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DELLA RAGION DI STATO, G.

BOTERO
Introduzione di C. Continisio

Nel 1859 Giovanni Botero dava alle stampe il suo trattato sulla Ragion di Stato, dimostrando
che la ragion di stato, di coscienza e quella civile fossero un’unica cosa, adoperando una
sintesi del concetto fino ad allora mai realizzata e riducendo l’idea di straordinarietà che alcuni
attribuivano a determinate azioni di governo, dettate dalle esigenze di sopravvivenza di uno
stato. Si trattava, dunque, di placare gli animi di quelli che, dietro la ragion di stato,
intravedevano oscuri meccanismi di potere. Le espressioni “ragione e uso degli stati” e
“ragione degli stati” avevano già fatto ingresso nei discorsi politici di Guicciardini e Della Casa,
i quali, però, non ne spiegavano il significato, limitandosi a sottolinearne le differenze dalla
morale cristiana e dalla ragione civile. Botero, essendo consapevole della diffusione del
concetto di ragion di stato, spesso accostato al pensiero di Machiavelli e di Tacito, decide di
chiarire “le maniere che deve tenere un principe per divenire grande e felicemente governare”.
In questa ottica, la ragion di stato si riduce ai mezzi necessari ad ottenere questo fine,
coincidendo dunque con la politica, mera arte di governare, e non qualcosa di eccedente o
straordinario.
Con la pubblicazione del trattato il dibattito si aprì: l’opera di Botero ebbe 17 riedizioni e 14
traduzioni, e tra il 1589 e la metà del secolo successivo uscirono in Italia numerose opere che
ne analizzavano le implicazioni e conclusioni, sotto la spinta delle guerre di religione, il crollo
dell’ordinamento comunale e la necessità di rifondare su nuove basi la legittimazione del
potere del principe. Il dibattito sulla ragion di stato sembra, infatti, interrogarsi tra etica e
politica, suII’accordo tra potere spirituale e potere temporale e sulla possibilità per la ragion di
stato di infrangere le leggi civili, con l’obiettivo di riconciliare la morale e la politica, e riportare
la ragione di stato entro i confini della ragione ordinaria.
1. La stessa finalità aveva Girolamo Frachetta, che identificava la buona ragion di stato
con la prudenza, la quale non è separata dalle virtù morali e dalla religione, ed è perciò
vera ragione, e una falsa prudenza che usurpa il nome di ragion di stato senza
possederne i requisiti.
2. Ludovico Zuccolo, non solo ribadiva l'esistenza di molteplici forme di ragion di stato
quante erano le forme di governi possibili, ma riconosceva anche come buona solo
quella che era indirizzata al governo degli stati buoni.
3. Diversamente Scipione Ammirato, riprendendo la distinzione tra ragione di natura,
ragione civile, ragione di guerra e ragione delle genti, ognuna concepita come
derogatrice della precedente, pensava alla ragione di stato come deroga della Iegge
ordinaria in vista del beneficio comune.
Sia che la ragione di stato sia concepita come arte di governo, sia che si sottolinei la
straordinarietà delle azioni ad essa ricondotte, resta il fatto che con Botero si introduce questa
nuova locuzione nel discorso politico. Alla ratio, neII’Umanesimo, faceva capo ogni buona
norma politica e il governo della città secondo giustizia; tuttavia, adesso, la ratio non è un
concetto astratto ma la ratio dello Stato, e se questa sia in sé buona o cattiva non si può dire,
senza riflettere sullo stato e sulla sua natura. Né Botero né altri teorici riflettono sulla natura
giuridica o filosofica dello Stato. Dandone l’esistenza come certa, questi pensatori sono spinti
dalle Ioro esigenze etiche a conciliare le azioni che mirano alla conservazione dello stato e la
morale religiosa. Solo se si riduce la dottrina della ragion di stato all’epoca storica in cui nasce
(antico regime), si comprende il valore del concetto di conservazione. L’attribuzione del
concetto di ragion di stato al Machiavelli ne condizionò per anni la trattazione, tanto che
bisogna aspettare gli anni 70 per l’elaborazione di nuovi interessanti studi, che ne hanno
abolito la dicotomia tra coloro che favorivano un’ottica machiavelliana (politica che prevale sulle
ragioni etiche) e chi preferiva quella anti-machiavelliana. Schematizzando le teorie sulla ragion di
stato degli ultimi secoli, possiamo delineare due direttive:
1. Coloro che fanno del concetto uno delle più grandi novità dell’epoca moderna, sotto le
spoglie di una rivoluzione dimenticata del linguaggio politico o di paradigma della
conservazione politica.
2. Coloro che, pur riconoscendone la novità, ne accantonano la questione del suo
rapporto con la modernità e ne sottolineano invece il legame con la tradizione. Idea dai
molteplici aspetti (ragion di religione, di giustizia, militare ed economica) ma sempre
trattata a partire da una prospettiva strettamente etica, che vede la politica sottomessa
alla morale religiosa, è caratteristica essenziale del principe virtuoso della
Controriforma e della politica anti-machiavelliana, una ragion di stato ricondotta nei
ranghi della ratio e con una forte venatura mercantilistica.
Tra classicismo e tacitismo.
L’opera di Botero è ricca di citazioni di autori greci e latini, che però non si riducono a puro
espediente ornamentale, ma costituiscono in sé medium e messaggio. La possibilità del
riuso del linguaggio classico e la sua comprensione da parte dei destinatari trovano le loro
ragioni in alcune delle categorie costitutive deII’antico regime. In primo luogo, si tratta
dell’idea che nella storia gli eventi tendono a ripetersi modificando solo alcune circostanze
specifiche. Da qui deriva la possibilità di guardare alla storia antica e alle sue
testimonianze, per apprendere non solo sapere in sé, ma anche come affrontare le
circostanze che, nel Ioro ripetersi, si presentano sempre precedute da ricorrenze generali e
preferibili. In secondo luogo, la cultura di antico regime riteneva che la storia antica avesse
detto già tutto quello che era necessario dire sull’uomo e sulla vita associata, affermando la
superiorità degli antichi. Bastava, dunque, far ricorso a questi non imitando ma riusandone
i concetti. Tuttavia, data la neutralità delle citazioni classiche, neutralità dovuta al loro
distacco dal contesto di appartenenza, ogni ripresa di autori classici non ha particolare
significato, ma Io assume solo in relazione alle teorie dello studioso moderno in questione.
Lo stesso ragionamento vale per l'opera di Botero: le sue citazioni assumono il valore di
exempla, che dimostrano il buon senso delle sue affermazioni riprendendo le opinioni di
pensatori autorevoli, i quali, nelle Ioro opere, affermarono i medesimi concetti o
insegnamenti. Di conseguenza esse costituiscono anche la possibilità di essere compreso e
riconosciuto dalla cultura del suo tempo. In quanto messaggio, le citazioni veicolano
contenuti sotto le spoglie famigliari di un sapere, che era allora patrimonio culturale
condiviso. Nelle edizioni successive alla prima (quella romana del 1590 e quella veneziana
nel 1598) si nota un aumento delle citazioni tratte da Tacito. Ciò porta Botero nel cuore del
dibattito sul tacitismo, una delle correnti di riflessione politica più diffusa Italia. Assumendo
l'anti-machiavellismo come caratteristica fondamentale nel trattato sulla ragione di stato,
non sembra così ovvio fare del tacitismo un mezzo per celare Machiavelli sotto la figura
dello storico degli Annales. Nella Dedicatoria del 1589 al principe di Salisburgo, Botero
rimanda la trattazione delle forme di corruzione di un governo, perché questa non avrebbe
credito senza prima una descrizione delle maniere in cui un principe può divenire grande e
felicemente governare. Questa sarà, infatti, la materia del suo trattato (nella seconda
edizione l’oggetto del trattato sono proprio quelle forme di corruzione che qui invece
vengono rimandate a elaborazione futura). É possibile che l’accumulo progressivo delle
citazioni di Tacito dovesse servire a Botero per realizzare quel primo pensiero, che nella
stesura della prima edizione dell’opera aveva deciso di “differire ad altro tempo”. Tacito,
insomma, è usato come repertorio di esempi atti a smascherare la malvagità della tirannide
e Tiberio come simbolo della tirannia, additato affinché i principi si servissero del suo
modello da evitare. In effetti, Botero si era indignato che Machiavelli e Tacito venissero
associati alla ragion di stato, il primo perché diede precetti di buon governo, l’altro perché
descrisse le arti usate da Tiberio per conseguire e conservare il potere a Roma. Egli,
tuttavia, polemizzava contro Machiavelli e Tiberio Cesare: il primo perché fondava la
ragione di stato nella poca coscienza, il secondo perché giustificava la tirannia sotto le
spoglie della Iegge di maestà. Sarebbe, dunque, sbagliato attribuire le citazioni tacitiane
dell’opera a un presupposto cripto-machiavellismo di Botero, il cui intento è piuttosto quello
di costruire una dottrina filosofico-politica alternativa al pensiero di quello, salvaguardando
la fede e la morale cattolica. Nell’ambito del cripto-machiavellismo non si spiegherebbero
nemmeno le citazioni ad altri classici, come Livio o Cicerone, al cui De Olfìciis fa
riferimento l’argomentazione sulla ragion di stato del primo libro. Dopo aver ridotto la ragion
di stato alla conoscenza dei mezzi per conservare il
dominio, Botero fonda tale conservazione sulla tranquillità dello stato, e questa
suII’obbedienza dei sudditi. A garantire questa sono le virtù del principe, da cui nascono
l’amore e la stima del popolo nei suoi confronti. Queste virtù, come affermava anche
Cicerone, si dividono in quelle finalizzate ad ottenere la fiducia del popolo (liberalità,
magnanimità ecc), e quelle finalizzate alla propria reputazione (arte militare).
Tra virtù e conoscenza.
Se la ragione di stato consiste nella conoscenza dei mezzi per conservare il dominio,
restano comunque alcune questioni aperte. La prima riguarda la natura di tali mezzi. La
liberalità del principe gli procura l’affetto dei popoli e il suo valore militare accresce la sua
reputazione. Amore e reputazione sono mantenuti dalla temperanza e dalla religione. Se
quindi le virtù sono i mezzi per tenere i popoli in obbedienza, la ragion di Stato e la virtù
occupano un unico spazio teorico e di azione. Prima fra tutte la prudenza, che è alla base
della reputazione. Virtù fondamentale della cultura di antico regime, essa gioca un ruolo
importante di mediazione tra le ragioni daII’etica e quelle della politica, tra morale e
pratica, tra virtù e conoscenza. Botero non offre una dissertazione filosofica sulla
prudenza, piuttosto essa è vista in azione e l’autore preferisce fornire al principe consigli
pratici per guidare la sua condotta. La prudenza è una virtù, il cui compito è quello di
cercare i mezzi per conseguire il suo fine, differendo daII’astuzia, perché nella scelta di
questi bada Aii’onesto e non Aii’utiIe. Essa si serve di molte discipline, tra cui la filosofia
morale, che offre la cognizione delle passioni comuni a tutti gli uomini, e la politica, che
insegna a temperare o a seguire queste passioni e i Ioro effetti sui sudditi con le regole del
ben governare. Accanto a queste, abbiamo la geometria, meccanica, architettura, l’eloquenza
“moderatrice degli animi”, le scienze naturali, che destano l’ingegno, e la storia. Ad essa il
principe deve guardare per apprendere da ciò che è accaduto tutto ciò che può ancora
succedere e quello, invece, che è impossibile che accada. Botero compie anche un elenco
di consigli pratici per conservare o accrescere la reputazione, sottolineando infine che
questa dipende dall’essere, non dal parere. Anche qui fanno la Ioro comparsa tutte quelle
virtù che l’autore ritiene essenziali deII’ottimo principe: se la prudenza porta con sé tutte le
virtù e la reputazione si fonda sulla prudenza, nemmeno la reputazione può fare a meno di
esse. Botero riporta alla prudenza la scelta dei tempi e delle opportunità per l’esecuzione
delle imprese, il compito di conservare e non rischiare cose troppo grandi né troppo
basse, l'importanza della dissimulazione e della segretezza. Accanto alla prudenza
troviamo il valore, sinonimo di fortezza, ma che si distingue da questa per superiorità,
contando anche di virtù, mentre la fortezza è data solo dalla potenza. Molto forte è anche
l’interesse che l’autore prova per la pace e per l’economia, come strumenti che concorrono
al benessere, alla tranquillità e all’obbedienza dei popoli: vengono qui messe in rilievo le tesi
mercantilistiche di Botero e le sue teorie sull’organizzazione e disciplina degli eserciti.
Altre virtù sono la giustizia e la liberalità. La prima consiste nel conservare e assicurare a
ciascuno il suo; la seconda nel soccorso ai bisognosi e neII’incitamento alla virtù. Nella
giustizia affonda le sue radici quello scambio che è alla base della convivenza ordinata,
per cui il popolo dà al suo principe i mezzi, con cui questo possa mantenerlo in pace e
benessere.
Infine, abbiamo la temperanza e la religione. Religione intesa però non come istrumentum
regni ma come adesione reale alla fede e quindi come ispirazione a tali valori di tutta la
politica. I Principi devono riconoscere che il Ioro potere derivi da Dio, e per questo non
devono tentare impresa che non sia conforme alle leggi di Dio. Da qui la necessità del
consiglio di coscienza, che valuta tale conformità demarcando il confine fra stati buoni e
malvagi, permettendo di distinguere la buona ragione di stato. Nell’ottica di uno stato
buono, che ha il compito di difendere la fede cattolica, la ragione di stato coincide con
l’unica arte dei governi razionale, cioè secondo natura: questo è il valore che assume il
termine conservazione come sinonimo di governo. Un’altra delle idee di antico regime è,
infatti, quella che la natura possieda un ordinamento razionale, dovuto all’azione della
mano di Dio. Ne deriva che, chi è preposto al governo da Dio, assuma il compito di
preservare l’ordine naturale delle cose, divino e
quindi perfetto. Il pensiero di antico regime unisce, dunque, le due virtù di sapienza e
prudenza: la sapienza, che indaga le strutture immutabili della realtà, e quindi anche Dio,
viene ridotta a guida delle azioni dell’uomo dalla prudenza, che ne applica gli
insegnamenti ai singoli casi.
Infine, l’essenza della ragione di stato va colta anche nell’interesse e bene comune.
L’interesse opera tra sudditi e Principe, e come metro per le relazioni tra Principi. Nel
primo caso, Botero afferma che è fondamentale per il Principe “interessare” il popolo allo
stato, cioè che i sudditi trovino interesse nella conservazione dello stato. Esemplare è il
caso dei poveri: chi non ha nulla da perdere, perché vive in condizioni di miseria e
povertà, risulta essere molto pericoloso per Io stato, perché facilmente si rivolge a
qualsiasi mezzo pur di accrescersi, a svantaggio anche della rovina altrui. Questo però
non rende l’interesse un mero mezzo per rapportarsi alle istituzioni o asseconda quella
teoria del governo di sé, che rende il vizio privato una pubblica virtù. Lo stato il cui
interesse è in causa, infatti, non è né quello del Principe, né ancora queII’ente astratto in
relazione a cui Io spazio del pubblico si separa dal privato. Il pensiero di Botero si muove
ancora nella tradizione della politia aristotelica, per cui il bene del singolo e quello dello
stato sono inscindibili, e in cui il singolo, realizzando la sua funzione, trova al contempo il
suo bene e realizza quello comune. Molti sono i modi con cui il Principe tende ad
interessare il popolo, in primo luogo mirando al Ioro benessere, anche a livello economico.
Dedica al Vescovo di Salisburgo
Motivi di stesura dell’opera: mostrare come la ragion di stato non si possa distaccare dalla
morale cattolica, poiché l'uomo è creatura di Dio e sa discernere il bene dal male, a
differenza degli animali.
LIBRO I
Ragione di Stato.
«Ragione di Stato sono i mezzi atti a fondare, conservare e ampliare un dominio. Egli è
vero che, se bene, assolutamente parlando, ella si stende alle tre parti suddette,
nondimeno pare, che più strettamente abbracci la conservazione che l’altre, e deII’aItre due
più l’ampliazione che la fondazione».
Domini.
• Naturali: quelli di cui siamo padroni come sudditi, esprimendo la nostra volontà
neII’eIezione del re, o tacitamente, come avviene nelle successioni legittime degli
Stati.
• D’ acquisto: domini conquistati con il denaro o con le armi; con le armi s’acquistano
a viva forza o con accordo; l’accordo si fa a discrezione del vincitore o a patti.
• Piccoli: dominio che non si può mantenere da sé, ma necessita della protezione
altrui.
• Mediocri: ha le forze necessarie per mantenersi da solo (Venezia, Milano)
• Grandi: hanno grandi vantaggi sui regni vicini (impero turco e del Re cattolico).
• Uniti/ disuniti: i membri dei Ioro popoli si toccano/ sono separati

