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L’opinione pubblica

Che cosa è? Per opinione pubblica si intende il complesso delle opinioni espresse pubblicamente
dai cittadini, o meglio l’insieme delle idee politiche, sociali, economiche e culturali di una
collettività di cittadini. Nell’antichità il concetto di opinione aveva una connotazione negativa, in
quanto il carattere soggettivo che la contraddistingue contrastava la verità oggettiva.
Perche l’opinione pubblica nasce durante l’illuminismo? I presupposti per la nascita di
un’opinione pubblica sono: l’alfabetizzazione, la libera circolazione di idee, pensieri, giudizi grazie
alla stampa periodica, come giornali, gazzette, pamphlet, e la nascita di associazioni politiche come
club, salotti, caffe che permettono il dibattito, il confronto, la discussione dai quali scaturisce la
stessa opinione pubblica. Anche la riforma protestante in termini filosofici fu decisiva: permetteva
la libera interpretazione e commento della bibbia, togliendo così all’autorità il monopolio di
decidere quale sia la verità. L’ Opinione pubblica infatti emerse nel periodo dell’illuminismo,
(infatti in questo periodo crebbe alfabetizzazione e stampa editoriale (spectator, times)…) dando
voce alla cosiddetta “società civile”, distinta dallo stato, crea uno spazio intermedio fra la sfera
privata e il potere statale, riesce attraverso consenso o ostilità a condizionare le decisioni delle
autorità, opponendosi al sistema di potere dell’ancien regime che escludeva in larga misura
dalle decisioni politiche l'emergente borghesia economica e colta, aspirava ad una collettività
autogestita di cittadini liberi, uguali sul piano giuridico e politico, capaci di giungere attraverso il
dibattito pubblico, in cui regna la libertà di opinione e la concorrenza delle idee, a decisioni
razionali. L’opinione pubblica nella società dei lumi rimaneva comunque circoscritta ad esponenti
della classe borghese e aristocratici, coloro che avevano libero accesso all’istruzione, che
rappresentavano il “paese reale”/motore dell’opinione pubblica e controllavano l’attività politica,
denunciandone gli abusi; solo alla fine dell’ ‘800 l’opinione pubblica estese le sue dimensioni
grazie ad una maggiore diffusione dell’istruzione e della partecipazione politica, e mutò anche i
suoi caratteri. Quindi nasce durante l’illuminismo grazie ad una maggiore alfabetizzazione, che si
estese anche alla classe artigiana e ai contadini più abbienti, ad una maggiore circolazione di idee,
pensieri, attraverso le gazzette i giornali periodici, ai luoghi di discussione e confronto, ai viaggi
facilitati dalla maggiore efficienza delle vie di comunicazione, ad un superamento dei confini
culturali nazionali, all’idea cosmopolita per cui tutti siamo cittadini del mondo, ad una relativa pace
tra i popoli e quindi all’ instaurarsi di una vera e propria “repubblica della ragione”, che aveva
come lingua universale il francese al posto del latino. L'opinione pubblica nasce sul terreno di
questi processi economico-sociali, politici e culturali che hanno luogo nell'Europa del Seicento e
del Settecento; ed è infatti in questo periodo che il concetto di opinione pubblica viene elaborato
e teorizzato dalle élites culturali. L’opinione pubblica ha influenzato fortemente alcuni
avvenimenti del secolo come la prima rivoluzione industriale in Inghilterra, la cui natura
rivoluzionaria è dimostrata in modo forse più convincente dalle sue parole che dai suoi fatti (22000
sermoni, libri, giornali), e lo stesso discorso vale per la rivoluzione francese, che vede una crescita
inaudita dell’opinione pubblica. Quali sono
le origini? Il filosofo inglese Locke nel saggio sull’intelligenza umana fu il primo a parlare, in forma
embrionale, di opinione pubblica, già Thomas Hobbes, il maggior teorico dell’assolutismo aveva
parlato della pericolosità per l’ordine dello Stato dal lasciare gli individui liberi di giudicare su
questioni politiche e religiose, in quanto il monopolio di decidere sul vero e sul giusto spetta
soltanto a chi detiene il potere sovrano. Egli sostiene che le leggi alle quali gli uomini riferiscono le
loro azioni, per giudicare della loro rettitudine o meno, sono tre la legge divina, la legge civile, la
legge dell'opinione o reputazione. Nella parte 10 del capitolo 28 del libro secondo del saggio
sull’intelligenza umana, Locke spiega il significato che attribuisce a “legge dell’opinione” : essa è
una norma riferita alle azioni, per giudicare se siano virtuose o viziose. Essa consiste nel biasimo o
nell’elogio da parte della società, di giudicare quella o questa azione. Essendo un giudizio espresso
dai cittadini, per segreto e tacito consenso, ogni società, secondo i propri costumi, stabilirà le
proprie leggi dell’opinione, che saranno diverse a seconda dei vari paesi, “per cui varie azioni
vengono a trovare fra di essi credito o disdoro secondo i giudizi, le massime o le mode di quel
luogo”. Nella costruzione dello Stato liberale, delineato da Locke, si deve sottolineare la radicale
distinzione fra legge morale, espressa dall’opinione pubblica, e legge civile, espressa
dall’assemblea rappresentativa, che è una vera e propria distinzione fra il potere politico e il
potere filosofico. Il punto focale dei passi lockiani sopra citati è costituito dalla reputazione o fama
dei singoli nella società, la quale li approva o li condanna a seconda delle loro virtù o dei loro vizi;
ma è del tutto assente, in quei passi, il momento della discussione pubblica, e del suo rapporto con
la sfera politica.

