità del solo matrimonio canonico, noi cristiani – con l’insegnamento,
con la discussione, con lo studio e soprattutto con l’esempio di vita – dovremmo cercare di convincere
il mondo dell’indissolubilità di ogni matrimonio”. Cfr. Z. Grocholewski, Diritti fondamentali della
famiglia cristiana di fronte allo Stato e di fronte alla Chiesa, cit., p. 1109. Rimarca Lo Castro: “E
come l’amore di Dio per l’uomo non è soltanto un dato verificabile o da verificare nella storia, ma è
attuazione di una promessa, di un impegno, di un patto d’alleanza, di un foedus, che, avendo avuto il
doppio sigillo dell’Eucarestia e della morte in croce, non può venir meno, concretando un vincolo fra
Dio e l’uomo; in modo analogo, l’amore sostanziantesi nel rapporto matrimoniale e, se si vuole, per
ellissi, lo stesso rapporto coniugale, non è un dato di fatto, ma l’attuazione di un impegno assunto dai
coniugi, di una promessa assai elevata ed impegnativa, in quanto coinvolge lo stesso amore divino,
manifestata in un atto, che si proietta nel futuro, in rapporto al quale si esercita e va misurata la
responsabilità dell’uomo. È questa relazione fedele ed esclusiva di amore aperto alla vita, frutto di un
impegno iniziale, che definiamo coniugale, vissuta in un contesto di responsabilità anche giuridica, a
produrre, quando fosse contratta da battezzati, gli effetti sacramentali”. G. Lo Castro, Tre studi sul
matrimonio, Milano, 1992, p. 31 s.

70
la doverosa e adeguata assistenza, o anche in quei casi in cui i coniugi in crisi non
trovino nel loro pastore, sia esso parroco o vescovo, una figura di consulente fornita
della debita preparazione; anche in tali ipotesi parrebbe dunque rinvenirsi una
evidente violazione di quel diritto proprio della famiglia ad una protezione e una
tutela necessarie a garantirne le condizioni di esistenza. La gravità della mancata
protezione apprestata dall’ordinamento canonico presenta profili di rilevanza ben
maggiori dell’analoga situazione riscontrabile nell’ordinamento civile, in quanto alla
Chiesa compete il dovere di tutelare la famiglia, situazione di soggezione che deriva
direttamente dalla legge divina positiva, nel rispetto di quell’insegnamento sul
matrimonio ricevuto da Cristo e che il Magistero è tenuto a custodire255.
Per concludere, riguardo ai rapporti di lavoro il codice canonico ricorda, a
colui che amministra i beni temporali della Chiesa, di applicare anche la legislazione
civile in materia, seguendo però i principi dettati dal Magistero 256; qualora poi i
prestatori di lavoro non siano membri della Chiesa in quanto non battezzati, nei loro
confronti troveranno comunque applicazione i diritti ritenuti irrinunciabili
dall’istituzione ecclesiale, ossia quello ad una giusta remunerazione 257, al riposo
soprattutto nei giorni festivi258, ad un ambiente di lavoro che non produca un
pregiudizio alla salute e all’integrità morale del lavoratore259, alla salvaguardia della
personalità del prestatore260, alla corresponsione di sovvenzioni indispensabili al

255
Cfr. Z. Grocholewski, Diritti fondamentali della famiglia cristiana di fronte allo Stato e di fronte
alla Chiesa, cit., p. 1111.
256
In particolare il can. 1286 n. 1 stabilisce che gli amministratori dei beni “osservino accuratamente,
nell’affidare i lavori, anche le leggi civili relative al lavoro e alla vita sociale, secondo i principi dati
dalla Chiesa”.
257
Come statuito dal n. 2 del can. 1285, per il quale gli amministratori dei beni “retribuiscano con
giustizia e onestà i lavoratori dipendenti, così che essi siano in grado di provvedere convenientemente
alle necessità proprie e dei loro familiari”.
258
Si tratta dunque di un diritto al riposo, ossia “prima di tutto (…) del regolare riposo settimanale,
comprendente almeno la Domenica, ed inoltre un riposo più lungo, cioè le cosiddette ferie una volta
all’anno, o eventualmente più volte durante l’anno per periodi più brevi”. Giovanni Paolo II, Laborem
exercens, 19, in www.vatican.va.
259
Oltre ai diritti cosiddetti principali, secondo Giovanni Paolo II “si sviluppa tutto un sistema di
diritti particolari, che insieme con la remunerazione per il lavoro decidono della corretta impostazione
di rapporti tra il lavoratore e il datore di lavoro. Tra questi diritti va sempre tenuto presente quello ad
ambienti di lavoro ed a processi produttivi, che non rechino pregiudizio alla sanità fisica dei lavoratori
e non ledano la loro integrità morale”. Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 19, in www.vatican.va.
260
Bisognerà pertanto garantire ai lavoratori “il diritto di esprimere la propria personalità sul luogo di
lavoro, senza essere violati in alcun modo nella propria coscienza o nella propria dignità”. Giovanni
Paolo II, Centesimus annus, 15, in www.vatican.va.

71
mantenimento dei disoccupati e delle loro famiglie, alla pensione, all’assicurazione
per la vecchiaia e la malattia, a quei provvedimenti sociali conseguenti alla
maternità261.
Se dunque appare chiaro l’accoglimento di una serie di diritti fondamentali
all’interno dell’ordinamento canonico, particolare è invece la tutela che viene
prevista per tali situazioni giuridiche, ben diversa da quella prescritta negli
ordinamenti secolari, e pertanto le sanzioni riguarderanno esclusivamente la
dimensione spirituale, attraverso la comminazione di pene di natura medicinale ed
espiatoria262.

CAPITOLO IV

IL DIRITTO ALLA LIBERTÀ RELIGIOSA

1. Evoluzione del diritto di libertà religiosa

261
E inoltre: “Accanto al salario, qui entrano in gioco ancora varie prestazioni sociali, aventi come
scopo quello di assicurare la vita e la salute dei lavoratori e quella della loro famiglia. Le spese
riguardanti le necessità della cura della salute, specialmente in caso di incidenti sul lavoro, esigono
che il lavoratore abbia facile accesso all’assistenza sanitaria, e ciò, in quanto possibile, a basso costo,
o addirittura gratuitamente (…) Infine, si tratta qui del diritto alla pensione e all’assicurazione per la
vecchiaia ed in caso di incidenti collegati alla prestazione lavorativa”. Giovanni Paolo II, Laborem
exercens, 19, in www.vatican.va.
262
Cfr. G. Comotti, Sui diritti umani nell’ordinamento canonico, cit., p. 98.

72
Il diritto di libertà religiosa, nel quale si esprime quell’insopprimibile
dimensione trascendente che segna l’esperienza umana 263, ha caratterizzato le più
importanti tappe della storia europea in direzione della modernità264.
La secolarizzazione di una serie di comportamenti individuali e collettivi è il
risultato di un lungo processo di allontanamento dalla sfera religiosa del diritto e
della politica, anche se è bene ricordare che alla base della nascita degli Stati
nazionali europei si rintraccia una forte commistione tra soggetti politici e religiosi
collocati all’interno delle organizzazioni istituzionali, che nei secoli ha portato alla
configurazione di un regime di intolleranza soprattutto nei confronti dell’esercizio
della libertà religiosa individuale e collettiva, congiuntamente alla formulazione di
teoriche volte a legittimare la sovranità del monarca265.
Inoltre l’alleanza politica tra le due spade trova giustificazione nel tentativo di
ciascuno dei soggetti politici di accaparrarsi i poteri dell’altro, in modo da realizzare
efficacemente il controllo dei subordinati: pertanto la Chiesa univa ai poteri spirituali
l’esercizio della potestà temporale attraverso il braccio secolare fornito
dall’organizzazione civile, mentre quest’ultima aspirava a un controllo totale dei
sudditi, unendo al proprio potere il controllo delle coscienze riconosciuto alla
Chiesa266.
La nascita dello Stato moderno si caratterizza per il distacco della dimensione
politica dalla sfera spirituale e religiosa, con una mondanizzazione che comporta
l’individuazione di scopi e legittimazioni politiche non connotate in senso
trascendente, attraverso quel fenomeno denominato secolarizzazione 267, cui si
263
Il fenomeno religioso, come è stato ben chiarito, costituisce da un punto di vista cognitivo una sorta
di dissociazione rappresentativa, e in merito alla produzione di valori presenta un doppio carattere: da
un lato “ne è una formidabile matrice”, dall’altro “tende alla loro assolutizzazione e ad una
assolutizzazione tirannica di essi conseguenti alla cristallizzazione del piano della idealità in un
universo dogmatico”. M. Ricca, Critica istituzionale attraverso le regole: libertà religiosa e indirizzo
giuspositivistico nella dottrina ecclesiasticistica italiana del secondo dopoguerra, in M. Tedeschi (a
cura di), La libertà religiosa, I, Soveria Mannelli, 2002, p. 252 ss.
264
Cfr. S. Ferrari, I.C. Ibán, Diritto e religione in Europa occidentale, Bologna, 1997, p. 13 ss.
265
Cfr. G. De Vergottini, Diritto costituzionale comparato, Padova, 1999, p. 445.
266
In quei tempi nel territorio europeo raramente riuscivano ad individuarsi settori della vita civile nei
quali la Chiesa o i suoi emissari non ricoprissero una pur minima competenza, esercitata attraverso il
controllo e la guida dei sudditi. Cfr. C. Cardia, Principi di diritto ecclesiastico. Tradizione europea,
legislazione italiana, Torino, 2002, p. 39.
267
Secondo Böckenförde la secolarizzazione può ritrovarsi già prima delle guerre di religione del XVI
e XVII secolo, in quanto la separazione fra religione e politica deriva dalla lotta per le investiture
(1057-1122), che cagionò la dissoluzione della res publica christiana. Cfr. E.W. Böckenförde, Diritto

73
aggiunge la separazione delle categorie del politico e del diritto, sia dalla religione
cristiana che più in generale da qualsiasi elemento religioso.
A partire dal XVI e dal XVII secolo lo Stato viene a strutturarsi come ente
autocefalo, non sottoposto a nessun’altra autorità se non alla propria, assurgendo nel
proprio spazio territoriale a unica fonte del diritto, in qualità di soggetto originario e
sovrano268.
La supremazia della politica sulla religione, sulle spinte dei partiti
confessionali tra loro in conflitto, ha condotto al ristabilimento di un ordine politico
pacificato, assicurando così ai sudditi pace e sicurezza269.
Con la Rivoluzione francese, e soprattutto la Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino del 1789, si perfeziona l’idea che la legittimazione della
nuova struttura istituzionale non debba rintracciarsi in un atto istitutivo di natura
divina, fondato su una determinata verità, bensì in un insieme di diritti e libertà del
singolo uomo. Al potere divino si sostituisce così, come è stato evidenziato 270, quello
costituente, associato all’idea di una unità politica originaria, che può denominarsi
popolo o nazione, la cui sovranità sia capace di dar luogo a un atto di volontà da cui
far partire un nuovo sistema politico, con una fisionomia culturale e un assetto
sociale in grado di rompere con il passato271.
Dall’Illuminismo proviene quel separatismo identificato con la modernità, da
cui è scaturita la crisi dei presupposti sia teorici che normativi, che nel corso
dell’ancien régime si erano affermati nell’unionismo politico, da ciò derivando

e secolarizzazione. Dallo Stato moderno all’Europa unita, Roma-Bari, 2007, p. 35. Si può ricordare
che “fra i tratti che individuano il fatto comunitario storico che suol essere indicato col nome di
repubblica cristiana ve n’è uno che subito colpisce lo studioso del fenomeno giuridico (…) Questo
primo fattore ideologico e dommatico è dato dal principio della unità politica e religiosa del popolo
cristiano: è costituito dalla tendenziale coincidenza della società ecclesiastica, tenuta insieme dalla
comunanza della fede e della disciplina spirituale, con la società politica ordinata sotto Principi
cristiani”. P. Bellini, Respublica sub Deo. Il primato del Sacro nella esperienza giuridica della
Europa preumanistica, Firenze, 1990, p. 4.
268
L’affermarsi nel Medioevo della formula rex superiorem non recognoscens in regno suo est
imperator, segna l’apparire del concetto di sovranità, favorendo una discussione tra gli appartenenti
alle schiere dei giuristi civilisti e canonisti. Cfr. E. Cortese, Il problema della sovranità nel pensiero
giuridico medioevale, Roma, 1966, p. 8 ss.
269
Cfr. E.W. Böckenförde, Diritto e secolarizzazione. Dallo Stato moderno all’Europa unita, cit., p.
42.
270
Cfr. M. Fioravanti, Potere costituente e diritto pubblico, in P. Pombeni (a cura di), Potere
costituente e riforme costituzionali, Bologna, 1992, p. 59.
271
Cfr. M. Dogliani, Introduzione al diritto costituzionale, Bologna, 1994, p. 207.

74
quell’ampia trattatistica in materia di libertà religiosa, che nel tempo approderà al
tema della laicità della vita pubblica272.
Con l’emancipazione dal sacro lo Stato, ormai immerso nella sua dimensione
totalmente profana, allontana le aspirazioni e i sentimenti religiosi dei singoli,
limitandoli alla sfera sociale e privata, per approdare così a una dimensione di
universalità non più riferibile alla religione o ai dogmi di una specifica confessione,
bensì poggiando su un sistema valoriale indipendente, connotato da una dimensione
teleologica propria. Ciò non conduce ovviamente al divieto per il singolo di
esercitare una specifica religione, sia in pubblico che in privato, o anche di non
professarne alcuna, ma semplicemente all’affermazione che la libertà del singolo non
potrà essere più intaccata, limitata o esclusa, in forza dell’adesione o meno a un
credo273.
Ciò detto è necessario però chiarire preliminarmente come in senso
eminentemente giuridico con libertà religiosa debba intendersi, secondo la dottrina 274,
la libertà di professare il credo che si preferisca, o ancora meglio la libertà garantita
dall’ordinamento ad ogni cittadino di determinare e dunque professare una credenza
in fatto di religione. Presupposti fondamentali necessari affinché possa sorgere la
questione giuridica della libertà religiosa e i suoi correlati teorici e pratici, sono la
presenza contemporanea di due o più credenze religiose, accompagnate dalle relative
organizzazioni confessionali che operano nello stesso spazio e nello stesso tempo, e
la tendenza all’esclusivismo fideistico ed ecclesiastico delle singole confessioni, o
almeno di una di esse, con la conseguente richiesta di un regime di monopolio a
scapito delle altre. Dalla compresenza appunto di tali elementi scaturisce
automaticamente, secondo quanto osserva la dottrina 275, il problema della disciplina

272
Nella fondazione dello Stato moderno e delle sue istituzioni, diviene sempre più irrilevante il
significato religioso della vita e della personalità dei cittadini, i quali assumono rilievo per
l’ordinamento soltanto in quanto membri del nuovo corpo sociale. Cfr. P. Bellini, Libertà dell’uomo e
fattore religioso nei sistemi ideologici contemporanei, in Aa. Vv., Teoria e prassi delle libertà di
religione, Bologna, 1975, p. 103 s. Su una valutazione della ripresa del concetto di cittadinanza
all’interno della pubblicistica rivoluzionaria nonché successiva, cfr. G. Crifò, Civis. La cittadinanza
tra antico e moderno, Roma-Bari, 2003, p. 35 ss.
273
Secondo alcuni la misura del grado di realizzazione della libertà religiosa corrisponde al livello di
secolarizzazione raggiunto dallo Stato. Cfr. E.W. Böckenförde, Diritto e secolarizzazione. Dallo Stato
moderno all’Europa unita, cit., p. 49.
274
Cfr. P.A. d’Avack, voce Libertà religiosa (dir. eccl.), in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, p. 595.
275
Cfr. P.A. d’Avack, voce Libertà religiosa (dir. eccl.), cit., p. 595.

75
giuridica statale da adottare per conciliare i diversi poli presenti, anche nei confronti
dei singoli cittadini. In passato la soluzione al problema venne fornita in più o meno
rigide forme di intolleranza religiosa, poi culminata alla metà del XVI secolo con
l’accoglimento del principio cuius regio eius religio. Ai giorni nostri invece, a partire
dall’epoca liberale, si assiste al quasi universale accoglimento di dottrine e
ordinamenti normativi centrati sul principio della piena libertà religiosa, escludendo
la possibilità per lo Stato di porre limitazioni od ostacoli alla libertà sia collettiva che
individuale in materia di religione, in modo pertanto da consentirne la piena
manifestazione e realizzazione nell’ordinamento276.
Attraverso lo snodarsi di un lungo percorso storico, segnato da persecuzioni e
violenze, si è pertanto giunti a riconoscere nel campo della libertà religiosa la
sovranità della coscienza individuale, per la quale però deve presupporsene anche la
possibilità della libera formazione, attraverso la disponibilità di informazioni e
conoscenze necessarie al raggiungimento della maturazione di quei convincimenti
che potranno poi essere scelti e adottati liberamente. La struttura sociale necessaria a
tal fine si dovrà carattere per una dimensione pluralistica, attraversata dai più diversi
messaggi religiosi e non. Ciò richiede inoltre di chiarire le questioni semantiche di
cui soffre il principio di laicità 277, che soprattutto nel tema in esame richiede
un’esigenza di neutralità e non identificazione che il potere politico, almeno nel
modello liberale, si impone nei confronti della società civile, approdando così a una
visione nettamente separatista dei rapporti tra potere politico e religioso278.
Nel sistema liberale il rapporto tra società e Stato vede quest’ultimo sovrano
sulle attività politicamente rilevanti, lasciando all’individuo la sfera di sovranità su
quelle azioni che ne concretizzano lo spazio vitale. Allo Stato liberal-democratico

276
Nella storia passata sono molteplici gli esempi di persecuzioni, dirette contro soggetti rei soltanto di
confessare una religione o di avere convinzioni diverse da quelle della maggioranza. Nel tempo “il
ruolo del perseguitato è toccato al libero pensatore e al credente, al pagano e al cristiano, all’ebreo e al
musulmano, a conferma che tutti – prima o poi – sono esposti al rischio dell’intolleranza”. S. Ferrari,
I.C. Ibán, Diritto e religione in Europa occidentale, cit., p. 13.
277
Cfr. G. Miccoli, La questione della laicità nel processo storico contemporaneo, in Aa. Vv., Fra
mito della cristianità e secolarizzazione. Studi sul rapporto Chiesa-società nell’età contemporanea,
Casale Monferrato, 1985, p. 474.
278
Secondo alcuni la desacralizzazione della politica e del diritto se non attuata avrebbe messo a
repentaglio le fondamenta dello Stato liberale, relativamente sia alla questione della sovranità, che
della signoria individuale. Cfr. A. Vitale, Laicità e modelli di Stato, in M. Tedeschi (a cura di), Il
principio di laicità nello Stato democratico, Soveria Mannelli, 1996, p. 237.

