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Università degli Studi di Cagliari

Facoltà di Studi Umanistici


Corso di Laurea in Filosofia – Classe L-5

Logik des Zerfalls


Dialettica negativa e trasformazione della realtà
nel pensiero di Theodor W. Adorno

Relatore: Tesi di Laurea di:


Prof. Pierpaolo Ciccarelli Cristian Perra

Anno Accademico 2017/2018


1
2
Ringraziamenti

Ringrazio il Prof. Pierpaolo Ciccarelli per avermi seguito e indirizzato nel lavoro di
tesi. Ringrazio sentitamente, inoltre, la Prof.ssa Elisabetta Cattanei per tutto il sostegno,
istituzionale e non, di questi anni.

Un ringraziamento a Nicolino e Giada, amici e compagni; spalle e rocce di cui non ho


mai dubitato nemmeno per un secondo.

A Valentina e Mario, conscio del fatto che gli esami della vita non finiscano mai…

A Samed e Lodo, fonti inesauribili di confronto e di spunti di elaborazione senza i quali


la mia crescita politica non sarebbe stata possibile.

Al Laboratorio Politico “Sa Domu” e al Collettivo Universitario Autonomo, fonti di


gioie e dolori, fatica e impegno. Sempri innantis fintzas a sa vitoria!

A Fabio, Mauro, e a tutta la cricca de Su Tzirculu, e a quel posto sul bancone che
sembra aver preso la mia forma.

A Niccolò, Simone e Ilaria per esserci stati sempre.

A Elisa per il prezioso aiuto con la lingua greca e per il sostegno incondizionato.

Ad Alberto, Elena, Giacomo e Maurizio, per aver passato questi anni di triennale, nel
bene e nel male, assieme.

Cagliari, 19 Novembre 2018

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4
“Cospirare significa respirare assieme”.
Alle mie compagne e ai miei compagni.

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Indice

Introduzione: Una politica della Filosofia ..................................................................................... 9


1. L’Attualità della filosofia ........................................................................................................... 15
1.1 Feticismo e reificazione............................................................................................................ 15
1.2 Ragione e Razionalizzazione.................................................................................................... 24
1.3 Dominio e Potere ...................................................................................................................... 30
2. Logik des Zerfalls ........................................................................................................................ 40
2.1 Dalla dialettica della negatività a Dialettica negativa.............................................................. 40
2.2 Natura, storia e progresso ......................................................................................................... 53
2.3 Micrologia e costellazione........................................................................................................ 57
2.4 Bisogno ontologico e criptoidealismo ...................................................................................... 63
2.5 Verità e adeguazione ................................................................................................................ 67
Bibliografia ....................................................................................................................................... 72
Opere di Theodor W. Adorno......................................................................................................... 72
Edizioni di Dialettica negativa ................................................................................................... 72
Altre opere di Adorno ................................................................................................................. 73
Ulteriori testi di membri della Scuola di Francoforte..................................................................... 74
Altri testi citati di letteratura primaria ............................................................................................ 75
Letteratura secondaria .................................................................................................................... 78
Su Adorno e la Scuola di Francoforte: ....................................................................................... 78
Sugli altri autori citati ................................................................................................................. 80

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Introduzione: Una politica della Filosofia

Nessuna teoria sfugge più al mercato: ciascuna viene offerta


come una opinione possibile tra quelle concorrenti, tutte
vengono date da scegliere, tutte vengono assimilate.1

Theodor W. Adorno, Dialettica negativa

L’interesse per la filosofia di Theodor W. Adorno2 e in generale per i pensatori che ruotavano attorno
all’Institut für Sozialforschung3, fondato nel 1923 da Felix Weil, scaturisce da un problema che non
è soltanto teoretico, ma pratico. Non si tratta, infatti, soltanto di un esercizio di stile volto ad affinare
le armi della scrittura, ma si tratta di un atto militante.

La undicesima delle tesi marxiane su Feuerbach è chiara su quello che è il compito della filosofia: «i
filosofi hanno solo interpretato il mondo in vari modi; ma il punto ora è di trasformarlo.»4

Le armi della critica devono essere prese nei confronti della spoliticizzazione e normalizzazione che
il potere compie continuamente, rendendo ogni tentativo di cambiamento radicale nullo e mostrando
quello presente non più solo come il migliore dei mondi possibili, ma come l’unico possibile.

La dimensione del politico, infatti, si trova sempre più a dover essere ridotta alla sua dimensione
parlamentare, al tifo per una squadra o per un’altra, deresponsabilizzando del tutto la persona, la quale
si limita a scegliere il suo prossimo aguzzino su una scheda elettorale. Solo la lotta, il sovvertimento
delle categorie dominanti può portare al cambiamento radicale dell’esistente.

Per mettere in luce gli aspetti che la riduzione propria del capitalismo compie sul politico, prenderemo
brevemente in esame l’analisi di Carl Schmitt (di certo non un comunista) in Il Concetto del politico5
(1932), in quanto esemplificano perfettamente il discorso che cercheremo di portare avanti.

1
Theodor W. Adorno, Negative Dialektik, Surhkamp, Frankfurt au Main, 1966 [= Theodor W. Adorno, Dialettica
negativa, a cura di Stefano Petrucciani, Einaudi, Torino, 2004, p. 4].
2
Per l’approfondimento della figura di Adorno si rimanda alla biografia scritta da Stefan Műller-Doohm [Stefan Műller-
Doohm, Adorno. Eine Biographie, 2003 (= Theodor W. Adorno. Biografia di un intellettuale, Carocci, Roma, 2003)]
3
Per un maggiore approfondimento sulla storia dell’Institut für Sozialforschung si rimanda al fondamentale testo di
Martin Jay L’Immaginazione Dialettica (Martin Jay, The Dialectical Immagination, 1973 [= L’Immaginazione dialettica,
a cura di Nicola Paoli, Einaudi, Torino, 1979) nel quale Jay ricostruisce l’intera storia della scuola di Francoforte
attraverso le testimonianze dei protagonisti dell’Institut.
4
Karl Marx, Thesen Über Feuerbach, in Marx-Engels-Gesamtausgabe, Bd. I/4, 1845 [= Tesi su Feuerbach, in “Le opere
che hanno cambiato il mondo” trad. it. a cura di Ferruccio Andolfi, Newton Compton, 2011]
5
Carl Schmitt, Il Concetto del politico, in Le Categorie del politico, a cura di Gianfranco Miglio e di Pierangelo Schiera,
il Mulino, Bologna, 1972.

9
Schmitt mette in luce come la dimensione irriducibile6 del politico sia minacciata dal liberalismo, nel
quale

si giunge così ad un sistema completo di concetti smilitarizzati e spoliticizzati, dei quali ne vanno qui enumerati
alcuni al fine di mostrare la sistematica del pensiero liberale, straordinariamente conseguente e ancor oggi in
Europa, nonostante tutti i contraccolpi, non ancora sostituita da nessun altro sistema.7

La smilitarizzazione dei concetti, il farli uscire dalla loro dinamica, riversandoli contro il politico
stesso è tipica del liberalismo. Questa riduzione ai minimi termini del politico si costituisce come
uscita da esso. Come scrive infatti Schmitt

Tutte queste riduzioni mirano con gran sicurezza a sottoporre stato e politica in parte ad una morale
individualistica e perciò giusprivatistica, in parte a categorie economiche, privandoli cosi del loro significato
specifico.8

La chiave di volta quindi, sarebbe quella di far emergere la dimensione di rottura del politico, la
tensione dialettica irriducibile tra teoria e prassi, la quale si costituisce come un vero e proprio
binomio osmotico. Senza la prassi la teoria è vuota, ma senza la teoria, la prassi è completamente
cieca.

Quindi il compito del filosofo sarà di recuperare il politico, di riarmare i concetti della loro valenza
critica e dialettica, e di incarnare quello che Antonio Gramsci avrebbe chiamato spirito di scissione9
acquistando la consapevolezza della dialetticità di fondo della realtà: insomma destrutturare e
delegittimare le dinamiche della cultura dominante.

Incarnare lo spirito di scissione significa essere militante. Non è militante, infatti, solo chi lotta nelle
strade, nelle piazze, chi taglia le reti dei poligoni militari, ma anche chi lavora attivamente per la
produzione e la socializzazione di sapere critico, avulso dalle logiche di mercato che spesso
irrompono nel mondo della cultura e della ricerca, a tutti i livelli. Il portatore di sapere è militante per
definizione, è soggettività in lotta nei confronti di un sistema che fa di tutto per annichilire ogni
tentativo di rottura.

6
Per Schmitt ogni contrasto, ogni opposizione, ogni contraddizione ha il politico come sfondo. Esso si costituisce come
la lotta, come un rapporto dialettico tra nemico e amico. Potremmo associare a questa dimensione schmittiana
l’autocoscienza hegeliana nella quale la lotta per la vita è momento costitutivo per il momento di uscita da sé della
coscienza.
7
Ivi, p. 157
8
Ivi, p. 158
9
Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino, 2014, Quaderno 25 (XXI), §5.

10
L’obiettivo cardine, dunque, deve essere quello di dotarsi di strumenti di analisi tali da comprendere
il mondo grande e terribile che ci circonda, e di trasformarlo.

Questo è il motivo che riporta a Francoforte, all’elaborazione di una teoria critica della società, uno
strumento di critica complessiva della nostra contemporaneità che mostri la compromissione con il
potere di tutte quelle determinazioni che apparentemente sembrano essere scevre da utilizzi politici.

Ci riporta ad Adorno una riflessione filosofica che non sia politicamente innocua, che non si limiti a
discutere vuotamente di democrazia o di sovranità: non una filosofia della politica, ma una politica
della filosofia in grado di essere un grimaldello per la trasformazione radicale della società.

Il potere infatti, in una società profondamente amministrata come quella in cui viviamo, cerca sempre
e comunque di riassorbire le determinazioni critiche nei suoi confronti, soprattutto se escono dal
seminato di regole da esso stesso stabilite per autoconservarsi.

Questo lavoro si costituisce in un movimento, in una costellazione di concetti, costitutivamente non


organici, frammentari, che mai vanno a essere mediati tra di loro. Queste costellazioni, del tutto
asistematiche e parziali, proveranno a fornire dei modelli di identificazione, distruzione e
trasformazione della realtà.

Identificazione, in quanto si andrà a vedere come certi dispositivi di dominio vanno ad essere integrati
nella nostra società, in una direttrice di filosofia critica che parte da Hegel e che attraverso Marx,
Nietzsche, Weber, Benjamin e Foucault conduce direttamente a Adorno e agli altri francofortesi.

Si parlerà di distruzione poiché questi concetti verranno destrutturati e ricondotti alle loro dinamiche
originarie, mostrando l’etica del lavoro, il concetto di razionalità o quello di Illuminismo, non siano
altro che epifenomeni dello sviluppo del capitalismo dalla sua nascita in età moderna, alla società
industriale avanzata: anche la totalità del concetto è un epifenomeno della volontà di potenza delle
classi dominanti.

Trasformazione poiché ognuno dei due passi precedenti, come il martello nietzschiano, intacca una
piccola parte del dominio totalitario del capitalismo. Teoria e prassi compartecipano della stessa
essenza: riconosciuta la falsa coscienza del concetto si giungerà al non-identico, ad una dimensione
residuale dove costellazioni di concetti vanno ad essere connesse tra di loro.

Con Adorno e oltre Adorno proveremo, con questo scritto, a mostrare come si possa sfuggire al
meccanismo pacificatorio attraverso la prassi trasformativa. Come possa essere possibile a livello
teoretico e pratico, rompere il nesso dialettico che rende lo stato di cose in cui ci troviamo
apparentemente immodificabile.

11
Giorgio Agamben, nell’introduzione di Homo Sacer (1995) mette in luce, riferendosi a Michel
Foucault (ma ciò potrebbe essere esteso all’itinerario concettuale di Adorno), come il lavoro del
pensatore francese segua due principali direttrici:

Uno degli orientamenti più costanti del lavoro di Foucault è il deciso abbandono dell’approccio tradizionale al
problema del potere, basato su modelli giuridico-istituzionali (la definizione della sovranità, la teoria dello
Stato) in direzione di un’analisi spregiudicata dei modi concreti in cui il potere penetra nel corpo stesso dei
soggetti e nelle loro forme di vita. Negli ultimi anni, come risulta da un seminario del 1982 all’università del
Vermont, questa analisi sembra orientarsi secondo due distinte direttive di ricerca: da una parte, lo studio delle
tecniche politiche (come la scienza della polizia) con le quali lo Stato assume e integra al suo interno la cura
della vita naturale degli individui; dall’altra, quello delle tecnologie del sé, attraverso le quali si attua il
processo di soggettivazione che porta l’individuo a vincolarsi alla propria identità e alla propria coscienza e,
insieme, a un potere di controllo esterno. È evidente che queste due linee (che proseguono, del resto, due
tendenze presenti sin dall’inizio nel lavoro di Foucault) s’intrecciano in più punti e rimandano a un centro
comune. In uno degli ultimi scritti, egli afferma che lo stato occidentale moderno ha integrato in una misura
senza precedenti tecniche di individualizzazione soggettive e procedure di totalizzazione oggettive e parla di
un vero e proprio «doppio legame politico, costituito dalla individuazione e dalla simultanea totalizzazione
delle strutture del potere moderno»10.

In Adorno, esattamente come in Foucault, troviamo l’abbandono della riflessione classica sul potere,
concentrandosi, da una parte sulle procedure dirette con le quali il potere si configura (pensiamo a
Dialettica dell’Illuminismo o agli Scritti sociologici), dall’altra di quelle procedure implicite nello
schema conoscitivo che, sviluppatesi a partire dall’idealismo tedesco ma che si sono sublimate nella
filosofia analitica e - oltre l’occhio di Adorno - nel postmoderno, le quali portano il potere a essere
così radicalmente totalitario (pensiamo a Dialettica negativa, ai Tre studi su Hegel o alle riflessioni
su Husserl e Heidegger nella Metacritica della gnoseologia e nel Gergo dell’autenticità).

Queste due costanti nel lavoro di Adorno saranno prese in considerazione per i due capitoli di questa
tesi. Il primo capitolo mostrerà le procedure dirette con cui l’Herrschaft, il “dominio”, si costituisce.
Il riferimento principale sarà alla genealogia della razionalità occidentale operato da Adoro assieme
a Horkheimer in Dialettica dell’illuminismo, agli elementi tratti da Weber, Lukács, Marx e Heidegger,
agli attraversamenti del pensiero francofortese con quello di Foucault, agli sviluppi che il discorso
sull’Aufklärung avrà nelle opere successive dello stesso Adorno.

Il secondo capitolo, invece, affronterà il problema nodale di una forma particolare del dominio,
l’Herrschaft der Ganzheit, il “dominio della totalità”. Attraverso i concetti di totalità, di unità e di
verità, concetti del tutto ideologici, infatti, il capitale, come vedremo nello svolgersi di questo lavoro,
crea un ordine sociale attraverso un lungo processo di mediazioni e pacificazioni. Chi detiene il potere
della sintesi dialettica, sembra detenere il dominio politico. Questo argomento verrà sviscerato

10
Giorgio Agamben, Homo Sacer – il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino, 2005

12
attraverso Hegel, attraverso la lettura che ne fa Adorno e attraverso l’opera più importante del nostro
filosofo, il suo “capolavoro” assieme alla Teoria estetica: Dialettica negativa.

L’analisi che faremo, denoterà il dominio della totalità come dimensione costitutiva del potere
capitalistico. Il problema della reificazione della coscienza e del feticismo delle merci emergerà
marcatamente come fenomeno su cui l’Herrschaft der Ganzheit si costituisce.

Da qui appariranno la dimensione residuale della realtà, gli aspetti micrologici che permettono di
mettere in relazione i concetti, non più a livello di mediazione e riconciliazione con il tutto, ma nel
loro compenetrarsi a vicenda senza mai mediarsi; il loro entrare in costellazioni, nel dare alla
contraddizione non più fallacia, ma costitutività, aprendo nuove possibilità teoriche e pratiche,
insomma, possibilità politiche.

13
14
1

L’Attualità della filosofia

Un po’ per pietà, un po’ per negligenza e un po’ per


calcolo, si lascia vivacchiare la filosofia in un ambito
accademico sempre più stretto, dove si tende sempre
più a sostituirla con la tautologia organizzata.11

Theodor W. Adorno, Minima Moralia

1.1 Feticismo e reificazione

Come fa notare Stefano Petrucciani in riferimento all’opera principale di Adorno, Dialettica negativa
del 1966,

la “colpa” del pensiero filosofico tradizionale, e dell’idealismo che ne rappresenta la linea egemone, è quella
di avere spacciato come realtà quel mondo che noi strutturiamo e organizziamo ai fini del dominio su di esso
– un dominio che in ultima istanza è sempre solidale con il dominio dell’uomo sull’uomo che si perpetua nella
società. Per uscire dal cerchio magico il pensiero deve prendere atto delle sue compromissioni col potere
sociale; deve rinunciare alla sua sovranità e acquisire la coscienza dei propri limiti e del carattere paradossale
della sua impresa12.

Ci troviamo quindi, secondo Adorno, di fronte a un compito quanto mai radicale per la filosofia:
mostrare il carattere ideologico dell’intero processo conoscitivo e dei suoi prodotti operando la rottura
di quel meccanismo di reificazione della coscienza e di feticismo delle merci proprio della società
industriale avanzata, il quale fa sì che la realtà sembri immodificabile e ineluttabile.

Il compito della Filosofia, sarà quello di realizzare sé stessa. Adorno infatti apre Dialettica negativa
con una prognosi sullo stato di salute della filosofia, la quale, a suo dire, come un «edificio immenso»
che essa ha progettato, «pericolante da ormai troppo tempo» e che «non minaccia semplicemente di

11
Theodor W. Adorno, Minima Moralia, in Gesammelte Schriften, Bd. 4, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1955 [=
Minima Moralia, a cura di Renato Solmi, Einaudi, Torino, 2008, p. 68].
12
Stefano Petrucciani, Theodor Adorno oltre i limiti della Ragione, in “Il Manifesto” del 19/04/2016, reperibile on-line
all’indirizzo https://ilmanifesto.it/oltre-i-limiti-della-ragione/ .

15
colpire chi si trova dentro di esso, ma anche di smarrire tutte le cose che vi sono conservate»13, «si
tiene in vita, perché è mancato il momento della sua realizzazione»14.

Quindi, una volta mostrata la sua inadeguatezza, la filosofia, deve negare l’illusorietà su cui si è
costruita attraverso l’autoriflessione15 sul suo metodo, sul suo linguaggio e sui suoi concetti.

Il testo di una delle opere giovanili16 del nostro filosofo, la conferenza L’Attualità della filosofia del
1933, fornisce una chiave di lettura dell’intera opera del filosofo francofortese e del concetto di
Dialettica negativa, mostrando come sia la Deutung17 stessa ad operare il passaggio di trasformazione
dell’esistente evocato dall’undicesima tesi marxiana. La trasformazione della conoscenza stessa
diventa motivo trasformatore della realtà politica. Il programma di una dialettica negativa quindi si
costituisce come il tentativo, da parte di Adorno, di trasformazione della prassi conoscitiva, in modo
da compiere la trasformazione rivoluzionaria dell’esistente.

L’intero processo conoscitivo non deve puntare all’onnicomprensività o alla sistematicità, ma a una
riproposizione dei problemi e ad una loro decostruzione, mostrandoli in un’angolazione differente, in
una costellazione di concetti legati dialetticamente tra di loro18.

La filosofia, secondo Adorno, deve invece sporcarsi le mani con l’umano, cogliendo attraverso
l’interpretazione «l’irrazionalità cieca del reale»19, fragile e contradditoria.

La Dialettica negativa si configura come processo ermeneutico in cui il carattere coercitivo del
concetto viene riportato fuori di sé, al non-identico scardinando la pretesa di totalità tipica
dell’idealismo.

13
Theodor W. Adorno, Die Idee der Naturgeschichte e Thesen über die Sprache des Philosophen, in Gesammelte
Schriften, Bd. 1, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1933 [= L’attualità della filosofia. Tesi all’origine del pensiero
critico, a cura di M. Farina, Milano-Udine, Mimesis, 2009, p. 54].
14
Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p. 3.
15
Il motivo dell’autoriflessione della filosofia su sé stessa viene quasi sicuramente attraverso Kant, uno dei filosofi di cui
Adorno si interesserà maggiormente nel corso della sua carriera filosofica, probabilmente attraverso la mediazione di
Hans Cornelius, studioso kantiano con il quale Adorno provò a abilitarsi come docente, come già aveva fatto Horkeimer
con lo stesso Cornelius, con una tesi su Husserl, poi rifiutata dal docente. Di Kant Adorno recupera il concetto di
autoriflessione della filosofia su sé stessa attraverso quello che Kant nella Critica della ragion pura chiamava tribunale
della ragione. Per Kant, come per Adorno, il compito della filosofia è quello di riflettere criticamente su di sé e sui propri
limiti. Scrive Kant infatti: «Essa non è di certo l’effetto della leggerezza, ma della matura capacità di valutazione a
dell’epoca che non vuol più lasciarsi tenere a bada da un falso sapere, ed è un richiamo alla ragione affinché assuma
nuovamente il più arduo dei suoi compiti, cioè la conoscenza di sé, e istituisca un tribunale che la tuteli nelle sue giuste
pretese, ma tolga di mezzo quelle prive di fondamento, non già arbitrariamente, ma in base alle sue leggi eterne ed
immutabili; e questo tribunale altro non è se non la critica della ragion pura stessa.» Immanuel Kant, Kritik der reinen
Vernunft, Hartknoch, Riga, 1781 [= Critica della ragion pura, a cura di Pietro Chiodi, UTET, Torino, 2013, p. 65]
16
C’è da dire che nei trent’anni che distanziano la conferenza L’Attualità della filosofia da Dialettica negativa, il
programma adorniano della filosofia negativa è rimasto pressoché invariato.
17
Il termine Deutung, “interpretazione”, utilizzato in L’Attualità della filosofia, diventerà in Dialettica negativa
“Interpretation”, nella stessa accezione di interconnessione di teoria e prassi. (cfr. Cap. 2.1)
18
Cfr. Cap. 2.3
19
Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p. 48.

16
Potremmo argomentare che il lavoro di Adorno abbia punti di contatto, da questo punto di vista, con
il lavoro di Heidegger, grande bersaglio dell’intera opera del nostro filosofo. Sembra infatti che
Adorno faccia propria la Seinsfrage heideggeriana, la “riproposizione della domanda sul senso
dell’essere”, portandola all’interno di una riflessione comune a diverse correnti filosofiche sui limiti
della filosofia e della sua crisi a cavallo tra le due guerre mondiali.

Secondo Adorno, però, il modo in cui la questione dell’essere viene svolta in Essere e tempo, risulta
perdere di efficacia critica20 facendo regredire l’essere a «principio formale la cui dignità arcaica aiuta
a rivestire di senso qualunque contenuto»21 e nel quale il soggetto si trova a ricercare la sua autenticità
eliminando ogni fattore sociale e prettamente umano.

Adorno risolve la diade interpretazione-trasformazione, il binomio teoria-prassi, mostrando come la


teoria non debba ricadere nello spazio chiuso della conoscenza, ma imponga il passaggio alla prassi:
«l’interpretazione della realtà e la sua trasformazione sono, infatti, riferite l’un l’altra»22.

L’interpretazione filosofica, dunque, è possibile solo in senso dialettico, considerando che il rapporto
teoria-prassi è incontrovertibilmente un rapporto dialettico tra l’idea e la sua realizzazione.

La dialettica è quindi l’unico strumento che impone il passaggio alla prassi: come Adorno scrive nei
Minima Moralia, il suo compito «è di dare lo sgambetto alle sane opinioni circa l'immodificabilità
del mondo»23, essa è «irragionevolezza di fronte alla ragione dominante»24.

Nelle Lezioni di sociologia del 1956 a cura dell’Institut fűr Sozialforschuung di Francoforte, Adorno
scrive che «anche quando la filosofia pretende di elaborare il proprio rapporto di potere e diritto
secondo principi puri astratti essa assume in sé, positivamente o negativamente, categorie immanenti
alla società esistente»25, sia in modo diretto che implicito. È dunque fondamentale notare lo
svilupparsi della riflessione filosofica in base all’orizzonte storico-sociale nel quale si sviluppa e in
base alle forze che detengono i rapporti di produzione.

Dialettica negativa parte essenzialmente dalla paradossalità di pensare una dialettica che, contro
l’intera storia della filosofia occidentale, sia effettivamente slegata dagli interessi del potere e dalla
difficoltà di perpetuare questo compito.

20
Cfr. Cap. 2.4
21
Theodor W. Adorno, Attualità della filosofia, cit., p.38.
22
Ivi p. 53.
23
Theodor W. Adorno, Minima moralia, cit., p. 75.
24
Ibidem.
25
Institut fűr Sozialforschuung, Soziologische Exkurse, [= Lezioni di Sociologia, trad. it. a cura di Alessandro Mazzone,
Einaudi, Torino, 1966 p. 15].

