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Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini sono

stati due grandi letterati del rinascimento italiano. Si


conoscevano personalmente ed hanno anche elaborato
opinioni, seppur differenti, su argomenti comuni, quali
la storia, ma soprattutto la politica. Andiamo ad
analizzare soprattutto quest’ultima nel dettaglio dei due
autori.
La nuova teoria politica di Machiavelli fu una
rivoluzione per l’epoca, perché si basava su quella che
lui definiva “verità effettuale” (ovvero basata sulla
diretta osservazione della realtà e dei fatti maturati
durante i lunghi incarichi diplomatici svolti da
Machiavelli nella sua carriera politica) e perché
metteva al primo posto il benessere dello stato, dove
per adempiere a ciò un principe (ovvero un qualsiasi
capo di stato) avrebbe dovuto fare di tutto, arrivando
anche a trascurare le virtù etiche e morali classiche di
un regnante e a dissimulare i suoi vizi. Per questo
motivo molti studiosi attribuiscono a Machiavelli
l’origine del detto “il fine giustifica i mezzi”.
In Guicciardini, invece, non assistiamo ad una
elaborazione di una vera e propria teoria politica,
perché secondo Guicciardini risulta vano teorizzare le
norme ideali e le volontà di indirizzare secondo uno
scopo la realtà politica. Per questo egli afferma che la
miglior via è quella di attendere al proprio
“particulare”, ovvero il proprio interesse nella piena
realizzazione della propria intelligenza e della propria
capacità di agire per il bene di sé stessi e dello stato.
Altro elemento che caratterizza il pensiero politico di
ambedue i letterati è il realismo ed il suo ruolo
nell’influenzare le teorie politiche.
Per Machiavelli il realismo è un elemento crudo nei
particolari, nel quale tuttavia traspare una visione
utopistica della presenza di un forte stato italiano in
una realtà futura caratterizzato dalla presenza di un
eroe ideale, ovvero colui in grado di riunire tutti gli
staterelli presenti sul suolo italiano in un unico stato.
Nella visione di Guicciardini invece il realismo non
concede né visioni utopistiche né elementi profetici.
Assistiamo dunque ad una visione della realtà più
amara e sfiduciata, fredda e senza alcun conforto
fornito dalle passioni. È proprio questo fondo scettico e
pessimistico a fare da sfondo alla dottrina di
Guicciardini del “particulare”.
Nella sua teoria politica, Machiavelli giudica tutti gli
uomini malvagi, conservando tuttavia la sua fiducia
nell’intelligenza e nelle virtù dell’uomo.
Per Guicciardini, invece, gli uomini sono per natura
più inclini al bene che al male, ma si lasciano deviare
spesso dal bene a causa della propria indole fragile e
delle numerose tentazioni alle quali sono sottoposti. In
questa visione possiamo osservare come l’essere
umano sia inteso solamente come, citando Natalino
Sapegno nel suo Compendio di storia della Letteratura
italiana, “un miserevole impasto di debolezza e di
egoismo”.

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