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L’empirismo fa continuamente riferimento all’esperienza e quindi a differenza del razionalismo assume un

atteggiamento limitativo nei confronti delle possibilità conoscitive dell’uomo e anti-metafisico, in quanto
la filosofia empirista non deve occuparsi dei problemi riguardanti realtà non accessibili all’uomo tramite
gli strumenti che possiede. 1690 Saggio sull’intelletto umano insieme ai Principi matematici di Newton
saranno un punto di riferimento per l’Illuminismo.
Prima di qualsiasi indagine critica, per L è necessaria una riflessione sui limiti dell’intelletto per evitare di
addentrarsi in problemi insolubili; i limiti della ragione umana sono dovuti al fatto che essa deve fare i
conti con l’esperienza; da questa provengono le idee semplici, elementi, materiali utilizzati dalla ragione,
che li combina insieme per formulare idee complesse e ragionamenti, sempre comunque controllati
dall’esperienza.
Riprendendo Cartesio, L sostiene che l’oggetto della conoscenza sono le IDEE intese come qualunque cosa
che l’oggetto dell’intelletto quando un uomo pensa, qualsiasi oggetto dell’intelletto; però per L le idee
derivano solo dall’esperienza, non vengono create dall’intelletto umano ma sono il frutto del suo essere
passivo di fronte alla realtà. Si dividono in idee di sensazione (derivano dal senso esterno) e idee di
riflessione (dal senso interno, dallo spirito). L critica l’innatismo: le idee se non vengono pensate non
esistono; se fossero innate dovrebbero esistere anche in individui quali bambini, idioti e selvaggi ma in
loro certe idee non sono presenti perché non vengono pensate. L’esperienza fornisce idee semplici che
vengono rielaborate dall’intelletto, dallo spirito e unite in idee complesse. Le qualità delle cose producono
nell’uomo certe sensazioni: si parla di qualità primarie intendendo quelle oggettive, reali perché esistono
nei corpi anche se non sono percepite (estensione, figura, movimento) e qualità secondarie ovvero quelle
soggettive (colori, suoni, gusti) che sussistono se c’è un soggetto che le percepisce.
Le idee complesse di dividono in tre grandi gruppi: 1) modi -> idee non sussistenti di per sé ma solo come
manifestazioni di una sostanza 2) sostanze -> idee esistenti di per sé (uomo), 3) relazioni -> idee che
nascono dal rapporto tra più idee. In particolare L analizza l’idea di sostanza: le varie idee semplici unite
dall’intelletto spesso vengono considerare come un’unica idee semplice e non una complessa; e a questa
idea semplice si attribuisce un substratum che sia la base. Si ha un rovesciamento della metafisica
aristotelica, che considerava la sostanza come ciò che permane come fondamento ultimo della realtà, per L
invece la sostanza è inconoscibile e arbitraria, nasce dal considerare le varie idee semplici come un’unità.
La sostanza corporea è il substrato sconosciuto delle qualità sensibili, la sostanza spirituale è quello delle
operazioni dello spirito. Le principali idee di relazione sono: causa ed effetto, identità e diversità. I diversi
pensieri e stati mentali dell’uomo fanno nascere l’idea di identità nella coscienza; infatti l’uomo è
consapevole che sia sempre il suo io a percepire le diverse sensazioni e si concepisce così come un’unica
persona. Le idee generali sono solo gruppi di cose particolari accumunate per una certa somiglianza.
L estremizza la concezione nominalista; sottolinea il carattere convenzionale del linguaggio; egli sostiene
che non solo il nome sia un convenzionale a cui corrisponde un concetto uguale per tutti, ma che anche il
significante (concetto) è arbitrario, perciò l’idea generale che è convenzionale, non si riferisce a nulla di
essenziale nelle cose. Perciò la conoscenza non si riferisce alla realtà, i generi e le specie non sono
considerati strutture proprie dell’essere ma solo strumenti di classificazione. Le diverse specie sono
semplicemente le idee complesse alle quali sono stati associati nomi diversi. La dottrina della conoscenza
si riduce alla semiotica (dottrina dei segni).
La conoscenza è il riconoscere l’accordo o disaccordo delle idee tra di loro. Può essere intuitiva, ed è
quindi fondamento della certezza e dell’evidenza di ogni altra conoscenza; oppure dimostrativa quando ci
si serve di idee intermedie, dette prove, per cogliere l’accordo o disaccordo tra due idee. Inoltre c’è la
conoscenza delle cose esistenti al di furi delle idee, per L la conoscenza è vera solo se le idee sono
conformi alle cose reali. Il problema viene fuori dall’impostazione della conoscenza di L; poiché se lo
spirito nei suoi ragionamenti ha a che fare solo con idee non si spiega come possa giungere a conoscere
una realtà diversa dalle idee. Dunque L postula l’esistenza di tre ordini di realtà che si arrivano a conoscere
in modi diversi; una realtà è l’Io conosciuto con un’intuizione, poi Dio che si conosce attraverso la
dimostrazione e le cose, attraverso la sensazione. Se abbiamo in noi un’idea, questa è stata prodotta da una
cose esterna a noi, e questo basta a garantire la realtà della cosa esterna. Se però l’oggetto non produce
sensazioni, non possiamo più essere sicuri della sua esistenza; perciò la nostra conoscenza di esso è solo
probabile, poiché si basa su un’esperienza passata o su testimonianza di altri. La fede si distingue dalla
ragione perché è basata solo sulla rivelazione e conduce la ragione dove essa non può arrivare.
