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Hobbes - l’uomo come essere naturale e corporeo

Secondo Hobbes, tutti gli individui sono animati dall’egoismo e mossi ad agire in base al loro
interesse personale (condizione di conflitto di tutti contro tutti). Infatti Hobbes guarda l’uomo con
una prospettiva materialistica (tutto è materia): sia le funzioni fisiologiche sia quelle mentali
dell’uomo possono essere spiegate in termini materiali. La sensazione è spiegata attraverso il
movimento dei corpi. Le qualità degli oggetti esterni sollecitano gli organi di senso, e il cervello
produce così le immagini di questi oggetti, ossia la rappresentazione delle loro qualità.Tali immagini
permangono nella memoria, dando origine all’immaginazione. Su questo processo si basa l’attività
dell’intelletto che opera sui segni linguistici collegando tra loro i nomi attribuiti
convenzionalmente alle immagini delle cose, per ottenere così un ragionamento, un’affermazione.
La ragione, inoltre, non è altro che una facoltà che calcola, un’attività computazionale.

La teoria dell’assolutismo politico


Per Hobbes, gli individui non possiedono un naturale istinto “socievole” verso gli altri, essendo
dominati dai sentimenti, come il timore e il bisogno. Si parla così di “stato di natura”, la condizione
originaria antecedente la formazione della società: ogni persona mira a procurarsi ciò che serve alla
propria sopravvivenza e autoconservazione, senza pensare agli altri. Non esiste limitazione al
diritto dell’individuo, e dunque è inevitabile la sopraffazione reciproca. Nello stato di natura non
esiste il lavoro, la scienza, o l’arte, perché, anche se esistessero, sarebbero continuamente esposti alla
minaccia dell’invidia e dell’avidità altrui. Infatti vivendo nel terrore non si può coltivare la terra, né
costruire edifici, né applicarsi alla conoscenza della storia ecc…
La vita degli uomini è costellata di misure atte a difendersi da possibili attacchi o ad offendere gli
altri al momento opportuno. L’ostilità, il conflitto, la violenza e la sopraffazione sono prerogative
dello stato di natura. Tale condizione è un’ipotesi teorica su ciò che potrebbe accadere nella società
umana se non ci fosse una forma di potere superiore a regolare i rapporti tra gli individui.

Colui che in questa società desidera continuare a vivere in una tale condizione si contraddice,
perché vuole al tempo stesso la propria vita e la propria morte. Infatti, se gli uomini vogliono
sopravvivere devono evitare la lotta di tutti contro tutti, e porre dei freni ai propri desideri soggettivi.
Per ragione naturale si intende infatti la capacità di prefigurare le conseguenze degli eventi in atto
e provvedere alla necessità della vita, dando origine ad una società civile, che è frutto di un
compromesso di tutti: per la pace ognuno deve rinunciare al diritto naturale (libertà di fare tutto ciò
che si vuole). Hobbes stabilisce così delle leggi naturali, le cui massime sono: la ricerca della pace,
ogni uomo deve rinunciare al proprio diritto su tutte le cose, e un compromesso che vincola gli
individui, ossia la legge pacta servanda sunt - “I patti devono essere rispettati”. Da queste 3 massime
derivano tutte le altre leggi, come la giustizia (rispettare le regole stabilite), l’uguaglianza.

Per creare una società politica e civile, gli uomini possono stabilire un pactum unionis, un patto di
unione che consiste nel dirigere a uno stesso fine e al bene collettivo tutte le azioni. Tuttavia è
necessario far qualcosa di più perché gli uomini siano costretti a non recedere da tale patto. Infatti, a
differenza delle formiche che sono portate ad associarsi per istinto, gli uomini sono sempre in
competizione tra loro, ed inoltre tra gli uomini il bene individuale contrasta con il benessere
comune. In sostanza, l’accordo tra le api e le formiche è naturale, mentre quelle tra gli uomini è
artificiale, stabilito tramite un patto. Per rendere tale patto duraturo vi è il pactum subiectionis, ossia
il patto di sottomissione, tramite cui gli uomini conferiscono tutto il potere ad un solo individuo o
ad un’assemblea, in grado di ridurre i diversi voleri a una sola volontà.

Il potere attribuito all’autorità deve essere assoluto. Allo stato assoluto Hobbes dà il nome
Leviatano, creatura terribile e mostruosa, perché il potere del sovrano è immenso. Gli altri cittadini
sono detti “sudditi”. Si può raggiungere il ruolo del sovrano in 2 modi: con la forza (stato
patriarcale o dispotico) o attraverso un accordo tra le persone, le quali si assoggettano
volontariamente all’autorità, al fine di garantire la propria sopravvivenza e autoconservazione (stato
politico o istituzionale).

