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J.J.

ROSSEAU - Du contrat social : ou principes du droit


politique
BIOGRAFIA: J.J. Rousseau (1712-1778). Nasce a Ginevra da cui fugge nel 1728. Si
converte alla fede cattolica a Torino. Qui avviene la sua formazione sia musicale sia culturale.
La sua vita sarà segnata da continui spostamenti, infatti per un periodo vivrà tra la Francia e
la Svizzera. A Parigi avviene il suo primo incontro con Diderot. È di questo periodo la
pubblicazione della Dissertation sur la musique moderne. Successivamente, pubblicherà il
primo dei Discours (1749), sur les sciences et les arts. Nel 1755 pubblica il secondo
Discours. Porta avanti nel 1761 la redazione dell’Emile (condannato dalla Sorbona) e del
Contratto Sociale (1762). Si trasferisce a Londra, ospite di Hume, ma fa ritorno dopo breve
tempo in Francia. In preda a mania di persecuzione si trasferisce da un luogo all'altro. Poco
prima della sua morte pubblicherà le Confessions. R., muore il 2 luglio 1778.

OPERA: Il Contratto Sociale (Du contrat social: ou principes du droit politique), è un


opera, di carattere politico-sociale, che delinea l’idea di Stato democratico, con sorprendente
anticipo sui tempi. Sarà proprio grazie al tema trattato che, durante la Rivoluzione Francese,
il testo verrà preso come riferimento.
L’opera, è suddivisa in 4 libri, contenenti 48 capitoli in totale.

ANALISI DELL’OPERA

UN NUOVO CONTRATTO
Secondo Rousseau, bisogna firmare un nuovo contratto sociale che difenda il cittadino, in
quanto il vecchio contratto su cui si è fondato lo stato ha reso i cittadini schiavi, da qui la
frase "l'uomo è nato libero e ovunque è in catene". secondo R., tutti gli uomini nascono e
sono uguali e liberi, ma se ci guardiamo attorno negli stati vediamo uomini solo parzialmente
liberi e molto poco uguali. L'uomo, quindi, è reso schiavo perché c'è il potere politico che
crea differenze tra potenti e deboli; c'è la proprietà privata che crea differenze tra ricchi e
poveri ecc.
Secondo R. il mondo di oggi è ingiusto, perché ci sono differenze sociali e di libertà
nettissime e a causa di questo, bisogna cambiare le cose e cambiarle all'origine, scrivendo un
nuovo contratto sociale che garantisca libertà e uguaglianza. Per R., questo è possibile solo
rinunciando alla propria libertà individuale, il che può sembrare paradossale, in quanto, come
abbiamo detto l'obiettivo è garantire la libertà ma per farlo bisogna rinunciare alla propria
libertà individuale, in quanto R. sostiene che l'errore che hanno fatto i giusnaturalisti che lo
hanno preceduto (Locke, Grozio, Hobbes), sia stato quello di pensare che lo scopo del patto
fosse quello di arrivare alla formazione dello stato e che solo lo stato fosse la base del diritto,
che potesse garantire la legge e il diritto e di conseguenza i diritti delle persone. Secondo R.
la vera base del diritto è il popolo che viene prima dello stato. I cittadini, secondo R., quando
firmeranno il nuovo patto, devono tener presente che questo patto deve mirare prima di tutto
a formare il popolo, perché è il popolo come organismo politico il vero punto di partenza di
discorsi di diritto, politica e libertà. Il popolo è un'entità nuova su cui R. insiste tantissimo ed
era un elemento molto trascurato nelle filosofie di Locke e Hobbes.
I rapporti tra cittadini e stato erano sempre visti in chiave molto individuale: non è un
rapporto tra popolo e stato, bensì un rapporto tra cittadino singolo e stato; è sempre il singolo
che deve cercare di vedersi tutelati i diritti, di non subire soprusi ecc.
Per R., più che cittadini singoli, bisogna cercare l'unità del popolo, perché solo se si
costituisce un popolo unito e coeso, possono essere garantiti diritti, libertà e uguaglianza dei
cittadini.