In ambito politico L è considerato il fondatore del liberalismo, prospettiva che pone lo stato come garante
dei diritti fondamentali dell’individuo, già presenti in natura. Come per H, anche per L nello stato di natura
vi è uguaglianza tra gli uomini, non di forza ma uguaglianza di diritti; in quanto tutti sono liberi e
possiedono alcuni diritto naturali: alla vita, alla libertà, alla proprietà. A differenza di H non si tratta di uno
stato di guerra poiché ciascun uomo è regolato dalla legge di natura, una legge della ragione in quanto
rivela agli uomini alcuni limiti per esempio il non poter violare la propria vita né quella degli altri. lo stato
di natura è una condizione di pace e per evitare la guerra, che scaturirebbe con l’intervento della forza, gli
uomini abbandonano lo stato di natura e si organizzano in società costituendo un potere civile che si basa
sul consenso dei cittadini e ha il compito di garantire agli uomini i diritti che essi possedevano nello stato
di natura. È un atto di garanzia e di libertà. L’uomo con il contratto non si rende schiavo di un potere
assoluto come nel caso del Leviatano, il contratto viene stipulato tra i sudditi ma anche tra questi e il
sovrano, perciò esso stesso è soggetto alla legge e al diritto.
Nella Lettera sulla Tolleranza L analizza i rapporti tra Stato e Chiesa. Lo stato è una società di uomini il
cui fine è conservare e promuovere soltanto i beni civili (vita, libertà, proprietà) e l’unico strumento di cui
dispone è la costrizione che tuttavia non può condurre l’uomo alla salvezza. La Chiesa è una libera società
di uomini che si riuniscono per onorare pubblicamente dio in modo da poter giungere alla salvezza
dell’anima.
La tolleranza messa in atto da stato e chiesa tuttavia è limitata solo a coloro che credono in dio; chi nega
l’esistenza di dio cioè gli atei, non può essere tollerato, infatti siccome gli atei non credono in dio, non
possono riconoscere la legge naturale che da dio deriva. Inoltre nemmeno i cattolici possono essere
tollerati poiché essi professano fedeltà al papa, sono dunque destabilizzatori rispetto al potere civile.
(Dovrebbero professare fedeltà solo al Re inglese).
Berkeley
Irlanda, 1685, Oxford, 1753. La sua filosofia si fonda sull’immaterialismo, egli riduce la realtà a quella
spirituale, intende riportare la res extensa all’interno della res cogitans. Causa di errori e incertezze è la
capacità dello spirito di formulare idee astratte; secondo B però lo spirito non è veramente in grado di fare
delle astrazioni, perciò le idee astratte non sono legittime; per esempio l’idea di uomo è sempre l’idea di
un uomo particolare; egli difende un nominalismo radicale, quelle che L chiamava idee generali per B
sono in realtà idee particolari che hanno la presunzione di essere idee astratte, ovvero che fungono da
segni di un gruppo di idee particolare affini tra loro.
Per B gli unici oggetti della conoscenza umana sono le idee, che esistono solo se vengono percepite. Il loro
esse consiste nel loro percipi -> esse est percipi; le cose che comunemente crediamo abbiano un’esistenza
propria in realtà non possono esistere se non sono percepite, la loro esistenza esterna è solo un’altra delle
illegittime idee astratte del nostro intelletto. Perciò l’oggetto e la percezione sono la stessa cosa. Nel
momento in cui affermo che una realtà esista al di fuori del mio pensiero, quella realtà la sto pensando,
perciò esiste nel mio pensiero. Pertanto non esiste una sostanza corporea o una materia come oggetto
esterno della nostra conoscenza, e l’unica sostanza reale è lo spirito che percepisce le idee. Non si può
nemmeno ammettere l’esistenza di un substrato materiale perché se per definizione lo si intende diverso
dalle idee sensibili, allora non potrebbe avere alcun rapporto con la nostra percezione e perciò non ci
sarebbe modo di dimostrarne l’esistenza!
Le idee hanno la propria causa nello spirito attivo che le possiede, tuttavia il nostro spirito non è in grado
di produrle, infatti esse devono essere prodotte in noi da uno spirito superiore ovvero Dio, infatti lo
spirito umano percepisce delle idee a prescindere dal suo volerle percepire, è in qualche modo passivo.
Dio suscita in noi le idee attraverso le leggi di natura, ovvero regole e metodi costanti che ci permettono
di apprendere il corso e i legami tra le idee e ci permettono di agire di conseguenza.
Le idee quando non sono percepite da Dio esistono lo stesso poiché esse sono costantemente percepite da
Dio in modo attuale. Negando l’esistenza della materia è necessario ammettere l’esistenza di Dio,
altrimenti non sarebbe spiegabile l’ordine delle nostre idee sensibili. B sostiene l’immortalità dell’anima;
lo spirito è una realtà permanente e semplice.
HUME
Edimburgo, 1711, 1776.
Partendo dall’empirismo, quindi restringendo la conoscenza umana nei limiti dell’esperienza, H giunge ad
un risultato scettico, in quanto sorge l’impossibilità di spiegare il sorgere di alcun processo mentale.