Nella liberale Inghilterra, nel Settecento, continua l’approfondimento del concetto di opinione
pubblica, soprattutto con David Hume ed Edmund Burke. Il primo esalta quello spirito pubblico,
che può formarsi nel suo paese, proprio per l’estrema libertà concessa alla stampa di criticare le
azioni del re e dei suoi ministri, anche se questo comporta dei pericoli, come il favorire le calunnio
o alimentare le lotte fra le fazioni (Saggi morali, politici e letterari, I, 2 e 3). Per Hume ogni governo
si fonda sempre sull’opinione, anche se questa può mutare nel suo fondamento: essa, infatti, può
essere basata o sul pubblico interesse, o sul diritto, che può essere o diritto di potere, (la
legittimità del governo esistente per la sua antichità) o diritto alla proprietà (la proprietà, per
taluni, è il fondamento del potere). Con più forza il politico Edmund Burke, in diverse lettere ai suoi
elettori, sottolinea che sono l’opinione generale e lo spirito pubblico a dare legittimità al potere
del Parlamento – e segnatamente alla Camera bassa – tramite i partiti politici, ma mostra anche
che questa opinione pubblica non coincide mai necessariamente con il potere.

Nella Francia invece vigeva la concezione di dell’'Alembert nel l'Essai sur la société des gens de
lettres et des grands/Saggio sui rapporti fra intellettuali e potere , in cui difende il ruolo degli
"uomini di lettere”, cioè intellettuali, nell'ambito della società civile: essi devono ricercare la verità
in piena e totale autonomia, anche a prezzo della povertà, senza cedere alle lusinghe dei potenti,
del loro mecenatismo corruttore che trasforma il filosofo in cortigiano. Se gli uomini di lettere
riescono a mantenersi completamente indipendenti dal potere politico e, più in generale, dai
"potenti", se essi riescono a "vivere uniti", consapevoli della loro vocazione e della loro funzione,
"in certo modo chiusi in se stessi", allora essi possono esercitare un influsso profondo sulla società
civile, contro l'assolutismo della sfera politica. La funzione a cui gli intellettuali devono adempiere
è quella di orientare l’opinione pubblica sui grandi temi sociali e culturali del paese. Non è un caso
naturalmente che gli illuministi combattano una grande battaglia contro la censura e per la libertà
di stampa, di cui il saggio di Diderot “Sur la liberté de presse” rappresenta una delle
manifestazioni più alte. Una definizione importante di opinione pubblica è quella di Louis-
Sébastien Mercier, che definisce il ruolo “degli autori dei buoni libri”, quindi gli intellettuali, quello
di illuminare il governo e indicare a questo la pubblica opinione che gli stessi uomini di lettere
formano e interpretano. Si forma così, dentro le strutture dello Stato assoluto dove non c’è una
Assemblea espressiva dell’opinione pubblica, un ceto, quello dei philosophes o degli intellettuali, il
quale in un ambiguo rapporto con il dispotismo illuminato, non sottopone però quotidianamente a
una verifica l’attività legislativa del governo. È un ceto separato non solo dallo Stato, ma anche
dalla società: gli scrittori erano divenuti i più eminenti uomini politici della nazione, ma non
partecipavano affatto alla quotidiana pratica degli affari, all’amministrazione e, pur non rimanendo
totalmente estranei alla politica, si limitavano a diffondere “una politica astratta e letteraria”,
basata su principi semplici, elementari, desunti dalla ragione e dalla legge di natura, che però non
avevano alcun raccordo con quella concreta esperienza della vita pratica, che aveva caratterizzato
l’opinione pubblica degli Inglesi.

