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11^ lezione del 22/03/22

Ireneo di Lione - riscoperto in età moderna e contemporanea, prima conosciuto quasi solamente attraverso
la Storia ecclesiastica di Eusebio. Sostiene che tutto ciò che è stato consegnato da Cristo agli apostoli è
nascosto ma condiviso con la comunità da coloro che sono alla guida della comunità. La ripresa della
successione apostolica in età moderna ha favorito il recupero dei suoi scritti, studiati ed editati.

Esponente della chiesa dell’Asia minore, luogo particolarmente effervescente e dal punto di vista delle eresie
e dal punto di vista dei dibattiti teologici e liturgici. Seguendo itinerari comuni dall’Asia minore si trasferisce
in Gallia, nel sud della Gallia; diventa presbitero della Chiesa di Lione (170-180) afflitta dal peso delle
persecuzioni locali. Da presbitero Ireneo a Lione viene incaricato dal suo vescovo di un’ambasceria a Roma
per cercare di moderare la reazione del papa in merito alle condanne dei montanisti. [di estremo interesse: il
collegamento tra chiese di origine e diaspora degli asiatici – sollecitazione da parte di queste comunità
quando si trovano in difficoltà, di far intervenire i rappresentanti in area occidentale a favore di prassi
differenti] Ireneo interviene a favore della comunità asiatica anche a seguito della sua consacrazione
episcopale. Possediamo Adversus Haereses (latino), Epideixis (asiatico) e alcuni frammenti di lettere (1-
ad un Florino, condiscepolo che era diventato prete a Roma ed era anche passato nel campo degli gnostici; 2-
al Papa Vittore).

- Particolare interesse per la storia della salvezza


- Interesse antropologico in funzione anti-gnostica

Dalla Lettera a Florino (V libro della Storia della Chiesa di Eusebio):

- Ireneo richiama il suo rapporto con Policarpo (Florino e Ireno entrambi allievi a Smirne da
Policarpo, introdotti e probabilmente battezzati in quella comunità);
- Non si può trasmettere se non quello che si è ricevuto;
- Probabile che Florino fosse un funzionario romano convertito e diventato presbitero (ma non chiaro
nel testo);
- “Scritture” – giudaiche ma già anche dei cristiani
- Papiro fino al III-IV sec. il materiale scrittorio è il papiro, conseguentemente la pergamena (più
durevole e si conserva);

Dal Adversus Haereses, C’è un solo Dio, Creatore e Padre: dimostrazione anti-gnostica, da [1] a [7]:

- Rilievo non tanto sulla vita intra divina, scontata, ma sull’unità del Dio veterotestamentario con il
nuovo, in funzione anti-gnostica;
- Il Creatore, che per gli gnostici è il Demiurgo, non è un Dio inferiore ma il Padre di Gesù;
- Scopo di Ireneo: sottolinea con forza che non vi è frattura tra la matrice giudaica del cristianesimo, il
Dio Creatore e il Dio del NT, il Figlio di Dio è il rivelatore del Padre;
- Adesione di Ireneo alla dottrina del logos, secondo la dottrina di Teofilo di Antiochia (sappiamo da
Eusebio che Ireneo ha letto Giustino e Teofilo di Antiochia);

Dal Adversus Haereses, L’uomo complete è fatto a immagine e somiglianza di Dio:

- Dio crea l’uomo pensando al Figlio (logo incarnato, modello a cui Dio pensa creando l’uomo);
- “l’uomo e non una parte dell’uomo” (corpo – anima – spirito, azione della Grazia nell’uomo);
- Immagine che l’uomo riceve nella creazione resta impressa nell’uomo, nulla può strapparla ma il
peccato lo rende dissomigliante;
- Il progetto di Dio fin dall’eternità è quello di condurre l’uomo all’immagine divina;

Dal Adversus Haereses, La carne risusciterà:


- L’uomo risorgerà nella sua dimensione preziosissima costituita dal suo corpo, contro le idee
platonizzate che consideravano solo l’anima;
- Necessario che l’uomo si abitui a stare con lo Spirito – cammino che l’uomo è chiamato a fare
perché l’azione di Dio in lui lo porti a compimento;
- L’uomo ha avuto da Dio la promessa che già in questa sua dimensione corporea ricevesse la
pienezza dei doni promessi;

12^ lezione del 24/03/22

Esegesi cristiana

Interpretazione delle Scritture alla luce del contesto immediato in cui vengono letti; il contesto è quello delle
due matrici culturali, quella giudaica e quella classica greco-romana. Inizia anche un’esegesi propriamente
cristiana, rappresentata per la prima volta, in modo parziale in ambito eterodosso; il primo testo commentato
è il vangelo di Giovanni, interpretato dagli gnostici. Lo sappiamo da Origine che nel fare il suo commento
cita Eracleone.

Il dialogo fecondo con le due matrici culturali ha portato alla comprensione e alla definizione dell’esegesi.
Gli ebrei facevano esegesi, attualizzavano le scritture, cercavano di attualizzarle: dal punto di vista
normativo ma anche per la crescita spirituale delle comunità giudaiche (omiletica). Nel contesto
Alessandrino si sviluppa in lingua greca: era necessario annunciare il messaggio biblico al mondo della
cultura Alessandrina, per questo oltre alla LXX, nel corso del II secolo molti autori si son impegnati in
quest’opera di traduzione e diffusione. Era un’attività esegetica di progressivo adeguamento delle Scritture al
contesto contemporaneo.

