Jean-Jacques Rousseau nasce a Ginevra il 28 giugno del 1712, affronta un'infanzia difficile dove
non compì studi in modo continuativo, girovagando per la Svizzera e l'Italia trova rifugio presso
Madame de Warens, vedova svizzera di nobili origini, con cui riesce a riprendere gli studi.
Terminato il rapporto con la de Warens riprende a viaggiare in cerca di un lavoro tra Lione e Parigi,
facendo numerosi incontri con gli intellettuali dell'epoca.
Nel 1749, in seguito alla lettura di un bando di un concorso proposto dall'Accademia di Digione
scrive il “Discorso sulle scienze e le arti”, che gli darà fama.
Nel 1754 ritorna a Ginevra dove si riconverte al calvinismo e dove partecipa ad un altro concorso
della medesima Accademia scrivendo il “Discorso sull'origine e i fondamenti della disuguaglianza
tra gli uomini”, suscitando interesse e polemiche.
Negli anni successivi nascono i suoi capolavori maggiori come la “Nuova Eloisa”, il “Contratto
sociale” e l'”Emilio”.
Negli anni seguenti a causa delle aspre polemiche che i suoi scritti suscitarono, prima taglia i
rapporti con gli illuministi francesi, poi venne fatto oggetto di linciaggio morale dall'ambiente
calvinista ginevrino, quindi si trasferisce in Inghilterra ospitato da David Hume; la rottura con
anche il filosofo scozzese lo costrinse a stabilirsi a Parigi, dove termina le “Confessioni”, scritto
autobiografico, e dove morì nel 1778.
Nella prima parte dello scritto,Rousseau, afferma che le arti hanno contribuito a corrompere i
costumi, per una serie di motivi; il primo è che esse rappresentano ornamenti superflui che
servono ad abbellire la realtà delle cose; il secondo è che, invitando gli individui ad agire secondo
le “buone maniere”, li abituano ad “apparire” piuttosto che a “essere”, ovvero a seguire schemi di
comportamento artificiali e uniformi, antitetici a quelli naturali.
In questo modo alla verità e alla virtù subentrano la menzogna e il vizio, quindi si va profilando in
Rousseau una condanna della cultura in nome della natura.
Nella seconda parte del Discorso, Rousseau mostra come le scienze, anziché nate dalle virtù, sono
scaturite da altrettanti vizi e alimentate dall'ozio e dal lusso, abbiano favorito la
disuguaglianza sociale e la perdita delle virtù etiche e patriottiche. Successivamente, Rousseau
moderò la sua tesi dicendo che la prima causa della decadenza morale dell'uomo è la disuguaglianza
economica e successivamente le arti e le scienze la acuirono.
Prima di entrare nelle tematiche chiavi del testo, bisogna dire che Rousseau per i fini della sua
indagine usa il metodo ipotetico o congetturale, cioè segue un procedimento che non è storico-
antropologico, ma logico-filosofico, infatti Rousseau considera che lo stato di natura non è un dato
storico, quindi divide il Discorso in due parti: nella prima parla dell'uomo di natura, nella seconda
parla dell'uomo come sia diventato nella storia.
Per Rousseau l'uomo di natura non coincide con il selvaggio, perchè richiama ad un'umanità già
associata, ma coincide quando nell'uomo c'è il perfetto equilibrio tra bisogni e le risorse di cui
dispone, infatti i bisogni sono minimi e la natura li può soddisfare molto facilmente.
Essendo in rapporto immediato con i suoi bisogni, l'uomo risulta privo di progettualità a lunga
scadenza, come se la sua vita sembra svolgersi come se fosse un eterno presente.
In virtù di questo suo modo di essere prerazionale e presociale, l'uomo di natura non è né buono né
cattivo, poiché vive in uno stato di neutra innocenza; gli unici principi che gli si possono attribuire
sono l'amore di sé e la pietà.
Il primo rende interessati in modo naturale al proprio benessere e alla propria conservazione, da non
confondere con l'amor proprio che è un sentimento artificioso; mentre la pietà provoca un'istintiva
ripugnanza a veder morire o soffrire gli altri.