17
Adorno, nel corso di Dialettica negativa riprende il nodo concettuale teoria-prassi alla luce di una
politica che di fatto, sebbene dichiaratamente marxista, si è consegnata al potere.

Dapprima Karl Korsch, poi i funzionari del Diamat, hanno obiettato che la svolta verso la non identità, per il
suo carattere teorico e critico-immanente, è un’irrilevante nuance del neohegelismo oppure della sinistra
hegeliana storicamente superata; come se la critica di Marx alla filosofia dispensi da questa, mentre
contemporaneamente all’Est non si può rinunciare alla filosofia marxista per soggezione culturale. La richiesta
dell’unità di prassi e teoria ha abbassato per forza questa ad ancella; ha messo da parte in lei ciò che in
quell’unità avrebbe dovuto fornire. Il visto di praticità richiesto a ogni teoria è diventato un timbro di censura.
Ma mentre nella famosa unità teoria-prassi quella soccombette, questa è diventata senza concetto, un lato della
politica da cui essa avrebbe dovuto condurre fuori; si è consegnata al potere. La liquidazione della teoria a
causa della dogmatizzazione e del divieto di pensare contribuì alla cattiva prassi; che la teoria riacquisti la sua
autonomia è interesse anche della prassi. Il rapporto reciproco dei due momenti non è deciso una volta per
tutte, ma cambia storicamente. Se oggi l’industria onnipresente paralizza e diffama la teoria, questa nella sua
impotenza testimonia contro di essa con la sua sola esistenza. Perciò è legittima e odiata; senza di essa la prassi
che vuole sempre trasformare non potrebbe essere trasformata.26

Il marxismo stesso, quindi, non è stato esente dagli influssi della società industriale avanzata, come
osserva anche Herbert Marcuse in L’Uomo ad una dimensione (1964), quando nota come i partiti
comunisti nazionali27, i quali svolgono il «ruolo storico di partiti dell’opposizione legale», siano
«condannati a non poter essere radicali»28.

Questa condanna è data essenzialmente dal carattere pacificatorio che i processi sociali hanno in sé
all’interno della società capitalistica. Questa società che giustamente Marcuse definiva ad una
dimensione, totalizzante e totalitaria tende ad appianare le divergenze auto-rinnovandosi.

Marcuse specifica il carattere totalitario di questa società dicendo che

in virtù del modo in cui ha organizzato la propria base tecnologica, la società industriale contemporanea tende
ad essere totalitaria. Il termine “totalitario”, infatti, non si applica soltanto ad una organizzazione politica
terroristica della società, ma anche ad una organizzazione economico tecnica, non terroristica, che opera
mediante la manipolazione dei bisogni da parte di interessi costituiti. Essa preclude per tal via l'emergere di
una opposizione efficace contro l'insieme del sistema. Non soltanto una forma specifica di governo o di
dominio partitico producono il totalitarismo, ma pure un sistema specifico di produzione e di distribuzione,

26
Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p. 130.
27
Marcuse fa riferimento in particolare al partito comunista francese e a quello italiano. Pensiamo ad esempio ai tentativi
di repressione da parte del PCI e della CGIL dei movimenti che negli anni ’70 spingevano per un cambiamento
rivoluzionario in Italia come ad esempio l’Autonomia Operaia. Forse l’esempio più fulgido è stato la cosiddetta cacciata
di Luciano Lama, segretario della CGIL, dalla Sapienza di Roma occupata, il 17 Febbraio 1977: il comizio di Lama dentro
l'università fu deciso dai vertici del PCI assieme a quelli della CGIL, motivandolo con la necessità di ripristinare le libertà
sindacali e politiche all'interno dell'ateneo senza il ricorso alle forze di polizia, ma anche con l'intento di allontanare i
simpatizzanti dell’Autonomia Operaia dall'ateneo, isolandoli dagli altri studenti. Il comizio fu interrotto dagli studenti,
provocando la reazione sdegnata di Berlinguer e degli altri vertici della sinistra “istituzionale”.
28
Herbert Marcuse, One-Dimensional Man, Boston, Beacon Press, 1964 [= L’Uomo ad una dimensione, a cura di Luciano
Gallino, Torino, Einaudi, 1967, p. 41].

18
sistema che può essere benissimo compatibile con un «pluralismo di partiti, di giornali, di “poteri
controbilanciantisi”29.

La forza sostanziale con cui il totalitarismo può essere applicato anche in un sistema apparentemente
pluralistico e multiculturale è proprio uno degli effetti del potere pacificatorio della dialettica
affermativa. Per esprimere il proprio dominio il capitalismo ha creato un apparato ideologico tale da
annichilire ogni tentativo antagonistico all’interno del sistema, risucchiandolo sotto le proprie onde
come un vortice marino.

Il fare della negatività l’elemento di rottura della metafisica tradizionale, infatti, è solo apparente:
dietro alla negazione determinata vi è sempre la conciliazione, il superamento dialettico, il ritorno al
tutto.

Questo ritorno al tutto però è espressione di un sistema come quello capitalistico che detta il
paradigma di superamento dialettico. Come fa notare Adorno nelle prime pagine di Dialettica
negativa come

quell’impoverimento dell’esperienza causato dalla dialettica, che fa indignare il buon senso, si rivela adeguato
nel mondo amministrato alla sua astratta uniformità30.

Ciò mostra come questo non sia un processo neutro, ma legato agli interessi di coloro che detengono
il dominio dell’universale.

Il problema dialettico, dunque, si costituisce come il problema fondamentale della società industriale
avanzata, secondo il nostro filosofo, in quanto è il problema focale da cui emergono tutte le altre
determinazioni e contraddizioni del capitalismo moderno.

Questo impoverimento, ad opera del capitale, si costruisce attraverso le idee di ragione e di totalità,
alla base della filosofia occidentale, e, secondo Adorno, idee sulle quali il capitalismo ha potuto
produrre il proprio ordine concettuale e politico, da una parte attraverso il dominio diretto sull’uomo,
dall’altra attraverso il dominio del metodo dialettico stesso. La dialettica infatti dispiega

«la differenza tra universale e particolare imposta dall’universale»31.

29
Ivi, p.23.
30
Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p.6.
31
Ibidem.

19
Per squarciare questo velo di Maya, il pensiero dialettico deve assumere la forma concreta di una
critica dell’ideologia come dimensione reificata, di una teoria critica della società.

La filosofia stessa per Adorno coincide con questo squarcio, il disvelamento e l’opposizione a una
realtà repressiva, dal momento che che ogni filosofia, anche se apparentemente critica, nasconde in
sé l’illuminismo e il suo giustificazionismo:

Chi sceglie oggi il lavoro filosofico come professione, deve rinunciare all’illusione che un tempo guidava i
progetti filosofici: che sia possibile afferrare la totalità del reale con la forza del pensiero. Nessuna ragione che
abbia la pretesa di giustificare la realtà potrebbe riconoscersi in una realtà il cui ordine e forma reprimono ogni
pretesa della ragione stessa; la realtà, come realtà intera, si presenta al conoscere unicamente in modo
oppositivo, perciò la speranza di ottenere una realtà giusta e corretta offre solo frammenti e rovine. La filosofia
che oggi promette questa speranza ha il solo scopo di coprire la realtà con un velo e di perpetrarne la condizione
attuale.32

Come fa notare Gianpaolo Cherchi, in Natura, storia, mito. Theodor Adorno filosofo del conflitto
(2014), porre l’antagonismo33, inteso come il negativo, come il motore della dialettica, dal momento
che la realtà si presenta al conoscere solo come opposizione, e non più la sintesi,

significa andare oltre la trappola ideologica di una immagine unitaria e totale della realtà, abbandonare l’idea
di una verità inconcussa, riconducibile ad un principio primo e protetta dagli smottamenti e dalle fratture che
la storia produce, poiché una filosofia che pretende di assurgere a tale verità, non fa altro che sottrarre alla
vista – e al pensiero stesso – i conflitti e le opposizioni che la realtà, per sua natura, in quanto realtà storica,
possiede e produce. 34

Quindi, usando le parole di Toni Negri, in Marx oltre Marx (1978), riferite sì a Marx, ma valide
anche per Adorno,

l’elemento unitario del quadro sistematico (o antisistematico?) è l’antagonismo, non come base di costruzione
della totalità, ma come sorgente di un espandersi sempre più incalzante e plurale dell’antagonismo stesso.35

32
Theodor W. Adorno, Attualità della Filosofia, cit., p. 37.
33
Sebbene Adorno contesti alla società contemporanea di essere una società antagonistica, qui si vuole intendere il
termine antagonismo a livello di metodo: il rivolgersi in modo conflittuale verso ciò che è costruito da un sistema
repressivo e reificato. Si usa antagonismo nei termini utilizzati dall’operaismo italiano degli anni ’60. In particolare si fa
riferimento a Antonio Negri, Marx Oltre Marx, Manifestolibri, Roma, 2006 e a Mario Tronti, Operai e Capitale, Einaudi,
Torino, 1966.
34
Gianpaolo Cherchi, Natura, storia, mito. Theodor Adorno filosofo del conflitto, in “Giornale Critico di Storia delle
Idee” – 11/2014.
35
Antonio Negri, Marx oltre Marx, Manifestolibri, Roma, 2016, p. 32.

20
Si tratta di concepire l’antagonismo non più solo a livello politico, ma di concepire teoreticamente
l’antagonismo come anti-sistema, come unico orizzonte nel quale la dialettica può avere senso.

È il Lukács di Geschichte und Klassenbewußtein36, grande punto di riferimento di Adorno, a mostrare


come il binomio osmotico teoria-prassi dipenda incontrovertibilmente dalla trasformazione radicale
dell’esistente, cioè dalla prassi stessa.

La Dialettica per Lukács, infatti, non può che essere rivoluzionaria: citando Marx, «non basta che il
pensiero si spinga sino alla realtà, è necessario che la realtà stessa si spinga sino al pensiero»37. La
teoria è «l’espressione, sul piano del pensiero, del processo rivoluzionario stesso»38. Quindi «giungere
ad acquisire chiarezza su questa funzione della teoria significa al tempo stesso imboccare la via che
conduce alla conoscenza di ciò che rappresenta la sua essenza teorica: il metodo della dialettica». 39

Allora la differenza rispetto alla “metafisica” non viene più ricercata nel fatto che, in ogni considerazione
“metafisica”, l'oggetto della considerazione resta necessariamente intatto ed immutato, e perciò nel fatto che
la considerazione stessa resta meramente intuitiva e non diventa pratica, mentre per il metodo dialettico il
problema centrale è la modificazione della realtà.40

Il problema , in Lukács, come in Marx, come in Adorno, è che il ribaltamento dialettico non avviene
per via del fenomeno della reificazione della coscienza, «problema specifico della nostra epoca, del
capitalismo moderno»41.

Secondo Adorno questo fenomeno è figlio di quella ragione strumentale che è insita all’interno del
processo tecnico di produzione del capitale e che si esprime nella sua industria culturale.

Per tutti e tre i pensatori, la forma-merce possiede un arcano dietro di sé, che, usando le parole di
Lukács,

36
Geörgy Lukács, Geschichte und Klassenbewußtein, Malik-Verlag, Berlin, 1923 [= Storia e Coscienza di Classe, a cura
di Giovanni Piana, Mondadori, Milano, 1973]
37
Karl Marx, Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie, in Marx-Engels-Gesamtausgabe, Bd. I/2, 1845 [= Per la
critica della Filosofia del Diritto di Hegel, in “Le opere che hanno cambiato il mondo” trad. It. a cura di Ferruccio
Andolfi, Newton Compton, 2011]
38
Geörgy Lukacs, Storia e coscienza di classe, cit., p. 4.
39
Ibidem.
40
Ibidem.
41
Ivi, p. 108.

21
consiste nel fatto che un rapporto, una relazione tra persone riceve il carattere della cosalità e quindi
un'”oggettualità spettrale” che occulta nella sua legalità autonoma, rigorosa, apparentemente conclusa e
razionale, ogni traccia della propria essenza fondamentale: il rapporto tra uomini.42

Infatti, scrive Marx nel primo libro de Il Capitale, nel §4 dedicato al feticismo delle merci43:

L’enigma della forma merce consiste dunque semplicemente nel fatto che, a guisa di specchio, essa rinvia agli
uomini l’immagine dei caratteri sociali del loro lavoro come caratteri oggettuali degli stessi prodotti del lavoro,
proprietà naturali sociali di questi oggetti; quindi rinvia loro anche l’immagine del rapporto sociale fra i
produttori da un lato e il lavoro complessivo dall’altro come rapporto sociale fra oggetti, rapporto esistente al
di fuori dei produttori medesimi. Grazie a questo quid pro quo, i prodotti del lavoro diventano merci, cose
sensibilmente sovrasensibili, o sociali. Analogamente, l’impressione luminosa di una cosa sul nervo ottico si
rappresenta non come stimolo soggettivo dello stesso nervo, ma come forma oggettiva di una cosa esistente al
di fuori dell’occhio. Senonché, nell’atto del vedere, la luce è realmente proiettata da una cosa, l’oggetto esterno,
su un’altra, l’occhio; è un rapporto fisico tra cose fisiche; mentre la forma merce, e il rapporto di valore fra i
prodotti del lavoro in cui essa si esprime, non hanno assolutamente nulla a che vedere con la loro natura fisica
e coi rapporti materiali che ne discendono: è solo il rapporto sociale ben determinato esistente fra gli uomini
che qui assume ai loro occhi la forma fantasmagorica di un rapporto fra cose.44

La costruzione del feticcio della merce è un processo del tutto teoretico nel quale si venera come
nuova divinità la costruzione tecnica creata dagli adoranti stessi, non riconoscendone il carattere di
costruzione sociale. Vi è una regressione alle «nebulose regioni del mondo religioso»45: i «prodotti
della testa umana sembrano essere dotati di una propria vita»46. Come se la critica all’alienazione
religiosa operata da Feuerbach non fosse mai avvenuta.

La critica dell’immanente ritorna ad essere la critica del cielo, dell’immodificabile, in quanto dotato
di un valore di per sé rinunciando quindi alla trasformazione radicale della realtà, grande telos verso
cui tende l’intera riflessione marxiana.

«È dunque compito della storia» – come scrive Marx nella Introduzione alla Critica della Filosofia
del diritto di Hegel del 1845 - «una volta scomparso l'al di là della verità, quello di ristabilire la verità
dell'al di qua. È innanzi tutto compito della filosofia, la quale sta al servizio della storia, una volta
smascherata la figura sacra dell'autoestraneazione umana, quello di smascherare l'autoestraneazione

42
Ibidem.
43
Non è un caso che la critica dell’economia politica portata avanti nel Capitale cominci proprio con l’analisi della forma-
merce. Contro ogni interpretazione economicista di Marx è evidente che l’analisi della forma-merce serve a Marx per
mostrare la natura ideologica dell’intero processo di produzione del capitale (mostrata già nei Manoscritti economico-
filosofici del 1844, i quali andrebbero letti come una introduzione al problema filosofico del feticismo delle merci) e come
questo sia il problema centrale per capire l’origine del capitalismo come sistema.
44
Karl Marx, Das Kapital, in Marx-Engels-Gesamtausgabe, Bd. II/5, 1867 [= Il Capitale, a cura di Raniero Panzieri,
Edizioni Rinascita, Roma, 1953 pp. 64-65]
45
Ibid.
46
Ibid.

22
nelle sue figure profane. La critica del cielo si trasforma così nella critica della terra, la critica della
religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica.»47

La critica immanente dovrà essere rivolta quindi agli aspetti dialettici e ideologici che permettono al
capitale di esercitare il suo dominio e quindi a demistificare le figure profane dell’autoestraneazione
umana e la relazione tra ragione, conoscenza e potere. Secondo Adorno infatti reificazione e
razionalizzazione non sono che due facce dello stesso processo.

Si tratta di comprendere due fenomeni che, connessi l’uno con l’altro, assieme determinano la forma
della società industriale avanzata: razionalizzazione e reificazione. L’intero impianto di Dialettica
negativa, e possiamo dire dell’intera opera adorniana è un modello, seppur frammenario e parziale,
di superamento di questi due fenomeni su cui si basa il dominio dell’uomo sull’uomo.

47
Karl Marx, Per la Critica della Filosofia del Diritto di Hegel.

23
1.2 Ragione e Razionalizzazione

Sebbene già nella Repubblica platonica48 e in generale nel pensiero antico49 si trovi l’idea di una
ragione calcolante in grado di garantire il benessere dello stato, la vera nascita dell’idea di ragione
strumentale, la si può riscontrare in un progressivo processo di razionalizzazione che si esprime
dall’età moderna in poi e nei modi con cui essa entra nel processo di coscienza individuale.

Il riferimento principale per quanto riguarda Adorno e Horkeimer, autori di Dialettica


dell’Illuminismo (1947) è Max Weber. Secondo Weber la modernità è caratterizzata da un
progressivo processo di razionalizzazione che va a modificare radicalmente la struttura sociale della
società capitalistica50. Essa diventa essenzialmente un dominio della tecnica. Scrive Weber che

La forma particolare del moderno capitalismo occidentale, è stata determinata, in grande misura, dallo sviluppo
delle possibilità tecniche: la sua razionalità dipende essenzialmente dalla calcolabilità dei più importanti fattori

48
Anthony A. Long nel capitolo dedicato all’anima politicizzata nel suo La mente, l’anima il corpo – Modelli greci del
2017, nota come l’utilizzo di una ragione calcolante come metodo di gestione politica dello stato di trovi già nella
Repubblica platonica. Mostrando la totale sovrapposizione nella Repubblica della dimensione dello stato e dell’anima
egli si concentra particolarmente sull’anima calcolativa o razionale, λογιστικόν, quella che nello stato è rappresentata dai
filosofi, i veri e propri governanti illuminati. Scrive Long: «Tutta la Repubblica nella sua interezza si fonda sul principio
che nell’universo, in politica e nell’anima una cosa, e una cosa soltanto, è veramente qualificata per una funzione di
controllo, per esercitare la sua autorità su tutto il resto. Questa cosa è la ragione, o il ragionamento, termini che in greco
sono espressi per mezzo del sostantivo logismos, l’aggettivo logistikos e il verbo logizesthai. […] Per Platone buon
governo significa applicazione della ragione, e la ragione implica la capacità di calcolare correttamente a proposito di
cosa sia meglio per una certa cosa, si tratti dell’anima individuale o dello Stato. Complessivamente, Platone intende la
ragione come matematica nel senso che l’obiettivo della ragione è di raggiungere una verità e un’esattezza prive di
equivoci. Nell’anima, il governo della ragione, per come Platone lo intende, non procede né in modo probabilistico né
secondo calcoli strumentali di mezzo e fine. Si tratta piuttosto di applicare alla politica una capacità di misurazione esatta
o, meglio, una capacità di stabilire con esattezza proporzioni armoniche.» [Anthony A. Long, Greek Models of Mind and
Self, Harvard College Press, 2015 [= La mente, l’anima il corpo – Modelli greci, a cura di Mauro Bonazzi, Einaudi,
Torino, 2016, pp. 90-93]
49
«Sorprendentemente, la genealogia del concetto politicizzato di razionalità in Platone non è stata ancora indagata in
modo esaustivo. In questa occasione basterà ricordare che tra i suoi primi antecedenti vanno annoverati gli interessi di
Eraclito per la misura (logos e metron) come strumento esplicativo nella ricerca filosofica, oppure le armonie matematiche
e le proporzioni numeriche attribuite a Pitagora e ai pitagorici. Al momento della composizione della Repubblica, se si
segue la cronologia convenzionale dei dialoghi, Platone aveva già spiegato conoscenza e tecnica (techne) nei termini di
una guida, come ciò che conferisce a chi le possiede la capacità di guidare e comandare. Molto probabilmente, questa
nozione fu una delle principali eredità del lascito socratico. Ma è improbabile che Socrate coltivasse quel genere di
interessi matematici che avrebbero condotto alla nozione specificamente matematica del governo della ragione, inteso nei
termini di una capacità di calcolare o misurare ciò che è meglio per gli Stati e per le anime.» [Anthony A. Long, Greek
Models of Mind and Self, Harvard College Press, 2015 [= La mente, l’anima il corpo – Modelli greci, a cura di Mauro
Bonazzi, Einaudi, Torino, 2016, p. 93]
50
La critica che Weber compie nei confronti della società capitalistica e nei confronti del progressivo processo di
razionalizzazione che la caratterizza possiamo dire che vada in una strada parallela a quella marxiana, tanto che Weber
viene spesso definito come il Marx della borghesia.

24
tecnici. Ciò significa soprattutto che essa dipende dai caratteri peculiari della scienza occidentale, in particolare
le scienze naturali basate sulla matematica e sulla sperimentazione esatta e razionale.51

E ancora:

Il motivo decisivo dell'affermarsi dell'organizzazione burocratica è sempre stato la sua superiorità puramente
tecnica su tutte le altre forme. Un meccanismo burocratico interamente sviluppato ha con esse esattamente lo
stesso rapporto che ha una macchina con i mezzi di produzione non meccanici. Precisione, rapidità, univocità,
pubblicità degli atti, continuità, discrezione, omogeneità, rigida subordinazione, risparmio di attriti, nelle spese
per cose e persone hanno raggiunto il loro optimum nell'amministrazione rigorosamente burocratica, e
specialmente in quella monocratica, esercitata da singoli funzionari opportunamente addestrati, di contro a
tutte le forme collegiali o all'amministrazione come attività onoraria e accessoria.52

Le relazioni di potere vengono traslate dal piano della forza (Macht) a quello del dominio (Herrschaft)
dove alla coercizione si sostituisce un sistema centralizzato e burocratico, un sistema legale che
rinchiude l’individuo in una prigione, condannato all’immobilità.

Si crea così la gabbia d’acciaio nella quale «l’individuo rinuncia ad ogni spiegazione» di questo
processo e dove ogni tentativo antagonistico viene annichilito. Il destino tragico degli intrappolati è
quello di non poter mai uscire dall’orizzonte razionale seminato dal capitalismo stesso. Weber infatti
nota che

il capitalismo occidentale specificamente moderno evidentemente è condizionato in larga misura anche dallo
sviluppo di possibilità tecniche. Oggi la sua razionalità è condizionata in modo essenziale dalla calcolabilità
dei fattori tecnicamente decisivi, che sono i supporti di un calcolo esatto; ma, invero, ciò equivale a dire che è
condizionata specificamente dalla natura peculiare della scienza occidentale, in particolare dalle scienze della
natura matematicamente e sperimentalmente esatte e razionalmente fondate. Ora, lo sviluppo di queste scienze
e della tecnica basata su di esse a sua volta ricevette e riceve impulsi decisivi dalle prospettive capitalistiche,
che si connettono alla loro applicabilità economica in qualità di premi.

La gabbia d’acciaio fa sì che, sebbene liberato dalle tradizionali forme di potere, l’individuo si trovi
a dover obbedire ad una sfera di regole e azioni introiettate nell’idea stessa di ragione. Possiamo
parlare così di Zwreckrationalität, “razionalità secondo lo scopo”, tipica del capitalismo moderno.

51
Max Weber, Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, Mohr, Tübingen, 1934 [= L’Etica protestante
e lo spirito del capitalismo, Osservazioni preliminari, in Sociologia delle religioni vol. 1, a cura di Chiara Sebastiani,
UTET, Torino, 2008, p. 110 ]
52
Max Weber, Wirtschaft und Gesellschaft, Mohr, Tübingen, 1921 [= Economia e società, a cura di Pietro Rossi, Edizioni
di Comunità, Milano, 1981, p. 271].

25
Weber nota in Il Metodo delle scienze storico-sociali, come la progressiva razionalizzazione allontani
sempre di più chi è colpito dal suo apparato tecnico, deresponsabilizzando, e di fatto, allontanando
da qualunque tipo di critica. Scrive Weber

Il progresso della differenziazione sociale e della razionalizzazione comporta perciò, se non assolutamente
sempre, almeno del tutto normalmente per quanto riguarda il risultato, una distanza in complesso sempre
maggiore di coloro che sono toccati praticamente dalle tecniche e dagli ordinamenti razionali nei confronti
della loro base razionale, la quale rimane loro di solito, in complesso, più nascosta di quanto al «selvaggio»
rimanga nascosto il senso delle procedure magiche del suo stregone. La razionalizzazione non provoca affatto
una universalizzazione del sapere relativo alle condizioni e alle connessioni dell’agire in comunità; ma per lo
più accade proprio il contrario. Delle condizioni economiche e sociali della propria esistenza il «selvaggio»
conosce infinitamente più dell’uomo «civilizzato», nel senso corrente del termine. E non accade neppure
universalmente che l’agire dell’uomo «civilizzato» proceda in modo soggettivamente più razionale rispetto
allo scopo. Ciò avviene piuttosto in maniera diversa nelle singole sfere dell’agire: ma questo è un problema a
sé.53

In L’Etica Protestante e lo spirito del Capitalismo, Weber situa la nascita di questo processo di
razionalizzazione e la creazione della gabbia d’acciaio nell’etica protestante, in particolare in quella
calvinista. Essa è infatti è «uno degli elementi costitutivi dello spirito capitalistico moderno, e non
soltanto di questo ma di tutta la civiltà moderna: la condotta razionale della vita sul fondamento
dell’idea di professione (Beruf)» - e nasce - «dallo spirito dell’ascesi cristiana»54.