In ambito giudaico cristiano non esistevano scritti normativi alla pari di quelli confluiti nei canoni ma
esistevano opere letterarie (poemi omerici, scritti dei filosofi) che venivano commentate e attualizzate.

Ippolito

Il primo esegeta in ambito ortodosso. Da decenni esiste una questione ippolitea che alla luce degli studi più
recenti sembrerebbe non essere una figura singolare ma sotto il nome di Ippolito dovremmo considerare
almeno tre personaggi: Ippolito romano, il martire, vissuto nella prima metà del II sec. – un’esegeta
orientale, al quale possiamo ricondurre tanto il Contra Noetum, (opera anti-monarchiana), quanto una serie di
testi esegetici – anonimo che definiamo nella letteratura scientifica autore dell’Elenchos. Medietà dal punto
di vista morale e dal punto di vista teologico. La teologia romana di muoveva tra il monarchismo e la
teologia del Logos, tenendo ben presente il buono dell’uno e dell’altro modello, condannando le
estremizzazioni.

Le benedizioni di Isacco e Giacobbe, tratto da un commentario sulle Benedizioni dei patriarchi [file 09]

- Il Logos ha ispirato la Scrittura veterotestamentaria, in funzione anti-gnostica sottolinea l’unità del


Logos che garantisce l’unità della Scrittura;
- Giuseppe prefigurazione del Logos incarnato, Figlio prediletto del Padre;
- Giuda fratello di Giuseppe e Giuda traditore (ma non tutto corrisponde perché nessuno fosse portato
a ritenere Giuseppe come prefigurazione;
- Faraone considerato positivamente perché fa sedere Giuseppe accanto a sé, come Cristo alla destra
del Padre;

Origene – prima metà del II sec., nasce e cresce in un contesto culturale particolarmente effervescente come
quello di Alessandria dove fin dal I-II sec. a.C. era stata molto attiva una comunità giudaica che aveva
avviato un dialogo con la cultura ellenistica e aveva tentato una inculturazione del messaggio biblico nelle
categorie della cultura greca. Origene e i cristiani alessandrini si fano carico di questa mediazione culturale
in ambito cristiano. Prima di essere un teologo è un esegeta. Come buona parte degli autori cristiani
alessandrini si muove in un orizzonte platonico, che postula due piani. È necessario andare al di là della
materia scritta per cogliere il significato. Analogamente a questo passaggio da ciò che appare a ciò che non si
vede ma è vero ed è il messaggio da cogliere, la Scrittura Sacra ha due dimensioni, una dello Spirito e una
della lettera. Quella dello Spirito può essere di carattere 1) comunitario (della vita della comunità e della
chiesa) o di carattere 2) individuale (fa riferimento all’anima). Quando si avvicina la Scrittura questa non può
essere aggirata nella sua dimensione materiale e gli alessandrini, Origene in particolare, hanno
particolarmente cuore gli aspetti filologici e critici, per noi oggi comuni. Origine addirittura aveva a sua
disposizione una scuola in cui si apprendevano i sistemi esegetici e quindi un gruppo di lavoro a cui
dobbiamo molti dei testi scritti arrivati fino a noi. Origene, insieme a questo gruppo di lavoro, fa una raccolta
di traduzioni delle opere antiche, secondo una specie di concordanza, in cui troviamo accanto al testo ebraico
era possibile una traslitterazione dall’ebraico al greco e una serie di traduzioni, quella dei LXX, di Simmaco,
di Aquila. Questo perché Origine nel fare esegesi e nel confrontarsi con altri studiosi eterodossi e ortodossi
voleva partire da una base testuale certa. Testimonianza di una fedeltà e di una attenzione al testo scritto
successivamente a volte dimenticata a volte esaltata. Anche l’esegesi spirituale con lo strumento
dell’allegoria si preoccupa di avere a disposizione il testo critico più sicuro possibile. Questa attenzione di
carattere filologico è accompagnata da un’attenzione di carattere storico-letterario. Merito di Origine aver
raccolto in un’opera, Hexapla, gli elementi fondamentali sulla base dei quali interpretare la scrittura e gli
strumenti non di carattere confessionale ma neutri, perché impiegati dai cristiani nell’esegesi, dai pagani e
dagli ebrei (in particolar modo l’allegoria). Per Origine e in generale per gli esegeti cristiani la chiave di
lettura di tutta la Scrittura è Gesù Cristo; quindi, tutta la Scrittura parla direttamente o indirettamente di Lui e
deve avere un significato spirituale, un’utilità spirituale (ὠφέλειά). Nella fase in cui opera origine alcuni
aspetti della dottrina non erano stati esplicitati in modo chiaro per cui erano per lui motivo di riflessione,
approfondimento; successivamente quando saranno definiti verranno condannate post mortem alcune sue
affermazioni. Questo comporta la distruzione e la perdita di alcuni suoi testi, quello che possediamo lo
abbiamo in traduzione latina di Rufino di Aquileia e alcune citazioni da Girolamo e altri che conservano il
testo greco.

