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JEAN BODIN (Angers 1529 - Laon 1596).

Jean Bodin nacque ad Angers nel 1529 da una famiglia


di umili origini che, tuttavia, riuscì ad avviarlo agli studi facendolo entrare nel convento dei carmelitani
della città.
Intorno al 1548-49 si trasferì a Tolosa dove si laureò in diritto, e dove insegnò per circa un decennio dal
1550 al 1560.
Nel 1561 venne eletto avvocato nel Parlamento di Parigi e nel 1576 pubblicò I sei libri della repubblica
opera che ebbe grande successo e che permise a Bodin di divenire un personaggio di rilievo nella
politica francese di quegli anni.
Eletto, infatti, deputato agli Stati Generali di Blois (1576), fu tra i maggiori rappresentanti della
resistenza nei confronti delle pretese del Re che tendevano a limitare i diritti del Terzo Stato, nonché
sostenitore della politica di pacificazione religiosa. Tale atteggiamento costò a Bodin la perdita del
favore di Enrico III e l'interruzione della sua carriera politica e dovette ritirarsi a Laon con un incarico
modesto presso il locale tribunale. Bodin morì a Laon nel 1596.

Stato e guerre di religione in Francia

Le guerre di religione (serie di conflitti - dal 1562 al 1598 - che oppose in Francia il partito dei cattolici
a quello dei calvinisti, detti “ugonotti”, più un terzo partito, quello dei politiques, favorevole alla
tolleranza) avevano sollevato in maniera drammatica il problema dell'unità della organizzazione
politica francese, ponendo in discussione la stessa costituzione del regno di Francia.
Pertanto, si affermava, sia da parte ugonotta, sia da parte cattolica, il primato e la sovranità degli Stati
Generali (l’assemblea della nobiltà, del clero e del “Terzo Stato”, cioè la borghesia), di contro al potere
della monarchia, in quel momento debole.
Primato, che nella situazione politica francese significava, alla fine, primato della religione sulla
politica e subordinazione quindi dello Stato alla organizzazione ecclesiastica, cattolica o riformata.

Le opere di Bodin più importanti, soprattutto I sei libri della Repubblica, rivendicano e dimostrano
l'autonomia dello stato nei confronti delle confessioni religiose e dei partiti in lotta. Per molti aspetti,
dal punto di vista della dottrina politica, I sei libri della Repubblica sono l'atto di nascita dello stato
costituzionale moderno, e manifestano l’adesione di Bodin al partito dei politiques.
La Methodus ad facilem historiarum cognitionem rappresenta invece il punto di partenza del pensiero
politico di Bodin, che può essere individuato nel rapporto fra storia e politica. In un certo senso Bodin
approfondisce e continua le conclusioni cui era pervenuto Machiavelli, per il quale il rapporto storia e
politica è il presupposto per intendere le ragioni concrete del comportamento politico degli uomini.
Ma se Bodin è particolarmente interessato alla nuova concezione della storia e della politica di
Machiavelli, rimane pur sempre un giurista, forse uno dei più grandi della Francia del '500, e pertanto
convinto che la nuova realtà politica di cui aveva parlato Machiavelli, lo Stato, fosse inscindibile dal
diritto.
Nella prima edizione della Repubblica Bodin accusa Machiavelli di aver scritto intorno alla Stato senza
essersi preoccupato di conoscere le leggi mediante cui esso è governato. D'altra parte la difesa
dell'autonomia dello Stato rispetto alle pretese eversive dell'ordine politico del regno di Francia
avanzate dai partiti e dalle fazioni, doveva essere precisata anche nei confronti dei teorici del
diritto di resistenza (T.Bèza, F. Hotman, e Iunius Brutus, tra molti altri), che risolvevano l'autorità
politica nel consenso degli associati.
La Repubblica intende polemizzare anche contro questa concezione della società politica per
dimostrare il vero fondamento dello Stato e nel contempo la sua essenza.

