stati due grandi letterati del rinascimento italiano. Si
conoscevano personalmente ed hanno anche elaborato opinioni, seppur differenti, su argomenti comuni, quali la storia, ma soprattutto la politica. Andiamo ad analizzare soprattutto quest’ultima nel dettaglio dei due autori. La nuova teoria politica di Machiavelli fu una rivoluzione per l’epoca, perché si basava su quella che lui definiva “verità effettuale” (ovvero basata sulla diretta osservazione della realtà e dei fatti maturati durante i lunghi incarichi diplomatici svolti da Machiavelli nella sua carriera politica) e perché metteva al primo posto il benessere dello stato, dove per adempiere a ciò un principe (ovvero un qualsiasi capo di stato) avrebbe dovuto fare di tutto, arrivando anche a trascurare le virtù etiche e morali classiche di un regnante e a dissimulare i suoi vizi. Per questo motivo molti studiosi attribuiscono a Machiavelli l’origine del detto “il fine giustifica i mezzi”. In Guicciardini, invece, non assistiamo ad una elaborazione di una vera e propria teoria politica, perché secondo Guicciardini risulta vano teorizzare le norme ideali e le volontà di indirizzare secondo uno scopo la realtà politica. Per questo egli afferma che la miglior via è quella di attendere al proprio “particulare”, ovvero il proprio interesse nella piena realizzazione della propria intelligenza e della propria capacità di agire per il bene di sé stessi e dello stato. Altro elemento che caratterizza il pensiero politico di ambedue i letterati è il realismo ed il suo ruolo nell’influenzare le teorie politiche. Per Machiavelli il realismo è un elemento crudo nei particolari, nel quale tuttavia traspare una visione utopistica della presenza di un forte stato italiano in una realtà futura caratterizzato dalla presenza di un eroe ideale, ovvero colui in grado di riunire tutti gli staterelli presenti sul suolo italiano in un unico stato. Nella visione di Guicciardini invece il realismo non concede né visioni utopistiche né elementi profetici. Assistiamo dunque ad una visione della realtà più amara e sfiduciata, fredda e senza alcun conforto fornito dalle passioni. È proprio questo fondo scettico e pessimistico a fare da sfondo alla dottrina di Guicciardini del “particulare”. Nella sua teoria politica, Machiavelli giudica tutti gli uomini malvagi, conservando tuttavia la sua fiducia nell’intelligenza e nelle virtù dell’uomo. Per Guicciardini, invece, gli uomini sono per natura più inclini al bene che al male, ma si lasciano deviare spesso dal bene a causa della propria indole fragile e delle numerose tentazioni alle quali sono sottoposti. In questa visione possiamo osservare come l’essere umano sia inteso solamente come, citando Natalino Sapegno nel suo Compendio di storia della Letteratura italiana, “un miserevole impasto di debolezza e di egoismo”.
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