Prefazione dalla traduzione latina:

- Ricerca scientifica che deve produrre nutrimento per chi ricerca; lo studioso cristiano per eccellenza
dal suo studio deve progredire nella vita di fede, non è uno studio asettico e scientifico;
- Rimarca ispirazione del Logos di entrambi i testamenti;
- Non è alla filosofia che bisogna guardare per apprendere la pienezza della verità ma nutrendoci delle
Scritture ispirate da Cristo;

dal Libro I del Commento al Cantico dei Cantici:

- Valorizzazione degli aspetti critici, filologici, letterari legati al testo;


- Sacra Scrittura e Cristo sono la stessa cosa;
- La legge è la preparazione alle nozze, un dono propedeutico al dono della Parola stessa, del Verbo
stesso di Dio;
- Il cristiano maturo si confronta in prima persona con la Scrittura e oltrepassa il significato letterale
(possibilità di progressione - non a caso nella Didaskaleion, scuola teologica di Alessandria,
esistevano due gradi: nel primo si inserivano le persone che iniziavano ad apprendere i movimenti e
gli strumenti della fede e il secondo livello era guidato direttamente da Origene per il confronto
diretto con il testo da meditare);
- Letterale: Sposo attende la sposa – Spirituale: chiesa attende lo Sposo, Cristo – Individuale: unico
desiderio dell’anima unirsi al Verbo di Dio e accedere ai misteri della sua conoscenza come fosse il
talamo dell’unione con Lui (l’anima ha avuto come doni dotali: la legge naturale, la facoltà razionale
e il libero arbitrio);
- Non basta prendere il latte come i bambini ma bisogna passare a un cibo più solido assumendosi la
responsabilità personale di farlo proprio;
- Ogni volta che si va al di là della lettera, che personalmente cercando di interpretare, di sciogliere
l’enigma, si riceve un bacio dalla bocca dello Sposo, è un dono di Grazia;
- Quando cerchiamo qualcosa senza trovare risposta, rivolgiamoci al Verbo pregando “Mi baci con i
baci della sua bocca…” - la dimensione orante non sfugge mai dalla teologia di tutti i Padri

L’approccio al testo è di carattere critico però poi bisogna andare al di là della lettera per cogliere il
significato spirituale, che nutre la comunità e la singola anima.

13^ lezione del 25/03/2022

[file 11 e 13 studiare da soli] – [file 12: schema sulle relazioni tra i vari autori]

Alla fine del II, inizi III sec, la patristica latina entra nella storia attraverso Tertulliano.

Prima di passare a Tertulliano dedichiamo ancora spazio ad Ippolito, l’esegeta. Ippolito nell’opera di
carattere teologico, il Contra Noetum, contesta a Noeto e quindi alla teologia monarchiana modalista una
serie di interpretazioni scritturistiche, in modo particolare Gv 10,30: “Io e il Padre siamo una cosa sola”,
passo fondamentale delle successive controversie trinitarie. Da sempre, secondo Ippolito. La sua è una
Cristologia alta e utilizza un termine che avrà un ruolo determinate nei successivi dibattiti, fino agli studi
sistematici di trinitaria: prosopon per parlare dei due soggetti. Lo Spirito non è mai definito prosopon ma il
suo modo di agire ad extra lo collega strettamente all’azione del Padre e del Figlio e pertanto si mette in
rilievo l’appartenenza dello Spirito al mondo divino. Dio che comanda, il Figlio che obbedisce, lo Spirito che
è comprensione. Di Dio c’è conoscenza a partire dalla sua creazione nel mondo. La perfezione del
compimento della Salvezza di realizza nell’assunzione della carne.

La lezione di Ippolito, che scrive in greco, viene recepita e fatta propria da Tertulliano, esponente dell’élite
culturale occidentale, bilingue. Diventa cristiano da una famiglia pagana, riceve un’ottima formazione
storica, filosofica e retorica, propria dell’avvocato. Percorso personale di adesione alla comunità cristiana e
di adesione successiva a una corrente rigorista, montanista. Conclude la sua esistenza terrena fuori dalla
comunità cattolica, ma i suoi scritti godranno sempre di particolare attenzione da parte degli autori cattolici;
Cipriano lo definiva il suo “maestro” per la grandissima stima che le sue opere dal punto di vista dottrinale
mantenevano nell’ambito della riflessione teologica.

Al contrario della Chiesa di Roma, la Chiesa africana è più arroccata su posizioni rigoriste e radicali.
Venendo alla teologia trinitaria, per Tertulliano il Logos è estroflesso, generato, preesistente, definito come
persona così come il Padre e lo Spirito ma allo stesso tempo ne sottolinea anche la profonda unità, che per la
prima volta viene indicata come Sostanza, lo Spirito comune al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo
propriamente detto.

Apologeticum, cap. 21:

- Questa generazione non ha a che vedere con quelle degli dèi del mito;
- Lo stesso soggetto che presiede alla creazione e all’ordine del mondo è lo stesso che si incarna;
- Tale principio “profferito” è spirito;
- In rilievo la dimensione umana del Verbo che si incarna;
- Usa il termine “persona”, termine che progressivamente sempre più indica il soggetto, ciò che non è
comune ai tre soggetti ma proprio di ciascuno di loro; nella teologia latina termine molto forte,
indica l’individuo, al contrario del prosopon greco;
- Accanto all’unità profonda di Dio mette in evidenza l’identità di questi soggetti distinti: uniti per
essenza, distinti per grado, per forma, per aspetto;