RAGIONE E INTERESSE
Per capire l'importanza del concetto di popolo, dobbiamo specificare cosa R. pensa
sull'uomo e sulla sua ragione. In R. è forte l'ideale illuministico che riguarda la ragione
umana, in quanto secondo lui tutti gli uomini sono dotati di ragione.
Questa è unica, procede nello stesso modo, funziona alla stessa maniera. questo vuol dire
che la ragione è presente in tutti gli uomini il modo in cui un uomo ragiona è uguale a quello
di tutti i suoi simili. secondo R. se la ragione venisse applicata nel miglior modo e in maniera
pura, gli uomini arriverebbero tutti a conclusioni simili. In politica spesso non avviene così in
quanto ognuno sostiene una propria tesi. secondo R., questo appare strano, perché è strano
che ogni uomo arrivi a conclusioni diverse se tutti hanno la stessa ragione e lo stesso modo di
ragionare.
Il problema, secondo R., non deriva dalla ragione e dall'utilizzo che se ne fa, ma deriva dal
fatto che l'uomo non è in grado di ragionare in maniera pura. Questo è dovuto al fatto che,
secondo R., gli uomini non hanno ragioni diverse, bensì, interessi diversi e questi, influiscono
sul loro modo di ragionare.
R. afferma che quando si discute in politica, le opinioni diverse non derivano dal diverso
uso della ragione (la quale è univoca), ma piuttosto dal fatto che le persone non riescono o
non vogliono ragionare spogliandosi delle aspettative, delle paure, dei pregiudizi.
Se gli uomini fossero capaci di liberarsi di tutto questo, ragionerebbero in maniera molto
lineare, semplice e univoca. se facessero questo, un ragionamento in politica, somiglierebbe a
un ragionamento matematico in cui la ragione ha la meglio sulla passione. questa influenza
l'uomo e lo fa deviare dalla verità, da ciò che la ragione ci potrebbe dire.
Questo spiega la diversità d'opinione, ma secondo R. spiega anche che è possibile
immaginare che a un certo punto si possa arrivare, magari con un uomo nuovo, spogliato
dalla sua avidità, desideri e passioni, a una comunità che ragiona alla stessa maniera a un
popolo che ragiona alla stessa maniera.
L'obiettivo di R. è questo, ossia mostrare agli uomini una via per ragionare insieme per
formare un popolo che non sia un ammasso di teste diverse che si scontrano tra loro, ma che
sia unito, che la pensa alla stessa maniera, che ha imparato a liberarsi dai pregiudizi, dalle
paure e da tutti gli elementi passionali e ha imparato a ragionare per arrivare a una verità
comune o per meglio dire a una volontà generale, come la chiama R.

