I. INTRODUZIONE
1
cfr. ROBINSON 1952, p. 30
Diverrà chiaro il fatto – già noto, ma non ancora del tutto
illuminato nelle sue varie sfumature – che non soltanto gli ebrei
di epoca veterotestamentaria non disponevano di un termine
corrispondente al nostro “corpo”, ma che un forte scarto
concettuale è rilevabile già nella versione greca dei LXX2.
Anticipiamo la principale divergenza: il corpo-moderno fa la sua
apparizione concettuale dotandosi di una consistenza ontologica
specifica ricavata esclusivamente dal suo divergere
fenomenologico da una realtà psichica3. A questo concetto-
oggetto, si oppone una vasta e complessa fenomenologia
somatica, ricavabile dal testo biblico veterotestamentario, che
potremmo compendiare funzionalmente come ‘corpo-antico’; la
principale differenza dal corpo-moderno, è l’impossibilità di
individuare una oggettualità ed una consistenza ontologica
univoca e specifica nell’apparizione del corpo-antico, data dalla
impossibilità di contrapporvi una realtà psichica di pari
consistenza oggettuale4.
Questa evoluzione linguistica – che manifesta apertamente una
maturazione ed una discontinuità nella concezione della
costituzione antropologica stessa – troverebbe ulteriore conferma
se analizzata parallelamente nella sua vicenda greca.
Nell’impossibilità evidente di estendere la ricognizione all’ampio
corpus in questione – dagli omeridi al medio-platonismo –
rimandiamo a studi già esistenti5 e ad ulteriori approfondimenti.
2
FITZMEYER 1968, p. 173
3
GALIMBERTI 1983, pp. 31-sgg
4
cfr. HUSSERL 1931, pp. 68-71; 139-150
Un momento fondamentale nella storia di questa evoluzione, è la
letteratura paolina: la centralità teologica del σῶμα in Paolo va
compresa anche e necessariamente nella sua novità semantica e
linguistica.
J.A.T. Robinson, nel suo studio The Body. A Study in Pauline
Theology6, mostra l’influsso della cultura semitica nella
concezione della costituzione antropologica rilevabile negli
scritti paolini. Centrale in questa dinamica, è il concetto di σῶμα
in relazione a quello di σάρξ : nell’elaborazione paolina il
σῶμα7 diviene nozione inclusiva, polivalente ma non equivoca,
entro la quale possiamo trovare «tutti i dati essenziali della fede
cristiana»8. Σῶμα perviene a questo rinnovamento teologico-
linguistico attraverso l’essenzialità del suo differenziarsi dalla
σάρξ9 : lo scarto significativo di questa differenza ontologica,
operato nella teologia paolina, si profila in quanto tale prendendo
le mosse dal contesto culturale ebraico, specificamente nella sua
realtà scritturale veterotestamentaria, nella quale «non era
avvertita la necessità di tale distinzione»10.
5
GALIMBERTI, U., Il corpo, in «Biblioteca di psichiatria e psicologia clinica», Feltrinelli,
Milano 1983;
SICHKARYK, I., Corpo (σῶμα) come punto focale nell’insegnamento paolino, Editrice
Pontificia Università Gregoriana, Roma 2011;
LYS, D., La chair dans l’Ancien Testament «Bâsâr», Éditions Universitaires, Parigi 1967
6
ROBINSON 1952
7
In primis, nella nozione di Σώμα Χριστού
8
Ibid., p. 23
9
Ibid, p. 39-40
10
Idib, p. 70
Per capire in profondità questa dinamica differenziale, nella sua
doppia portata linguistica e teologica, è necessario fare chiarezza
sul retroterra linguistico che l’ha influenzata e permessa: nella
sua radice veterotestamentaria, come vedremo, si renderà
centrale l’analisi del termine שׂר ָ ָב, testimone fondamentale di
quell’orizzonte semantico che, nella versione greca e nella
letteratura neotestamentaria, genererà tanto σῶμα quanto σάρξ .
20
cfr. KRELL 2003, p. 40
21
B.D.B. p. 156
22
STRONG 1472
23
ROBINSON 1952, p. 30.
cfr. anche ROLLA 1972, p.18.
cosale di ‘corpo’ come quella che abbiamo contraddistinto come
corpo-moderno24.
Bisogna inoltre sottolineare che le occorrenze del termine ְּג ִוּי ָה
sono 13 in tutto l’AT, contro le 273 del termine שׂר ָ ָב.
Evidentemente, si tratta di un lemma percepito come secondario.
Un dato ulteriore lo acquisiamo nel rilevare come nell’ebraico
moderno, il corpo umano sia האדמ גוף/ הגופ, termine che – nella
sua variante antica/biblica, ּגּופָהcompare soltanto in 1Cronache
10:12, con il significato di ‘cadavere’.
È stata l’insorgere dell’esigenza di significazione della
concezione ‘moderna/unitaria’ di corpo a far preferire una radice
secondaria (se non marginale), proprio perché i nuclei semantici
espressi tanto da בָשָׂ רquanto da ְּג ִוּי ָהvengono percepiti come
inadeguati a veicolare questo concetto affatto nuovo.
Il caso dei due passi di Daniele ed Ezechiele citati25 ci sembra
particolarmente indicativo. Compaiono qui ִָּיתֹו ֣ “[ ּוגְוE il suo
corpo”] ְּגוִּי ֹתֵ יהֶם/ “ [ ְּגוִי ֹתֵ יהֶ ֽנָהi loro corpi”]: non c’è ragione
narratologico-testuale o semantica dirimente per la quale qui il
lemma vada inteso nel senso ampio di “figura umana”, senso che
in verità le traduzioni finiscono qui per suggerire, traducendo con
un generico ‘corpo’. Anzi, l’apparire nei versi immediatamente
precedenti e successivi di parti anatomiche descritte
separatamente – faccia, occhi, braccia, ali… – tenderebbe
piuttosto ad escluderlo, e a suggerire che si riferisca al
“tronco/porzione mediana” della figura di queste creature di
24
cfr. GERLEMAN 1971, p. 327
25
Da 10,6; Ez 1,11.23
visione, aderendo perfettamente al significato etimologico del
lemma ebraico stesso26.
Al contempo, la scelta del raro ְּג ִוּי ָהal posto di un ipotetico שׂר
ָ ָב, ci
offre altre precise deduzioni: la conferma della vicinanza tra
l’uso di בָשָׂ רe il concetto di “carne”, decisamente inadatto per
indicare la consistenza materica di queste creature, che figurano
composte piuttosto di “rame, fuoco, crisolito, folgore…”; e, nel
caso in cui il valore rappresentativo del termine-concetto ְּג ִוּי ָה
potesse analogicamente coprire l’area semantica dell’apparizione
di un corpo-figura, l’esistenza di un termine ( ְּג ִוּי ָהappunto)
potenzialmente adatto ma effettivamente non utilizzato per
indicare l’apparire rappresentativo-figurale della persona umana
in quanto corpo.
La scelta di ָב ָשׂרad indicare l’individuo nel suo effettivo
manifestarsi27 è quindi legata alle possibilità di significato
intrinseche del campo semantico del lemma בָשָׂ רstesso, al di là di
qualsiasi opzione rappresentativa.
Appare così tanto inesatta quanto giustificata la scelta della LXX
di tradurre ָב ָשׂרcon σῶμα, in quanto più prossimo equivalente28.
Ciò detto, è subito necessario sottolineare il carattere puramente
analogico di questa equivalenza: בָשָׂ רnon essendo e non potendo
essere ‘corpo’, significa infatti ‘carne’29; soltanto per estensione,
26
cfr. BDB p. 156; STRONG 1458-1459-1460; la medesima radice produce i concetti di
‘porzione intermedia’, ‘schiena’, ‘tronco’ (porzione mediana del corpo).
27
evitiamo appositamente qualsiasi espressione vicina a ‘manifestarsi corporeo’ per non
incorrere nell’equivoco dell’intensione moderna dell’espressione
28
cfr. MORK, 1971, pp. 35-36
29
BRATSIOTIS 1970, pp. 1731-1766; SCHWEIZER-BAUMGARTEL 1967, pp. 1283-1288;
il concetto può arrivare ad includere la comparsa di un
individuo30 (sebbene non in quanto ‘dotato di corpo’, bensì
‘manifestantesi nella/in quanto carne’ – ci torneremo).
1 – Occorrenze
31
STRONG 1320
Il GLAT riporta «circa 270 volte – di cui tre volte in aramaico
biblico (DN 2,11; 4,9; 7,5), più una volta al plurale (PRV 14,
30)»32.
Il DTAT riporta 270 occorrenze del termine, più 3 nella forma
armaica b ͤ šar (DN 2,11; 4,9; 7,5)33.