14^ lezione del 31/03/2022

La crisi ariana è il frutto della estremizzazione della teologia del Logos. A Roma si cerca sempre di trovare
la via di mezzo perché si avverte il pericolo del monarchianismo modalista eretico da un lato e la teologia del
Logos portata all’estremo che divide la trinità dall’altro. Tra questi due estremi c’è anche un
monarchianismo moderato, che riconosce e coglie nella dottrina monarchiana il valore che tale dottrina offre
alla teologia e una teologia del Logos che riesce ad esprimere il fatto che questo unico Dio è articolato in tre
soggetti. Per comprendere gli sviluppi e l’impatto di queste dottrine sulla vita delle comunità cristiane
bisogna tener presente che questo avviene in un momento cruciale della vita del cristianesimo. Fino al III
secolo la Chiesa è perseguitata, il cristianesimo è una religio illicita. Nel 313 avviene l’impensabile. Nel 325
al concilio di Nicea, i vescovi arrivano con i segni sulla pelle delle persecuzioni. Cambiamento radicale. La
chiesa diventa una parte della vita dell’impero; l’imperatore è il moderatore supremo della vita religiosa, del
culto pubblico. Nel momento in cui diventa una religio licita entra a tutti gli effetti alla vita dell’impero.
Siamo tentati di giudicarlo un passaggio di tradimento della vocazione della dottrina cristiana, perché diventa
una sorta di ufficio dell’amministrazione imperiale; pensiamo solo in ottica funzionale, come strumento di
governo. Per questi uomini del mondo antico che ci credevano non è possibile scindere sempre, come siamo
abituati noi a fare, il sacro e il profano, la Chiesa e lo Stato. Costantino di fronte alle problematiche che pone
il dibattito disciplinare risponde con l’intervento in Africa. Di fronte alle divisioni della chiesa africana tra
cattolici e donatisti, Costantino interviene a gamba tesa (314) cercando di riconciliare gli animi; sarà
Agostino decenni dopo (401) a riuscirvi. Organizza un concilio previo quello di Nicea, a Roma, sulle
questioni della chiesa africana. Alcune chiese principali gestivano federalmente la vita delle comunità
cristiane e a queste si affianca un’autorità suprema. Dopo Nicea, dopo la morte di Costantino, il dibattito
circa la dimensione trinitaria ebbe un tono molto duro di scontro tra le varie posizioni.

Regioni ecclesiastiche ed ecumene – Se si ponevano dei problemi a livello locale era il vescovo locale che
cercava di risolvere le questioni della sua chiesa; se il problema diventava di carattere regionale si riuniva un
sinodo di vescovi della regione per trovare una soluzione o intervenire laddove era necessario disciplinare la
vita della Chiesa. Quando i problemi iniziano a diventare di carattere sovra regionale, la Chiesa non è ancora
organizzata per pensare dei sinodi di tali dimensioni e affrontare questi problemi dilaganti. Qui interviene
l’autorità suprema che ha la possibilità di intervenire a questo livello.

Abbiamo visto le condizioni che conducono Ario a presentare la sua dottrina trinitaria, le reazioni e la
celebrazione del Concilio. Siamo nel 320, Ario inizia a diffondere, è un presbitero alessandrino molto
autorevole nella sua chiesa particolare, la sua dottrina radicalmente subordinazionista e immediatamente
suscita la reazione di chi pur condividendo la stessa impostazione teologica che è quella della teologia del
Logos, denuncia Ario all’autorità locale (vescovo locale). È un problema della chiesa di Alessandria e ci si
rivolge al vescovo locale. Alessandro di Alessandria, al pare di chi lo ha denunciato, appartiene alla stessa
formazione ma non esaspera il modello subordinazionista ariano. Ario per un periodo di tempo si è formato
ad Antiochia, da Luciano di Antiochia, retore cristiano non particolarmente brillante ma che aveva avuto
alla sua scuola gran parte dell’episcopato dell’Oriente cristiano. Ario pertanto trova naturale, di fronte
all’opposizione da parte del suo vescovo, andare a ricercare supporto dai suoi colleghi di scuola, ormai
vescovi importanti delle diocesi dell’Oriente cristiano; si chiamavano tra loro collucianisti. Alessandro di
Alessandria se può gestire i rapporti nelle sue Chiese non può però amministrare la questione ormai sovra
regionale. Dal 313 era però comparsa questa autorità nella figura dell’imperatore e così come in Occidente
aveva agito per riportare la pace nella chiesa africana tra i donatisti e una linea moderata della chiesa
cattolica riunendo il Concilio di Roma, la stessa cosa Costantino propone in Oriente (chi abbia consigliato a
Costantino il Concilio del 325 non lo sappiamo ma sappiamo che aveva tentato di provare una via di
conciliazione tra le varie posizioni teologiche per mano di Ossio di Cordova, persona meno indicata;
occidentale non esperto delle problematiche e del linguaggio dell’Oriente cristiano per cui intervento che si
conclude in un nulla di fatto). Proposta un’assemblea sovra regionale, ecumenica, oltre i confini regionali; da
questo momento in poi viene convocato e può essere validamente convocato solo dall’imperatore. A questo
livello l’istituzione è di carattere imperiale, solo l’imperatore può approvarne gli atti affinché diventino legge
dello stato.

Posizione radicale di Ario e moderata di chi gli si contrapponeva.

Ario pone l’accento sulla assoluta trascendenza di Dio; Dio è il solo ingenerato, il solo eterno, il solo senza
principio. Contribuisce ad accrescere il divario tra Dio e il suo Logos. Ario non si limita ad affermare il
Padre come ipostasi distinta dal Figlio ma arriva a definire il Logos come estraneo rispetto a Dio,
proveniente da un mondo diverso e infatti il Padre è straniero rispetto al Figlio e il Figlio straniero rispetto al
Padre (xenos). Il Cristo è divino ma non è Dio, più simile a un Demiurgo. Dio creatore ma inferiore al Dio
trascendente che per Ario coincide con l’Essere ingenerato. Il Logos è generato nel tempo, al di fuori del
mondo divino, Dio nella misura in cui è considerato da Ario la prima di tutte le creature. Prima di essere
generato il Logos non esisteva.