Ragioni della rovina degli esami.


• Cause intrinseche: incapacità del principe (scempietà o perdita di reputazione); crudeltà
dei sudditi e la libidine che macchia l’onore; invidie e discordie; instabilità dei sudditi e
dei baroni nel passare ad altra signoria.
• Cause estrinseche: inganni e potenza dei nemici.
• Cause miste: accordo dei sudditi con i nemici per tradire re o patrie
Le cause interne sono più pericolose: non si può vincere un nemico senza che prima il
suo regno sia stato corrotto dall’interno.
Conservare.
Senza dubbio, che maggior opera si è il conservare, perché le cose umane vanno quasi
naturalmente ora mancando, ora crescendo, a guisa della Iuna a cui sono soggette; onde
il tenerle ferme e, quando sono cresciute, sostenerle in maniera tale che non scemino e
non precipitino, è impresa d’un valor singolare e quasi sovrumano.
Chi conquista ha a che fare con cause interne o esterne della rovina degli stati, ma chi
mantiene il potere ha a che fare con entrambe, mostrando così una maggiore virtù.
Durata degli imperi.
• Piccoli: scarsa durata perché sono facilmente esposti alle ingiurie dei nemici.
• Grandi: insospettiscono i vicini che si alleano per contrastarli. Sono anche più
esposti alle cause intrinseche di rovina, perché la ricchezza alimenta lusso,
avarizia e libidine. Infine, la grandezza porta alla sicurezza di sé, che genera
negligenza, ozio, disprezzo dei sudditi e dei nemici, rendendo questi regni grandi
per la fama passata, ma deboli per la forza presente.
• Mediocri: sono i più durevoli, perché non troppo deboli da esporsi al nemico, né
per grandezza producono invidia, e le ricchezze in essi sono moderate, al punto da
non suscitare passioni nefaste tra i sudditi. Tuttavia, i principi non si contentano dei
domini mediocri, e, ricercando imperi più grandi, oltrepassano i limiti della
sicurezza e cadono in rovina.
Durata degli Stati:
• Disuniti: o non possono soccorsi perché separati dai nemici o si sostengono in tre
modi: con il denaro, attraverso le alleanze con i principi il cui territorio va
attraversato, o con le flotte qualora siano vicini al mare. I Ioro sudditi, inoltre, o
sono troppo deboli per difendersi dai vicini, o sono così grandi da essere Ioro alleati
o pari. Le Ioro forze sono più deboli di un dominio unito, ma se saranno forti
abbastanza da sostenersi a vicenda, essi potrebbero durare più deII’unito, perché
le discordie interne si diffonderanno meno velocemente al Ioro interno a causa
della separazione dei territori. Così il principe potrà punire le parti ribelli con l’aiuto
di quelle sane (cfr impero spagnolo).
• Uniti: uno stato grande e unito si difende meglio dai nemici, ma soffre delle cause
intrinseche, perché la sicurezza di sé porta alla trascuratezza. In un regno unito le
discordie interne si diffondono più facilmente perché il territorio è unico; e se il
principe si dà alla poltroneria, i suoi vizi si diffonderanno più velocemente.