76
competerà invece proclamare la neutralità nei confronti delle diverse ideologie o
assunti di natura etico-religiosa, rifiutando alle istituzioni pubbliche il potere di
assumere quei fini e quei valori cui tendono le diverse componenti della società. Tali
conclusioni però appaiono immediatamente produttive di un insieme di principi
cristallizzati in una struttura istituzionale, funzionalmente destinata a garantire
specifici assetti economico-sociali, sorda pertanto alle sempre maggiori richieste di
pluralismo279.
I nuovi soggetti che si affacciano nell’agone sociale tendono a sconfessare
quanto sostenuto e professato dallo Stato liberale, nel quale trionfa esclusivamente
quell’eguaglianza giuridica, intesa come eguaglianza dinanzi alla legge, in cui
quest’ultima, nella sua generalità e astrattezza, assurge a strumento principe per
mezzo del quale garantire sia i diritti che i rapporti giuridici280.
I paradigmi di riferimento del costituzionalismo contemporaneo mutano
rispetto al precedente regime liberale, attribuendosi al testo costituzionale il compito
di mantenere l’unità e la pace all’interno di strutture sociali particolarmente
articolate, complesse e concorrenziali281.
Oltre ai meccanismi di garanzia della supremazia della legge fondamentale
sulle altre parti dell’ordinamento, stante la vincolatività e la precettività delle norme
in essa contenute282, è da segnalare quale novità tipica delle costituzioni degli Stati di
democrazia sociale, il passaggio da una concezione garantista e negativa dei diritti di
279
Cfr. S. Gambino, Diritto costituzionale comparato ed europeo, Milano, 2004, p. 46 ss.
280
Pertanto alle leggi veniva affidato il posto più alto, non avendo “sopra di sé alcuna regola giuridica
che servisse a stabilire limiti, a mettere ordine”; in sostanza “la legge tutto poteva giuridicamente
poiché materialmente era vincolata ad un contesto politico-sociale e ideale definito ed omogeneo”,
ossia una società monoclasse o monista quale quella liberale, le cui “condizioni del proprio ordine le
portava al suo interno”. G. Zagrebelsky, Il diritto mite. Leggi, diritto, giustizia, Torino, 1992, p. 35 ss.
281
La difficoltà di mantenere l’unità dell’ordinamento e con essa sottoporre l’esecutivo, la
magistratura e addirittura il legislatore a regole generali, comporta la necessità di prevedere “un
insieme di valori e principi costituzionali superiori sui quali, malgrado tutto, si realizza un
sufficientemente ampio consenso sociale”. Con ciò si riesce a garantire che il pluralismo non degeneri
“in anarchia normativa a condizione che, malgrado la divisione sulle strategie particolari dei gruppi
sociali, vi sia una convergenza generale su alcuni aspetti strutturali della convivenza politica e sociale
che si possano così mettere fuori discussione e consacrarli in un testo non disponibile da parte degli
occasionali signori della legge e delle fonti concorrenti con la legge”. Si passa così da un tempo in cui
la legge misurava tutte le cose ad un’epoca in cui la Costituzione “assume (…) il compito immane di
reggere in unità e in pace intere società divise al loro interno (…) un compito inesistente un tempo,
quando la società politica era e si presupponeva che fosse in se stessa unita e pacifica. Il principio di
costituzionalità è, nella nuova situazione, ciò che deve assicurare il perseguimento di questo compito
di unità”. G. Zagrebelsky, Il diritto mite. Leggi, diritto, giustizia, cit., p. 48 ss.

77
libertà ad una anche interventista dello Stato, con evidenti conseguenze nei rapporti
tra persona, società e potere pubblico. Nei cataloghi dei diritti vengono pure
compresi la libertà dal bisogno o l’accoglimento di nozioni molto ampie, anche di
natura sostanziale, dell’eguaglianza, dandosi spazio al riconoscimento della rilevanza
individuale e collettiva dell’esperienza religiosa, in quelle disposizioni dove si
protegge esplicitamente la religione.
Con ciò secondo alcuni283 verrebbe a mostrarsi non soltanto l’insopprimibile
apertura al sacro che caratterizzerebbe gli uomini, ma anche la testimonianza che il
fenomeno religioso non possa certo essere relegato nell’insieme delle fattispecie
giuridicamente irrilevanti284.
A prescindere dal contenuto specifico della singola confessione religiosa, la
religione può ritenersi a buon ragione uno strumento di soddisfacimento di interessi
anche degni di promozione in quanto socialmente rilevanti.
È evidente che tali esigenze possano però trovare soddisfacimento attraverso
l’intervento e il sostegno dell’operatore pubblico, a favore di quei soggetti in grado
di svolgere un vero e proprio servizio religioso, quasi costringendo lo Stato ad
esprimere la propria posizione su una certa nozione di religione, in modo da poter
distinguere ciò che è così qualificabile da ciò che non lo è285.
Di difficile soluzione è anche l’esplicitazione del concetto contenuto
nell’espressione ‘diritto di libertà religiosa’, nella quale non solo sono presenti i
termini diritto e libertà, ma occorre anche individuare cosa ritenere o meno ciò che
possa intendersi come credenza religiosa.

282
Con l’impegno dello Stato a non utilizzare la propria autorità per incidere sulla libertà religiosa, si
assiste a un’autolimitazione della sovranità; a maggior ragione “l’aver inserito la promessa di
rispettare questi diritti nella stessa legge fondamentale da cui lo Stato prende vita, significa l’impegno
preso dallo Stato di non servirsi del potere legislativo per ritogliere o menomare questi diritti. C’è in
questo un’autolimitazione preventiva dell’onnipotenza legislativa, ossia una regola tipicamente
costituzionale, perché attinente all’esercizio di una funzione della sovranità”. P. Calamandrei,
L’avvenire dei diritti di libertà, in P. Calamandrei, Costituzione e leggi di Antigone. Scritti e discorsi
politici, Firenze, 1996, p. 28.
283
Cfr. M. Ricca, Critica istituzionale attraverso le regole: libertà religiosa e indirizzo
giuspositivistico nella dottrina ecclesiasticistica italiana del secondo dopoguerra, cit., p. 224 ss.
284
Su tale punto vengono ad infrangersi “tutte le concezioni di uno Stato minimo o chiuso attorno ad
alcuni fini elementari così caratteristiche tanto del giusnaturalismo, come del liberalismo giuridico”.
M. Ricca, Critica istituzionale attraverso le regole: libertà religiosa e indirizzo giuspositivistico nella
dottrina ecclesiasticistica italiana del secondo dopoguerra, cit., p. 225.
285
Cfr. A. Vitale, Laicità e modelli di Stato, cit., p. 238 ss.

78
Alla luce del nostro testo costituzionale, come si vedrà meglio nelle prossime
pagine, quest’ultimo punto deve chiarirsi tenendo conto dell’idea di laicità: secondo
alcuni286 l’interesse tutelato dal diritto in esame non può relegarsi alla religiosità dei
singoli o dei più, ma deve garantire anche i valori di chi rivendichi alla propria
iniziativa esclusiva un ruolo decisivo nel processo di giustificazione; a tale tesi si è
però opposta da parte di altri287 l’osservazione secondo cui la Costituzione abbia
inteso garantire non solo gli uomini più forti, ma soprattutto quelli comuni,
assicurando non soltanto il diritto di scelta ma anche quello di non scegliere,
mantenendosi in una vita né illuminata né tormentata e nemmeno esaltata dall’afflato
morale di un qualsivoglia impegno civile. Seguendo la prima tesi si giunge a
comprendere, a fianco della libertà di religione, anche la libertà dalla religione: con
la prima si tutela il momento positivo, individuando le azioni liberamente esercitabili
e possibili per la mancanza di limiti; con la seconda invece si vuole garantire la
condotta libera di orientarsi senza condizionamenti e pressioni288.
Oltre al cosiddetto foro interno, che riguarda gli aspetti appena ricordati, e nei
confronti del quale non possono porsi limitazioni ma bisogna invece accordare una
protezione assoluta, è da ricordare il cosiddetto foro esterno, che attiene alla libertà
individuale o associata, pubblica o privata, di professare la propria confessione
religiosa, che in particolare per il nostro ordinamento prevede la possibilità di una
limitazione, in quanto lesiva delle altrui sfere di libertà o del più ampio interesse
generale della collettività, qualora il rito sia contrario al buon costume.
Da ultimo è opportuno ricordare che recentemente nei dibattiti riguardanti la
laicità spesso si assume una prospettiva definita postsecolare, per segnalare,
parrebbe, una sorta di soluzione di continuità con l’esperienza dello Stato neutrale ed
agnostico di marca liberale, ormai segnato dalla conclusione del suo ciclo e dalla
conseguente emersione di un’esperienza storico-politica di altra natura.

286
Cfr. P. Bellini, Dell’idea di laicità nelle relazioni fra privati, in M. Tedeschi (a cura di), Il principio
di laicità nello Stato democratico, cit., p. 32.
287
Cfr. F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, Bologna, 2015, p. 161.
288
Già nel 1924 Ruffini identificava nella libertà religiosa quella facoltà “spettante all’individuo di
credere a quello che più gli piace o di non credere, se non gli piace, a nulla, onde egualmente
riconosciuto e protetto deve essere il diritto all’irreligione, all’aconfessionismo, alla miscredenza e
all’incredulità”. F. Ruffini, Corso di diritto ecclesiastico italiano. La libertà religiosa come diritto
pubblico subiettivo, Torino, 1924, p. 279.

79
Nell’epoca del postsecolarismo, sebbene nella difficoltà di una definizione
univoca289, le società, dopo aver introiettato i risultati della secolarizzazione nelle
varie articolazioni giuridico-istituzionali e individual-collettive, verserebbero in una
situazione di insicurezza morale che spinge le religioni ad offrirsi come strumenti di
aiuto, in particolare per le questioni relative alla natura umana e per rinfocolare quei
vincoli di solidarietà tra i consociati290.
Sebbene nello Stato secolarizzato sia stata accolta una serie di giustificazioni
tra cui spicca soprattutto la garanzia dei diritti umani, due momenti di criticità lo
impegnano ora e nel futuro291: dove ritrovare e così mantenere i valori su cui fondare
la comunanza pregiuridica e quell’etica necessaria per la convivenza in un
ordinamento liberale; su cosa fondare la libertà e la neutralità religiosa di fronte
all’aumentare della pluralità di confessioni, nonché di visioni del mondo, connotate
da un forte indice di pressione sociale. Non potendosi riprodurre nella disposizione
giuridica l’intrinseca virtù regolativa della libertà, e nemmeno potendosi confidare
nel soddisfacimento dei bisogni dei cittadini, lo Stato costituzionale democratico,
poggiando su un’idea di laicità che sembra tener in conto le trasformazioni della
società, mantenendo una ricchezza interna e un’apertura verso l’esterno 292, cerca di
far fronte alle nuove esigenze sia attraverso gli strumenti procedurali di natura
discorsiva, sia costituzionalizzando i principi del pluralismo e della dignità umana,
sia rivedendo perennemente le proprie decisioni, in quanto non dipendenti in via di
principio da verità assolute293.

2. La libertà religiosa nell’ordinamento italiano

289
Cfr. G. Zagrebelsky, Contro l’etica della verità, Roma-Bari, 2008, p. 9.
290
Cfr. G.E. Rusconi, Laicità ed etica pubblica, in G. Boniolo (a cura di), Laicità, Torino, 2006, p. 47
ss.
291
Cfr. E.W. Böckenförde, Lo Stato secolarizzato, la sua giustificazione e i suoi problemi nel secolo
XXI, in Lo Stato secolarizzato nell’età post-secolare, a cura di Gian Enrico Rusconi, Bologna, 2008, p.
40.
292
Cfr. S. Rodotà, Perché laico, Roma-Bari, 2009, p. 40.
293
Cfr. G. Zagrebelsky, Contro l’etica della verità, cit., p. 28.

80
Il diritto di libertà religiosa è giunto a una sua piena affermazione
nell’ordinamento italiano, percorrendo, così come è stato evidenziato dalla
dottrina294, due strade diverse per poi convergere: con la prima, inizialmente si è
provveduto a sprovincializzare gli elementi culturali e giuridici per poter addivenire a
un superamento dei limiti stretti imposti dal Concordato lateranense del 1929, che
aveva costituito una sorta di ipoteca abbastanza gravosa sull’atteggiamento
complessivo dell’ordinamento nei confronti del fenomeno religioso295.
L’atteggiamento concordatario rappresentava così negli anni Trenta la risposta
utilizzata dall’ordinamento italiano per disciplinare il fenomeno religioso, in
un’alternativa prospettata dalla dottrina, che vedeva i due poli opposti del
confessionismo e della libertà religiosa296: secondo alcuni297 il primo non poteva
estendere la sua influenza nel campo della seconda, se non per quelle ipotesi
espressamente disciplinate dalla legge, mentre per altri 298 doveva trovare
applicazione il diverso e opposto orientamento299.
L’importanza della legislazione concordatataria ha segnato così
profondamente l’ordinamento italiano che neppure al tempo dell’Assemblea
costituente si è immediatamente giunti ad una sua modificazione, ed anzi il progetto

294
Cfr. C. Cardia, voce Religione (libertà di), in Enc. dir., Agg., II, Milano, 1998, p. 914.
295
Nel volgere di due anni, dal 1929 al 1931, si assiste a un generale mutamento del sistema di
relazioni esistenti tra lo Stato e le Chiese. Con il Trattato del Laterano viene risolta la questione
romana, con l’istituzione dello Stato Città del Vaticano. Sempre con lo stesso Trattato e con il
Concordato lateranense sono state regolate le relazioni fra Italia e Santa Sede, attraverso una
disciplina organica e complessiva sulla condizione della Chiesa cattolica nell’ordinamento italiano.
Infine la legge sui culti ammessi, n. 1159 del 1929, ha disciplinato le confessioni religiose non
cattoliche, coerentemente con i nuovi principi del regime concordatario, prevedendo in tal modo per i
culti ammessi una serie di controlli statali, sia sulle strutture ecclesiastiche che sui ministri di culto e
più in generale sulle attività che le confessioni potevano svolgere. Cfr. C. Cardia, Stato e confessioni
religiose. Il regime pattizio, Bologna, 1990, p. 103 ss.
296
Sull’evoluzione storico-normativa dei rapporti tra Stato e confessione cattolica cfr. P. Bellini, Leggi
ecclesiastiche italiane separatistiche e giurisdizionalistiche (1848-1867), in P. Bellini, Saeculum
Christianum. Sui modi di presenza della Chiesa nella vicenda politica degli uomini, Torino, 1995, p.
204 s.; C. Cardia, Stato e confessioni religiose. Il regime pattizio, cit., p. 93 ss.
297
Cfr. C. Magni, Intorno al nuovo diritto dei culti acattolici ammessi in Italia, in Studi sass., 1931, p.
63.
298
Cfr. V. Del Giudice, Corso di diritto ecclesiastico, Milano, 1933, p. 316.
299
Seguendo quest’ultimo orientamento si giunse a ritenere il confessionismo come la regola generale,
riconoscendo alla garanzia della libertà religiosa natura di eccezione, per cui il primo avrebbe dovuto
estendere la sua influenza in tutti i campi, escludendo soltanto quelle ipotesi tassativamente previste e
pertanto garantite di libertà religiosa. Cfr. V. Del Giudice, Corso di diritto ecclesiastico, cit., p. 316.

81
di innovazione istituzionale è parso addirittura congelato300; si pensi sul punto
all’accoglimento dei Patti lateranensi nell’art. 7 Cost. 301, in una sorta di affermazione
di superiorità gerarchica che ancora nei primi anni Sessanta trovava accoglimento
nella giurisprudenza di legittimità302, portando a una sorta di coesistenza tra la
Costituzione e la legislazione ecclesiastica scaturita dal biennio 1929-1930. Nel
corso di questo periodo pertanto si è assistito a un lento affrancamento dall’eredità
confessionista, con una serie di ritardi rintracciabili nelle formulazioni dottrinali e
negli arresti giurisprudenziali, che ha visto il contrapporsi tra quanti303 tentavano di
legittimare e quanti304 invece avversavano la coesistenza del nuovo testo
costituzionale e il risalente Concordato.
Il secondo percorso si dipana dai principi affermati nel testo costituzionale,
arricchito nel tempo da diversi contributi connotati da punti di riferimento culturali
differenziati, prendendo in considerazione anche la generalità dei diritti di libertà, il
tema del pluralismo e la questione della società multirazziale. L’originaria
ispirazione tratta dal pensiero ottocentesco è stata superata con il passaggio dalla
concezione negativa a quella positiva di libertà religiosa, nonché con l’affermazione
del diritto alla libertà di formarsi una propria coscienza, garantito però dalla

300
L’assetto complessivo dei Patti lateranensi e pertanto l’implicita soluzione della questione romana
non fu messo in discussione nemmeno dai vertici del Partito Comunista, anche se il più grande partito
della sinistra intendeva riaffermare nel testo costituzionale, quali libertà democratiche fondamentali,
quella di coscienza, di fede, di culto, di propaganda e di organizzazione religiosa. Cfr. D. Loprieno, La
libertà religiosa, Milano, 2009, p. 69 ss.
301
Articolo che così recita: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine,
indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti,
accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”.
302
Secondo la Suprema Corte i Patti lateranensi “hanno lo stesso valore e la stessa efficacia che
avrebbero (avuto) se fossero stati inclusi nella Carta costituzionale o fossero stati approvati da legge
costituzionale”. Cass., 23 ottobre 1964, n. 2651, in Foro it., 1964, I, c. 2086.
303
Cfr. P.A. d’Avack, Il problema storico-giuridico della libertà religiosa, Roma, 1965, p. 236; lo
steso autore a distanza di dieci anni giustificava la diversità di trattamento nei confronti della Chiesa
cattolica in base a “una differenza formale e (…) una differenza sostanziale: 1) la differenza formale
sta nel fatto di conservare alla sola religione cattolica il titolo e la qualifica tradizionali, consacrati già
nell’art. 1 dell’antico statuto albertino del 1848 e ribaditi solennemente nell’art. 1 del Trattato
lateranense del 1929 tuttora vigente, di «sola religione dello Stato»; 2) la differenza sostanziale poi si
concreta nel basilare riconoscimento della Chiesa cattolica quale ordinamento giuridico primario, e
cioè, giusta l’insegnamento già corrente nella nostra giuspubblicistica, quale un ordinamento avente
insito in sé il carattere della sovranità, in quanto dotato di assoluta indipendenza e autonomia”. P.A.
d’Avack, voce Libertà religiosa (dir. eccl.), cit., p. 602.
304
Cfr. S. Lariccia, Coscienza e libertà. Profili costituzionali del diritto ecclesiastico italiano,
Bologna, 1989, p. 25 ss.

82
possibilità di disporre degli strumenti necessari 305. Le conseguenze di tale duplice
assunto hanno condotto alla disfatta della nozione di Stato indifferentista, vincolato
esclusivamente ad eliminare dall’ordinamento ogni rinvio al tema della religione,
così garantendo all’individuo l’assoluta libertà per le questioni di coscienza 306, e ad
una maggiore attenzione al momento genetico della formulazione delle idee e degli
orientamenti riguardanti la materia religiosa e non esclusivamente quindi alla sola
manifestazione della religiosità307.
L’evoluzione storico-normativa così intrapresa dall’ordinamento italiano ha
consentito l’avvicinamento tra questo e la disciplina internazionale, dove nel corso
degli anni si è voluto tentare di realizzare un complessivo modello di tutela della
libertà religiosa, anche attraverso l’enunciazione di alcuni principi fondamentali, tra
cui campeggia in particolare l’art. 18 della Dichiarazione universale dell’ONU308,
nonché l’art. 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 309. Alla
luce del combinato disposto dei ricordati testi internazionali si viene a profilare,
come è stato sostenuto310, un diritto ad articolazione complessa, distinto e autonomo
rispetto alle altre libertà intellettuali, che ha trovato esplicitazione in ulteriori atti
normativi, caratterizzati dall’evoluzione della tutela internazionale dei diritti umani.
Al fianco della religione, la normativa internazionale ha nel tempo ulteriormente
305
Cfr. C. Cardia, Società moderna e diritti di libertà, in Aa. Vv., Teoria e prassi delle libertà di
religione, Bologna, 1975, p. 23 ss.
306
Cfr. F. Ruffini, Corso di diritto ecclesiastico italiano. La libertà religiosa come diritto pubblico
subiettivo, cit., p. 200 ss.
307
Cfr. C. Cardia, voce Religione (libertà di), cit., p. 915.
308
Tale articolo stabilisce che “ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di
religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare,
isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo
nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti”.
309
Il quale ribadisce che: “1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di
religione. Tale diritto include la libertà di avere o di adottare una religione o un credo di sua scelta,
nonché la libertà di manifestare, individualmente o in comune con altri, e sia in pubblico sia in
privato, la propria religione o il proprio credo nel culto e nell’osservanza dei riti, nelle pratiche e
nell’insegnamento. 2. Nessuno può essere assoggettato a costrizioni che possano menomare la sua
libertà di avere o adottare una religione o un credo di sua scelta. 3. La libertà di manifestare la propria
religione o il proprio credo può essere sottoposta unicamente alle restrizioni previste dalla legge e che
siano necessarie per la tutela della sicurezza pubblica, dell’ordine pubblico e della sanità pubblica,
della morale pubblica o degli altrui diritti e libertà fondamentali. 4. Gli Stati parti del presente Patto si
impegnano a rispettare la libertà dei genitori e, ove del caso, dei tutori legali di curare l’educazione
religiosa e morale dei figli in conformità alle proprie convinzioni”.
310
Cfr. V. Buonomo, La libertà religiosa entro il sistema dei diritti umani, in Diritti umani e libertà
religiosa, a cura di Vittorio Possenti, Soveria Mannelli, 2010, p. 25.