La persona del sovrano può essere rappresentata da 1 sola persona (monarchia), da un gruppo
(aristocrazia) o da un’assemblea (democrazia). Ulteriori forme non sono contemplate. Hobbes
preferisce la monarchia, poiché non c'è motivo di credere che un re agisca per il proprio
interesse privato a scapito di quello dei sudditi, ed inoltre il re può prendere le sue decisioni in
totale segretezza. Ma il motivo decisivo è: in altri regimi il potere di imporre leggi non è ascritto ad
una sola autorità e dunque si assiste ad un continuo esplodere di conflitti.
Il potere del sovrano non ha mai termine. Tutti i sudditi hanno l’obbligo di sottostare alle leggi,
mentre il sovrano no. Egli è un essere che non ha abbandonato lo stato di natura, e che deve
rispondere solo alla sua esigenza individuale. Al re compete solo la valutazione del giusto (ciò che
la legge ordina) e dell'ingiusto (ciò che la legge vieta), del bene e del male. Hobbes tuttavia ammette
che ci sono dei limiti al suo potere, in particolare quando i suoi ordini mettono in pericolo la vita
dei suoi sudditi. In questo caso, essi hanno il diritto di disobbedirgli (tranne quando vi è l’obbligo di
andare in guerra per difendere la propria patria). Per tutti gli altri casi in cui non ci sia una
regolamentazione stabilita dal sovrano il suddito deve ritenersi libero di agire come meglio crede.

Altro problema fu però la religione. Egli considera le religioni come una delle fonti principali della
sedizione e delle guerre civili. Egli polemizza infatti contro la pretesa delle religioni di detenere il
potere temporale, con l’unico scopo di assoggettare gli uomini e prevaricare il potere legittimo
dello Stato. Anche i cristiani, dunque, devono rispettare la legislazione dello Stato, che nasce per
garantire quelle norme naturali che coincidono con le stesse leggi di Dio. Il capo dello Stato, infine,
deve essere anche il “pastore Supremo”, a cui è affidato l’intero gregge dei sudditi.

Locke: la concezione dello Stato e l’affermazione della tolleranza


Locke inizia le sue riflessioni partendo dalla definizione di stato di natura, ipotetica condizione
originaria in cui si trovano gli uomini quando non sono ancora associati tra di loro e disciplinati da
una serie di norme positive. Tuttavia, egli ha una visione positiva dello stato di natura. I soggetti
dello stato di natura sono individui illuminati dalla ragione, che deriva da Dio ed è descritta da 3
diritti naturali e inalienabili: la libertà, la vita, la proprietà. Lo stato di natura è una dimensione in
cui vige una norma razionale che stabilisce fin dove può estendersi la libertà di ciascuno, in modo
tale che non leda la libertà degli altri. Tuttavia ammette che in questa condizione manca la
garanzia del diritto: chiunque potrebbe prevaricare sugli altri. Per questi gli individui sono portati a
stipulare un contratto di natura sociale (contrattualismo) → pactum unionis e pactum subiectionis.
Se per Hobbes il contratto equivale alla totale sottomissione dei sudditi al sovrano, per Locke lo Stato
nasce per tutelare i diritti naturali e inviolabili di ciascuno di essi. Il potere è affidato al governo,
che deve salvaguardare i diritti inalienabili degli individui, e per questo non può essere assoluto e
arbitrario.

Altro diritto dell’uomo è la proprietà privata. L’uomo ha il diritto inalienabile di godere e disporre i
suoi beni. La proprietà non è un privilegio acquisito, ma il frutto dell’azione umana. Esistono
tuttavia anche dei limiti. Essendo gli uomini solidali non devono appropriarsi delle cose
smodatamente, perché priverebbero gli altri dalle cose necessarie per la sopravvivenza. Tuttavia, egli
aggiunge che il possesso di una grande quantità di cose è giustificato dall’uso della moneta. Inoltre,
la proprietà privata è costituita anche dalla vita, dalla libertà, dagli averi, e sostiene che la
società politica nasce proprio per tutelare tale diritto, il più minacciato nello stato di natura.