L’intento iniziale di H è costruire una scienza della natura umana, attraverso il metodo sperimentale di
newton vuole proporre un’analisi sistematica delle dimensioni della natura umana. Questa scienza doveva
descrivere i fenomeni morali ovvero conoscenze, passioni, sentimenti che dovevano essere ricondotti ad
una natura comune uguale per tutti gli uomini. Un progetto di tipo illuministico sia perché ritiene che la
scienza sperimentale sia l’unica forma possibile di conoscenza, sia per l’intento di trovare una comune
natura umana che H non identifica nella ragione bensì in ciò che lui chiama credenza, una specie di istinto,
sentimento.
H divide le percezioni della mente in impressioni: penetrano con forza nella coscienza, sono le sensazioni,
passioni, emozioni. E idee: immagini illanguidite delle impressioni. L’idea è il ricordo dell’impressione,
perciò non può raggiungere il grado di vivacità e la sua forza. Perciò non possono esistere idee o pensieri
di cui non si sia avuta in precedenza l’impressione; non ha senso parlare di idee innate. Ogni realtà si
risolve nel rapporto tra idee e impressioni, la conoscenza umana non dispone di altri materiali, dunque non
può definire la materia, l’Io o Dio. Per H tutto ciò che esiste sono le idee attuali. Le idee hanno la tendenza
ad associarsi tra di loro, come i corpi si attraggono guidati dalla forza di gravità, l’associazione delle idee è
regolata dalla legge di somiglianza, di contiguità spazio-temporale e di causalità. Con queste leggi è
possibile spiegare qualsiasi fenomeno psichica, per esempio la costruzione dei nomi universali: le idee
particolari di cose che si assomigliano tra di loro tendono ad associarsi e per abitudine noi le colleghiamo
con un nome universale. Le impressioni si trasformano in idee e vengono ricordate grazie alla memoria,
mentre l’immaginazione si occupa di collegare tra loro le idee solo in base all’abitudine. I principali
collegamenti tra idee sono la relazione, per la quale un’idea è ricavata da un’altra senza bisogno di
ricorrere all’esperienza, e l’altro riguarda la questione di fatto, un’idea si collega ad un’altra perché si
pensa che le cose cui quelle idee si riferiscono sono di fatto collegate. La relazione esprime una
connessione necessaria e perciò si fonda sul principio di non contraddizione mentre la questione di fatto
esprime una connessione contingente che potrebbe anche non esistere e si fonda sulla legge di causalità.
La relazione tra causa ed effetto non può essere conosciuta a priori con il ragionamento ma solo per
esperienza. Per conoscere cause ed effetti di un oggetto nuovo occorre sperimentarli. La connessione tra
causa ed effetto pertanto è priva di necessità oggettiva, trattandosi di una questione di fatto, non ogni
rapporto causa-effetto esprime una connessione contingente e mai necessaria. Nell’esempio del fenomeno
fuoco-fumo, l’esperienza ci permette di ricavare una contiguità spaziale e temporale ma non attesta mai la
connessione necessaria tra le due cose; potrebbe darsi il caso in cui ci sia fumo senza esserci fuoco o
viceversa. Perciò la connessione causa-effetto non può essere assunta come fondamento per previsioni
future. Nonostante il legame causa-effetto non possa essere considerato oggettivamente valido, l’uomo
basa la sua vita su di esso, dunque è ritenuto valido solo per una necessità soggettiva, legata all’agire
umano. La disposizione ad agire seguendo sempre la medesima connessione causa-effetto è l’abitudine.
Tuttavia l’abitudine non è un principio di giustificazione razionale o filosofico, essa è in grado di suscitare
in noi la credenza di una connessione causale; ma la credenza non è una vera e propria conoscenza cioè
un’impressione, perché non deriva dall’esperienza, è solo un sentimento, un istinto; quindi tutta la
conoscenza della realtà è di tipo probabilistico, non è conoscenza scientifica. Questa credenza però è forte
come un’impressione ed è comune a tutti gli uomini, è ciò che costituisce la natura umana accomunando
tutti gli uomini.
Gli uomini hanno la credenza che esista in mondo esterno permanente rispetto alle impressioni; questo
avviene poiché la coerenza e la costanza di certi gruppi di impressioni porta a credere che esse siano riunite
in oggetti stabili, immutabili. Ma basta una piccola riflessione filosofica per distruggere questa credenza; ci
si accorge che ciò che si presenta alla mente è soltanto un’immagine e una percezione dell’oggetto. Non
esiste un vero e proprio rapporto tra l’immagine e l’oggetto percepito. (Il tavolo che allontanandomi si
rimpicciolisce resta invariato). Occorre quindi distinguere tra le percezioni mutevoli, soggettive e le cose,
oggettive e continuamente esistenti. Tuttavia l’unica realtà di cui abbiamo conoscenza certa è quella delle
percezioni; una qualsiasi realtà esterna è indimostrabile nonostante l’istinto umano sia spinto a credervi.
Allo stesso modo è ingiustificabile la credenza nell’Io inteso come unità e identità poiché non ne facciamo
alcuna esperienza e non ne abbiamo impressioni, solo vediamo susseguirsi i nostri stati d’animo nel tempo.
LEIBNIZ
Lipsia, 1646, Hannover, 1716. Laurea in giurisprudenza. Intenzione di costruire una scienza universale.