83
posto i concetti di libertà, non discriminazione e tolleranza, e soprattutto per
quest’ultima nel 1981 si è giunti all’adozione della Dichiarazione sull’eliminazione
di tutte le forme di intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione e sul
credo, in modo tale che ormai anche l’Organizzazione delle Nazioni Unite tende a
considerare la libertà religiosa nella sua accezione negativa, così da rileggere la
libertà di religione in forza del principio di non discriminazione311.
Negli anni seguenti anche l’UNESCO è giunta a predisporre una
Dichiarazione di principi sulla tolleranza312, adottata nella Conferenza generale del
16 novembre 1995, nel cui testo viene formulato chiaramente l’oggetto della tutela,
oltre a un invito generale ad agire in spirito di tolleranza in qualsiasi situazione legata
alla vita sociale313.
311
Nell’art. 1 della Dichiarazione viene ribadito che: “1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di
pensiero, di coscienza e di religione. Questo diritto include la libertà di professare una religione o
qualunque altro credo di propria scelta, nonché la libertà di manifestare la propria religione o il
proprio credo, sia individualmente che in comune con altri, sia in pubblico che in privato, per mezzo
del culto e dell’osservanza di riti, della pratica e dell’insegnamento. 2. Nessun individuo sarà soggetto
a coercizioni di sorta che pregiudichino la sua libertà di professare una religione o un credo di propria
scelta. 3. La libertà di professare la propria religione o il proprio credo potrà essere soggetta alle sole
limitazioni prescritte dalla legge e che risultino necessarie alla tutela della sicurezza pubblica,
dell’ordine pubblico e della sanità pubblica o della morale o delle libertà e dei diritti fondamentali
altrui”.
312
La Conferenza generale così definisce la tolleranza, nell’art. 1 della Dichiarazione: “1.1 La
tolleranza è il rispetto, l’accettazione e la valorizzazione della ricchezza della diversità delle culture
del nostro mondo, dei nostro modi di esprimerci e dei modi di esprimere la nostra qualità di esseri
umani. È sostenuta dalla conoscenza, l’apertura di spirito, la comunicazione e la libertà di pensiero, di
coscienza e di credo. La tolleranza è l’armonia nella diversità. Non è solo un obbligo di ordine etico; è
anche una necessità politica e giuridica. La tolleranza è una virtù che rende possibile la pace e
contribuisce a sostituire una cultura di pace alla cultura della guerra. 1.2 La tolleranza non è né
concessione, né condiscendenza, né compiacenza. La tolleranza è, innanzitutto, un atteggiamento
operativo animato dal riconoscimento dei diritti universali della persona umana e delle libertà
fondamentali degli altri. In nessun caso la tolleranza potrebbe essere invocata per giustificare
l’attentare a questi valori fondamentali. La tolleranza deve essere praticata dagli individui, i gruppi e
gli Stati. 1.3 La tolleranza è la chiave di volta dei diritti umani, del pluralismo (compreso il pluralismo
culturale), la democrazia e lo Stato di Diritto. Implica il rifiuto del dogmatismo e dell’assolutismo e dà
forza alle norme enunciate negli strumenti internazionali relativi ai diritti umani. 1.4 In consonanza al
rispetto dei diritti umani, praticare la tolleranza non è né tollerare l’ingiustizia sociale, né rinunciare
alle proprie convinzioni, né fare concessioni in questi campi. La pratica della tolleranza significa che
ognuno può scegliere liberamente le sue convinzioni e accetta che l’altro goda della stessa libertà.
Significa accettare che gli esseri umani, che si caratterizzano naturalmente per la diversità dell’aspetto
fisico, della situazione, del modo di esprimersi, dei comportamenti e dei valori, hanno il diritto di
vivere in pace e di essere come sono. Significa inoltre che nessuno deve imporre agli altri le sue
opinioni”.
313
Cfr. F. Margiotta Broglio, La Dichiarazione dell’UNESCO sulla tolleranza, in Rivista di studi
politici internazionali, 1996, 249, p. 55 ss.

84
In riferimento al diritto internazionale emergono delle situazioni in cui il tema
della libertà di religione si colora in modo tale da consentire la salvaguardia della
sfera privata e di quella pubblica, al fine di garantire le esigenze della persona, come
credente e come cittadino. Si pensi ad esempio alla cosiddetta clausola culturale
accolta nel 1993 dalla Conferenza di Vienna sui diritti umani, che permette
un’interpretazione di questi ultimi che non sia in contrasto con una determinata
visione religiosa, sempre che questa non rappresenti un elemento di discriminazione,
di esclusione o di limitazione dei suddetti diritti314. Tale atteggiamento ha trovato
conferma nella risoluzione 2004/36 adottata dalla Commissione dei diritti dell’uomo
dell’ONU, nella quale sono state individuate nell’islamofobia, nell’antisemitismo e
nella cristianofobia delle cause da cui è scaturito un aumento generalizzato dei casi di
intolleranza, diretti nei confronti dei membri di alcune comunità religiose sparse nel
mondo315.
Tornando all’ordinamento italiano e da un punto di vista classificatorio, il
diritto di libertà religiosa può annoverarsi tra i cosiddetti diritti inviolabili, ricordati
all’art. 2 Cost.316, costituenti quell’insieme inalienabile e intangibile di situazioni
giuridiche fondamentali riferibili alla persona umana e rintracciabili nell’esperienza
giuridica anche di altri Paesi317.
L’inserimento di tale libertà nell’insieme dei diritti individuali inviolabili
della persona implica necessariamente l’identificazione del suo contenuto con quello
di libertà di coscienza318, con la conseguente illegittimità di qualsiasi intromissione

314
Cfr. V. Buonomo, I diritti umani nelle relazioni internazionali, Roma, 1997, p. 57.
315
Successivamente, il 19 dicembre 2006 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la
risoluzione 61/164 sulla lotta contro la diffamazione religiosa, in cui si è affermato che la
diffamazione nei confronti delle religioni costituisce una causa di instabilità delle relazioni sociali, al
punto che si chiede agli Stati di adottare quelle misure necessarie per eliminare tali condotte. Cfr. V.
Buonomo, La libertà religiosa entro il sistema dei diritti umani, cit., p. 53 ss.
316
Il quale stabilisce che: “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come
singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei
doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
317
Il primo emendamento della Costituzione statunitense, introdotto nel 1791 e chiamato a comporre il
Bill of Rights, stabilisce che: “Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or
prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press; or the right
of the people peaceably to assemble, and to petition the government for a redress of grievances”.
318
L’inviolabilità del diritto scaturisce dal riconoscimento che la formazione di una coscienza
individuale in materia religiosa rappresenti una porzione di quel più ampio processo di maturazione
spirituale e intellettuale della persona. Cfr. P. Bellini, Nuova problematica della libertà religiosa
individuale nella società pluralista, in Individuo, gruppi, confessioni religiose nello Stato

85
dello Stato nelle dinamiche presenti nel foro interno, ma anche, secondo la
dottrina319, l’impossibilità di disporre una imposizione che presupponga un contrasto
tra la coscienza e la condotta320.
Proseguendo nella classificazione del diritto di libertà religiosa, la dottrina 321
inserisce tale situazione giuridica nei cosiddetti diritti individuali, distinti da quelli
funzionali. Come tale il diritto viene riconosciuto al singolo, concretandosi
immediatamente nel godimento della personalità, essendo assoluto, intrasferibile,
irrinunciabile e indisponibile322; ma non solo: tale situazione giuridica soggettiva,
secondo la dottrina323, è da riconoscersi concorrentemente agli individui nel momento
in cui vengano a far parte di organizzazioni sociali con natura e finalità religiose,
ossia le cosiddette confessioni religiose, delineando un diritto proprio di queste
ultime e pertanto determinando uno specifico diritto sociale collettivo. In quanto
diritto personale e individuale, la libertà religiosa trova fondamento negli artt. 3,
primo comma, 19, 20 e 51, primo comma, Cost.324, centrati sul principio

democratico. Atti del Convegno nazionale di diritto ecclesiastico, Siena, 30 novembre-2 dicembre
1972, Milano, 1973, p. 1120 ss.
319
Cfr. S. Fois, Principi costituzionali e libera manifestazione del pensiero, Milano, 1957, p. 14 ss.
320
Questione emersa ad esempio quando la Consulta è stata chiamata a valutare la legittimità
costituzionale della formula di giuramento prevista nei codici di rito sia civile che penale. Secondo il
giudice delle leggi “la libertà di coscienza, riferita alla professione sia di fede religiosa sia di opinione
in materia religiosa, non è rispettata sol perché l’ordinamento statuale non impone a chicchessia atti di
culto (…); la libertà è violata, infatti, anche quando sia imposto al soggetto il compimento di atti con
significato religioso. Con la formula di giuramento prevista dall’art. 251, secondo comma, del codice
di procedura civile, il testimone non credente subisce una lesione della sua libertà di coscienza da due
punti di vista, distinti ma collegati: in primo luogo egli si manifesta credente di fronte al giudice ed in
generale a tutti i presenti mentre credente non è; inoltre, la sua convinzione di non credente comporta,
più che una intenzione ed un proposito di non vincolarsi verso la Divinità, una necessità di ridurre, ma
in interiore homine, il contenuto normale della formula per ciò che concerne l’obbligo di natura
religiosa. Tale riduzione è molto vicina ad una riserva mentale indotta (…) e dà luogo ad una non
assunzione di impegno nell’intimo della coscienza, che rimane del tutto irrilevante dal punto di vista
del diritto”. Corte cost., 2 ottobre 1979, n. 117, n. 4 del Considerato in diritto, in
www.cortecostituzionale.it
321
Cfr. A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali, Padova, 1990, p. 36 s.
322
Cfr. A. De Cupis, Diritti della personalità, Milano, 1988, p. 86; V. Angiolini, Il ‘pluralismo’ nella
Costituzione e la Costituzione per il ‘pluralismo’, in I soggetti del pluralismo nella giurisprudenza
costituzionale, a cura di R. Bin e C. Pinelli, Torino 1996, p. 9 s.; A. Baldassarre, Diritti della persona
e valori costituzionali, Torino, 1997, p. 313 s.
323
Cfr. P.A. d’Avack, voce Libertà religiosa (dir. eccl.), cit., p. 596.
324
Disposizioni che nell’ordine così recitano: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali
davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali”; “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa
in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in

86
fondamentale di eguaglianza giuridica, assicurando la libertà di coscienza e di culto
integralmente e pienamente a tutti i singoli; in qualità di diritto sociale collettivo, in
forza del principio generale delle libertà di associazione, sancito al primo comma
dell’art. 18 Cost., e volendo così garantire il principio generale contenuto nell’art. 2
Cost., il testo costituzionale riconosce alla Chiesa cattolica nell’art. 7, primo comma,
natura di ordinamento primario, per poi stabilire nel successivo art. 8 325 l’eguale
libertà di tutte le confessioni religiose dinanzi alla legge e il loro diritto ad
organizzarsi, ribadendo nell’art. 20 il diritto delle associazioni e delle altre istituzioni
con fini di culto e di religione a non essere limitate né sottoposte a particolari
gravami fiscali, per la costituzione, capacità giuridica e ulteriori attività326.
In quelle ipotesi in cui lo Stato o più in generale i poteri pubblici debbano
agire con comportamenti positivi, al fine di consentire o per lo meno favorire
l’esercizio della libertà religiosa, o quando il legislatore debba disciplinare specifici
rapporti sociali, è necessario che in tutte le fattispecie ricordate non venga meno quel
carattere di neutralità e imparzialità tale da garantire la parità e l’equilibrio tra
confessioni e scelte religiose dei singoli327.
La coscienza individuale deve poi essere garantita nella sua dimensione
ontologicamente dinamica e pertanto l’eventuale appartenenza confessionale, o il
rifiuto di assumere qualsiasi credo, non possono pervenire ad una dimensione di
stabilità e di rilievo giuridico immodificabili e riferibili univocamente e
inequivocabilmente alla personalità del soggetto328.

pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”; “Il carattere ecclesiastico e il
fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali
limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni
forma di attività”; “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e
alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la
Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.
325
Che nell’ordine così dispongono: “I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza
autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale”; “Lo Stato e la Chiesa
cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”; “Tutte le confessioni religiose
sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto
di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze”.
326
Cfr. P.A. d’Avack, voce Libertà religiosa (dir. eccl.), cit., pp. 596 e 599.
327
Cfr. C. Cardia, voce Religione (libertà di), cit., p. 923.
328
Sul punto e in merito ad esempio all’assistenza spirituale nelle strutture obbliganti o
all’insegnamento religioso nella scuola pubblica cfr. V. Tozzi, Assistenza religiosa e diritto
ecclesiastico, Napoli, 1985, p. 80.

87
A ciò si aggiunga la tutela dei profili individuali e personali della libertà
religiosa, tra cui spicca il diritto alla riservatezza, presupposto necessario per
garantire l’intimità delle scelte di coscienza, il principio dell’irrilevanza
dell’appartenenza confessionale, soprattutto in materia finanziaria e il
riconoscimento positivo di alcune forme di obiezione di coscienza, nelle quali
l’ordinamento perviene a un contemperamento degli interessi in gioco, che vede
contrapposti da un lato il valore imperativo della conoscenza e dall’altro un altro
valore, riconosciuto e tutelato dall’ordinamento329.
Nel corso degli anni più volte è stata richiesta l’emanazione di una legge
ordinaria in materia di libertà religiosa, tale da abrogare anche quanto residuava dagli
interventi normativi del biennio 1929-1930; in particolare agli inizi degli anni
Novanta del secolo scorso, soprattutto nel corso della XV legislatura, prendendo
quale spunto la legislazione presente negli ordinamenti stranieri, il Parlamento
italiano sembrava fosse giunto a formulare un testo prossimo all’approvazione. Voci
contrarie alla prospettata nuova disciplina, presenti sia nelle istituzioni che nella
dottrina, auspicavano semplicemente l’abrogazione della vecchia normativa, optando
così per una tutela flessibile del diritto in esame, per la forma sia individuale che
collettiva. Il progetto naufragava e veniva riproposto senza successo nella XVI
legislatura, senza però essere neppure esaminato dalle Commissioni competenti,
ponendo quindi definitivamente fine alle proposte avanzate in materia di libertà
religiosa330.

3. La libertà religiosa nell’ordinamento canonico

Per lungo tempo l’intolleranza religiosa è stata sostenuta e praticata dalla


stessa Chiesa cattolica, in parte adeguantesi a uno spirito del tempo condiviso e
fondando tale atteggiamento sul principio dell’esclusivismo religioso, a partire
dall’interpretazione dell’affermazione extra Ecclesiam nulla salus, per cui la ricerca
e il raggiungimento della verità, razionalmente disponibile all’uomo, non ammettono

329
Cfr. C. Cardia, voce Religione (libertà di), cit., p. 929.
330
Cfr. F. Patruno, Matrimonio e famiglia negli ultimi progetti di legge sulla libertà religiosa, in Dir.
fam. e pers., 2014, 2, p. 906.

88
l’equiparazione tra verità ed errore331. Tale dottrina, affermatasi pienamente in epoca
post-tridentina, è stata sostenuta nell’Ottocento e fino alla prima metà del Novecento,
rintracciandosi in una molteplicità di documenti del Magistero con la conseguente
condanna delle libertà moderne e in particolare di quella religiosa332.
Con tale atteggiamento il cattolicesimo romano perseverava nell’esaltazione
di quei benefici che aveva tratto dalla protezione offerta dagli Stati assoluti e
confessionisti, paventando il pericolo che poteva derivare da una sorta di
agnosticismo statuale in campo religioso, potenzialmente lesivo di quelle sicurezze
acquisite nel corso del tempo333.
I principi dell’esclusivismo, fondati come ricordato sulla certezza dogmatica
che vedeva la Chiesa quale unica depositaria della verità in materia di fede nei
confronti di qualsiasi altra confessione religiosa, e peraltro ancora presenti, seppur in
modo occulto, nell’agire del Magistero, ma riaffermati a chiare lettere in documenti
più recenti334, conducevano il successore di Pietro a respingere e condannare

331
Cfr. P.A. d’Avack, voce Libertà religiosa (dir. can.), in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, p. 608.
332
Cfr. P. Colella, La libertà religiosa nell’ordinamento canonico, Napoli, 1984, p. 25.
333
Cfr. M. Condorelli, I fondamenti giuridici della tolleranza religiosa nell’elaborazione canonistica
dei secc. XII e XIII (contributo dogmatico), Milano, 1960, p. 6.
334
Nella Dichiarazione del 6 agosto 2000, Dominus Iesus, la Congregazione per la dottrina della fede
chiarisce, trovando concorde opinione in Giovanni Paolo II, che “deve essere, quindi, fermamente
ritenuta la distinzione tra la fede teologale e la credenza nelle altre religioni. Se la fede è l’accoglienza
nella grazia della verità rivelata, «che permette di entrare all’interno del mistero, favorendone la
coerente intelligenza», la credenza nelle altre religioni è quell’insieme di esperienza e di pensiero, che
costituiscono i tesori umani di saggezza e di religiosità, che l’uomo nella sua ricerca della verità ha
ideato e messo in atto nel suo riferimento al Divino e all’Assoluto”; “Si avanza anche l’ipotesi circa il
valore ispirato dei testi sacri di altre religioni. Certo, bisogna riconoscere come alcuni elementi
presenti in essi siano di fatto strumenti, attraverso i quali moltitudini di persone, nel corso dei secoli,
hanno potuto e ancora oggi possono alimentare e conservare il loro rapporto religioso con Dio (...) La
tradizione della Chiesa, però, riserva la qualifica di testi ispirati ai libri canonici dell’Antico e del
Nuovo Testamento, in quanto ispirati dallo Spirito Santo”; “Il Signore Gesù, unico Salvatore, non
stabilì una semplice comunità di discepoli, ma costituì la Chiesa come mistero salvifico (...) Perciò in
connessione con l’unicità e l’universalità della mediazione salvifica di Gesù Cristo, deve essere
fermamente creduta come verità di fede cattolica l’unicità della Chiesa da lui fondata (...) Esiste
quindi un’unica Chiesa di Cristo, che sussiste nella Chiesa Cattolica, governata dal Successore di
Pietro e dai Vescovi in comunione con lui. Le Chiese che, pur non essendo in perfetta comunione con
la Chiesa Cattolica, restano unite ad essa per mezzo di strettissimi vincoli, quali la successione
apostolica e la valida Eucaristia, sono vere Chiese particolari”; “Certamente, le varie tradizioni
religiose contengono e offrono elementi di religiosità, che procedono da Dio, e che fanno parte di
«quanto opera lo Spirito nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli, nelle culture e nelle
religioni». Di fatto alcune preghiere e alcuni riti delle altre religioni possono assumere un ruolo di
preparazione evangelica, in quanto sono occasioni o pedagogie in cui i cuori degli uomini sono
stimolati ad aprirsi all’azione di Dio. Ad essi tuttavia non può essere attribuita l’origine divina e

89
coerentemente qualsiasi ideologia accolta dagli ordinamenti positivi, che invece
ammettesse un regime di completa libertà religiosa335.
Nel corso del tempo però si ebbe un graduale riconoscimento della libertà
religiosa nell’ordinamento canonico, con un’attenuazione sempre maggiore
dell’intransigenza prima dimostrata e avvalendosi dello strumento delle
dissimulationes, fondate sulla distinzione in materia di intolleranza religiosa tra tesi
ed ipotesi, teoria generale e pratica particolare, regola ed eccezione. Attraverso tali
distinzioni la libertà religiosa diveniva un mero fatto subìto più che tollerato e per
motivi di ordine pubblico, o per perseguire il principio del male minore, si
autorizzavano gli Stati cattolici ad accordare in via provvisoria una certa tolleranza,
anche con una certa libertà di coscienza e di culto, a favore delle confessioni
acattoliche, a condizione però che la situazione storica contingente, quasi a dettare
uno stato di necessità, rendesse utile per il publicum bonum della Chiesa, o per le
circostanze e le esigenze, l’atteggiamento tollerante336. Volendo indicare i punti di
snodo di tale percorso di avvicinamento alla dottrina odierna in materia di libertà
religiosa, culminata in quanto professato nel Concilio Vaticano II, devono ricordarsi,
come è stato fatto337, i pontificati di Leone XIII, Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII,
nonché quanto accolto nel can. 1351 del codice canonico del 1917338.
Durante il pontificato leonino la tolleranza in materia religiosa diviene l’altra
faccia della sopportazione della violazione di una norma, quale accettazione di un

l’efficacia salvifica ex opere operato, che è propria dei sacramenti cristiani. D’altronde non si può
ignorare che altri riti, in quanto dipendenti da superstizioni o da altri errori (cf. 1 Cor 10,20-21),
costituiscono piuttosto un ostacolo per la salvezza”. Congregazione per la dottrina della fede,
Dichiarazione “Dominus Iesus” circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della
Chiesa, in www.vatican.va.
335
Cfr. P.A. d’Avack, voce Libertà religiosa (dir. can.), cit., p. 608.
336
Cfr. M. Condorelli, I fondamenti giuridici della tolleranza religiosa nell’elaborazione canonistica
dei secc. XII e XIII (contributo dogmatico), cit., p. 11.
337
Cfr. O. Fumagalli Carulli, La libertà di scelta religiosa: principio fondamentale dello «ius
publicum ecclesiasticum externum» e della revisione concordataria italiana, in I diritti fondamentali
del cristiano nella Chiesa e nella società. Atti del IV Congresso internazionale di diritto canonico, a
cura di Eugenio Corecco, Niklaus Herzog, Angelo Scola, Fribourg (Suisse), 6-11.X.1980, Milano,
1981, p. 882 s. Secondo altri però da Leone XIII fino a Pio XII non sono da segnalare contributi
particolarmente innovatori sul tema, e anzi, soprattutto Pio X e Pio XI riaffermeranno con forza i
principi e gli insegnamenti tradizionali, applicandoli nella prassi e accompagnandoli con misure
sanzionatorie particolarmente rigorose, destinate a quanti mostrassero forme sia pure larvate di
dissenso e critica. Cfr. P. Colella, La libertà religiosa nell’ordinamento canonico, cit., p. 32.
338
In base al quale “Ad amplexandam fidem catholicam nemo invitus cogatur”.