- Il vescovo Alessandro metterà in rilievo l’errore di Ario – il Padre è ingenerato, il Figlio è generato,
lo Spirito procede. Il Padre è esclusivamente Padre se il Figlio è sempre Figlio, ha sempre il suo
Logos che genera ab eterno.

I tanti passi scritturistici che Ario prende come riferimento e contrafforte della sua costruzione teologica:
tanti ma soprattutto Proverbi 8,28.

Nel caso dei monarchiani il Logos creatore è una funzione paterna, un modo di presentarsi della monade, non
è una diade, non è altro dal Dio trascendente ma un modo di manifestarsi di Dio. C’è una affermazione di
una monade paterna, di un monoteismo stretto anche in Ario ma il punto di partenza non è quello di Noeto,
di Prassea, il punto di partenza è una teologia dei tre, non dell’uno, portata a radicali conseguenze che
allontanano, dividono i tre soggetti della vita divina; di quella che prima della riflessione ariana era
considerata l’articolazione interna di una vita intra divina unitaria.

Un altro punto di forza di questo modello interpretativo della vita divina è costituito dalla Cristologia di
Ario. Per Ario costui non è Dio ma un Dio inferiore, un Dio creato ed è lui che si incarna, che assume su di
sé la carne. Nel modello cristologico di Ario e degli ariani questa unione avviene immediatamente, prima
dell’anima razionale. Il Logos assume su di sé la carne, una carne non animata secondo uno schema che è
quello del modello Logos sarx. Tutto ciò che patisce il Logos incarnato, non lo soffre in quanto uomo perché
non c’è un uomo completo a soffrire, ma il soggetto che muove quell’apparenza di uomo; è lui che soffre
completamente. Il Logos è colui che soffre ma non nella sua dimensione umana; è lui, parte integrante di
questa dimensione umana, che soffre direttamente. E Dio può soffrire direttamente nella sua persona? No,
perché è Dio. Tanto sul versante della dottrina trinitaria, della riflessione sulla vita intra divina, quanto sul
versante della cristologia, Ario arriva a dire che il Logos non è Dio, una creatura specialissima, prima delle
creature, strumento della creazione ma inizia la sua esistenza ed opera al di fuori del mondo propriamente
divino, fuori dai confini di Dio, dove inizia la storia.

Ario, Lettera a Eusebio di Nicomedia (compagno di scuola): era partito dal fare il vescovo in una diocesi
meno importante ed era riuscito ad arrivare là, dove l’imperatore risiedeva, assumendo una certa importanza.
[file 14a]

- Nel corso del IV e del V secolo il vescovo di Alessandria era chiamato il faraone d’Egitto;
progressivamente assume un ruolo importante, più di altre chiese principali. È lui che consacra tutti i
vescovi, in ambito alessandrino tutto è verticalizzato.
- Dottrina di Alessandro: sempre il Padre ingenerato, sempre il Figlio generato da sempre (è
ingenerato-generato: probabilmente coniazione di Ario per sottolineare la contraddittorietà dei due
principi).
- Condannare Ario significa rinnegare e rifiutare una tradizione più lunga, per questo molti pur non
essendo ariani non vogliono condannare Ario (tra questi Eusebio di Cesarea e altri).
- Spiega la sua dottrina (Ario): Figlio non è ingenerato, non proviene dalla sostanza né dalla persona
del Dio sommo, né deriva da un sostrato, per VOLERE e DECISIONE del Padre è venuto
all’esistenza prima dei tempi, PIENAMENTE DIO, nella sua dimensione divina (quella della
divinità inferiore).
- Il motivo per cui questo Dio inferiore possiede un essere inconciliabile con quello del Dio sommo:
perché è ingenerato. L’ipostasi del Padre è l’ingenerato, l’ipostasi del Figlio è il generato. Diversi
per NATURA.
- Motivo di condanna: ‹‹Il Figlio ha principio, mentre Dio è senza principio; il Figlio deriva dal
nulla.››

IPOSTASI – Il soggetto, termine individualizzante, ciò che distingue l’individuo da un altro (per i latini vale
persona – prosopon non ha la stessa forza, ha un’accezione più debole).

Natura e sostanza (ούσία) – spesso sono impiegati allo stesso modo di ipostasi; questi termini, in questa fase,
non sono utilizzati in maniera chiaramente distinta.

SOSTANZA – fin dai tempi di Aristotele, sostanza ha due accezioni piuttosto comuni ai tempi dei Padri,
solo successivamente avrà un significato univoco: individuo o natura comune. Sostanza prima, individuo,
soggetto, ipostasi – sostanza seconda, ciò che è comune.