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Per questo motivo, dice Bodin, è necessario indicare, a quanti si interessano di politica, i principi su cui
si fonda l'ordine politico affinché in Francia possano essere restaurati l'ordine, la tranquillità, la libertà e
la pace.
La polemica nei confronti di Machiavelli non significa che Bodin rifiuti in blocco il pensiero del
segretario fiorentino. Al contrario, Bodin parte proprio dai risultati cui era pervenuto Machiavelli per
ripensare il rapporto fra politica e diritto. Bodin formula pertanto nella Methodus una prima organica
filosofia della storia, per comprendere i rapporti che esistono fra l'ordine che governa l'universo e
l'ordine politico quale si realizza nello Stato. In questa prospettiva Bodin ritiene che debba esistere un
rapporto fra Dio, la natura e l'uomo, per cui la filosofia della storia è in grado di indicare i nessi che vi
sono tra teologia, filosofia, etica, diritto e politica.

Storia e politica

La storia è per Bodin il campo dell'agire umano, mediante cui l'uomo giunge a riconoscere i principi e i
valori che consentono al suo agire di comporsi in un ordine sistematico che converge verso lo Stato. Da
questo punto di vista le esperienze politico-giuridiche devono essere estese a quelle di tutti gli altri
popoli di cui abbiamo notizia. Bodin, infatti, ritiene che la storia umana si trova posta fra la natura e
Dio, inteso come provvidenza. Questi tre diversi piani il divino, il naturale e l'uomo, pur rimanendo
distinti, devono integrarsi fra loro. La politica, insomma, non può essere separata da una comprensione
globale degli avvenimenti umani, la quale a sua volta deve trovare una connessione con i supremi
principi.
La storia umana sta fra l'ordine della natura e quello di Dio. L'uomo indubbiamente dipende dalla
natura, nel senso che il suo carattere, la sua indole, le sue capacità sono condizionate dalla struttura
naturale e questa, a sua volta, dall'ambiente e dal clima. Ma se Bodin è il primo attento studioso della
natura dei popoli in una prospettiva pre-sociologica è, allo stesso tempo, deciso assertore della
autonomia della volontà umana, la quale sul piano della storia, e quindi su quello della politica, si
realizza nella disciplina, cioè nella capacità che l'uomo ha di ordinare in modo sistematico tutte le sue
azioni e di saper dirigere ad un fine prestabilito.

La politica per Bodin non è altro che la istituzionalizzazione della disciplina. Con la disciplina l'uomo
si contrappone alla natura riuscendo a modificarla e ad asservirla ai suoi fini.
Mediante la disciplina l'uomo afferma la sua libertà, la sua autonomia. La disciplina, insomma,
concepita come assoluto e totale impegno dell'uomo a realizzare l'ordine umano, è molto vicina alla
virtù di Machiavelli.
Ora se la storia umana è caratterizzata da una parte dalla volontà e dalla libera attività dell'uomo e
dall'altra dall'ordine naturale e dalla provvidenza divina, per Bodin si tratta di capire in che modo si
realizza questo rapporto fra l'uomo, la natura e Dio.
Lo Stato, cioè l'ordine istituzionalizzato nel quale confluisce tutto l'operare dell'uomo e che pertanto
diventa il vero soggetto della storia umana, rappresenta il mezzo mediante cui si attua l'integrazione
dell'ordine umano con quello naturale e con quello divino. La storia, mediante l'ordine
istituzionalizzato, cioè lo Stato, sottrae la volontà alla sua iniziale incertezza, al dominio dei sensi, delle
passioni ed identifica invece i suoi veri scopi. La politica, in tutto questo contesto, ha il compito di
svolgere la funzione di tutto il processo mediante il quale la volontà umana acquista consapevolezza
dei suoi fini e si istituzionalizza proprio perché compito del diritto, dell'istituzione (dello Stato), è
quello di togliere la volontà umana dal suo iniziale naturale stato di incertezza - che corrisponde
all'assoluta libertà naturale - e di indicare i fini per realizzare la libertà. Bodin ritiene che lo Stato e le
forme di civiltà sono il risultato di un lungo processo storico, che inizia da una posizione semplice e si