Infine lo stesso Kant ribadisce il diritto del cittadino di esprimere pubblicamente la propria
opinione, osservando e ubbidendo in ogni caso all’autorità. Domandandosi Che cosa è
l’Illuminismo? egli risponde che esso consiste nel “fare uso pubblico della propria ragione in tutti i
campi”; ed è un uso che uno ne fa “come studioso davanti all’intero pubblico dei lettori”, come
membro della comunità e rivolgendosi alla comunità. Questo uso pubblico della ragione, che deve
essere libero, in ogni tempo, ha una duplice funzione e si rivolge a due destinatari: da un lato, si
rivolge al popolo, perché diventi sempre più capace di libertà di agire. Dall’altro lato, si rivolge allo
Stato assoluto, per mostrargli che è più vantaggioso trattare l’uomo non come una macchina
secondo le regole dello Stato di polizia, ma secondo la sua dignità: e questa ragione deve salire
sino ai troni, per far sentire la propria influenza sui principi di governo, per far conoscere il lamenti
del popolo. Si può, anzi si deve ragionare pubblicamente come sembra più giusto, ma si deve
sempre e comunque ubbidire. Si nota quindi un’arretratezza del pensiero di Kant, che non crede
che un pensiero possa incidere sullo “spirito pubblico” e sul governo. Così un ufficiale deve
ubbidire sempre e comunque agli ordini dei suoi superiori, e sarebbe assurdo se, in servizio,
volesse ragionare pubblicamente sull'opportunità e utilità di tali ordini; ma non è giusto impedirgli
in qualità di studioso di fare le sue osservazioni sugli errori commessi nelle operazioni di guerra, e
di sottoporre tali osservazioni al giudizio del pubblico. Allo stesso modo il cittadino non può
rifiutarsi di pagare i tributi che gli vengono imposti; tuttavia egli può, come studioso, manifestare
apertamente il proprio pensiero sull'iniquità del sistema fiscale, e così via. La libertà del cittadino
in quanto essere pensante è dunque per Kant una libertà dimidiata, che trova nella volontà
dell'autorità costituita il proprio limite invalicabile.
Le leggi cui gli uomini riferiscono generalmente le loro

azioni, per giudicare della loro rettitudine o meno, sono, mi

pare, queste tre: I) la legge divina; 2) la legge civile 3) ['la

legge dell'opinione o della reputazione, se così posso chiamarla].

Per mezzo della relazione che hanno con la prima di queste leg-

gi, gli uomini giudicano se le loro azioni siano peccati o doveri;

mediante la seconda, se siano delittuose o innocenti; e mediante

la terza se siano virtù o vizi. Locke

per cui varie azioni vengono a trovare fra di essi credito o disdoro secondo i giudizi, le
massime o le mode di quel luogo. locke

"I buoni libri spandono lumi in tutte le classi del popolo, ornano la verità. Sono essi che già
governano l'Europa, che illuminano il governo sui suoi doveri, sui suoi errori, sui suoi veri interessi,
sull'opinione pubblica che esso deve ascoltare e seguire: questi buoni libri sono maestri pazienti
che attendono il risveglio degli amministratori degli Stati e la calma delle loro passioni" mercier

"Dunque la libertà della penna - tenuta nei limiti del rispetto e dell'amore per la costituzione sotto
la quale si vive dai sentimenti liberali che ispirano i sudditi (le cui penne si limitano reciprocamente
da sé per non perdere tale libertà) - è l'unico palladio dei diritti del popolo" kant

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