Lo stesso numero – 270+3 – viene riportato dal GLNT34, da Lys35,
Wolff36, il VOT37, Caza38.
Diversamente, Rolla39, Seebass40, Mork41, contano 266 volte.
GEN 33 1SAM 4 OS 1
ESO 14 2SAM 3 GIOE 1
LE 61 1RE 4 AM –
NU 17 2RE 6 MI
DE 13 IS 17 1
GIOS – GER 10 AG 1
GIUDIC 6 EZ 24 ZAC 4
32
BRATSIOTIS 1970, in GLAT, «שׂר ָ » ָבp. 1733
33
GERLEMAN 1971, in DTAT, vol. I, «» בָשָׂ ר, p. 326
34
SCHWEIZER-BAUMGARTEL-MEYER 1960, «σάρξ κτλ», in GLNT, vol. XI, p. 1283
35
LYS 1967, pp. 18-19
36
WOLFF 1974, p. 40
37
ANDERSEN-FORBES 1989, « » בָשָׂ רp. 296
38
CAZA 1986, p. 542
39
ROLLA 1972, p. 18
40
SEEBASS 1970 «Carne», in DCB, p. 204
41
MORK, 1971, p. 33
MAL EC 1CR
– 5 1
SAL LAM 2CR
16 1 1
GIOB DA
18 2
PROV NE
4 2
2 – Significati
GN 2:21
GN 2:23
GN 2:24
GN 41:2
47
STRONG 7725
LV 13:10
48
cfr. LANGE 1899, p. 352; MILGROM , pp. 784-785; 825-826. Anche prescindendo dal
riconoscimento della patologia in questione, le osservazioni che muoviamo intorno al dato
centrale – l’espressione – ַ ֖חי ָּבָׂש ֥ רrestano coerenti ed in accordo con gli studi citati.
L’interpretazione letterale, e quindi le relative traduzioni,
dipendono dall’identificazione della malattia in questione – di
fatto impossibile.
Il dato importante, è l’asse ַ ֖חי ָּבָׂש ֥ ר/ τῆς σαρκὸς τῆς ζώσης: qui
בשׂרè inteso nel senso più materico e individuato/circoscritto
possibile, riferendosi evidentemente ad una porzione di carne
circoscritta, irrorata e viva49. Particolarmente, questo lo si ricava
֔ : la ‘[ ְׂש אֵתdivenuta bianca’ - ֙] ְל ָבנָה
dal precedente ָּבעֹור ְל ָבנָה֙ ְׂש אֵת־
si trova ָּבעֹור֔ , ‘sulla pelle’, oppure è divenuta bianca
limitatamente alla sua parte composta di pelle – e quindi la ְׂש אֵת
possiede una עֹור –, e la diagnosi procede proprio dal
ritrovamento di una בשׂרindividuata differenzialmente rispetto
alla עֹור: ‘carne viva’, contrapposta a ‘pelle’.
LV 13:13
49
cfr. MILGROM , p. 784
Ebr: ְּבָׂשרֹו ָּכל־
֔
Gr: πᾶν τὸ δέρμα
Lat: eo quod omnis in candorem versa sit, et idcirco homo
mundus erit
* * * * * * *
2.1a – נֶפֶׁש50
50
STRONG 5315
51
BERGSTR. EINF. 185; FONZAROLI, AANLR VIII/19, 1964, 246-248; 263; 275 seg.
Dizionari e studi specifici52 articolano il seguente prospetto di
significati:
- Gola/fauci; alito/respiro [significato fondamentale e
letterale]
- Fame; sete (di vendetta); richiesta, desiderio [termini con
significato pulsionale, orientato dinamicamente verso una
soddisfazione]
- concetto di anima associato a: il desiderio; la fame o la
sazietà; una condizione attiva di odio od amore; l’atto del
vivere
- la vita nel suo: salvarsi; preservarsi; conservarsi; essere
minacciata;
- La vita nel suo complesso
- Essere vivente/uomo, nel contesto de: la legge; le
enumerazioni;
- Uso pronominale
52
DUSSAUD 1935; MURTONEN 1958; LYS 1959; WOLFF 1974, pp. 25-48; cfr. GINSBURGH 2008
un calco greco), mantengono sempre un significato letterale
concreto connesso al soffio d’aria, respiro.
Anche nei passi in cui נֶפֶׁשva tradotto ‘anima/vita’ o ‘essere
vivente’, è evidente la vicinanza di tale significato a ‘respiro’, del
quale è testimone fisico la gola, in una delle sue funzioni
fondamentali [es. 1RE 17, 21.22, e soprattutto GN 2,7, in
evidente connessione con il respiro in quanto alito della vita,
testimoniata fisicamente dall’atto del respirare].
Dai passi citati e da GN 1,20.21.24; 9,10.12.15.16; LV 11,10.46;
EZ 47,9, si deduce che il significato di נֶפֶׁשin quanto ‘respiro’ è
ancora noto all’AT, benché nel senso stretto e letterale venga
usato raramente53. A queste occorrenze, si aggiungono le tre di
נפשׁniphal, ES 23,12; 31,17; 2SAM 16,14 , con significato
analogo.
Parallelamente, il connesso significato concreto di ‘gola’, è
chiaramente attestato in due passi dei Salmi [SAL 69, 2; 124,
4.5] e in Giona 2,6. Inoltre, in due passi profetici [IS 5,14; AB
2,5], troviamo la נֶפֶׁש/‘gola’ in quanto capace di aprirsi e lasciare
passare al suo interno (‘fauci’) – questo significato è comprovato
da Dürr54 e nel suo parallelo ugaritico da Tromp55.
Ciò che è interessante notare, è il potenziale metonimico dei due
significati letterali di ‘respiro’ e ‘gola’, e della loro
interconnessione. In tutte le aree semantiche proposte dai
dizionari per la corretta comprensione dei significati del termine
53
cfr. WESTERMANN 1971, in DTAT, vol. II, « » ֶ ֣נפֶׁש, pp. 69-71
54
cfr. WESTERMANN 1971, p. 69
55
TROMP 1969
נֶפֶׁש, è possibile trovare una connessione diretta – seppur
metaforica – con uno dei due significati letterali – o, meglio, con
il risultato teorico della interconnessione dei due.
Nei passi in cui נֶפֶׁשviene tradotto fame56, vediamo la possibilità
letterale di intendere ‘gola’, come nell’italiano ‘fare gola’ indica
un dinamismo appetitivo, gola come metonimia della fame,
brama, necessità.
Come nell’italiano ‘fare gola’, o ‘prendere per la gola’, il termine
letterale connesso al significato concreto resta esplicito nella
perifrasi, così in ebraico נֶפֶׁשperdura nel suo senso
concreto/letterale – che, ripetiamo, ci sembra piuttosto un
‘termine medio’, concettualmente come concretamente, tra
‘respiro’ e ‘gola’.
Esattamente in questo senso, ci sembra vadano letti i passi in cui
נֶפֶׁשveicola il senso del ‘desiderio/richiesta/piacere’57.
Prendiamo come esempio significativo 1SAM 2,35, dove
leggiamo l’espressione secondo il mio cuore e il mio desiderio,
ebr.: ּו ְבנַ ְפִׁש ֖ י ִּב ְלב ִָב֥י. Il senso è chiaro, c’è un moto volitivo, un
56
come DT 23,25 «potrai mangiare uva secondo la tua fame»; OS 9,4 «poiché il loro pane
è solo per la loro fame»; PR 12,10 «il giusto ha comprensione per la brama del suo
bestiame» [analoghi: PR 10,3; 16,26]; IS 29,8 «Avverrà come quando un affamato sogna di
mangiare, ma si sveglia con lo stomaco vuoto» [ נַפְׁשֹו֒ ו ְֵר ָ ֣יקה, lett: ‘ma la sua gola / נֶפֶׁשè
ancora vuota’]
57
come: DT 21,14 : «Se in seguito non ti sentissi più di amarla, la lascerai andare a suo
piacere» - ; ְלנַפְָׁש֔ ּה
1SAM 2,35 : «Dopo, farò sorgere al mio servizio un sacerdote fedele che agirà secondo il
mio cuore e il mio desiderio» - ; ּו ְבנַ ְפִׁש ֖ י ִּב ְלב ִָב֥י «avete ripreso ognuno gli schiavi e le
schiave, che avevate rimandati liberi secondo il loro desiderio» - ; ְלנַ ְפָׁש ֑ ם
Et cetera.
appetito, un dinamismo pulsionale, e נֶפֶׁשviene qui reso in
italiano con ‘desiderio’. Il metaforico ‘cuore’, resta nel suo
significato concreto e letterale, senza perdere la carica
metaforico-poetica dell’originale, dato che riscontriamo
un’equipollenza nel potenziale metonimico del ‘cuore’ tra i due
idiomi58. I termini concreti che sorreggono l’espressione
metaforica, sono il ‘cuore’ e la ‘ ’נֶפֶׁש, che possiamo,
analogamente, intendere come ‘gola’. Ma, mentre ‘cuore’
nell’italiano – nelle lingue europee moderne – supporta ancora
questa carica metaforica, non altrettanto può farlo un qualsiasi
significato concreto/letterale per נֶפֶׁש, sia esso ‘gola’, ‘respiro’,
etc. Da qui, la perifrasi sempre presente in traduzione nei passi
che portano questo senso desiderativo/pulsionale.