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articola sempre più. E questo processo storico deve essere interpretato come un vero e proprio
progresso.
Da qui nasce la critica di Bodin nei confronti della teoria tradizionale che si esprime nella teoria delle
quattro età che avrebbe caratterizzato la storia dell'umanità (oro, argento, bronzo, ferro) e che vede la
storia come un lento ma continuo processo di decadenza.
La società politica, dunque, nasce nella storia, nel senso che in essa acquista valore l'agire dell'uomo in
tutte le sue manifestazioni.
Si tratta dunque di considerare con maggiore precisione il principio che consente ad una molteplicità di
esperienze, quali si esprimono nella società politica, di istituzionalizzarsi e di comporsi in una unità
reale, che è lo Stato. E ciò che rende una molteplicità di individui e di gruppi sociali minori in una unità
vivente, cioè li fa esistere come Stato, è il summum imperium, la summa potestas, la sovranità.
La sovranità è il vincolo che unifica gli individui, i gruppi, le cose nello Stato.

Lo Stato e i suoi elementi

Lo studio organico di tutti i problemi che riguardano lo Stato venne trattato da Bodin nella già citata
opera I sei libri della Repubblica. Nella Repubblica, infatti, Bodin riprende e precisa la definizione di
Stato che aveva già fornito nel Methodus: “Per Stato si intende il governo giusto che si esercita con
potere sovrano su diverse famiglie e su tutto ciò che esse hanno in comune fra di loro”. Gli elementi
dello Stato sono per Bodin la famiglia, le cose comuni, il giusto governo, la sovranità. La famiglia e
non l'individuo costituisce pertanto il soggetto attivo della comunità statale.
In tal modo, Bodin con il porre la famiglia quale fondamento dello Stato, prende le distanze dalla
concezione contrattualistica della società politica che costituiva all’epoca il presupposto per legittimare
il diritto di resistenza del popolo contro l’autorità.
L'individuo per Bodin è un animale sociale e quindi non può essere considerato dal punto di vista
individuale, ma organicamente inserito nel gruppo sociale primario, vale a dire la famiglia.
Infatti, è proprio nella famiglia che si esprimono i tipi di comando e di obbedienza sui quali si fonda
poi tutto il sistema dei comandi e delle obbedienze che caratterizza la società politica e, quindi, lo
Stato.
La prima distinzione fra i tipi di potere riguarda quello pubblico e quello privato. Il primo si esercita
dal sovrano per mezzo della legge; il secondo è quello che viene esercitato dai capi delle famiglie. Il
potere del padre di famiglia poi si riferisce alla moglie, ai figli, agli schiavi ed ai servi. Nell'ambito
della famiglia pertanto si hanno quattro relazioni di comando e di obbedienza che sono tutte fondate
sulla natura.
Il potere per Bodin si fonda sulla originaria autorità naturale propria di ogni uomo, per cui egli non
riconosce al di sopra di sé alcun altro superiore se non Dio, il che equivale a dire che l'uomo non
riconosce alcuna altra autorità se non quella della propria ragione, che per Bodin è sempre conforme
alla volontà di Dio. Il dominio che la ragione esercita sulle passioni è la prima forma di
autorità da cui si genera il potere dell'uomo. Per essere più chiari, la prima forma di potere è quella che
l'individuo esercita nei confronti di se stesso disciplinando i suoi sentimenti e le sue passioni ed
uniformandosi ai comandi della ragione.
Ora la famiglia è considerata da Bodin come il gruppo sociale naturale originario in cui si esprimono le
prime relazioni fra gli individui, che ritrova la sua unità nel potere del pater familias.
Bodin è il primo scrittore politico dell'età moderna ad evidenziare l'aspetto politico della famiglia,
come istituto in cui si genera la prima forma di potere sovrano.
Infatti, la famiglia precede storicamente lo Stato, che si costituisce solo quando si uniscono più
famiglie sotto un unico potere sovrano. In questo caso i padri di famiglia si spogliano del loro potere e
diventano dei cittadini. Secondo elemento dello Stato è ciò che è comune alle famiglie ed a
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quanti vivono nello Stato e che è costituito da tutti quei beni e disposizioni senza delle quali non è
possibile realizzare una organizzazione che possa servire a tutti. Lo Stato, dunque, implica la sfera del
pubblico. Ma la sfera del pubblico, per essere individuata nei suoi esatti confini richiede la sfera del
privato. La distinzione fra pubblico e privato è richiesta per l'esistenza stessa dello Stato.
Bodin è critico deciso della concezione collettivistica dello Stato teorizzata da Platone.
E da questo punto di vista la proprietà privata rappresenta per Bodin uno dei cardini della
organizzazione costituzionale dello Stato.
Terzo elemento è la sovranità che unifica le persone e le cose e le fa esistere in unità reale nello Stato.
Lo Stato come si è visto è costituito oltre che dalle famiglie, dalle cose pubbliche, dalla sovranità e da
un governo giusto. Il governo giusto, cioè la funzione di guidare la società politica si
fonda su un potere sovrano. La sovranità in Bodin è inscindibile dal governo giusto ciò per
caratterizzare sia lo Stato, sia la stessa sovranità.
Insomma, lo Stato si distingue dalle altre organizzazioni, in quanto le comunità sovrane devono sempre
regolarsi secondo un principio di giustizia.