LA VOLONTÀ GENERALE
I dissidi, i contrasti, le opinioni diverse nascono dai nostri interessi personali o dai nostri
vizi, pregiudizi, voglie e desideri, non dalla ragione. questa, letta in maniera pura, ci porta
verso la cosiddetta Volontà Generale, che non è la volontà dei singoli. la volontà generale è la
volontà di tutti, di tutto il popolo. è una volontà che unifica, che non fa scontri o contrasti.
La V.G. è possibile solo se si ragiona in un determinato modo, solo se si rinuncia alla
propria individualità. questo è ciò che R. chiede ai cittadini: bisogna che l'individuo impari a
non pensare più in vista del proprio interesse, personale ed egoistico, cosa che è viziosa, ma
che inizi a pensare in vista di un interesse generale, di un interesse verso gli altri, verso ciò
che è giusto.
Quindi possiamo dire che la V.G., non è la volontà della maggioranza, non è neanche la
somma delle volontà individuali, è una volontà completamente nuova, una volontà del popolo
tutto, quest'ultimo inteso come popolo che sa ragionare per il bene collettivo.
Questa V.G., che potrebbe essere utopica, dovrebbe garantirci soluzioni condivise, giuste,
corrette. R. arriva a dire che questa V.G. è infallibile, ossia che quando l'uomo si lascia
guidare dalla ragione e solo da essa, non sbaglia soprattutto se questo lavoro si fa insieme, se
si ragiona insieme, se si risolvono insieme i problemi (come se fosse un problema
matematico), ma in maniera pura con una soluzione condivisa, accettata e va verso il bene.
Questa V.G. è anche indistruttibile, è sempre retta, è giusta, secondo R. non c'è possibilità
di errore, c'è una grandissima fiducia nei confronti di questa v.g. che quindi può guidare gli
uomini.
Il cittadino che rinuncia a qualcosa di proprio e accetta questa volontà generale e il suo
esito, è vero si, che debba rinunciare a qualcosa, ma non lo fa obbedendo alla volontà della
maggioranza, piuttosto, obbedisce a sé stesso.
Nei sistemi parlamentari odierni, vige che la maggioranza vince e ci si deve adeguare alle
decisioni di quest'ultima. Nel sistema di R. non avviene questo: nessuno deve obbedire agli
altri perché ognuno deve obbedire a sé stesso.
Il cittadino che si sottomette alla V.G., si sottomette di fatto alla sua volontà personale. se
come detto la V.G. è la ragione applicata in maniera pura, si può dire che la ragione presente
in ognuno di noi decide. da questo si può dire che, il cittadino, non si sottomette alla volontà
degli altri, che possono essere, la maggioranza, un sovrano, un dittatore, ma si sottomette a se
stesso, alla sua stessa volontà, alla sua stessa ragione. In questo senso, gli uomini sono liberi
anche nel popolo.
Devono rinunciare alla loro individualità, alla loro libertà individuale, cioè ai propri
interessi, voglie, desideri personali ed egoistici, per accettare la ragione di tutti e anche di loro
stessi. Per questo restano liberi, perché non c'è nessuno che li costringe, sono infatti loro che
si auto costringono. Non hanno un padrone, sono padroni di loro stessi e questo vuol dire
essere liberi.
Se si riuscirà a costruire uno stato basato sulla volontà generale, cosa di cui R. è convinto,
chi avrà il potere? questo perché nei sistemi di Locke, Hobbes e altri filosofi, gli uomini, si
riunivano, firmavano un patto, per poi delegare il potere a un altro (Leviatano, sovrano,
parlamento).
Per R., non c'è affatto bisogno di delegare il potere a qualcun altro, in quanto, secondo lui,
se si è in grado di lasciarsi governare dalla ragione, il popolo può autogovernarsi senza dover
per forza affidare il potere a qualcun altro.
Non è che il popolo si fa la guerra se si lascia guidare dalla ragione, anzi, se si fa guidare
dalla ragione, dalla V.G., il popolo cammina verso il bene, la giustizia e per questo che non
c'è bisogno di delegare. infatti, secondo R., la sovranità sta nel popolo. la sovranità non è del
sovrano, del parlamento, ma è del popolo e resta del popolo. il popolo è sovrano, ha il potere
e non lo cede a nessun altro.
Con i giusnaturalisti precedenti c'era un patto di unione e uno di sottomissione, con cui si
dava potere a qualcun altro. con R. non c'è alcun patto di sottomissione, in quanto i cittadini
si uniscono, formano un popolo e questo ha il potere e lo mantiene.