90
male in situazioni particolari, in quanto l’eventuale irrogazione della sanzione o la
rimozione della condotta illecita produrrebbero un turbamento ben maggiore
all’ordine pubblico, provocando altresì gravi inconvenienti 339. Dalla concezione della
tolleranza come mero fatto si passa dunque a una concessione intesa come permissio
negativa mali, giustificabile dalla presenza di un insuperabile stato di necessità 340. In
particolare con l’ascesa al soglio pontificio di Giuseppe Pacelli si assiste a un
ampliamento di vedute e prospettive, e il concetto di tolleranza religiosa si modifica
sia a livello dottrinale che nella prassi, sebbene in maggior misura nei confronti degli
Stati piuttosto che per la vita interna della Chiesa. Pur mancando una trattazione
ufficiale, Pio XII spesso si riferisce nei suoi messaggi alla libertà religiosa 341,
accogliendo comunque la tolleranza come concessione discrezionale dell’autorità e,
con l’escludere il valore di diritto soggettivo alla libertà religiosa, supera però la
precedente definizione, riduttiva e minimalista, attribuendo alla tolleranza
un’accezione positiva342.

339
Per Leone XIII: “la Chiesa vorrebbe ardentemente che in tutti gli ordini statali penetrassero e
fossero praticati quegli insegnamenti cristiani di cui abbiamo parlato sommariamente. Infatti essi sono
molto efficaci come rimedio dei mali dell’età nostra, non pochi né lievi e in gran parte generati da
quelle stesse libertà che con tanta enfasi sono esaltate e nelle quali sembrava di scorgere semi di salute
e di gloria. L’esito ingannò la speranza. Invece di frutti dolci e salutari ne provennero altri acerbi e
avvelenati. Se si cerca un rimedio, lo si trovi nel ripristino di sane dottrine, dalle quali soltanto ci si
può aspettare con fiducia la conservazione dell’ordine e infine la tutela della vera libertà. Tuttavia la
Chiesa, con intelligenza materna, considera il grave peso della umana fragilità e non ignora quale sia il
corso degli animi e delle vicende da cui è trascinata la nostra età. Per queste ragioni, senza attribuire
diritti se non alla verità e alla rettitudine, la Chiesa non vieta che il pubblico potere tolleri qualcosa
non conforme alla verità e alla giustizia, o per evitare un male maggiore o per conseguire e preservare
un bene”. Leone XIII, Libertas, in www.vatican.va.
340
Pertanto resta ancora valido il principio che vede in via generale e quando possibile l’applicazione
dell’intolleranza, derogabile soltanto in via del tutto eccezionale laddove necessario. La salvaguardia
della pace pubblica trova dunque conforto nel ricorso al principio dell’adattabilità ai tempi, che
informa l’azione della Chiesa nella società temporale, comunque sempre orientata nel suo agire alla
tesi immutabile e perenne del valore e della forza del diritto alla verità. Cfr. A. Ottaviani, Doveri
dello Stato cattolico verso la religione, Roma, 1953, p. 18 ss.
341
Si pensi ad esempio al radiomessaggio natalizio sulla democrazia, del 24 dicembre 1942, e alle
allocuzioni dirette rispettivamente al V Congresso nazionale dei giuristi cattolici italiani, del 6
dicembre 1953, e al X Congresso internazionale di scienze storiche, del 7 settembre 1955. Cfr. P.
Colella, La libertà religiosa nell’ordinamento canonico, cit., p. 34.
342
Il concetto di tolleranza viene così ricollegato alla libertà di fede, anche se il Pontefice utilizza tale
argomentazione strumentalmente, in modo da garantire la tolleranza necessaria in quegli Stati che
avversavano la confessione cattolica. Tuttavia così iniziava a profilarsi una libertà religiosa, definita in
forme giuridiche positive, sebbene condizionata dalle circostanze, in quanto la tolleranza religiosa
permane un interesse superiore da garantire e tutelare per il bene pubblico e comune della società
ecclesiale. Cfr. P.A. d’Avack, voce Libertà religiosa (dir. can.), cit., p. 609; M. Condorelli, I

91
È nell’enciclica Pacem in terris del 1963 che Giovanni XXIII introduce la
distinzione tra errore ed errante, il primo da condannare sempre e comunque, mentre
al secondo è da riconoscere stima e rispetto, cui segue la tesi dell’evoluzione storica
delle ideologie, dinamicamente presenti nella vita degli uomini, per cui in base a tali
presupposti si giunge a proclamare l’esistenza di un diritto divino naturale e positivo
di libertà di coscienza e di culto, attribuito a tutti gli uomini che seguano la propria
coscienza in materia religiosa343.
Da ciò deriva una chiara condanna nei confronti di quegli ordinamenti civili
che limitino la libertà, oltre a un implicito passaggio dalla tolleranza al
riconoscimento di un vero e proprio diritto soggettivo di libertà religiosa, perno del
nuovo atteggiamento del Magistero romano344.
La dottrina tradizionale in materia di libertà religiosa viene compiutamente e
integralmente superata nella solenne proclamazione e consacrazione avvenuta
nell’ultima sessione del Concilio Vaticano II, nella Dichiarazione Dignitatis
humanae, che può ritenersi, come è stato affermato in dottrina 345, la nuova magna
charta ufficiale della Chiesa cattolica in tema di libertà religiosa346.
Nel documento ci si propone di ribadire in modo categorico e solenne il
diritto naturale dell’uomo a non essere ostacolato o limitato da soggetti pubblici o
privati nel praticare la propria fede religiosa ed esercitarne il culto secondo le

fondamenti giuridici della tolleranza religiosa nell’elaborazione canonistica dei secc. XII e XIII
(contributo dogmatico), cit., p. 155 ss.
343
Nell’enciclica si legge: “Ognuno ha il diritto di onorare Dio secondo il dettame della retta
coscienza; e quindi il diritto al culto di Dio privato e pubblico. Infatti, come afferma con chiarezza
Lattanzio: «Siamo stati creati allo scopo di rendere a Dio creatore il giusto onore che gli è dovuto, di
riconoscere lui solo e di seguirlo. Questo è il vincolo di pietà che a lui ci stringe e a lui ci lega, e dal
quale deriva il nome stesso di religione». Ed il nostro predecessore Leone XIII così si esprime:
«Questa libertà vera e degna dei figli di Dio, che mantiene alta la dignità dell’uomo, è più forte di
qualunque violenza ed ingiuria, e la Chiesa la reclamò e l’ebbe carissima ognora. Siffatta libertà
rivendicarono con intrepida costanza gli apostoli, la sancirono con gli scritti gli apologisti, la
consacrarono gran numero di martiri col proprio sangue»”. Giovanni XXIII, Pacem in terris, 8, in
www.vatican.va.
344
Cfr. P. Colella, La libertà religiosa nell’ordinamento canonico, cit., p. 37.
345
Cfr. P.A. d’Avack, voce Libertà religiosa (dir. can.), cit., p. 609.
346
All’interno di tale documento trova quindi accoglienza la dottrina del Vaticano II sulla libertà
religiosa nonché sulle relazioni della Chiesa con gli Stati e sul valore cristiano dell’ordine temporale.
Cfr. P. Lombardia, Lezioni di diritto canonico. Introduzione – Diritto costituzionale – Parte generale,
Milano, 1985, p. 39.

92
indicazioni fornite dalla sua coscienza 347, sia privatamente che pubblicamente, in
modo individuale o associato. Inoltre il diritto di libertà religiosa non viene limitato
alla sua natura soggettiva e individuale, bensì esteso attribuendogli un valore
collettivo e istituzionale, rintracciabile nelle formazioni sociali e in particolare nelle
confessioni religiose348.
La dichiarazione riconosce un regime di eguaglianza tra tutti gli uomini,
presupposto di una libertà responsabile, riguardante soprattutto i beni dello spirito e

347
E che comporta la possibilità di far ricorso all’esercizio dell’obiezione di coscienza qualora il
fedele si trovi nella necessità di tradire i propri convincimenti o di uniformarsi a quelle scelte che
contrastino radicalmente con la propria fede. Cfr. M.G. Belgiorno De Stefano, Il diritto fondamentale
all’obiezione di coscienza nell’esercizio della «libertas ecclesiae», in I diritti fondamentali del
cristiano nella Chiesa e nella società, cit., p. 878.
348
In particolare si legge nelle Dichiarazione: “Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona
umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono
essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia
potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia
impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma
individuale o associata. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla
stessa dignità della persona umana quale l’hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa
ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito
come diritto civile nell’ordinamento giuridico della società (...) L’uomo coglie e riconosce gli
imperativi della legge divina attraverso la sua coscienza, che è tenuto a seguire fedelmente in ogni sua
attività per raggiungere il suo fine che è Dio. Non si deve quindi costringerlo ad agire contro la sua
coscienza. E non si deve neppure impedirgli di agire in conformità ad essa, soprattutto in campo
religioso. Infatti l’esercizio della religione, per sua stessa natura, consiste anzitutto in atti interni
volontari e liberi, con i quali l’essere umano si dirige immediatamente verso Dio: e tali atti da
un’autorità meramente umana non possono essere né comandati, né proibiti. Però la stessa natura
sociale dell’essere umano esige che egli esprima esternamente gli atti interni di religione, comunichi
con altri in materia religiosa e professi la propria religione in modo comunitario. Si fa quindi ingiuria
alla persona umana e allo stesso ordine stabilito da Dio per gli esseri umani, quando si nega ad essi il
libero esercizio della religione nella società, una volta rispettato l’ordine pubblico informato a
giustizia. Inoltre gli atti religiosi, con i quali in forma privata e pubblica gli esseri umani con decisione
interiore si dirigono a Dio, trascendono per loro natura l’ordine terrestre e temporale delle cose.
Quindi la potestà civile, il cui fine proprio è di attuare il bene comune temporale, deve certamente
rispettare e favorire la vita religiosa dei cittadini, però evade dal campo della sua competenza se
presume di dirigere o di impedire gli atti religiosi. (...) La libertà religiosa che compete alle singole
persone, compete ovviamente ad esse anche quando agiscono in forma comunitaria. I gruppi religiosi,
infatti, sono postulati dalla natura sociale tanto degli esseri umani, quanto della stessa religione. A tali
gruppi, pertanto, posto che le giuste esigenze dell’ordine pubblico non siano violate, deve essere
riconosciuto il diritto di essere immuni da ogni misura coercitiva nel reggersi secondo norme proprie,
nel prestare alla suprema divinità il culto pubblico, nell’aiutare i propri membri ad esercitare la vita
religiosa, nel sostenerli con il proprio insegnamento e nel promuovere quelle istituzioni nelle quali i
loro membri cooperino gli uni con gli altri ad informare la vita secondo i principi della propria
religione. Parimenti ai gruppi religiosi compete il diritto di non essere impediti con leggi o con atti
amministrativi del potere civile di scegliere, educare, nominare e trasferire i propri ministri, di
comunicare con le autorità e con le comunità religiose che vivono in altre regioni della terra, di

93
primariamente il libero esercizio della religione nella società. Così facendo, come è
stato colto dalla dottrina349, i padri conciliari hanno espresso una valutazione di
complementarietà e non certo di analogia tra i valori di uguaglianza e di libertà,
creando in tal modo un nuovo clima conciliare, volto a realizzare
quell’evangelizzazione di tutte le genti, che comprende anche la giusta definizione
della nozione di libertà. Riguardo a tale questione sempre la dottrina 350 si è
domandata quale fosse il contenuto specifico del diritto di libertà religiosa recepito
dall’ordinamento canonico, rispondendosi che, pur essendo l’uomo radicalmente
libero in materia religiosa, avendo il diritto a non essere costretto a scegliere o a non
scegliere, ha tuttavia il dovere di esercitare tale libertà conformemente al disegno
voluto da una lex constitutiva, per cui tale esercizio implica e anzi si fonda sui
principi di responsabilità, del dovere e del limite. È opportuno ricordare come nel
piano fondamentale della giuridicità, ossia nel disegno di Dio, diritto e dovere
appaiano congiunti ed uniti in una sintesi superiore perfettamente simmetrica, per cui
non può concepirsi l’uno senza l’altro351.
Rispetto alla libertà religiosa si passa dunque da un atteggiamento di
tolleranza, inteso come giudizio negativo morale sull’errore e come concessione
revocabile di quanto altrimenti non dovuto, alla libertà religiosa come diritto
soggettivo, di origine divina e naturale, attribuito ad ogni uomo e reclamabile nei
confronti dell’ordinamento civile ma anche di quello ecclesiale. Tale diritto,

costruire edifici religiosi, di acquistare e di godere di beni adeguati. I gruppi religiosi hanno anche il
diritto di non essere impediti di insegnare e di testimoniare pubblicamente la propria fede, a voce e per
scritto. Però, nel diffondere la fede religiosa e nell’introdurre pratiche religiose, si deve evitare ogni
modo di procedere in cui ci siano spinte coercitive o sollecitazioni disoneste o stimoli meno retti,
specialmente nei confronti di persone prive di cultura o senza risorse: un tale modo di agire va
considerato come abuso del proprio diritto e come lesione del diritto altrui. Inoltre la libertà religiosa
comporta pure che i gruppi religiosi non siano impediti di manifestare liberamente la virtù singolare
della propria dottrina nell’ordinare la società e nel vivificare ogni umana attività. Infine, nel carattere
sociale della natura umana e della stessa religione si fonda il diritto in virtù del quale gli esseri umani,
mossi dalla propria convinzione religiosa, possano liberamente riunirsi e dar vita ad associazioni
educative, culturali, caritative e sociali”. Const. dogm. Dignitatis humanae, 2-4, in www.vatican.va.
349
Cfr. P.G. Caron, La libertà religiosa nella «Declaratio Dignitatis humanae», in I diritti
fondamentali del cristiano nella Chiesa e nella società, cit., p. 1066 ss.
350
Cfr. G. Lo Castro, Il soggetto e i suoi diritti nell’ordinamento canonico, Milano, 1985, p. 283 ss.
351
L’apparente equivocità della libertà religiosa, così come intesa rispettivamente dall’ordinamento
canonico e da quelli secolari, si supera ritenendo che entrambi i modi di intendere tale libertà
assurgano a verità in relazione ai rispettivi ordinamenti, poiché in realtà l’equivoco concerne lo stesso
modo di intendere la giuridicità, il diritto e il suo fondamento e non solo la libertà religiosa. Cfr. G. Lo
Castro, Il soggetto e i suoi diritti nell’ordinamento canonico, cit., p. 289 ss.

94
espressione secondo alcuni352 di interesse spirituale fondamentale, è
incondizionatamente spettante a tutti e trova fondamento in tre principi: teologico-
dogmatico della libertà della fede; morale e giuridico del rispetto e della tutela della
persona umana; politico-giuridico dell’incompetenza dello Stato in materia di scelte
religiose353.
Riguardo al primo punto, ogni Stato ispirato ai principi della dottrina
cattolica, stante la natura essenzialmente libera della fede, verrà gravato dal dovere di
introdurre la libertà religiosa nel testo costituzionale fondamentale, tra i principi
primi dell’ordinamento, assicurando libertà di coscienza, di culto e di propaganda a
favore di quei gruppi che non presentino però un pericolo per il bene comune della
società civile secolare; il secondo punto invece, caratterizzato da sicura prevalenza,
esplicita quel consorzio oramai universale, come peraltro recepito nelle già ricordate
carte internazionali, che vede nella libertà religiosa un diritto fondamentale della
persona umana; infine, seguendo il terzo principio si giunge a negare la possibilità
per qualsiasi Stato di arrogarsi il diritto di giudicare sul valore di verità di una
determinata religione, al punto che è da rifiutarsi qualsiasi affermazione di
confessionalità statale in senso stretto, come l’adozione di una religione di Stato,
poiché l’organizzazione statale è ontologicamente incapace di pervenire a tanto, in
quanto realtà che non può essere elevata all’ordine soprannaturale354 .
Il mutamento di atteggiamento della Chiesa cattolica comporta conseguenze
anche per l’ordinamento interno, con la relativa ridefinizione dei diritti fondamentali
dell’uomo e del fedele, così superando quei modelli di convivenza già abbandonati
nel passato soprattutto dalle società civili, con l’operare cambiamenti nella
continuità.
Essendo come già detto il messaggio evangelico valido ed esteso a tutti gli
uomini, ciascuno diviene soggetto di diritti, vedendosi riconoscere la conseguente

352
Cfr. P. Gismondi, Il diritto della Chiesa dopo il Concilio, Milano, 1975, p. 147.
353
Cfr. P.A. d’Avack, voce Libertà religiosa (dir. can.), cit., p. 610.
354
Anche qualora lo Stato, tenendo conto delle condizioni della popolazione prevalentemente se non
esclusivamente di confessione cattolica, decidesse di adottare quale religione ufficiale il cristianesimo
romano, ci si troverebbe di fronte comunque a un mero atteggiamento pragmatico-giuridico, dettato
dalla fede dei cittadini e non assurgendo ad atto di fede dello stesso Stato, né tanto meno ad
un’affermazione di valore teologico-speculativo che come tale resterebbe al di fuori di qualsiasi
ambito di competenza dell’organizzazione civile. Cfr. P.A. d’Avack, voce Libertà religiosa (dir. can.),
cit., p. 611 ss.

95
tutela senza alcuna distinzione, chiamato pertanto a partecipare in condizioni di
parità ed uguaglianza, attivamente e responsabilmente alla vita della comunità
ecclesiale355.
Ne deriva per tutti i fedeli il riconoscimento pieno e completo
dell’eguaglianza nell’ordinamento, da garantirsi effettivamente e non solo
formalmente, rimanendo in capo alla Chiesa non solo la funzione organizzativa della
società visibile, ma anche il compito di manifestare l’evento salvifico avvenuto ed
operante, per cui è necessario che la comunità religiosa si fondi sulla libera adesione
sincera e spontanea di quanti ne vogliano far parte, credendo, sperando ed amando
nell’unità della fede in Gesù Cristo Salvatore356.
Pertanto l’emanazione del nuovo codice canonico agli inizi degli anni Ottanta
del secolo scorso costituisce il recepimento di quei principi conciliari, garantendo la
posizione di parità evidenziata in capo a ciascun uomo, nonché la difesa dei diritti
umani fondamentali. Analogamente verrà dato corso all’intenzione di attribuire a
ciascun fedele una funzione attiva anche giuridica, soprattutto riguardo all’esercizio e
alla tutela dei diritti riconosciuti, in particolare ai cann. 204-231 del codice357.
Quindi l’ordinamento canonico dovrà assicurare una piena libertà di adesione
alla Chiesa, senza però dimenticare di riconoscere anche ai non battezzati quella
soggettività cui segue l’insieme dei diritti umani fondamentali e tra questi il diritto di
libertà religiosa, sebbene anche l’eventuale predisposizione di strutture specifiche
che assicurino diritti e tutele, non potendosi ridurre a mere elargizioni, dovrà però
conservare quella funzione strumentale alla vita della Chiesa e dei fedeli358.
355
Difatti i compiti generali nell’ambito della comunità vengono conferiti indistintamente a tutti i
membri del popolo di Dio. Cfr. P. Colella, voce Populus Dei, in Enc. dir., XXXIV, Milano, 1985, p.
390 ss.
356
Cfr. P. Colella, La libertà religiosa nell’ordinamento canonico, cit., p. 76.
357
Dopo i quattro canoni introduttivi del libro II, culminanti nella definizione di fedele (can. 207), le
successive sedici disposizioni ne disciplinano i diritti e i doveri; i cann. 224-231 dispongono in merito
alle situazioni giuridiche soggettive attive e passive dei cristiani laici. In particolare tra questi diritti e
doveri possono ricordarsi: il diritto all’uguaglianza rispetto alla dignità e all’azione; i diritti relativi a
scelte di libertà, tra cui spiccano quello alla vita spirituale, allo stato di vita più consono per realizzare
la propria vocazione, a sviluppare la ricerca nelle scienze sacre; i diritti e i doveri familiari; quelli
relativi all’organizzazione generale della Chiesa istituzionale; infine il diritto di informare di spirito
evangelico le realtà temporali, essendo liberi nella comunità politica di appartenenza, di impegnarsi
per quelle scelte che siano coerenti con i principi cristiani e conseguenza della responsabilità
personale di ciascuno. Cfr. M. Marchesi, Contenuto normativo, in E. Cappellini, M. Marchesi, Il
nuovo Codice, Brescia, 1983, p. 124 ss.
358
Cfr. P. Colella, La libertà religiosa nell’ordinamento canonico, cit., p. 81 ss.

