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JACQUES ROUSSEAU
(1712-1778)
L'uomo del "Contratto Sociale"
di LUCA MOLINARI
poi nota di DIEGO FUSARO
Le idee liberali di cui sarà impregnato il XVIII secolo hanno come padre
nobile Voltaire tanto che Victor Hugo ebbe a dire: “Il ‘700 è Voltaire” e
Luigi di Borbone, prigioniero dopo il tentativo di fuga dalla Francia
rivoluzionaria, accusò il filosofo di “aver rovinato la Francia”.
Non c’è più una fede nel progresso e nella scienza anzi, recuperando
autori classici (da Plutarco a Seneca) si accusano le arti e le conoscenze
scientifiche di aver provocato la corruzione dell’uomo che, invece, nel suo
stato di natura (condizione mai esistita realmente in un preciso momento
storico) viveva in una sorta di “età dell’oro” in cui poteva godere ed
usufruire di tutti i suoi diritti naturali che ne facevano un essere felice e
libero.
Con il “Contratto Sociale” Rousseau, per la prima volta nella storia della
filosofia politica moderna, descrive un ipotetico stato etico in cui impegna
la “volontà generale” ed in cui il contratto sociale è un patto dei cittadini
con loro stessi per giungere alla fondazione di una società di liberi ed
eguali in cui sia possibile una convivenza tra gli individui componenti.
La sovranità non può essere alienata poiché essa è in stretta relazione con
un’altra realtà, per sua natura inalienabile: la volontà generale. Il sovrano
può essere rappresentato solamente da se stesso poiché è un essere
collettivo.
Nel Terzo libro del IV Capitolo “Contratto Sociale” col termine democrazia
si intende quella forma di governo in cui il popolo , in quanto corpo,
applica direttamente le leggi: c’è una palese unione tra legislativo ed
esecutivo.
L’aspetto negativo di tale forma di governo sta nel fatto che la volontà
generale può risultare mortificata a vantaggio della volontà di una sola
parte: i governanti.
L’elemento che viene indicato dal filosofo ginevrino per raggiungere tale
meta non è affatto né nuovo né, tanto meno, innovativo; infatti si prende in
considerazione la dimensione dello stato analizzato.
Per gli stati piccoli vanno bene governi democratici, per gli stati medi
quelli aristocratici e quelli monarchici per gli stati di grandi dimensioni.
Si torna, quindi, all’affermazione iniziale che può essere riassunta dicendo
che, per tentare di ottenere la miglior forma di governo possibile, il numero
dei governanti deve essere inversamente proporzionale al numero dei
governati.
Rousseau indica, inoltre, anche criterio che può essere utilizzato per
verificare la bontà di un regime politico: si avrà un buon governo in quelle
realtà nelle quali il popolo aumenta di numero senza bisogno di innesti ed
interventi esterni.
Del “ Contratto Sociale” di Robert Derathè
Rousseau è più propriamente un moralista, ma egli stesso nell’ Emile ci dice che
"bisogna studiare la società attraverso gli uomini, gli uomini attraverso la società: chi
volesse trattare separatamente una politica della morale non capirebbe mai niente di
nessuna delle due". R. Sostiene che l'uomo sia buono in natura e amante della
giustizia dell'ordine, ma di tendenza malvagio: è dunque da società a corrompere gli
uomini, proporzionatamente allo radunarsi. Nel Discorso sopra l'origine
dell’ineguaglianza il filosofo sostiene che la maggior parte dei nostri mali viene
dall'opera nostra e che avremmo evitati conservando il mondo di vivere semplice,
uniforme e solitario che c'era prescritto dalla natura. Ovviamente egli non vuole
cancellare la società e tornare ad uno stato di vita naturale, che ovviamente non ho
mai considerato la situazione dell'uomo isolato come una situazione reale.
L’immobilismo è uno stato di natura, che l’umanità supera con lo scatto
della perfettibilità, così però il tema della depravazione trova la sua consolazione nel
tema dell’elevazione: l’uomo isolato conserva i privilegi di benessere e pace rispetto
a quello di società, mentre quest’ultimo riesce a sviluppare “ le più sublimi facoltà e
mostra l’eccellenza della natura”.
Un altro tema però ci introduce al Contratto Sociale, quello dell’importanza delle
istituzioni politiche ( prefazione al Narcisse) , in cui R. si accorge che alcuni dei vizi
da lui analizzati per l’uomo sociale in realtà vengono per un uomo mal
governato….qui avremo il passaggio per francese dalla morale alla politica . Dunque
vediamo come il termine preciso istituzioni si sostituisce a quello di società. Il punto
chiave di questo passaggio è nell’introduzione al Narcisse:”Tutti quei vizi non
appartengono tanto all’uomo, quanto all’uomo mal governato”. Cos’ bisogna porsi il
problema del governare visto che un popolo sarà ciò che il suo governo lo farà essere.