Scopre il calcolo integrale, dieci anni dopo Newton ma L lo formulò autonomamente e lo rese più
fecondo. Progettò la riunificazione della chiesa protestante con la chiesa cattolica, ma il progetto restò
un’utopia.
Il pensiero di L si fonda sull’idea che esista un ordine del mondo contingente, spontaneamente
organizzato e quindi libero, un ordine frutto di una scelta e non di una necessità. Per dimostrare questa
tesi, inizia specificando che ordine non implica la necessità; la necessità è solo parte della logica, mentre
un ordine reale non è mai necessario. Distingue tra verità di ragione: proposizioni necessarie ma non
riguardano la realtà, sono identiche poiché il loro predicato ripete la stessa cosa espressa dal soggetto
senza dire nulla di nuovo, es: “il triangolo ha tre lati”, perciò si fondano sul principio di identità e di non
contraddizione, sono verità necessarie e infallibili ma non esprimono niente sulla realtà effettiva, perciò
non derivando dall’esperienza devono essere innate e hanno a che fare con il mondo della possibilità,
tanti mondi possibili che non implicano contraddizioni tra i quali solo uno diventa attuale. Le verità di
fatto invece sono contingenti e riguardano la realtà effettiva, si fondano sul principio di ragion sufficiente,
per cui se si conosce il fatto è possibile dare una ragione che spieghi perché il dato fatto è così e non
altrimenti, le cose si legano tra di loro senza formare una catena necessaria. Queste proposizioni non
sono identiche e non si basano sul principio di identità e non contraddizione perciò il loro contrario è
possibile. Il principio di ragion sufficiente permette a L di includere nell’ordine del mondo la scelta, in
particolare la ragione sufficiente a spiegare perché Dio abbia scelto proprio il mondo attuale tra tutti i
mondi possibili è che questo mondo era il migliore dei mondi possibili e dunque Dio lo ha scelto. Dio ha
creato il mondo migliore in vista di un fine, di una sua causa finale.
Nella fisica, L rinuncia all’atomismo basandosi sul principio della continuità, in natura, per passare dal
piccolo al grande occorre passare attraverso infiniti gradi intermedi e quindi anche il processo di divisione
della materia non può fermarsi agli atomi indivisibili ma deve procedere all’infinito. Inoltre il mondo fisico
non si basa sull’estensione e il movimento ma sul principio di conservazione della forza, l’energia cinetica
è ciò che permette di produrre un determinato effetto. Egli considera la forza il principio metafisico su cui
si fondano le leggi della fisica. Ogni realtà materiale viene ridotta a forza dunque non è più una realtà
corporea; L riduce così la realtà fisica in una realtà incorporea, negando il dualismo cartesiano poiché
nell’universo non esistono veramente né estensione né materia in quanto tutto è forza, cioè spirito e vita.
Il concetto di forza trascende la realtà dell’estensione.
Per estendere l’idea di ordine contingente al mondo fisico L introduce la Monade, unificando il mondo
fisico e quello spirituale in un ordine universale libero. La MONADE è un atomo spirituale, una sostanza
semplice senza parti, priva di estensione e indivisibile, è un centro di forza, è entelechia a se stessa
avendo in sé le ragioni del suo sviluppo. È eterna poiché solo dio può crearla o disgregarla.
Ogni monade è diversa dall’altra, tutti gli esseri in natura sono caratterizzati da una differenza interiore ->
identità degli indiscernibili. Ogni cosa differisce dall’altra non solo spazialmente e temporalmente come
diverse manifestazioni dell’unica sostanza ma anche qualitativamente. Gli identici non esistono nella
realtà, ma solo in logica, matematica. Ogni monade sussiste come un mondo chiuso che non può
influenzare né essere influenzato da altre monadi. Tuttavia ogni monade ha una particolare prospettiva
sulla realtà e si configura come uno specchio poiché in essa sono presenti le altre monadi come
rappresentazioni. Le due attività principali della monade sono: la percezione (attività rappresentativa) e
l’appetizione (tendere da una percezione all’altra, è una forza che spinge la monade). Esistono alcune
monadi più elevate, le anime, che hanno la capacità dell’appercezione ovvero il percepire avendone la
consapevolezza. Inoltre nell’anima umana esistono delle piccole percezioni di cui non si ha
consapevolezza, nonostante a volte non ne sia consapevole, l’anima pensa sempre, in questo modo L
distingue il pensare della coscienza di pensare (che Cartesio e Locke non avevano distinto).
Lo stesso Dio è una monade, che si distingue per il suo grado massimo di perfezione, rispetto alle monadi
finite, create che rappresentano il mondo solo da un punto di vista mentre Dio lo rappresenta da tutti i
punti di vista possibili. Le monadi più semplici possiedono percezioni confuse, quelle che costituiscono le
anime degli animali sono dotate di memoria e quelle che costituiscono gli spiriti umani sono fornite di
ragione. Il livello di perfezione aumenta all’aumentare del livello di chiarezza della percezione.