96
Tuttavia è bene precisare come sia possibile che all’interno dell’ordinamento
canonico sia stata riconosciuta l’autonomia soggettiva in materia religiosa. Se, come
già ricordato, l’atto di fede non può essere il risultato di una coercizione nel suo
momento originario, in seguito alla scelta operata lo stesso atto diviene oggetto di un
dovere, per cui ne conseguirebbe l’impossibilità di riconoscere la libertà religiosa
all’interno della Chiesa, in quanto incompatibile con il dovere di credere. La
dottrina359 però, ritornando sul punto, ha ribadito la necessità di distinguere quanto
l’uomo possa legittimamente fare nel campo dell’autonomia in materia religiosa, da
quanto riguardi il fondamento della libertà religiosa: se si segue la visione monistica
del rapporto tra uomo e ordinamento, propria della cultura antica e in un certo senso
di quella contemporanea, appare evidente che la libertà dell’uomo fondata su se
stessa veda qualsiasi limite come un elemento costrittivo da eliminare o attenuare, in
modo da garantire l’esercizio di tale libertà360; se invece si opta per una concezione
dualistica, propria del diritto canonico, il diritto e la sua forza risultano fondati su un
ente trascendente, per cui la doverosità diviene un elemento intrinseco all’uomo,
analogamente a quell’ente che lo costituisce nell’essere e in tale dimensione lo
conserva361. Da tali considerazioni deriva quanto già ricordato, ossia l’appartenenza
ad un unico piano fondamentale delle dimensioni del diritto e del dovere, dove
trovano sintesi superiore e perfetta simmetria, da cui l’impensabilità della libertà
senza il suo limite.
Poiché il soggetto di diritto preso in considerazione dall’ordinamento
canonico è l’uomo battezzato, per ciò solo, si potrebbe sostenere, la libertà religiosa
non trova accoglimento nello stesso ordinamento. Tuttavia il diritto della Chiesa si
riferisce al fedele anche in quanto uomo, per cui sarà innegabile l’attribuzione del
diritto di libertà, che però dovrà essere esercitato in modo doveroso. La libertà

359
Cfr. G. Lo Castro, Il mistero del diritto. III. L’uomo, il diritto, la giustizia, Torino, 2012, p. 189.
360
Per l’uomo greco la libertà “poggiava e per intero si realizzava nell’intelletto, senza esprimere né
esigere l’autonomia etica dell’uomo rispetto alla città”; analogamente si rintraccia nella cultura
contemporanea la tendenza “ad esaltare la norma, il potere a scapito dell’autonomia della realtà
spirituale dell’uomo, a scapito della sua libertà, con il conseguente sacrificio dell’indipendenza del
suo principio morale rispetto al mondo che la regola”. G. Lo Castro, Il mistero del diritto. III. L’uomo,
il diritto, la giustizia, cit., pp. 163 e 175.
361
Con il pensiero cristiano si diffonde l’idea dell’autonomia etica della persona, per cui la libertà e
dunque l’uomo libero “non è né il prodotto della regola, né la sua fonte, ma il termine della regola, il
regolato”. G. Lo Castro, Il mistero del diritto. III. L’uomo, il diritto, la giustizia, cit., p. 170.

97
umana, come ribadito dalla stessa dottrina362, non sussiste per sé ma per realizzare il
disegno di Dio, per cui anche le scelte religiose, manifestazione della libertà
dell’uomo, dovranno essere limitate, così fondando il dovere e la responsabilità su
quel disegno.

362
Cfr. G. Lo Castro, Il mistero del diritto. II. Persona e diritto nella Chiesa, Torino, 2011, p. 114.

98
CAPITOLO V

MAGISTERO DELLA CHIESA E QUESTIONE ECOLOGICA

1. La Chiesa cattolica e la tutela dell’ambiente

Punto di partenza della riflessione in materia ambientale nel corso della


seconda metà del Novecento è stata la pubblicazione da parte della biologa
statunitense Rachel Carson di un libro in cui si denunciava l’utilizzo dissennato del
DDT363, soprattutto in agricoltura. Con il suo volume la studiosa richiamò
l’attenzione sugli effetti disastrosi per l’equilibrio naturale, favorendo la nascita e lo
sviluppo non solo per gli Stati Uniti di una coscienza ambientale364.
Dall’analisi etimologica della parola ambiente, sia in italiano che in altre
lingue, il termine riguarda l’azione del circondare, per cui il suo significato si
riferisce a un insieme composito di fatti, ossia gli elementi che lo compongono, e di
atti, ovvero di rapporti dinamici tra questi stessi elementi, per cui l’ambiente può
ritenersi un luogo caratterizzato da modificazioni e processi storici in cui convivono
sia la natura che la cultura.
Da ciò deriva che con questo vocabolo si indichi la biosfera e i suoi equilibri,
il paesaggio, gli uomini, gli animali e le piante, in modo tale che il termine tenda
quasi a coincidere con natura365.
A partire dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso la questione
ecologica è divenuta un tema all’ordine del giorno, al punto che anche le istituzioni
politiche hanno dovuto prenderne atto e di conseguenza iniziare a proporre strumenti
di intervento volti almeno ad attenuare i fenomeni denunciati.
Il problema si è affacciato anche nella letteratura ed è divenuto oggetto di
studi universitari con un notevole incremento di progetti di ricerca, sebbene le

363
Cfr. R. Carson, Primavera silenziosa, Milano, 1999.
364
Cfr. S. Iovino, Filosofie dell’ambiente. Natura, etica, società, Roma, 2008, p. 27.
365
Cfr. V. Hösle, Filosofia della crisi ecologica, Torino, 1992, p. 5.

99
istituzioni frequentemente non siano state di particolare aiuto alla divulgazione di
una sensibilità ecologica attenta alla tutela dell’ambiente366.
Nelle relazioni tra gli Stati, soltanto a partire dalla Conferenza di Stoccolma,
indetta dalle Nazioni Unite nel 1972, inizia a profilarsi una serie di premesse
necessarie per il governo globale dell’ambiente e degli ecosistemi. Nel corso dei
lavori si è giunti all’approvazione di una Dichiarazione di principi, contenente
obiettivi generali non vincolanti, utili a definire regole fondamentali di condotta in
materia di protezione ambientale. L’incremento dei negoziati in materia, proprio di
quegli anni367, ha in seguito condotto all’istituzione di un organo internazionale con
competenze specifiche, attraverso il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente,
organo cui spettano funzioni di studio e di organizzazione per la definizione degli
aiuti ai Paesi in via di sviluppo, anche nel settore della protezione ambientale368.
Particolare rilievo ha avuto poi la conferenza su ambiente e sviluppo tenutasi
a Rio de Janeiro nel 1987, nella quale sono stati approvati documenti contenenti
obiettivi e programmi non vincolanti, e aperti alla firma due trattati internazionali,
ossia la Convenzione sulla diversità biologica e la Convenzione quadro sui
cambiamenti climatici.
Nei successivi incontri, in particolare a Kyoto, si stipulò il protocollo con il
quale le nazioni industrializzate si impegnarono a ridurre le emissioni di gas serra nel
periodo compreso tra il 2008 e il 2012; tuttavia i ritardi dell’entrata in vigore del
Trattato, la mancata ratifica degli Stati Uniti e dell’Australia e la volontà di Cina,
India e Brasile di non sottoporsi ai limiti imposti, hanno comportato un rallentamento
366
Nel corso degli anni hanno visto la luce diversi centri studi aventi ad oggetto il rapporto tra
ambiente e scelte etiche: nel 1989 in Canada viene fondata l’International Society for Environmental
Ethics, mentre nel 2004 in Germania viene istituita la European Association for the Study of
Literature, Culture, and the Environment. Accanto a queste organizzazioni si moltiplicano le
pubblicazioni: ricordiamo Environmental Values (1992), Ethics and the Environment (1997),
Worldviews: Environment, Culture, Religion (1997), Philosophy and Geography (1997), Ethics, Place
and the Environment (1998). Cfr. S. Iovino, Filosofie dell’ambiente. Natura, etica, società, cit., p. 31
s.
367
Cfr. G. Gaja, Evoluzione e tendenze attuali del diritto internazionale dell’ambiente: brevi
considerazioni, in Ambiente e diritto, a cura di S. Grassi, M. Cecchetti e A. Andronio, I, Firenze, 1999,
p. 115.
368
Proprio dall’attività di tale organizzazione sono scaturiti trattati di particolare rilievo per la materia
ambientale, come ad esempio la Convenzione di Vienna sulla protezione della fascia dell’ozono (22
marzo 1985) e il Protocollo di Montreal sulle sostanze che impoveriscono l’ozonosfera (16 settembre
1987). Cfr. S. Marchisio, Il diritto internazionale dell’ambiente, in G. Cordini, P. Fois, S. Marchisio,
Diritto ambientale. Profili internazionale, europei e comparati, Torino, 2008, p. 7.

100
dell’effettiva implementazione della regolamentazione prevista a livello globale sulle
sostanze inquinanti369. Da non sottovalutare, nell’ambito delle negoziazioni in
materia ambientale, l’importanza sempre maggiore delle organizzazioni non
governative internazionali, particolarmente attive nella difesa dell’ambiente e
dell’ecosistema370.
Alcuni riferimenti all’utilizzo delle risorse naturali sono rintracciabili soltanto
indirettamente nei documenti più risalenti del Magistero, come ad esempio nella
Rerum Novarum371, mentre la sempre maggiore attenzione per i temi ambientali si
intensifica a partire dall’identico interesse manifestato a livello internazionale 372; può
dirsi a ragione che ora tali temi rientrino a pieno titolo in quegli elementi che la
Chiesa pone a fondamento della dottrina sociale, in quanto ritenuti idonei ad incidere
profondamente sulla condizione umana373. Le risorse naturali, che per prime attirano
l’attenzione del Magistero, sono la terra e i suoi frutti: nella Mater et Magistra del
1961 si affrontano i problemi della campagna, ricordando la responsabilità dell’uomo
nei confronti della natura374.
369
Cfr. B. Caravita, L. Cassetti, La comunità internazionale, in Diritto dell’ambiente, a cura di
Beniamino Caravita, Luisa Cassetti, Andrea Morrone, Bologna, 2016, p. 68.
370
Cfr. F. Munari, L. Schiano Di Pepe, Diritto internazionale dell’ambiente e ruolo dei “Non State
Actors”: alcuni recenti sviluppi, in Com. inter., 2006, 3, p. 483 s.
371
Soltanto indirettamente la questione ambientale appare nell’enciclica leonina relativamente alle
condizioni insalubri delle fabbriche e dei posti di lavoro. Cfr. Leone XIII, Rerum Novarum, nn. 32-33,
in www.vatican.va.
372
Cfr. A.P. Taviani, “Frate sole” e il fotovoltaico. Il ruolo della parrocchia e la tutela dell’ambiente
tra normativa statale e Magistero della Chiesa cattolica, in www.statoechiese.it, novembre 2011, p.
13. Per il periodo antecedente cfr. C.M. Pettinato, Il grido di Abacuc. La questione teologica alla luce
delle istanze del giusnaturalismo cristiano contemporaneo, in www.statoechiese.it, 13 ottobre 2014, p.
8 s.
373
Nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa si legge: “La relazione dell’uomo con il mondo
è un elemento costitutivo dell’identità umana. Si tratta di una relazione che nasce come frutto del
rapporto, ancora più profondo, dell’uomo con Dio (…) Il messaggio biblico e il Magistero ecclesiale
costituiscono i punti di riferimento essenziali per valutare i problemi che si pongono nei rapporti tra
l’uomo e l’ambiente (…) Una corretta concezione dell’ambiente, mentre da una parte non può ridurre
utilitaristicamente la natura a mero oggetto di manipolazione e sfruttamento, dall’altra non deve
assolutizzarla e sovrapporla in dignità alla stessa persona umana (…) Il Magistero sottolinea la
responsabilità umana di preservare un ambiente integro e sano per tutti (…) La tutela dell’ambiente
costituisce una sfida per l’umanità intera: si tratta del dovere, comune e universale, di rispettare un
bene collettivo”. Compendio della dottrina sociale della Chiesa, nn. 452, 461, 463, 465 e 466, in
www.vatican.va.
374
Nell’enciclica, tratteggiando le linee per un’espansione graduale e armonica dell’economia, si
ribadisce che “lo sviluppo economico delle comunità politiche si attui in forma graduale e in
proporzioni armoniche fra tutti i settori produttivi; occorre cioè che nel settore agricolo siano
realizzate le innovazioni concernenti le tecniche produttive, la scelta della colture e le strutture

101
Anche nel corso del pontificato di Papa Montini si sottolinea la necessità di
valutare l’economia e lo sviluppo tecnologico in rapporto all’uomo, evitando quella
sacralizzazione della tecnica, divenuta quasi una fede assoluta, sciolta dunque da
limiti e regole, che col tempo si è quasi sostituita alla riflessione sull’uomo e sul suo
fine375; lo sviluppo, condizione essenziale alla realizzazione della pace in terra, non
può realizzarsi seguendo l’arbitrio del singolo uomo, bensì quei doveri che orientano
la vita umana, in ossequio al disegno della creazione, e che legano tutte le
generazioni, anche quelle future, descrivendo così quell’umanesimo planetario
caratterizzato da una dimensione nuova e trascendente376.

aziendali che il sistema economico, considerato nel suo insieme, permette o sollecita; e che siano
realizzate, quanto più è possibile, nelle debite proporzioni rispetto al settore industriale e dei servizi.
L’agricoltura viene cosi ad assorbire una quantità maggiore di beni industriali e domanda una
prestazione più qualificata di servizi; a sua volta offre agli altri due settori e all’intera comunità i
prodotti che meglio rispondono, nella qualità e nella quantità, alle esigenze del consumo, contribuendo
alla stabilità del potere di acquisto della moneta, elemento positivo per l’ordinato sviluppo dell’intero
sistema economico. In tal modo crediamo che dovrebbe pure riuscire meno difficile, sia nelle zone di
deflusso che in quelle di accesso, controllare il movimento delle forze di lavoro lasciate libere dalla
progressiva modernizzazione dell’agricoltura; fornire loro la formazione professionale per il loro
proficuo inserimento negli altri settori produttivi, e l’aiuto economico, la preparazione e l’assistenza
spirituale per la loro integrazione sociale”; il Pontefice ricorda però che nella Genesi (…) Dio abbia
rivolto ai primi esseri umani due comandi: quello di trasmettere la vita: «Crescete e moltiplicatevi» e
quello di dominare la natura: «Riempite la terra e assoggettatela» (Gen 1,28): comandi che si
integrano a vicenda. Certo il comando divino di dominare la natura non è a scopi distruttivi; è invece a
servizio della vita”. Giovanni XXIII, Mater et Magistra, nn. 116, 117, 118 e 183, in www.vatican.va.
375
Si legge nell’enciclica Populorum progressio: “Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita
economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione
di ogni uomo e di tutto l’uomo (…) ogni programma, elaborato per aumentare la produzione, non ha
in definitiva altra ragion d’essere che il servizio della persona. La sua funzione è di ridurre le
disuguaglianze, combattere le discriminazioni, liberare l’uomo dalle sue servitù, renderlo capace di
divenire lui stesso attore responsabile del suo miglioramento materiale, del suo progresso morale,
dello svolgimento pieno del suo destino spirituale. Dire sviluppo è in effetti dire qualcosa che investe
tanto il progresso sociale che la crescita economica. Non basta accrescere la ricchezza comune perché
sia equamente ripartita, non basta promuovere la tecnica perché la terra diventi più umana da abitare.
Coloro che sono sulla via dello sviluppo devono imparare dagli errori di coloro che hanno
sperimentato prima tale strada quali sono i pericoli da evitare in questo campo. La tecnocrazia di
domani può essere fonte di mali non meno temibili che il liberalismo di ieri. Economia e tecnica non
hanno senso che in rapporto all’uomo ch’esse devono servire. E l’uomo non è veramente uomo che
nella misura in cui, padrone delle proprie azioni e giudice del loro valore, diventa egli stesso autore
del proprio progresso, in conformità con la natura che gli ha dato il suo Creatore e di cui egli assume
liberamente le possibilità e le esigenze”. Paolo VI, Populorum progressio, nn. 14 e 34, in
www.vatican.va.
376
Pertanto la “crescita non è d’altronde facoltativa. Come tutta intera la creazione è ordinata al suo
Creatore, la creatura spirituale è tenuta ad orientare spontaneamente la sua vita verso Dio, verità prima
e supremo bene. Così la crescita umana costituisce come una sintesi dei nostri doveri. Ma c’è di più:
tale armonia di natura, arricchita dal lavoro personale e responsabile, è chiamata a un superamento.

102
Tale umanesimo trova radicamento nell’essenza della natura umana, in
quanto creata e ordinata ad un fine, e il binomio terra-esistenza, di fatto indissolubile,
comporta un’esaltazione dell’elemento ecologico, da intendersi come meditazione
sulla casa comune, che gioisce e geme con l’uomo.
Di conseguenza l’utilizzo dell’ambiente e delle risorse incide profondamente
sulla qualità dell’esistenza, riverberandosi sulle generazioni a venire.
La questione ambientale emerge dunque tra le problematiche sociali e segnala
la fragilità dei valori fondativi della società contemporanea, centrata sullo sviluppo
materiale e sul progresso tecnico-scientifico, proponendo quale risposta la
formulazione di un’ecologia umana, stante il primato ontologico dell’uomo rispetto
al resto della creazione377.
La questione ecologica viene affrontata più chiaramente nella Centesimus
Annus del 1991, con la richiesta di una conversione ambientale in grado di ridefinire
compiutamente l’esistenza dell’uomo, in linea con il suo senso più profondo.
Il consumo sfrenato delle risorse naturali è l’espressione di quel desiderio di
possedere e godere da cui scaturisce il falso convincimento di poter sfruttare

Mediante la sua inserzione nel Cristo vivificatore, l’uomo accede a una dimensione nuova, a un
umanesimo trascendente, che gli conferisce la sua più grande pienezza: questa è la finalità suprema
dello sviluppo personale. Ma ogni uomo è membro della società: appartiene all’umanità intera. Non è
soltanto questo o quell’uomo, ma tutti gli uomini sono chiamati a tale sviluppo plenario. Le civiltà
nascono, crescono e muoiono. Ma come le ondate dell’alta marea penetrano ciascuna un po’ più a
fondo nell’arenile, così l’umanità avanza sul cammino della storia. Eredi delle generazioni passate e
beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi abbiamo degli obblighi verso tutti, e non possiamo
disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi ad ingrandire la cerchia della famiglia umana. La
solidarietà universale, che è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere. Combattere la miseria
e lottare conto l’ingiustizia, è promuovere, insieme con il miglioramento delle condizioni di vita, il
progresso umano e spirituale di tutti, e dunque il bene comune dell’umanità. La pace non si riduce a
un’assenza di guerra, frutto dell’equilibrio sempre precario delle forze. Essa si costruisce giorno per
giorno, nel perseguimento d’un ordine voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfetta tra gli
uomini”. Paolo VI, Populorum progressio, nn. 16, 17 e 76, in www.vatican.va.
377
Nell’enciclica Octogesima adveniens si rimarca: “Mentre l’orizzonte dell’uomo si modifica, in tale
modo, tramite le immagini che sono scelte per lui, un’altra trasformazione si avverte, conseguenza
tanto drammatica quanto inattesa dell’attività umana. L’uomo ne prende coscienza bruscamente:
attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, egli rischia di distruggerla e di essere a sua
volta vittima di siffatta degradazione. Non soltanto l’ambiente materiale diventa una minaccia
permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è il contesto umano,
che l’uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli
intollerabile: problema sociale di vaste dimensioni che riguarda l’intera famiglia umana. A queste
nuove prospettive il cristiano deve dedicare la sua attenzione, per assumere, insieme con gli altri
uomini, la responsabilità di un destino diventato ormai comune”. Paolo VI, Octogesima adveniens, n.
21, in www.vatican.va.