Sovranità, potere, forza, diritto

La sovranità è il potere assoluto che non riconosce al di sopra di sé alcun altro potere se non quello di
Dio. L'assolutezza significa per Bodin che il potere sovrano trova in se stesso le ragioni della sua
autodeterminazione, e che non risponde a nessuno tranne che a Dio. La sovranità pertanto è concepita
in stretta analogia con la volontà di Dio, che è assolutamente libera nell'atto in cui si determina, e la cui
determinazione coincide con la ragione. Così come in Dio la volontà e ragione coincidono, allo stesso
modo nella sovranità il comando deve esprimersi secondo ragione, cioè secondo il diritto. Ma la
sovranità proprio perché è il potere assoluto che non riconosce al di sopra di sé alcun altro potere se
non quello di Dio non è altro che la forza, quale si presenta nella sua manifestazione più eminente che
attua il comando formulato dal diritto.
La forza pertanto, in quanto potere sovrano, in quanto Stato, non può che esprimersi per mezzo del
diritto. In altri termini stato, potere, sovrano, forza, in Bodin si identificano. Ciò significa che la forza è
tale perché esprime da se stessa il principio che la limita, per cui non sconfina nella violenza,
nell'arbitrio. Il diritto di conseguenza è le regola con cui la forza deve autodisciplinarsi, in modo da
realizzare l'ordine che consente ad una pluralità di individui e a un insieme di cose di coesistere in una
unità che è lo Stato.
Ecco perché per Bodin lo Stato ha una origine storica in quanto si fonda sul processo storico di
depurazione della violenza, dell'arbitrio. Chi esprime e detiene la forza deve affermare un principio di
giustizia, di ordine.
Perciò il potere sovrano si genera dal potere del pater familias, allorché i gruppi familiari, per motivi di
comune difesa, danno vita ad una comunità superiore che è governata da un unico potere sovrano. La
forza pertanto si impone da se stessa, nel senso che esprime da se stessa il principio che la legittima.
La prima forma di governo, la monarchia, non si fonda sul consenso dei propri sudditi.
Il problema del valore e del significato della forza è il momento centrale della speculazione di Bodin.
Affermare che il potere si fonda sulla pura forza, significa alla fine dover ammettere che il corso delle
azioni umane, quali si realizzano nell'ambito della società civile, non ha alcun altro esito se non quello
giustificato o dal caso o da una necessità che sovrasta e predetermina l'azione dell'uomo. Ora perché la
storia umana diventi maestra di prudenza civile deve essere rifiutata la concezione del potere politico
come espressione della pura forza.
La sovranità, pertanto, non deve essere altro che la forza che accerta il vero, o meglio, la forza è il
principio dell'ordine politico, proprio perché nell'affermarsi come tale esprime nel contempo il primo
modo con cui la ragione disciplina le cose umane.
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Il principio della forza viene ulteriormente precisato da Bodin in occasione della distinzione dei tipi di
potere: la sovranità, il dominato, la tirannia. Tutti e tre sono poteri assoluti, ma i primi due sono giusti,
mentre il terzo è ingiusto e legittima, anche secondo Bodin, la resistenza attiva. Il potere sovrano è la
forza che si manifesta per il tramite del diritto; il dominato è il potere che ritrova nell'etica e nella
religione i principi che lo limitano; la tirannia, invece, è il potere che non esprime alcuna regola
che lo limiti e lo disciplini. La tirannia, pertanto, non si fonda sulla forza ma si genera e si mantiene
con la violenza.