I principi fondamentali del liberalismo di Locke sono:


1. il potere politico si fonda sul consenso dei cittadini;
2. lo Stato non può governare in modo arbitrario, secondo la propria volontà, ma al contrario
deve attenersi alle norme dichiarate;
3. il potere legislativo deve essere separato da quello esecutivo.
Nella riflessione lockiana il potere legislativo ha una superiorità rispetto a quello esecutivo: se
fossero le medesime persone a fare le leggi e farle eseguire, probabilmente le formerebbero in base ai
propri interessi privati.

Altro caposaldo è la tolleranza religiosa. Locke sancisce la netta separazione tra lo Stato e la Chiesa
per quanto concerne le finalità e le funzioni. Il potere politico nasce e si regge con lo scopo di “fare
le leggi e farle osservare”, anche con la forza. Opposte sono le finalità delle istituzioni religiose:
esse rispondono ai bisogni spirituali degli uomini di fede, che risiede nell’anima e si nutre di libertà.
Non bisogna confondere, sono come cielo e terra tra loro.

Il fine della chiesa è aiutare coloro che ne fanno parte a ottenere la salvezza dell’anima. Le uniche
armi di cui dispone sono quelle “spirituali”. Per quanto riguarda la scomunica, essa non deve
contenere insulti e danni al corpo e ai beni della persona. Essa non può privare il cittadino dei beni
civili, che sono un possesso personale inalienabile. D’altra parte, al potere politico non compete la
“cura delle anime”. Il re deve garantire la libertà di culto e non può imporre ai sudditi il proprio
credo. Inoltre, non sono consentite nella società religiosa pratiche contrarie alla legge, come il
sacrificio. Più in generale, ciò che è lecito in seno allo Stato non può essere proibito in seno alla
Chiesa. Stessa cosa, le cose che sono considerate dannose per la comunità non possono essere
lecite nella sfera religiosa. Infine, né i cattolici, che obbediscono a una Chiesa che pretende di avere
dei privilegi contrari alle leggi civili, né gli atei, che non possono stipulare il patto sacro e inviolabile
su cui si fonda la società umana, sono tollerati.
Secondo Locke, la fede cristiana viene circoscritta a poche fondamentali verità pienamente
comprensibili e accettabili per l’intelletto umano. La religione non appare solo in contraddizione
con la ragione, ma tende a rafforzarla nel campo di comportamento etico. Ragione e fede concorrono
a rendere migliore la vita degli uomini, a patto che non si scivoli nel settarismo di chi enfatizza gli
aspetti secondari dei vari riti, causando confusione e conflittualità tra le varie dottrine.

Rousseau: un pensatore originale nel panorama illuminista


Rousseau, nel Discorso delle scienze e delle arti, sostiene che le scienze e le arti, lungi dal
migliorare l’uomo, lo hanno degradato. Osserva che tra la virtù e la scienza c’è assoluta
incompatibilità ed esalta la condizione primitiva, in cui gli uomini erano sì rozzi e incolti, ma
vivevano una vita felice perché naturale.

L’uomo per natura è buono, ma sono state le istituzioni a corromperlo e a renderlo cattivo. Infatti,
nello stato di natura l’uomo aveva solo pochi bisogni essenziali: mangiare, bere e riprodursi. Essi
erano perfettamente uguali tra loro, perché indipendenti e autonomi. Non avevano senso né
l’educazione, né l’istruzione, né la scienza, ma dal momento che un uomo ebbe bisogno dell’aiuto
di un altro, s’avvide che era utile a uno solo aver provviste per 2 → scomparsa dell’uguaglianza. Si
svilupparono così la metallurgia e l’agricoltura, e da questa la suddivisione delle terre e la
proprietà privata. Le differenze tra le persone cominciarono a influire sulle fortune dei singoli: i
ricchi appresero l’arte del dominio e cominciarono a sottomettere i poveri.

Per arginare la violenza, gli uomini pensarono di unirsi e di istituire ordinamenti legislativi e
giudiziari. Nacque il potere supremo: “tutti corsero incontro alle loro catene, credendo di assicurarsi
la libertà, ma non di avvidero che in tal modo perdevano la libertà e introducevano la legge della
proprietà e della disuguaglianza. Il genere umano fu asservito al lavoro e ad una condizione di
dipendenza. Queste riflessioni possono sembrare un po’ assurde, ma il filosofo non intendeva
sostenere il primitivismo, ma stabilire un confronto tra la situazione presente (del progresso) e
un'ipotetica condizione iniziale (naturale).