La legittimazione del lavoro, della professionalizzazione del borghese e della sua ricchezza sono un
dato del tutto indipendente dall’azione umana, ma indice del favore della divinità. Portare al di fuori
della prassi umana significa così metafisicizzare l’intero processo tecnico di razionalizzazione e
costruire su di esso una prigione dalla quale non si può evadere.

Dal momento che nella predicazione calvinista la salvezza non avviene tramite opere, come nel
luteranesimo, ma ab aeterno e dal momento che il successo personale diventa la manifestazione della
volontà divina, il Beruf, la professione di fede, acquisisce il significato semantico di professione
lavorativa: così nasce il Geist des Kapitalismus.

Questo processo nasce, utilizzando le parole dello stesso Weber, «quando l’ascesi passò dalle celle
conventuali alla vita professionale e cominciò a dominare sull’eticità intramondana, contribuì, per
parte sua, a edificare quel possente cosmo dell’ordine dell’economia moderna – legato ai presupposti
tecnici ed economici della produzione meccanica –, che oggi determina, con una forza coattiva
invincibile, lo stile di vita di tutti gli individui che sono nati entro questo grande ingranaggio (non

53
Max Weber, Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, Mohr, Tübingen, 1922 [= Il metodo delle scienze storico-
sociali, a cura di Pietro Rossi, Einaudi, Torino, 2003, p. 311]
54
Max Weber, L’Etica Protestante e lo spirito del Capitalismo, cit., p. 329 e seguenti.

26
solo di coloro che svolgono direttamente un’attività economica), e forse continuerà a farlo finché non
sia stato bruciato l’ultimo quintale di carbon fossile». Quindi, per quanto questo processo metafisico
fosse volto a trasformare il mondo, l’apparato tecnico, secolarizzandosi, poneva le basi per eliminare
ogni recesso di ciò che lo aveva creato, in quanto

il capitalismo vittorioso, in ogni caso, da che posa su un fondamento meccanico, non ha più bisogno del suo
aiuto.

In Dialettica dell’Illuminismo55 il processo di razionalizzazione viene riproposto considerando gli


effetti che il capitalismo, dagli autori ricondotto alla categoria di Illuminismo56, ha prodotto nella
società industriale avanzata. Sebbene Dialettica dell’Illuminismo e l’intera filosofia della storia
concepita dai francofortesi voglia essere una genealogia distopica della razionalità strumentale, in
grado di ripercorrere le tracce di quel totalitarismo prodotto dal dominio del capitale nel mondo
amministrato e apparentemente senza via d’uscita, essa viene svolta con un occhio al presente, come
in particolare mostra il saggio a cura di Adorno sull’industria culturale all’interno dell’opera,
mostrando come il problema dell’Herrschaft, il quale ha la sua radice nel razionalismo dell’età
moderna, sia determinante per comprendere e combattere un potere che controlla e manipola la
struttura stessa della realtà nel mondo contemporaneo. La manipolabilità della realtà è l’obiettivo
dell’Illuminismo, il quale, rendendo padroni gli uomini, di fatto li rende schiavi:

ciò che l’uomo vogliono apprendere dalla natura, è come utilizzarla ai fini del dominio integrale della natura
e degli uomini.57

Il sapere diventa potere: la filosofia moderna lo aveva notato. Bacone, secondo Adorno e Horkeimer,
è il padre dell’illuminismo in quanto

55
Theodor W. Adorno, Max Horkeimer, Dialektik der Aufklärung, Querido, Amsterdam, 1944 [= Dialettica
dell’Illuminismo, a cura di Carlo Galli, Einaudi, Torino, 1997].
56
Carlo Galli nella sua introduzione all’edizione italiana di Dialettica dell’Illuminismo fa notare come «a una prima
approssimazione, ‘illuminismo’ vale qui non tanto nella sua accezione storica determinata, e neppure nel senso kantiano
del “sapere aude!”, né come l’uscita dell’uomo dalla colpevole minorità della sua ignoranza, quanto, più in generale,
come logos, ratio, ovvero come pensiero razionalistico (definito anche ‘borghese’), sia nel suo versante ‘liberale’ e
positivistico sia, sebbene in misura diversa e con differenti modalità, in quello dialettico. Quel pensiero - palesemente
moderno, ma che Horkheimer e Adorno retrodatano a norma originaria della civiltà occidentale - di cui è portatore storico
e idealtipico il soggetto (anch’esso già da sempre ‘borghese’) impegnato a emanciparsi da ogni timore e autorità esterna,
e ad affermare la propria autonoma identità razionale, la propria libertà.» [Theodor W. Adorno, Max Horkeimer,
Dialettica dell’Illuminismo, a cura di Carlo Galli, Einaudi, Torino, 1997, p. IX].
57
Theodor W. Adorno, Max Horkeimer, Dialettica dell’Illuminismo, cit., p. 12.

27
ha saputo cogliere esattamente l'animus della scienza successiva. Il felice connubio, a cui egli pensa, fra
l’intelletto umano e la natura delle cose, è di tipo patriarcale: l’intelletto che vince la superstizione deve
comandare alla natura disincantata. Il sapere, che è potere, non conosce limiti, né nell’asservimento delle
creature, né nella sua docile acquiescenza ai signori del mondo. Esso è a disposizione, come di tutti gli scopi
dell’economia borghese, nella fabbrica e sul campo di battaglia, così di tutti gli operatori senza riguardo alla
loro origine.58

Emerge così come l’intero filone filosofico razionalista riguardante la ricerca di un metodo di
indagine della realtà59, in particolare di un metodo scientifico, rifletta un ordine sociale dominante
figlio dell’ascesa e del progressivo apogeo della borghesia. Infatti

la forma stessa deduttiva della scienza riflette coazione e gerarchia. Come le prime categorie rappresentavano
indirettamente la tribù organizzata e il suo potere sopra il singolo, così l’intero ordine logico — dipendenza,
connessione, estensione e combinazione dei concetti - è fondato sui rapporti corrispondenti della realtà sociale,
sulla divisione del lavoro. […] Il dominio conferisce maggior forza e consistenza al tutto sociale in cui si
stabilisce. La divisione del lavoro, a cui il dominio dà luogo sul piano sociale, serve al tutto dominato per
autoconservarsi. […] Il dominio si oppone al singolo come l’universale, come la ragione nella realtà. Il potere
di tutti i membri della società, a cui, in quanto tali, non rimane altra via, si somma continuamente - mediante
la divisione del lavoro ad essi imposta - nella realizzazione del tutto, la cui razionalità risulta a sua volta
moltiplicata. Ciò che tutti subiscono ad opera di pochi, si compie sempre come sopraffazione di singoli da
parte di molti: e l’oppressione della società ha sempre anche il carattere di una oppressione da parte del
collettivo. È questa unità di collettività e dominio, e non l’universalità sociale immediata (la solidarietà), che
si deposita nelle forme di pensiero.60

Il tema viene ripreso da Horkeimer in L’Eclissi della ragione (1947), nel quale egli ripropone quasi
direttamente la distinzione weberiana tra ragione soggettiva e oggettiva:

avendo rinunciato alla sua autonomia, la ragione è diventata uno strumento. Nell’aspetto formalistico della
ragione soggettiva, sottolineato dal positivismo, è messa in rilievo la sua indipendenza dal contenuto oggettivo;
nell’aspetto strumentale sottolineato dal pragmatismo, è messo in rilievo il suo piegarsi a contenuti eteronomi.
La ragione è ormai completamente aggiogata al processo sociale; unico criterio è diventato il suo valore
strumentale, la sua funzione di mezzo per dominare gli uomini e la natura. […] Avendo rinunciato alla sua
autonomia, la ragione è diventata uno strumento. Nell’aspetto formalistico della ragione soggettiva,
sottolineato dal positivismo, è messa in rilievo la sua indipendenza dal contenuto oggettivo; nell’aspetto
strumentale sottolineato dal pragmatismo, è messo in rilievo il suo piegarsi a contenuti eteronomi. La ragione
è ormai completamente aggiogata al processo sociale; unico criterio è diventato il suo valore strumentale, la
sua funzione di mezzo per dominare gli uomini e la natura.61

58
Ivi. p.12.
59
Si pensi oltre al già citato Bacone all’idea di una mathesis universalis in Cartesio o la più tarda idea di una
characteristica universalis in Leibniz. In particolare nell’idea leibniziana il calcolo voleva essere anche un modo di
risoluzione di questioni politiche.
60
Ivi, p. 29.
61
Max Horkeimer, Eclipse of Reason, Oxford University Press, 1947 [= Eclissi della Ragione, a cura di Elena Vaccari
Spagnol, Einaudi, Torino, 1969], p. 25.

28
Adorno, nel saggio Cultura e amministrazione, pubblicato negli Scritti sociologici riprende
direttamente la tesi weberiana integrando il processo di razionalizzazione con quello marxiano di
feticismo delle merci, mostrando come queste due dimensioni - e potremmo dire Weber e Marx che
le hanno scoperte - siano di fatto complementari, e che i due fenomeni siano di fatto collegati.

Adorno scrive:

L'immanente tendenza all'espansione e all'autonomia dell'amministrazione come pura forma di dominio riesce
difficilmente a spiegare, da sola, il passaggio dagli apparati amministrativi nel vecchio senso a quelli del
mondo amministrato; il suo ingresso in campi prima non amministrati. Responsabile di questo fenomeno
potrebbe essere l'estensione del rapporto di scambio a tutta la vita, che si accompagna alla crescente
monopolizzazione. Pensare in termini di equivalenza produce naturalmente una razionalità analoga, per
principio, a quella amministrativa, in quanto determina la commensurabilità di tutti gli oggetti, la possibilità
di sussumerli sotto regole astratte. Si riducono le differenze qualitative fra le sfere e all'interno di ogni singola
sfera, e quindi diminuisce la loro resistenza contro l'amministrazione.62

62
Theodor W. Adorno, Kultur und Verwaltung in Soziologische Schriften, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Mein, 1979
[= Cultura e amministrazione in Scritti sociologici, a cura di Anna Marietti Solmi, Einaudi, Torino, 1978]

29
1.3 Dominio e Potere

C’è da dire, ed è un aspetto particolarmente interessante per il nostro itinerario all’interno dell’opera
adorniana, che la teoria critica della società si sia intersecata, negli ultimi anni, con l’opera di Michel
Foucault. Genealogia e teoria critica sembrano essere due strade che spesso, seppur non direttamente,
entrano in contatto vicendevolmente e che vanno, su due strade parallele verso lo stesso intento
demistificatorio: è lo stesso filosofo francese a riconoscerlo quando in Strutturalismo e post-
strutturalismo scrive:

[…] Da Max Weber ad Habermas. E la stessa domanda sorge lì: come vanno le cose per quanto riguarda la
storia della ragione, la sua influenza e le differenti forme in cui opera […] Oggi, ovviamente, se fossi stato in
contatto con la Scuola di Francoforte, se l’avessi conosciuta allora [quando ero studente], non avrei detto un
sacco di stupidità che invece ho detto ed avrei potuto evitare molti giri tortuosi che ho fatto cercando di
perseguire il mio modesto percorso quando, invece, alcune strade erano state aperte dalla Scuola di
Francoforte…63

E ancora in un’intervista rilasciata a Duccio Trombadori nel 1978:

Per quanto mi riguarda, penso che i francofortesi abbiano posto problemi attorno ai quali ancora ci si affatica:
tra gli altri, quello degli effetti di potere connessi a una razionalità che si è definita storicamente,
geograficamente, nell'Occidente a partire dal secolo XVI in poi. L'Occidente non avrebbe potuto attingere i
risultati economici, culturali che gli sono propri, senza l'esercizio di quella specifica forma di razionalità. Ora,
co-me dissociare questa razionalità dai meccanismi, le procedure, le tecniche, gli effetti di potere che la de-
terminano, che noi non accettiamo più indicandoli come la forma di oppressione tipica delle società
capitalistiche, e forse anche delle società socialiste? Non si potrebbe concludere che la promessa
dell'Aufklärung, di attingere la libertà tramite l'esercizio della ragione, si è al contrario rovesciata in un dominio
della ragione stessa, che toglie vieppiù spazio alla libertà? È un problema fondamentale, in cui tutti ci
dibattiamo, che è comune a tanti, siano essi comunisti oppure no.64

È particolarmente interessante notare come Foucault, sebbene nelle sue opere non citi quasi mai
direttamente i francofortesi, se non in rare interviste o frammenti, ne utilizzi, spesso, categorie
concettuali.

Foucault infatti inserisce sé stesso e gli studiosi dell’Institut für Sozialforschuung nella stessa
tradizione di demistificazione delle dinamiche del potere65 con prima di loro Hegel, Nietzsche, Marx

63
Michel Foucault, Strutturalismo e post-strutturalismo, in Il discorso, la storia, la verità, Einaudi, Torino, 2001, pp.
310-311.
64
Duccio Trombadori, Colloqui con Foucault, Castelvecchi, Roma, 2005, p.81
65
Foucault nota anche come in Germania, il problema dell’Aufklärung, rispetto al resto d’Europa, venga formulato
diversamente alla luce dell’opera dei francofortesi, di Marx, di Nietzsche e di Weber. Scrive infatti in La vita: l’esperienza
e la scienza che: «Bisognerebbe forse cercare il motivo per cui la questione della Aufklärung ha avuto, senza mai

30
e Weber. Questa traccia vuole costruirsi secondo Foucault come un pensiero critico immanente alla
realtà sociale.

Scrive Foucault in Che cos’è l’illuminismo?:

Che cos’è la nostra attualità? Quale è il campo attuale delle nostre esperienze possibili? Non si tratta di
un’analitica della verità, ma di quella che potrebbe essere definita un’ontologia del presente, un’ontologia di
noi stessi […] optare per un pensiero critico che avrà la forma di un’ontologia di noi stessi, di un’ontologia
dell’attualità: e questa forma di filosofia, che, da Hegel alla Scuola di Francoforte, passando per Nietzsche e
Max Weber, ha fondato una forma di riflessione alla quale ho cercato di lavorare.66

Possiamo dire che in questa ontologia dell’attualità confluiscano sia la teoria critica che la genealogia
foucaultiana: una critica immanente della realtà sociale che va a risalire ai miti di fondazione di una
razionalità che si esprime nelle dinamiche di dominio e potere.

Come scrive, Salvo Vaccaro in Adorno e Foucault: pensare di soglia (1990), infatti:

La riflessione filosofica si fa investigazione spazio-temporale di “quel presente che noi stessi siamo”,
assumendo contestualmente un profilo immanentemente politico e storico; ma tale riflessione non deve
ripiegare solo su se stessa, come coscienza pacificata nell’atto della comprensione, bensì rintracciare un
presente centrifugato, la cui esperienza ci “consenta di uscirne trasformati”67. L’identificazione di questa
“ontologia autoriflessiva” nomina un pensiero di soglia che delimita un topos dell’occidente, che si apre come
interfaccia su una zona ancora inesplorata, contribuendo ad inaugurare un passaggio, a sondare un varco, a
battere un sentiero. Questa topologia, azzardata e pericolosamente eretica, si estende attraverso tutti i risvolti
del pensare adorniano e foucaultiano, senza complessività e omogeneità di simmetrie nelle interrogazioni e
nelle soluzioni avanzate. Questa topologia nebulosa va formandosi per frammenti incrociati, per
affastellamenti di piani, per complementarietà involontarie, per incastonature di parti, secondo una specifica
originalità irriducibile l’una all’altra.68

E ancora:

Non si tratta, intanto, di rintracciare anticipazioni foucaultiane in Adorno o eredità adornaiane in Foucault
secondo una ermeneutica filologica; piuttosto, di far rispecchiare l’uno sull’altro due stili che si intersecano in

scomparire, un destino così differente nella tradizione della Germania, in quella della Francia e in quella dei paesi
anglosassoni; il motivo per cui è stata investita in ambiti così diversi e secondo cronologie così varie. Diciamo, comunque,
che la filosofia tedesca ha messo in rilievo tale questione soprattutto attraverso una riflessione storica e politica sulla
società (con un problema centrale: l’esperienza religiosa nel suo rapporto con l’economia e lo Stato); dai posthegeliani
alla scuola di Francoforte e a Lukács, passando per Feuerbach, Marx, Nietzsche e Max Weber, ne sono tutti testimoni.»
[Michel Foucault, La vita: l’esperienza e la scienza in Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste vol. 3, a cura di
Alessandro Pandolfi, Feltrinelli, Milano, 1998, p. 320]
66
Michel Foucault, Che cos’è l’illuminismo? Che cos’è la rivoluzione? in Il centauro, 11-12, maggio-dicembre 1984.
67
Duccio Trombadori, Colloqui con Foucault, cit., p. 21
68
Salvo Vaccaro, Adorno e Foucault. Pensare di Soglia, in Adorno e Foucault – Congiunzione disgiuntiva, a cura di
Franco Riccio, Salvo Vaccaro, Ila Palma, Palermo, 1990, p. 11

31
determinate zone cruciali, ove il pensare di Adorno e Foucault rivelano, pur con montaggi teorici diversi, una
medesima condizione di dialogicità, di intercomunicabilità.69

Il campo nel quale questi due itinerari si intersecano è quello dell’Aufklärung e della razionalità
strumentale che da esso scaturisce. Si tratta di risalire genealogicamente al momento di fondazione
di una razionalità tesa al dominio e delle sue procedure di controllo.

Foucault scrive in La vita: l’esperienza e la scienza:

Molti processi che segnano la seconda metà del secolo XX hanno riportato la questione dell’Illuminismo al
centro delle preoccupazioni contemporanee. In primo luogo, l’importanza assunta dalla razionalità scientifica
e tecnica nello sviluppo delle forze produttive e nel gioco delle decisioni politiche. In secondo luogo, la storia
stessa di una “rivoluzione”, la cui speranza, sin dalla fine del secolo XVIII, era stata sostenuta da un
razionalismo a cui si è in diritto di chiedere quanta parte abbia avuto negli effetti di dispotismo in cui questa
speranza si è smarrita. Infine, il movimento attraverso cui ci si è messi a domandare, in Occidente e
all’Occidente, quali titoli detenessero la sua cultura, la sua scienza, la sua organizzazione sociale e, infine, la
sua stessa razionalità per pretendere una validità universale: è qualcosa di diverso da un miraggio legato a un
dominio e a un’egemonia politica? Due secoli dopo la sua comparsa, torna la Aufklärung: come un modo, per
l’Occidente, di prendere coscienza delle sue possibilità attuali e delle libertà a cui può accedere, ma anche
come un modo per interrogarsi sui suoi limiti e sui poteri di cui si è servito. La ragione come dispotismo e,
insieme, come luce.»70

Esattamente come in Dialettica dell’Illuminismo, per Foucault l’Aufklärung ha una sua doppiezza: da
una parte si pone come luce in grado di «togliere agli uomini la paura»71, dall’altra li rende schiavi
attraverso una vera e propria egemonia politica, impalpabile ed ineluttabile.

La razionalità del potere infatti, come scrive ancora Vaccaro, in entrambi i filosofi, tende a inglobare
e a introiettare (Adorno direbbe che si tratta di un procedimento di sintesi dialettica) ogni tentativo di
resistenza.

Scrive ancora Vaccaro:

Questa razionalità del potere sempre aperto, duttile, elastico, di gomma se lo si dovesse immaginare
plasticamente, alimenta i conflitti; il potere ingloba nel proprio gioco le resistenze, razionalizzandole sotto
forma di contro-poteri e di anti-poteri. I primi premono nel conflitto, nello scontro, contrapponendo altri punti
nodali, altre catene trasversali e frammentate, non univoche, di saperi, etiche e valori; i secondi, sempre per

69
Ibid.
70
Michel Foucault, La vita: l’esperienza e la scienza in Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste vol. 3, a cura
di Alessandro Pandolfi, Feltrinelli, Milano, 1998, p. 321
71
Theodor W. Adorno, Max Horkeimer, Dialettica dell’illuminismo, cit., p. 11

32
restare nella metafora strategico-militare, aggirano, eludono, vanificano, dissolvono, irridendole, strategie,
dispositivi, griglie di controllo, regolazioni disciplinari.72

E ancora:

Il sortilegio del potere riacquista, nella concezione adorniana e foucaultiana, una dimensione mondana e
storica, e ciò fa ritenere che un giorno potrà essere spezzata quella catena che reitera la sua identità ogni
qualvolta si nominano i suoi punti di catastrofe: […].73

È particolarmente interessante notare come una delle più importanti modalità di dominio sia quella
volontà di verità messa in luce da Michel Foucault in L’Ordine del Discorso (1971). Essa

disegnava piani d’oggetti possibili, misurabili, catalogabili; una volontà di spere che prescriveva a che livello
tecnico le conoscenze tecniche avrebbero dovuto investirsi per essere verificabili e utili»74.

E ancora:

«questa volontà di verità, come gli altri sistemi di esclusione, poggia su di un supporto istituzionale: essa è
rinforzata, e riconfermata insieme, da tutto uno spessore di pratiche come la pedagogia, certo, come il sistema
dei libri, dell’editoria, delle biblioteche. […] Ma essa è anche riconfermata, senza dubbio più profondamente,
dal modo in cui il sapere è messo in opera in una società, dal modo in cui è valorizzato, distribuito, ripartito e
in certo qual modo attribuito.75

Axel Honneth, ultimo esponente della scuola di Francoforte in un articolo dal titolo Foucault e
Adorno. Due forme di una critica della modernità (1990), nota come entrambe le analisi, sia quella
foucaultiana che quella adorniana sono centrate «sull’esperienza di un notevole accrescimento del
potere e della coercizione»76.

In questo senso quello dei nostri filosofi è un tentativo di una genealogia di questo accrescimento,
riscontrando nella storia della filosofia e nella scienza (per quanto riguarda Adorno e Horkeimer) o
nelle procedure di esclusione come la follia, la volontà di verità o la prigione (per quanto riguarda
Foucault) la nascita e le simili determinazioni del potere.