Un caso molto vicino a quanto stiamo cercando di indicare, è
l’italiano ‘anelito’, con il significato di ‘aspirazione
ardente/brama’: sostantivo dal latino anhelo, ‘respirare
affannosamente’ – e simili. La facoltà desiderativa trova la sua
situazione concreta, analogica, nell’atto concreto del respirare –
già caricato di un senso eccedente dalla sua forma intensificata.
In breve, non stiamo dicendo che נֶפֶׁשsignifichi ‘gola’, o
‘respiro’, ma che il suo significato concreto-letterale, mancante
tanto in greco59 quanto nelle lingue europee moderne, fosse un
modo particolare di ‘concettualizzare/reificare/identificare’ un
aspetto concreto dell’azione della gola in quanto veicolo del
respiro, e che in tutte le varie ‘sfumature’ traduttologiche che le
58
qui: ֵלבָב, da לֵב, ‘cuore’, con identico significato
59
1 SAM 2,35 e passi analoghi, riportano un ambiguo ψυχή che suona piuttosto come
‘calco’ di נֶפֶׁשin quanto termine problematico, piuttosto che come ‘traduzione’
lingue europee moderne sono costrette a indicare per esaurire le
possibilità di significazione del lemma ebraico, questo senso
letterale/concreto non venga escluso, bensì utilizzato in quanto
esplicito veicolo metaforico.
E questo ci sembra ben testimoniato anche nell’espressione
idiomatica «Se tale è il vostro sentimento» - [ נַפְְׁש ֶ֔כם ֵיׁ֣שאִם־2RE
9,15]; così come in ES 23,9, «voi conoscete la vita dello
straniero», di cui Westermann dice «Probabilmente anche qui c’è
sullo sfondo il significato di “desiderare, pretendere”, e ci si
riferisce al desiderio di essere trattato umanamente»60.
Parimenti, QO 6,7 «Tutta la fatica dell'uomo è per la bocca e
tuttavia la sua brama non è mai sazia», dove bocca è
concretamente ל ִ ְ֑פיהּו, e un altrettanto concreto significato per
ַהֶּנ ֖ פֶׁשchiuderebbe bene il circuito metaforico paradossale [‘e
tuttavia la sua “gola” non è mai sazia’]. Westermann su questo
passo: «il passo dimostra che anche in epoca posteriore non si è
del tutto dimenticato il significato concreto di “gola, fauci”»61.
60
cfr. WESTERMANN 1971, p. 71
61
Ibid.
entro un dato contesto significante – filosofico, teologico, et
cetera).
In una ventina di questi passi, נֶפֶׁשè unito a ָאוָה62, in locuzioni che
esprimono il ‘desiderare’. In breve, non si tratta qui dell’ ‘anima’
quale realtà ontologica specifica, statica, ma in questa
connessione ricorrente viene esplicitato un aspetto specifico del
significato di נֶפֶׁש, ancora una volta dinamico/desiderativo: e così,
in traduzione, l’anima ‘brama, desidera, si volge al piacere’. Al
posto dell’anima in quanto realtà statica, abbiamo qui una –
meno aristotelica – locuzione di movimento, appetito, una realtà
dinamica.
Analogamente, il desiderio dell’affamato viene riferito alla נֶפֶׁש, e
nella traduzione affidato a locuzioni come «non vi è un fico che
il mio cuore desideri» - ְִּות֥ה
ָ [ נַפְִֽׁשי אMIC 7,1].
64
Is 32,6
65
di cui 10 nella formula fissa – נפשׁ מרGDT 18,25; 1SAM 1,10; 22,2; 2SAM 17,8; IS 38,15;
EZ 27,31; GB 3,20; 7,11; 10,1; PR 31,6
66
ibid., p. 74
«Rallegra la vita del tuo servo», è detto da un supplice
implorante [SAL 86,4], e questo è il massimo.
Proponiamo una lettura alternativa.
La salute è il silenzio del corpo, lo sanno tutti, specialmente i
malati. Ora, nella nostra esperienza generale, si ammala talvolta
un organo, talvolta un altro, ed il silenzio di cui sopra sarà rotto
dalla voce dell’organo che principia a farsi sentire.
Supponendo il grado massimo di reificazione, ovvero
identificazione/definizione organico-oggettuale, per il quale –
come abbiamo più volte ripetuto – siamo sprovvisti del termine,
per il lemma נֶפֶׁש, immaginiamo di conseguenza che lo stato
‘pienamente vitale’, ovvero la salute massima di questo, coincida
precisamente con il suo silenzio, con la possibilità minima di
discrezione della sua manifestazione.
L’iperattività di un organo – o, per estensione, di una funzione
vitale, è sempre sintomatica, e quindi significativa ma innocua
soltanto se episodica ed apicale. Se la passione può essere
parossisticamente tachicardica, certamente non può esserlo
impunemente un qualsiasi innamoramento.
Se ipotizziamo la massima organicità, ovvero il massimo grado
di concretezza corporea, per il significato letterale del termine
נֶפֶׁש, possiamo spiegare così la discrepanza riscontrabile
nell’abbondanza di passi ‘negativi/difettivi’ e la mancanza di
passi ‘positivi/esaltativi’: la נֶפֶׁשè parte dell’uomo, nel suo
manifestarsi concreto, carneo, corporale; il suo silenzio è la sua
salute, il suo degradarsi è la sua malattia.
Resta da considerare il vasto gruppo di passi nel quale נֶפֶׁשviene
tradotto nelle lingue europee moderne con ‘vita’ [life, leben, et
cetera]. Citiamo ancora Westermann:
* * * * * * *
69
‘io’: GN 19,19.20; 27,4.25; 49,6; 2SAM 18,13; 1RE 20,32; IS 1,14; GER 4,19; 5,9.29; 9,8;
EZ 4,14; et cetera; ‘tu’: GN 27,19.31; IS 51,23; PR 3,22; 24,14; et cetera; ‘egli/ella’: SAL
25,13; 109,31; PR 29,10; QO 6,2; et cetera; ‘noi’: NUM 31,50; riflessivo: IS 58,3; GER 26,19;
et cetera; ‘voi’: GB 16,4; riflessivo: LV 11,43.44; 16,29.31; 20,25; 23,27.32; NM 29,7; GER
37,9; et cetera; ‘essi/esse’: IS 3,9; 46,2; riflessivo: LAM 1,19; EST 9,31
70
LV 19,28; 21,1; 22,4; NUM 5,2; 6,11; 9,6.7.10.11.13; AGG 2,13; et cetera
LV 17:11
LV 19:28
NM 12:12
«essa non sia come il bambino nato morto, la cui carne
è già mezzo consumata quando esce dal seno della
madre»
GDC 8:7
Sappiamo da 2RE 5:1 che Nàaman è afflitto da lebbra [ ]צ ַָרע. Vale
il discorso che abbiamo più volte ripetuto sulla carne lebbrosa.
Qui la ‘carne’ viene effettivamente lavata: la situazione è
effettivamente notevolmente complicata dalla condizione
patologica, ma non di meno possiamo fare notare come qui שׂר ָ ָב,
nella sua matericità priva di ogni figuralità, includa tutti i tessuti
irrorati, pelle compresa. L’affezione patologica, anche in questo
caso, richiede l’utilizzo di שׂר
ָ ָבnella sua massima inclusività.
GB 4:15
GB 6:12
GB 7:5
74
CLINES 1989, p. 251
Unica nota problematica, la divisione carne/pelle. Si tratta però
di una situazione esplicitamente poetica, la notazione
anatomica è sfuggente o, meglio, irrilevante.
GB 10:4
Ebr: ֵינ֣י
ֵ ָבָׂש ֣ ר ַהע
Gr: viene adottata una perifrasi
Lat: oculi carnei
GB 14:22
GB 21:6
GB 33:21
« quando la sua carne si consuma a vista d'occhio / e le
ossa, che non si vedevano prima, spuntano fuori»
Ancora una volta, la carne è intesa come tessuto molle, tutto ciò
che ricopre le ossa.