103
arbitrariamente la terra, dimenticando invece l’originaria donazione dei beni ricevuti,
con ciò sostituendosi a Dio e provocando la ribellione della natura tiranneggiata
dall’uomo378.
Già in precedenza, nel 1987, Giovanni Paolo II aveva però toccato il tema
nell’enciclica Sollicitudo rei socialis, dove si segnala l’affermarsi di quella
preoccupazione ecologica contrassegnata da una maggiore attenzione rivolta a
considerare la limitata disponibilità delle risorse, unitamente alla necessità di avere
cura dell’integrità della natura379. Echi delle stesse preoccupazioni si ritrovano nel
Catechismo della Chiesa Cattolica380 o nei messaggi del Pontefice, che nel 1990
attribuisce alla terra la qualifica di eredità comune, da cui deriva la necessità di una
condivisione dei frutti, senza esclusione o pregiudizio per alcuno381.
378
Tale atteggiamento mostra “una povertà o meschinità dello sguardo dell’uomo, animato dal
desiderio di possedere le cose anziché di riferirle alla verità, e privo di quell’atteggiamento
disinteressato, gratuito, estetico che nasce dallo stupore per l’essere e per la bellezza, il quale fa
leggere nelle cose visibili il messaggio del Dio invisibile che le ha create. Al riguardo, l’umanità di
oggi deve essere conscia dei suoi doveri e compiti verso le generazioni future”. A ciò si aggiunga che
“oltre all’irrazionale distruzione dell’ambiente naturale è qui da ricordare quella, ancor più grave,
dell’ambiente umano, a cui peraltro si è lontani dal prestare la necessaria attenzione. Mentre ci si
preoccupa giustamente, anche se molto meno del necessario, di preservare gli «habitat» naturali delle
diverse specie animali minacciate di estinzione, perché ci si rende conto che ciascuna di esse apporta
un particolare contributo all’equilibrio generale della terra, ci si impegna troppo poco per
salvaguardare le condizioni morali di un’autentica «ecologia umana». Non solo la terra è stata data da
Dio all’uomo, che deve usarla rispettando l’intenzione originaria di bene, secondo la quale gli è stata
donata; ma l’uomo è donato a se stesso da Dio e deve, perciò, rispettare la struttura naturale e morale,
di cui è stato dotato. Sono da menzionare, in questo contesto, i gravi problemi della moderna
urbanizzazione, la necessità di un urbanesimo preoccupato della vita delle persone, come anche la
debita attenzione ad un’«ecologia sociale» del lavoro”. Giovanni Paolo II, Centesimus Annus, nn. 37 e
38, in www.vatican.va.
379
E dunque, prosegue l’enciclica, utilizzare le risorse “come se fossero inesauribili, con assoluto
dominio, mette seriamente in pericolo la loro disponibilità non solo per la generazione presente, ma
soprattutto per quelle future”. Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, nn. 26 e 34, in
www.vatican.va.
380
Nel commento al decalogo si legge: “Il settimo comandamento esige il rispetto dell’integrità della
creazione. Gli animali, come anche le piante e gli esseri inanimati, sono naturalmente destinati al bene
comune dell’umanità passata, presente e futura. L’uso delle risorse minerali, vegetali e animali
dell’universo non può essere separato dal rispetto delle esigenze morali. La signoria sugli esseri
inanimati e sugli altri viventi accordata dal Creatore all’uomo non è assoluta; deve misurarsi con la
sollecitudine per la qualità della vita del prossimo, compresa quella delle generazioni future; esige un
religioso rispetto dell’integrità della creazione”. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2415, in
www.vatican.va.
381
Particolarmente significative le parole pronunciate da Giovanni Paolo II: “Di fronte al diffuso
degrado ambientale l’umanità si rende ormai conto che non si può continuare ad usare i beni della
terra come nel passato. L’opinione pubblica ed i responsabili politici ne sono preoccupati, mentre
studiosi delle più diverse discipline ne esaminano le cause. Sta così formandosi una coscienza

104
Benedetto XVI condivide l’assunto secondo cui a fondamento del dissesto
ambientale vi sia la crisi antropologica della cultura contemporanea, per cui le
riflessioni sul tema della casa-mondo devono muovere a partire da un nucleo
essenziale, ovvero l’uomo, quale bene più prezioso della creazione, unica possibilità
per proporre una riflessione ecologica capace di risolvere i problemi e non soltanto di
formulare inutili soluzioni.

ecologica, che non deve essere mortificata, ma anzi favorita, in modo che si sviluppi e maturi
trovando adeguata espressione in programmi ed iniziative concrete (…) L’esperienza di questa
«sofferenza» della terra è comune anche a coloro che non condividono la nostra fede in Dio. Stanno,
infatti, sotto gli occhi di tutti le crescenti devastazioni causate nel mondo della natura dal
comportamento di uomini indifferenti alle esigenze recondite, eppure chiaramente avvertibili,
dell’ordine e dell’armonia che lo reggono. Ci si chiede, pertanto, con ansia se si possa ancora porre
rimedio ai danni provocati. E’ evidente che un’idonea soluzione non può consistere semplicemente in
una migliore gestione, o in un uso meno irrazionale delle risorse della terra. Pur riconoscendo l’utilità
pratica di simili misure, sembra necessario risalire alle origini e affrontare nel suo insieme la profonda
crisi morale, di cui il degrado ambientale è uno degli aspetti preoccupanti (…) D’altra parte, la terra è
essenzialmente un’eredità comune, i cui frutti devono essere a beneficio di tutti (…) È ingiusto che
pochi privilegiati continuino ad accumulare beni superflui dilapidando le risorse disponibili, quando
moltitudini di persone vivono in condizioni di miseria, al livello minimo di sostentamento. Ed è ora la
stessa drammatica dimensione del dissesto ecologico ad insegnarci quanto la cupidigia e l’egoismo,
individuali o collettivi, siano contrari all’ordine del creato, nel quale è inscritta anche la mutua
interdipendenza (…) Occorre anche aggiungere che non si otterrà il giusto equilibrio ecologico, se non
saranno affrontate direttamente le forme strutturali di povertà esistenti nel mondo. Ad esempio, la
povertà rurale e la distribuzione della terra in molti paesi hanno portato ad un’agricoltura di mera
sussistenza e all’impoverimento dei terreni (…) La società odierna non troverà soluzione al problema
ecologico, se non rivedrà seriamente il suo stile di vita. In molte parti del mondo essa è incline
all’edonismo e al consumismo e resta indifferente ai danni che ne derivano. Come ho già osservato, la
gravità della situazione ecologica rivela quanto sia profonda la crisi morale dell’uomo. Se manca il
senso del valore della persona e della vita umana, ci si disinteressa degli altri e della terra. L’austerità,
la temperanza, la autodisciplina e lo spirito di sacrificio devono informare la vita di ogni giorno
affinché non si sia costretti da parte di tutti a subire le conseguenze negative della noncuranza dei
pochi. C’è dunque l’urgente bisogno di educare alla responsabilità ecologica: responsabilità verso gli
altri; responsabilità verso l’ambiente (…) Oggi la questione ecologica ha assunto tali dimensioni da
coinvolgere la responsabilità di tutti. I vari aspetti di essa, che ho illustrato, indicano la necessità di
sforzi concordati, al fine di stabilire i rispettivi doveri ed impegni dei singoli, dei popoli, degli Stati e
della comunità internazionale. Ciò non solo va di pari passo con i tentativi di costruire la vera pace,
ma oggettivamente li conferma e li rafforza. Inserendo la questione ecologica nel più vasto contesto
della causa della pace nella società umana, ci si rende meglio conto di quanto sia importante prestare
attenzione a ciò che la terra e l’atmosfera ci rivelano: nell’universo esiste un ordine che deve essere
rispettato; la persona umana, dotata della possibilità di libera scelta, ha una grave responsabilità per la
conservazione di questo ordine, anche in vista del benessere delle generazioni future. La crisi
ecologica – ripeto ancora – è un problema morale. Anche gli uomini e le donne che non hanno
particolari convinzioni religiose, per il senso delle proprie responsabilità nei confronti del bene
comune, riconoscono il loro dovere di contribuire al risanamento dell’ambiente. A maggior ragione,
coloro che credono in Dio creatore e, quindi, sono convinti che nel mondo esiste un ordine ben

105
Viceversa, la Chiesa si presenta come l’unica istituzione in grado di fornire le
risposte ai problemi ambientali, individuando nell’uomo il protagonista e l’interprete
dell’unico e invisibile libro della natura, da cui poter trarre il vero progetto
contenente le regole da seguire per realizzare il fine della creazione, essendo del tutto
vano avvalersi esclusivamente di mezzi economici o culturali.
Deve infatti rifiutarsi l’antinomia che sussiste tra mentalità e prassi moderna,
che non solo degrada la persona, ma sconvolge l’ambiente, danneggiando la società.
Pertanto, secondo il Pontefice, la salvaguardia della natura è da considerare uno dei
doveri sociali volti a tutelare la persona sia in se stessa che in relazione con gli
altri382.
definito e finalizzato devono sentirsi chiamati ad occuparsi del problema. I cristiani, in particolare,
avvertono che i loro compiti all’interno del creato, i loro doveri nei confronti della natura e del
Creatore sono parte della loro fede. Essi, pertanto, sono consapevoli del vasto campo di cooperazione
ecumenica ed interreligiosa che si apre dinanzi a loro”. Giovanni Paolo II, Messaggio per la
celebrazione della XXIII Giornata mondiale della pace, 1 gennaio 1990, nn. 1, 5, 8, 11, 13 e 15, in
www.vatican.va.
382
Nel passaggio centrale del documento pontificio si legge: “Le modalità con cui l’uomo tratta
l’ambiente influiscono sulle modalità con cui tratta se stesso e, viceversa. Ciò richiama la società
odierna a rivedere seriamente il suo stile di vita che, in molte parti del mondo, è incline all’edonismo e
al consumismo, restando indifferente ai danni che ne derivano. È necessario un effettivo cambiamento
di mentalità che ci induca ad adottare nuovi stili di vita (…) Ogni lesione della solidarietà e
dell’amicizia civica provoca danni ambientali, così come il degrado ambientale, a sua volta, provoca
insoddisfazione nelle relazioni sociali. La natura, specialmente nella nostra epoca, è talmente integrata
nelle dinamiche sociali e culturali da non costituire quasi più una variabile indipendente. La
desertificazione e l’impoverimento produttivo di alcune aree agricole sono anche frutto
dell’impoverimento delle popolazioni che le abitano e della loro arretratezza. Incentivando lo sviluppo
economico e culturale di quelle popolazioni, si tutela anche la natura. Inoltre, quante risorse naturali
sono devastate dalle guerre! La pace dei popoli e tra i popoli permetterebbe anche una maggiore
salvaguardia della natura. L’accaparramento delle risorse, specialmente dell’acqua, può provocare
gravi conflitti tra le popolazioni coinvolte. Un pacifico accordo sull’uso delle risorse può
salvaguardare la natura e, contemporaneamente, il benessere delle società interessate. La Chiesa ha
una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E facendolo
deve difendere non solo la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione appartenenti a tutti. Deve
proteggere soprattutto l’uomo contro la distruzione di se stesso. È necessario che ci sia qualcosa come
un’ecologia dell’uomo, intesa in senso giusto. Il degrado della natura è infatti strettamente connesso
alla cultura che modella la convivenza umana: quando l’«ecologia umana» è rispettata dentro la
società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio. Come le virtù umane sono tra loro comunicanti,
tanto che l’indebolimento di una espone a rischio anche le altre, così il sistema ecologico si regge sul
rispetto di un progetto che riguarda sia la sana convivenza in società sia il buon rapporto con la natura.
Per salvaguardare la natura non è sufficiente intervenire con incentivi o disincentivi economici e
nemmeno basta un’istruzione adeguata. Sono, questi, strumenti importanti, ma il problema decisivo è
la complessiva tenuta morale della società. Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se
si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano embrioni
umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso,
quello di ecologia ambientale. È una contraddizione chiedere alle nuove generazioni il rispetto

106
Nel pontificato di Benedetto XVI si assiste, come è stato colto dagli
studiosi383, a un consolidamento delle questioni ambientali, che vengono valutate
sotto diversi aspetti, ossia giuridici, economici, tecnologici ed energetici,
nell’intreccio delle diverse componenti della dimensione umana, nella
consapevolezza che l’ambiente non potrà mai collocarsi al di sopra dell’uomo.
Con l’ascesa al soglio pontificio di Jorge Mario Bergoglio la questione
ecologica nella sua dimensione globale assume il suo livello più alto, e persino la
scelta del nome del Pontefice, mutuato da quel Francesco d’Assisi patrono
dell’ecologia, costituisce un indice della centralità dei temi ambientali per il
Magistero romano384.
dell’ambiente naturale, quando l’educazione e le leggi non le aiutano a rispettare se stesse. Il libro
della natura è uno e indivisibile, sul versante dell’ambiente come sul versante della vita, della
sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano
integrale. I doveri che abbiamo verso l’ambiente si collegano con i doveri che abbiamo verso la
persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri. Non si possono esigere gli uni e conculcare
gli altri. Questa è una grave antinomia della mentalità e della prassi odierna, che avvilisce la persona,
sconvolge l’ambiente e danneggia la società”. Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 51, in
www.vatican.va. Considerazioni analoghe vengono proposte nell’anno successivo dal Pontefice:
“Quando ci si avvale delle risorse naturali, occorre preoccuparsi della loro salvaguardia,
prevedendone anche i costi – in termini ambientali e sociali –, da valutare come una voce essenziale
degli stessi costi dell’attività economica. Compete alla comunità internazionale e ai governi nazionali
dare i giusti segnali per contrastare in modo efficace quelle modalità d’utilizzo dell’ambiente che
risultino ad esso dannose. Per proteggere l’ambiente, per tutelare le risorse e il clima occorre, da una
parte, agire nel rispetto di norme ben definite anche dal punto di vista giuridico ed economico, e,
dall’altra, tenere conto della solidarietà dovuta a quanti abitano le regioni più povere della terra e alle
future generazioni (…) Occuparsi dell’ambiente richiede, cioè, una visione larga e globale del mondo;
uno sforzo comune e responsabile per passare da una logica centrata sull’egoistico interesse
nazionalistico ad una visione che abbracci sempre le necessità di tutti i popoli. Non si può rimanere
indifferenti a ciò che accade intorno a noi, perché il deterioramento di qualsiasi parte del pianeta
ricadrebbe su tutti. Le relazioni tra persone, gruppi sociali e Stati, come quelle tra uomo e ambiente,
sono chiamate ad assumere lo stile del rispetto e della «carità nella verità». In tale ampio contesto, è
quanto mai auspicabile che trovino efficacia e corrispondenza gli sforzi della comunità internazionale
volti ad ottenere un progressivo disarmo ed un mondo privo di armi nucleari, la cui sola presenza
minaccia la vita del pianeta e il processo di sviluppo integrale dell’umanità presente e di quella futura
(…) Proteggere l’ambiente naturale per costruire un mondo di pace è, pertanto, dovere di ogni
persona. Ecco una sfida urgente da affrontare con rinnovato e corale impegno; ecco una
provvidenziale opportunità per consegnare alle nuove generazioni la prospettiva di un futuro migliore
per tutti. Ne siano consapevoli i responsabili delle nazioni e quanti, ad ogni livello, hanno a cuore le
sorti dell’umanità: la salvaguardia del creato e la realizzazione della pace sono realtà tra loro
intimamente connesse!”. Benedetto XVI, Messaggio per la celebrazione della XLIII Giornata
mondiale della pace, 1 gennaio 2010, nn. 7, 11 e 14, in www.vatican.va.
383
Cfr. F. Sorvillo, Eco-fede. Uomo, natura, culture religiose, in Esercizi di laicità culturale e
pluralismo religioso, a cura di Antonio Fuccillo, Torino, 2014, p. 100.
384
Cfr. C. Simonelli, Introduzione. Enciclica, ovvero il “cerchio aperto”, in Guida alla lettura della
lettera enciclica di Papa Francesco Laudato si’, a cura di Cristina Simonelli, Casale Monferrato,

107
Già prima dell’enciclica del 2015, Laudato si’, Papa Bergoglio aveva invitato
tutti gli uomini, non solo cristiani, a prendersi cura del creato, seguendo le
indicazioni della dottrina sociale della Chiesa, in modo da ricostruire la natura e la
società, aderendo al piano di Dio385.
All’uomo dunque compete uno specifico dovere nei confronti della natura,
frutto della creazione, ossia un’attività di custodia responsabile, che può realizzarsi
attraverso un’ecologia umana, in modo da garantire a tutti il godimento dell’intero
creato386.

2015, p. 9.
385
Nell’udienza generale del 5 giugno 2013, in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente, Papa
Francesco si è così espresso: “Quando parliamo di ambiente, del creato, il mio pensiero va alle prime
pagine della Bibbia, al Libro della Genesi, dove si afferma che Dio pose l’uomo e la donna sulla terra
perché la coltivassero e la custodissero (cfr 2,15). E mi sorgono le domande: Che cosa vuol dire
coltivare e custodire la terra? Noi stiamo veramente coltivando e custodendo il creato? Oppure lo
stiamo sfruttando e trascurando? Il verbo ‘coltivare’ mi richiama alla mente la cura che l’agricoltore
ha per la sua terra perché dia frutto ed esso sia condiviso: quanta attenzione, passione e dedizione!
Coltivare e custodire il creato è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, ma a
ciascuno di noi; è parte del suo progetto; vuol dire far crescere il mondo con responsabilità,
trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per tutti. Ma il ‘coltivare e custodire’ non
comprende solo il rapporto tra noi e l’ambiente, tra l’uomo e il creato, riguarda anche i rapporti umani.
I Papi hanno parlato di ecologia umana, strettamente legata all’ecologia ambientale. Noi stiamo
vivendo un momento di crisi; lo vediamo nell’ambiente, ma soprattutto lo vediamo nell’uomo. La
persona umana è in pericolo: questo è certo, la persona umana oggi è in pericolo, ecco l’urgenza
dell’ecologia umana! E il pericolo è grave perché la causa del problema non è superficiale, ma
profonda: non è solo una questione di economia, ma di etica e di antropologia. La Chiesa lo ha
sottolineato più volte; e molti dicono: sì, è giusto, è vero… ma il sistema continua come prima, perché
ciò che domina sono le dinamiche di un’economia e di una finanza carenti di etica. Quello che
comanda oggi non è l’uomo, è il denaro, il denaro, i soldi comandano. E Dio nostro Padre ha dato il
compito di custodire la terra non ai soldi, ma a noi: agli uomini e alle donne. noi abbiamo questo
compito!”. Francesco, Udienza Generale del 5 giugno 2013, in www.vatican.va.
386
Infatti, afferma il Pontefice: “Sappiamo che Dio desidera la felicità dei suoi figli anche su questa
terra, benché siano chiamati alla pienezza eterna, perché Egli ha creato tutte le cose «perché possiamo
goderne» (1 Tm 6,17), perché tutti possano goderne. Ne deriva che la conversione cristiana esige di
riconsiderare «specialmente tutto ciò che concerne l’ordine sociale ed il conseguimento del bene
comune» (…) Mediante la nostra realtà corporea, Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che ci
circonda, che la desertificazione del suolo è come una malattia per ciascuno, e possiamo lamentare
l’estinzione di una specie come fosse una mutilazione. Non lasciamo che al nostro passaggio
rimangano segni di distruzione e di morte che colpiscono la nostra vita e quella delle future
generazioni”. Francesco, Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”, nn. 182 e 215, in
www.vatican.va.