72
Salvo Vaccaro, Adorno e Foucault. Pensare di Soglia, cit., p. 33
73
Ivi, p. 35
74
Michel Foucault, L'Ordre du discour, Gallimard, Paris, 1971 [= L’Ordine del Discorso, trad it. a cura di Alessandro
Fontana, Mauro Bertani e Valeria Zini, Einaudi, Torino, 2004] p. 9.
75
Ivi, p. 10.
76
Axel Honneth, Foucault e Adorno. Due forme di una critica della modernità, in Adorno e Foucault – Congiunzione
disgiuntiva, a cura di Franco Riccio, Salvo Vaccaro, Ila Palma, Palermo, 1990

33
Basterebbe, ad esempio, leggere questo passo tratto di Foucault e che mostra la comunità di intenti
tra Sorvegliare e punire (1975) e Dialettica dell’illuminismo:

Storicamente, il processo per cui la borghesia è divenuta nel corso del secolo Diciottesimo la classe
politicamente dominante si è riparato dietro la messa a punto di un quadro giuridico esplicito, codificato,
formalmente egalitario, e attraverso l'organizzazione di un regime parlamentare e rappresentativo. Ma lo
sviluppo e la generalizzazione dei procedimenti disciplinari hanno costituito l'altro versante, oscuro, di quei
processi. La forma giuridica generale che garantiva un sistema di diritti uguali in linea di principio, era sottesa
da meccanismi minuziosi, quotidiani, fisici, da tutti quei sistemi di micropotere, essenzialmente inegalitari e
dissimmetrici, costituiti dalle discipline. E se, in modo formale, il regime rappresentativo permette che
direttamente o indirettamente, con o senza sostituzioni, la volontà di tutti formi l'istanza fondamentale della
sovranità, le discipline forniscono, alla base, la garanzia della sottomissione delle forze e dei corpi. Le
discipline reali e corporali hanno costituito il sottosuolo delle libertà formali e giuridiche. Il contratto poteva
ben essere postulato, come fondamento ideale del diritto e del potere politico; il panoptismo costituiva il
procedimento tecnico, universalmente diffuso, della coercizione. Esso non ha cessato di operare in profondità
nelle strutture giuridiche della società, per far funzionare i meccanismi effettivi del potere contro il quadro
formale che questo si era dato. I «Lumi» che hanno scoperto le libertà, hanno anche inventato le discipline.77

Honneth continua facendo riferimento alle differenze tra i due pensatori mostrando come, secondo
lui, entrambi i pensatori facciano riferimento a due diverse interpretazioni del concetto di
razionalizzazione formulato da Weber:

[…] mentre la nozione adorniana di “razionalizzazione” è concepita più in funzione del modello di dominio
della natura, quella di Foucault si conforma invece al modello di controllo sociale; il primo intende allora per
“razionalizzazione” essenzialmente: rafforzamento delle forze produttive, conseguentemente nel senso di una
lettura marxista di Weber, mentre il secondo procede di contro nel senso di una interpretazione nietzschiana
di Weber comprendendo la “razionalizzazione” come il rafforzamento nella società degli strumenti di potere
e controllo. Pertanto, la razionalità è effettivamente compresa nel primo caso come ragione strumentale, mentre
nel secondo caso come ragione strategica. Tuttavia i due autori presuppongono entrambi che il processo di
crescita della razionalizzazione che, sotto le fallaci apparenze di una emancipazione morale, perfeziona gli
strumenti tecnici del dominio sociale e che istruisce così dall’interno l’individuo moderno, uniformato
dall’assoggettamento. Il rafforzamento del dominio e la formazione dell’identità sono le due facce d una stessa
medaglia e di uno stesso processo di razionalizzazione strumentale.78

Possiamo quindi dire che la teoria critica miri a distruggere l’ordine totalitario che il potere produce
e la sua industria culturale, il suo controllo diretto su ogni aspetto delle sovrastrutture. Radio,
televisione, giornali, e ai nostri giorni anche gran parte delle informazioni presenti su internet, sono
confezionate dal capitale per mantenere i rapporti di forza vigenti. Anche le produzioni artistiche sono
frutto del dominio di classe, l’arte, nella società industriale avanzata, diventa un’espressione della

77
Michel Foucault, Surveiller et punir. Naissance de la prison, Gallimard, Parigi, 1975 [= Sorvegliare e punire. Nascita
della prigione, a cura di Alcesti Tarchetti, Einaudi, Torino, 1976, pp. 241-242]
78
Axel Honneth, Foucault e Adorno. Due forme di una critica della modernità, cit., p. 117

34
tecnica, riproducibile e modificabile secondo le determinazioni del potere (basti pensare a L'opera
d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica (1936) di Walter Benjamin):

La violenza della società industriale opera sugli uomini una volta per tutte. I prodotti dell’industria culturale
possono contare di essere consumati alacremente anche in uno stato di distrazione. Ma ciascuno di essi è un
modello del gigantesco meccanismo economico che tiene tutti sotto pressione fin dall’inizio, nel lavoro e nel
riposo che gli assomiglia. Da ogni film sonoro, da ogni trasmissione radio, si può desumere ciò che non si
potrebbe ascrivere ad effetto di nessuno di essi preso singolarmente, ma solo di tutti quanti insieme nella
società. Immancabilmente, senza eccezione, ogni singola manifestazione dell'industria culturale torna a fare
degli uomini ciò che li ha già resi l’industria culturale intera. E ad impedire che questo processo di riproduzione
semplice dello spirito possa mai dare luogo a quella allargata, vegliano tutti i suoi agenti, dal produttore fino
alle associazioni femminili.79

Quindi questo potere totalitario è sostenuto, a dire di Foucault, e in un certo senso anche dai
francofortesi, da una parte direttamente da parte un apparato istituzionale e quindi dal dominio,
dall’altro dall’intero apparato di produzione del sapere che diventa non solo un apparato tecnico, ma
anche un apparato apologetico con la produzione dell’industria culturale, e metafisico in quanto,
usando le parole dello stesso Adorno.

L’ideologia esorta oggi più che mai il pensiero alla positività, essa registra astutamente che proprio questa è
contraria al pensiero e che c’è bisogno del conforto amichevole dell’autorità sociale, per abituarlo alla
positività.80

Anche il valore di verità delle cose viene radicalmente trasformato. Come scrive Marcuse nel suo
L’Uomo ad una dimensione del 1967, «quello che conta è il valore di scambio, non il valore di verità.
Su di esso si impernia la razionalità dello status quo, e ogni forma di razionalità ad esso estranea viene
piegata a suo favore»81.

79
Theodor W. Adorno, Max Horkeimer, Dialettica dell’Illuminismo, cit., pp. 133-134.
80
Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p.18.
81
Herbert Marcuse, Uomo ad Una Dimensione, cit., p.76.

35
1.4 Contrapposizione commisurante e dialettica

Abbiamo già precedentemente asserito come di fatto ci siano dei punti di contatto tra l’analisis
dialettica di Adorno e la domanda heideggeriana sul senso dell’essere e di come l’intera opera
adorniana sia, di fatto, un rivolgersi polemicamente nei confronti di Heidegger. Tra i due pensatori,
però c’è molto più in comune di quanto si possa pensare, soprattutto per quanto riguarda le
determinazioni implicite del potere.

Raramente, anzi, quasi mai, Heidegger si lascia andare a commenti sulla società a lui contemporanea,
di quello stato di inautenticità che si riversa nell’orizzonte storico nel quale egli vive, ma qui, nel
paragrafo §27 di Essere e tempo possiamo asserire che esiste una vicinanza marcata con Dialettica
dell’Illuminismo, probabilmente influenzata, come vedremo, dalla comune lettura del Lukács di
Storia e coscienza di classe.

Le determinazioni implicite del potere hanno a che fare con il rapporto con Hegel, e soprattutto
sull’effetto sociale che assume la sintesi dialettica sulla quale i due pensatori sono giunti a analisi e
conclusioni simili: dove Adorno avrebbe parlato di pacificazione, Heidegger parla di Abständigkeit,
termine che Pietro Chiodi traduce con contrapposizione commisurante.

Se leggiamo le parole che usa Heidegger per descrivere la contrapposizione commisurante possiamo
scorgere la dialettica hegeliana e ai suoi risultati. La pacificazione dialettica e il discioglimento del
finito nell’infinito, producono il meccanismo sociale che permette al potere il riassorbimento della
volontà individuale, in nome del tutto sociale decadendo nella medietà, perdendo la propria
dimensione autonoma. Infatti:

Quella tendenza del con-essere a cui abbiamo dato il nome di contrapposizione commisurante si fonda nel
fatto che l’essere-assieme come tale procura la medietà. La medietà è un carattere esistenziale del Si. Nel Si,
ne va, quanto al suo essere, essenzialmente di essa. Esso si mantiene perciò di fatto nella medietà di ciò che si
conviene, di ciò che si accetta e di ciò che si rifiuta, di ciò a cui si concede credito e di ciò a cui lo si nega.
Nella determinazione di ciò che è possibile o lecito tentare, la medietà sorveglia ogni eccezione che si fa
innanzi. Ogni primato è silenziosamente livellato. Ogni originalità è subito dissolta nel risaputo, ogni grande
impresa diviene oggetto di transazione, ogni segreto perde la sua forza. La cura della medietà rivela una nuova
ed essenziale tendenza dell’Esserci: il livellamento di tutte le possibilità di essere.82

La contrapposizione commisurante quindi opera un livellamento sostanziale dell’esserci che viene


sottoposto alla dittatura del si (Man): si dice, si pensa, si fa secondo quelle che sono le determinazioni

82
Martin Heidegger, Sein und Zeit, Max Niemeyer Verlag, Tübingen, 1967 [= Essere e tempo, a cura di Franco Volpi,
Longanesi, Milano, 2014, p. 159]

36
imposte dalla società, sebbene per via del metodo fenomenologico di sospensione del giudizio
utilizzato in Essere e tempo egli non utilizzi termini che rimandino al concetto di società. Heidegger
fa notare infatti come

nell’uso dei mezzi di trasporto o di comunicazione pubblici, dei servizi di informazione (i giornali), ognuno è
come l’altro. Questo essere-assieme dissolve completamente il singolo Esserci nel modo di essere “degli altri”,
sicché gli altri dileguano ancora di più nella loro particolarità e determinatezza. In questo stato di irrilevanza e
di indistinzione il Si esercita la sua autentica dittatura. Ce la passiamo e ci divertiamo come ci si diverte;
leggiamo, vediamo e giudichiamo di letteratura e di arte come si vede e si giudica. Ci teniamo lontani dalla
“gran massa” come ci si tiene lontani, troviamo “scandaloso” ciò che si trova scandaloso. Il Si, che non è un
Esserci determinato ma tutti (anche se non come somma), decreta il modo di essere della quotidianità.83

Quindi l’essere pubblico dell’esserci, la sua pubblicità, costruisce quella che si può definire la
narrazione borghese:

La presunzione del Si di condurre una vita piena e genuina crea nell’esserci uno stato di tranquillità: tutto va
nel modo migliore e tutte le porte sono aperte. L’essere-nel-mondo deiettivo è verso sè stesso tentatore e, allo
stesso tempo tranquillizzante.84

Possiamo notare, volendo tirale le fila del discorso, usando le parole di Francesco Mora, nel suo
Martin Heidegger, la provincia dell’uomo (2011) che

questa forma di deresponsabilizzazione, che origina dal dominio totalizzante del Si, ha la funzione di porre in
sicurezza e mantenere la tranquillità dell’essere umano, allo stesso modo che lo stato moderno ha la propria
origine nella concreta realizzazione della pace, dopo l’epoca del bellum omnium contra omnes dello stato di
natura, nel cedere cioè ad Altri i propri diritti e con essi anche la possibilità di decisione e quindi la
responsabilità. La tranquillità dell’uomo viene raggiunta in virtù di un’operazione di identificazione formale
dei differenti che, con terminologia oggi in voga ma forse sociologicamente compromessa, si potrebbe
chiamare omologazione e che instaura il dominio non tanto del Sovrano, come accade nello stato moderno, ma
la democrazia del Nessuno.85

È evidente qui un influsso in Heidegger delle istanze anti-borghesi della rivoluzione conservatrice86
sviluppatesi tra le due guerre, ma è senz’altro evidente che da questo punto di vista l’analitica

83
Ivi, p. 158.
84
Ivi, p. 217.
85
Francesco Mora, Martin Heidegger, La Provincia Dell’uomo - Critica della civiltà e crisi dell’umanismo (1927-1946),
Mimesis, Milano, 2011, p. 71.
86
Sul ruolo di corrispondenza intellettuale di Heidegger con i filosofi della rivoluzione conservatrice del calibro di Junger,
Spengler e Schmidt si rimanda al testo di Ernst Nolte Heidegger e la Rivoluzione Conservatrice. L’Argomentazione di
Nolte procede individuando in Heidegger solo una delle istanze principali della rivoluzione conservatrice: la radicale
critica della civilizzazione e l’istanza antiborghese probabilmente ispirate dall’esperienza della sconfitta tedesca nella
prima guerra mondiale. Rispetto agli altri autori però «la critica della civilizzazione in Heidegger si spinge invece assai

37
esistenziale abbia un debito nei confronti di Marx e del marxismo dialettico87 degli anni ’20, grande
punto di riferimento anche dei francofortesi, in particolare del primo periodo dell’Institut. In
particolare i capitoli centrali di Essere e Tempo, riguardanti la distinzione tra esistenza autentica e
inautentica e le determinazioni di quest’ultima, devono molto a Storia e Coscienza di Classe di
Lukács, come fa notare Lucien Goldmann nel celebre Lukács e Heidegger88 (1976).

Goldmann fa notare come tra Storia e Coscienza di Classe e Essere e Tempo, rispettivamente del
1923 e del 1927 ci sia un evidente collegamento sia terminologico che concettuale tra le due opere.
Prima di tutto, sebbene Lukács non venga mai nominato da Heidegger, il maggiore contributo
originale lukácsiano, ovvero la teoria della Verdinglichung des Bewusstseins (reificazione della
coscienza), viene direttamente citata tra virgolette, quindi indicando una corrispondenza diretta, nel
§ 10 di Essere e Tempo89.

Tirando le fila di questo discorso possiamo dire, utilizzando le parole di Mora, che

il pensiero di Heidegger traccia il solco di un antisocialitarismo che imputa alla società la responsabilità di
aver alienato e sradicato il senso dell’uomo, dialetticizzando, e quindi virtualizzando, ogni forma di confl itto,
che ora si trasforma in sterili discussioni ‘politiche’, frutto del metodo dialogico delle democrazie parlamentari,
in infinite interpretazioni e visioni del mondo; l’antidialetticità e l’antihegelismo si rivelano essenziali alla
determinazione dell’autentico senso dell’ente uomo che, divenuto coscienza, superato lo stadio del desiderio
animale e della sua soddisfazione, cercando l’innaturale riconoscimento crede dialetticamente di divenire
autocoscienza solo grazie agli Altri, ossia solo in ambito sociale, perdendo al contrario il proprio Sé.90

più lontano che nelle opere della maggior parte degli autori della rivoluzione conservatrice, in quanto attraversa tutto il
complesso del suo lavoro sino a giungere dopo il 1945 al concetto di “Ge-stell” e di civilizzazione mondiale devastante.»
[Ernst Nolte, Heidegger e la Rivoluzione Conservatrice, Sugarco, Milano, 1997, p. ]
87
Si fa riferimento alla ripresa del marxismo che viene dal lavoro, oltre che del Lukács di Storia e coscienza di classe, di
Karl Korsch e del suo Il Marxismo e la filosofia, entrambi nucleo di una ripresa hegeliana di Marx che, oltre che Heidegger
influenzerà profondamente anche i francofortesi, tanto che Korsch sarà invitato più volte a pubblicare nella Zeitschrift für
Sozialforschuung.
88
Lucien Goldmann, Lukács et Heidegger, Denoel, Paris, 1973 [= Lukács e Heidegger, a cura di E. Dorigotti, Bertani,
Verona, 1976].
89
«Allerdings ist diese historische Exemplifizierung der Absicht der Analytik zugleich irreführend. Eine ihrer ersten
Aufgaben wird es sein zu erweisen, daß der Ansatz eines zunächst gegebenen Ich und Subjekts den phänomenalen
Bestand des Daseins von Grund aus verfehlt. Jede Idee von “Subjekt” macht noch – falls sie nicht durch eine vorgängige
ontologische Grundbestimmung geläutert ist – den Ansatz des subjectum (ὑποκείμενον) ontologisch mit, so lebhaft man
sich auch ontisch gegen die »Seelensubstanz« oder die ”Verdinglichung des Bewußtseins” zur Wehr setzen mag.
Dinglichkeit selbst bedarf erst einer Ausweisung ihrer ontologischen Herkunft, damit gefragt werden kann, was positiv
denn nun unter dem nichtverdinglichten Sein des Subjekts, der Seele, des Bewußtseins, des Geistes, der Person zu
verstehen sei.» (Uno dei primi compiti dell’analitica sarà dimostrare che, se si muove da un io o da un soggetto già dati,
si fallisce del tutto il contenuto fenomenico dell’Esserci. Ogni idea di «soggetto», quando non sia stata chiarita attraverso
una determinazione ontologica preliminare di fondo, è ancora ontologicamente partecipe del principio del subjectum
(ὑποκείμενον), anche se, onticamente, ripudia nel modo più netto la teoria dell’«anima come sostanza» e la «reificazione
della coscienza». Affinché sia possibile chiedersi che cosa si intenda positivamente quando si parla di un essere del
soggetto, dell’anima, della coscienza, dello spirito, della persona, non reificato, bisogna innanzi tutto aver mostrato la
provenienza ontologica della cosità come tale.) Martin Heidegger, Sein und Zeit, 1927 [= Essere e tempo, a cura di Franco
Volpi, Longanesi, Milano, 2014, p. ]
90
Francesco Mora, Martin Heidegger, La provincia dell’uomo, cit., pp. 72-73.

38
Rispetto a questo discorso, Adorno condivide la diagnosi, ma non la cura del problema. È senz’altro
vero, per il nostro filosofo, che la dialettica, che Adorno avrebbe definito come dialettica affermativa,
ha fornito, sia nella società industriale avanzata, che nel cosiddetto socialismo reale, il seme del
dominio, ma per Adorno è fondamentale il non ritrarsi a stati originari, o a bisogni ontologici91, ma è
fondamentale sporcarsi le mani con il reale, immergersi nel non-identico.

Infatti, scrive Adorno in L’Attualità della filosofia che

«l’idea dell’essere è diventata impotente, essa non è altro che un principio formale la cui dignità arcaica aiuta
a rivestire di senso qualunque contenuto. La pienezza del reale, intesa come totalità, non si lascia racchiudere
nell’idea dell’essere, che le conferirebbe un senso, e non è nemmeno possibile che l’idea dell’ente prenda
forma muovendo dal reale.»92

91
Cfr. Cap 2.4
92
Theodor W. Adorno, Attualità della Filosofia, cit., p. 38.

39
2

Logik des Zerfalls

Solo chi, prendendo posizione, ha fatto la sua pace


dialettica con il mondo, è in grado di cogliere il reale. Ma
se uno vuole decidere “in base ai fatti” questi fatti gli
sfuggiranno.93

Walter Benjamin, Immagini di città

2.1 Dalla dialettica della negatività a Dialettica negativa

Svelata la compromissione del pensiero con il potere sociale, e mostrato come il capitalismo abbia
costruito il suo dominio attraverso i concetti di ragione e totalità, Adorno si trova, in Dialettica
negativa, a riprendere il problema dialettico alla radice. Come fa notare Nicoletta Di Placido in La
Dialettica negativa di Adorno. Hegel tra emancipazione e tradizione (2016):

Critica del sistema filosofico e critica della società si fondono in Adorno a partire dal presupposto, già
dispiegato nella Dialettica dell’illuminismo, che i rapporti sociali di dominio vanno di pari passo con quella
teoria che incarna il trionfo del principio di identità attraverso il lavoro del concetto sul non-concettuale.
Svelare la violenza dell’apparato categoriale filosofico e criticare il dominio sociale fanno tutt’uno nella
filosofia adorniana: “la critica della società è critica della conoscenza, e viceversa”.94

Dialettica negativa comincia esattamente esprimendo il titolo paradossale dell’opera ed esplicitando


il compito che si pone l’opera e che si pone grande direttrice del lavoro del nostro filosofo:

L’espressione Dialettica negativa viola la tradizione. Già in Platone la dialettica esige che attraverso lo
strumento di pensiero della negazione si produca un positivo; più tardi la figura di una negazione della
negazione lo ha nominato in modo pregnante. Questo libro vorrebbe liberare la dialettica da una siffatta essenza

93
Walter Benjamin, Städtebilder, Suhrkamp, Frankfurt au Main, 1963 [= Mosca, in Immagini di Città, a cura di Enrico
Gianni, Einaudi, Torino, 2007, p. 18]
94
Nicoletta di Placido, La Dialettica negativa di Adorno. Hegel tra emancipazione e tradizione, in “Polemos”, 1/2016,
Febbraio, pp. 251-252. La citazione di Adorno è tratta da Theodor W. Adorno, Stichworte. Kritische Modelle, 1969 [=
Parole chiave. Modelli critici, a cura di M. Argati, SugarCo, Milano, 1974, p. 219]

40
affermativa, senza perdere neanche un po’ di determinatezza. Una delle sue intenzioni è l’esplicitazione del
suo titolo paradossale.95

Possiamo dire che questo obiettivo paradossale sia quello di costruire una filosofia, una teoria
dell’interpretazione96, usando il gergo de L’Attualità della filosofia, in grado di andare oltre la
trappola ideologica della totalità. Come Adorno scrive nella medesima opera, è la dialettica stessa,
intesa come metodo negativo di unità di teoria e prassi, a essere lo strumento di risoluzione
dell’enigma97 della reificazione della coscienza:

Il materialismo è in grado di realizzare il movimento che l’interpretazione filosofica svolge solo come esempio.
La possibilità di questa realizzazione risiede nel fatto che la risposta non rimane nello spazio chiuso della
conoscenza, ma impone il passaggio alla prassi. L’interpretazione della realtà e la sua trasformazione sono,
infatti, riferite l’una all’altra. Certamente la realtà non è sul punto di essere tolta, ma alla costruzione teorica
della figura del reale segue immediatamente la necessità della sua trasformazione. È l’atto della trasformazione
oggettiva della realtà e non la semplice soluzione dell’enigma a garantire l’archetipo delle soluzioni di cui
dispone unicamente la prassi materialista. Il materialismo ha definito questo rapporto tra teoria e prassi con un
nome che ne attesta la provenienza filosofica: dialettica.98

Come abbiamo già asserito nelle pagine precedenti, teoria e prassi vogliono essere in Adorno, come
già in Marx, un vero e proprio binomio osmotico volto alla trasformazione dell’esistente: il problema
dialettico, infatti, il grande problema dell’intera opera adorniana si costituisce essenzialmente dal
problema del passaggio teoria-prassi.

Come scrive Gianpaolo Cherchi in Interpretazione dialettica e fantasia esatta. Sul sistema in Adorno
(2015):

la dialettica viene a identificarsi, per Adorno, con la filosofia interpretante stessa, la quale impone
necessariamente il passaggio all’azione pratica, costringe il pensiero alla prassi (riecheggia qui, in maniera
abbastanza udibile, l’undicesima delle Tesi su Feuerbach). […] Il pensiero, insomma, inteso come pratica
dialettico-interpretativa, assume un valore in quanto capace di produrre – nel senso più autenticamente
marxiano del termine – nuove configurazioni della realtà. Emerge dunque l’idea di una realtà che viene

95
Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, cit., Premessa.
96
Sebbene nell’Adorno più maturo, e in particolare in Dialettica negativa, il ruolo del soggetto interpretante venga
decisamente ridimensionato.
97
Nel primo libro de “Il Capitale”, Marx titola il celeberrimo quarto paragrafo, dedicato al fenomeno del feticismo delle
merci “il carattere di feticcio della merce e il suo arcano”. Il parlare di Adorno di enigma si può accostare a quello di
arcano in Marx: in entrambi sta ad indicare come un oggetto umano vada a essere considerato come “divino” e
immodificabile.
98
Theodor W. Adorno, Attualità della filosofia, cit., p. 53

41
presentata non come un qualcosa di già dato, di stabile ed eternamente esistente, ma come un qualcosa che è
frutto di un processo di costruzione e ricostruzione, suscettibile di variazioni, trasformazioni e modifiche.99

Non è un caso che la primissima pagina di Dialettica negativa cominci con una frase che mette in
luce come la teoria e il conseguente nesso teoria-prassi si mostrino in qualche modo inadeguati a
operare la trasformazione della realtà: «Vielleicht langte die Interpretation nicht zu, die den
praktischen Übergang verhieß.»100

A proposito di questa frase, e del modo in cui è stata tradotta, va osservato che quasi tutti i significati
del verbo langen101 danno l’idea di una certa intenzionalità e di una certa tensione che spinge ad
allungarsi (non dimentichiamoci che il sostantivo Lange significa “lunghezza”) verso qualcosa.

Mettendo a confronto le traduzioni di Dialettica negativa che abbiamo consultato, risultano differenti
sfumature tra le traduzioni e si potrebbe dire tra le visioni politiche dei traduttori.

Mostriamo queste sfumature a livello di traduzione in un breve riepilogo:

Trad. it. a cura di Carlo Alberto Donolo (1970)

forse fu insufficiente l’interpretazione, che promise il passaggio alla prassi (corsivo nostro).

Trad. it. a cura di Pietro Lauro (2004)

forse fu imperfetta l’interpretazione, che promise il passaggio alla prassi (corsivo nostro).

Trad. en. a cura di E. B. Ashton (1973)

Perhaps it was an inadequate interpretation which promised that it would be put into practice. (corsivo nostro)

Trad. en. a cura di Dennis Redmond (2001)

99
Gianpaolo Cherchi, Interpretazione dialettica e fantasia esatta. Sul sistema in Adorno, cit., pp. 137-138.
100
Theodor W. Adorno, Negative Dialektik, cit., p. 15.
101
Il verbo langen viene tradotto nel Das Pons Wörtenbuch come 1: “bastare, prendere, allungare la mano, allungarsi” 2:
“porgere, prendere”. Ne Il nuovo dizionario di Tedesco invece come 1: “arrivare fino a, bastare” 2: “Infilare le mani,
infilare le mani in”.

42
Perhaps the interpretation which promised the transition did not suffice. (corsivo nostro)

Trad. fr. a cura del Collège de philosopie. (2001)

Peut-être l'interprétation était-elle insuffisante, qui promettait le passage à la pratique. (corsivo nostro)

Entrambe le traduzioni italiane102, esattamente come quelle inglesi, di Dialettica negativa


suggeriscano l’idea di “imperfezione” (nel caso, ad esempio, di quella di Lauro, nell’edizione curata
da Petrucciani) o di “insufficienza” (quella di Donolo). Quella inglese di Ashton addirittura parla
di “inadeguatezza” e anche quelle di Redmond e del Collège de philosophie parlano di insufficienza.