GB 33:25
GB 41:15
SAL 38:4
75
Stato costrutto di [ מַָּפלSTRONG 4651]
SAL 38:8 analogo a SAL 38:4
SAL 84:3
Ebr: ְָׂשרי
֑ ִ ּוב
Gr: ἡ σάρξ μου
Lat: caro mea
Che il cuore e la carne possano ‘esultare’ [ ֝י ְ ַרְּננ֗ ּו, da ָרנַן, verbo che
indica un’espressione sonora e liberatoria, non lontana dal pianto
di gioia] ce lo assicura il contesto poetico. Nelle 54 occorrenze
veterotestamentarie di questo verbo, lo troviamo associato a una
molteplicità interessante di soggetti: le nazioni, le stelle, il popolo
di Dio, la lingua, il cuore, i cuori…
Osservandoli, cercando una chiave di lettura per il verso in
questione, ci sembra di poter concludere che la sfumatura che
rende possibile le esultanze del ‘cuore’ e della ‘carne’, sia il loro
potenziale vitale/dinamico: non sono ‘ossa’.
Come abbiamo ormai avuto più volte modo di osservare, בשׂר
veicola un certo potenziale vitale che le ossa non hanno. Il cuore
e la carne sono in stretta relazione con il sangue. בשׂרè quella
parte dell’uomo che ne dimostra la vita – più che ‘contenere’:
opzione che, pur apparendo decisamente legittima, manca in
definitiva di testimoni scritturali –, meglio: il suo esprimersi in
atti vitali.
Il ‘cuore’ duplica questo concetto, introducendo la sua ulteriorità
simbolica; diciamo ‘duplica’, perché troveremo più volte
l’asserzione che prevede il cuore essere fatto di בשׂר.
SAL 109:24
Ebr: ְָׂשרי
ִ֗ ּו֝ ב
Gr: ἡ σάρξ μου
Lat: caro mea
Ebr: ְָׂשרי
ִ֑ ב
Gr: τὰς σάρκας μου
Lat: carnes meas
Questo passo si allinea agli altri già visti dove la carne è soggetto
di tremito, brividi. Viene considerata ancora una volta come
oggetto unitario con la pelle.
IS 9:19
«Dilania a destra, ma è ancora affamato, / mangia a
sinistra, ma senza saziarsi; / ognuno mangia la carne
del suo vicino»
IS 17:4
Ebr: ְּבָׂשרֹו
֖
Gr: τὰ πίονα τῆς δόξης αὐτοῦ
Lat: carnis ejus
IS 49:26
DN 1:15
ZC 14:12
Ebr: ְּבָׂשרֹו
֗
Gr: αἱ σάρκες αὐτῶν
Lat: caro
‘Carne’ qui è in parallelo con ‘occhi’, ‘lingua’. L’azione del loro
‘degradare’ è espressa dallo stesso verbo, ָמקַק. Ciò suggerisce
l’affinità nella percezione della בשׂר, come degli occhi e della
lingua, come ciò che del corpo ha possibilità di ‘marcire’.
LV 13:2
LV 13:3 [b]
LV 13:4
LV 13:39
LV 13:43
Ciò che in italiano è qui sempre reso come ‘pelle del corpo’, in
greco ha due esiti: mentre pelle/ עֹורè sempre reso con δέρμα,
בשׂרviene alternativamente tradotto con χρώς/χρωτός [termine
di difficile traduzione: è pelle, ma in quanto ‘superficie del
corpo’76] ovvero σαρξ/σαρκὸς. בשׂרcompare qui due volte al
plurale, consecutivamente, e la traduzione sembrerebbe virare da
χρωτός a σαρκὸς in ragione di questa varianza. Ma l’ultima
occorrenza della serie, traduce בשׂרsingolare con σαρξ. Alla luce
di ciò, non vediamo ragioni grammaticali dirimenti per questa
soluzione alternativa.
La Vulgata traduce ‘cute’, o ‘cute et carne’, giustapponendo e
perdendo l’interdipendenza del genitivo.
La versione italiana ‘pelle del corpo’, interpreta בשׂר,
probabilmente per evitare da un lato l’omissione del lemma,
dall’altro l’espressione ‘pelle della carne’, letteralmente esatta
ma inusuale.
Questa possibilità concettuale perduta, denota uno scarto forte
nel potenziale semiologico del lemma בשׂר: in assenza del
concetto di ‘corpo’, la pelle viene riferita logicamente a בשׂר, qui
da intendersi ancora una volta come sommatoria dei tessuti molli.
Nel tradurre ‘corpo’, il senso non viene affatto tradito o alterato,
ma, con il lemma moderno, entra la possibilità di una
significazione ulteriore – come già detto, dell’ordine della
‘figuralità’ – affatto assente nel senso originale.
76
STRONG 5559
2.3 – כָּל- ָבּשָׂרespressione idiomatica
77
BRATSIOTIS 1970, p. 1735
Gr: πᾶσα σὰρξ
Lat: omnis caro
8:17 «Tutti gli animali d'ogni specie che hai con te,
uccelli, bestiame e tutti i rettili che strisciano sulla
terra, falli uscire con te, perché possano diffondersi
sulla terra, siano fecondi e si moltiplichino su di essa»
Ebr: [ָּבעֹוף
֧ כָּל [אִ ְּת ָ֜ךאֲ ֶֽׁשר־ ]ה ֶ ָ֛רמֶ ׂש ּו ְבכָל־ ּובְַּב הֵמָ ֛ה-בָּשָׂר
]ַהחַָּי֨ הָּכל־
Gr: πᾶσα σὰρξ
Lat: [Cuncta animantia] (…) ex omni carne [tam in
volatilibus quam in bestiis et universis reptilibus, quae
reptant super terram]
9:11 «Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà
più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio, né
più il diluvio devasterà la terra»
Per רּו ַח, vale molto di quanto già detto a proposito di [ נֶפֶׁש2.1a],
ed in tale contesto va compreso quanto diremo.
Indichiamo qui soltanto alcune linee fondamentali intorno al
lemma in questione, relativamente all’interesse che il suo
orizzonte semantico riveste nella possibilità della delineazione
del concetto di corpo/corporeità.
Molto ‘prima’ di giungere a significare spirito (‘spīrĭtŭs,
spiritūs’), [ רּו ַחsost. ebr. ed aramaico biblico] indica il «vento,
78
STRONG 7307
respiro». Più precisamente, non indica la realtà ontica di questi
enti – affatto impalpabili –, quanto piuttosto la percezione della
forza dell’urto dell’aria (sia essa vento o respiro) su un corpo
umano79.
I significati di ‘aria in movimento’80, difettano del presupposto
fondamentale: la mancanza di un termine per indicare l’ “aria”
nel suo esistere statico81.
È probabile invece la natura onomatopeica del termine, proprio
come prodotto dell’azione/attrito del vento-respiro82.
79
ALBERTZ-WESTERMANN 1971, p. 654
80
JOHNSON 1947, p. 27; VAN IMSCHOOT 1934, p. 554
81
KOHLER 1912, p. 12
82
THOMAS 1935, p. 311-313; LYS 1962, pp. 19 sg.
83
L’esempio più chiaro è EZ 37:6
nel quale si manifesta la vitalità dinamica dell’individuo84 -
essendo invece נְָׁש מָה85 il ‘respiro normale’.
Alcuni autori86 hanno proposto di distinguere il respiro- רּו ַחdal
respiro- נְָׁש מָהsulla base dell’intensità dello stesso [il primo,
respiro affannoso; il secondo, respiro lieve]; tuttavia, questo è
smentito da passi quali IS 42:14, dove il verbo נַָׁשםindica
l’affanno respiratorio della donna nell’atto di partorire.
Piuttosto, la connessione vento-respiro, ed il fatto che רּו ַחvenga
sempre associato a verbi di movimento (nelle due forme del moto
e della messa in moto), mostrano come la radice sia connessa ad
un’idea di volontà, finalità, operatività direzionata. È in questo
senso che רּו ַחdiviene simbolo – ed in spesso in via del tutto
poetica e metaforica – dell’azione di Dio87.
La relazione azione di Dio-manifestazione del רּו ַחè però
smorzata e polemizzata dallo stesso testo biblico88, e non può
dunque desumersi una ipostatizzazione ‘rigida’ in vie
esclusivamente testuali.
Il carattere di intenzionalità, sussunto fino a timbri quasi-
ipostatici con l’apparire della monarchia89, deriva
metonimicamente dalle caratteristiche fenomenologiche del
respiro e del vento. Su questa base semantica, si sono formati i
significati secondari-tardivi del termine רּו ַח.
84
ALBERTZ-WESTERMANN 1971, p. 661
85
STRONG 5397
86
cfr. SNAITH 1947, p. 144
87
cfr. ALBERTZ-WESTERMANN 1971, pp. 658-660
88
1RE 19:11-sg.