108
Nell’enciclica Lumen Fidei del 2013387 si chiarisce che la fede non solo
consente la rivelazione dell’amore di Dio, ma anche la possibilità di riconoscere nella
natura quella grammatica divina da cui poter trarre modelli di sviluppo centrati non
sull’utilità e il profitto, bensì sulla nozione di creato come dono, di cui tutta
l’umanità è debitrice388.
Ma è soprattutto nella Laudato si’ del 2015, che la questione ecologica, come
immediatamente colto dai primi commentatori389, diviene il tema cui il documento
pontificio è interamente dedicato, invitando l’umanità intera a proteggere la casa
comune, a partire da un’analisi della situazione attuale, capace di apprezzarne
sintomi e cause e proponendo un pensiero ecologico che possa integrare il posto
specifico occupato dall’uomo e le relazioni che intreccia con la realtà circostante390.
387
Tale documento vede la luce nello stesso anno in cui il Pontificio Consiglio della Giustizia e della
Pace pubblica Terra e cibo, pubblicazione il cui testo, nella prima parte, “passa in rassegna le
principali criticità, tra le quali: la non-attuazione del diritto al cibo, le implicazioni della
malnutrizione, l’uso troppo spesso insostenibile e irresponsabile delle risorse naturali, le svariate
forme di violenza e criminalità, le responsabilità di determinati attori economici, le questione dei
diritti di proprietà del suolo o dell’accesso alle zone di pesca che rimane problematica in molti
luoghi”. Nella seconda parte invece si “ripropone, nel contesto di una imprescindibile nuova
evangelizzazione, l’insegnamento della Chiesa sulla Creazione e il suo tradizionale impegno nei
confronti dei produttori di cibo e degli affamati. Vengono, poi, presentati e approfonditi gli importanti
principi della Dottrina sociale della Chiesa che costituiscono il quadro etico necessario per impostare
qualsiasi azione volta a migliorare la situazione in vista del bene comune dell’intera famiglia umana”.
Infine l’ultima parte “chiarisce alcuni concetti, spesso sottoposti a interpretazioni fuorvianti, quali
‘carità’ o ‘agricoltura familiare’; esorta alla coerenza dal punto di vista bioetico; condanna false
soluzioni come l’abbandonarsi al neomaltusianismo o la fiducia eccessiva nella tecnologia e, infine,
elenca undici linee direttrici lungo le quali muoversi, focalizzando gli sforzi, investendo
nell’educazione degli imprenditori, dei politici e degli investitori”. Pontificio Consiglio della Giustizia
e della Pace, Terra e cibo, in www.justpax.va. Si segnala che a partire dal 1° gennaio 2017 le
competenze del Consiglio sono state attribuite al Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano
Integrale. Cfr. Francesco, Motu Proprio “Humanam Progressionem”, in www.vatican.va.
388
Nell’enciclica si legge: “La fede, inoltre, nel rivelarci l’amore di Dio Creatore, ci fa rispettare
maggiormente la natura, facendoci riconoscere in essa una grammatica da Lui scritta e una dimora a
noi affidata perché sia coltivata e custodita; ci aiuta a trovare modelli di sviluppo che non si basino
solo sull’utilità e sul profitto, ma che considerino il creato come dono, di cui tutti siamo debitori; ci
insegna a individuare forme giuste di governo, riconoscendo che l’autorità viene da Dio per essere al
servizio del bene comune”. Francesco, Lumen Fidei, n. 55, in www.vatican.va. Sul punto cfr. F.
Sorvillo, Eco-fede. Uomo, natura, culture religiose, cit., p. 101.
389
Cfr. L. De Gregorio, Laudato si’: per un’ecologia autenticamente cristiana, in www.statoechiese.it,
19 dicembre 2016, p. 3.
390
Papa Bergoglio indica immediatamente le intenzioni dell’enciclica: “La sfida urgente di proteggere
la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di
uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare. Il Creatore non ci
abbandona, non fa mai marcia indietro nel suo progetto di amore, non si pente di averci creato.
L’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune. Desidero esprimere

109
Il documento, particolarmente articolato e, come ricordato nelle prime pagine
dell’enciclica, collocato nel solco dei contributi offerti dai precedenti pontefici,
ribadisce la necessità e l’urgenza di un mutamento caratterizzato dalla sua radicalità
delle condotte dell’umanità, sollecitando una conversione ecologica globale.
La cura della casa comune è stata affidata da Dio creatore all’uomo, chiamato
a custodire e coltivare sia quanto ricevuto che l’altro uomo, il quale, dimenticando la
sua vocazione, distrugge e consuma senza limiti il dono divino391.
La crisi ecologica, nella sua dimensione umana e sociale, è la conseguenza
dei peccati compiuti contro il creato, di cui finora l’uomo non è stato in grado di
riconoscere l’esistenza e pertanto di confessarli.
Una possibile soluzione è pertanto la cura della casa comune, come opera di
misericordia che si aggiunge al tradizionale elenco, impegnando l’uomo a una serie

riconoscenza, incoraggiare e ringraziare tutti coloro che, nei più svariati settori dell’attività umana,
stanno lavorando per garantire la protezione della casa che condividiamo. Meritano una gratitudine
speciale quanti lottano con vigore per risolvere le drammatiche conseguenze del degrado ambientale
nella vita dei più poveri del mondo. I giovani esigono da noi un cambiamento. Essi si domandano
com’è possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e
alle sofferenze degli esclusi. Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo
costruendo il futuro del pianeta. Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida
ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti. Il movimento
ecologico mondiale ha già percorso un lungo e ricco cammino, e ha dato vita a numerose aggregazioni
di cittadini che hanno favorito una presa di coscienza. Purtroppo, molti sforzi per cercare soluzioni
concrete alla crisi ambientale sono spesso frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche dal
disinteresse degli altri. Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione, anche fra i credenti, vanno
dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle
soluzioni tecniche. Abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale. (…) Tutti possiamo collaborare
come strumenti di Dio per la cura della creazione, ognuno con la propria cultura ed esperienza, le
proprie iniziative e capacità. Spero che questa Lettera enciclica, che si aggiunge al Magistero sociale
della Chiesa, ci aiuti a riconoscere la grandezza, l’urgenza e la bellezza della sfida che ci si presenta.
In primo luogo, farò un breve percorso attraverso vari aspetti dell’attuale crisi ecologica allo scopo di
assumere i migliori frutti della ricerca scientifica oggi disponibile, lasciarcene toccare in profondità e
dare una base di concretezza al percorso etico e spirituale che segue. A partire da questa panoramica,
riprenderò alcune argomentazioni che scaturiscono dalla tradizione giudeo-cristiana, al fine di dare
maggiore coerenza al nostro impegno per l’ambiente. Poi proverò ad arrivare alle radici della
situazione attuale, in modo da coglierne non solo i sintomi ma anche le cause più profonde. Così
potremo proporre un’ecologia che, nelle sue diverse dimensioni, integri il posto specifico che l’essere
umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda. Alla luce di tale
riflessione vorrei fare un passo avanti in alcune ampie linee di dialogo e di azione che coinvolgano sia
ognuno di noi, sia la politica internazionale. Infine, poiché sono convinto che ogni cambiamento ha
bisogno di motivazioni e di un cammino educativo, proporrò alcune linee di maturazione umana
ispirate al tesoro dell’esperienza spirituale cristiana”. Francesco, Laudato si’, nn. 13, 14 e 15, in
www.vatican.va.
391
Cfr. L. De Gregorio, Laudato si’: per un’ecologia autenticamente cristiana, cit., p. 32.

110
di gesti quotidiani, con i quali poter spezzare la logica dello sfruttamento, della
violenza e dell’egoismo392.

2. Tutela dell’ambiente e diritto canonico

L’attenzione del Magistero alla questione ambientale appare produttiva di


diverse conseguenze, che incidono sull’attività pastorale delle singole Diocesi, sulle
modalità di esercizio dell’attività propria dell’associazionismo ambientalista di
marca religiosa e sull’apparato normativo dell’istituzione ecclesiale.
Per quanto riguarda brevemente i primi due punti è da segnalare innanzitutto
l’impegno profuso dalle Diocesi, che al loro interno hanno istituito appositi uffici
dedicati alla salvaguardia del creato, ritagliandosi uno spazio partecipativo all’attività
delle autorità locali civili nell’ambito dell’espletamento della funzione del governo
del territorio, in ossequio, per quanto riguarda l’ordinamento italiano, al principio
costituzionalmente garantito della sussidiarietà orizzontale393.

392
Recentemente il Pontefice ha ribadito quanto affermato nell’enciclica: “Con questo Messaggio,
rinnovo il dialogo con ogni persona che abita questo pianeta riguardo alle sofferenze che affliggono i
poveri e la devastazione dell’ambiente. Dio ci ha fatto dono di un giardino rigoglioso, ma lo stiamo
trasformando in una distesa inquinata (…) Non possiamo arrenderci o essere indifferenti alla perdita
della biodiversità e alla distruzione degli ecosistemi, spesso provocate dai nostri comportamenti
irresponsabili ed egoistici (…) Come l’ecologia integrale mette in evidenza, gli esseri umani sono
profondamente legati gli uni agli altri e al creato nella sua interezza. Quando maltrattiamo la natura,
maltrattiamo anche gli esseri umani. Allo stesso tempo, ogni creatura ha il proprio valore intrinseco
che deve essere rispettato (…) L’esame di coscienza, il pentimento e la confessione al Padre ricco di
misericordia conducono a un fermo proposito di cambiare vita. E questo deve tradursi in atteggiamenti
e comportamenti concreti più rispettosi del creato, come ad esempio fare un uso oculato della plastica
e della carta, non sprecare acqua, cibo ed energia elettrica, differenziare i rifiuti, trattare con cura gli
altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico e condividere un medesimo veicolo tra più persone,
e così via (…) La protezione della casa comune richiede un crescente consenso politico. In tal senso, è
motivo di soddisfazione che a settembre 2015 i Paesi del mondo abbiano adottato gli Obiettivi di
Sviluppo Sostenibile, e che, a dicembre 2015, abbiano approvato l’Accordo di Parigi sui cambiamenti
climatici, che si pone l’impegnativo ma fondamentale obiettivo di contenere l’aumento della
temperatura globale. Ora i Governi hanno il dovere di rispettare gli impegni che si sono assunti,
mentre le imprese devono fare responsabilmente la loro parte, e tocca ai cittadini esigere che questo
avvenga, anzi che si miri a obiettivi sempre più ambiziosi (…) la vita umana stessa nella sua totalità
comprende la cura della casa comune. Quindi, mi permetto di proporre un complemento ai due
tradizionali elenchi di sette opere di misericordia, aggiungendo a ciascuno la cura della casa comune”.
Francesco, Messaggio per la celebrazione della Giornata mondiale di preghiera per la cura del
creato, 1 settembre 2016, nn. 1, 4 e 5, in www.vatican.va.

111
Tale atteggiamento, con cui prende corpo un intervento efficace di
quell’attività di custodia autoassegnatasi dalla Chiesa, trova conferma non solo nel
mutamento della denominazione delle giornate ecumeniche di tutela del creato,
promosse dalla Conferenza Episcopale italiana394, ma soprattutto nell’impegno di
denunciare i disastri ecologici, espressione evidente di una violazione dell’armonia
del creato395.
In merito alle attività da porre in essere per l’effettiva custodia dell’oggetto
della creazione, spicca in via preliminare la necessità di poter accedere a quelle
informazioni idonee ad effettuare un costante monitoraggio dei parametri ambientali,
in modo da realizzare, anche con la partecipazione attiva delle organizzazioni di
matrice ecclesiale, quella che da taluni è stata definita una vera e propria
“democrazia ambientale”396, che presuppone il diritto all’accesso alle informazioni
ambientali e alla giustizia in tale materia, nonché il diritto alla partecipazione ai
processi decisionali397.
Soprattutto il diritto di accesso – così come disciplinato dal decreto
legislativo n. 195 del 2005, in ossequio alla direttiva comunitaria che ha recepito la
Convenzione di Aarhus – viene riconosciuto a chiunque e, pertanto, può ritenersi che

393
Cfr. F. Balsamo, Religioni ed ambiente: il contributo delle confessioni religiose alla costruzione di
una “democrazia ambientale”, in Diritto e religioni, 2004, 2, p. 138.
394
Come si legge nel Messaggio per l’ottava giornata per la custodia del creato, i Vescovi italiani
affermano: “È la logica della reciprocità che costruisce il tessuto di relazioni positive. Non più
avversari, ma collaboratori. In questa visione nasce quello spirito di cooperazione che si fa tessuto
vitale per la custodia del creato, in quella logica preziosa che sa intrecciare sussidiarietà e solidarietà,
per la costruzione del bene comune”. Conferenza Episcopale Italiana, Messaggio per l’ottava
giornata per la custodia del creato, 1° settembre 2013, in www.chiesacattolica.it.
395
Nel 2014 la Conferenza Episcopale Italiana suggerisce – “attorno al nuovo umanesimo basato su
Cristo” – l’impegno a denunciare i disastri ecologici, in quanto “la custodia del creato è fatta anche di
una chiara denuncia nei confronti di chi viola quest’armonia del creato. È una denuncia che spesso
parte da persone che si fanno sentinelle dell’intero territorio, talvolta pagando di persona”. Conferenza
Episcopale Italiana, Messaggio per la nona giornata per la custodia del creato, 1° settembre 2014, in
www.chiesacattolica.it. Più di recente l’organo rappresentativo dei Vescovi italiani ha ribadito che
“c’è, quindi, un grido della terra che va ascoltato con attenzione, nella varietà dei suoi aspetti; chiama
ogni essere umano, in modo particolare i credenti, alla cura della casa comune”. Conferenza
Episcopale Italiana, Messaggio per l’undicesima giornata per la custodia del creato, 1° settembre
2016, in www.chiesacattolica.it.
396
F. Balsamo, Religioni ed ambiente: il contributo delle confessioni religiose alla costruzione di una
“democrazia ambientale”, cit., p. 140.
397
Tali diritti vengono riconosciuti all’interno della Convenzione di Aarhus, siglata il 25 giugno 1998
e ratificata dall’Italia con la legge n. 108 del 2001. Cfr. F. Balsamo, Religioni ed ambiente: il
contributo delle confessioni religiose alla costruzione di una “democrazia ambientale”, cit., p. 140.

112
anche gli uffici diocesani per la salvaguardia del creato e gli altri enti religiosi
risulteranno titolari della legittimazione attiva in materia di accesso a tali
informazioni398.
Dal punto di vista del diritto canonico e secondo quanto sottolineato dalla
dottrina399, la persona e il creato, pur strutturalmente connessi, appaiono distinti in
autonomi centri di imputazione, volti tuttavia al perseguimento di un medesimo
scopo, potendosi ritenere che i diritti della persona e dell’ambiente abbiano un unico
fondamento esprimibile nella dipendenza genetica da Dio, la cui volontà rappresenta
la fonte del diritto e il limite dell’ordinamento.
Ambiente e persona risultano pertanto da un punto di vista ontologico
logicamente equivalenti e determinati dal logos divino, da cui deriva l’annullamento
della loro natura e la disobbedienza alla leggi di Dio, quando i due termini fossero in
reciproco conflitto.
Da ciò consegue la necessità di stabilire categorie di riferimento non più
fondate sulla conflittualità tra l’opera dell’uomo e l’ambiente, richiedendosi la
formulazione di una nuova visione profondamente interdisciplinare, radicata su un
umanesimo spirituale e cristiano, nel quale la perenne ricerca della verità, della
giustizia e della bellezza vengano a coniugarsi con la fede e la ragione.
Secondo quanto affermato nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa,
la crisi ambientale, essendo la violazione di un mandato divino, configura un vero
peccato, incidendo sull’elemento trascendente della persona umana e pertanto della
stessa creazione.
La ferita cagionata dall’atto volontario peccaminoso, manifestazione della
disubbidienza alla volontà divina, è il risultato di una visione del mondo che ritiene
l’uomo unico dominus dei beni del creato, sciolto da qualsiasi dovere di
responsabilità di custodia di quella terra affidatagli dal Creatore400.
398
Cfr. F. Balsamo, Religioni ed ambiente: il contributo delle confessioni religiose alla costruzione di
una “democrazia ambientale”, cit., p. 144.
399
Cfr. G. Dammacco, Ambiente e creato nel diritto canonico: la tutela dell’ambiente e le garanzie
contro il degrado, in G. Dammacco, C. Ventrella, Cibo e ambiente. Manipolazioni e tutele nel diritto
canonico, Bari, 2015, p. 9.
400
Secondo il Compendio, “una visione dell’uomo e delle cose slegata da ogni riferimento alla
trascendenza ha portato a rifiutare il concetto di creazione e ad attribuire all’uomo e alla natura
un’esistenza completamente autonoma. Il legame che unisce il mondo a Dio è stato così spezzato: tale
rottura ha finito per disancorare dalla terra anche l’uomo e, più radicalmente, ha impoverito la sua
stessa identità. L’essere umano si è ritrovato a pensarsi estraneo al contesto ambientale in cui vive. È

113
Qualsiasi comportamento umano che produca l’inquinamento delle risorse
naturali, alterando fino a lederlo l’equilibrio dell’ecosistema, può qualificarsi come
vero e proprio peccato ecologico401.
Nell’ambito della disciplina canonistica l’oggetto della violazione consente di
considerare in una duplice prospettiva il peccato, sia esso dunque mortale o
veniale402, distinguendo tale qualificazione morale da quella giuridica, che invece
attribuisce a una certa condotta la natura di reato. Tutti quei comportamenti che
comportino una crisi ecologica e ambientale configurano delle ipotesi di peccato che,
in quanto tali, allontanano l’uomo dalla terra e dal suo compito di custode della
creazione; peccato ecologico che come tale si accompagna alla sanzione morale e
religiosa della penitenza e della conversione, da manifestarsi attraverso condotte
esteriori di riconciliazione, segni visibili del mutato orientamento interiore403.
A tali peccati contro l’ambiente conseguono la penitenza e il pentimento e
l’adozione successiva di un mutamento dello stile di vita, ora caratterizzato da
comportamenti virtuosi, segnati da sobrietà, temperanza e autodisciplina, nella
consapevolezza che tutti gli uomini e lo stesso creato risultano uniti da una profonda
interdipendenza, che richiede una solidarietà di dimensione mondiale404.
ben chiara la conseguenza che ne discende”. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace,
Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 464, in www.vatican.va.
401
Cfr. G. Busetto, Ecologia e fede, in Iustitia, 2012, 4, p. 452.
402
Secondo il Catechismo, il peccato è “una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è
una trasgressione in ordine all’amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso
attaccamento a certi beni. Esso ferisce la natura dell’uomo e attenta alla solidarietà umana”; inoltre,
mentre “il peccato mortale distrugge la carità nel cuore dell’uomo a causa di una violazione grave
della Legge di Dio; distoglie l’uomo da Dio, che è il suo fine ultimo e la sua beatitudine, preferendo a
lui un bene inferiore”, quello “veniale lascia sussistere la carità, quantunque la offenda e la ferisca”.
Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1849 e 1855, in www.vatican.va.
403
Attraverso il sacramento della penitenza si giunge alla conversione, che “si realizza nella vita
quotidiana attraverso gesti di riconciliazione, attraverso la sollecitudine per i poveri, l’esercizio e la
difesa della giustizia e del diritto, attraverso la confessione delle colpe ai fratelli, la correzione
fraterna, la revisione di vita, l’esame di coscienza, la direzione spirituale, l’accettazione delle
sofferenze, la perseveranza nella persecuzione a causa della giustizia”. Catechismo della Chiesa
Cattolica, n. 1435, in www.vatican.va.
404
Si legge nel Compendio: “I gravi problemi ecologici richiedono un effettivo cambiamento di
mentalità che induca ad adottare nuovi stili di vita (...) Tali stili di vita devono essere ispirati alla
sobrietà, alla temperanza, all’autodisciplina, sul piano personale e sociale. Bisogna uscire dalla logica
del mero consumo e promuovere forme di produzione agricola e industriale che rispettino l’ordine
della creazione e soddisfino i bisogni primari di tutti. Un simile atteggiamento, favorito da una
rinnovata consapevolezza dell’interdipendenza che lega tra loro tutti gli abitanti della terra, concorre
ad eliminare diverse cause di disastri ecologici e garantisce una tempestiva capacità di risposta quando
tali disastri colpiscono popoli e territori. La questione ecologica non deve essere affrontata solo per le