Esse mostrano, sebbene in sensi diversi, una sorta di rassegnazione di fronte al fallimento della
filosofia della prassi che i movimenti di contestazione, accaniti lettori dei testi della Scuola di
Francoforte, portavano avanti e il fallimento dell’intero apparato della filosofia marxiana e marxista
che sul binomio teoria-prassi ha costruito la sua efficacia. Probabilmente le traduzioni più recenti
tengono conto della fine delle grandi narrazioni, rendendo de facto la società post ’89 come l’unica
realtà possibile. Sembra quindi che il riassorbimento dialettico e la rassegnazione all’immodificabilità
della realtà possa colpire anche i teorici critici francofortesi (basti pensare alle «ruminazioni social-
democratiche di Habermas»103)

Per restituire alla frase di Adorno il suo autentico significato, si vuole proporre una traduzione
differente, intesa a mettere in risalto, non già la rassegnazione, ma il carattere di rottura nei confronti
delle categorie filosofiche dominanti (marxismo ortodosso compresso) e l’apertura nei confronti della
trasformazione della realtà104, ponendo l’accento sul non raggiungimento di questa interpretazione.

Ci sembra più appropriato, quindi, tradurre la frase di Adorno nel seguente modo: «forse non fu
raggiunta l’interpretazione, che promise il passaggio alla prassi» (corsivo nostro).

102
Sono state considerate nella trattazione, oltre al testo originale tedesco e alla traduzione italiana di Pietro Lauro
nell’edizione curata da Stefano Petrucciani nel 2004, quella meno recente a cura di Carlo Alberto Donolo (1970) le due
inglesi a cura di Dennis Redmond (2001) e E. B. Ashton (1973) e quella francese a cura del College de Philosophie
(2001).
103
John Holloway, Negativity and Revolution Adorno and Political Activism, Pluto Press, London, 2009, p. 15 (traduzione
nostra)
104
È senz’altro vero che nell’Adorno maturo l’esigenza di trasformazione della realtà venga meno rispetto alle esigenze
di creare teoria. È indicativa a questo proposito l’accusa che fa Geörgy Lukács ad Adorno e agli altri francofortesi nella
Teoria del romanzo: «Una parte considerevole della migliore intellighenzia tedesca, fra cui lo stesso Adorno, ha preso
alloggio – come scrissi in una mia critica a Schopenhauer – presso il «Grand Hotel dell’Abisso», un «bell’Hotel, fornito
di ogni comfort, sull’orlo dell’abisso, del nulla e dell’insensato. E la visione giornaliera dell’abisso, tra produzioni
artistiche e pasti goduti negli agi, può solo accrescere la gioia procurata da questo raffinato comfort» [Geörgy Lukács,
Die Theorie des Romans, Cassirer, Berlin, 1920 [= Teoria del romanzo, a cura di Giuseppe Raciti, SE, Milano, 2004, pp.
19-20].

43
È interessante notare, oltre a quel langte nicht la presenza del termine Übergang105, letteralmente
“passaggio”, “attraversamento”, “transizione”. Ritroviamo questo termine in Hegel che lo usa per
indicare il passaggio tra le fasi dialettiche. Ad esempio nel § 384 dell’Enciclopedia delle scienze
filosofiche in compendio dedicato alla rivelazione dello spirito come creazione del mondo per indicare
il carattere in divenire della rivelazione usa Übergang nella modalità che si vuole indicare. Scrive
Hegel:

Das Offenbaren, welsches als die abstrakte Idee unmittelbarer Übergang.106

Nella traduzione italiana a cura di Vincenzo Cicero:

la rivelazione in quanto Idea astratta, è passaggio immediato, è il Divenire della Natura.107

Questo mettere in luce sia l’aspetto riguardante la trasformazione della realtà, che quello della
dialettica sin dall’inizio dell’opera mostra immediatamente quello che vuole essere il compito
fondamentale di Dialettica negativa. Non si vuole, infatti, con questa analisi, semplicemente ridurre
la questione ad una mera analisi filologica, ma si vuole così mostrare la radicalità della missione
adorniana di trovare una dialettica non conciliativa e non reificata: una Dialettica negativa.

Scrive infatti Adorno che:

Effettivamente la dialettica non è né solo un metodo, né un reale in senso ingenuo. Non è un metodo: infatti la
cosa inconciliata, a cui manca proprio quell’identità che il pensiero surroga, è contraddittoria e si chiude a ogni
tentativo di una sua interpretazione univoca. Essa provoca la dialettica, non l’impulso organizzativo del
pensiero. Non è un semplice reale: infatti la contraddittorietà è una categoria di riflessione, il confronto
pensante di concetto e cosa. La dialettica come procedura significa: pensare in contraddizioni per e contro la
contraddizione una volta percepita nella cosa. Come contraddizione nella realtà essa è contraddizione contro
di questa. Ma una dialettica del genere non è più compatibile con Hegel. Il suo movimento non tende
all’identità nella differenza di ogni oggetto dal suo concetto; piuttosto ha in sospetto l’identico. La sua logica

105
Marco Maurizi in La filosofia e il suo altro - Adorno lettore di Hegel (2001), nota come quello di Übergang sia uno
dei concetti cardine per comprendere il pensiero di Adorno. Scrive Maurizi: «Tema cardine per comprendere il pensiero
di Adorno è quello del passaggio (Übergang) dalla filosofia come ricostruzione del mondo alla critica sociale come
autoriflessione radicale del pensiero su se stesso; l'idea di questo passaggio dalla filosofia al suo altro rappresenta, detto
per inciso, il contributo originale di Adorno alla critica marxista nella misura in cui non si adagia sulla statica e comoda
contrapposizione tra struttura materiale e sovrastruttura ma pretende di decifrare il testo a partire dalle sue premesse e
leggere in esso la discrepanza tra autorappresentazione ideologica e Realtà.» [Marco Maurizi, La Filosofia e il suo Altro,
Adorno lettore di Hegel, in “Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia”, 2001, reperibile on-line all’indirizzo
https://mondodomani.org/dialegesthai/mm01.htm]
106
Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Enzyclopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse, in Werke, Bd. 7,
1817 [= Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, a cura di Vincenzo Cicero, Bompiani, Milano, 2015, p. 640]
107
Ivi, p. 641

44
è disgregativa della figura armata e reificata dei concetti che il soggetto conoscente ha immediatamente di
fronte.108

Ci troviamo davanti, in effetti a un anti-sistema, un voler esaltare il momento non conciliativo della
negazione in quanto ogni totalità è già ideologia: ogni movimento conciliativo è schiavo
dell’Herrschaft des Ganzheit, il “dominio della totalità” che «dispiega la differenza di particolare e
universale dettata dall’universale»109.

Si tratta di una Logik des Zerfalls, “logica della disgregazione”, in grado di opporsi alla «hybris della
totalità, alla tracotanza di un pensiero che intende assumere il carattere dell’onnicomprensività.»110

Quello della dialettica affermativa e pacificata è uno stato, potrebbe dire Adorno, pre-filosofico, nel
quale la filosofia è costretta a riflettere criticamente su sé stessa per poter sopravvivere. L’autarchia
dell’identità «condanna» – scrive Adorno – «il pensiero al vuoto, che diventa alla fine,
soggettivamente, stupidità e primitività. La regressione della coscienza è il prodotto della sua
mancanza di autoriflessione.»111

L’Identità, secondo il nostro filosofo, infatti, «è la forma originaria d’ideologia. Essa viene goduta
come adeguazione alla cosa in essa repressa; l’adeguazione è stata sempre anche soggiogamento a
fini di dominio, pertanto la sua stessa contraddizione»112.

C’è da dire che per Adorno agire sul piano conoscitivo significa andare ad intaccare immanentemente
il nesso che rende l’egemonia dell’unità, dell’identico, repressione a danno del non identico, di una
realtà oppositiva, sia in campo gnoseologico che nel campo della politica. Infatti il nostro filosofo
nota come nell’unità, Einheit e nella concordanza, Einstimmigkeit, si costruiscano la filosofia e le
scienze:

la forma del sistema è adeguata al mondo, il cui contenuto si sottrae all’egemonia del pensiero; unità e univocità
sono però al tempo stesso la proiezione obliqua di una condizione pacificata, non più antagonista, sulle
coordinate del pensiero dispotico, repressivo.113

e ancora più avanti nell’opera

108
Theodor W. Adorno, Dialettica Negativa, cit., p. 131.
109
Ivi, p. 8.
110
Ivi, p. 32.
111
Ivi, p. 135.
112
Ivi, p. 134.
113
Ivi, p. 24.

45
il concetto che diviene puro ripudiando il suo contenuto funge in segreto da modello per un’organizzazione
della vita dalla quale però nonostante il progresso dell’apparato – a cui corrisponde il concetto – la povertà
non deve scomparire a nessun prezzo.114

Continua Adorno riconoscendo questo passaggio in Hegel:

La sintesi hegeliana è sempre visione dell’imperfezione di quel movimento, per così dire dei suoi costi di
gestione. Egli raggiunge già nella Introduzione alla Fenomenologia la coscienza dell’essenza negativa della
logica dialettica da lui svolta. L’ordine dialettico di stare semplicemente a guardare ciascun concetto, finché
in forza del suo stesso senso, dunque della sua identità, si muova e diventi non identico a sé stesso, è analitico,
non sintetico. La statica dei concetti, affinché questi soddisfino sé stessi, deve liberare la loro dinamica, come
l’agitazione di gocce d’acqua al microscopio. Perciò il metodo si chiama fenomenologico, a indicare un
rapporto passivo con il fenomeno. Esso era già in Hegel ciò che Benjamin chiamava «dialettica in stato di
quiete», assai più avanzato di quel che cent’anni dopo si presentò come fenomenologia. Dialettica significa
oggettivamente spezzare la coazione d’identità per mezzo dell’energia accumulata in essa, coagulata nelle sue
oggettivazioni. Ciò si è parzialmente affermato in Hegel contro di lui, che comunque non può ammettere il
non vero della coazione identitaria. Mentre il concetto si percepisce come non identico con sé e mosso
internamente, esso, non più solo se che comunque non può ammettere il non vero della coazione identitaria.
Mentre il concetto si percepisce come non identico con sé e mosso internamente, esso, non più solo sé stesso,
porta, nella terminologia hegeliana, al suo Altro, senza fagocitarlo. Esso si determina per mezzo dell’esterno,
perché propriamente non si esaurisce in sé stesso. Come sé stesso non è affatto solo se stesso.115

Secondo l’Adorno dei Minima Moralia:

Hegel ha messo l'accento sul sano spirito di contraddizione con la testardaggine del contadino che ha appreso
per secoli a resistete alla caccia e ai tributi dei potenti feudatari. Il compito della dialettica è di dare lo sgambetto
alle sane opinioni circa l'immodificabilità del mondo, coltivate dai potenti che hanno preso il loro posto, e di
decifrare nelle loro proportions l’immagine fedele e ridotta delle disparità cresciute oltre ogni proporzione. La
ragione dialettica è l'irragionevolezza di fronte alla ragione dominante: solo in quanto la confuta e la supera,
diventa essa stessa razionale.116

L’intera opera del nostro filosofo è costruita attraverso un confronto serrato con Hegel in quella che
potremmo chiamare una “doppia cattura” del pensiero dialettico hegeliano. Adorno si trova, infatti,
recuperando il metodo della negazione da Hegel, ma condannando gli esiti della sintesi dialettica, a
spaccare in due la filosofia hegeliana: da una parte l’aspetto di metodo, dall’altra quello sistematico.

L’obiettivo di Dialettica negativa sarà quello di «recuperare il potenziale negativo della dialettica
hegeliana per “uscire” dalla totalità positiva che essa stessa ha edificato; ripristinare il significato
critico della dialettica come metodo per rompere la logica dell’identico in cui si incarna la dialettica

114
Ivi, p. 112.
115
Ivi, p. 141.
116
Theodor W. Adorno, Minima moralia, cit., p. 76.

46
come sistema»117. Si tratta di opporre all’Hegel della Scienza della Logica quello della
Fenomenologia dello Spirito. Scrive Adorno, infatti, che «ciò che si mantiene costante, il “positivo”
del giovane Hegel, è, per tale analisi, come per questi, il negativo. Ancora nella Prefazione alla
Fenomenologia il pensiero, nemico giurato di quella positività, viene caratterizzato come il principio
negativo»118.

Come nota Angelo Cicatiello in Il Negativo in Questione. Una Lettura di Adorno (2017):

È sullo sfondo della dialettica intesa come logica oggettiva della critica immanente che Adorno entra in dialogo
con la lezione hegeliana; un dialogo complesso, articolato, caratterizzato da momenti di vicinanza estrema,
quasi di sovrapposizione, e tuttavia segnato nel contempo da una distanza incolmabile, al punto che si individua
in Adorno una proposta sul pensiero dialettico radicalmente alternativa a quella hegeliana.119

E ancora:

La contraddizione dialettica, da critica di ogni identificazione falsa, diviene in Hegel sintassi di una
identificazione totale che intende conciliare in un ordine sistematico gli elementi di attrito, i conflitti, quella
forza del negativo che del pensare secondo concetti denota, invece, la non identità con sé, la sua costitutiva
incompiutezza.120

È la verità della totalità in ad essere messa in crisi: «la verità che nella dialettica idealista spingerebbe
oltre ogni particolare in quanto falso nella sua unilateralità sarebbe quella dell’intero; se essa non
fosse premeditata, i passi dialettici mancherebbero di motivazione e di direzione.»121

Questa totalità è quella dello spirito assoluto e del risultato che raggiunge la dialettica hegeliana: quel
totale discioglimento del finito nell’infinito, che per Adorno è origine del dominio capitalistico, che
si costruisce sul processo di Aufhebung.

Adorno rifiuta di sottomettere la realtà ad una ragione totalitaria che presenta lo stato di cose come
immodificabile: egli porta avanti un tipo di esito dialettico frammentario, parziale e conflittuale
rispetto alle dinamiche pacificatorie del potere: insomma di una micrologia.

117
Giangiorgio Pasqualotto, Teoria come utopia, Bertani, Verona, 1976, p. 116.
118
Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p. 36.
119
Angelo Cicatello, Il negativo in questione. Una lettura di Adorno, in “Consecutio Rerum”, 1/2017, p. 51.
120
Ibid.
121
Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, cit., pp. 11-12.

47
Nei Drei Studien zu Hegel Adorno esplicita il suo rapporto con Hegel scrivendo che «nessuna lettura
di Hegel può rendergli giustizia senza criticarlo»122. Si tratta proprio di assimilare quel metodo
negativo che da Hegel parte per poi compiere, attraverso Marx, l’obbligato parricidio.

Non è questa la sede per una trattazione esaustiva delle determinazioni del termine Aufhebung in
Hegel, ma ci serviremo di questo concetto per mostrare come nella trattazione adorniana questo
termine venga utilizzato in un senso solo parzialmente hegeliano123.

Hegel scrive:

La parola togliere (Aufheben) ha nella lingua [tedesca] il doppio senso, per cui val quanto conservare,
ritenere, e nello stesso tempo quanto far cessare, metter fine. [...]. Così il tolto è insieme un
conservato, il quale ha perduto soltanto la sua immediatezza, ma non perciò è annullato.124

Osserviamo, come ci fa notare anche Maurizi in Adorno e il tempo del non-identico (2004):

la costellazione di concetti in cui è possibile iscrivere l’Aufhebung è costituita dai termini: negazione,
conservazione, superamento/innalzamento. Attraverso questo concetto (o plesso concettuale), Hegel vuole
suggerire un diverso modo di intendere la “negazione”. Paradossalmente per Hegel, negare non significa
annullare ma conservare; lungi dall’avere un effetto distruttivo, la negazione determina il negato, lo rende più
concreto e articolato.125

In Hegel, quindi, il processo dialettico è costruito sulla negazione del già dato. Questa negazione,
però, è sempre determinata: la contraddizione, che guida il processo di autodeterminazione del
pensiero, implica il valore nella costruzione di qualsiasi determinazione.

Scrive Hegel nella Scienza della Logica:

122
Theodor W. Adorno, Drei Studien zu Hegel, in Gesammelte Schriften, Bd. 5, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main
1963 [= Tre studi su Hegel, a cura di Remo Bodei, il Mulino, Bologna, 2014, p. 164].
123
Anche in in Marx il termine Aufhebung viene utilizzato in termini negativi, con l’accezione di soppressione (Il
Capitale, Libro Terzo, vol.2, p.122 «È la soppressione (Aufhebung) del capitale come proprietà privata nell’ambito del
modo di produzione capitalistico stesso».) nel terzo libro de Il Capitale, nel capitolo ventisettesimo dedicato alla funzione
del credito nella produzione capitalistica. Sebbene il tema non sia riferito alla nostra analisi l’uso di un termine così pregno
di significato come Aufhebung in questa accezione non può essere un caso. Anche in Marcuse si attesta l’uso di Aufheben
nei termini di “negazione”: in Ragione e Rivoluzione, all’interno delle note sulla dialettica, egli sceglie di specificare
(nell’originale inglese) accanto al termine deny, tra parentesi, il termine Aufheben [Herbert Marcuse, Reason and
Revolution: Hegel and the Rise of Social Theory, Oxford University Press, 1941 [= Ragione e rivoluzione – Hegel e il
sorgere della teoria sociale, a cura di Alberto Izzo, Il Mulino, Bologna, 1966, p.9].
124
Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Wissenschaft der Logik, in Werke, Bd. 3, 1816 [= Scienza della logica, a cura di
Arturo Moni, Laterza, Roma-Bari, 2004, p. 100].
125
Marco Maurizi, Adorno e il tempo del non-identico, Jaca Book, Milano, 2004, p. 35.

48
L’unico punto, per ottenere il progresso scientifico, – e intorno alla cui semplicissima intelligenza bisogna
essenzialmente adoprarsi, – è la conoscenza di questa proposizione logica, che il negativo è insieme anche il
positivo, ossia che quello che si contraddice non si risolve nello zero, nel nulla astratto, ma si risolve
essenzialmente solo nella negazione del suo contenuto particolare, vale a dire che una tal negazione non è una
negazione qualunque, ma la negazione di quella cosa determinata che si risolve, ed è perciò negazione
determinata. [. . .] Quel che resulta, la negazione, in quanto è negazione determinata, ha un contenuto. Cotesta
negazione è un nuovo concetto, ma un concetto che è superiore e più ricco che non il precedente. Essa è infatti
divenuta più ricca di quel tanto ch’è costituito dalla negazione, o dall’opposto di quel concetto. Contiene
dunque il concetto precedente, ma contiene anche di più, ed è l’unità di quel concetto e del suo opposto.126

Ancora Hegel nella prima nota al § 81 dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio:

La dialettica ha un risultato positivo perché essa ha un contenuto determinato, o perché il suo verace risultato
non è il vuoto ed astratto niente, ma è la negazione di certe determinazioni, le quali sono contenute nel risultato
appunto perché questo non è un niente immediato, ma è un risultato.127

La critica alla totalità di Adorno, sebbene parta dall’assunto hegeliano ne assume solo una parte: non
vi è il procedere verso il Geist, verso la realizzazione nella sintesi dialettica e la riconciliazione, ma
nega sé stessa rivolgendosi verso il non-identico. Infatti «tematizzare un pensiero dialettico che sia in
grado di ferire il sistema equivale a inaugurare un movimento il cui andamento sia spontaneo, non
guidato dalla necessità di dover raggiungere il “télos”, che rappresenta l’essenza affermativa del
movimento, il suo acquietarsi in un positivo.»128

Ancora nei Drei Studien:

La sua filosofia dialettica incappa in una dialettica della quale non può rendere conto, la cui soluzione è al di
là della sua onnipotenza. La sua promessa di concludersi è falsa. La verità di ciò che è irresolubilmente non
identico appare nel sistema, secondo la legge propria di quest’ultimo, come errore, come irrisolto nell’altro
senso: non elaborato; come la sua falsità; e il falso non si può comprendere. Così l’incomprensibile fa saltare
il sistema. Malgrado ogni enfasi sulla negatività, la scissione, la non identità, Hegel in realtà ne conosce la
dimensione solo in funzione dell’identità, solo come suo strumento.129

La logica della disgregazione non si acquieta mai. Si tratta di una dinamica dei concetti che mai può
portare ad una dialettica in stato di quiete, per dirla con Walter Benjamin130, altro grande riferimento
dell’intero itinerario concettuale adorniano.

126
Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Scienza della logica, cit., p. 36.
127
Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, cit., p. 247.
128
Nicoletta di Placido, La Dialettica negativa di Adorno. Hegel tra emancipazione e tradizione, cit., p. 254.
129
Theodor W. Adorno, Tre studi su Hegel, cit., p. 166.
130
Per quanto riguarda la Dialettica in Stato di Quiete Adorno, nel saggio dedicato al “Progresso” all’interno di Parole
chiave - Modelli critici, si pone in continuità con quanto scritto da Benjamin. Egli infatti interpreta Benjamin dicendo:

49
Adorno in Dialettica negativa scrive a questo proposito che «considerare la negazione della
negazione uguale alla positività è la quintessenza dell’identificare, il principio formale ridotto alla
sua forma più pura. Con esso nel cuore della dialettica prende il sopravvento il principio antidialettico,
quella logica tradizionale per la quale more arithmetico meno per meno fa più.»131

Attraverso il processo di negazione della negazione si arriva ad una sostanziale feticizzazione del
positivo e nell’essere inghiottiti da quel vortice dialettico che riporta tutto al positivo.

Continua Adorno infatti:

Il positivo in sé viene feticizzato anche all’interno del linguaggio volgare, che loda gli uomini qualora siano
positivi, infine nello slogan omicida delle forze positive. Per contro la negazione irremovibile ha la sua serietà
nel non prestarsi a sanzionare l’esistente. La negazione della negazione non annulla la negazione, piuttosto
mostra che non era sufficientemente negativa; altrimenti la dialettica resta sí ciò per mezzo di cui in Hegel si
integrò, ma a prezzo del suo depotenziamento, essendo in fondo indifferente a ciò che è posto al principio. Il
negato è negativo fino alla sua scomparsa. Questo divide decisamente da Hegel. Appianare di nuovo la
contraddizione dialettica, espressione del non identico insolubile, per mezzo dell’identità, significa ignorare il
suo senso, ritornare alla pura logica deduttiva. Che la negazione della negazione sia la positività può essere
sostenuto solo da chi presuppone fin dall’inizio la positività come astrazione universale. Egli incamera il
bottino del primato della logica sul metalogico, dell’inganno idealistico della filosofia nella sua figura astratta,
la giustificazione in sé. La negazione della negazione sarebbe ancora una volta l’identità, l’abbaglio rinnovato;
la proiezione della logica deduttiva sull’assoluto, infine del principio della soggettività.132

Come già detto l’azione dialettica si rivolge nei confronti di una totalità surrogata, feticizzata e figlia
del dominio di classe. È evidente come tra Hegel e Adorno entri in gioco la mediazione di Marx e il
suo rovesciamento negativo della dialettica hegeliana.

Già nel terzo dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 dedicato alla critica della dialettica
hegeliana, infatti, Marx precorre Adorno vedendo il nucleo del pensiero hegeliano nella «dialettica
della negatività come principio motore e generatore»133 e il suo più grande limite nello spirito assoluto
e nella sua dialettica. Come fa notare Mario dal Prà nel suo La dialettica in Marx, infatti:

«Nell'osservatore la contraddizione del sistema si concentra nel fenomeno per il quale, quanto più il sistema si espande,
tanto più esso si irrigidisce in ciò che da sempre è stato. Quella che Benjamin chiamò dialettica in stato di quiete, credo
che sia non tanto un residuo platonizzante, quanto piuttosto il tentativo di rendere filosoficamente cosciente tale
paradossalità. Quelle che si intendono per immagini dialettiche sono gli archetipi storicamente oggettivi di quell'unità
antagonistica di stato di quiete e movimento, che definisce il più generale concetto borghese di progresso.» Parole chiave.
Modelli critici, cit.
131
Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p. 143.
132
Ivi, p. 144.
133
Karl Marx, Ökonomisch-philosophischen Manuskripte, in Marx-Engels-Gesamtausgabe, Bd. I/2, 1844 [= Manoscritti
Economico-Filosofici, a cura di Norberto Bobbio, Einaudi, Torino, 1945, p. 167].

50
Il senso in cui Marx può dunque recuperare la dialettica hegeliana è quello di muovere dall’uomo reale e
sensibile anziché dall’autocoscienza e di applicare il processo di cui Hegel si serve per intendere lo sviluppo
dell’autocoscienza ad intendere lo sviluppo dell’uomo reale e sensibile.134

La dialettica della negatività quindi può avere senso solo partendo dall’individuo reale, e non da una
sintesi come quella hegeliana, feticizzata e reificata.

Il passaggio fondamentale che Adorno vede tra Hegel e Marx sta nella collocazione della
contraddizione, il nostro direbbe di ciò che non si adegua, il non-identico, nella realtà anziché el
pensiero, nello spirito assoluto. Già con Hegel il rapporto tra soggetto e oggetto si costituisce come
contraddittorio, ma con Marx la contraddizione passa sul piano concreto della praxis.