Modi di conservare.
La conservazione di uno stato consiste nella pace dei suoi sudditi. Questa può essere
disturbata dai suoi stessi abitanti o dai nemici stranieri. Nel primo caso, i popoli possono
sollevarsi l’uno contro l’altro (guerra civile) o tutti contro il principe (ribellione). In entrambi i
casi, il principe risolve il problema ricorrendo alle virtù con cui conquistò l’amore e la
reputazione dei suoi sudditi. Il popolo offre il potere soprattutto badando alla reputazione
del principe e al bene comune, eleggendo non le figure più amabili ma quelle più virtuose.
• Amore: dotato di virtù, ma questa può anche essere mediocre. Le sue virtù hanno
a che fare con la giustizia e liberalità
• Reputazione: mira solo aII’ecceIIenza, alla virtù estrema. La reputazione supera
l’amabilità, per cui chi ne è dotato non è tanto amato quanto stimato. La stima può
basarsi sulla sua religione e
pietà (riverenza) o sulle sue virtù militari (reputazione). Ne deriva che le virtù che
rendono amabili un principe contribuiscono anche alla sua reputazione. Le sue
virtù sono legate all’arte militare e la politica.
Eccellenza del principe.
• Assoluta: in tutte o quasi le virtù che possiedono, eccedono la mediocrità
• In parte: avanzano gli altri uomini in qualche virtù

Giustizia
Assicurare e conservare a ciascun suddito il suo. Cristo fondò la sua Chiesa con la carità, che
non rende necessaria la giustizia, perché essa unisce le mani e i cuori e, dove esiste tale
unione, non può esserci ingiuria. Ma gli uomini sono imperfetti, per cui venendo meno in Ioro
la carità, la giustizia appare necessaria al ben governare.
• Giustizia tra re e sudditi: i popoli danno al re i mezzi perché li mantenga in giustizia e
li difenda dai nemici. In questo tipo di giustizia rientra anche la distribuzione
proporzionata degli onori da parte del principe, rispettando il merito senza favoritismi.
• Giustizia tra sudditi: il principe deve mantenere la giustizia tra i sudditi evitando il
ricorso alla violenza e alla frode. Particolarmente negativa è l’usura, che impedisce il
Iibero commercio.
Magistrati
Non siano essi né stranieri né cittadini, perché i primi si appoggiano al principe contro il
popolo, i secondi alle fazioni interne. Ci si serva di sudditi dell’impero legati a centri lontani dal
tribunale dove i magistrati opereranno. Bisogna mantenerli incorrotti:
• bisogna pagarli bene e vietare Ioro la possibilità di ricevere presenti;
• limitare il Ioro giudizio alla prescrizione delle leggi, non lasciando potere assoluto alle
scelte dei singoli, spesso prede delle Ioro passioni;
• Servirsi di spie, che riportino notizie sui suoi ufficiali, e il principe stesso cerchi di
osservare quanto più può dei suoi sottoposti.
Fare giustizia:
• Uniforme: bisogna essere equi e non offrire la grazia a coloro che hanno compiuto
misfatti indegni per il bene comune
• Spedita: bisogna velocizzare la disquisizione delle liti attraverso degli addetti eletti dal
principe a tale scopo
Liberalità
• Liberare i bisognosi dalla miseria: aiutare i poveri nel momento del bisogno o in
calamità accresce l’amore dei sudditi verso il principe.
• Promuovere la virtù: favorisce gli ingegni e le arti, illustra la religione e lega di più il
principe al suo popolo. Gli uomini illustri sono spesso alla guida del popolo, e, essendo
in buon rapporto con il proprio sovrano per i favori ottenuti, fanno in modo che anche i
suoi sudditi Io siano.
• Avvertenze per la liberalità: non offrire nulla agli indegni, perché si reca così torto ai
degni e alla virtù stessa, facendo sì che gli uomini usino ogni altro mezzo per ottenere
le sue grazie; non eccedere nel donare ma dare moderatamente a tutti.
Prudenza
La reputazione è data dalla prudenza e dal valore. La prima offre al principe consiglio, la
seconda le forze.
Il principe deve essere dotato di vasta cultura: dalla morale, che studia le passioni umane,
alla politica che tempera o asseconda queste con l’arte del governare. Deve conoscere l’arte
militare, l’architettura delle macchine da guerra, per discernere il vero dal falso e cogliere il
momento migliore. Deve temperare gli animi con la buona eloquenza. Conoscere, infine, le
storie naturali aiuta ad ampliarne l'ingegno.
Per realizzare al meglio le proprie idee è però necessaria l’esperienza. Essa o si acquista da
noi stessi o da altri. La prima è ridotta perché non si può essere in più luoghi, la seconda si
ottiene da vivi (per mezzo di spie e mercanti) o da morti (le opere degli storici). Anche la
poesia è utile, perché spinge ad imitare le imprese di eroi.
Inclinazioni e natura dei sudditi.
• Sito: i popoli che vivono tra settentrione e meridione, tra caldo e freddo hanno
maggiore ardore e ingegno e sono atti a governare. I settentrionali sono animosi ma
senza astuzia (viceversa i meridionali); i primi sono forti e valorosi, i secondi deboli e
più adatti a fuggire; i mezzani sono moderati e prudenti. I settentrionali si fondano sulla
forza quindi si governano a monarchia o repubblica; i meridionali si governano con la
superstizione e la religione; i mezzani si governano con giustizia e ragione, sono i
creatori delle leggi e maestri dell’arte della pace e delle armi. Coloro che vivono agli
estremi del nord o del sud, hanno invece aspetto e costume bestiale. Gli orientali sono
facili e trattabili, gli occidentali più fieri e ritirati.
Annotazioni alla prudenza
1) Il principe in ogni sua azione deve badare all’interesse e fare accordi con nessuno,
nemmeno chi è legato a lui da affetto o amicizia, che non sia mosso da un interesse
personale.
2) Qualora i mali si diffondano, il principe deve prendere tempo, perché il trascorrere dei
giorni può mutare le condizioni.
3) Non faccia pubblicare o vendere opera che possa produrre modifiche allo stato
4) Non trascuri i piccoli disordini, perché crescendo essi possono portare alla rovina.
5) Non è possibile evitare nelle deliberazioni ogni inconveniente
6) Non tenti troppe grandi imprese in poco tempo, perché chi troppo vuole nulla stringe
7) Moderi gli acquisti e non tenti nulla senza essersi prima assicurato
8) Non tenti guerre con più nemici contemporaneamente e dissimuli ingiurie e delitti di
potenti che non si possono castigare
9) Cosa indegna è affidarsi alla fortuna e al caso
10) Non faccia cambiamenti improvvisi al governo che possano generare violenze interne
(I Cesari si fecero prima chiamare principi poi imperatori)
11) In procinto di fare un’impresa, non perda tempo e preferisca cose vecchie a quelle
nuove e quiete a quelle torbide, così da affidarsi a cose sicure e certe
12) Non rompa alleanze con repubbliche, perché l’amore per la libertà è difficile da
estirpare nei cittadini, né faccia Io stesso con la Chiesa, perché tale azione apparirà
sempre empia
13) Non si prolunghi la guerra con i vicini né con i propri sudditi, altrimenti questi si
incrudeliscono con il tempo
14) Nella pace, non trascuri gli armamenti esponendosi così al nemico
15) Le guerre si vincono con prestezza piuttosto che forza, con longanimità più
che impeto 1ó) Ricerchi l’opportunità, poiché ogni cosa ha un momento più
adatto in cui essere compiuta
17) Non si serva di ministri sottoposti a altro principe, perché non ci si potrà fidare di Ioro;
non affidi l’esecuzione delle imprese a chi nella consulta votò a sfavore, perché la
volontà non è efficace se l’intelletto non vi si piega
18) Non eviti i pericoli ma vada Ioro incontro, né favorisca mai una fazione nella lotta tra
popolo e nobiltà
19) Non si fidi di chi è stato da lui offeso, perché il desiderio di vendetta è grande
20) Non si opponga alla moltitudine che difficilmente può vincere e solo con grande perdita
di amore. Si mostri piuttosto favorevole ad offrire ciò che non può evitare.
Segretezza
Essa favorisce i disegni dei principi e il maneggiare delle imprese, che, altrimenti, venendo
allo scoperto, potrebbero essere evitate dai nemici o emuli. Il modo di tenerle segrete è non
parlarne con nessuno, o, nel caso in cui necessitasse di aiuto, parlarne con pochi fidati, di
natura cupa e di molta accortezza. Giova la dissimulazione, mostrare di non sapere o di non
curare ciò che si sa, fingere. Poiché non vi è nulla di più avverso alla dissimulazione delI'ira, il
principe badi di non cedere ad essa.
Consigli per il principe
• Non si seguano i consigli troppo sottili, perché difficili a realizzarsi e ricchi di
complicazioni;
• Non si seguano nemmeno quelli troppo grandi, perché portatori di vergogna e danno;
• Si evitino le cose vaste e immense che richiedono troppi mezzi, denaro e forze, né le
cose di troppo ardire che finiscono spesso in disperazione;
• Si osservino i consigli fondati e maturi che poco sono soggetti agli accidenti. È
onorevole rischiare quando si assale il nemico, non quando si deve conservare il
potere;
• I consigli moderati valgono poco nelle situazioni di pericolo;
• Si badi al parere degli esperti ma anche dei dotti, evitando tuttavia chi mai
sperimentò la guerra. Il valore
Il valore è fatto di prudenza e vigore d’animo. Il valore conta più della potenza nel mantenere
un dominio, ed è fatto di ardire. Esso viene parte daII’anima e parte dal corpo. Il primo
sostiene il corpo dalle infermità, ma è necessario che il principe si mantenga in salute, perché
un corpo debole atterra anche l’animo (eviti l’ingordigia, pratichi la continenza e l’esercizio che
coinvolge tutto il corpo, come la palla o la caccia, si tempri nelle avversità del caldo e del
freddo per essere pronto ad ogni evenienza). Ma se la malattia incalza, allora l’animo deve
essere pieno di vigore, discorrendo delle virtù e delle imprese dei principi o ricordando la
lezione egli antichi.
Modi per conservare la reputazione
• Coprire le proprie debolezze
• Fare sfoggio delle proprie forze
• Agire con fatti piuttosto che parole e usare nei discorsi toni dimessi, evitando promesse
iperboliche
• Mantenere la parola data
• Costanza nelle cose avverse e moderazione nella prosperità
• Non si tentino imprese superiori alle proprie forze o affari da cui non è sicuro trarre
guadagno
• Si tentino imprese grandi che portano reputazione ma nel mezzo non le si abbandoni
dimostrando di aver avuto poco animo
• Non si mostri dipendente da consigliere o figura alcuna né pratichi altra professione da
quella di principe (critica a Nerone e altri re che amarono musica e arti)
• Giova la segretezza, che desta attenzione nei sudditi, e una certa uniformità di vita,
azioni e di governo
• Si circondi solo di persone valorose e adatte ai loro compiti e dialoghi solo con chi ne è
degno
• Eviti gli eccessi e procuri che le sue azioni siano eccellenti e eseguite con le debite
circostanze
• Mostri magnificenza nello spendere per cose onorate (culto di Dio, beni pubblici,
occorrenze)
• Mostri magnanimità e badi che i sudditi siano a lui obbedienti e non dipendenti
• La reputazione dipende dall’essere e non dal parere: ritirarsi nella vecchiaia appare
cosa giusta