LEGGI E GOVERNO
Se la sovranità sta nel popolo è ovvio che il popolo non può dividerla o darla a qualcun
altro. R. arriva a dire che la sovranità è inalienabile, indivisibile e assoluta: inalienabile
perché non la si può dare ad altri, affidarla al governo, a un parlamento, a un re, è del popolo
e resta del popolo; indivisibile perché, R. rifiuta il principio della divisione dei poteri
(introdotto da Locke e in particolar modo da Montesquieu e che affermava che troppo potere
nelle mani di un'unica persona o organismo, possono essere molto pericolosi per gli individui
e quindi bisogna dividerlo in modo che il potere vincoli il potere, in modo tale che i vari
poteri dello stato si controllino a vicenda), in quanto afferma che se i cittadini si fanno
guidare dalla ragione, non c'è bisogno di limitare il loro potere perché la ragione è sempre
retta, giusta e infallibile, va sempre nella giusta direzione e il fatto che il popolo debba
governare unitariamente in maniera assoluta, rende facile capire che la ragione ci guida verso
il bene e non può sbagliare, per questo non c'è bisogno di dividere il potere ed è per questo
che il potere deve essere assoluto e di conseguenza anche la sovranità deve essere assoluta
nel popolo perché esso detiene tutti i poteri.
Come fa il popolo a esercitare questi poteri? Il modello che R. ha in mente è quello di una
forma di democrazia diretta ispirato a quello che aveva visto a Ginevra a Venezia, ispirata
quindi a piccole città-stato, dove il numero di abitanti non è altissimo e ognuno può avere un
ruolo attivo.
Tutti i cittadini devono partecipare alla vita politica, tutti i cittadini hanno il potere e non lo
delegano ad altri, non eleggono un parlamento, ma tutti i cittadini decidono insieme facendosi
guidare dalla V.G.
Pertanto, il modello di ripartizione dei poteri (governo, parlamento, magistratura), non
viene accettato da R. secondo lui, quello che è giusto, è una democrazia diretta in cui ogni
cittadino sia partecipe, voti e decida.
C'è da dire che con voto non si va a indicare il voto di maggioranza, ma questo è un voto
all'unanimità, in quanto la strada verso cui ci porta la V.G. è quella dell'unanimità. nell'idea di
R., nell'assemblea generale di tutti i cittadini, non ci saranno votazioni a maggioranza.
Si discuterà dei problemi, ci saranno le varie opinioni, si ragionerà insieme, ma poi,
proprio perché a guidarci è la V.G. si arriverà a conclusioni che tutti accettano. Se si votasse,
all'interno di queste assemblee, l'esito sarebbe unanime, tutti voterebbero la stessa soluzione.
R. vuole arrivare a questo, a una democrazia diretta in cui tutti i cittadini mantengano il
potere (perché la sovranità sta nel popolo), partecipino alla vita politica, discutano in
assemblea e poi si voti all'unanimità.
Come si è visto, non c'è divisione dei poteri, ma in realtà R. lascia aperta la strada a un
governo di delegati. Questo vuol dire che, è vero che l'assemblea detiene i poteri, la sovranità
sta nel popolo e l'assemblea trova la soluzione giusta e saggia per il popolo, ma è vero anche
che una volta prese le decisioni, ci sia qualcuno che applichi le norme e che le decisioni
dell'assemblea vengano convertite in qualcosa di attuabile.
Questo compito è importante, ma non può essere dato a tutta la popolazione e a tutta
l'assemblea, in quanto non si riuscirebbe a lavorare in concreto. Serve quindi un gruppo più
ristretto di persone che, una volta capito qual è l'indirizzo, la scelta dell'assemblea, renda
esecutivi quegli ordini. questo gruppo ristretto di persone crea un governo, che per R. non
rappresenta un potere alternativo a quello del parlamento, ma rappresenta un organo
esecutivo, di applicazione.
Per R., il governo non può in sostanza decidere nulla, ma può solo applicare quello che il
popolo in assemblea ha deciso. Il governo, per R., non è un potere autonomo, è solo un
organo applicativo e serve solo a rendere effettive le leggi decise dall'assemblea. R. arriva a
dire che questo governo può essere formato persino da nobili, l'importante è che sappiano
applicare e rendere effettive queste leggi, ossia che siano dei tecnici capaci di applicare.
Questi membri del governo vengono chiamati da R. delegati perché di fatto ricevono una
delega momentanea dall'assemblea, per fare le attività pratiche, però sono rimovibili in
qualsiasi momento. Infatti nel sistema di R., quando si affida il potere a questi delegati che
vanno a formare il governo, questo potere non ha una scadenza in quanto gli si affida
quest'incarico, ma questo gli può essere tolto quando si vuole, in qualsiasi momento.