In Dialettica negativa il nostro filosofo porta a sempre maggior risalto la posizione negativa di Marx
mostrando non solo che l’opera marxiana è sostanzialmente una critica della dialettica hegeliana, ma
che l’opera marxiana considerata meno dialettica come Il Capitale si costituisce sostanzialmente
come una fenomenologia dell’antispirito.135

Secondo Adorno, infatti, la critica dell’economia capitalistica portata avanti nel Capitale,
«dall’analisi della forma di merce sino alla teoria del crollo»136, sarebbe una descrizione dello stato
di natura interno alla società capitalistica. Scrive Adorno che Marx chiama «una mistificazione la
cosiddetta legge di natura, che invece è solo la legge della società capitalista»137.

Non si tratta solo di una rilettura del capitolo de Il Capitale sul feticismo delle merci, considerandolo
la parte centrale della critica dell’economia politica, ma un attacco alla filosofia della storia hegeliana
e a quella legge per cui i rapporti di forza dominanti e la rispettiva ideologia sono apparentemente
ineluttabili, naturali: il nucleo di questa apparenza «è il valore come cosa in sé, come “natura”. La
naturalità della società capitalista è reale e insieme quell’apparenza»138.

La posizione adorniana rilegge in chiave anti-economicistica il Capitale marxiano mostrando come


l’intera opera marxiana sia pervasa dal riferimento all’Hegel della Fenomenologia. Come fa notare
ancora Dal Prà in La dialettica in Marx (1977):

si potrebbe dire, insomma, che Marx trae dagli studi di economia il “senso” dialettico delle condizioni del
lavoro nella “società fondata sull’interesse privato”; ma egli è in grado di cogliere, quasi intuitivamente, la
“situazione dialettica” del lavoro umano nelle stesse pagine degli economisti classici in quanto è presente nella
sua mente quel movimento dialettico del finito che Hegel aveva teorizzato nella Fenomenologia; è proprio la

134
Mario Dal Pra, La Dialettica in Marx, Laterza, Roma-Bari, 1972, p. 156.
135
Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p. 319.
136
Ibid.
137
Ivi, p. 318
138
Ibid.

51
pagina hegeliana a renderlo sensibile nei confronti di quel vasto materiale dell’economia politica, in cui egli
coglie tosto l’eco di un concreto movimento dialettico. 139

La situazione dialettica è senza dubbio quella del lavoro estraniato alla quale il pensatore di Treviri
dedica la parte più consistente del primo manoscritto. Ancora Dal Prà:

il concetto di “alienazione” non fa che indicare una determinazione del lavoro quale si presenta in precise
circostanze storiche; non si tratta di una determinazione qualsiasi o “casuale”; è la determinazione che, a
giudizio di Marx, spiega in modo necessario l’insieme complesso di tutti gli altri caratteri che
contraddistinguono le condizioni dell’uomo e del lavoratore nella società borghese. […] In sostanza, Marx
intende istituire un nesso necessario tra un fatto dell’economia politica da un lato e il concetto di alienazione
dall’altro; e consegue il suo obiettivo dichiarando l’identità dei due piani, dei quali il primo non “esprime
null’altro” che il secondo.140

Inoltre l’economia politica «parte dal fatto della proprietà privata. Ma non ce la spiega. Coglie il
processo “materiale” della proprietà privata quale si rivela nella realtà, ma lo coglie in formule
generale, astratte, che hanno per essa il valore di “leggi”. Essa non “comprende” queste leggi, cioè
non riflette in qual modo esse derivino dall’essenza della proprietà privata.»141 Tramite queste leggi
astratte e tramite il risalire da parte degli economisti (e dei filosofi politici) a uno stato originario per
quanto riguarda l’accumulazione del capitale si rinvia il processo sociale di produzione a un’origine
non rintracciabile, come la teologia rintraccia nel “peccato originale” l’origine del male.

139
Mario dal Prà, La dialettica in Marx, cit., p.110.
140
Ivi, p. 117.
141
Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici, cit., p.69.

52
2.2 Natura, storia e progresso

Non spiegando il fatto della proprietà privata, l’economia politica, scienza apologetica del capitale,
crea il suo idolo, un mercato immodificabile e esistente di per sé, frutto del rapporto dialettico tra
operai e capitale, però scandito da quest’ultimo che determina la forma stessa di questo rapporto142.

Adorno fa riferimento esplicito a questo rapporto e alle determinazioni del lavoro alienato:

Il principio di scambio, la riduzione del lavoro umano all’astratto concetto universale del tempo di lavoro
impiegato mediamente, è l’antenato del principio identificante. Nello scambio esso ha il suo modello sociale,
e lo scambio non ci sarebbe senza di esso; grazie a quello singole entità e prestazioni non identiche divengono
commensurabili, identiche. La diffusione di questo principio obbliga il mondo intero all’identico, alla
totalità.143

Adorno continua mostrando come questa apparenza si costituisce:

Quella legge è naturale a causa della sua inevitabilità sotto i rapporti di produzione dominanti. L’ideologia non
si sovrappone all’essere sociale come uno strato separabile, ma gli è inerente. Si basa sull’astrazione che è
parte essenziale del processo di scambio. Senza prescindere dagli uomini viventi non si potrebbe scambiare.
Ciò implica un’apparenza socialmente necessaria nel reale processo di vita sino a oggi.144

E ancora:

Marx denuncia non soltanto la trasfigurazione hegeliana, ma il rapporto di cose che ne è oggetto. La storia
umana, quella di un crescente dominio della natura, prosegue quella inconsapevole della natura, il divorare e
l’essere divorati. Marx era un social-darwinista ironico: ciò che i social-darwinisti apprezzavano, e per cui a
loro piace agire, è per lui quella negatività nella quale si risveglia la possibilità del suo superamento. Che egli
abbia una visione critica della storia naturale è confermato inequivocabilmente da un passo dei Grundrisse di
economia politica: “Ora, per quanto la totalità di questo movimento appaia come un processo sociale, e per
quanto i singoli momenti di tale movimento partano dalla volontà cosciente e dagli scopi particolari degli
individui, la totalità del processo appare come una connessione oggettiva, che sorge in modo spontaneo; essa
è prodotta certamente dall’azione collettiva degli individui coscienti, ma non sta né nella loro coscienza, né
viene sussunta a essi come un tutto”145. Un tale concetto sociale di natura ha una dialettica particolare. La

142
Basti pensare all’uso che del termine “il mercato” si fa nei media, come un’entità dotata di vita propria. Un hobbesiano
leviatano che determina le sorti del 98% della popolazione mondiale.
143
Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p. 133
144
Ibid.
145
Karl Marx, Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie, in Marx-Engels-Gesamtausgabe, Bd. II/1, 1857 [=
Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica, a cura di Paolo Collo, Einaudi, Torino, 1976, p. 151]

53
legalità naturale della società è ideologia nella misura in cui essa viene ipostatizzata come invariabile datità
naturale.146

Dal momento in cui la mistificazione afferma la propria supremazia sull’uomo, al concetto di natura,
quella studiata fondamentalmente dalle scienze naturali, si sostituisce il concetto di seconda
natura147.

A differenza di Marx e di Lukács, però, questa seconda natura non è una determinazione storica del
capitalismo, ma è un principio insito nella forma razionale che il capitalismo ha preso. Le leggi di
produzione e riproduzione del capitale sono le leggi della razionalità identificante.

Secondo Adorno Hegel è reo di aver innanzitutto citato e utilizzato la natura quale uno dei modelli
della storia e di aver esaltato con «infame complicità»148 il modello della seconda natura, reificata e
mistificata. Di aver opposto ciò che è per convenzione, θέσις149, alla natura, φύσις150.

146
Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p. 319
147
Adorno, sia in Dialettica negativa, che nella conferenza del 1932 “L’Idea della Storia Naturale”, riprende il concetto
di seconda natura direttamente dal Georgy Lukács della Teoria del romanzo. Il filosofo ungherese definisce la seconda
natura scrivendo: «Le concrezioni sociali, che l’anima incarnata incontra a mo’ di proscenio e sostrato della sua attività
tra gli uomini, perdono quell’evidenza che le radica in necessità sovra personali e imperative; tali concrezioni sussistono
come semplici entità; forse sono qualcosa di solido o forse sono qualcosa di marcio, ad ogni modo esse non recano in sé
né il crisma dell’assoluto, né valgono quali naturali recipienti della straripante interiorità dell’anima. Le concrezioni
formano il mondo della convenzione: un mondo alla cui onnipotenza si sottrae soltanto l’intimo dell’anima; un mondo
che nella sua disordinata molteplicità è presente dappertutto e la cui rigorosa legalità, così nel divenire come nell’essere,
diventa per il soggetto conoscente di necessaria evidenza; e tuttavia questo stesso mondo, proprio in forza della sua
legalità, non può offrire né la direttrice del senso per un soggetto alla ricerca di un obiettivo, né può farsi materia – per
un soggetto impegnato nell’azione. Un mondo siffatto è una seconda natura; al pari della prima, essa è determinabile solo
come un complesso di necessità estranee al senso e connotate gnoseologicamente, di modo che la reale sostanza di questo
mondo rimane inafferrabile e inconoscibile.» [Geörgy Lukács, Die Theorie des Romans, Cassirer, Berlin, 1920 [= Teoria
del romanzo, a cura di Giuseppe Raciti, SE, Milano, 2004]
148
Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, p. 321.
149
È particolarmente interessante notare come Adorno usi al posto del nominativo θέσις il dativo strumentale θέσει, a
voler indicare il carattere coercitivo e ideologico della “convenzione”. Uno dei significati di θέσις è proprio quello di “il
porre”, o “l’imporre”. Quindi le due dimensioni sarebbero quella di natura e quella posta, quella per imposizione. Il
termine segue lo stesso procedimento concettuale che è alla base del concetto heideggeriano di tecnica, Gestell, derivato
dal verbo stellen: anche qui “ciò che è stato posto” (cfr. nota 189). Non sembra essere un caso che anche qui la vicinanza
tra i due filosofi sia palpabile.
150
Stefano Giacchetti Ludovisi, nota nel suo La decostruzione della soggettività in Adorno e Nietzsche che ci sia una
continuità qui, oltre che con Lukács e Marx, anche con Nietzsche, in particolare con la distinzione apollineo-dionisiaco,
che secondo Giacchetti Ludovisi, viene riproposta da Adorno con quella tra natura e storia, prima e seconda natura,
identico e non-identico. «La tensione, in Nietzsche, dei due impulsi incarnati da Dioniso e da Apollo è riproposta da
Adorno nella tensione fra il non-identico (della natura) e l’identico (della «seconda natura»), ovvero fra la caratteristica
della natura considerata al di fuori del processo di interpretazione umana e la percezione che abbiamo della natura
all’interno del processo di comprensione concettuale. In Nietzsche, il modello del divenire di Eraclito, il più alto esponente
della «filosofia dionisiaca», rappresenta una polarità del pensiero filosofico che, senza il momento apollineo, senza
l’elemento delle costruzioni concettuali, diventa soltanto un altro principio ontologico falso. Lo scopo di Nietzsche
rimane, infatti, quello di mantenere una tensione fra il momento dionisiaco della non-identità della natura e il modo
apollineo in cui ci rappresentiamo la non-identità identificandola. Il problema maggiore della razionalità segnalato da
Nietzsche è che la ragione è stata ad oggi completamente distorta dalla sua versione socratico-scientifica. In Adorno, lo
schema è molto simile: il non-identico rappresenta quella che possiamo chiamare la ‘prima natura’, e come tale non
possiamo dirne nulla, dal momento che, a questo livello, la natura è puro divenire che non può essere fissato
concettualmente. Per questo motivo, Adorno respinge tutte quelle filosofie che in un modo o nell’altro, soggettivamente
o oggettivamente, hanno raggiunto una identificazione impropria di questo momento dionisiaco. Il riconoscimento del

54
Prosegue infatti Adorno scrivendo:

La seconda natura, che era stata ripresa filosoficamente per la prima volta nella Teoria del romanzo di Lukács,
resta però il negativo di quella che in qualche modo potrebbe essere pensata come la prima. Ciò che in verità
è thesei, una creazione se non degli individui, comunque del loro contesto funzionale, si impadronisce delle
insegne di ciò che la coscienza borghese considera come natura e naturale. Nulla che sarebbe fuori appare più
a quella coscienza; in un certo senso effettivamente non c’è più niente fuori, niente che non sia colpito dalla
mediazione totale. Perciò l’irretito diviene la propria alterità: ecco il fenomeno originario dell’idealismo.
Quanto più inesorabilmente la socializzazione s’impossessa di tutti i momenti d’immediatezza umana e
interumana, tanto più è impossibile ricordarsi che tale reticolo è un divenuto; tanto più è irresistibile
l’apparenza di natura. Con il distacco della storia dell’umanità dalla natura quest’apparenza si rafforza: la
natura diventa l’irresistibile metafora della prigionia.151

Quindi la colpa dell’idealismo, secondo Adorno, è proprio quello di aver creato una distinzione tra
natura e storia e di aver creato eccessiva distanza tra queste due dimensioni152, rendendo lo spirito
come seconda natura ideologia della storia naturale e rendendo il suo dominio assoluto e immutabile,
come un automatismo contro cui la dialettica affermativa non può più nulla.

Effettivamente, secondo Adorno, natura, storia e ragione confluiscono nell’idea, o per meglio dire
nell’ideologia, del progresso. In essa, come Adorno fa notare nel saggio contenuto negli Stichworte
dal titolo “Progresso”.

Adorno nota come queste tre dimensioni parallele confluiscano tutte nel costruirsi del concetto di
totalità e come tutte e tre confluiscano a creare il dominio sulla natura, e quindi, come espresso in
Dialettica dell’illuminismo, sull’altro uomo.

L’idea di progresso che pervade la società contemporanea infatti si basa, secondo Adorno, ma
riprendendo le tesi di filosofia della storia153 di Benjamin, sulla confusione del piano del progresso
“tecnico” con il campo del progresso dell’intera umanità.

Su questa confusione (si può discutere su quanto voluta) poggia la nascita del dominio; su un processo
di traslazione dell’esperienza umana a categorie tecniche154 totalizzate.

non-identico può avvenire solo tramite la creazione artificiale di una ‘seconda natura’, ovvero tramite il concetto, e in
questo modo il riconoscimento della tensione nietzscheana tra Dioniso e Apollo diventa in Adorno il compito della
dialettica. Il problema per Adorno, come per Nietzsche, è che storicamente solo una ragione tecnica, identificante, si è
affermata come valida.» [Stefano Giacchetti Ludovisi, La decostruzione della soggettività in Adorno e Nietzsche, in “La
Società degli individui”, 39/2010, pp. 118-124].
151
Theodor W. Adorno, Dialettica Negativa, cit., p.321.
152
Adorno cita infatti il Marx dell’Ideologia tedesca riguardo alla complementarità di natura e storia. Marx scrive infatti:
«Conosciamo un’unica scienza, la scienza della storia. La storia, considerata da due lati, può essere suddivisa in storia
della natura e in storia dell’umanità. I due lati non devono però essere separati: finché esistono uomini, la storia della
natura e la storia degli uomini si condizionano a vicenda.»
153
Walter Benjamin, Angelus novus, a cura di Renato Solmi, Einaudi, Torino, 1962.
154
Ci si ricollega così alle tesi di Adorno e Horkeimer in Dialettica dell’Illuminismo riguardanti Bacone e l’animus della
scienza moderna e al carattere tecnico della scienza moderna.

55
Si ipostatizza così un ideale di umanità uguale a sé stessa che protende verso un determinato telos
della storia universale: quello che Hegel avrebbe chiamato spirito assoluto.

Adorno aggiunge anche che con questa traslazione la filosofia si è allontanata dalla società, la quale
ha la necessità di distinguersi da essa, ritraendosi così alla cattiva coscienza155 e perdendo il suo
carattere dialettico e ogni dimensione pratica.

Scrive infatti Adorno:

Il dominio assoluto sulla natura coincide con l'assoluta decadenza e dissoluzione della natura, ma viene
abbattuto dall'autocoscienza, il mito che lo demitologizza. L'opposizione fatta dal soggetto, però, non potrebbe
più essere teoretica né contemplativa. La rappresentazione del potere della ragion pura come di un ente-in-sé,
separato dalla prassi, sottomette anche il soggetto, lo riduce a strumento rispetto a scopi. La costruttiva
autoriflessione della ragione, tuttavia, dovrebbe costituire la sua transizione alla prassi: la ragione si intuirebbe
allora come un momento della prassi; saprebbe, invece di disconoscersi come l'assoluto, che essa è una
modalità di azione.156

E ancora:

La convergenza del progresso totale nella società borghese — che ha creato il concetto di progresso — con la
negazione del progresso, trae origine dal principio di tale società: lo scambio. Esso è la forma razionale della
mitica perenne identità.157

155
Il termine tedesco usato è Gewissen. Probabilmente si tratta di un riferimento ad Heidegger.
156
Theodor W. Adorno, Progresso, in Parole chiave – Modelli critici, cit., p. 18.
157
Ivi, p. 24.

56
2.3 Micrologia e costellazione

Se, secondo Adorno, la filosofia ha la sua attualità, il suo compito più proprio, nella rottura del
sistema, egli si chiede quale possa essere il metodo d’approccio alla dialettica negativa. Cioè, più
semplicemente: come è possibile comprendere le relazioni dialettiche senza ricadere nella trappola
ideologica della totalità? Nelle prime pagine di Dialettica negativa, infatti, egli scrive che

La filosofia ha in base alla sua condizione storica il suo vero interesse là dove Hegel, d’accordo con la
tradizione, manifestava il suo disinteresse: nell’aconcettuale, nell’individuale e particolare; in ciò che sin da
Platone fu liquidato come caduco e irrilevante e sul quale Hegel appose l’etichetta dell’esistenza pigra. Il suo
tema potrebbero essere le qualità da essa degradate a quantité négligeable in quanto contingenti. Si fa urgente
per il concetto ciò a cui esso non arriva, ciò che il suo meccanismo di astrazione espelle, ciò che non è già un
esemplare del concetto.158

Questo approccio che potremmo definire micrologico non serve la conciliazione, ma tende a esaltare
la dimensione parziale, residuale: quella δόξα che la storia della filosofia occidentale aveva insegnato
a mettere da parte. Il solo esito coerente della dialettica quindi, non sarebbe l’affermazione del
sistema, ma la sua dissoluzione. L’approccio micrologico sta proprio nell’irrilevante, nel particolare,
in ciò che non si media mai.

Ajello a proposito scrive:

In Minima Moralia, nel '44, si riferiva alla micrologia come alla conoscenza che si rivolge «ai prodotti di scarto
(Abfallstoffen) e ai punti ciechi (blinden Stellen) che sono sfuggiti (ertronnen) alla dialettica», esplicitando il
punto di vista che tutto ciò che appare «inessenziale (unwesentlich), marginale (abseitig), ridicolo (skurril)»,
costituisce in realtà «il vinto (das Besiegte)», «ciò che non è entrato (nicht [...] hineinpafite) nelle leggi del
movimento storico». Avanzava perciò l'ipotesi che proprio tramite tali «prodotti di scarto» sia possibile
costruire spazi per l'utopia e per il nuovo.159

Possiamo dire che il motivo della connessione e della “lotta” tra micrologia e totalità si ripresenti
costantemente nell’opera di Adorno, dalla giovinezza, fino alle opere più mature160.

158
Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p. 10
159
Francesca di Lorenzo Ajello, Conoscenza e immaginazione nel pensiero di Theodor W. Adorno, cit., p. 129. Riportiamo
il passo completo dei Minima moralia (§ 98). «Se Benjamin ebbe a dire che la storia è stata scritta finora dal punto di
vista del vincitore e deve essere scritta da quello dei vinti, occorre aggiungere che la conoscenza deve bensì rappresentare
la logica infausta della successione di vittoria e disfatta, ma deve rivolgersi – nello stesso tempo – a ciò che non è entrato
in questa dinamica, a ciò che è rimasto per via: ai prodotti di scarto e ai punti ciechi che sono sfuggiti alla dialettica.»
(Minima moralia, cit., p. 146)
160
Nell’articolo Adorno e la dialettica, Remo Bodei ricostruisce l’itinerario concettuale di Adorno dividendolo in tre
principali periodi. Bodei scrive: «Unicamente per comodità, si possono distinguere tre stadi nello sviluppo della dialettica
di Adorno: il primo, sotto la “costellazione” di Benjamin, che comprende gli anni immediatamente precedenti all’avvento

57
Se la filosofia si costituisce come una Deutung, allora deve rinunciare al possesso pieno e definitivo
della verità, illusione portata dal sistema, considerata, citando Benjamin, come se essa «provenisse
da fuori, volando»161, come adeguazione. Il problema del senso è il problema fondamentale
dell’interpretazione, mentre la storia della filosofia occidentale si è costituita come il tentativo di dare
una sistematicità (figlia delle classi dominanti) alle figure che si sono susseguite nella storia. La
ragione non deve giustificare la realtà, ma mettere in relazione l’aconcettuale, gli scarti del mondo
fenomenico.

Adorno infatti nel §98 di Minima moralia riconosce quello che secondo lui sarebbe il testamento
filosofico dell’amico Benjamin:

Gli scritti di Benjamin sono il tentativo, continuamente ripreso, di mettere filosoficamente a frutto ciò che non
è ancora determinato dalle grandi intenzioni. Il compito che egli ci ha lasciato in eredità è quello di non affidare
esclusivamente questo tentativo ai rebus sconcertanti del pensiero, ma di ricuperare ciò che è privo di
intenzione attraverso il concetto: l'obbligo di pensare dialetticamente e non dialetticamente ad un tempo.162

Ancora Ajello mostra la natura della micrologia:

Emerge da tali rapidi riferimenti come si possa identificare in tale procedimento d'interpretazione micrologica
dei "testi" una modalità attraverso la quale la conoscenza dialettica "si trasforma", secondo il progetto
adorniano, rispetto alle scienze ed alla filosofia tradizionali. Soffermandosi sui «particolari infinitesimi
(verschwindend Geringfügige)», essa in realtà assume a proprio tema proprio quella qualità che la filosofia e-
la scienza tradizionali degradano a quantité négligeable, e sembra con ciò poter realizzare il progetto di una
filosofia capace di opporsi all'emarginazione di quell'«aconcettuale (das Begriffslose)» e «non identico (das
Nichtidentische)», per lui inerente da sempre al procedimento identificante proprio della razionalità
"tradizionale".163

Questa dimensione residuale non viene mai mediata. Anzi, i concetti, o quello che ne rimane, vengono
esposti in quella che Adorno, ispirato dal Benjamin164 de L’origine del dramma barocco tedesco,
chiama costellazione.

al potere di Hitler, e in cui si avverte la ricerca di una concordanza esplicita con il marxismo, il secondo, più legato alla
prospettiva sociologica della “Teoria critica” e segnato dalle esperienze della diffusione dei totalitarismi e
dell’emigrazione americana; il terzo, quello successivo al ritorno in Germania, caratterizzato dalla riflessione tematica
sulla “dialettica negativa”, in relazione a Husserl, Hegel e ai neo-positivisti.» (Remo Bodei, Adorno e la Dialettica, in
“Rivista critica di storia della filosofia”, Vol. 30, n. 4, 1975, p. 445)
161
Walter Benjamin, Il dramma barocco tedesco, cit., p. 4
162
Theodor W. Adorno, Minima moralia, cit., p. 179
163
Ivi, p. 131
164
Per quanto riguarda Benjamin e la costellazione Adorno si esprime in Prismi. Egli scrive che «la sua visione della
modernità come arcaicità non conserva tracce di un presunto antico vero, intende invece l’evasione reale dalla paralisi
onirica dell’immanenza borghese. Non gli preme tanto di ricostruire la totalità della società borghese, quanto piuttosto di
porla sotto la lente come un che di cieco, di legato alla natura, di confuso. In questo il suo metodo micrologico e

58
Già in l’Attualità della Filosofia si trova una descrizione della filosofia come Konstellation quando
egli scrive:

La filosofia deve imparare a lasciarsi alle spalle i grandi problemi, la cui La grandezza un tempo era garanzia
di totalità, mentre oggi l'attività interpretativa si dilegua fra le ampie maglie di quei problemi. L'interpretazione
porta a termine il proprio compito unicamente attraverso la composizione del dettaglio più piccolo e, dunque,
non partecipa più al dibattito sui grandi problemi. Infatti essa vi prende parte solamente quando, attraverso un
risultato particolare, riesce a distruggere la domanda sulla totalità, che, un tempo, veniva utilizzata per
rappresentare simbolicamente il particolare. La costruzione degli elementi più piccoli, privi di senso e volontà
autonoma è uno dei presupposti fondanti dell'interpretazione filosofica. Così come la svolta verso il «rifiuto
del mondo delle apparenze» proclamata da Freud ha validità al di là dell'ambito della psicanalisi, la svolta della
sociologia verso l'economia non nasce solamente dalla superiorità empirica dell'economia, bensì dall'esigenza
immanente dell'interpretazione filosofica stessa. Se oggi la filosofia si interrogasse sul rapporto assoluto tra
cosa in sé e apparenza - oppure, usando un'espressione attuale, si interrogasse semplicemente sul senso
dell'essere - essa resterebbe ferma a un distacco formale o, in alternativa, si suddividerebbe in punti di vista
molteplici e indifferenti.165