1) Religione: mantiene Io stato con l’aiuto della grazia di Dio


2) Temperanza: tiene Iontani i vizi da cui deriva la rovina
Religione
Il principe deve essere stimato religioso e pio, così i sudditi non temeranno di essere trattati
iniquamente da colui che è ritenuto stimare gli dei; né si ribelleranno a chi pensano sia caro
agli dei. Il principe deve riconoscere che il suo potere derivi da Dio e non tentare nulla che
non sia conforme alle sue leggi. Deve, dunque, servirsi di un consiglio di coscienza fatto di
teologi ed esperti in canonica, evitando così di affidarsi ad imprese che gli valgano la
condanna eterna. Perché spesso Dio permette le rovine degli stati a causa dei costumi
corrotti dei Ioro popoli, il principe deve assicurarsi di diffondere e rafforzare la morale cristiana
nel regno.
Modi di diffondere la religione
La religione cristiana è la più adatta al governo, perché sottomette corpi e anime degli uomini,
vuole che si obbedisca a principi moderati e che si patisca ogni cosa per non turbare la pace.
lnoltre, i sudditi non possono ribellarsi ai principi, nemmeno se facendolo non ledono le leggi
di Dio (i cristiani patirono le persecuzioni senza ribellarsi). Lutero e gli altri invece seminano
zizzanie e rovine. Il principe:
• Eviti simulazione e superstizione: la prima viene facilmente scoperta e getta il suo
autore neII’infamia; la seconda porta disprezzo. Dio è verità e con verità vuole essere
adorato.
• Onori i ministri religiosi e gli uomini di Dio e scelga uomini di valore dando Ioro compiti
illustri
• Usi magnificenza nel restaurare le chiese antiche ma Iasci ai prelati ogni autorità in
campo religioso
Temperanza
Essa è custode di ogni virtù, che senza di Iei viene meno. La prosperità spesso stimola gli
uomini a tentare di ottenere sempre di più, cadendo nei vizi e nella rovina (si pensi alla rovina
che apportarono le delicatezze aIl'impero romano). Compito dei principi è moderare le pompe
e i lussi per evitare questi pericoli. Limiti soprattutto le spese delle donne, per natura corruttrici
degli uomini, proibendo tavole e imponendo dazi sui vestiti.
Modi di trattare il popolo
Per mantenere il popolo tranquillo, sono necessari l’abbondanza, la pace e la giustizia.
Tuttavia, il popolo se non è intrattenuto con nuovi mezzi dal principe, tende a ribellarsi, perché
instabile per natura (da qui la nascita dei giochi olimpici, spettacoli teatrali o di gladiatori). Si
preferiscono gli spettacoli dediti aII’onestà che quelli frivoli o violenti (critica ai gladiatori e alle
commedie)
Anche le imprese dei principi fungono da intrattenimento. Possono essere civili (opere
pubbliche) o militari. Le prime non devono essere pura ostentazione di potere né dilaniare le
risorse economiche dei sudditi. Le seconde sono utilissime perché tengono il popolo
occupato, lasciando che esso sfoghi le sue frustrazioni all’esterno del paese e non al suo
interno, evitando così rivolte.
Principe in guerra
Se manca di virtù, gestisca le guerre attraverso i suoi ministri; se le possiede, comandi lui le
operazioni apportandovi autorità e reputazione.
• Imprese di difesa: la difesa può essere di stato proprio o di un suo membro separato.
Se il nemico invade il regno, il principe deve intervenire in prima persona, dando così
un esempio ai soldati che
lotteranno più valorosamente. Inoltre, difendere Io Stato è compito grande, adatto ai
re. Difenda anche le questioni religiose, anche solo accostandosi aII’esercito senza
intervenire.
• Imprese di offesa: intervenga quando si attacca un nemico vicino; altrimenti, resti nel
suo stato a diffondere la sua reputazione nelle restanti regioni del territorio, così da
avere il suo sostegno nel caso in cui la guerra arrivasse in patria.
Tre tipi di persone