La materia è formata da monadi; essa è un aggregato di sostanze spirituali. Essa è divisibile infinitamente
in elementi ultimi incorporei, le monadi. Perciò la materia non è veramente né sostanza corporea né
spirituale. Le monadi, atomi di sostanza sono contenute in numero infinito in ogni ente. L’aggregato di
monadi è definito materia seconda; mentre la materia prima è la potenza passiva, forza di inerzia
(resistenza che il corpo oppone alla penetrazione del movimento) presente nella monade insieme alla
potenza attiva (conatus o tendenza all’azione). Il corpo di uomini e animali è un aggregato di monadi
tenute insieme dall’anima, ovvero dalla monade dominante. Pur non essendoci differenza sostanziale tra
l’aggregato e l’anima, essi seguono leggi indipendenti. I corpi seguono leggi meccaniche mentre le anime
leggi di finalità. Non è possibile spiegare come questi possano entrare in contatto (NO ghiandola
pineale!!! -> problema mente-corpo). L suppone che il corpo e l’anima seguono ciascuno le proprie leggi
ma tra loro vige un accordo stabilito da Dio al momento della definizione di queste leggi; sono regolati da
un’armonia prestabilita da dio stesso all’atto della creazione.
L introduce il termine TEODICEA per indicare la giustificazione di Dio, il tentativo di liberarlo dall’accusa di
essere responsabile dell’esistenza del male nel mondo. Sulla base di Agostino L distingue tre tipi di male:
-male metafisico: una forma di non-essere implicito nelle creature finite,
-male morale: coincide con il peccato e la colpa.
-male fisico: dovuta agli altri due tipi di male.
Problema di conciliare l’idea di un dio creatore buono e onnipotente con la presenza del male. Per L Dio è
dotato di una volontà antecedente, che lo spinge verso il bene in sé e una volontà conseguente che lo
porta a scegliere il meglio una volta venuto a contatto con il principio di contraddizione che gli impedisce
di scegliere come bene in sé la libertà dell’uomo e allo stesso tempo la sua assenza di colpa, le due cose
infatti sono in contraddizione. Dio sceglie dunque di creare il mondo migliore possibile in cui libertà e
assenza di colpa sono presenti ma non in maniera assoluta; questo perciò non è il mondo perfetto. Dio
permette la presenza del male in vista del meglio, dans le meilleur des mondes possibles.
G. VICO
Napoli, 1668,1744. Frequenta scuola di gesuiti. Professore di eloquenza/retorica a Napoli. Opera principale
la Scienza Nuova nella quale V espone i punti cardine di una scienza mai sviluppata fino ad allora, la
scienza della storia; essa può essere considerata una vera e propria scienza poiché autore della storia, delle
vicende umane è l’uomo stesso e dunque in quanto suo autore può conoscerne le cause e formularne le
leggi, a differenza di quanto avviene per la fisica. Introduce la nozione di certo, indicando i fatti particolari
descrivibili attraverso l’esperienza diretta o attraverso lo studio dei documenti e delle testimonianze. È la
filologia che si deve occupare di accertare i fatti storici. La filosofia si occupa invece di spiegare, indicare
le cause dei fatti dopo che sono stati accertati. Filologia e filosofia non possono avvenire in maniera
indipendente poiché l’una si occupa del certo e l’altra del vero e non c’è scienza del certo se di esso non si
conosce il vero (perché, cause). È necessaria una continua sintesi tra il certo e il vero.
La nuova scienza della storia deve trarre i suoi principi da una metafisica della mente, poiché è la mente
umana che causa la storia e quindi le leggi della storia saranno le stesse che regolano la mente umana.
Conoscere le leggi della storia permette di definire la storia ideale eterna che è appunto l’insieme delle
leggi secondo le quali si svolgono le storie reali dei singoli popoli.
La scienza della storia di V non è una teologia della storia perché non si basa sulla rivelazione bensì sulla
ragione. Come Agostino però, anche V intende dare un senso alla storia e la pone come oggetto principale
della riflessione umana, al posto della natura. Inoltre formula le degnità, ossia verità degne di essere
accettate da tutti poiché evidenti per se stesse. Una delle degnità consiste nel principio secondo cui
conoscere la natura di una cosa significa conoscerne l’origine.
La mente umana secondo V si sviluppa in tre fasi: la prima è l’età dominata dal senso in cui gli uomini
sentono senza avvertire, cioè sentono in modo confuso; la seconda è dominata dalla fantasia e corrisponde
alla giovinezza, gli uomini percepiscono in modo chiaro provando emozioni perciò non in maniera
distaccata ma comunque ricca di creatività; la terza fase è dominata dalla ragione, in cui gli uomini
riflettono in modo chiaro e distaccato, senza essere influenzati da alcun sentimento. Ad ogni fase di
sviluppo della mente corrisponde una fase della storia delle singole nazioni. Alla fase del senso
corrisponde l’età degli dei ovvero la preistoria quando gli uomini erano simili ad animali dominati da
istinto e passioni e incapaci di organizzarsi in comunità, ogni fenomeno naturale era interpretato come una
manifestazione della potenza divina, il potere era nelle mani dei sacerdoti (teocrazia); a quella della
fantasia corrisponde l’età degli eroi che inizia nel momento in cui gli uomini si alzano in posizione eretta
distinguendosi dagli altri animali; in questa fase nasce la famiglia, e le istituzioni politiche e religiose. È
detta degli eroi perché fu un’età dominata da personalità eccezionali, individui ritenuti superiori e perciò
messi a capo delle repubbliche aristocratiche. (Grecia omerica, Roma antica, Medioevo). A questa età
risale il sapere poetico; miti, favole dei popoli primitivi. V ritine la fantasia una vera e propria capacità di
creare tradizioni, stili di vita, abitudini. Alla fase della ragione corrisponde l’età degli uomini nella quale
gli uomini si rendono conto di essere tutti uguali e danno vita alle repubbliche popolai democratiche
(Grecia classica, Roma repubblicana, civiltà moderna). Tuttavia un eccessivo sviluppo della scienza e della
tecnica che porti al lusso e a comodità eccessive conduce la società alla decadenza. Dunque allo sviluppo
unitario di un popolo in tre stadi può seguire il ritorno allo stadio iniziale. Questa è detta teoria dei corsi e
ricorsi e allude ad una concezione ciclica della storia.