89
cfr. l’analisi del ruah Jhwh, in ALBERTZ-WESTERMANN 1971, pp.674-676
Partendo da questo apprezzabile scarto semantico, la LXX
traduce רּו ַחcon una vasta gamma terminologica.
In circa due terzi dei casi, però, mantiene πνεῦμα, ατος, che ne
costituisce il corrispettivo etimologico – pur essendo, in ambito
ellenistico, già sovraccarico di un grande portato filosofico ed
ideologico, certamente in parte recepito già dal traduttori della
LXX. La varietà di accezioni contenute nell’evoluzione
veterotestamentaria del termine – sulla base fondamentale della
qualità di intenzionalità che abbiamo indicata – viene comunque
rilevata e restituita nei restanti esiti traduttologici, categorizzabili
in:
- Prossimi al significato fondamentale [es: ἄνεμος, πνοή]
- Legati all’espressione di condizioni interiori [es: θυμός,
ὀλιγόψυχος]
- Termini antropologici [es: νοῦς, αίμα, Ψυχή]
GB 34:15
SAL 136:25
SAL 145:21
IS 40:5
Ebr: כָּל-ָבּשָׂר
Gr: πᾶσα σὰρξ
Lat: omnis caro
Ebr: כָּל-ָבּשָׂר
Gr: πᾶσα σὰρξ
Lat: omnis caro
Ebr: כָּל-ָבּשָׂר
Gr: πᾶσα σὰρξ
Lat: omnis caro
GER 12:12
«Su tutte le alture del deserto giungono
devastatori, / poiché il Signore ha una spada che
divora, / da un estremo all'altro della terra; / non
c'è scampo per nessuno »
GER 25:31
GER 32:27
GER 45:5
«E tu vai cercando grandi cose per te? Non cercarle,
poiché io manderò la sventura su ogni uomo. Oracolo
del Signore. A te farò dono della vita come bottino, in
tutti i luoghi dove tu andrai»
EZ 21:4
EZ 21:9 / 21:10
GL 3:1
GN 9:4
GN 40:19
ES 12:8
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
ES 12:46
ES 16:3
ES 16:8
Gr: κρέα
Lat: carnium
ES 16:12
Gr: κρέα
Lat: carnes
ES 21:28
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
ES 22:30
Gr: κρέας
Lat: carnem
ES 29:32
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
LV 8:32
«Quel che avanza della carne e del pane, bruciatelo nel
fuoco»
LV 11:8
LV 11:11
NUM 11:4
Gr: κρέα
Lat: carnes
NUM 11:13
«Da dove prenderei la carne da dare a tutto questo
popolo? Perché si lamenta dietro a me, dicendo: Dacci
da mangiare carne!»
NUM 11:18
NUM 11:21
«Mosè disse: "Questo popolo, in mezzo al quale mi
trovo, conta seicentomila adulti e tu dici: Io darò loro
la carne e ne mangeranno per un mese intero!»
Gr: κρέα
Lat: carnium
NUM 11:33
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
DT 12:15
Gr: κρέα
Lat: carnium
DT 12:20
Gr: κρέα
Lat: carnibus
DT 14:8
«anche il porco, che ha l'unghia bipartita ma non
rumina, lo considererete immondo. Non mangerete la
loro carne e non toccherete i loro cadaveri»
DT 28:53
Gr: κρέα
Lat: carnes
DT 28:55
DT 32:42
Gr: κρέα
Lat: carnes
1RE 17:6
«I corvi gli portavano pane al mattino e carne alla sera;
egli beveva al torrente»
Gr: κρέα
Lat: carnes
1RE 19:21
2RE 9:36
GB 31:31
SAL 27:2
SAL 50:13
Gr: κρέα
Lat: carnes
PRV 23:20
Gr: κρεῶν
Lat: carnes
QO 4:5
IS 44:16
Gr: κρέας
Lat: carnes
IS 44:19
Gr: κρέας
Lat: carnes
IS 65:4
Gr: κρέα
Lat: carnem
IS 66:17
Gr: κρέας
Lat: carnem
GER 7:21
Gr: κρέα
Lat: carnes
GER 19:9
Gr: κρέας
Lat: caro
EZ 11:3
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
EZ 11:7
EZ 24:10
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
EZ 39:17-18
DN 10:3
Gr: κρέας
Lat: caro
ZC 11:9
ZC 11:16
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
GN 17:11
GN 17:13
GN 17:14
GN 17:23
GN 17:24
GN 17:25
GN 17:24
EZ 44:7
Ebr: ב ָָׂ֔ש ר
Gr: σαρκὶ
Lat: carne
EZ 44:9 analogo a EZ 44:7
- Con ‘osso’
GN 29:14
2 SAM 5:1
1 CR 11:1
GB 2:5
- Con ‘pelle’
GB 10:11
GB 19:20
Ebr: ְּבעֹורי
ִ֣ ְָׂשרי
ִ ּ֭ו ִבב
Gr: ἐν δέρματί μου […]αἱ σάρκες μου
Lat: Pelle et carnibus
LAM 3:4
- Con ‘corpo’
PRV 5:11
Qui è impossibile decidere se siano בָשָׂ רo ְׁש אֵרad essere tradotti
rispettivamente con ‘corpo’ o ‘carne’. La LXX interpreta,
significativamente ‘le carni del tuo corpo’: l’unione dei termini
‘corpo’ e ‘carne’, effettivamente, presenta il problema logico di
decidere cosa sia un corpo senza la carne, e di quale unità
concettuale goda.
ְׁש אֵרpresenta problematiche simili a בָשָׂ ר91, ma si tratta di un
termine decisamente meno frequente: 16 occorrenze.
Diversi lessici, seguendo probabilmente il BDB92, presentano per
il lemma una molteplicità di sfumature, che ci paiono forzature di
carattere traduttologico, ovvero ancorate a ragioni di traduzione
piuttosto che legate all’orizzonte semasiologico del lemma in sé.
Soprattutto nel caso di ְׁש אֵרinteso in quanto “sé”, proposto per
esempio in PRV 11,17, tanto più che qui אֵרְׁשcompare in
parallelo a נֶפֶׁש, concetto meno lontano dall’esprimere un
potenziale riflessivo, riferito ad una persona93.
La scarsa frequenza del termine, ci impedisce ogni ulteriore
valutazione positiva.
91
ְׁש ֵארcome ‘carne del sacrificio’, ES 21:10; come simbolo di ‘forza fisica’, SAL
78:20; come ‘legame di sangue’, LV 18:12.
92
BROWN – DRIVER – BRIGGS 1906, pp. 984-985
93
è d’altra parte probabile che in Prov 11 entri in gioco la datazione del testo, e cioè che il
termine abbia assunto sfumature diverse nel corso del tempo, proprio in ragione
dell’evoluzione parallela di termini quali נֶפֶׁש.
- Con ‘nervi, pelle, spirito’
EZ 37:6 / 37:8
2.8 – Consanguineità
GN 37:27
94
Bratsiotis addirittura indica בשׂרcome “sinonimo dal significato più esteso” di [ עֹורcfr.
BRATSIOTIS 1970, pp. 1733-1734]
Mentre Vulgata utilizza il concetto di ‘carne’ – aderente a T.M. –
la LXX verte sul concetto di ‘sangue’ [αίμα, αἵματος].
Il grado di parentela qui espresso, è esplicitamente e
letteralmente quello di ‘fratello’.