• Opulenti: per avidità si accostano al male; non vogliono sottostare al più potente; non
riescono a governarsi per la troppa prosperità
• Poveri: per miseria si accostano al male; obbediscono nella violenza e neII’onestà;
non possono sottostare alle leggi per la loro necessità
• Mezzani: più moderati e facili da governare; non sono miseri né possenti quindi sono
amici della pace e si contentano del governo Ioro, amano la virtù.
Grandi
• Parenti: l’ambizione e le gelosie verso il principe spingono questo a incarcerarli o
ucciderli. Ma la violenza genera ribellione, per cui i parenti si alleano con i confinanti e
tentano di salire al seggio. Il principe deve governare con giustizia e prudenza evitando
invidie e sdegni e creando così armonie tra fratelli e imperi.
• Signori di feudi: hanno del male (autorità e potenza che possono spingere i nemici del
principe ad allearsi a Ioro) e del bene (sono sostegno al principe contro i nemici).
• Uomini di grande reputazione: coloro che hanno raggiunto prosperità presso il
popolo per il Ioro valore in pace e guerra. Il principe non deve, dunque, servirsi di
persone altere e ricche di ardire perché questi tramano sempre cose nuove; né
bisogna fidarsi di persone astute e cupe o instabili e leggere, che passano da una
fazione all’altra; si eviti di offrire autorità assoluta ai magistrati, affinché le province non
diventino ereditarie. L’amministrazione di giustizia va affidata a più persone in un
senato o parlamento, mentre quella militare non va affidata né a più persone né in vita.
Troppi capitani, infatti, impediscono di maneggiare la guerra, mentre il potere militare a
vita rende gli uomini temerari (le magistrature romane erano annuali). La perpetuità
della carica impedisce, inoltre, di servirsi di magistrati più validi che si potrebbero
scoprire col tempo; chi detiene le cariche può divenire inadatto col tempo e il suo
servizio risulterebbe inutile o dannoso al principe. Né i ministri vanno sempre mutati.
Occorre perciò un consiglio immutabile con cui il principe si consulti nelle questioni
militari e civili.
Poveri
Chi nulla possiede, facilmente si affida al mezzo della ribellione per modificare la sua
situazione. I re devono occuparsene o cacciandoli dallo stato o includendoli nella sua quiete
con dei servizi, come l’agricoltura e le arti.
Come trattare i sudditi d’acquisto
Bisogna fare in modo che questi si sentano parte dello stato e cooperino per il suo bene,
altrimenti alla prima occasione si ribelleranno e uniranno al nemico. Il principe si deve,
dunque, servire della benevolenza, dando prosperità ai religiosi e gli intellettuali, poiché questi
sono a capo dei popoli e ne guidano gli animi. Giova donare ai poveri e mostrare una finta
clemenza. Importante è rispettare i patti con cui questi sudditi si sono ridotti sotto il tuo
dominio evitando rivolte interne, insegnare Ioro i costumi del proprio popolo e stabilire con
Ioro legami di parentela o leghe militari, introdurre la propria Iingua nei paesi vinti.
Eretici
Bisogna guadagnarli con la conversione, servendosi di cooperatori che li conducano alla
verità con dottrina e esempi di vita, di scuole o seminari gestiti da maestri casti e alieni ai vizi,
e donativi e premi per la conversione.
Contro i Calvinisti
• Avvilirli d’animo: sottrarre tutto ciò che provoca Ioro ardire e spirito (milizie, cavalli,
begli abiti, magistrature), destinarli ad offici vili o a mestieri che li tengano occupati
(l’agricoltura li lega alla terra allontanandoli dal governo, la meccanica li lega al
commercio e quindi aII’amore per la pace che permette gli scambi commerciali),
renderli molli e deboli con un’educazione effeminata e la musica.
• Indebolire le forze: esse sono la moltitudine di giovani, di denaro e di strumenti di
guerra. Vanno sottratte.
• Impedire le unioni tra loro: ridurre la volontà di allearsi tra Ioro seminando zizzanie
attraverso spie; ridurre anche la possibilità di farlo evitando legami di parentela,
allontanando i capi principali ed evitando qualsiasi forma di consiglio o assemblea,
installando insediamenti e presidi qualora non ci siano separazioni naturali tra i popoli.
Se tutto ciò fallisce, si debbono cacciare dallo stato. Se sono eretici, vanno bruciati i
Ioro Iibri di culto.
Studio delle Lettere
Ha due effetti negativi per la guerra: monopolizza l’ingegno umano che non bada più ad altro;
rende gli uomini malinconici e non vivaci.
Ha due effetti positivi: accresce la prudenza e il giudizio ed eccita il desiderio di onore e gloria.
Le lettere sono, dunque, necessarie per il capitano perché ne stimolano il valore, ma non per i
soldati che devono solo obbedire ai comandi del capitano e non necessitano di giudizio.
Dominare i disordini
Sono prodotti o dalla nobiltà divisa in fazioni, o dal popolo contro il principe. Le rivolte vanno
sedate sul nascere altrimenti producono la rovina degli stati, quando il male si diffonde.
• Contro il popolo: occorre usare la forza ed eliminare i nemici sul nascere con silenzio
e segretezza. Il principe non deve allontanarsi dal campo di battaglia perché, in sua
assenza, i capi della rivolta si animano. Gioverà usare qualsiasi arma utile a disunire il
popolo. Se nulla vale, bisogna concedere ciò che chiedono, rinunciando alla
reputazione a favore dell’amore dei sudditi (cosa da usare verso i sudditi naturali e non
quelli acquisiti). La reputazione, infatti, si salvaguarda mostrando di volere ciò che
invece si è costretti a dare
• Contro i baroni: o si scontrano con il principe (qui vanno usati gli stessi metodi di
sopra) o tra frazioni interne. Se il motivo è una cosa particolare, occorre rimandare la
questione ai giudici ed essere superiore a qualsiasi schieramento per evitare di
alienarsi qualcuno; altrimenti, il principe interverrà con la forza, allontanando i capi
delle due fazioni, qualora la cosa non si risolvesse. Ma se il motivo di contesa è
pubblico, il re deve farsi capo della migliore delle due fazioni.
Tenere lontani i nemici
• Fortezze: devono essere poste in luoghi necessari a non Iasciare Io stato scoperto al
nemico e utili alla difesa di regioni ricche o come rifugio; devono essere lontane, in
modo da proteggere la popolazione mentre il nemico le assalta e raccogliere
provvigione (meglio se sono nel territorio nemico); siano poche, perché facilmente
ricaricabili di munizioni senza dispersione di forze; siano
gagliarde per sito (si installano in luoghi muniti di acqua o aspri per collocazione
geografica) o per forma (sono resi inaccessibili da mura e fossati). Devono essere
difese da validi soldati, anche quando poste in luoghi inaccessibili.
• Colonie: essa è migliore della fortezza perché la include. Ma si usano più le fortezze,
perché le colonie sono più industriose a farsi e i risultati si colgono con il tempo,
mentre le prime sono più utili nell’immediato e facili a costruirsi. Non vanno fondate
colonie lontane dal proprio stato, perché difficili da soccorrere, quindi o divengono
preda dei nemici o divengono autonome.
• Presidii: venivano stabiliti dai romani in luoghi troppo Iontani per servirsi di colonie.
Tuttavia, spesso i soldati nominavano imperatori i Ioro comandanti e ciò causava
scontri tra eserciti. Per questo, o bisogna mandarli contro i nemici, o dividerli in gruppi
più piccoli per svilirne le forze.
• Desertificare i confini: tecnica per contrastare i nemici
• Prevenire il nemico: portare la guerra in casa del nemico evitando così il suo
intervento; ma chi assale, deva avere forze superiori o pari aII’assaItato, o prevenire il
nemico fortificando i passi strategici presso cui quello, sostando, offra a noi il tempo di
raccogliere le forze. Nel caso in cui non si hanno forze per prevenire il nemico, si
convinca un alleato ad assalirlo, facendo fare a lui ciò che non si riesce a fare in prima
persona.
• Sfruttare le fazioni interne ai nemici: servendosi deII’aIIeanza con consiglieri o capi
nemici, si dissuadono i nemici daII’attaccare, o li si dirigono altrove, o si ha notizia
prima di eventuali attacchi nemici. Sollevare rivolte interne al nemico è ancora meglio.
• Leghe con i vicini: l'unione con gli alleati vicini al nemico fa desistere questo daII’agire.
• Eloquenza: è utile per sottrarre forze al nemico, dimostrando agli altri stati come il
nostro pericolo sia comune anche a Ioro, data la grandezza dell’avversario
Contro il nemico invasore
• Sottrarre vettovaglie: battere o tagliare le strade, raccogliere i viveri affinché il nemico
non trovi risorse; bisogna limitare la costruzione di ville e palazzi che possono offrire
riparo al nemico Iungo la strada
• Diversione: portare la guerra nella casa del nemico che ci ha invaso, così da
distoglierlo dal nostro territorio.
• Alleanze col nemico: quando il nemico non può sconfiggersi, meglio accordarsi col
denaro
• Protezione di altri stati: se si è in pericolo di perdere la libertà, è utile affidarsi alla
protezione di Stati più potenti
• Fortificarsi mentre i vicini sono in guerra: dopo gli accordi di pace tra vicini, capita
spesso che le truppe mercenarie sfoghino i Ioro umori nei territori vicini: è, dunque,
meglio essere pronti a difendersi.
Mezzi per ampliare uno stato