114
Da un punto di vista giuridico, le condotte che pongono a repentaglio
l’integrità dell’ambiente possono configurare delle ipotesi di violazione del diritto e
dunque dei reati – fattispecie meno gravi rispetto ai peccati, secondo l’ordinamento
canonico405 – attraverso cui trovano espressione quei principi giuridici che
l’ordinamento intende realizzare, delineando una serie di diritti e di doveri propri
della persona umana.
Nell’ordinamento giuridico canonico la disciplina penalistica è sottoposta a
un principio di imputabilità di quelle condotte giuridicamente rilevanti e meritevoli
dell’irrogazione di una pena, e ciò per salvaguardare sia la società ecclesiale che la
salus animarum.
In ossequio al principio espresso dal brocardo nullum crimen nulla pena sine
lege, mancando attualmente un’esplicita previsione normativa che sanzioni una
condotta materiale idonea a provocare l’alterazione o la distruzione dell’ambiente,
l’ordinamento canonico, pur considerandole ipotesi di peccato, non punisce
penalmente le violazioni ambientali, ritenendo rilevante nella sua antigiuridicità
soltanto per il foro interno la responsabilità dell’uomo autore della condotta lesiva,
con il conseguente obbligo di ristorare il danno senza però riconoscere l’imputabilità
penale406.
Non è un caso che lo stesso Compendio ritenga che la disciplina giuridica in
tema di ambiente sia appannaggio degli ordinamenti secolari, affidando agli Stati
l’onere di delineare un sistema di tutele idoneo a conservare e custodire il creato407.

agghiaccianti prospettive che il degrado ambientale profila: essa deve tradursi, soprattutto, in una forte
motivazione per un’autentica solidarietà a dimensione mondiale”. Pontificio Consiglio della Giustizia
e della Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 486, in www.vatican.va.
405
Cfr. G. Dammacco, Ambiente e creato nel diritto canonico: la tutela dell’ambiente e le garanzie
contro il degrado, cit., p. 21.
406
Il comportamento moralmente deviante può essere evitato ricordando all’uomo l’esistenza di quel
mandato conferitogli da Dio di governare il mondo, nella consapevolezza però della comune
responsabilità sussistente verso l’ambiente, bene collettivo che può proteggersi dalle condotte
antigiuridiche, esaltando “l’etica del rispetto per la vita e la dignità dell'uomo, per i diritti delle
generazioni umane presenti e di quelle che verranno”. Pontificio Consiglio della Giustizia e della
Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 465, in www.vatican.va.
407
Secondo il Compendio infatti “è importante che la Comunità internazionale elabori regole uniformi,
affinché tale regolamentazione consenta agli Stati di controllare con maggiore efficacia le diverse
attività che determinano effetti negativi sull’ambiente e di preservare gli ecosistemi prevenendo
possibili incidenti”. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina
sociale della Chiesa, n. 468, in www.vatican.va

115
Occorre aggiungere alcune considerazioni relativamente alla possibilità di
comprendere nel novero dei diritti fondamentali del fedele quelli relativi
all’ambiente.
Già in prima battuta è necessario ricordare, come proposto dalla dottrina 408,
che il codice di diritto canonico non definisce formalmente come fondamentali dette
situazioni giuridiche soggettive, sebbene tale qualificazione sia presente nella
relazione relativa all’attività condotta dai membri della commissione incaricata di
esaminare il tema; inoltre non tutti i diritti e i doveri presenti nel codice assumono
una rilevanza giuridica, in quanto configurabili all’interno di un rapporto giuridico, e
tuttavia, secondo il legislatore canonico, possono ritenersi derivanti dalla legge
naturale o dal diritto divino positivo e dunque espressione della dimensione
ontologica naturale o ecclesiale e sacramentale del fedele409.
Le situazioni giuridiche espressamente formulate sono contenute in enunciati
generali, mancanti però di un’esplicita determinazione delle modalità da utilizzare
per la loro protezione, affidandosi pertanto al legislatore successivo l’indicazione
degli strumenti giuridici idonei a garantirne un’effettiva tutela.
Se in alcuni casi tale apporto normativo successivo è rintracciabile
nell’ordinamento canonico, per altri invece i diritti e i doveri mantengono quella
formulazione generica, lasciandosene alla prassi amministrativa degli organi
ecclesiali e in assenza di un’esplicita disciplina positiva, la regolazione e la
protezione410.
È ancora da ricordare che la tutela giuridica dei diritti dei fedeli sconta la
scelta, operata dal legislatore canonico, di non provvedere all’istituzione di tribunali
amministrativi, per cui la garanzia di tali situazioni giuridiche soggettive è
esercitabile attraverso i ricorsi amministrativi e in via giurisdizionale tramite il
ricorso alla Sectio altera del Tribunale della Segnatura Apostolica, limitatamente
però agli atti dei dicasteri afferenti alla curia romana, o da questi approvati, e soltanto
per violazione di legge.
A ciò si aggiunga che la disciplina dell’esercizio dei diritti riconosciuti ai
fedeli cristiani è attribuita all’autorità ecclesiastica e in funzione del bene comune,

408
Cfr. G. Lo Castro, Il mistero del diritto. II. Persona e diritto nella Chiesa, Torino, 2011, p. 135.
409
Cfr. G. Lo Castro, Il mistero del diritto. II. Persona e diritto nella Chiesa, cit., p. 136.
410
Cfr. G. Lo Castro, Il mistero del diritto. II. Persona e diritto nella Chiesa, cit., p. 140.

116
formulazione, come sottolineato in dottrina411, eccessivamente vaga e generica, tale
da indebolire la natura assoluta di detti diritti.
Alla luce di quanto esaminato, parrebbe dunque da escludersi il
riconoscimento di un effettivo e tutelato diritto all’ambiente all’interno
dell’ordinamento canonico, mancando sia una disciplina positiva, che sanzioni quale
illecito penale quelle condotte lesive del creato, sia l’accoglimento diretto di tale
situazione giuridica nel catalogo dei diritti formulati nel codice canonico o in via
mediata attraverso l’attività giurisprudenziale o la prassi amministrativa.

CONCLUSIONI

All’esito dell’esame svolto nel corso del presente lavoro, è possibile trarre
alcune conclusioni in tema di diritti umani e ordinamento canonico. In via
preliminare, occorre evidenziare che l’affermazione di tali diritti si lega al periodo
storico delle rivoluzioni moderne, con le quali trova riconoscimento una serie di
situazioni giuridiche soggettive di natura civile, politica e sociale poi accolte nei testi
costituzionali e nelle carte dei diritti. Tuttavia emerge immediatamente la questione
relativa alla loro natura, ovvero se debbano ritenersi, seguendo l’indirizzo
giusnaturalistico, connaturati all’essenza dell’uomo o se invece, sulla scorta delle tesi
giuspositivistiche, debbano esclusivamente rintracciarsi in un dimensione storica e
pertanto relativa.

411
Cfr. G. Lo Castro, Il mistero del diritto. II. Persona e diritto nella Chiesa, cit., p. 142.

117
L’affermazione dei diritti riconosciuti nel corso del tempo ai cittadini si
intreccia con il delinearsi del concetto moderno di libertà politica, inteso, in
un’accezione negativa, quale assenza di impedimenti esterni in grado di limitare
l’uomo nel suo agire, mentre positivamente può coincidere in prima battuta con
l’obbedienza a quelle leggi di cui lo stesso soggetto si doti e, in senso più ampio, con
la possibilità di disporre di quei mezzi e di quelle risorse che consentano il
godimento effettivo di tale libertà. Con l’avanzare del costituzionalismo
novecentesco, connotato in senso democratico, i diritti in questione vengono ad
arricchirsi della gamma dei cosiddetti diritti sociali, affrancandosi in tal modo dalle
affermazioni di puro principio.
Sebbene si sia pervenuti all’universalizzazione dei diritti umani attraverso la
redazione di documenti di valenza internazionale, l’assenza di una disciplina
sanzionatoria in presenza di violazioni o inadempienze delle singole carte, nonché la
mancanza di un esplicito obbligo in capo agli Stati di applicare i diritti formulati,
indurrebbe a pensare che non ci si trovi al cospetto di un diritto positivo in senso
stretto; il che tuttavia non preclude però la possibilità di ritenere la Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo, in particolare, una sorta di legge comune non scritta,
su cui possano ritrovarsi tradizioni giuridiche completamente diverse.
L’analisi dei documenti giuridici di livello regionale sembrerebbe confermare
l’impossibilità di attribuire una qualificazione universale alla categoria dei diritti
umani, segnata invece dal contesto geografico, politico e culturale che di volta in
volta la recepisce. Assumendo però un punto di vista dinamico, parrebbe che tali
diritti possano acquisire nel corso del tempo un valore assoluto che consenta di
apprezzarne l’effettiva universalità rispetto alle istanze valide esclusivamente in un
contesto particolare, ad esempio occidentale, caratterizzato dalla presenza di Stati
industrialmente e democraticamente avanzati.
Con il crollo del muro di Berlino si è assistito all’instaurarsi dell’età dei nuovi
diritti, caratterizzata da un ampliamento delle situazioni giuridiche soggettive,
conseguenza, da una parte, delle diverse condizioni in cui le persone vengono a
trovarsi a seguito dello sviluppo della scienza e della tecnica, e, dall’altra, dalla
permeabilità dei confini degli Stati alle prescrizioni degli organismi sovranazionali,
anche quando si tratti delle Corti internazionali. A partire da diritti e principi

118
espressamente sanciti in documenti giuridici di particolare rilievo internazionale o
nazionale, gli organi giudicanti giungono a formulare nuovi diritti che, sebbene a
volte non compiutamente autonomi, possono costituire il punto di partenza per la
formulazione di nuove posizioni giuridiche. Tale ampliamento delle situazioni
giuridiche potrebbe però produrre un isterilimento della categoria dei diritti umani, a
quel punto identificata con lo spazio proprio del singolo ordinamento giuridico e
contenente in modo paritetico una serie di diritti di intensità e significato diversi.
Pertanto i diritti umani verrebbero a confondersi con una qualsiasi pretesa
individuale legittima, fino a ricomprendere qualsiasi bisogno di natura umana. Inoltre
l’illimitata espansione sia nel numero che nel contenuto dei diritti riferiti
all’individuo, potrebbe sfociare in una degenerazione utopistica.
Dalle considerazioni suesposte è possibile comprendere ulteriormente le
ragioni alla base di quell’atteggiamento di diffidenza e resistenza che sin dalle origini
ha segnato il rapporto della Chiesa cattolica con i diritti umani, uno spirito polemico
indirizzato anche contro il diritto soggettivo e il costituzionalismo di marca
illuministica e legato ai violenti attacchi mossi dalla curia di Roma alla Rivoluzione
francese e alle teorie filosofico-politiche illuministiche. L’atteggiamento critico e di
contestazione nei confronti dell’idea illuministica di libertà trova conferma ad
esempio nell’enciclica Mirari vos del 1832 di Gregorio XVI, nella quale il Pontefice
colpiva una indefinita cospirazione che intendeva sovvertire la Chiesa e di
conseguenza l’ordine della società civile, additando la libertà di coscienza come
assurda, erronea e delirante, mentre la libertà di manifestazione del pensiero veniva
definita peste della società e la libertà di stampa ritenuta una pessima dottrina mai
sufficientemente esecrata e aborrita. Toni analoghi si rinvengono nelle encicliche
successive: nella Quanta cura Pio IX nel 1864 ribadiva quella visione –
ulteriormente confermata ulteriore nei lavori del Concilio Vaticano I – che vedeva
ergersi l’una contro l’altra, da una parte, la concezione illuministica e liberale della
libertà, intesa come diritto soggettivo innato dell’uomo e, dall’altra, quella teologica
e cattolica da identificarsi con la perfetta adesione alla legge divina e alla verità così
come insegnata dalla Chiesa di Roma.
Ma è ancora nel 1953 che, di fronte alla Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo, Pio XII ribadisce che la norma unica e ultima in base alla quale orientare

119
la costituzione di una comunità dei popoli sia da rinvenire nella natura, ovvero nel
Creatore e non nella volontà degli Stati, per cui una serie di diritti – all’esistenza, al
rispetto e al buon nome, a un carattere e a una cultura propri, allo sviluppo,
all’osservanza dei trattati internazionali e dei diritti equivalenti – debbano
considerarsi esigenze di quel diritto delle genti dettato dalla natura. Tale
atteggiamento troverà conferma dieci anni dopo nel pontificato di Papa Roncalli e, ad
esempio, nell’enciclica Pacem in terris, che rimarca l’importanza dei diritti della
persona e non certo dell’uomo, a partire da una natura umana immessa nell’ordine
universale voluto da Dio, all’interno del quale la Chiesa assume un ruolo centrale.
È nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, approvata al termine dei
lavori del Concilio Vaticano II nel 1965, che si ritrova un ampio riferimento ai diritti
della persona, dei quali si fornisce una sorta di elencazione, distinguendoli però dai
diritti umani che, secondo i padri conciliari, costituiscono un portato storico da
valutare positivamente, a condizione però che risultino coerenti con l’insegnamento
della Chiesa, sottratti dunque alla mutevolezza delle interpretazioni e alla variabilità
delle definizione fornite autonomamente dagli uomini. L’accoglimento condizionato
dei diritti umani, da sottoporre dunque al giudizio della dottrina cattolica, in modo da
saggiarne la corrispondenza con il fine della tutela della dignità, deve essere
comunque interpretato alla luce di quei passi in cui i padri conciliari attribuivano alla
storia una sorta di capacità rivelativa dell’imperscrutabile disegno di Dio sull’uomo.
Nel corso degli anni, e dunque dei pontificati successivi, si è riproposta l’idea
secondo cui la rivelazione costituisce il fondamento per la Chiesa di tali situazioni
giuridiche, che presentano elementi comuni con la Dichiarazione del 1948, sebbene il
contenuto di tali diritti non possa ritenersi perfettamente sovrapponibile; e ancora: si
è ribadito il collegamento tra i diritti fondamentali della persona e la legge naturale,
quest’ultima universale, immutabile e permanentemente valida, competendo alla
Chiesa il possesso esclusivo e autentico di tali diritti, in quanto riflesso di quella
legge eterna posta da Dio a fondamento del creato. Anche dopo la salita al soglio
pontificio di Bergoglio e le sue aperture ai diseredati, soltanto l’esperienza dei
prossimi anni potrà mostrarne più chiaramente l’effettivo orientamento nei confronti
dei diritti umani, per ora volto a rivendicare le legittime aspettative degli ultimi del
mondo, sebbene attraverso la conferma dell’indirizzo che individua nella natura

120
umana quella legge morale, inestirpabile riferimento trascendente, unica idonea a
fondare in modo assoluto e universale i diritti umani.
Esaminando l’ordinamento canonico, si coglie la particolare importanza
assunta dalla tesi che ritiene i diritti fondamentali non confinabili nella mera sfera
individualistica, del tutto irrelati rispetto ai rapporti di solidarietà tra gli uomini;
inoltre, considerando la nozione di diritti dell’uomo, ritenuti fondamentali
nell’ambito delle concezioni sia giusnaturalistiche sia statualistiche moderne in
quanto inviolabili, si può osservare che proprio tale caratteristica consenta di dotarli
intrinsecamente di uno specifico rilievo, soprattutto nell’ordinamento canonico: il
diritto della Chiesa è infatti teso ad assicurare la salute delle anime, principio
supremo che diviene parametro di legittimità dello stesso diritto e pietra d’angolo
della natura funzionale dell’ordinamento, volto a garantire la persona umana. Ne
consegue l’impossibilità nell’ordinamento canonico di disconoscere in qualsiasi
modo o addirittura di violare i diritti fondamentali, opportunità invece possibile,
persino legittimata giuridicamente e ideologicamente, negli ordinamenti statuali, in
base al principio ius quia iussum. Viceversa nell’ordinamento ecclesiale, sul
fondamento che il servizio alla persona costituisce uno dei principi supremi, tale
violazione non potrà mai realizzarsi, al punto che l’eventuale misconoscimento
minerebbe la stessa giustificazione e legittimazione dell’ordinamento.
Da ciò deriva, caratteristica su cui si radica un’insuperabile differenza,
l’impossibilità di recepire i diritti fondamentali nell’elencazione fornita nei testi
costituzionali degli Stati moderni e nei documenti emanati dalle organizzazioni
internazionali, all’interno dell’ordinamento canonico, stante la radicale
incompatibilità con i principi dell’istituzione ecclesiale. Lo stesso codice canonico
attribuisce alla Chiesa il compito di annunciare i principi morali, come conseguenza
dell’affermazione dei diritti fondamentali della persona umana, ed i fedeli laici sono
chiamati a tener conto della dottrina della Chiesa nel corso delle variegate attività
poste in essere nell’ambito della società civile, al fine di promuovere e realizzare il
bene comune. Parallelamente al concetto di diritto fondamentale della persona
umana, nell’ordinamento canonico si introduce la nozione di diritti fondamentali del
fedele, da ritenersi universali, perpetui ed irrinunciabili. Tali diritti vengono
riconosciuti in capo al fedele derivando direttamente e immediatamente dalla

121
costituzione della Chiesa, delineando gli spazi di autonomia riconosciuti agli stessi
fedeli e affidandosene loro l’esercizio e la difesa.
Valutando in particolare la libertà religiosa come formulata nella
Dichiarazione conciliare Dignitatis humanae, e dunque quale diritto naturale
dell’uomo a non essere ostacolato o limitato da soggetti pubblici o privati nel
praticare la propria fede religiosa ed esercitarne il culto secondo le indicazioni fornite
dalla sua coscienza, sia privatamente che pubblicamente, in modo individuale o
associato, deve notarsi l’implicito riconoscimento di un regime di eguaglianza tra
tutti gli uomini, presupposto di una libertà responsabile, riguardante soprattutto i beni
dello spirito e primariamente il libero esercizio della religione nella società,
passandosi così da un atteggiamento di tolleranza, inteso come giudizio negativo
morale sull’errore e come concessione revocabile di quanto altrimenti non dovuto,
alla libertà religiosa come diritto soggettivo, di origine divina e naturale, attribuito ad
ogni uomo e reclamabile nei confronti dell’ordinamento civile ma anche di quello
ecclesiale. Tale mutamento di atteggiamento della Chiesa comporta conseguenze
anche per l’ordinamento interno – di cui l’emanazione del nuovo codice canonico
agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso ne costituisce il sintomo evidente –
con la relativa ridefinizione dei diritti fondamentali dell’uomo e del fede: essendo il
messaggio evangelico valido ed esteso a tutti gli uomini, ciascuno diviene soggetto di
diritti, vedendosi riconoscere la conseguente tutela senza alcuna distinzione,
chiamato pertanto a partecipare in condizioni di parità ed uguaglianza, attivamente e
responsabilmente alla vita della comunità ecclesiale.
La centralità della missione della Chiesa viene ribadita nelle recenti aperture
del Magistero romano alla questione ambientale, e già Benedetto XVI – in forza
dell’assunto secondo cui a fondamento del dissesto ambientale vi sia la crisi
antropologica della cultura contemporanea – individua nella Chiesa l’unica
istituzione in grado di fornire le risposte ai problemi ambientali, individuando
nell’uomo il protagonista e l’interprete dell’unico e invisibile libro della natura, da
cui poter trarre il vero progetto contenente le regole da seguire per realizzare il fine
della creazione, essendo del tutto vano avvalersi esclusivamente di mezzi economici
o culturali. Su questa linea Papa Bergoglio ribadisce la necessità e l’urgenza di un
mutamento caratterizzato dalla sua radicalità delle condotte dell’umanità,

122
sollecitando una conversione ecologica globale. La cura della casa comune è stata
affidata da Dio creatore all’uomo, chiamato a custodire e coltivare sia quanto
ricevuto, sia l’altro uomo, il quale, dimenticando la sua vocazione, distrugge e
consuma senza limiti il dono divino. La crisi ecologica, nella sua dimensione umana
e sociale, è la conseguenza dei peccati compiuti contro il creato, di cui finora l’uomo
non è stato in grado di riconoscere l’esistenza e pertanto di confessarli.
Pertanto, se si deve riconoscere all’uomo un diritto ad un ambiente salubre,
quale estensione del catalogo dei diritti umani, si dovrà attribuire alla Chiesa – e non
certo alle istituzioni secolari, come peraltro per gli altri diritti – quel ruolo di garante
universale e tutore legittimo della conservazione del creato, apparendo evidente,
dunque, la radicale diversità, che potrebbe qualificarsi ontologica, delle ragioni
giustificative dei diritti umani così come intesi, da una parte, dalla Chiesa e,
dall’altra, dagli ordinamenti secolari nazionali e internazionali, differenza di portata
tale da rendere perciò non sovrapponibili le due situazioni giuridiche soggettive.

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