Egli non pensa affatto che l’uomo debba regredire, ma gli sta a cuore che gli uomini, pur vivendo in
società, non perdano l’uguaglianza. Egli cerca di elaborare una dottrina sociale, in cui lo stato di
natura sia assunto come un criterio di una vita positiva e soddisfacente. Si pone così il problema di
trovare una società che difenda e protegga gli individui e i loro beni, ma anche che assicuri a ognuno
la libertà di cui godeva nello stato di natura. Si prefigge così lo scopo di migliorare le condizioni di
vita degli uomini. Tuttavia, egli vede la fonte dell’infelicità nel progresso della scienza e della
tecnica, perché determinano uno stile di vita in cui il sentimento e gli istinti sono svalutati. Propone
così di rifondare le istituzioni attraverso un nuovo contratto sociale (rinnovamento pedagogico e
politico), secondo cui ogni associato deve alienare i propri diritti alla comunità, ricevendone in
cambio il riconoscimento di essere parte del tutto. Tale contratto non è basato sul diritto del più forte,
ma sull’uguaglianza. Esso nasce dai soggetti che scelgono di unirsi e di fondere le loro volontà in una
volontà generale, o Stato (io comune). Ciascun individuo non appartiene solo allo Stato, ma si
identifica con esso, ossia è tutt’uno con l’intero corpo politico.

Occorre però distinguere la “volontà generale” dalla “volontà di tutti”. Quest’ultima è la somma delle
singole volontà, ed è sempre esposta a degenerare negli interessi di uno o più membri. Mentre la
volontà generale è ciò che risulta se alla volontà di ciascun membro si sottraggono gli aspetti
egoistici e personali, per mantenere quanto rientra negli obiettivi comuni. Il punto di arrivo di
questa filosofia è il riconoscimento dell’assoluta sovranità del popolo. Rousseau non condivide la
concezione della rappresentanza politica, ma sostiene una forma di “democrazia diretta”, in virtù della
quale tutti i membri del corpo politico esercitano senza mediazione il potere legislativo. La
funzione esecutiva è invece assegnata al governo, autorizzato solo a far osservare le leggi.
Un nuovo “STATO DI NATURA”
Da “Il Signore delle Mosche” di Golding, i giovani superstiti rappresentati nel brano cercano di
ristabilire l’ordine della legge, infranto dall’arroganza di altri individui. Si può dire che sia avvenuta la
violazione di quella sorta di “patto sociale” con cui la comunità aveva conferito il potere a
un’autorità superiore in modo da garantire la pace e l’armonia. Il tema rappresenta quindi il dibattito
filosofico in cui ci si interroga sulla natura dello Stato, sulle origini e sulle prerogative.

La questione della società dell’essere umano in Hobbes e Locke


La situazione ipotizzata nel “Signore delle Mosche” è quella di un improvviso ritorno allo stato di
natura descritto da Hobbes. Abbandonati a se stessi, dopo un primo tentativo di regolamentazione, si
lasciano travolgere da un sentimento di ostilità reciproca. Il testo spiega come l’uomo non sia per
natura ben disposto verso i suoi simili, ma al contrario tende a prevaricare sugli altri. L’accordo tra
gli uomini è artificiale, e nasce da un contratto/compromesso usato per non degenerare
nell’anarchia.

A differenza di Hobbes, Locke concepisce l’uomo come un essere socievole e razionale, dove lo
stato di natura è governato dalla ragione, che insegna agli uomini che, essendo tutti uguali e
indipendenti, nessuno deve arrecare danno agli altri. Tuttavia non vi è garanzia del diritto; il filosofo
riconosce dunque la necessità di un patto sociale con cui i cittadini decidono di sottomettersi a
un’autorità statale, che ha il fine di garantire e salvaguardare i diritti “naturali” degli individui.

Dallo “stato di natura” all’organizzazione politica


Le 2 diverse dottrine di Hobbes e Locke mostrano come da una diversa concezione dell’essere
umano possa nascere una contrapposta visione del mondo: Hobbes mira a tutelare la sicurezza e la
salvaguardia della vita, mentre Locke vuole scongiurare la perdita della libertà. Inoltre, la figura
di Ralph esemplifica una visione liberare e democratica dello Stato, in cui il popolo elegge
un’autorità di governo ed esercita un controllo sul suo operato; quella di Jack riflette un’idea
assolutista e accentratrice, in cui il potere del leader è incontrastato.

Gli illuministi affermano con forza un’idea di Stato quale istituzione deputata alla salvaguardia dei
diritti naturali e inalienabili degli individui; un organismo in cui la garanzia democratica delle
scelte sia assicurata dalla divisione dei poteri.

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