15^ lezione del 01/04/2022

Alessandro di Alessandria prima del Concilio si trova sulla stessa posizione di Ario per quanto riguarda la
posizione teologica della tradizione alessandrina. Alessandro e Ario sono molto più vicini tra loro rispetto al
modello teologico di Alessandro confrontato con quello di Marcello di Ancira (vescovo di Ancara) e
Eustazio di Antiochia (vescovo di Antiochia), maggiori esponenti del monarchianismo di questo tempo.
Alessandro, nel concilio, dovette scendere a patti con coloro che riteneva più lontani: Marcello e Eustazio.
Questa alleanza innaturale dal punto di vista teologico nasce in virtù del pericolo della radicalizzazione della
tradizione alessandrina portata avanti da Ario. Passaggio fondamentale per comprendere gli sviluppi
successivi. Per portare dalla sua parte i voti dei monarchiani Alessandro dovette rinunciare a qualcosa. Il
testo di Nicea, la formula conciliare e anche le spiegazioni che di quella formula vengono offerte negli
anatematismi, nelle espressioni di condanna che seguono il testo, in fondo non sono altro che una sorta di
grande compromesso tra due tradizioni teologiche: quella di Alessandro di Alessandria che nella sua formula
moderata esprime meglio la fede trinitaria della chiesa e l’espressione, già condannata e che tornerà ad essere
condannata, che esprime il modello teologico dei monarchiani con i quali bisognava però venire a patti.
Marcello era un monarchiano radicale per cui il Logos veniva estroflesso dal Padre in funzione della
creazione e della redenzione del mondo per tornare poi in lui (“e il suo regno non avrà fine” è un’espressione
che ha l’intenzione di arginare questa posizione di Marcello che prevede il ritorno del Logos, come funzione,
all’unica monade divina). Eustazio aveva una posizione più morbida perché in una certa misura questo
Logos, pur essendo parte dell’unica ipostasi del padre, aveva una sua sussistenza accanto al Padre.

Non c’è in Marcello una estroflessione che ci presenti il Logos come un secondo soggetto sussistente accanto
al Padre, da sempre, ma con una sua ipostasi sussistente. C’è una estroflessione che esce dall’unica monade
paterna e che poi in essa rientra. Emesso continua ad essere un tutt’uno con l’unico Dio. Parlare di tre
soggetti sussistenti significa tradire il monoteismo giudaico; agli occhi di un monarchiano radicale, come
Marcello, appariva come un politeismo.
Eustazio differisce perché l’unica ousia divina, nel momento in cui estroflette il Logos, ha una potenza
maggiore; resta ad ogni modo un’unica monade divina. Non a caso dopo il Concilio, Eustazio sarà
semplicemente inviato in esilio quando inizierà a presentare la sua dottrina opponendosi ad alcune posizioni
del concilio, mentre Marcello sarà condannato più e più volte come eretico.

Se il problema trinitario è quello die esprimere il l’unità e la molteplicità dell’articolazione trinitaria, il


problema cristologico è mettere insieme due realtà: divina e umana. Su questo secondo aspetto specifico, in
questa fase del dibattito trinitario, il problema non è esplicitato; bisognerà aspettare la fine della crisi
trinitaria, verso gli anni 60-70 del III secolo (ormai verso il Concilio di Costantinopoli I).

Al 20 maggio del 325 questa è la situazione conciliare. Gli unici che si opporranno all’imperatore saranno
Ario e pochi suoi seguaci. Dello svolgimento dell’assise conciliare sappiamo poco o nulla perché non siamo
in possesso degli atti, ma abbiamo a disposizione la formula di fede stilata dal concilio, alcuni anatematismi
e una serie di canoni. [fine file 14a]

- L’orizzonte ultimo di questi autori non è speculativo; sono pastori, si preoccupano della salvezza dei
fedeli e quindi il cuore delle riflessioni dottrinarie si muove a partire dall’ora pro nobis [“Egli per
noi uomini e per la nostra salvezza”];
- “crediamo nello Spirito Santo” – riflessione non ancora esplicita, lo sarà grazie a Sant’Atanasio alla
fine del grande dibattito trinitario;

La formula conciliare è perfettamente accettabile tanto dalla prospettiva alessandrina che da quella
monarchiana. Dire “consustanziale al Padre” è comune, tutto sta a conferire all’ousia il significato corretto
rispetto al modello teologico. In una prospettiva monarchiana l’ousia coincide con il termine ipostasi.

La difficoltà sorge negli anatematismi, dove i padri danno del termine “ousia” una interpretazione sbilanciata
verso la prospettiva monarchiana: si condanna la Creazione del Figlio dal nulla, mutevole o alterabile
(insieme affermano che ousia è la stessa cosa che ipostasi, considerata come ousia prima – probabilmente
costò molta fatica accettare questa posizione da parte di Alessandro). Morto Costantino la controversia
riparte con toni fortissimi; coloro che non si sentivano ariani, ma che riconoscevano nel monarchianismo un
pericolo non meno grande, vogliono riprendere in mano questa questione conferendo all’ousia un valore
conciliabile con la fede cristiana; così espressa era inaccettabile. Fino al 337 la controversia non evolve,
Costantino garantisce l’unità dottrinaria. Gli imperatori da questo momento custodiranno sempre formule
compromissorie, per garantire una coesione interna dell’Impero e la pace della Chiesa che in questi secoli
coincideva con la pace dello Stato. Dopo la morte di Costantino le posizioni si moltiplicano, le principali
sono quattro:

due estreme sulle quali si collocano…

- sostenitori rigidi della formula nicena (OMOUSIANI, non hanno promosso un grande dibattito
teologico, l’unico esponente rilevante è Atanasio che ha dato un grande contributo alla riflessione
sull’unità divina/ agli occhi delle chiese di Antiochia e di Alessandria chi non è di posizione nicene è
ariano: anti niceni=antiariani (dai vetero niceni), motivo per cui la controversia sarà portata avanti
per molti anni. Chi riuscirà a riportare gli antiariani verso posizioni nicene sarà San Basilio che
promuoverà l’unità antiariana)
- sostenitori rigidi delle dottrine di Ario (ANOMEI); assoluta distinzione sostanziale tra il Padre e il
Figlio. Attraverso questo “creato per primo” Dio crea tutto il resto; il Figlio si distingue per essere il
primo e strumento della creazione, per cui ha un posto privilegiato rispetto al resto. L’ousia coincide
con la ghennesia (l’essere ingenerato).