Immanuel Kant
Konigsberg, 1724, 1804. Per volontà della madre, di religione pietista (movimento protestante che
riduce la religione a devozione personale e comportamento pratico), frequentò il Collegio di K
diretto dal pastore Schultz, seguace di Wolff. Studiò poi all’Università Albertina. Nel 1755 divenne
professore universitario di fisica e metafisica, grazie a due dissertazioni. Studiò e fu molto
influenzato da Hume, Leibniz, Rousseau, Newton. Nel 1770 vinse la cattedra di logica e metafisica
grazie ad un’altra dissertazione e divenne professore ordinario. Già nella Dissertazione del ’70
presentò già alcuni pensieri definitivi sul problema della conoscenza. La prima edizione della Critica
della ragion pura uscì nel 1781 a Riga (la seconda edizione sarà del 1787). Data la complessità
dell’opera K decise di ripubblicarne il contenuto in forma più accessibile e nel 1783 uscì i
Prolegomeni ad ogni futura metafisica che voglia presentarsi come scienza . Scrisse poi le maggiori
opere di filosofia morale: Fondazione della metafisica dei costumi 1785 e la Critica della ragion
pratica 1788. Pubblicò Per la pace perpetua 1795, esprimendo il suo pensiero riguardo al diritto
internazionale o cosmopolitismo giuridico. Nel 1797 appare la Metafisica dei costumi. Morì (quasi
cieco) nel 1804 quando si era ormai affermato l’idealismo di Fichte e Schelling al quale K era
fieramente contrario. 
La Dissertazione del 1770 (Sulla forma e i principi del mondo sensibile e intelligibile), rappresenta
l’inizio della fase costruttiva del pensiero di K; il suo intento fu quello di costruire una teoria critica
non nei riguardi delle filosofie precedenti bensì nei confronti della conoscenza umana con lo scopo di
stabilirne il valore e i limiti. / l’attività conoscitiva dell’intelletto è limitata al materiale offerto dai
sensi, poiché oltre la sensibilità la conoscenza diventerebbe vana; K propone la metafora della
colomba: come la colomba che fendendo l’aria ne incontra la resistenza e potrebbe essere spinta a
pensare che senza aria volerebbe meglio, ma in realtà non volerebbe affatto allo stesso modo
l’intelletto umano quando pensa di innalzarsi oltre i limiti dei sensi, non produce affatto una
conoscenza migliore, ma solo i sogni dei visionari. -> criticismo kantiano
Nella Dissertazione K accoglie il presupposto che esista il mondo sensibile, diverso da quello
intelligibile. Uno è oggetto della sensibilità, la capacità passiva di essere affetti o modificati dalle cose
esterne; la sensibilità non permette di conoscere le cose me solo le modificazioni che le cose
producono sui nostri sensi.
Oggetto della sensibilità è quindi il fenomeno (phainomai); con il termine fenomeno K indica una
mera apparenza diversa dalla realtà e non la manifestazione della realtà attraverso l’esperienza
come intendeva Aristotele. L’intelletto invece ha la facoltà di pensare il mondo intelligibile cioè gli
oggetti non sensibili che costituiscono la vera realtà, il noumeno, o realtà pensata (noein). Sulla scia
del platonismo, la realtà vera non è quella che appare ai sensi ma quella che viene pensata
dall’intelletto.
È possibile conoscere in modo certo la realtà sensibile infatti le sensazioni sono rese possibili da due
fattori che non dipendono dalla realtà sensibile ma sono oggettivi e a priori, ovvero spazio e tempo.
Questi non costituiscono una realtà oggettiva e non possono portare alla conoscenza degli oggetti in
se stessi ma sono due forme a priori di conoscenza, sono modi interni di conoscenza che filtrano la
realtà sensibile. Sono condizioni che non dipendono dalle sensazioni perciò non sono soggettive, ma
universali e necessarie, sono uguali in tutti gli individui. K riporta spazio e tempo all’interno del
soggetto conoscitore e non nella realtà esterna; avendo in sé le forme a priori di conoscenza l’uomo
non può conoscere fuori da spazio e tempo, questi precedono ogni esperienza sensibile e la rendono
possibile. Le sensazioni sono la materia della conoscenza sensibile e spazio e tempo ne sono le
forme.
Infatti è impossibile percepire un oggetto fuori di noi senza collocarlo in un determinato punto dello
spazio e del tempo. Geometria e aritmetica sono le scienze dei rapporti spaziali e temporali e
entrambe prescindono dall’esperienza dimostrando così che spazio e tempo sono forme a priori.