UN SISTEMA CONTROVERSO
Una domanda che sorge spontanea, quando si parla di questo sistema è se ci sia o meno la
libertà. Per come la intende R., la libertà c'è, se viene intesa come non dover obbedire a
nessun altro, se non alla propria ragione.
Questa libertà è però diversa da quella vista in Locke dove la libertà era intesa come la
libertà dallo Stato. In R. non c'è libertà dallo Stato, piuttosto libertà nello Stato, perché lo
Stato da lui delineato è uno Stato in cui domina la V.G., in cui il popolo è lo Stato. Per questo,
la libertà degli individui può esistere sono nello Stato e non al di fuori di esso. Questo perché
lo stato è la V.G. è l'unione totale di tutti i cittadini. Questo da un lato ci mostra una nuova
idea di libertà che ha influenzato anche le costituzioni attuali, ma apre la strada anche ad altre
derive preoccupanti.
Il sistema di R. è stato sia elogiato sia attaccato da pensatori, politici ecc. quali sono i pregi
e i rischi di questo sistema? I pregi, riguardano il fatto che quello di R. è un mondo in cui non
c'è più problema, dissidio o contrasto, in cui si marcia verso il bene e lo stato fa sempre le
cose giuste, in cui le scelte sono le migliori possibili; in questo sistema, il bene pubblico
prevarrebbe sul bene privato, i ricchi deciderebbero di loro iniziativa di rinunciare a qualcosa
per la giustizia; sarebbe quindi un sistema più equo, egalitario e libero.
Qual è il problema che questo sistema può aprire? Partendo dal fatto che si fonda sull'idea
che la ragione sia unica, che gli uomini possano arrivare a una volontà generale,
all'unanimità. Non tutti però sono d'accordo con questo. I liberali, al contrario, pensano che
non siano solo i vizi a farci deragliare, ma anche le ragioni e i punti di vista possono essere
diversi e poi che non possa essere possibile spogliarsi completamente dei vizi e degli interessi
personali e che quindi sia meglio un acceso dibattito di idee diverse.
Inoltre, nel sistema di R. c'è un pericolo ulteriore, non tanto cavalcato da R. ma soprattutto
dai suoi discepoli successivi, ossia che il rischio a cui si va incontro è quello del totalitarismo.
Una certa lettura di R. può fare ipotizzare che lui sia il padre del totalitarismo, o per meglio
dire, una sorta di fautore o anticipatore di alcune idee.
Queste accuse, provengono dal fatto che nel sistema di R. l'individuo non conta, perde
d'importanza, si deve in un certo senso sciogliere nel popolo, nella massa, nel tutto. Se un
individuo pensa in maniera diversa, non può essere assimilato al popolo. Il popolo la pensa
tutto alla stessa maniera, va e marcia nella stessa direzione e se un individuo marcia in
maniera contraria, potrebbe diventare un nemico del popolo, perché se questo sistema di R. è
vero, se si crede a quello che dice R. e se si crede che ci debba essere uniformità se la ragione
è usata bene, allora chi la pensa in maniera diversa dal popolo, diventa l'unico che non sa
usare bene la ragione, che è ancora succube dei suoi interessi, egoismi e pregiudizi, che non
si conforma alla ragione.
Ma se ad esempio ci si trova in una situazione in cui il popolo è diviso in sessanta contro
quaranta, è chiaro che quei quaranta sono tanti che non ragionano bene, sono pericolosi
perché rallentano, fanno opposizione, non aiutano a trovare la verità e ci si potrebbe scagliarsi
contro.
Ad esempio, il terrore giacobino di Robespierre è stata una delirante applicazione delle
idee di R., in quanto Robespierre era un forte ammiratore di R. e pensava davvero che chi gli
si opponeva nella politica francese del tempo lo facesse per interesse, perché nemico del
popolo e non voleva il bene comune ma solo il suo bene.
È chiaro che se si pensa che chiunque la pensi diversamente lo faccia per interesse, per
disonestà intellettuale, perché voglia arricchirsi e non voglia cercare il bene, allora quello
diventa un nemico da non ascoltare, da escludere e nel caso peggiore da eliminare.
Si può dire quindi che, il sistema di R. non ammette e non tollera la diversità di pensiero e
opinione, perché si rischia di etichettare la diversità di opinione come un errore e non come
un'opinione diversa. questo potrebbe essere l'esito, che non è stato tanto in R., che delinea un
sistema senza mai poterlo applicare e senza mai vedere gli esiti concreti, ma che in derive
successive può aver influenzato sistemi totalitari e autoritari.