Il fatto che l'uomo provi pietà non significa che egli sia portato ad unirsi a loro, anzi l'uomo nella
stato di natura è asociale e limita i rapporti con quelli della sua specie solo per lo stretto necessario,
quindi è indipendente.
Ora cosa spinge l'uomo a cambiare tale situazione, visto che non gli manca nulla. Rousseau dice che
questo cambiamento è dovuto a due suoi attributi specifici: il primo è la libertà, ossia la capacità di
volere e di scegliere; il secondo la perfettibilità, ossia l'attitudine a perfezionarsi. Infatti, mentre
gli animali, essendo privi di queste due facoltà, vivono fuori dal tempo e sono sempre e per sempre
ciò che sono, gli uomini, invece possedendole, possono mutare.
Nella seconda parte del Discorso, Rousseau espone le cause e le modalità del passaggio dallo stato
di natura a quello civile, che coincide, sempre secondo il filosofo ginevrino, con il passaggio
dall'uguaglianza primitiva alla disuguaglianza propria della società progredita.
La società, secondo Rousseau, può nascere solo se l'uomo risulta impedito da qualche forza esterna
e da difficoltà (Es.: altezza degli alberi, ferocia degli animali, annate sterili, inverni rigidi, etc.) a
rimanere in quella condizione di asocialità e indipendenza di cui è dotato nello stato di natura.
Quindi gli uomini iniziano a riunirsi in libere associazioni momentanee e prende forma sia il
linguaggio che il concetto di impegno reciproco.
Questi progressi permisero all'uomo di fare una prima rivoluzione, cioè la costituzione delle
famiglie; con questo evento porta allo svilupparsi dei primi sentimenti sociali negativi (come la
vanità e l'invidia) e l'inizio dell'affermazione della disuguaglianza. Nonostante ciò, Rousseau
dice che questa sorta di società nascente è il periodo più felice per l'uomo, in quanto c'è un
equilibrio tra natura e civiltà per l'uomo.
Successivamente avviene una seconda rivoluzione, che il filosofo ginevrino chiamerà grande
rivoluzione, dove l'uguaglianza scomparve perchè simultaneamente furono inventate due arti,
l'agricoltura e la metallurgia, che portarono alla formazione della divisione sociale del lavoro.
Infatti, alla coltivazione delle terre seguì la loro spartizione e quindi l'avvento della proprietà
privata.
Con la proprietà privata si consolida la disuguaglianza morale e politica, infatti c'è la prima
grande divisione tra gli uomini, quella tra poveri e ricchi, con la seguente sottomissione dei primi
ai secondi. Così l'uomo, che prima era libero e indipendente, ora si trova dipendente da nuovi
bisogni e vincolato al prossimo da un rapporto di mutua, universale dipendenza.
Inoltre l'avvento della proprietà privata porta ad una guerra permanente tra ricchi e poveri, e
naturalmente in questa situazione chi rischiava di più erano sicuramente i possidenti. Proprio i
ricchi proposero un patto, definito da Rousseau, iniquo che sancito sul piano giuridico-politico
portò alla nascita dello Stato, definito sempre da Rousseau come subdola legalizzazione del
sopruso e dello sfruttamento.
Infatti la nascita dello Stato porta ad un'accelerazione del processo di decadimento dell'uomo,
attraverso tre tappe: la prima è la fondazione della legge e del diritto di proprietà, che sancisce
alla distinzione legale tra ricchi e poveri; la seconda tappa è l'istituzione della magistratura, che
sancisce la distinzione tra potenti e deboli; la terza tappa è la trasformazione del potere legittimo
in potere arbitrario, che sancisce la distinzione tra padrone e schiavo.
Quindi Rousseau termina lo scritto dicendo che proprio con l'avvento del dispotismo e della
schiavitù politica vi è il termine ultimo della parabola storica dell'umanità.
Con il “Discorso sull'origine della disuguaglianza” vediamo la parte distruttiva del pensiero del
filosofo ginevrino, invece con le opere della maturità, “La Nuova Eloisa”, “L'Emilio” e “Il
Contratto sociale”, vediamo come Rousseau propone di ricostruire l'uomo e stabilisce le condizioni
per le quali l'individuo, la famiglia e la società possono uscire dalla degenerazione in cui sono
caduti e attingere la salvezza, attraverso un ritorno mediato alla natura.