• Forze: uomini valorosi, denaro, vettovaglie, munizioni, cavalli, armi di difesa e offesa.
L’ampliamento è di due tipi, intensivo (si migliora Io stato dall’interno) o estensivo (si
allargano i domini): questo senza quello è inutile e dannoso
Tesoreggiare
Vano è per il principe accumulare denaro senza un fine: ciò impedisce opere di beneficenza,
cosa che riduce l’amore dei suoi sudditi; l’accumulo di denaro costringe a gravare le tasse e
questo spinge i popoli alla ribellione; l’avarizia spinge i re Iontano daII’arte del buon governo,
ottenendo così la rovina dello stato e il passaggio dei suoi tesori nelle mani dei nemici; infine, i
tesori verranno poi dispersi dai successori giovani, che vedendosi nelle mani tali mezzi, si
lasceranno prendere da capricci e tenteranno imprese maggiori delle Ioro forze.
Bisogna però avere del denaro, perché in caso di guerra sarà difficile raccoglierlo, sia perché i
traffici verranno interrotti, sia perché il popolo, travagliato dai soldati, se sarà anche
tormentato dalle tasse, si ribellerà. Il principe, altrimenti, durante la guerra, perdendo tempo a
raccogliere denaro, sprecherà l’occasione della vittoria. Il modo più sbagliato di ottenere
denaro è il prestito ad interesse, che conduce alla rovina di stati. La virtù sta nel mezzo:
raccogliere denaro ma non farne professione. Ciò avviene servendosi delle entrate di stato o
limitando spese e offerte.
• Entrate: ordinarie e straordinarie. Le ordinarie si ricavano dai fondi terreni del principe
o dei sudditi e dai frutti dell’industria umana. Dai suoi terreni patronali, il principe ricava
tutti i beni che può, da quelli di sudditi ricava le tasse, che devono essere reali e non
personali, cioè gravare sui beni e non sulle persone, altrimenti graveranno sui poveri.
Si devono tassare poi solo i beni stabili e non quelli mobili che sono incerti. Le
industrie sono i traffici commerciali, che si tassano all’entrata o all’uscita. Vanno tassati
piÙ i mercanti stranieri.
• Prestiti: prendere denaro in prestito da uomini ricchi
• Soccorso della chiesa: non bisogna tendere ai beni della Chiesa, che giustifica il
potere del principe presso Dio. Si possono ottenere da questa dei donativi o vendendo
stabili, ma si tagliano le forze dello stato e i beni della chiesa si esauriscono così
velocemente che c’è un doppio danno, sembrando, infatti, che si sacrifichi a Dio
limitando le entrate della sua Chiesa; oppure si può assumere parte dei frutti della
Chiesa, cosa che non ha portato, però, a grandi imprese.
• Entrate straordinarie: si hanno dal popolo (confische, condanne, donativi) o dagli
stranieri (tributi, pensioni, onoranze). È da queste che si misura la potenza di un
principe
• Limitare le spese: spese inutili sono quelle che non mirano al bene pubblico, a
grandezza o reputazione ma solo a vanità; bisogna poi donare solo per merito e con
moderazione, altrimenti si offendono i virtuosi e la beneficenza si esaurisce presto.
• Conservare ciò che avanza: il principe non presti ad interesse che è contrario alle
leggi divine, ma presti o su cauzione o a vantaggio dell’utilità del suddito ottenendone
così i favori. Meglio così, che ammassare tesori in casse di ferro
• Non accumulare all’infinito: non serve molto denaro per difendere uno stato: a nulla
servono soldi se le altre forze di difesa non funzionano. Non serve molto denaro
nemmeno per l’attacco, perché impresa che sperpera troppe risorse diviene solo
danno e va abbandonata. Bisogna accumulare fin quando i traffici non verranno lesi,
così da raccogliere denaro in caso di bisogno senza ledere i sudditi. Il principe deve,
quindi, conoscere entrate e uscite dei traffici e fare in modo che ciò che accumula non
superi mai le entrate di questi. Se le entrate sono minori delle uscite, favorisca l’opera
dei suoi sudditi nelle industrie.
Gente
• Moltitudine: avere una moltitudine significa avere più forze in caso di guerra e più
entrate in denaro.
Si accresce la gente in due modi, o aumentando le proprie risorse o sottraendole al
nemico.
• Nel primo caso abbiamo l’agricoltura: il principe deve giovarla in ogni modo
(bonifiche, deviazioni di fiumi, importazione di prodotti), non deve Iasciare terreni incolti
o a parco, né spaventarsi delle spese che queste operazioni richiedono, perché le può
fare in inverno o con aiuto di schiavi, prigionieri o mendicanti. Le spese devono essere
necessarie e restare nei limiti dello stato così da riottenere il denaro in futuro tramite le
tasse.
• Industria: le cose prodotte dall’uomo sono superiori a quelle prodotte dalla natura,
perché l’uomo offre Ioro la varietà delle forme. Inoltre, le entrate che derivano
daII’industria sono molto superiori di quelle legate alla terra, perché da esse derivano
molte professioni. Il principe deve, dunque, favorirle portando artefici da paesi stranieri,
stimando ingegni e invenzioni e proponendo premi per
l’eccellenza; badi che le materie non si allontanino dallo stato così da portare via con
sé gli artefici, e che l’economia poggi più sui prodotti lavorati che sulle materie prime.
• Educazione: il principe deve favorire matrimoni e nascite, ma quelle senza la giusta
educazione e supporto non valgono a salvaguardare la popolazione.
• Colonie: porre colonie fuori dallo stato permette la nascita di nuove fette di
popolazione; non vanno fondate in luoghi troppo lontani da cui non poter ottenere
aiuto, né vanno inviati lì i migliori delle province per non indebolirle
Nel secondo caso, abbiamo:
• Modi dei Romani: inglobare i vinti, distruggere città per ottenerne la gente, offrire la
cittadinanza, dare Ioro titolo di amici o alleati, offrire protezione per averne il territorio
in futuro, donare benefici, obbligare le province soggette a dare gente per la guerra.
• Comprare stati
• Ottenere a proprio servizio uomini eccellenti: assoldare gente straniera per la
guerra, per popolare il territorio, per coltivarlo o per avere artefici.
• Prendere stati in pegno: ottenere territori in pegno con la promessa di restituirli una
volta ottenuto il denaro prestato, cosa che mai accade
• Parentele: i matrimoni legano le corone
• Adozioni: favoriscono la continuità dei regni
• Leghe: le unioni rendono più forte il principe, poiché in gruppo si possono più cose.
Possono essere perpetue o a tempo, difensive o offensive o di entrambi i tipi; i membri
possono essere di pari poteri o ve ne è uno a capo. Di queste bisogna diffidare, perché
ogni principe partecipa alla lega sulla base del suo interesse e, se tutti non
condividono le stesse prerogative, la lega fallisce nei suoi intenti. Sono migliori le leghe
perpetue, quelle difensive e offensive insieme e pari di condizione dei membri. Quelle
pari sono più utili nella difesa che nell’offesa, perché, dovendo dividere il bottino tra
tutti in modo equo, il guadagno è minimo.
• Mercanzia: è attività di privati e non di principe. Il principe può farlo in tre casi: quando
i privati non possono più sostenere i traffici; quando i traffici sono così grandi che i
privati potrebbero arricchirsi troppo; quando i traffici sono finalizzati al bene pubblico
• Modo dei Sultani e dei Portoghesi: comprare schiavi presso altri popoli, esercitarli
nelle milizie e affrancarli per servirsene in altre attività.
• Modo dei Cinesi: mandano i prigionieri di guerra a difendere le Ioro frontiere
• Modi dei Turchi: offrono protezione in cambio di sostegno in guerra
• Modo dei Polacchi: assumere come re quelli di altri paesi per poi
inglobarne il territorio
Modi di accrescere le forze internamente
• Usare sudditi in guerra: alcuni principi si servono dei nobili, che offrono la cavalleria
ma non la fanteria; altri si servono di sudditi acquisiti ma nazionalizzati. La cosa più
importante per uno stato è l'indipendenza, che è di due tipi: quella che esclude
superiorità e quella che esclude la necessita di aiuto altrui, perché si hanno forze
superiori o pari al nemico. La seconda è più importante perché è intrinseca a uno
stato, e per ottenerla, è necessaria una milizia interna, dato che i mercenari seguono
l’interesse e sono quindi inaffidabili. Inoltre, spesso per problemi di paga si ribellano e
attaccano gli imperi e introducono costumi stranieri che rovinano lo stato. Servirsi di
milizia straniere, tuttavia, può spingere i sudditi a confidare troppo in sé e a prendere le
armi contro il proprio re. Tale nefasta possibilità è, però, data dalla cattiva disciplina e
dalla debolezza della virtù dei principi che li governano. Dunque, è necessario avere
milizie interne come base, a cui aggiungere poi le truppe mercenarie accessorie, ma
bisogna che il principe mantenga salda la Ioro disciplina, facendo talvolta sfogare la
Ioro rabbia contro i nemici con incursioni piratesche.
• Scelta dei soldati: bisogna selezionare i migliori, perché chi ha interessi economici
preferisce custodire i suoi beni che andare in guerra. Devono essere agili, robusti,
d’animo pronto e coraggioso, di nobili costumi.
• Armi: le armi difensive devono essere di buona tempra e leggere, proporzionate al
corpo nella forma. Il principe deve valutare se è necessario migliorarle. Le armi
offensive devono essere più fini, spedite e colpire bene da lontano per ridurre il
numero dei nemici. Sono ammessi gli ornamenti che spaventano il nemico (creste,
scudi ecc.), ma solo per i veterani e i soldati che hanno riportato meriti in battaglia.
• Ordine: schieramento dell’esercito. La falange è serrata in un unico corpo di molti
soldati con aste alte intrecciate, quindi non è agile nel movimento; la legione è formata
da più membra, quindi è più adatta al movimento
• Giustizia della causa: occorre mostrare di essere costretti alla guerra, pur amando la
pace, per motivi giusti, come difendere la religione e lo stato. La giusta causa rende
più sicuro il principe e più fedeli i sudditi alla sua causa. Giova pregare l’aiuto di Dio,
così da avere la certezza della vittoria e dell’ottenimento del paradiso in caso di morte.
• Allontanare i soldati da casa: meglio che i soldati non siano vicini alla loro patria,
così da evitare fughe e sentire meno la mancanza degli affetti
• Disciplina: un buon soldato è colui che combatte con valore. Bisogna, dunque,
limitare ogni forma di corruzione (lusso, vestiti, cibo ecc) che indebolisce l’animo.
Negativo è l’ozio, poiché l’inattività spinge i soldati alla ribellione. Bisogna tenerli
occupati, però, con attività utili alla milizia, quali la corsa, il salto o anche in simulazioni
di battaglie o presidi ecc. I due sostegni della disciplina sono premio e pena. I premi
sono di onore o di utile; quelli di onore sono per i morti (monumenti, orazioni funebri e
sepolcri) e per i vivi (statue, sacrifici, corone). Utile sarebbe mettere per iscritto le
imprese dei re, così da celebrare la loro virtù, ma anche quella dei loro soldati. Premi
di utile erano corone, schiavi, cavalli, possessioni, buoi ecc. per accrescere il valore
dei soldati. Il principe deve, inoltre, rassicurare i soldati feriti della sua benevolenza in
caso di morte, cosicché quelli non si tirino indietro in guerra per paura di essere poi
abbandonati, e, invece, altri si offrano volontari per aiutare i compagni. Pene: sono
necessarie perché il male non si diffonda: se non si premia non si viene amati, ma se
non si punisce non si viene obbediti. Sono di due tipi, quelle che recano vergogna
(rinfacciare la viltà del soldato davanti all’esercito, bandirlo dal campo, togliere i gradi,
non riscattare chi si offriva al nemico) e quelli che recano dolore (decimare uno ogni
dieci soldati per incutere loro terrore)
• Emulazione: l’uomo che teme per gelosia di essere superato dai suoi simili, offre il
meglio di sé. Il principe deve favorire la competizione tra le ali del suo esercito.
• Licenza: offrire la licenza di predare senza punizioni ai soldati è sbagliato, perché
questi si esalteranno laddove combattono senza opposizione, mentre, in guerra,
cederanno alla minima resistenza.
• Affaticare i soldati: rende i soldati avvezzi ai disagi di guerra e desiderosi di
affrontare il nemico, per sfuggire alla fatica che provano.
• Risoluzione: il capitano risoluto sottrae i soldati da ogni altro pensiero che non sia il
combattere
• Mettere i soldati in necessità di combattere: costringe i soldati a tirar fuori il loro
valore in guerra
• Obbligare i soldati con giuramento: questi giuramenti devono essere volontari e
ricchi di prontezza e allegria fra i soldati, altrimenti, se violenti e costretti, portano a
esiti nefasti
• Pratica dei nemici: conoscere gli strumenti dei nemici aiuta i soldati ad avere meno
paura di loro
• Avvalersi dei propri vantaggi: conoscere i propri punti di forza e sfruttarli è strategia
utile a vincere il nemico
• Prevenire il nemico: assalire il nemico per primo giova, quando si è di forze inferiori e
costretti a combattere. Così, infatti, si rafforzeranno gli animi dei soldati e si
confonderà il nemico.
• Stratagemmi: gli inganni militari sono utili alla vittoria, rendono i soldati più fedeli al
capitano che aumenta con questi la sua reputazione; se il principe non sa servirsi
deIl’astuzia militare, che almeno la conosca così da prevederla nel nemico. Aumenta il
valore dei soldati anche far credere Ioro che le forze del nemico sono di molto
superiori, l’uso di trombe o strumenti che stimolano l’eccitazione e il furore ecc.
Capitano
Un buon capitano, dotato cioè di ogni virtù, è capace di guidare alla vittoria anche un cattivo
esercito. Questi sono i mezzi con cui un capitano può accrescere il valore dei suoi soldati:
• Felicità: è il sostegno che Dio concede ad alcuni capitani nel risolvere favorevolmente
le guerre, ottenendo così l’appoggio dei soldati. Spesso però uno stesso capitano
fallisce presso altri principi, perché Dio elegge i principi e non i capitani quali ministri
della sua giustizia.
• Ardire ed esempio: il principe deve mostrare sempre prontezza e audacia, rischiando
talvolta il pericolo per invitare i suoi a frenare la fuga dal nemico, ma badando sempre
a non perdere la sua vita, da cui dipende la salute dello stato. Il suo esempio, infatti,
sarà guida per i soldati.
• Alacrità: il buon umore e l’allegria del comandante rendono l’esercito sicuro della
vittoria
• Solerzia: capacità di saper reagire ai cambiamenti delle circostanze riportando la
vittoria o evitando la rovina. Ciò accresce la fiducia dei soldati.
Forze terrestri vs forze marittime
Le terrestri sono superiori perché sono quelle che offrono alle marittime armi, gente e
vettovaglie; inoltre, le forze terrestri sono buone anche sul mare: non esiste impero marittimo
che sia esteso sulla terra, cosa che invece è accaduta aII’inverso. Le forze marittime, tuttavia,
giovano alle terrestri, perché permettono spostamenti più agili di truppe e attacchi improvvisi e
su più lati.
Cavalleria vs fanteria
La cavalleria è superiore in campagna e nei luoghi aperti. La fanteria è meglio in tutti gli altri
terreni, è alla base delle forze marittime, dei presidi e delle difese. Essa possiede il monopolio
degli archibugi e deII’artigIieria.
Contro chi usare le forze
Le forze si usano o per difendere il nostro o per acquisto dei beni altrui. Ma non bisogna
superare i limiti, cosicché da guerra difensiva diventi guerra d’attacco. Bisogna punire solo
quelli di cui è necessario Io sterminio per le Ioro colpe. La guerra offensiva è legittimata da
quella difensiva: si attacca per difendersi. Per ampliare Io stato, dunque, occorre la difesa del
bene pubblico. Questo è temporale (pace politica e civile) o spirituale (unione della Chiesa).
Essa è turbata da due nemici, gli eretici, che sono nemici esterni che puntano prima allo
spirituale e poi al temporale, e gli infedeli, nemici esterni che puntano al temporale. Il principe
deve tenere a bada gli eretici, perché quelli che rinnegano la fede divina, non si faranno
scrupoli a rovesciare gli imperi temporali. Dio punisce i principi che non difendono la
cristianità. Se si vorrà guerreggiarli, non si potrà usare la scusa che essi non appaiono come
un nemico esterno, perché il pericolo che suscitano e la gloria che nascerebbe dalla Ioro
sconfitta, valgono più di qualunque vittoria contro nemici cristiani.
SULLA GRANDEZZA DELLE CITTA’
Lettera dedicatoria alla duchessa Cornelia Orsina di Altemps
In quanto essere dedito alla comunicazione e conversazione, l’uomo vede nella città la sua
opera più riuscita, perché questa è centro di ogni scambio comunicativo. Le città sono come
piccoli mondi all’interno del mondo creato da Dio, offrendo prova deII’ecceIIenza dell’uomo e
della lode di Dio, di cui l’uomo è
creatura.
Città: comunità di uomini ridotti insieme per vivere felicemente
Grandezza di città: non Io spazio ma la moltitudine degli abitanti e la Ioro potenza