Così R. decide di scrivere le Institutions Politiques, dove un R. legislatore si occupo,
innanzitutto dei popoli come governabili (indispensabili in questo caso saranno tutti
gli esempi sui popoli antichi; questo confronto gli permetterà di mostrare come le
istituzioni politiche valgono quanto gli uomini che esse avranno saputo formare. Gli
“uomini illustri” di Plutarco non sarebbero esistiti senza le sublimi istituzioni dei
popoli antichi, mentre gli uomini moderni devono in gran parte la loro corruzione alla
stoltezza e all’inettitudine delle loro istituzioni. Questo confronto è stato fatto
nel Discours sur les sciences et les arts mtre nel discours sur l’inegalitè il confronto
oppone l’uomo selvaggio a quello civilizzato.
Qui le istituzioni ad essere in possibilità di ricevere aiuto dal testo sono quelle
giovani o particolarmente meritevoli, o non troppo radicate nella perdizione di un
certo tipo di società (Polonia), ma anche per le altre è possibile salvare i loro
individui; a ciò vediamo molto legato L’Emile con le sue massime di educazione utili
per salvare dalla perdizione il cittadino mal governato.
Uno dei progetti maggiori della carriera filosofica di R. è Istitutiones politiques
opera di enorme respiro che egli stesso aveva auspicato come opera che gli avrebbe
dato la fama. La sua attività letteraria si disperderà costantemente, al contrario per
esempio di Montesquieu che riuscirà nell’ Esprit des lois proprio grazie alla sua
costanza di lavoro. L’opera fu concepita nel 1743-4, ma iniziò a prendere vita solo
nel 1754, mentre si potrebbe anche pensare che il manoscritto abbia avuto inizio a
Ginevra nel 1756. Alcuni dei suoi concetti nascono prima, ad esempio la sovranità di
cui rileviamo tracce già nella dedica introduttiva al Discours sur l’inegalitè. Le sue
idee nascono dalle letture e dalle esperienze; R. non è stato partecipe della vita
politica del suo stato nella sua epoca ma è stato un ottimo osservatore, di uomini e
istituzioni del suo tempo. Lo stampo dell’opera però è politico, dunque va preso in
considerazione il fatto che le letture di R. furono determinanti nella sua stesura: egli
citava spesso Platone ma conosceva anche Aristotele; tra i moderni era conoscitore di
Machiavelli, Bodin, Hobbes, Grozio, Pufendorf, Barbeyrac, Locke, oltre agli autori
contemporanei, tra cui spicca Montesquieu. Non denota nemmeno particolare rispetto
per i suoi predecessori, visto che li ingiuria quando li confuta e li passa sotto silenzio
quando utilizza loro pensieri.
III
I principi sono perfettamente chiari anche se l’argomentazione è a volte difficile da
seguire:
1. Nessun uomo ha l’autorità naturale sul proprio simile. Ne consegue che
nessuna autorità può essere legittima, se è istituita o se viene esercitata senza il
consenso di coloro che vi sono sottomessi.
2. L’autorità (sovranità) politica risiede essenzialmente nel popolo. Essa è
inalienabile e il popolo non può affidarne l’esercizio a nessuno. Il singolo che
rinunci alla sua libertà, rinuncia nello stesso tempo alla sua qualità di uomo.
Così, un popolo che rinunci all’esercizio della sovranità con un patto di
sottomissione, si annulla con quest’atto; ci sarebbero solo un padrone e degli
schiavi. Le leggi sono l’espressione della volontà generale, e quando un uomo
sostituisce la sua volontà a quella di un popolo, non c’è più un’autorità
legittima ,ma un potere arbitrario. Poiché la legge non è che la dichiarazione
della volontà generale, è chiaro che, nel potere legislativo, il popolo non può
essere rappresentato.
3. Il governo o l’amministrazione dello Stato è solo un potère subordinato al
potere sovrano ed è, nelle mani di coloro che lo detengono, un semplice
mandato. Il governo cerca costantemente di sottrarsi all’autorità legislativa e
tende a sostituire la propria volontà a quella del popolo nella amministrazione
dello Stato. Quando ci riesce il patto sociale è infranto, ed i cittadini sono
costretti, ma non obbligati ad obbedire.
La monarchia di cui parla R. lascia sovrano il popolo , dunque il potere del re è quello
di far rispettare la volontà del popolo, dunque, la forma di governo appare più simile
ad una democrazia che ad una monarchia. Egli è però il primo a rifiutare la sovranità
del re. L’unico governo sano per R. è la democrazia spesso accompagnata dal nome
di repubblica, mentre dove il re ricoprirà ancora cariche pubbliche non si rassegnerà
mai a far esercitare le leggi, ma tenterà sempre di togliere la sovranità al popolo ed
esercitarla a suo profitto.
Il cittadino resta libero se si sottomette alla volontà generale, che è anche la sua. Ciò
è possibile solo se il cittadino fa astrazione dal suo io individuale per integrarsi
totalmente nella città. La volontà generale esiste solo in uno stato composto di
cittadini: non esiste nella monarchia, dove ci sono sudditi. Da qui la necessità per il
legislatore di trasformar l’uomo in cittadino attraverso l’educazione pubblica, di
“darlo interamente allo Stato”.
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