Sovranità dello Stato

La sovranità per Bodin è un potere assoluto, perpetuo, indivisibile, intrasferibile e imprescrittibile.


Perpetuo, nel senso che non può essere limitato nel tempo.
Indivisibile, perché la sovranità consiste nell'unità dei poteri in cui si esplica.
Intrasferibile, in quanto delegare agli altri l'esercizio della sovranità significa spogliarsene in modo
definitivo.
Imprescrittibile, in quanto attiene alla unità dello Stato, alla esistenza dello Stato e non può essere
perduta per il mancato esercizio di alcune prerogative per un certo periodo di tempo.
I poteri che rientrano nell'ambito della sovranità riguardano la potestà di fare le leggi, di modificarle, di
interpretarle. Alla potestà legislativa si connettono tutti gli altri poteri che
determinano l'esistenza dello Stato:
a) la dichiarazione di guerra e la conclusione della pace
b) nomina e destituzione degli alti ufficiali dello Stato
c) imposizione dei tributi, ecc.
Pertanto, lo Stato moderno esiste, dice Bodin, in quanto la sovranità gli consente di rivendicare il
monopolio della produzione delle leggi e di affermare la supremazia di queste leggi su tutte le altre
poste in essere da altre istituzioni che sottostanno al potere sovrano. E tale supremazia viene affermata
soprattutto nei confronti della consuetudine.
Il concetto di sovranità consente di definire i rapporti che devono intercorrere fra la monarchia e gli
Stati Generali. Secondo Bodin gli Stati Generali non possono rivendicare alcun potere autonomo nei
confronti della monarchia in quanto detentrice appunto della stessa sovranità. Gli Stati Generali hanno
il compito di informare il re sulla situazione del paese, di formulare proposte, ma la decisione spetta
unicamente a chi detiene il potere sovrano, cioè al re di Francia. Per quanto riguarda il potere da parte
del re di imporre i tributi, nessun principe al mondo, osserva Bodin, ha il potere di imporre tributi a suo
arbitrio, egli deve pertanto informare gli Stati Generali ed ottenere il parere favorevole. D'altro canto
deve essere riconosciuto che quando la sicurezza dello Stato lo richieda il principe ha il potere di
imporre tributi al fine di reperire quei mezzi che sono necessari per la salvezza dello Stato.
Quindi, conclude Bodin, tutti i sovrani a meno di non trasformarsi in tiranni e di legittimare la rivolta
dei sudditi devono rispettare sia il diritto divino, sia il diritto naturale. Il diritto divino e il diritto
naturale sono la premessa fondamentale per intendere in quale modo il potere assoluto, in quanto
sovrano, debba considerarsi delimitato. Lo Stato sovrano deve essere considerato uno Stato
costituzionale, nel senso che la gestione del potere politico è sottoposta ad una serie di limiti che fanno
parte della struttura stessa dello Stato.
Vi sono delle leggi fondamentali, dice Bodin, che non possono essere modificate dal re in quanto
costituiscono lo Stato (per es. la legge Salica che esclude le donne dalla successione al trono di
Francia). Altro limite è rappresentato dalla proprietà, nel senso che il re non può privare il suddito della
proprietà se non nei casi previsti dalle leggi. Sulla proprietà si fondano per Bodin le reali garanzie di
libertà di cui gode il singolo individuo nell'ambito dello Stato.

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La prima forma di garanzia costituzionale consiste pertanto nel mantenere la distinzione fra pubblico e
privato: sul piano pubblico il monarca è sovrano; sul piano privato il re e i sudditi sono uguali davanti
alla legge.

