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Locke

Secondo John Locke lo stato serve a tutelare i diritti di vita, libertà e proprietà, diritti che
esistevano anche in natura. Sono un pacchetto di diritti che uno stato non può violare, non
può esserci autorità sovrana che possa violare le libertà fondamentali, perché altrimenti si va
contro la natura e contro il contratto. I contrattualisti sono anche giusnaturalisti: esiste un
diritto di natura, i diritti hanno le loro radici nello stato di natura, c’è un nucleo di libertà
irrinunciabili. Locke amplia molto le libertà.

Spinoza
Spinoza è contrattualista e giusnaturalista, però il suo giusnaturalismo è più limitato. L’uomo
è razionale e deve essere rispettato come tale, lo stato può fare un po’ tutto (un po’ come
Hobbes, stato assolutistico, altrimenti le passioni hanno la meglio sulla razionalità), però deve
difendere e rispettare la razionalità. Invece per esempio la proprietà non è necessaria.
Rispetto a Locke, per Spinoza non si può fare a meno dello stato, per Locke invece si
(esempio: tribù americane, lo stato non è un passaggio obbligato, c’è più libertà). Spinoza e
Locke hanno entrambi un’impronta giusnaturalista e contrattualista, ma con delle differenze.
Spinoza è però diverso anche da Hobbes: Spinoza sostiene che lo stato debba difendere la
razionalità e dunque la libertà di pensiero e di culto, mentre per Hobbes in pubblico
bisognava seguire il pensiero e il culto dello stato. L’unica libertà a cui, per Spinoza, non si
deve rinunciare è la razionalità e ciò che ne consegue, ossia la libertas philosophandi, la
libertà di cercare la verità ed esercitare la ragione, la libertà di pensiero. L’uomo per Spinoza
deve seguire la razionalità, se vuole vivere in modo felice deve vivere secondo ragione, che
l’uomo debba usare la ragione è una legge naturale. Fuori dallo stato non è possibile essere
liberi, perché fuori dallo stato le passioni e le pulsioni hanno la meglio sulla ragione, la vera
libertà dell’uomo. Lo stato ha una funzione etica, aiuta i singoli cittadini a vivere bene, non si
può vivere senza, permette l’esercizio della razionalità. Lo stato deve dotarsi di
rappresentanze, istituzioni, occasioni in cui si può manifestare la razionalità, si deve votare
liberamente chi sta al governo. Nel tractatus politicus però non spiega come debbano
funzionare le rappresentanze, il trattato ci è giunto incompleto. Mentre nell’Etica si parla
poco di politica, anche se si parla della necessità dello stato.
Uomo spinoziano: un uomo non libero di decidere ogni cosa, poiché siamo obbedienti e
necessitati dalle leggi di natura (NB: no teleologia o finalismo, no libero arbitrio, è
un’astrazione, non possiamo perseguire un fine, siamo soggetti alle leggi di natura: dire che
ora sono libero di guardare da una direzione è falso, c’è dietro una catena di causa e effetto,
appartengo a un tutto connesso, l’unica differenza tra me e una pietra è che io colgo due
attributi: l’estensione ma anche il pensiero. Io posso pensare ma è una possibilità, non una
libertà), l’unico spazio in cui possiamo esercitare la libertà è la politica (Es: lo stato è come
una barca, su di essa siamo liberi, per il resto siamo trascinati dalla corrente). Non c’è spazio
logico né fisico per la libertà, se non in politica. Tutto avviene in modo necessario, senza
contingenza, ma c’è un margine: l’uomo dentro i limiti della comunità politica può esercitare
la sua razionalità e le sue esigenze di libertà. Lo stato aiuta a vivere, è etico.

PENSIERO RAZIONALISTA
Cartesio e Spinoza sono rappresentanti del filone razionalista. Notiamo la preoccupazione tipica della
modernità che la verità possa essere colta nella sua reale essenza, a determinate condizione: bisogna
utilizzare dei criteri, quelli del sapere matematico, sia per quanto riguarda il linguaggio sia per quanto
riguarda la logica e il procedimento inferenziale. Se si ragiona in termini rigorosi che prescindono
dall’oscurità dei sensi allora si può cogliere la vera struttura del mondo. Esiste la razionalità in natura,
ad essa si devono inchinare la voluptas e omnipotentia divina.
Ugo Grozzio, un razionalista e giusnaturalista (che scrive de iure belli ac pacis) dice che ci sono leggi
in natura che hanno a che fare col comportamento umano e hanno a che fare “etsi Deus non daretur”,
cioè “anche se dio non fosse dato”, anche se Dio non esistesse. Esiste una ratio interna alle cose che
esiste da sé, e che l’uomo può cogliere. Essenza del razionalismo: se ci affidiamo a una sequenza di
dimostrazioni e teoremi cogliamo la verità. In natura c’è una necessità di leggi e norme, significa che
non c’è spazio per l’improvvisazione, per modelli alternativi di razionalità, né per la storia. Non c’è
spazio per finalità esterna alle leggi della natura, i fini in natura non esistono, esistono le leggi.
Ci sono principi scolpiti nell’esperienza umana: tutti sono indotti a ritenere, indipendentemente dalla
cultura di provenienza, che “pacta servanda sunt”, i patti devono essere rispettati, o che non bisogna
ferire nessuno, “neminem ledere”, sono verità evidenti e razionalmente coglibili. Hobbes aggiunge:
“pax querenda est”, la pace va ricercata in tutti i modi, se no si muore, la pace è un bene e la guerra è
male. Questo è uno sfondo condiviso anche dagli empiristi, Hobbes e Locke sono empiristi.
Anche Spinoza procede dimostrazione dopo dimostrazione e arriva a delle verità, in modo però più
laico di Cartesio (anche se anche Cartesio dopo le Meditazioni Metafisiche non lo cita più), Spinoza
arriva a dire che è la natura stessa a essere Dio. Non c’è spazio per fini, superstizioni, timori, illusioni,
speranze inutili che confondono le idee e rendono difficili i rapporti.

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