LV 18:6
LV 25:49
Ebr: ְּׁשאר
֧ ֵ ְּבָׂשרֹו ִמ
֛ מִִּמ ְׁשַּפ ח ְּ֖תֹו
Gr: ἀπὸ τῶν οἰκείων τῶν σαρκῶν αὐτοῦ
Lat: [48] Qui voluerit ex fratribus suis, redimet eum, [49] et
patruus, et patruelis, et consanguineus, et affinis
NE 5:5
«La nostra carne è come la carne dei nostri fratelli, i
nostri figli sono come i loro figli»
IS 58:7
Ebr: ְִּ֖בָׂשרָך
ְ ּומ
Gr: ἀπὸ τῶν οἰκείων τοῦ σπέρματός σου
Lat: carnem tuam [ne despexeris]
ES 29:14
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
ES 29:31
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes ejus
ES 29:34
LV 4:11
LV 6:20
LV 7:15
Gr: τὰ κρέα
Lat: cujus carnes
LV 7:17
«ma quel che sarà rimasto della carne del sacrificio
fino al terzo giorno, dovrà bruciarsi nel fuoco»
LV 7:19
Gr: κρέα
Lat: caro
LV 7:20
LV 7:21
LV 8:17
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
LV 16:27
NUM 18:18
«La loro carne sarà tua; sarà tua come il petto
dell'offerta che si fa con la agitazione rituale e come la
coscia destra»
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
NUM 19:5
DT 12,27
DT 16,4
1SAM 2:13
Gr: τὸ κρέας
Lat: carnes
1Sam 2:15
GER 11:15
Gr: κρέα
Lat: carnes
OS 8:13
«Essi offrono sacrifici / e ne mangiano le carni, / ma il
Signore non li gradisce; »
Gr: κρέα
Lat: carnes
AG 2:12
Gr: κρέας
Lat: carnem
GDC 6:19
GDC 6:20
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
GDC 6:21
ES 30:32
97
ROBERTSON SMITH 2002, pp. 233, 383
98
Il rituale è di probabile provenienza egizia, ma se ne ha traccia considerevolmente antica
anche presso i cananei – vedi Lettere di Tell el-Amarna, Lettera 37 in JEREMIAS 2012
99
Sulla dipendenza e derivazione dell’unzione sacerdotale da quella regale, e sulla
probabile origine cananea della pratica adottata in ambito biblico, si veda DE VAUX 1960,
pp. 111-113
100
Nel Salmo 133, l’olio sparso sul capo [ ] ה ָ֗ר ֹאׁש עַל־scende sulla barba, e sull’orlo della
veste: si tratta di un’immagine poetica, non ci sono evidenze che il rituale prevedesse
l’unzione diretta della barba o della veste. Sulla simbologia di questo e simili passi, e sui
significati mistici della barba e delle vesti in contesti poetici, esiste una tradizione specifica
che origina dallo Shi'ur Qomah e, in seguito, dalla letteratura Zoharica. cfr. LOEWE 1965;
SWEENEY 2013
LV 6:3
LV 14,9
103
Valutando l’opzione riflessiva del lavar-si, pur individuando un “sé”, tecnicamente
descrive un’azione formalmente indistinguibile: non vi è differenza esteriore tra ‘lavarsi’ e
‘lavare il proprio corpo’ cfr. SICHKARYK 2011, p. 114 nota 209
LV 15:13.16 /16:24.26.28 / 17:16 / 22:6 / NUM 8:7 / 19:7.8
2RE 4:34
«Quindi salì, si distese sul ragazzo; pose la bocca sulla
bocca di lui, gli occhi sugli occhi di lui, le mani nelle
mani di lui e si curvò su di lui. Il corpo del bambino
riprese calore.»
Ebr: ְּבַׂש ֥ ר
Gr: ἡ σὰρξ
Lat: caro
SAL 16:9
Ebr: ָׂשרי
ִ֗ ְּ֝ב
Gr: ἡ σάρξ μου
Lat: caro mea
Incominciamo col notare che sia LXX che Vulgata mantengono
‘carne’. Il ‘corpo’ italiano scorre con logica perfetta. In questo
passo in modo particolare, ci pare assolutamente plausibile il
fatto che se la lingua dello scrivente avesse contenuto un lemma
perfettamente ‘sovrapponibile’ all’idea di ‘corpo-moderno’, qui
avrebbe trovato una positura esatta. Dal nostro punto di vista,
stante l’analisi condotta fino ad ora, la ‘mancanza’ di questo
termine risulta ancora maggiormente inverata dall’utilizzo di
ָבשָׂר. La traduzione greca, che preferisce σάρξ a σῶμα, e quella
latina che opta per ‘caro’ su un ipotetico ‘corpus’, tutelano
l’interpretazione letterale.
L’utilizzo ipotetico di ‘carne’ in italiano in questo contesto
specifico – dove la nota dominante è quella della
‘sicurezza/salvezza’ – avrebbe posto l’accento sull’idea di
fragilità della condizione mortale, accento che è certamente
presente tra gli usi biblici del termine [ ָבשָׂרvedremo oltre un
paragrafo specifico], ma non è la sua nota dominante; anzi,
possiamo dirla circoscritta e secondaria.
PRV 4:22
PRV 14:30
Ebr: ָׂשרים
ִ ֭ ְב
Gr: ἀνὴρ
Lat: carnium
QO 2:3
Ebr: ְִּבָׂשרָך
ֶ֑ מ
Gr: ἀπὸ σαρκός σου
Lat: a carne tua
QO 12:12
ISA 10:18b
Ebr: ְּ֙בָׂשרם
ָ
Gr: –
Lat: omne corpus earum
Il ְּ֙בָׂשרם
ָ in posizione di testa rispetto ad una serie elenchica che
conta: dorsi, mani, ali, ruote, farebbe effettivamente pensare –
per la prima volta – ad un corpo inteso nella sua piena figuralità,
nel suo apparire come una unità manifestativamente e
funzionalmente eccedente rispetto alla sommatoria delle parti.
Considerando però EZ 1:11, che aveva anticipata la descrizione
di queste creature di visione, notiamo come il ‘corpo’ venga
indicato con il termine ְּגוִי ֹתֵ יהֶ ֽנָה [ ְּגוִָּיה, ‘i loro corpi’, nel testo].
Su questo termine, abbiamo già date indicazioni.
Inoltre, l’intenzione particolare del versetto in questione è quella
di segnalare come queste ‘parti’ dei corpi delle creature, siano
tutte “piene di occhi”: l’immagine di questi occhi incastonati
nelle membra, rimanda alla idea di ‘carne’, intesa come materia
costitutiva di queste membra ‘occhiute’ stesse.
Pur restando lontana una ‘soluzione’ dirimente del passo – si
tratta pur sempre di una visione, con caratteristiche estremamente
lontane dall’esperienza comune – ci sembra che anche qui ָבשָׂר
possa rimandare direttamente al suo primo significato, ‘carne’,
inteso come ‘materia di cui sono composte le membra di un
essere vivente’ – per quanto lontana dalla tipologia tissutale di un
umano. ָבשָׂר, ancora una volta, non indica ‘un essere vivente’, né
tanto meno il suo ‘corpo’, ma la sua matericità intesa
qualitativamente ed estensivamente.
LV 15,2.3
Ebr: ְּבָׂשרֹו
֞ / מְִּבָׂש ֔רֹו
Gr: ἐκ τοῦ σώματος αὐτοῦ
Lat: – / carni ejus
LV 15:19
Ebr: ְָׂשרּה
֑ ָ ִּב ב
Gr: ἐν τῷ σώματι αὐτῆς
Lat: –
Abbiamo un caso analogo a LV 15:2: letteralmente, ‘un flusso
dalla sua carne’ - ְָׂשרּה ז ָ ֹ֖בּה
֑ ָ ִּב ב. Qui, l’uso eufemistico addita ad
una realtà esatta e priva di alcuna ambiguità.
La Vulgata utilizza una perifrasi ad indicare la manifestazione
sintomatologica senza nominare (direttamente o indirettamente)
la parte del corpo in questione [“patitur fluxum sanguini”].
LV 16:4
2RE 6:30
«Quando udì le parole della donna, il re si stracciò le
vesti. Mentre egli passava sulle mura, lo vide il popolo;
ecco, aveva un sacco di sotto, sulla carne»
2CR 32,8
IS 31:3
GER 17:5
2.13.2 – DT 5:26
2.13.3 – GB 12:10
Ebr: ָבָׂש ֣ ר
Gr: σάρξ
Lat: caro
105
È possibile - ma privo di sufficienti evidenze - che בָשָׂ רabbia assunto nell’uso un
retaggio ‘negativo’, come significato tardivo. Poniamo, in ogni caso, l’accento sulla
tardività di questa eventuale accezione: come abbiamo più volte notato, l’accezione
fondamentale del termine in generale nel contesto veterotestamentario, va dal potenziale
neutro all’estremamente positivo
2.13.5 – SAL 63:2
Ebr: ְָׂשרי
ִ֑ ב
Gr: ἡ σάρξ μου
Lat: caro mea
Così come ‘la mia gola’ - – נַפ ְִׁ֗ש יprova sete, in esplicito
parallelo, ‘la mia carne’ anela - ָּכמּה ֣ ַ . Il verbo utilizzato106,
compare soltanto in questa occorrenza: il suo significato è
incerto. “Anelare”, lo rende genericamente.
Il parallelo reso in traduzione italiana ci appare fuorviante,
traducendo נֶפֶׁשcon ‘anima’ piuttosto che con ‘gola’.
Il dato più interessante, è una ulteriore conferma di qualcosa che
abbiamo più volte riscontrata e sottolineata: ָבשָׂרcome luogo
dell’esperienza umana più propria e totalizzante.