16° lezione del 05/04/2022


Il concilio di Nicea riesce a fare sintesi delle dottrine trinitarie di matrice alessandrina e monarchiane. Il
simbolo niceno per quanto cerchi di fare sintesi inevitabilmente è un’espressione di fede di compromesso,
sbilanciata in termini monarchiani. Per questa ragione, malgrado Costantino abbia fatto di tutto per far si che
tutti si adeguassero a quella formula, dopo la sua morte ricomincia un forte dibattito, soprattutto in Oriente,
intorno alle formule nicene. I sostenitori del testo niceno, così come era uscito dal concilio, per molte ragioni
riescono a guadagnare l’appoggio da parte della sede romana.

L’occidente si schiera dalla parte della posizione vetero-nicena. Roma tiene i legami con le questioni
orientali attraverso i suoi referenti in Oriente, anzitutto la sede alessandrina. Nel tempo un altro importante
canale d’incontro con l’Oriente sarà costituito dal vescovo di Tessalonica e di tanto in tanto da vescovi o
legati papali inviati direttamente dal Papa. Roma in questa fase sa che ciò che si agita teologicamente in
Oriente da Alessandria, quindi dalle posizioni di Atanasio. Atanasio da un forte contributo nel sottolineare in
funzione anti-monarchiana l’unità del Figlio con il Padre; il Figlio, il Logos, da sempre accanto al Padre,
condivide con il Padre la stessa divinità. Allo stesso tempo non chiarisce alcune questioni terminologiche e
concettuali che sarebbe stato necessario per sottrarre la formula nicena a una interpretazione di carattere
monarchiano.

Due formule, bandiere, schieramenti di mezzo:

- OMEI, fondamentalmente di carattere politico moderato – I successori di Costantino, proprio come il


Padre devono cercare un’identità religiosa per l’unità dell’episcopato dell’impero e cercano e trovano una
formula di compromesso. Nel concilio del 359, un consiglio parallelo con una sezione in Occidente e una in
Oriente, costretti dall’imperatore accettano la formula dell’omoios kata panta (ομοίως κατά πάντα), ovvero
che il Padre e il Figlio sono simili in tutto secondo le Scritture. Questa formula non toccava in nessun modo
il problema della questione tra sostanza e ipostasi; questa formulazione non di carattere teologico ma politico
poiché proposta dall’imperatore e in funzione dell’unità dell’episcopato perché l’unità della Chiesa era la
condizione necessaria per garantire l’unità civile dell’impero. A questo schieramento appartengono vescovi
di primissimo ordine come Acacio di Cesarea, Melezio di Antiochia (uno dei tre vescovi che si contendeva la
sede antiochena e non era appoggiato da Roma). Quest’ultimo dagli omei passerà allo schieramento dal
quale evolve il dibattito teologico, dove non ci si accontenta di essere moderati, nel quale si cerca una
soluzione alternativa all’interpretazione monarchiana del simbolo niceno, quello degli omeousiani.

- OMEOUSIANI, moderati desiderosi di soluzione, di una formula adeguata al mistero trinitario, non per
imposizione imperiale o per compromesso ma che veramente esprima il mistero della Trinità Santissima –
(omoios kat’ousian, simile per sostanza). Ci sono figure di grande importanza in questo schieramento come
Ilario di Poitiers (Occ. – a causa degli esili Atanasio viene in Occidente, anche Marcello di Alcira; Eusebio
di Vercelli, Ilario di Poitiers andranno in Oriente invece) e San Basilio di Cesarea (Oriente). Per non unire i
tre in un’unica indifferenziata monade, per distinguersi quindi dai monarchiani (una sola ousia e una sola
ipostasi), inizialmente gli omeousiani sostengono tre ousie e tre ipostasi; da questa posizione iniziale, in
virtù del continuo confronto e approfondimento, questo schieramento arriva a delineare una formula adatta e
condivisa per non cadere nel monarchianismo. Ilario si interessa profondamente della dottrina omeousiana
comprendendo il tentativo di dire qualcosa di simile alla distinzione occidentale tra natura e persona: una
natura soltanto e tre persone (Tertulliano). Ilario capisce che parlare di ousia significa persona, ipostasi. Gli
occidentali avevano trovato modo di esprimere questa relazione con due termini distinti. La conoscenza
reciproca, l’approfondimento delle posizioni altrui induce pian piano questo schieramento a trovare
un’espressione più adeguata per parlare e delle tre ipostasi distinti e per parlare, in modo adeguato senza
confondere, dell’ousia seconda senza cadere nell’errore monarchiano. Si arriva dunque alla formula di
Basilio; dal punto di vista politico e teologico è stato colui che ha ricompattato l’episcopato per condividere
un’unica formula teologica. Nei suoi ultimi anni di vita Basilio ha preparato il concilio del 381, convocato
dall’imperatore, al quale non ha potuto partecipare; furono Melezio e Gregorio Nazanzieno i moderatori.
Basilio capisce che a “ousia” della formula nicena serve dare un significato generico, quello della seconda
ousia, di ciò che è comune ai tre. Ousia è natura, sostanza. Da dove provenga questa conclusione è difficile
ricostruirlo: c’è chi parla di una fonte omeousiana, una fonte che però non possediamo ma sappiamo anche
per certo che qualcosa del genere era stata affermata in Occidente da Mario Vittorino (IV sec.), retore
cristiano determinante anche per la conversione e la formazione di Agostino. È possibile anche che questa
formula sia stata ispirata da un testo platonico, che i padri conoscevano: “Platone ha affermato che l’ousia
del divino procede fino a tre ipostasi: c’è il Dio supremo e buono, dopo di lui, come secondo, il creatore;
terzo poi, l’anima del mondo. Infatti, la divinità procede fino all’anima del mondo”. In conclusione, non c’è
nulla che ci permetta di dire con certezza il percorso della riflessione omeousiana dalle tre ousie e tre ipostasi
all’ousia e tre ipostasi. Certo, il fatto che la soluzione provenga dall’Oriente, che Mario Vittorino scriva “ I
greci dicono così...”, lascia dedurre una provenienza orientale della soluzione terminologica.