Cherchi in Natura, storia, mito. Theodor Adorno filosofo del conflitto, scrive, a proposito della
costellazione, che Adorno la

adotta per significare quel processo in base al quale si considera simultaneamente sia la singolarità empirica
dei fenomeni che la loro visione d’insieme, ovvero la loro relazionalità. In tale considerazione simultanea, il
polo della singolarità empirica è rappresentato dal concetto, in quanto questo si pone come strumento d’analisi
dei fenomeni; mentre all’idea compete la visione globale, e dunque l’idea stessa della verità. Mediante il
concetto di costellazione si intende, pertanto, salvare la frammentazione dei fenomeni all’interno di una
rappresentazione nella quale la ricostruzione della figura complessiva dipende dalla sistemazione e
combinazione dei vari tasselli che la compongono, come se si trattasse di un mosaico.166

frammentario non ha mai completamente assimilato la concezione della mediazione universale, che, in Hegel come in
Marx, istituisce la totalità. Senza mai deflettere egli tenne fermo al suo principio che la più piccola cellula di realtà intuita
controbilancia tutto il resto del mondo. L’interpretare materialisticamente i fenomeni significava per lui non tanto
spiegarli in base al tutto sociale, quanto riferirli immediatamente, nel loro isolamento, a tendenze materiali e a lotte sociali.
Sperava così di sfuggire a quell’alienazione e riduzione ad oggetto, nella quale la considerazione del capitalismo in quanto
sistema minaccia di assimilarsi appunto al sistema. Affiorano motivi del primo Hegel, ch’egli probabilmente non
conosceva: anche nel materialismo dialettico ha rintracciato quel che il giovane Hegel chiamava «positività», e vi si è
opposto nel modo che gli era proprio. Nello stretto contatto con l’immediato materiale, nell’affinità con ciò che è, al suo
pensiero s’accompagnava sempre, pur nella sua singolarità e acutezza, un che di peculiarmente inconsapevole, d’ingenuo
se si vuole. Ingenuità che a volte lo indusse a simpatizzare con tendenze di politica di potenza che, com’egli ben sapeva,
avrebbero liquidato la sostanza sua propria, l’esperienza spirituale non irregimentata. Ma anche di fronte ad esse assunse
astutamente un atteggiamento interpretativo, quasi si potesse, se ci si limita a interpretare lo spirito obiettivo,
contemporaneamente soddisfare ad esso ed esorcizzarne l’orrore in quanto lo si è compreso. Egli era disposto ad apportare
all’eteronomia delle teorie speculative piuttosto che rinunciare alla speculazione.» Theodor W. Adorno, Kulturkritik und
Gesellschaft I: Prismen. Ohne Leitbild, in Gesammelte Schriften, Bd. 10.1, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1977,
[= Prismi – Saggi sulla critica della cultura, a cura di Stefano Petrucciani, Einaudi, Torino, 2018]
165
Theodor W. Adorno, Attualità della filosofia, cit., p. 51
166
Gianpaolo Cherchi, Natura, storia, mito. Theodor Adorno filosofo del conflitto, cit., p. 114

59
Sebbene Adorno in Dialettica negativa critichi la concezione di Benjamin criticando l’eccessivo
contenuto metafisico, preferendogli l’approccio scientifico weberiano, la formulazione più
interessante della costellazione è proprio benjaminiana:

Si potrà illustrarne il significato con un paragone: le idee si rapportano alle cose come le costellazioni si
rapportano alle stelle. Il che significa innanzitutto: esse non sono né i concetti né le leggi delle cose. Non
servono alla conoscenza dei fenomeni e questi ultimi non possono in alcun modo fungere da criteri per valutare
la consistenza delle idee. Piuttosto, il significato dei fenomeni per le idee si esaurisce nei loro elementi
concettuali. Mentre i fenomeni determinano, con la loro esistenza, la loro comunanza, le loro differenze, la
portata e il contenuto dei concetti che li abbracciano, il loro rapporto con le idee è opposto, nel senso che è
proprio l’idea, quale oggettiva interpretazione dei fenomeni – o piuttosto dei loro elementi – a determinarne la
reciproca appartenenza. Le idee sono costellazioni eterne, e se gli elementi vengono concepiti come punti di
tali costellazioni, i fenomeni si troveranno ad essere, nello stesso tempo, analizzati e salvati. E va detto altresí
che questi elementi, la cui estrapolazione dai fenomeni è compito del concetto, vengono in luce con la massima
precisione negli estremi. L’idea è definibile come configurazione del nesso che l’unico e l’estremo ha con ciò
che gli è simile. È perciò errato intendere come concetti le norme generali della lingua, anziché riconoscerle
come idee. È assurdo identificare l’universale con la media statistica. L’universale è l’idea. L’empirico è invece
penetrato tanto più a fondo quanto più precisamente può essere considerato come qualcosa di estremo.
Dall’estremo procede il concetto. Come la madre comincia a vivere la sua vita piena quando la cerchia dei suoi
piccoli si stringe intorno a lei per sentirne la vicinanza, cosí le idee cominciano a vivere solo quando gli estremi
si raccolgono intorno a loro. Le idee – nei termini di Goethe: gli ideali – sono le madri faustiane. Esse
rimangono oscure là dove i fenomeni non si riconoscono in esse e non si raccolgono intorno ad esse. La raccolta
dei fenomeni è un’incombenza dei concetti, e la frammentazione operata in essi dall’intelletto analitico è tanto
più significativa per il fatto di conseguire in un solo colpo un duplice risultato: la salvazione dei fenomeni e la
rappresentazione delle idee.167

Si tratta quindi di opporre al sistema la costellazione, come unico strumento per uscire dalla prigione
della totalità, come momento in cui avviene l’interpretazione, ma non la mediazione.

Cicatello, infatti in Il negativo in questione Una lettura di Adorno commenta scrivendo:

il pensare in costellazioni incarna lo spirito di una dialettica che ridiscute ogni forma di gerarchia concettuale,
in primis quella che Adorno vede all’opera nella configurazione sistematica della dialettica hegeliana. Non è
un caso che in Drei Studien zu Hegel il termine ‘costellazione’ venga usato in polemica con il termine
‘sistema.168

La distruzione non è, come in Heidegger169, il momento di una nuova fondazione, ma il minare alle
fondamenta l’edificio del concetto e ammirarne (e mettere in relazione) le macerie, il suo essere
ridotto in pezzi e non più ricostruibile. Non è più possibile una mediazione, né tantomeno una
riconciliazione: la costellazione è indice di una frammentarietà di base della realtà umana di fronte

167
Walter Benjamin, Ursprung des deutschen Trauerspiels, Rowohlt, Berlin, 1928 [= Il dramma barocco tedesco, a cura
di Enrico Filippini, Einaudi, Torino, 1991, p. 16]
168
Angelo Cicatello, Il negativo in questione Una lettura di Adorno, cit., p. 57
169
Martin Heidegger, Essere e tempo, cit., § 6

60
alla reificazione, dal momento in cui, come scrive Adorno in Prismi, «dialettica significa
intransigenza di fronte ad ogni reificazione»170. «Solo le costellazioni» - infatti aggiunge il nostro
filosofo - «rappresentano da fuori quel che il concetto ha reciso all’interno, quel più che esso tanto
vuole, quanto non può essere.»171

In Dialettica negativa infatti egli scrive che:

Il momento unificante sopravvive, senza negazione della negazione, ma anche senza affidarsi all’astrazione
quale principio supremo, non perché si sale per gradi dai concetti al più universale dei concetti superiori, ma
perché essi entrano in costellazione. Questa illumina lo specifico dell’oggetto che per la procedura classificante
è indifferente o ingombrante.172

E aggiunge nei Tre studi su Hegel:

La costellazione non è il sistema. Non è il luogo in cui tutto torna, in cui tutto si appiana, ma un momento getta
luce sull’altro, e le figure che i singoli momenti formano insieme sono un segno determinato e una scrittura
leggibile.173

Ancora Cicatello:

Contro ogni forma sistematica di sapere, che Adorno esemplifica nella logica del «tutto torna», un sapere
degno di questo nome deve rimanere aperto all’imprevisto che può far saltare ogni schema procedurale. La
conoscenza dialettica deve somigliare all’esecuzione di un brano musicale, dove l’irruzione di una sola nota è
in grado di ridisegnare l’intero corso armonico delle altre. Non è allora solo per amor di metafora che Adorno
cerca nel sapere filosofico il gesto che lo renda simile ad una composizione musicale: «[...] la filosofia non
dovrebbe ridursi alle categorie, ma in un certo senso solo comporre. Essa deve nel suo procedere rinnovarsi
incessantemente tanto per forza propria, quanto per attrito con ciò a cui si adegua; è decisivo quel che vi accade,
non la tesi o la posizione».174

Possiamo dire quindi che Adorno, nella figura del non-identico, come risultato della Konstellation
vuole valorizzare il carattere irriducibile e costantemente in trasformazione dell’elemento minimo,
sul dettaglio. Il non-identico non si lascia definire da concetti. La costellazione apre sempre a

170
Theodor W. Adorno, Prismi, cit., p. 18
171
Ivi, p. 147
172
Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p. 146
173
Theodor W. Adorno, Tre studi su Hegel, cit.,132
174
Angelo Cicatello, Il negativo in questione Una lettura di Adorno, cit., p. 57. La citazione di Adorno è tratta dalla p. 32
di Dialettica negativa.

61
maggiori possibilità interpretative, la Deutung non si lascia inghiottire dal vortice dialettico, è sempre
in costante mutamento. Come fa notare Cicatello infatti «l’oggetto si apre a un’insistenza
monadologica che è coscienza della costellazione in cui si trova: la possibilità di sprofondare
all’interno ha bisogno di quell’esterno. Ma questa universalità immanente dell’individuale è oggettiva
come storia sedimentata. Questa è dentro e fuori di lui, un avvolgente, in cui esso ha il suo posto.
Prendere coscienza della costellazione in cui la cosa si trova significa decifrare quella che
l’individuale contiene in sé in quanto divenuto.»175 Adorno vede nella filosofia la ricerca e la
costruzione di modelli, di costellazioni concettuali che rendano conto a un tempo dell’irrazionalità
della società industriale avanzata, dell’assenza di un disegno razionale totale, il quale fa sì che ogni
parte sia, in qualche modo, pur in un complicato gioco di mediazioni, specchio del tutto.

Come bilancio della questione sistema/costellazione, scrive Cherchi in Interpretazione dialettica e


fantasia esatta. Sul sistema in Adorno:

In tal senso allora, la declinazione adorniana della dialettica, il suo carattere di negatività e di voluta anti-
sistematicità, il suo modello della Deutung che impone al pensiero di arrestarsi e di sostare sulla contraddizione
e sul conflitto, rappresenta certamente un modello attraverso il quale fornire un disegno ordinato e coerente
della realtà, un sistema (che il reale debba essere necessariamente rappresentato in maniera sistematica è una
considerazione ovvia, come abbiamo già detto, anche per Adorno). Si tratta, tuttavia, non di un sistema chiuso
nella sua rigidità formale e ancorato ai principi severi e implacabili della logica-deduttiva, bensì di un sistema
aperto, in continua evoluzione e suscettibile di continue riconfigurazioni: esso raggruppa i vari momenti del
reale all’interno di costellazioni concettuali, dentro alle quali questi momenti coesistono e insieme
contribuiscono a comporre un’immagine e una configurazione precisa della realtà. Il sistema interpretativo
adorniano, attraverso il pensare per costellazioni, traccia una cartografia del reale i cui contorni sono delineati
a matita; accetta il fatto che la realtà sia una realtà in mutamento, e che questo mutamento implica la
costruzione e la produzione di ulteriore realtà. Tuttavia, tale mutamento viene pensato non più come un
processo narrativo unitario, ma come una realtà disgregata e sparsa, che non è più possibile cogliere nella sua
omogeneità storica, ma solo nella sua frammentarietà. La costellazione rappresenta, in tal senso, una colonia
concettuale costituita certamente da momenti storici distinti, i quali, tuttavia, si distribuiscono nella medesima
superficie spaziale costituita dalla costellazione stessa, e in tal modo rendono possibile una configurazione e
un’immagine dialettiche, una configurazione e un’immagine che siano in grado di rendere conto del carattere
intrinsecamente negativo della realtà.176

175
Ibid.
176
Gianpaolo Cherchi, Interpretazione dialettica e fantasia esatta. Sul sistema in Adorno, cit., p. 144

62
2.4 Bisogno ontologico e criptoidealismo

Occorre dire che c’è un’aporia di fondo nella Logik des Zerfall adorniana, e si trova proprio nel
rapporto che la Dialettica negativa ha con il sistema e come essa si costituisca, in fin dei conti, come
sistema, sebbene dinamico e oppositivo nei confronti del dominio della totalità.

Come nota ancora Cherchi in Interpretazione Dialettica e fantasia esatta. Sul Sistema in Adorno:

L’idea dell’interpretazione, tuttavia, esprime, a ben vedere, due istanze differenti e complementari al tempo
stesso: da un lato la sua Logik des Zerfalls rappresenta un’istanza antisistematica, in quanto si oppone al
dominio della totalità; dall’altro lato, tuttavia, l’idea stessa di una Logica, per quanto faccia riferimento ad una
realtà frammentata, per quanto sia frammentato il suo oggetto, implica di per sé un’esigenza contraria, e dunque
sistematica. L’interpretazione stessa, questa riconfigurazione degli elementi del reale, indica l’intima esigenza
del pensiero di andare oltre, di togliere e superare, nel senso propriamente dialettico-hegeliano del termine (nel
senso dell’Aufheben), questa frammentarietà iniziale: l’interpretazione mostra, insomma, come l’anelito alla
totalità e la necessità di sistema siano in qualche modo connaturati al pensiero stesso.177

Da una parte, quindi la dialettica distrugge, dall’altra la negazione, la distruzione, potremmo dire -
facendo riferimento al § 6 di Essere e tempo - è il momento di una nuova fondazione. Proprio in
questa direttrice si costituisce la pervasività del dialogo con Heidegger nell’intera opera adorniana.

Possiamo dire che il dialogo/scontro con Heidegger sia un ottimo esempio della tensione dialettica
tra esigenza sistematica e esigenza emancipativa. Il dibattito/scontro di Adorno con Heidegger si
costituisce come il dibattito/scontro con sé stesso, con le aporie di Dialettica negativa: si tratta, nel
pieno stile adorniano, dell’ennesima autoriflessione che la filosofia fa su sé stessa riconoscendo la
propria fallacia.

Adorno, sia ne L’attualità della filosofia che nel capitolo di Dialettica negativa sul bisogno
ontologico, mostra come Heidegger non riesca a uscire dallo scacco hegeliano, dalla necessità di
trovare un principio unificatore della realtà. Nell’autore di Essere e tempo, questa necessità si svolge
come un ritrarsi ad uno stato originario dell’essere, in una dimensione autentica.

La necessità di un principio ordinatore e unificatore della realtà si costituisce, per l’ontologia, o


meglio per gli ontologi che si trovano a dover far fronte all’irrazionalità178 della società industriale
avanzata e dello sviluppo tecnico post grande guerra.

177
Ivi, p.138.
178
Per il ribaltamento della razionalità nel suo contrario, nell’irrazionalità si rimanda alla prima parte di Dialettica
dell’Illuminismo “Il concetto di Illuminismo”.

63
Il Bisogno Ontologico, quindi, si costituisce come l’esigenza di ordine, di trovare dei punti fermi in
un mondo dominato dal caos.

Scrive ancora Cherchi:

Adorno stesso riconosce per primo quest’aspetto duplice e contraddittorio del pensiero, che definisce bisogno
ontologico. Si tratta, fondamentalmente, del bisogno di fissare i contenuti di un mondo che cambia, che scorre,
che diviene, che muta davanti ai nostri occhi impotenti. Il bisogno ontologico non è altro che un bisogno
esistenziale di garanzie sul mondo in cui viviamo: esso esprime la necessità di non soccombere di fronte al
divenire incessante e inarrestabile del mondo. […] Il thaumazein da cui è nata la filosofia, non è altro che
questo grido di terrore e di sgomento, che esprime l’esigenza di ordine e di stabilità di fronte ad un mondo che
presenta, al contrario, il carattere dell’irrequietezza e del caos.179

Il ritrarsi da parte dell’ontologia a regioni mitiche180 porta all’idealismo, porta, ancora una volta a
considerare φύσις ciò che è θέσις. L’essere heideggeriano per Adorno è una finta evasione:

con il pretesto di fare apparire quel che giace sotto di essi, diventano inavvertitamente ancora una volta l’in sé
che sono comunque diventati per la coscienza reificata. Ciò che si atteggia come distruttore di feticci, distrugge
unicamente le condizioni per scorgerli come feticci. La finta evasione termina in ciò da cui fugge; l’essere, in
cui sfocia, è thesei.181

Adorno è chiaro nel dire che il bisogno ontologico è esclusivamente una esigenza della soggettività,
ed è quindi fallace, costituendosi ancora all’interno delle dinamiche proprie dell’identità, che egli
vuole distruggere. Come scrive ancora Cherchi, infatti Adorno

piuttosto, si sforza di tenere ben presente che tale esigenza sistematica è appunto una esigenza, e ne denuncia
perciò il suo carattere strumentale, ideologico, e in questo senso falso, fallace. Tale falsità è dovuta al fatto che
si tratta di un bisogno soggettivo, che piega il mondo alle esigenze del soggetto, adegua la realtà all’intelletto,
conferendo alla realtà un senso che le è estraneo, e così facendo falsifica quella stessa realtà in cui il soggetto
stesso è inserito, quella stessa realtà di cui il soggetto è, allo stesso tempo, oggetto.182

Usando le parole di Adorno:

179
Ivi, p. 139.
180
Adorno in L’Idea della Storia Naturale scrive che «Con il concetto di mitico si intende ciò che è sempre possibile
riscontrare nella storia, ciò che caratterizza la storia umana come suo essere necessario, come suo destino, ossia ciò che
sembra essere l’essenza della storia.» [Theodor W. Adorno, Die Idee der Naturgeschichte e Thesen über die Sprache des
Philosophen, in Gesammelte Schriften, Bd. 1, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1933 [= L’attualità della filosofia.
Tesi all’origine del pensiero critico, a cura di M. Farina, Milano-Udine, Mimesis, 2009, p. 60]
181
Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p. 79.
182
Gianpaolo Cherchi, Interpretazione Dialettica e fantasia esatta. Sul Sistema in Adorno, cit., p. 139.

64
l’atto di dare un senso, infatti, non è altro se non un conferimento di significati operato dalla soggettività. La
concezione che intende la domanda sul senso come un conferimento di significati soggettivi all’ente conduce
alla crisi già nella fase iniziale. L’espressione drastica di questa crisi corrisponde all’instabilità delle
determinazioni fondamentali dell’ontologia che la ratio deve produrre nel tentativo di ottenere un ordine
dell’essere come esperienza.183

Secondo il nostro filosofo l’ontologia, proprio per via di questo bisogno, diventa apologetica,
ricadendo in quell’idealismo di fondo, in quel voler andare, per citare Husserl, alle cose stesse.
Adorno, facendo propria la lezione hegeliana e marxiana, sostiene che il fondamento, non è qualcosa
che si manifesta preliminarmente, per quanto voglia l’ontologia, la quale «si appaga nelle questioni
preliminari»184, ma che si manifesta nel compiersi del processo dialettico, portandosi dietro il risultato
di un lungo processo di mediazioni considerate esistenti di per sé, prima di ogni esperienza, rendendo
la critica sempre più inattaccabile.

Scrive Adorno infatti nel capitolo di Dialettica negativa dedicato al bisogno ontologico:

l’ontologia appare tanto più fascinosa, quanto meno si lascia fissare a contenuti determinati che
permetterebbero all’intelletto saccente di avere un appiglio. L’inafferrabilità si trasforma in inattaccabilità.185

E ancora:

In tutte le sue correnti, che si accusano tra loro di esserne la falsa versione e si combattono, l’ontologia è
apologetica. Ma il suo influsso non sarebbe comprensibile se non le venisse incontro un bisogno enfatico,
indice di un lasciato sfuggire, la brama di non doversi accontentare del verdetto kantiano sul sapere assoluto.186

C’è da dire che quella del bisogno ontologico sia un’esigenza che si sviluppa maggiormente nel
mondo amministrato: secondo Adorno, infatti, non è un caso che filosofie come quella heideggeriana
siano nate in quel determinato momento storico. Egli scrive che

la rianimazione dell’ontologia a partire da un intento oggettivistico potrebbe appoggiarsi su ciò che


sicuramente meno le aggrada: sul fatto che il soggetto è diventato in larga misura ideologia, da quando
nasconde l’oggettivo contesto funzionale della società e allevia la sofferenza dei soggetti che ne soffrono.187

183
Theodor W. Adorno, Attualità della filosofia, cit., p. 62.
184
Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p. 67.
185
Ivi, p. 57.
186
Ibid.
187
Ivi, p. 62.

65
Quindi l’ontologia, sebbene apparentemente sanzioni la gerarchia del mondo amministrato, di fatto
porterebbe alla reificazione e così all’immodificabilità dell’esistente. Scrive Adorno che

solo con non verità si può risospingere la reificazione nell’essere e nella storia dell’essere, affinché si
compianga e si consacri come destino ciò che l’autoriflessione e la prassi da essa innescata sarebbero forse in
grado di cambiare.188

Il Bisogno Ontologico, secondo Adorno si tradurrebbe in un vero e proprio terrore nei confronti del
tramonto totale della società, di fatto minacciata dall’avanzamento dell’apparato tecnico189 e da quella
che il secondo Heidegger avrebbe chiamato Seinsgeschichte, storia dell’essere, nella quale l’uomo
non ha più nessun ruolo.

Ed è per questo che l’ontologia si costituirebbe come un surrogato di questo bisogno:

La neo-ontologia è necessariamente un surrogato: quel che si spaccia come se fosse al di là dell’impostazione


idealista resta latentemente idealismo e impedisce una sua critica incisiva. In generale i surrogati non sono solo
i primitivi appagamenti di desiderio, con cui l’industria culturale alimenta le masse, senza che queste vi
credano veramente. L’abbaglio non termina là dove il canone ufficiale della cultura piazza i suoi beni, nel
presunto sublime della filosofia. Il più urgente dei suoi bisogni sembra oggi quello di un che di costante. Esso
ispira le ontologie; esse vi si adeguano. Il costante ha in tanto il suo diritto, in quanto si vuole sicurezza, non
essere sepolti da una dinamica storica contro cui ci si sente impotenti.190

È proprio nel filone dell’impotenza dell’uomo nei confronti di ciò che gli si pone innanzi che si
instaura quello che Adorno chiama nelle lezioni sulla Terminologia filosofica «superstizione
dell’origine»191. Si tratta secondo il nostro filosofo di una dimensione di «non-risolta mitologia»192
che sostiene «che i vecchi dei fossero quelli veri e che ciò che è esistito in precedenza debba essere
necessariamente migliore»193.

L’arcaismo di cui Heidegger si fa portatore, figlio di quella concezione pre-borghese e antiborghese


tipica dei a filosofi della rivoluzione conservatrice, è già ideologia, è criptoidealismo, utilizzando il

188
Ivi, p. 85.
189
Per Heidegger la tecnica è il destino sotteso alla metafisica moderna e si annuncia attraverso il presupposto della
calcolabilità e producibilità dell’ente. Il termine che egli usa, Gestell (in alcune varianti Ge-Stellen) «indica i diversi modi
dello Stellen, verbo che nei suoi molteplici significati (porre, mettere in posa, sfidare, provocare) e nei possibili composti
(“herstellen” fabbricare, produrre; “bestellen”, ordinare; “vorstellen”, rappresentare, porre dinnanzi; “zustellen”, fornire)
indica altrettanti atteggiamenti tipici della tecnica moderna» (voce Gestell, in Guida a Heidegger, a cura di Franco Volpi,
Laterza, Roma, 2005). Il carattere fondamentale della tecnica è quello di essere un impianto (traduzione letterale del
termine Gestell) del tutto autoreferenziale che, attraverso i paradigmi scientifici è volto al dominio sull’esistente.
190
Ivi, pp. 86-87.
191
Theodor W. Adorno, Philosophische Terminologie, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1963 [= Terminologia
Filosofica, a cura di Anna Solmi, Einaudi, Torino, 2007, controllare pagina]
192
Ivi, controllare pagina
193
Ibid.

66
gergo di L’attualità della Filosofia notando come la categoria stessa di radice, di origine, sia connessa
con quella di dominio.

2.5 Verità e adeguazione

La critica all’identità operata dal teorico critico francofortese possiamo dire che vada a intaccare, nel
suo fondamento il concetto di verità. Il concetto di verità come adaequatio rei et intellectus,
proveniente dal pensiero medievale, che prescriveva la conciliazione indiscutibile tra osservatore e
cosa osservata, è parte integrante di quell’Herrschaft der Ganzheit che la dialettica negativa vuole
distruggere alla radice.