Le forme di governo e i criteri della giustizia

Il principio della indivisibilità della sovranità conduce Bodin a ritenere che la concezione dello Stato
misto, quale era stata teorizzata da Polibio, non ha alcuna possibilità di attuazione in quanto la
sovranità non può che appartenere o a una persona, monarchia, o ai pochi, aristocrazia, o al
popolo democrazia.
La costituzione mista si riduce ad una funzione perché i poteri sovrani appartengono o al monarca, o
all'assemblea. Lo Stato, precisa Bodin, esiste come tale solo se viene assicurata l'unità della decisione e
del comando. L'ipotesi di uno Stato in cui al popolo venga concesso il potere di eleggere i magistrati, di
disporre delle finanze, di concedere la grazia; alla aristocrazia quello di fare le leggi, di dichiarare la
guerra e di stabilire la pace, di fissare i tributi; ed infine ad un supremo magistrato il potere di giudicare
in ultima istanza, era per Bodin irrealizzabile e qualora si fosse tentato di attuarlo avrebbe determinato
un conflitto tra i diversi centri di potere per decidere con la forza a chi sarebbe appartenuta la sovranità,
al monarca, all'aristocrazia o al popolo. Il problema dello Stato misto deve essere risolto alla luce dei
rapporti che intercorrono fra la costituzione ed il governo.
E Bodin si rende conto che non sempre esiste una corrispondenza tra la costituzione ed il governo, ma
che molte volte c'è un netto contrasto. Per questo Bodin distingue tra costituzione e governo.
In base a questo principio la costituzione può essere monarchica e la ragione di governo aristocratica o
democratica. La distinzione che Bodin istituisce fra costituzione e governo si fonda sul fatto che la
sovranità non esprime il criterio secondo cui svolgere l'attività di governo, nel senso che essa è al di
sopra del governo.
L'attività di governo si ispira invece a principi che hanno una precisa qualificazione e che si riferiscono
tutti al criterio della giustizia, in quanto norma secondo cui deve essere regolata la posizione e pertanto
la partecipazione degli individui alla vita civile e politica dello Stato. Per Bodin la giustizia può
ispirarsi a tre criteri: l'aritmetico, il geometrico e l'armonico.
Il primo (aritmetico) cerca di realizzare il principio della eguaglianza, che è la norma di tutti i governi
democratici; il secondo (geometrico) si esprime nella proporzionalità, criterio che anima tutti i governi
aristocratici; il terzo (armonico) rappresenta un contemperamento del primo e del secondo, è il
principio del governo monarchico. Per questo motivo la monarchia è la costituzione che garantisce non
solo l'unità dello Stato ma anche la sua interna stabilità e la tranquillità di tutti i gruppi sociali che lo
compongono, in quanto il principio che informa il suo governo, la giustizia armonica, riesce ad
equilibrare gli interessi di tutti e a farli convergere verso i fini comuni.
Nella costituzione aristocratica il principio della giustizia finisce per sancire una forma di pesante
oppressione dei pochi sul popolo che viene escluso dal governo. La costituzione aristocratica si fonda
su di un ordine politico e sociale rigido, fisso, immutabile che tende a perpetuare la gerarchia sociale
grazie alla quale mantiene il potere. Essa pertanto determina uno stato crescente di tensione con le altre
categorie sociali che cercano di affermare i propri diritti.
La costituzione democratica, proprio perché governa secondo il principio dell'uguaglianza aritmetica,
misconosce la diversità delle posizioni e con la sua politica parificatrice determina le condizioni per lo
scatenamento di lotte civili che pongono in forse l'unità e l'esistenza dello Stato.
La giustizia che assicura un massimo di stabilità allo Stato è quella armonica che contempera quella
geometrica e quella aritmetica, riconoscendo così ad ogni individuo quanto gli spetta.
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Questa costituzione politica non elimina i contrasti per sempre, ma si preoccupa di farli coesistere e di
risolverli sul piano di una armonica unità.
Per Bodin la monarchia è la forma di governo che più si avvicina all'ordine naturale per attuare la
giustizia, perché solo la monarchia è in grado di far da arbitro fra le due contrastanti forze sociali che
sono rappresentate dalla aristocrazia e dal popolo ed impedire che l'una scavalchi l'altra con grave
danno per il bene della comunità.