Il senso più ampio ed inclusivo – che abbiamo ormai imparato a
riconoscere – che ָבשָׂרveicola, rispetto alle possibilità semantiche
dell’italiano ‘carne’, permette in questo passo di intendere
direttamente una realtà più estesa di quella che si indicherebbe
con ‘la carne di un corpo umano’. L’esperienza dell’orante, non
106
STRONG 3642
‘diviene’ metonimicamente esperienza dell’uomo inteso come
umanità: semplicemente, lo è.
Ebr: ָבָׂש ֑ ר
Gr: σάρκας
Lat: caro
Ebr: ָבָׂש ֣ ר
Gr: σάρξ
Lat: caro
2.13.8 – EZ 16:26
2.13.9 – EZ 23:20
Σῶμα111 ricorre 141 volte nella versione greca LXX: 117 nei
libri canonici, 24 nei deuterocanonici.
L’analisi di HATCH-REDPATH – pur assunta (acriticamente?)
da studi successivi112 – presenta non pochi punti oscuri, errori,
aporie.
Seguendo questa analisi, σῶμα traduce 14 parole ebraiche:
“ – חַילschiavi”113 [GN 34:29]
110
STRONG G4983
Probabilmente, la radice del termine è σώζω [STRONG G4982] , dal precedente σῶς
(contratto per l’arcaico σάος "sicuro"); salvare, proteggere (in senso letterale o figurato):
— guarire, preservare, stare bene, essere integro.
111
In questo paragrafo, quando non diversamente specificato, seguiamo HATCH-REDPATH,
«σῶμα», in A Concordance to the Sptuagint and Other Greek Versions of the Old
Testament, II, Oxford 1897-1906; e SCHWEITZER-BAUMGARTEL 1969, «σῶμα» pp. 660-
662
112
Si vedrà come i seguenti studi riportino degli errori filogeneticamente attribuibili
all’analisi citata: SCHWEITZER-BAUMGARTEL 1969, «σῶμα», in GLNT pp. 659 sgg.;
ROBINSON, J.A.T, The Body. A Study in Pauline Theology, SBT 5, Londra 1952; SICHKARYK,
I., Corpo (σῶμα) come punto focale nell’insegnamento paolino, Editrice Pontificia
Università Gregoriana, Roma 2011
“ – טַףfamiglie”114 [GN 47:12]
“ – נֶפֶׁשpersona”115 [GN 36:6]
“ – עֹורpelle” [GB 19:26]
“ – ּגּופָהcadavere” [1CR 10:12]
“ – נְ ֵבלָהcadavere” [DT 21:23; GS 8:29; 1RE (LXX 3RE)
12:22.24.28.29]
“ – ֶפגֶרcadavere” [GN 15:11; 2RE (LXX 4RE) 19:35; IS 37:36]
“ – ְׁש אֵרcarne” [PR 5:11; 11:17]
“ – ָבשָׂרcorpo” [LV 6:3; v14:9; 15:2.3.13.16.19; 16:4.24.26.28;
17:16; 19:28; 22:6; NM 8:7; 19:7.8; 1RE (LXX 3RE) 21:27; GB
7:5; 41:15; DN 1:15]
“ – ַּגוschiena” [1RE (LXX 3RE) 14:9; NE 9:26; EZ 23:35]
“ – ֵּגוָהschiena” [GB 20:25; 33:17]
“ – ְּגוִָּיהcorpo” [GN 47:18; 1SAM (LXX 1RE) 31:10.12; NA
3:3; NE 9:37; EZ 1:11.23]
ָׁשר ִת֪ים
ְ ְמ116 – “corpo” [1CR 28,1]
“ – ֶּגֶׁשםcorpo” [DN 3:27 (LXX 3:94); 3:28 (LXX 3:95); 7:11;
4:30; 5:21; 7:11]
113
La versione CEI 2008 interpreta “ricchezze”. HATCH-REDPATH traduce ‘schiavi’: secondo lo
STRONG 2428, ַחי ִלtraduce ‘forza lavoro, esercito’.
114
CEI 2008 traduce “bambini”. Così STRONG 2945. Effettivamente, tradurre טַףcon
‘famiglie’ come fa HATCH-REDPATH, ci sembra semplicemente un errore – nel versetto
compare ֵּב ֣ ית ָּכל־, che ha precisamente questo senso.
115
vide supra quanto detto a proposito del significato di נֶפֶׁש.
116
Non ci è affatto chiaro cosa HATCH-REDPATH intenda: [ מְָׁש ְר ִת֪יםverbo al piel, participio
maschile plurale] viene da ָׁש ַרת, “servire”. Nel versetto, l’espressione è הֶַּמ֟ לְֶך אֶת־ הַמְָׁש ְר ִת֪ים
הַַּמ ְחל ְ֣קֹות וְָׂש ֵ ֣רי- CEI 2008 «e i capi delle varie classi al servizio del re». Anche J.A.T
Robinson, non include questa parola nella trattazione dei termini ebraici tradotti con
σῶμα [J.A.T ROBINSON 1952]
In realtà, queste parole non vengono sempre tradotte con σῶμα:
dei 117 casi canonici, corrispondono a 69 occorrenze.
Prendiamo il termine da noi precedentemente analizzato – ָבשָׂר:
esso viene tradotto soltanto 21 volte con σῶμα [circa il 12% dei
casi].
Evidentemente, non esisteva un corrispondente ebraico per il
greco σῶμα. La possibilità per i greci di distinguere σῶμα e
σάρξ, ha generato la confusione che abbiamo diffusamente
cercato di illuminare.
E. Schweizer sottolinea come σῶμα rappresentasse un concetto
non individuato dal pensiero ebraico: l’attribuzione della
funzione di ָבשָׂר, diventa una forma proiettiva, una traduzione
che crea uno scarto di significato evidente – scarto che diviene
critico nel momento (specialmente neotestamentario) in cui
σῶμα assurge ad una posizione dal valore teologico cardinale.
125
Carne traduce il latino căro, carnis, a sua volta esito principale del greco σάρξ . Căro,
carnis traduce parimenti κρέας, κρέως , e probabilmente ne condivide la radice – proto-
indoeuropeo *krewh₂- ; sanscrito kravís [carne cruda, carogna] cfr. MONIER-WILLIAMS
1899, p. 320
126
BOMHARD-KERNS 1994, p. 230
127
HELMUT 2001, p. 656
da ָבשָׂרa σώμα , con tutto lo scarto semantico che abbiamo più
volte mostrato.
Accertato questo, la questione più delicata resta dunque
l’assoluta differenza semasiologica che i lemmi euro-moderni per
‘carne’ veicolano rispetto all’ebraico ָבשָׂר: pur profilandosi,
traduttologicamente, come la scelta in generale più conveniente,
non si da alcuna sovrapponibilità esatta dei due termini.
Gli autori ispirati non discettano sulla composizione
antropologica – fisica o metafisica –, specialmente in un senso
filosofico-sistematico (e quindi statico)128; piuttosto, considerano
l’uomo, secondo ogni ordine di grandezza, come relato alla storia
della salvezza. Questo contesto funzionale, nella cui trama è
necessario ri-pensare anche linguisticamente ogni processo di
significazione, si presenta come un ordito intersecato su tre
livelli: relazione uomo-Dio; uomo-uomo; uomo-creato129.
In particolare, nell’Antico Testamento «si parla di Dio in
relazione all’uomo, e dell’uomo in rapporto a Dio»130.
La concezione antropologica semitica, è «nettamente
monistica»131: a partire dal contesto relazionale-funzionale di cui
abbiamo detto, nominare un organo del corpo umano, significa
quindi considerare la persona espressa nella sua totalità, nella
manifestazione della particolarità intenzionale espressa da tale
organo.
128
SCHEFFCZYK, 1964, pp. 25-26
129
MCKENZIE 1968, pp. 1702-1703
130
MORK 1971, p. 15
131
CAZA 1986, pp. 540
Possiamo parlare di espressione simbolica, nel suo senso più
pieno - quindi: al massimo grado di ambi-valenza 132, dove
funzione spirituale, intenzione, funzione corporale, non
conoscono (non possono conoscere) espressione
fenomenicamente disgiunta . 133
132
GALIMBERTI 1983, pp. 31 sgg.
133
FIORENZA-METZ, 1970, p. 250. Non siamo però in accordo con questi autori quando
segnalano l’attribuzione di funzioni psicologiche ad organi fisici [cfr. ibid.]: piuttosto,
pensiamo che la distinzione delle due sia un processo storicamente – culturalmente e
linguisticamente – successivo.
134
WOLFF 1974, pp. 16-19
Ad ogni livello, ָבשָׂרnon è soltanto una condizione esteriore,
visibile e tangibile, ma indica la «realtà stessa dell’esistenza
dell’uomo»135.
Ed è quindi carne nel senso di mezzo della manifestazione della
relazione tra individuo e personalità corporativa di appartenenza
– sia essa la specie, la tribù, la famiglia, o la sintesi unitiva
capace di generare tutte queste.