Nell’adaequatio, infatti, sta la possibilità di una congruenza di pensiero ed essere: così il pensiero
identificante comincia ad imperare, andando a definire come non-vero ciò che non si identifica con
la totalità. Secondo Adorno, quindi, il desiderio di verità, che si esprime nel concetto della verità
come adeguazione è uno dei Leitmotiv dell’intera storia della filosofia occidentale sin dal poema sulla
natura di Parmenide, nel quale, per la prima volta, viene stabilita la corrispondenza di pensiero e
esistenza: «τὸ γὰρ αὐτὸ νοεῖν ἐστίν τε καὶ εἶναι»194.

La δόξα, quel contenuto fondamentalmente empirico, viene relegato a una dimensione subordinata
rispetto a quella dell’essere: una via che porta al nulla, una via che non deve essere percorsa perché
impensabile. Sebbene già nel Sofista195 platonico verità e δόξα vengano messe in un rapporto
dialettico (sebbene nel pensiero antico non si possa parlare di dialettica nell’accezione hegeliana), la
distinzione rimarrà tale fino a Hegel.196

Quella della adaequatio, la quale continua ad essere base della logica classica e della filosofia
analitica, creando, di fatto, l’ordine scientifico-tecnico della società amministrata nel quale ogni
contradizione deve essere risolta. Essa per Adorno, non è solo illusione, ma ideologia.

De Angelis, in Esperienza e concetto. La dialettica di Adorno (2005) scrive, questo proposito:

194
A cura di Hermann Diels e Walter Kranz, Die Fragmente der Vorsokratiker, Weidmannsche buchhandlung, Frankfurt
au Main, 1903, DK 28 B3 [= I Presocratici, a cura di Giovanni Reale, Bompiani, Torino, 2006, p. 482].
195
Nel Sofista Platone fa sì che lo Straniero di Elea, protagonista del dialogo assieme al giovane Teeteto, compia il
cosiddetto parricidio di Parmenide, volto a costringere l’argomentazione dell’eleate «con la forza ad ammettere che ciò
che è, a sua volta, in qualche modo non è» (Platone, Sofista, a cura di Bruno Centrone, Einaudi, Torino, 2008, p. 119).
Per Platone Essere e non-essere, che qui viene identificato come movimento, si trovano ad essere due dei generi sommi,
predicati generali nei quali un’asserzione può essere inserita e che compartecipano (in modo dialettico, anche se, come
già detto, non si può parlare di dialettica nel pensiero antico nel senso hegeliano) tra di loro.
196
Basti pensare allo svolgersi della Fenomenologia dello Spirito dalla certezza sensibile allo spirito, passando, non a
caso, dalla dialettica di coscienza, autocoscienza (come momento negativo) e ragione.

67
Positivamente, Adorno cementa la centralità del frammento attraverso l’idea che la non identità di soggetto e
oggetto non sia affatto contingente, bensì radicale. Quella che diventa una critica della verità come adaequatio
egli formula qui nel modo più radicale: scienza e filosofia operano secondo l’illusione che l’ordine delle idee
sia l’ordine delle cose. Non si tratta di scetticismo, quanto di una critica dell’idea di un ordine del sapere
orientato all’intemporalità dell’essenziale: al concetto derivato per astrazione dalle qualità temporali, effimere
del fenomeno individuale.197

Nel pensatore francofortese, come abbiamo visto, il concetto stesso di verità si trova ad essere schiavo
del pensiero identificante: è vero ciò che si uniforma e si pacifica nella gabbia d’acciaio della totalità,
a livello filosofico come politico.

Nel §44 di Essere e Tempo, si nota, ancora una volta, la vicinanza a livello teoretico tra Heidegger e
Adorno. Heidegger, infatti, riconosce come, nella dimensione inautentica, nella quale il concetto di
essere è quello dell’adeguazione, la questione della verità si costituisca come una questione di
relazione: una questione dialettica, potremmo dire, sebbene Heidegger non usi mai questo termine.
La tradizione dell’adaequatio trasforma la verità da rapporto in cosa basandosi sul giudizio e
sull’aderenza di questo alla cosa su cui verte.

Durante l’analisi del concetto tradizionale di verità e dei suoi fondamenti ontologici Heidegger si
chiede che cosa significhi il termine adeguazione.

Egli risponde scrivendo che

L’adeguazione di qualcosa a qualcos’altro ha il carattere formale della relazione di qualcosa a qualcos’altro.


Ogni adeguazione, quindi anche la «verità», è una relazione. Ma non ogni relazione è adeguazione.198

E subito dopo:

L’uguaglianza è un modo di adeguazione. L’adeguazione comporta strutturalmente qualcosa come il «rispetto


a». Che cos’è ciò rispetto a cui gli elementi posti in relazione nell’adaequatio adeguati?199

Adorno a questa domanda risponderebbe che è proprio quella uguaglianza ad essere il fine
dell’adaequatio così rendendo il dominio della totalità ancora più forte.

197
Gabriele De Angelis, Esperienza e concetto. La dialettica di Adorno, in “Intersezioni”, fascicolo 3, dicembre 2005, p.
505.
198
Martin Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 261
199
Ibid.

68
Non è un caso che il §44, Esserci, apertura e verità, chiuda la prima sezione di Essere e Tempo,
dedicata all’analisi delle modalità esistentive dell’esserci. Possiamo pensare che il §44 si ricolleghi
idealmente al §27, precedentemente trattato. Quella uniformità data dal Man è la stessa che secondo
Heidegger è originata dal considerare il concetto di verità come adeguazione alla realtà data.

In Adorno, esattamente come in Heidegger, la critica del concetto di verità consiste in un atto
volontario, demistificante, volto a giungere all’Eigentlichkeit in Heidegger, al non-identico in
Adorno. Potremo dire che, sebbene con soluzioni diametralmente diverse, ci si trovi davanti a due
modalità di portare avanti una filosofia della prassi200.

Heidegger, infatti, continua nel paragrafo mostrando questa continuità e spiegando come la verità, in
senso autentico, originario, si costituisca come esser-scoprente:

Lo scoprire è un modo di essere dell’essere-nel-mondo. Il prendersi cura preveggente ambientalmente, o anche


solo osservante inattivamente, scopre l’ente intramondano. Questo si fa allora scoperto. In quanto tale, è «vero»
in un senso secondo. Primariamente «vero», ossia scoprente, è l’Esserci. Verità nel senso secondo non significa
esser-scoprente (scoprimento) ma esser-scoperto (stato di scoprimento).201

E ancora:

Ma nelle precedenti analisi della mondità del mondo e dell’ente intramondano abbiamo mostrato che l’esser-
scoperto dell’ente intramondano si fonda nell’apertura del mondo.202

In entrambi i pensatori ci troviamo dietro un oblio della questione fondamentale, da una parte quella
ontologica, dall’altra quella dialettica, le quali vengono occultate da un indirizzo dominante:
possiamo dire che sia tutta colpa di Hegel.

Francesca di Lorenzo Ajello, infatti, nota nel suo Conoscenza e immaginazione nel pensiero di
Theodor W. Adorno,

Analizzando la storia del pensiero occidentale sotto il punto di vista della sua partecipazione alla dominazione
alla dominazione greca di «verità (Wahreit)», «essere (Sein)» ed «uno (Einheit)», originatasi con Parmenide e

200
Per quanto riguarda Heidegger, Franco Volpi nel suo È ancora possibile un’etica? Heidegger e la “filosofia pratica”,
sostiene che quella di Heidegger possa essere considerata una vera e propria filosofia della prassi che nasce nel periodo
di Friburgo attraverso la rilettura da parte di Heidegger dell’Etica Nicomachea aristotelica e in particolare del VI libro,
nel quale Aristotele espone le virtù dianoetiche e il particolare il concetto di Phronesis. (Franco Volpi, È ancora possibile
un’etica? Heidegger e la “filosofia pratica”, in Heidegger e gli orizzonti della filosofia pratica. Etica, estetica, politica,
religione, a cura di Adriano Ardovigno, Guerini Associati, Milano, 2003).
201
Martin Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 266
202
Ibid.

69
continuata con Platone, Adorno rileva la intrinsecità della svalutazione a mera doxa, connessa a tale
dominazione, di ogni «eccedenza del mondo dei sensi rispetto al pensiero»203

E ancora Ajello, mostrando come Adorno si rivolga ancora una volta al carattere ideologico del
processo conoscitivo mostrando esplicitamente

Il nesso tra l’egemonia dell’«unità (Einheit)» e della «concordanza (Einstimmigkeit)» sul piano conoscitivo e
la repressività sociale sul piano politico e ideologico o a rilevare come il principio di identità si è configurato
come «istanza di una dottrina dell’adattamento»204, ostile ad ogni aspirazione al «diverso» e al «meglio»,
attraverso l’esorcizzazione di tutto ciò che non è identico205.

Quindi la questione dell’egemonia di unità e concordanza, nella totalità e nella verità come
adaequatio, si costituisce, come la cifra sostanziale che riassume la logica con cui si muove il capitale.
La società industriale avanzata, quindi, sottende l’unica ideologia possibile, quella del capitale
imperante. La adaequatio non sta nel campo della teoria, ma in quella della prassi, essa «non è solo
di natura riproduttiva: non è per così dire l’articolazione concettuale di un oggetto indipendente. Al
contrario, essa è di natura pratica: è attività sulla realtà da parte del soggetto agente. Il concetto non
esprime solo ciò che è, bensì anche il senso dell’agire: è un dover essere, la fondazione di un’identità
pratica di soggetto e oggetto nell’azione sulla natura e sull’ambiente.»206

203
Theodor W. Adorno, Zur Metakritik der Erkenntnisttheorie, in Gesammelte Schriften vol. 5, Suhrkamp Verlag,
Frankfurt am Main, 1964 [= Sulla Metacritica della Gnoseologia, a cura di A. Burger Cori, Sugarco, Milano, 1964, p.
20]
204
Theodor W. Adorno, Dialettica Negativa, cit., p. 132
205
Francesca di Lorenzo Ajello, Conoscenza e immaginazione nel pensiero di Theodor W. Adorno, cit., p. 43
206
Gabriele de Angelis, Esperienza e concetto. La dialettica di Adorno, cit.

70
71
3

Bibliografia

Opere di Theodor W. Adorno

Edizioni di Dialettica negativa

• Theodor W. Adorno, Negative Dialektik, Surhkamp, Frankfurt au Main, 1966

• Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, a cura di Stefano Petrucciani, Einaudi, Torino, 2004

• Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, a cura di Carlo Alberto Donolo, Einaudi, Torino,
1970

• Theodor W. Adorno, Negative dialectics, a cura di E. B. Ashton, Routledge & Kegan Paul
Ltd, London, 1973

• Theodor W. Adorno, Negative dialectics, a cura di Dennis Redmond, 2001, reperibile on-line
in http://members.efn.org/~dredmond/ndtrans.html

• Theodor W. Adorno, Dialectique négative, a cura del Collège de philosophie, Éditions Payot
& Rivages, Parigi, 2001

72
Altre opere di Adorno

• Theodor W. Adorno, Die Idee der Naturgeschichte e Thesen über die Sprache des
Philosophen, in Gesammelte Schriften, Bd. 1, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1933 [=
L’attualità della filosofia. Tesi all’origine del pensiero critico, a cura di M. Farina, Milano-
Udine, Mimesis, 2009]

• Theodor W. Adorno, Max Horkeimer, Dialektik der Aufklärung, Querido, Amsterdam, 1944
[= Dialettica dell’Illuminismo, a cura di Carlo Galli, Einaudi, Torino, 1997]

• Theodor W. Adorno, Minima Moralia, in Gesammelte Schriften, Bd. 4, Suhrkamp Verlag,


Frankfurt am Main, 1955 [= Minima moralia, a cura di Renato Solmi, Einaudi, Torino, 2008]

• Theodor W. Adorno, Drei Studien zu Hegel, in Gesamelte Schriften, Bd. 5, Suhrkamp Verlag,
Frankfurt am Main 1963 [= Tre studi su Hegel, a cura di Remo Bodei, il Mulino, Bologna,
2014]

• Theodor W. Adorno, Stichworte. Kritische Modelle, in Gesammelte Schriften, Bd. 10.2,


Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1969 [= Parole chiave. Modelli critici, a cura di M.
Argati, SugarCo, Milano, 1974]

• Theodor W. Adorno, Kulturkritik und Gesellschaft I: Prismen. Ohne Leitbild, in Gesammelte


Schriften, Bd. 10.1, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1977, [= Prismi – Saggi sulla
critica della cultura, a cura di Stefano Petrucciani, Einaudi, Torino, 2018]

• Theodor W. Adorno, Philosophische Terminologie, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main


1963 [= Terminologia filosofica, a cura di Anna Solmi, Einaudi, Torino, 2007]

• Theodor W. Adorno, Zur Metakritik der Erkenntnisttheorie, in Gesammelte Schriften, Bd. 5,


Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1964 [= Sulla Metacritica della gnoseologia, a cura di
A. Burger Cori, Sugarco, Milano, 1964]

• Theodor W. Adorno, Ontologie und Dialektik, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Mein, 2008.

• Theodor W. Adorno, Soziologische Schriften, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Mein, 1979 [=


Scritti sociologici, a cura di Anna Marietti Solmi, Einaudi, Torino, 1978]

73
Ulteriori testi di membri della Scuola di Francoforte

• Institut fűr Sozialforschuung, Soziologische Exkurse, CEP Europäische Verlagsanstalt, 2013


[= Lezioni di sociologia, trad. it. a cura di Alessandro Mazzone, Einaudi, Torino, 1966]

• Walter Benjamin, Städtebilder, Suhrkamp, Frankfurt au Main, 1963 [= Mosca, in Immagini


di città, a cura di Enrico Gianni, Einaudi, Torino, 2007

• Walter Benjamin, Angelus novus, a cura di Renato Solmi, Einaudi, Torino, 1962

• Walter Benjamin, Ursprung des deutschen Trauerspiels, Rowohlt, Berlin, 1928 [= Il dramma
barocco tedesco, a cura di Enrico Filippini, Einaudi, Torino, 1991]

• Walter Benjamin, Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit,


Suhrkamp, Frankfurt au Main, 1963 [= L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità
tecnica, a cura di M. Valagussa, Einaudi, 2011].

• Max Horkeimer, Eclipse of Reason, Oxford University Press, 1947 [= Eclissi della ragione,
a cura di Elena Vaccari Spagnol, Einaudi, Torino, 1969]

• Herbert Marcuse, Reason and Revolution: Hegel and the Rise of Social Theory, Oxford
University Press, 1941 [= Ragione e rivoluzione – Hegel e il sorgere della teoria sociale, a
cura di Alberto Izzo, Il Mulino, Bologna, 1966]

• Herbert Marcuse, One-Dimensional Man, Boston, Beacon Press, 1964 [= L’Uomo ad una
dimensione, a cura di Luciano Gallino, Torino, Einaudi, 1967]

74
Altri testi citati di letteratura primaria

• Giorgio Agamben, Homo sacer – il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino, 2005

• A cura di Hermann Diels e Walter Kranz, Die Fragmente der Vorsokratiker, Weidmannsche
buchhandlung, Frankfurt au Main, 1903 [= I Presocratici, a cura di Giovanni Reale,
Bompiani, Torino, 2006]

• Michel Foucault, L'Ordre du discour, Gallimard, Paris, 1971 [= L’Ordine del discorso, trad
it. a cura di Alessandro Fontana, Mauro Bertani e Valeria Zini, Einaudi, Torino, 2004]

• Michel Foucault, Strutturalismo e post-strutturalismo, in Il discorso, la storia, la verità,


Einaudi, Torino, 2001.

• Michel Foucault, Che cos’è l’illuminismo? Che cos’è la rivoluzione?, in Il centauro, 11-12,
maggio-dicembre 1984.

• Michel Foucault, La vita: l’esperienza e la scienza in Archivio Foucault. Interventi, colloqui,


interviste vol. 3, a cura di Alessandro Pandolfi, Feltrinelli, Milano, 1998.

• Michel Foucault, Surveiller et punir. Naissance de la prison, Gallimard, Parigi, 1975 [=


Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, a cura di Alcesti Tarchetti, Einaudi, Torino,
1976]

• Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino, 2014

• Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Phänomenologie des Geistes, in Werke, Bd. 2, Suhrkamp
Verlag, Frankfurt am Mein, 1807 [= Fenomenologia dello spirito, a cura di Vincenzo Cicero,
Bompiani, Milano, 2011]

• Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Wissenschaft der Logik, in Werke, Bd. 3, Suhrkamp Verlag,
Frankfurt am Mein, 1816 [= Scienza della logica, a cura di Arturo Moni, Laterza, Roma-Bari,
2004]

75
• Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Enzyclopädie der philosophischen Wissenschaften im
Grundrisse, in Werke, Bd. 7, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Mein, 1817 [= Enciclopedia
delle scienze filosofiche in compendio, a cura di Vincenzo Cicero, Bompiani, Milano, 2015]

• Martin Heidegger, Sein und Zeit, Max Niemeyer Verlag, Tübingen, 1967 [= Essere e tempo,
a cura di Franco Volpi, Longanesi, Milano, 2014]

• Immanuel Kant, Kritik der reinen Vernunft, Hartknoch, Riga, 1781 [= Critica della ragion
pura, a cura di Pietro Chiodi, UTET, Torino, 2013]

• Karl Korsch, Marxismus und Philosophie, C. L. Hirschfeld, Leipzig, 1923 [= Marxismo e


filosofia, a cura di Mario Spinella, Sugarco, Milano, 1970]

• Geörgy Lukács, Die Theorie des Romans, Cassirer, Berlin, 1920 [= Teoria del romanzo, a
cura di Giuseppe Raciti, SE, Milano, 2004]

• Geörgy Lukács, Geschichte und Klassenbewußtein, Malik-Verlag, Berlin, 1923 [= Storia e


coscienza di classe, a cura di Giovanni Piana, Mondadori, Milano, 1973]

• Karl Marx, Das Kapital, in Marx-Engels-Gesamtausgabe, Bd. II/5, Dietz Verlag, Berlin, 1867
[= Il Capitale, a cura di Raniero Panzieri, Edizioni Rinascita, Roma, 1953]

• Karl Marx, Ökonomisch-philosophischen Manuskripte, in Marx-Engels-Gesamtausgabe, Bd.


I/2, Dietz Verlag, Berlin, 1844 [= Manoscritti economico-filosofici, a cura di Norberto
Bobbio, Einaudi, Torino, 1945]

• Karl Marx, Thesen Über Feuerbach, in Marx-Engels-Gesamtausgabe, Bd. I/4, Dietz Verlag,
Berlin, 1845 [= Tesi su Feuerbach, in “Le opere che hanno cambiato il mondo” in “Le opere
che hanno cambiato il mondo” trad. It. a cura di Ferruccio Andolfi, Newton Compton, 2011]

• Karl Marx, Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie, in Marx-Engels-Gesamtausgabe,


Bd. I/2, Dietz Verlag, Berlin, 1845 [= Per la critica della Filosofia del Diritto di Hegel, in
“Le opere che hanno cambiato il mondo” trad. It. a cura di Ferruccio Andolfi, Newton
Compton, 2011]

76
• Karl Marx, Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie, in Marx-Engels-Gesamtausgabe,
Bd. II/1, Dietz Verlag, Berlin, 1857 [= Lineamenti fondamentali della critica dell'economia
politica, a cura di Paolo Collo, Einaudi, Torino, 1976]

• Karl Marx, Die deutsche Ideologie, in Marx-Engels-Gesamtausgabe, Bd. I/5, Dietz Verlag,
Berlin, 1845 [= L’ideologia tedesca, a cura di Cesare Luporini, Editori Riuniti, Roma, 1972]

• Platone, Sofista, a cura di Bruno Centrone, Einaudi, Torino, 2008

• Carl Schmitt, Le Categorie del politico, a cura di Gianfranco Miglio e di Pierangelo Schiera,
il Mulino, Bologna, 1972.

• Mario Tronti, Operai e Capitale, Einaudi, Torino, 1966

• Max Weber, Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, Mohr, Tübingen, 1934
[= L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, in Sociologia delle Religioni vol. 1, a cura
di Chiara Sebastiani, UTET, Torino, 2008]

• Max Weber, Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, Mohr, Tübingen, 1922 [= Il


metodo delle scienze storico-sociali, a cura di Pietro Rossi, Einaudi, Torino, 2003]

• Max Weber, Wirtschaft und Gesellschaft, Mohr, Tübingen, 1921 [= Economia e società, a
cura di Pietro Rossi, Edizioni di Comunità, Milano, 1981].

77
Letteratura secondaria

Su Adorno e la Scuola di Francoforte:

Monografie

• Lucio Cortella, Una Dialettica della finitezza – Adorno e il programma di una dialettica
negativa, Meltemi, Roma, 2006

• Francesca Di Lorenzo Ajello, Conoscenza e immaginazione nel pensiero di Theodor W.


Adorno, Carocci, Roma, 2001

• John Holloway, Negativity and Revolution Adorno and Political Activism, Pluto Press,
London, 2009

• Martin Jay, The Dialectical Immagination, University of California Press, Berkeley-Los


Angeles, 1973 [= L’immaginazione dialettica, a cura di Nicola Paoli, Einaudi, Torino, 1979

• Marco Maurizi, Adorno e il tempo del non-identico, Jaca Book, Milano, 2004

• Stefan Műller-Doohm, Adorno. Eine Biographie, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Mein, 2003
[= Theodor W. Adorno. Biografia di un intellettuale, Carocci, Roma, 2003]

• Giangiorgio Pasqualotto, Teoria come utopia – Studi sulla scuola di Francoforte, Bertani,
Verona, 1974

• Stefano Petrucciani, Introduzione a Adorno, Laterza, Roma-Bari, 2007

• a cura di Franco Riccio, Franco Vaccaro, Adorno e Foucault – Congiunzione disgiuntiva, Ila
Palma, Palermo, 1990

78
Contributi in riviste o in volumi

• Remo Bodei, Adorno e la Dialettica, in “Rivista critica di storia della filosofia”, Vol. 30, n.
4, 1975.

• Gianpaolo Cherchi, Natura, storia, mito. Theodor Adorno filosofo del conflitto, in “Giornale
Critico di Storia delle Idee” – 11/2014

• Gianpaolo Cherchi, Interpretazione dialettica e fantasia esatta. Sul sistema in Adorno, in


“Itinera”, N. 10, 2015

• Gabriele De Angelis, Esperienza e concetto. La dialettica di Adorno, in “Intersezioni”,


fascicolo 3, dicembre 2005.

• Stefano Giacchetti Ludovisi, La decostruzione della soggettività in Adorno e Nietzsche, in


“La Società degli individui”, 39/2010, pp. 118-124

• Stefano Petrucciani, Theodor Adorno oltre i limiti della ragione, in “Il Manifesto” del
19/04/2016, reperibile on-line all’indirizzo https://ilmanifesto.it/oltre-i-limiti-della-ragione/

• Nicoletta di Placido, La Dialettica negativa di Adorno. Hegel tra emancipazione e tradizione,


in “Polemos”, 1/2016, Febbraio

• Angelo Cicatello, Il Negativo in questione. Una lettura di Adorno, in “Consecutio Rerum”,


1/2017

• Marco Maurizi, La Filosofia e il suo altro, Adorno lettore di Hegel, in “Dialegesthai. Rivista
telematica di filosofia”, 2001, reperibile on-line all’indirizzo
https://mondodomani.org/dialegesthai/mm01.htm

79
Sugli altri autori citati

• A cura di Adriano Ardovigno, Heidegger e gli orizzonti della filosofia pratica. Etica, estetica,
politica, religione, Guerini Associati, Milano, 2003

• Mario Dal Pra, La dialettica in Marx, Laterza, Roma-Bari, 1977

• Adriano Fabris, Essere e tempo di Heidegger – Introduzione alla lettura, Carocci, Roma, 2006

• Lucien Goldmann, Lukács et Heidegger, Denoel, Paris, 1973 [= Lukács e Heidegger, a cura
di E. Dorigotti, Bertani, Verona, 1976]

• Anthony A. Long, Greek Models of Mind and Self, Harvard College Press, 2015 [= La mente,
l’anima il corpo – Modelli greci, a cura di Mauro Bonazzi, Einaudi, Torino, 2016]

• Francesco Mora, Martin Heidegger, La provincia dell’uomo - Critica della civiltà e crisi
dell’umanismo (1927-1946), Mimesis, Milano, 2011

• Antonio Negri, Marx oltre Marx, Manifestolibri, Roma, 2016

• Ernst Nolte, Heidegger e la rivoluzione conservatrice, Sugarco, Milano, 1997

• Duccio Trombadori, Colloqui con Foucault, Castelvecchi, Roma, 2005

• A cura di Franco Volpi, Guida a Heidegger: ermeneutica, fenomenologia, esistenzialismo,


ontologia, teologia, estetica, etica, tecnica, nichilismo, Laterza, Roma-Bari, 2014

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