L'ESITO STORICO
Gli ammiratori di R. sono stati tanti anche di orientamento politico diverso, perché R.
propone un modello che da un lato mantiene aperta la porta della libertà, in quanto è la prima
volta che il cittadino non deve cedere il suo potere, può sentirsi libero di ubbidire solo a sé
stesso.
È un sistema che ha affascinato anche i libertari perché a quel tempo, nessuno proponeva
una sovranità popolare, una libertà quasi totale del cittadino, rispetto ad altre forme di
autorità. il fatto che la democrazia diretta garantisca di non aver nessuno al di sopra, è stato
molto apprezzato da correnti libertarie, dai marxisti.
Quando Marx delineerà il suo modello di stato dopo la rivoluzione, in alcuni munti si farà
volutamente influenzare da R., come ad esempio il modello delle assemblee dal basso dei
Soviet che sorgerà in Russia, sarà un modello che richiama forme di democrazia diretta, che
per prime sono state avanzate da R., ispirandosi al modello Ateniese; così come Marx
avrebbe immaginato un governo di delegati simile a quello di R. come si può vedere alcuni
punti di contatto ci sono, in quanto Marx fu un ammiratore di R. oltre però a queste varie
correnti anche dittatori hanno applicato in maniera esagerata rispetto alle aspettative di R.
questo pensiero. c'è da dire però che R. non sarebbe stato sempre d'accordo con i suoi
ammiratori: il marxismo che deve qualcosa alla filosofia di R., ma R. ha idee anche diverse
da quelle che avrà Marx riguardanti, ad esempio, la proprietà privata.
Secondo R. la proprietà privata è una delle grandi cause di disuguaglianza, anzi la
principale causa, di disuguaglianza tra gli uomini e di ingiustizia. Marx non vuole affatto
l'abolizione della proprietà privata, non è così estremo, come vorranno poi marxisti, anarchici
ecc.
Per R. la proprietà privata deve rimanere in piedi, ma bisogna che sia meglio ripartita.
Dice che la proprietà privata è saggia, funziona bene e c'è bisogno, per far funzionare bene lo
stato, di cittadini che abbiano piccole proprietà e che lavorino la terra, che si arricchiscano o
che tentino di arricchirsi per essere ancora più liberi e uguali, ma per garantire l'uguaglianza,
bisogna che nessuno abbia troppe proprietà.
Il problema non è la proprietà privata in se, ma l'accumulo di proprietà che rende alcuni
molto ricchi ed altri molto poveri, bisogna ripartire più equamente le proprietà, questo è il
modello di R., infatti lo stato che lui immagina è basato sulla piccola proprietà privata, che
tanti abbiano della piccola proprietà che sia abbastanza per vivere degnamente e bene, senza
che nessuno accumuli troppe e grandi ricchezze, questa è l'idea che non va in linea con quella
dei marxisti, più moderata.
È chiaro quindi che la proprietà privata, non è più un diritto naturale come aveva detto
Locke, ma un diritto che si raggiunge con la nascita dello Stato.

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