Il concetto – pur fondamentale – di ‘personalità corporativa’ nel
contesto biblico, come espresso da H. W. Robinson136,
nell’esprimere la relazione fondamentale tra individuo e
comunità a tutti i possibili livelli – famiglia, gruppo etnico,
nazione – comporta però una prospettiva necessariamente
inesatta: risulta essere un concetto ‘sintetico’, ovvero sussume
una realtà di grado secondario – l’individuo – ad un livello di
specificazione che deve necessariamente precederla – il contesto
dell’appartenenza. Siamo d’accordo con E. Kasemann nel
rovesciare questa prospettiva: l’uomo biblico non è mai
individuum, bensì «proiezione del mondo che lo determina»137.
Così come il cuore, una mano, un organo qualsiasi del corpo,
trova la sua ragione d’essere in quanto parte di un tutto, nelle
pagine del testo biblico le loro manifestazioni sono sempre
segnate da un continuo incastro di ambivalenze: l’organo detiene
un’espressione sua propria, con un timbro ed un colore peculiari,
ma che non conosce discontinuità rispetto ad una progettualità e
ad un’intenzionalità più ampie – quelle del corpo- ָבשָׂר
135
ROCCHETTA 1990, p. 26
136
ROBINSON 1913, pp.27-30; 37-39
137
KASEMANN 1987, p. 6
dell’individuo. Di più: l’intenzionalità dell’individuo, la sua
possibilità volitiva ed espressiva è la ָבשָׂרstessa. Così, il gesto di
un uomo è gesto dell’individuo, della famiglia, della tribù, della
specie: in una parola, della ָבשָׂר. L’ascrizione, di volta in volta, di
un evento specifico – tanto nell’attività quanto nella passività –
ad uno di questi gradi di manifestazione, è una questione di
prospettiva differenziale; prospettiva che non squalifica il timbro
individuale dell’azione o della passione, ma lo inserisce in un
contesto che ha nell’ambivalenza strutturale la sua dinamica
significante più propria. Riteniamo che alcuni temi
veterotestamentari fondamentali, come l’ereditarietà del peccato
di Adamo, e l’eccezionalità misericordiosa della cancellazione
delle “colpe dei padri”, possano trovare una collocazione
prospettica rinnovata in una giusta considerazione dell’orizzonte
semantico del termine ָבשָׂר, come abbiamo tentato di mostrare.
138
VIAGULAMUTHU 2002, p.118
scissione, porta con sé il difetto di qualsiasi analisi: una
ricomposizione necessaria, che, pur restituendo esaustivamente il
contenuto dell’oggetto analizzato, ne perde la coerenza interna
del suo darsi nell’immediatezza, con tutto il portato di indicibilità
di cui soltanto l’oggetto originale resta capace.
Parimenti, il popolo come ‘corpo’139 – concetto che conoscerà
vasta fortuna – biblicamente deve essere inteso nella pienezza
che soltanto il termine ָבשָׂרè in grado di restituire, risultando
definitivamente difettivo tanto nella sua versione di σῶμα
(qualora preso linguisticamente ‘in assoluto’, e non situato nella
polivalenza prevista dal suo uso ellenistico avente un forte
retroterra biblico-giudaico) che nelle accezioni moderne
potenzialmente espresse dal concetto-lemma di ‘corpo’.
IV. APPENDICE
139
Rimandiamo per esempio a quanto detto a proposito di DT 5:26
L’ambivalenza del corpo come realtà fisica e metafisica140,
personale e corporativa, individuale e specie-specifica,
individuale e relazionale – per la quale il σῶμα è già espressione
dello Spirito –, è mantenuta, teologizzata, teorizzata, sviluppata
in larga parte del pensiero teologico cristiano, a partire ed a
fondarsi sul testo paolino141.
L’accezione antica (in quell’ipotetico asse omerico-
veterotestamentario, in opposizione teorica all’asse platonico-
cartesiano verso l’accezione di corpo-moderno) mantiene tutte
queste possibilità, concependo una corporalità come ambivalente,
aperta, e soprattutto non-dualistica.
La vicenda della ‘trasformazione’ di ָבשָׂרin σάρξ / σῶμα , e
finalmente in ‘corpo’, è testimone di questo sviluppo
culturale/concettuale, che si profila anche e soprattutto come
perdita nella possibilità di significazione diretta all’interno
dell’orizzonte semantico del corpo-antico.
Se la maggior parte degli esegeti 142 sono concordi sul fatto che
Paolo qualifichi il σῶμα come ‘persona umana’ nella sua
integrità, questo, a nostro avviso, tenendo presente innanzitutto la
prospettiva aperta dal campo semantico ebraico-
veterotestamentario, viene a definirsi non tanto come prospettiva
140
Qualificabile come ‘ambivalenza’ – ovvero non-dualismo, non-monismo – , per la
sostanziale impossibilità di distinguere il fisico da metafisico nel pensiero ebraico come in
quello greco-antico (omerico). Cfr. GALIMBERTI 1983, pp. 31-40; GALIMBERTI 1987 pp. 19-25;
STACEY 1956, p. 85
141
cfr. ROBINSON 1952, pp. 109-110
142
BULTMANN 1953, p. 187; DUNN 1998, p. 78-79; KASEMANN 1969, p. 34; cfr. PITTA 2006;
ROBINSON 1952, p. 62-64
integrativo/compositiva, bensì composizionale: non considerando
la costituzione antropologica come un composto (di qualsivoglia
natura integrata o composita), bensì nella prospettiva di
ambivalenza ed apertura che la concezione corporale ebraico-
veterotestamentaria era capace di significare.
Nella difficoltà di trovare una terminologia adatta per le «nuove
realtà per le quali la religione paterna non gli offriva sufficienti
termini»143 – nuove realtà di ordine cristologico, evidentemente
-, Paolo – e ciò è fondamentale – costruisce una teologia ed un
lessico teologico nuovi, in una dinamica che parte dai suoi ‘tre
livelli’ di influenza culturale144, non corrispondendo esattamente
a nessuno dei tre – dovendo esprimere concetti e visioni affatto
nuovi. Ma, riguardo ai concetti di corpo-incarnazione-
incorporazione in Cristo145, prende le mosse essenzialmente e
primariamente dal suo retroterra ebraico, non corrispondendo la
sua nozione di σῶμα alla distinzione aristotelica di ὕλη –
μορϕή , in una sostanziale «confusione inconsapevole»147
146
143
LEKO 1963, p. 28
144
Ebraico, ellenistico, romano – cfr. SICHKARYK 2011, p. 147
145
Sulla sostanziale unitarietà concettuale del corpo-paolino come estensione di
incarnazione e risurrezione corporea del Signore, cfr. ROBINSON 1952, p. 117
146
Cfr. WEISS 1910, p. 161; JEWETT , p. 207
147
STACEY 1956, p. 94
148
Ibid.
2 – בָשָׂרideogrammatico
149
Uno su tutti: rav Yitzchak Ginsburgh, (nato il 14 novembre 1944), rabbino affiliato al
chassidismo Chabad, guida del movimento Derek Chaim, fondatore dell’istituto Gal Einai,
rosh yeshivah della Yeshivah Od Josef Chai. Per le sue prospettive sull’argomento, si veda il
suo The Hebrew Letters, Gal Einai 1990.
tradizione che ha il suo vertice nell’opera di Antoine Fabre
d’Olivet150.
L’analisi delle lettere di ָבשָׂרsecondo Fabre d’Olivet151,
procederebbe in questo modo:
150
Antoine Fabre d'Olivet (Ganges, 8 dicembre 1767 – Parigi, 25 marzo 1825) è stato uno
scrittore, linguista, ricercatore musicale francese. Per quanto riguarda la linguistica, Fabre
d'Olivet può essere considerato come il maggiore rappresentante della teoria
fonosemantica, ma allo stesso tempo anche il meno conosciuto. Le sue principali opere
sono La Langue hébraïque restituée et le véritable sens des mots hébreux rétabli et prouvé
par leur analyse radicale, ouvrage dans lequel on trouve réunis, Barrois & Eberhart, Parigi
1815 – ed. ital. La lingua ebraica restituita, Arché, Milano 2009; Les Vers dorés de
Pythagore, expliqués et traduits pour la première fois en vers eumolpiques français,
précédés d'un Discours sur l'essence et la forme de la poésie, chez les principaux peuples de
la terre, Treuttel & Wurtz, Parigi 1813 – ed. ital. I versi aurei di Pitagora, Luni editrice 2006
151
Seguiamo FABRE D’OLIVET 1815
un’estensione finalizzata - שׂ- verso il divenire ed il possibile –
] ה.