K si distacca da Newton il quale concepiva spazio e tempo come realtà esistenti di per sé, e da
Leibniz che li concepiva come relazioni tra i corpi perciò esistenti solo nelle cose esterne.
Nella Critica della ragion pura K analizza il problema del valore della metafisica, e il rapporto tra
l’intelletto e il suo oggetto. La metafisica perde il suo livello di scientificità quando la ragione aspira a
conoscere realtà che trascendono l’esperienza. Occorre sottoporre la ragione ad una critica per
stabilire il campo e i limiti delle sue conoscenze. K la definisce ragion pura poiché è la facoltà che
aspira a conoscere indipendentemente da ogni esperienza. La matematica e la fisica sono diventate
scienze quando si è compreso che non è il soggetto conoscente che deve adeguarsi agli oggetti da
conoscere bensì l’oggetto che deve adeguarsi al soggetto. Si è rovesciato il rapporto tradizionale tra
soggetto e oggetto; se la ragione non può conoscere le cose in se stesse, allora deve ammettere di
essere essa stessa che plasma le cose esterne con i suoi concetti limitandosi così a conoscere ciò che
essa stessa ha messo nelle cose attraverso i suoi concetti a priori. La Critica si pone l’obiettivo di
capire se sia possibile rovesciare i rapporti anche in metafisica.
Nell’introduzione K distingue i vari tipi di giudizi. I giudizi analitici consistono nell’attribuire al
soggetto un predicato già contenuto nel suo concetto e sono sempre a priori, universali e necessari,
poiché derivano da puri concetti. Nei giudizi sintetici invece si attribuisce al soggetto un predicato
non contenuto nel suo concetto, perciò si aggiunge qualcosa di nuovo al soggetto; questi ricavano
dall’esperienza il predicato da aggiungere al soggetto e sono perciò a posteriori. I giudizi sintetici
possono anche essere a priori, nel caso in cui il predicato che si aggiunge sia indipendente
dall’esperienza e perciò universale e necessario. Solo nel caso dei g. s. a priori si ha una vera e
propria conoscenza (es. proposizioni matematiche, fisiche).
Come sono possibili i giudizi sintetici a priori?
Sono possibili solo se l’elemento di universalità e necessità deriva dal soggetto conoscente e non
dall’esperienza. Spazio e tempo sono condizioni di giudizi sintetici a priori.
Trascendente=ente che sta al di là dell’esperienza (Dio)
Trascendentale=ciò che precede qualsiasi esperienza, puro/a priori. Indica le forme proprie della
conoscenza. La dottrina trascendentale degli elementi è lo studio delle forme a priori della ragione e
si divide in Estetica trascendentale ossia studio delle forme a priori della sensibilità e logica
trascendentale che studia le forme a priori dell’intelletto. Con estetica K indica la scienza della
sensibilità, dal greco aisthesis-sensazione.
La sensibilità conosce mediante intuizioni, conoscenze immediate degli effetti che gli oggetti
producono sui sensi. Ogni intuizione è la rappresentazione di un fenomeno; le cose in sé non è
possibile conoscerle. Anche la matematica, pur essendo una scienza pura, ci permette di conoscere
solo gli aspetti quantitativi delle cose, ossia i loro rapporti con spazio e tempo, ma non ci aiuta a
conoscerne l’essenza.
La logica trascendentale di divide in analitica t. che studia gli elementi del pensiero in rapporto con
gli oggetti e in dialettica t. che cerca invano di usare gli elementi del pensiero per conoscere oggetti
che stanno al di là dell’esperienza. La funzione dell’intelletto è formulare giudizi sintetici a priori
collegando tra loro delle rappresentazioni empiriche. I giudizi risultano universali e necessari grazie
ai concetti puri dell’intelletto o categorie a priori-> diversi modi in cui l’intelletto ordina e unifica i
dati dell’esperienza. (Diverse dalle categorie aristoteliche che erano modi dell’essere).
L’unità delle rappresentazioni attribuite ad un oggetto, il riferimento unitario delle categorie è reso
valido dall’unità dello stesso oggetto pensante, ovvero l’Io penso o appercezione trascendentale, è la
radice ultima del processo unificatore. Corrisponde alla coscienza che abbiamo di noi stessi in
quanto soggetti pensanti. Tutte le rappresentazioni appartengono alla stessa coscienza cioè l’io, e
perciò è possibile unificare il riferimento delle categorie. È una percezione pura poiché non deriva
dall’esperienza. La vera Rivoluzione copernicana sta nel sostituire l’unità dell’oggetto con l’unità del
soggetto pensante. Si ha un rovesciamento dei rapporti tradizionali tra soggetto e oggetto, è l’oggetto
che si adegua al soggetto.
Fichte
Alta Lusazia, 1762, Berlino, 1814. Studiò teologia all’università di Jena e Lipsia. Conobbe Kant il quale lo
aiutò nella pubblicazione del suo primo Saggio, con cui divenne subito celebre. Insegnò a Jena e a Berlino
dove divenne il primo preside della Facoltà di Filosofia.