Gli uomini si riducono insieme o per autorità, o per forza, o per piacere, o per
utilità.
• Autorità: gli uomini in origine vivevano separati come le bestie, senza leggi né
costumi. Un giorno, uomini di ingegno ed eloquenza guadagnarono tanta reputazione
e convinsero gli altri a unirsi in gruppi, per godere dei vantaggi che ne sarebbero
derivati. Ancora oggi, spesso i popoli sparsi in villaggi del Nuovo Mondo, sono riuniti in
città, per rendere più facile la Ioro conversione alla fede cattolica e la Ioro
amministrazione.
• Forza: gli uomini si riuniscono a causa di un pericolo imminente, spesso in luoghi
montuosi o difficilmente accessibili. Qualora questi luoghi posseggano mezzi di
sostentamento agricolo o di traffico, possono nascere centri influenti. I Romani
accrebbero la loro popolazione distruggendo le città vicine e costringendo la Ioro gente
a trasferirsi a Roma. Metodo più pacifico, fu quello di ricreare i popoli vinti con le armi a
immagine dei Romani o trasferire alcune delle Ioro famiglie a Roma.
• Piacere: esso è dato dai siti (disponibilità di acqua, valli ecc) o daII’arte (strade dritte,
anfiteatri, ippodromi ecc.). Tutto ciò che reca meraviglia attrae gli uomini.
• Utilità: è la causa che condiziona di più la grandezza della città, perché senza
interesse, nessun altro motivo, dei tre indicati prima, vale a trattenere gli uomini in un
territorio. Per far grande una città giova: 1) La comodità del sito: sito comodo è quello
che è in parte tale, che gli uomini ne hanno bisogno per importare o esportare i Ioro
prodotti, cosicché, stando nel mezzo di questi traffici, il sito si arricchisce. Per divenire
grande, dunque, il sito non deve solo fungere da scalo ma partecipare attivamente dei
commerci. 2) Fertilità del terreno: più produttivo sarà il territorio che supplisce non
solo al bisogno degli abitanti, ma anche a quello dei vicini, e che produce più
specialità, cosicché, avendo meno bisogno di altri, si offra molto ai vicini attraendone
così la popolazione. Ma non basta la fertilità del terreno per rendere grande una città:
avendo tutto nella propria terra, la popolazione non è spinta altrove ma ognuno si
contenta del suo. 3) Comodità della condotta: essa è data dalla terra se è piana, così
le merci sono facilmente trasportabili su carri o muli e gli uomini si spostano
rapidamente; dall’acqua se essa è navigabile. L’acqua offre più comodità, perché può
trasferire un carico di merci maggiori della terra e con minore fatica. Gli scambi
avvengono via mare, fiume o lago. Il mare per grandezza e ampiezza è il mezzo
migliore, ma a poco vale se non possiede un porto sicuro per grandezza, profondità e
sicurezza dai venti. Un porto è sicuro per natura o per intervento dell’uomo. I laghi
sono piccoli mari molto utili, così come i fiumi o i canali, in cui l’uomo fa confluire le Ioro
acque. Questi corsi devono possedere profondità, così da sostenere pesi maggiori e
permettere una navigazione senza pericoli; piacevolezza, così da permettere una
navigazione su ogni lato; solidità, che permette di sostenere carichi maggiori e che
varia nei fiumi per la viscosità, qualità che dipende dai terreni grassi attraversati di cui
si assorbono le caratteristiche e dalla brevità del corso del fiume (i fiumi sono così
indeboliti dalla lunghezza del viaggio); larghezza, utile per trasportare merci in ogni
dove, ma poco pratica senza il supporto della profondità, perché le acque del fiume si
disperderebbero. La comodità di condotta non basta a fare grande una città: luoghi
adatti al trasporto di merci sono meno abitati di altre città meno fornite. C’è bisogno di
una virtù attrattiva che spinga i popoli ad abitare questi luoghi.
Virtù attrattive
• Modi dei Romani: offrire asilo e franchezza alla gente oppressa dai tiranni nelle terre
vicine, ma è indegno offrire riparo ai banditi o a persone indegne; offrire cittadinanza e
magistrature ai siti
benemeriti (municipi), cosicché la gente vi accorra per ottenere benefici; offrire materia
di curiosità (spettacoli, trionfi ecc.). Vi erano poi le colonie: persone che in patria
sarebbero morte per guerre o carestie, nella colonia si accrebbero con matrimoni e
figli; esse giovano anche alla madrepatria, a cui sono legate come corpo e per amore
originario e desiderio di ricchezze, tanto che molti coloni si recavano anche in patria.
Così, ne crescevano in fama entrambe le città.
• Religione: favorire la Iegge di Dio attrae la popolazione; al contrario chi ritiene che
l’obbedienza si mantenga con la ragione di stato e non con la fede, solleverà Dio
contro di lui. Le reliquie, i seminari e tante altre celebrazioni divine resero grandi molte
città.
• Studi: l'ingegno si accresce con le armi o con gli studi. Piacerà, dunque, un luogo che
offra accademie, università e licenze agli studenti, spesso stanchi nella mente e nel
corpo per la fatica dell’apprendimento. Tuttavia, non andranno permesse lascivie o vizi.
Andranno aboliti, dunque, il gioco e le armi, per far fiorire l’accademia. Giova che
questa nasca in luoghi salubri, ricchi di boschi e fonti che attraggono gli studenti.
Giovano gare letterarie, chiamare insegnanti illustri a tenere lezioni, offrire premi o
benefici alle eccellenze.
• Tribunali di giustizia: luoghi pieni di senati, parlamenti ecc, offrono giustizia e ciò
attrae la gente. Inoltre, i processi portano con sé accumulo di denaro, cosa che attrae
ogni uomo.
• Immunità: i popoli, spesso gravati dalle tasse dei re, si recheranno volentieri dove
possono ottenere immunità.
• Potere di mercanzia: giova avere il monopolio di un prodotto o raggiungere
l’eccellenza nella sua produzione, dominare i traffici per il controllo della terra o del
mare vicino, essere un sito comodo alle altre nazioni per la realizzazione dei Ioro
traffici (spesso se ne servono come scalo o magazzino), aumentare la comodità della
condotta (migliorare strade, corsi di fiumi, rendere sicuri i porti dai corsari ecc.)
• Dominio: esso comporta dipendenza e questa porta concorso. Nei territori dominati, si
accumulano le ricchezze pubbliche e private (qui si svolgono i processi, si trasferiscono
i magistrati, si realizzano i commerci) e da esse deriva gran quantità di denaro, che
attira mercanti, artefici ecc. Più aumenta il dominio, più aumenta la grandezza delle
città.
• Residenza dei nobili: la residenza in città dei nobili aumenta la grandezza di questa,
sia perché essi vivono con la Ioro famiglia, sia perché, per emulare o competere con i
Ioro pari, spendono più di quanto fanno in campagna.
• Residenza del principe: qui è dove accorrono i beni dello stato, i magistrati e gli
uomini illustri, qui è dove si collocano parlamenti e tribunali. La Cina ha la fortuna di
essere ricca di materie prime e ottiene eccellenza nel lavorarle grazie alla moltitudine e
all’obbligo di non essere oziosi ma seguire la professione paterna.
I Greci, temendo che l’accrescere della popolazione potesse rendere difficile il governare, si
servirono di leggi per limitare l’aumento demografico; Romani al contrario, fecero della
moltitudine strumento di vittoria, perché, pur perdendo molti uomini in guerra, il resto della
popolazione superava il nemico. Dato che nessuno riesce a contentarsi del suo ma la
cupidigia spinge gli uomini alle armi, sarà meglio seguire l'idea dei Romani.
Se le città non crescono a proporzione
Giunte a un certo numero, le città smettono di crescere. Molti ritengono che ciò accada per la
peste e le guerre, ma queste ci sono sempre state ed erano molto più tragiche nel passato
che nel presente, a causa delle tecniche di combattimento. C’è chi dice che ciò accade per
volere di Dio, che ama la moderazione. La crescita delle città avviene per virtù generativa
degli uomini e nutritiva della città stessa. La prima è sempre la stessa da millenni (gli uomini
nascono sempre allo stesso modo) e quindi, se l’aumento delle città si riduce, è a causa o del
cattivo nutrimento o del sostegno. Il primo o è prodotto dalle proprie terre o è importato
dall’estero. Per progredire, è necessario che la città prenda merci da Iontano e, per fare ciò, la
sua virtù attrattiva deve essere tale da vincere qualsiasi difficoltà dei trasporti (guerre, strade,
corsari ecc.). La scarsa virtù nutritiva della città, la mancanza di risorse spinge, dunque, gli
uomini ad allontanarsi o ad assumere pratiche barbare per ottenere sostegno