“La Nuova Eloisa” è un romanzo epistolare dove si narra la vicenda di due giovani amanti
contrastati nel loro amore dalla volontà dei parenti e dalle convenzioni sociali, costituisce
l'affermazione della santità del vincolo familiare fondato sulla libera scelta degli istinti
naturali, quindi per il vincolo coniugale l'uscita dalla corruzione e il recupero mediato della
condizione naturale si realizzano nella libertà della scelta del proprio amante guidata dall'istinto.
“L'Emilio”
“L'Emilio” è un racconto pedagogico, dove viene mostrata una critica sull'educazione tradizionale
che opprime e distrugge la natura originaria dell'uomo, in favore di un'educazione che invece la
rafforza. Precisamente per Rousseau l'opera dell'educatore deve essere negativa, cioè non deve
insegnare la virtù e la verità, ma preservare il cuore del fanciullo dal vizio e la mente dall'errore
(educazione negativa).
Quindi l'azione dell'educatore deve essere diretta unicamente a far si che, in primo luogo lo
sviluppo fisico e spirituale del ragazzo avvenga in modo spontaneo, in secondo luogo che ogni
acquisizione del ragazzo sia una creazione, e in terzo luogo che nulla venga dall'esterno, ma tutto
dall'interno, cioè dal sentimento e dall'istinto del ragazzo.
Naturalmente per Rousseau, questo tipo di educazione che deve nascere con la spontaneità interna
del ragazzo, non significa che sia il risultato di una libertà disordinata e capricciosa, ma di una
libertà ben guidata dal precettore attraverso una serie di accorgimenti, artifici, che conducono il
ragazzo a sviluppare determinate capacità.
D'altronde, secondo Rousseau, la vera virtù non nasce nell'uomo se non attraverso lo sforzo contro
gli ostacoli e le difficoltà e che quindi la natura umana, non è l'istinto o la passione nella sua
immediatezza, ma piuttosto l'ordine razionale e l'equilibrio ideale dell'istinto e delle passioni.
“Il Contratto sociale”
Nel Contratto Rousseau si propone una rifondazione etico-politica della società, volta a fare,
dell'uomo, un cittadino, ossia un individuo che, anziché vivere nella dimensione dell'io particolare,
sappia vivere nella dimensione artificiale dell'io comune. E ciò tramite un processo che gli
permetta di riappropriarsi, in maniera mediata e razionale, di quella libertà e di quell'uguaglianza di
cui godeva, in maniera immediata e istintiva, nello stato di natura.
Rousseau afferma che non esiste autorità senza consenso pattuito, tuttavia dice che oltre al pacto
unionis (patto di unione), non c'è bisogno, come invece proponevano gli altri contrattualisti, del
pacto subiectionis (patto di subordinazione) in virtù del quale gli uomini si assogettavano a un
sovrano “altro” da loro ( assoluto secondo Hobbes, rappresentativo secondo Locke).
Rousseau ritiene illegittima ogni rinuncia alla libertà, sostenendo che facendo ciò significa
rinunciare alla propria qualità di uomo.
Per la precisione il patto teorizzato da Rousseau, che è alla base della società politica, ha come
clausola l'alienazione totale di ciascun associato, con tutti i suoi diritti, a tutta la comunità,
ricevendo in cambio la qualità di membro o parte indivisibile del tutto. Si genera così un corpo
morale e collettivo, che ha la sua unità, il suo io comune, la sua vita e la sua volontà.
Da ciò abbiamo una comunità etico-politica nella quale ciascun individuo non si sottomette ad una
volontà particolare, ma a una volontà comune che riconosce come propria, con il risultato di
obbedire soltanto a se stesso. Pertanto possiamo dire che il destinatario del patto risulta essere l'io
comune che si è formato come conseguenza del patto stesso.