La sua opera principale fu la Dottrina della scienza; riprendendo il pensiero di Kant, F concepisce la
filosofia come dottrina che non si occupa di oggetti particolari ma dell’intero sapere, inteso come attività
pura del soggetto. Occorre individuare un principio unitario su cui si possa fondare l’intera dottrina della
scienza, tanto dell’attività teoretica della conoscenza quanto dell’attività pratica dell’azione. Questo
principio è definito da F come atto, attività pura. A differenza di K, per F la ragione è in grado di produrre
da sé gli oggetti, i materiali della propria conoscenza, senza il bisogno della cosa in sé come origine del
materiale conoscitivo. L’idealismo è appunto la posizione filosofica che si basa sull’autodeterminazione
dell’io in quanto produttore del proprio oggetto e non avente nulla di esterno a sé. Questo si oppone al
realismo, nel quale il pensiero è determinato e riflette l’oggetto esistente fuori dell’io. F opta per
l’idealismo perché il realismo implicherebbe un materialismo e fatalismo, senza lasciare spazio alla libertà
umana che è invece privilegiata nel caso dell’idealismo, giacché tutto dipende dall’uomo, dal soggetto
conoscente.
L’attività pura dell’io avviene in tre momenti, tesi, antitesi e sintesi. Inizialmente l’io si autopone: l’io pone
assolutamente il proprio essere, l’io autopone se stesso come attività autocreatrice e infinita: con Io F
intende la soggettività pura, non l’individuo, è ciò che precede la distinzione tra soggetto conoscente e
oggetto conosciuto. L’essere dell’io indica tutte le possibili determinazioni dell’io stesso. Tutte le
caratteristiche, proprietà e attività dell’io sono frutto del suo autoporsi.
L’antitesi afferma che all’io viene contrapposto assolutamente un non-io. L’io pone il non-io in se stesso
determinando la sua finitudine, il non-io è il momento dialettico dell’io. Il non-io è infinito nella forma ma
finito nella materia. Viene postulata una realtà che è indipendente e indeterminata rispetto all’attività
dell’io.
Il terzo momento, o sintesi afferma che si contrappone nell’io infinito all’io divisibile finito un non-io
divisibile finito. Cioè l’attività infinita dell’io pone continuamente entro se stessa dei limiti per poter
continuamente superarli. Per potersi esplicare come attività infinita l’io ha bisogno di un ostacolo, il non-io
o natura, o mondo esterno. Nel grado più alto dell’attività dell’io, mediante l’intuizione intellettuale l’io
arriva a conoscere se stesso e la propria attività creatrice. Nella Dottrina della scienza pratica F spiega
come la ragione pratica agisce sul mondo e come agisce la libertà. Nel momento in cui l’io incontra un
ostacolo e lo supera produce uno sforzo e quindi un’azione per affermare continuamento la propria libertà;
la realtà è concepita come una produzione ideale dell’io. La natura è dunque il mezzo con cui l’io attua la
propria libertà. Quello di F è stato definito idealismo etico perché il mondo ideale in cui si compie l’azione
morale ha il fine di realizzare la libertà. Nella natura dell’uomo si ha un istinto naturale e uno puro che
insieme danno luogo all’istinto morale. La coscienza si occupa di verificare l’effettiva bontà dell’azione
innescata dall’istinto morale. La libertà si articola in vari stadi: la libertà formale (agire secondo l’istinto
cosciente), la libertà del volere (conforme a massime di vita che mirano alla felicità), la libertà dell’agire
eroico (motivata dall’entusiasmo per il bene), e la libertà propria dell’agire per il dovere morale.
Schelling
Stoccarda, 1775, Svizzera, 1854. Studiò allo Stift di Tubinga, istituto per la formazione dei teologi
protestanti dove conobbe Hegel e Holderlin. Si appassionò agli scritti di Rousseau, Kant e Fichte che
conobbe personalmente. Grazie a Fichte e Goethe divenne professore a Jena.
Naturphilosophie
Supera la concezione fichtiana di natura come non-io, assumendo che esista un profondo legame tra natura
e spirito: entrambi sono percorsi dallo stesso slancio vitale: la natura è spirito visibile e lo spirito è natura
invisibile. Costituiscono due aspetti di un unico essere. La natura è attività – creatività – spontaneità. La
sua attività infinita si esplica come forza positiva, generatrice e al contempo negativa, corruttrice. Questa
continua opposizione costituisce la storia della natura. Tutti i fenomeni sono connessi in un processo
teleologico unitario dal principio dell’anima del mondo (Weltseele)
Riporta l’Io assoluto alla sostanza di spinoza-> principio dell’infinità oggettiva a differenza dell’Io di
Fichte che è principio dell’infinità soggettiva. Sc intende unire i due principi in un Assoluto che sia al
tempo stesso fondamento del soggetto e dell’oggetto, natura e ragione. È identità di natura e spirito.
Riprende l’importanza della natura e dell’arte. La natura è viva e razionale perciò ha valore in se stessa.
Sviluppa il suo pensiero in due filoni,
-filosofia della natura =come la natura si risolve nello spirito
-filosofia trascendentale = come lo spirito si risolve nella natura
La naturphilosophie muove dalla critica ai due modelli esplicativi tradizionali: quello meccanicistico-
scientifico e quello finalistico-teologico.
Sc sostiene un ORGANICISMO FINALISTICO E IMMANENTISTICO:
-ogni parte ha senso solo in relazione al tutto e alle altre parti
-oltre al meccanismo si manifesta una finalità superiore, interna alla natura stessa e non derivata da un
intervento esterno.

HEGEL

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