Lo Stato e l'unità religiosa

Bodin vedeva nella monarchia, nel rafforzamento della sua autorità e dei suoi poteri, l'unica possibilità
per uscire dalla tragica situazione provocata dalle guerre di religione. Si può dire che la concezione
della sovranità, come potere che non riconosce al di sopra di sé alcun altro superiore se non Dio, e
l'insistere di Bodin sulla posizione peculiare dei re in quanto detengono tale potere sovrano,
corrispondono alla esigenza di ritrovare una giustificazione e pertanto un valore che pongono lo Stato,
in quanto ente sovrano, al di sopra di tutti, al di sopra anche dei conflitti religiosi, quale garante di una
giustizia di cui deve rendere conto a Dio.
Insomma per Bodin la funzione del re è quella di considerare la sua attività politica nell'unica
prospettiva della sovranità. Il re, dice Bodin, non può parteggiare per nessuno, non può sposare la causa
di questo o quel partito, di questa o quella confessione religiosa, poiché lo Stato è alla fine al di sopra di
ogni confessione.
Tuttavia, Bodin è convinto che la religione è il fondamento dello Stato per cui una delle prime
preoccupazioni del monarca deve essere proprio quella di mantenerla incorrotta, di impedire che essa
venga comunque modificata perché ciò non è privo di conseguenze per lo Stato. Infatti, la società
politica - dice Bodin - può essere ben governata a patto che sia presente nel popolo il timore di Dio, che
è il primo freno che mantiene gli uomini nel rispetto delle leggi e che consente pertanto di realizzare
quella disciplina senza di cui non è possibile garantire una ordinata vita sociale.
Mentre l'ateismo è il principio sovvertitore dell'ordine politico, che riporta l'umanità all'anarchia dello
stato di natura, al dispiegamento cioè della violenza e della ferocia.
Bodin dunque raccomanda al monarca di difendere l'unità della religione ricevuta dalla tradizione ed
affermata nella società. In questa prospettiva Bodin considera le confessioni nate dalla riforma
e naturalmente il calvinismo come le cause determinanti delle lotte che minacciano di distruggere il
regno di Francia.
Il cattolicesimo rappresenta invece la confessione religiosa che ha presieduto al processo di
unificazione della Francia intorno alla sua monarchia e quest'ultima non può che conservarlo e
difenderlo. L'unità della fede religiosa può essere ricostituita dal monarca solo mediante una sincera
professione della vera religione tramandata dalla tradizione del suo regno.
Con la forza dell'esempio fondata sull'altissimo prestigio e sull'ascendente che il monarca in quanto
sovrano esercita porterà i suoi sudditi, senza lotte, all'unità ed alla pace religiosa.
Infatti le convinzioni religiose non possono essere coercite, in quanto la fede è un atto spontaneo della
nostra coscienza. Anzi, osserva Bodin, l'uso della forza contro le convinzioni religiose è
controproducente in quanto non ha altro risultato che quello di rinsaldare i perseguitati nelle loro
convinzioni e di rendere più aspra, più lunga la lotta. Per quanto riguarda invece i rapporti con la
Chiesa, Bodin continua la tradizione dei giuristi “regalisti” francesi del Trecento, che avevano
sostenuto l'indipendenza del re nei confronti del papato. Bodin rivendica allo Stato una piena
autonomia nei confronti della Chiesa e riconosce al pontificato la giurisdizione nell'ambito dello
spirituale, soprattutto per quanto concerne la disciplina del culto. La giurdisdizione spirituale svolge
una funzione di primaria importanza nello Stato, in quanto l'unità e la purezza della religione
costituiscono la premessa fondamentale perché possa esistere l'intero ordine politico, a patto però che il
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papato si ispiri nella sua attività ai precetti della autentica semplicità evangelica, preoccupandosi
unicamente dei valori propri della predicazione del Vangelo.
L'ideale, pertanto, che Bodin ci propone è quello di una Chiesa che sia del tutto lontana dagli interessi
mondani e soprattutto politici, che viva tutta raccolta negli ideali propri della religiosità cristiana.

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