Lo scopo del patto è la salvaguardia: della sicurezza della persona e dei beni di ognuno; della
libertà, in quanto obbedendo all'io comune ognuno obbedisce, in realtà a se medesimo;
dell'uguaglianza perchè vincolano tutti i cittadini alle stesse condizioni e agli stessi diritti.
La persona pubblica, che si forma dall'unione di tutte le altre, si chiama repubblica o corpo
politico. Quest'ultimo, dai suoi membri, è detto “Stato” quando è passivo, “corpo sovrano” quando
è attivo, “potenza” in relazione agli altri corpi politici. Gli associati prendono collettivamente il
nome di “popolo”. Singolarmente si chiamano “cittadini” in quanto partecipi dell'autorità sovrana, e
“sudditi” in quanto sottoposti alle leggi dello Stato.
Da ciò la tesi di Rousseau secondo cui la sovranità risiede nel popolo, precisamente la volontà
propria del corpo politico, o sovrano, è la volontà generale, che non è semplicemente la somma
delle volontà singole, ma la volontà che tende all'utilità comune, ossia un tipo di volontà che si
distingue da quella di tutti non per ragioni quantitative, bensì qualitative, che mira soltanto
all'interesse comune e non a quello privato.
Per sua natura, la volontà generale ha determinati attributi: in primo luogo è retta, in quanto il
popolo vuole sempre il bene e si dirige verso la conservazione e il benessere del tutto; in secondo
luogo è infallibile, in quanto non sbaglia mai e se può accadere che il popolo si inganni su un
presunto bene comune, non è la volontà ad essere viziata, ma il giudizio che la guida ad esserlo; in
terzo luogo è giusta, in quanto tende sempre all'uguaglianza; infine è indistruttibile, anche quando
è oscurata dal prevalere delle volontà particolari.
L'esercizio della volontà generale, la cui funzione è quella di emanare leggi, risiede nella
sovranità del popolo, che è assoluta, inalienabile e indivisibile.
La sovranità è assoluta perchè non è limitata da alcuna legge fondamentale o costituzionale, ma
solo dal perseguimento del pubblico bene.
La sovranità è inalienabile, in quanto rinunciare alla sovranità equivale a rinunciare alla libertà e,
quindi, a essere uomo e ne segue il rifiuto al principio di rappresentanza.
La sovranità, infine, è indivisibile perchè la sovranità non può essere divisa in parti diverse e da qui
il rifiuto della teoria della divisione dei poteri di Montesquieu.
Il fatto che la sovranità sia unica e che consista nel potere legislativo, per Rousseau significa che il
potere esecutivo non fa parte della sovranità, quindi distingue la sovranità e il governo, infatti al
primo compete l'emanazione delle leggi, mentre al secondo compete l'esecuzione delle leggi e
quindi il governo non procede da un contratto, ma da una legge.
La distinzione tra sovranità e governo ci chiarisce anche la teoria rousseauiana delle forme di
governo; infatti visto che la funzione legislativa è tutt'uno con la sovranità e che non può essere
delegata, Rousseau alla democrazia rappresentativa oppone una democrazia diretta nella quale i
membri del corpo politico, cioè i cittadini, riuniti in assemblea, emanano le leggi.
Per quanto il riguarda le funzione governative, Rousseau non ritiene che devono essere per forza
gestite dal popolo, ma si rifà alle classiche tre forme di governo dicendo che nel corso della storia
alcune forme di governo sono migliori in taluni momenti storici, ma in altri momenti sono
preferibili altre forme di governo.
La libertà civile di Rousseau non si identifica con la libertà naturale, ma finisce nell'obbedienza
alla volontà dello Stato, quindi la libertà civile non è per gli individui libertà dallo Stato, ma
libertà nello Stato e come Stato.
Da quanto detto possiamo dire, in definitiva, che Rousseau è il teorico della democrazia, per
l'affermazione secondo cui la sovranità risiede nel popolo e per l'idea di una comunità di cittadini
liberi e dotati di uguali diritti, ma comunque bisogna aggiungere che Rousseau è fautore di una
democrazia totalitaria e di un collettivismo autoritario, per la celebrazione della volontà
generale e per la prevalenza del noi sull'io, che avrà drammatici risvolti storici con la Rivoluzione
francese.