Cause che conservano la grandezza delle città Giustizia: assicura ad ognuno il suo
Abbondanza: facilita il sostegno di vita
Pace: fa fiorire traffici, agricoltura e arti

AGGIUNTE
Reputazione
Bisogna che chi gode della reputazione, spesso elimini da questa ogni forma di vizio, che
possa svilirne la forza. La reputazione non è nel reputato ma nel reputante; non nasce dal non
avere difetto ma daIl’ecceIIenza e grandezza di valore. Reputare è considerare più volte una
cosa, quindi, un uomo dotato di reputazione è quello la cui virtù, non potendo essere
compresa in un attimo, è degna di essere riconsiderata più volte. La reputazione non è la
stessa cosa del credito, perché questo è dei privati, quella dei pubblici; differisce dall’autorità
che è del capitano verso i soldati, mentre la reputazione è dei soldati verso il capitano.
L'autorità è verso i vicini e inferiori, la reputazione verso gli stranieri e Iontani. La stima è del
superiore verso l'inferiore, con la reputazione, invece, accade l’opposto. La meraviglia nasce
verso le cose naturali, mentre la reputazione si sviluppa verso le cose pratiche e umane; essa
nasce perché non si comprende la causa degli effetti meravigliosi, la reputazione nasce,
invece, dal non comprendere la grandezza delle cose. Si distingue, infine, dalla fama, perché
essa si applica anche a cose indegne.
Dove nasce la reputazione
Essa è il prodotto di un ingegno straordinario e divino, frutto di una virtù eccellente. Una virtù
mediocre genera amore ma non reputazione, perché, pur compresa daII’inteIIetto, muove la
volontà e l’appetito; invece, la virtù eccellente occupa tanto l’intelletto nella sua
considerazione, che nulla Iascia alla volontà e aIl'amore. Per questo, si ha reputazione solo di
personaggi illustri che si elevano al di sopra del mondo comune. Poiché la reputazione nasce
daII’opinione del popolo, la materia in cui il principe deve elevarsi, deve interessare il popolo.
Materie di questo tipo sono la guerra, che tiene Iontano i nemici, e la pace, che tiene in quiete
i sudditi. Tra le due, maggiore virtù reca saper conservare Io stato che portare guerra, e in
guerra conta più vincere col consiglio che col ferro, perché nel primo caso si domina il nemico
salvando il proprio esercito.

Importanza della reputazione

Ogni stato si deve poggiare su tre fondamenti, amore, timore o reputazione. I primi due sono
semplici, il terzo è composto dai primi due.
L’amore: è il più forte, il più adatto a tenere i sudditi fedeli e devoti, e dà vigore e moto a tutti
gli altri, tanto che non si può migliorare la signoria che è fondata suII’amorevoIezza dei
sudditi. Ma è anche la forma di governo più fallace, perché il principe non si comporterà mai in
modo tale che i suoi sudditi siano sempre soddisfatti di lui. La natura umana è sempre
insaziabile, né è possibile che tutte le menti concordino neII’amare un principe o che questo
faccia sempre la cosa giusta. Perciò, molti principi abbandonano il governo con amore a
vantaggio del timore, che non dipende dai sudditi ma da chi governa, e i modi di rendersi
temibile sono più sicuri di quello con cui ci si rende amabili.
Timore: è utile con gli stranieri che essi temano le tue forze. Ma tale timore non deve
convertirsi in odio
Reputazione: prende il meglio di amore e timore, ovvero l’unione dei sudditi con il principe
del primo e la soggezione del secondo. Una virtù unisce e I altra sottomette. La reputazione
segue l’eccellenza della virtù, che è più nel timore che nell’amore. Infatti, essa si compone di
separazione e disgregazione la cui forma massima avviene nel timore. Il timore è così
importante nella reputazione che alle volte si cerca questo anche senza amore. La forza della
reputazione è tale che perdura anche con la morte.
Gradi di reputazione
La reputazione o è meno, o tanto o più di ciò che è reputato. Se è meno, ciò avviene per
difetto della virtù, della cui eccellenza dovrebbe far mostra. La reputazione è poi di tre sorti:
naturale, artificiale, avventizia. Naturale quando essa procede daIl'eminenza della virtù;
artificiale quando grazie all’industria del principe oltrepassa i termini della cosa reputata;
avventizia, è quella che giunge al principe senza che se ne adoperi ma solo per cattiva fama
altrui. La vera reputazione è solo la naturale, che si accontenta di eguagliare la sua virtù; le
seconde sono alchimie pericolose, perché si ritiene a torto le persone avere più virtù di quella
che posseggono, così i Ioro fallimenti sono ritenuti volontari. Giova, tuttavia, al principe essere
ritenuto più di quel che è, ma questa si chiama opinione. Conviene alla reputazione, però,
almeno mantenersi tra i termini della verosimiglianza, qualora l’opinione superasse la verità. A
nulla valgono alla reputazione ricchezze e beni se il principe non è dotato di eccellente virtù.
Neutralità
I principi non hanno né amici né nemici in sé, ma le Ioro alleanze variano a seconda della
necessità e dell’utile. Dunque, la neutralità è quasi naturale per il principe, mentre esporsi
significa rischiare il bene comune.
Vantaggi della neutralità: è rispettata da entrambi i nemici per la paura che ciascuno di Ioro
ha, che il principe si schieri con l’altra parte. Invece, non esponendosi, egli si giova del
presente e del tempo che reca consiglio. Infine, la neutralità non offende nessuna delle due
parti.
Svantaggi: non dà soddisfazione a nessuna delle sue parti e se le fa nemiche: non si fa né
amici né nemici. Non schierandosi, però, il principe sarà preda del vincitore, come chi non ha
saputo prendere parte alle vicende della fortuna; né avrà sempre la possibilità di scegliere tra
le due parti.
Vantaggi dello schierarsi: meglio sostenere un amico che restare in odio a entrambe le
parti; meglio cadere con un compagno che solo; meglio rischiare di vincere dichiarandosi, che
avere la certezza di essere oppresso dal futuro vincitore della guerra.
Svantaggi del dichiararsi: ci si fa un nemico scoperto, che preso daII’offesa, farà di tutto per
distruggerti. Ma, un principe virtuoso non ha bisogno di riflettere sul da farsi: la potenza Io
rende sicuro dagli assalti del nemico e, se si schiera, Io fa perché le sue forze sono superiori;
se non si schiera, evita le spese e offese di guerra, e mentre gli altri lottano tra Ioro, si
accresce di denari e forze. Per un principe debole, non conviene la neutralità, perché non
potrà difendersi dal futuro vincitore, e la cosa sarà anche peggio, se è circondato da due stati
più potenti in lotta tra loro. Il principe debole deve, dunque, scegliere tra neutralità e intervento
a secondo dalla sorte più che della ragione. Sarà meglio, però, la neutralità, se è circondato
da principi non barbari e feroci, perché così non si offende nessuno e non ci si espone a
nessuna vendetta, tanto che sarà più facile poi riconciliarsi col vicino vincitore in futuro. Chi
resta neutro non disprezza, anzi teme entrambe le parti. Non vi è poi nulla di più incerto che
l’esito delle guerre, quindi meglio non dichiararsi, né prendere partito nuovo se non si migliora
il vecchio.
Qualora bisogni schierarsi, però, meglio farlo con il più potente. La potenza è di due tipi,
assoluta o condizionata. Assoluto è il potere del principe che ha stato maggiore, più munizioni
e strumenti di guerra, più denaro. La potenza mediocre è minore deII’assoIuta, ma è più
adatta a soccorrere o attaccare, soprattutto se il principe è vicino: un principe mediocre ma
vicino può facilmente soccorrere o nuocere, che un principe potente ma lontano. La
lontananza crea, infatti, intoppi e ritarda il soccorso. Ma, poiché la guerra si fa più con le doti
d’animo che di corpo, bisogna guardare anche ai costumi dei principi, soprattutto alla
costanza e alla tolleranza piuttosto che all’ardire e alla violenza.

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