Agli occhi degli occidentali e di coloro che si attestavano sulla posizione vetero-nicena, per lungo tempo,
quando si pensava all’oriente, e in particolare a coloro che non aderivano al partito di Atanasio, si pensava
che fossero semplicemente degli ariani. Anche omei e omeousiani, agli occhi degli occidentali, erano ariani.
A partire dalla fine del IV secolo l’Oriente e l’Occidente cristiano cominciano a camminare su binari non
paralleli per questioni dottrinali e di politica ecclesiastica legate a questi dibattiti. Uno dei canoni del concilio
di Costantinopoli, che dal punto di vista dottrinale risolve il problema trinitario e complica quello
ecclesiologico, stabilisce che Costantinopoli, subito dopo Roma, sia la sede principale, poi si dirà patriarcale,
delle cinque sedi più importanti del cristianesimo antico. Roma, Costantinopoli perché seconda Roma,
capitale nuova dell’impero, e poi Antiochia, Alessandra e Gerusalemme per onore.

Ad Adrianopoli nel 378 morì Valente e divenne imperatore Teodosio, generale spagnolo, che riesce a
riunificare l’impero e arriva a Tessalonica dove pubblica il celebre Editto in cui afferma che l’unica fede
dell’impero è quella professata dal vescovo di Alessandria e dal vescovo di Roma. Venendo dall’occidente
sapeva poco delle questioni politiche e teologiche orientali; si accorgerà con il tempo che in Oriente la
situazione era più complessa e sono necessarie tecniche diverse per arrivare ad una soluzione. Comprende
l’importanza della politica di Basilio e decide di convocare per il 381 il Concilio che ci ha dato la formula
del Credo, del simbolo di fede; pur non usando la distinzione tra ousia prima e seconda, integra l’articolo
dello Spirito Santo (ancora oggi diciamo “ha parlato per mezzo dei profeti”). La dottrina del Concilio è
basiliana e in termini moderni si definisce tale dottrina neo-nicena; con questa espressione si fa riferimento
all’interpretazione basiliana del simbolo del 325, non monarchiana. Ha sottratto a una interpretazione
sbilanciata in senso monarchiano il senso del simbolo.

Gli occidentali e Atanasio rispetto ai moderati che generano la soluzione del problema sono figure, teologi
che hanno a cuore l’unità di Dio. L’unità della sostanza di un Dio che la fede, la liturgia e la prassi
presentano chiaramente distinto in tre soggetti che condividono la stessa divinità. Questo schieramento
vetero-niceno si attesta su queste posizioni più per motivi politici che non di carattere dottrinale; sicuramente
non correva il rischio di monarchianismo perché in occidente ancora una volta venivano reiterate condanne
verso i monarchiani, come quella di Fotino di Sirmio (seconda metà del IV sec., il più importante esponente
dei monarchiani), aderente al monarchianismo più radicale della dottrina di Marcello di Ancira.

Omelia, al fratello Gregorio sulla differenza tra sostanza e ipostasi (attribuita a – non dovrebbe essere suo,
nè di Gregorio di Nazanzio nè di Gregorio di Nissia, con tutta probabilità è un testo di sintesi di questo
ambiente così vasto, legato al mondo dei padri cappadoci maggiori) San Basilio (*una volta nominò
Gregorio di Nazanzio vescovo di un borgo insignificante; quest’ultimo non prese mai possesso della sede
piuttosto infastidito):

- rivolto a Gregorio per farlo passare credibilmente come testo di Basilio;


- sbagliano coloro che identificano ipostasi e ousia (monarchiani) ma sbagliano anche coloro che
parlano di tre ipostasi e tre ousie (ariani);
- i padri sono interessati all’uomo singolo e alla sua salvezza, nonostante le diverse posizioni;

17^ lezione del 07/04/2022

Controversia cristologica che si svilupperà in varie fasi (tesi 11-12-13). Fase iniziale dalla fine del IV
secolo al Concilio di Calcedonia (451); seconda fase da Calcedonia al VI-VII sec.; terza fase che si occupa
della letteratura antiochena.

[File 15] Sulla base dei testi a nostra disposizione non era possibile ricostruire una compiuta cristologia ma
abbiamo trovato molti elementi che ci permettono di valutare il tipo di approccio, il modello teologico, del
cristianesimo dei primi secoli. Il tema cristologico per i primi tre secoli non era mai stato trattato, nessuno si
era occupato dell’unione dell’umano e del divino; ci si era fermati alla vita intra divina, di come questa fosse
articolata senza mai trattare il rapporto delle due dimensioni eterogenee che coesistono nell’unico soggetto
teandrico. Ario utilizza il modello cristologico per depotenziare la dimensione divina del Logos, che in fondo
veramente Dio non è ma solo una creatura specialissima. Chi si oppone ad Ario, a questo modello
cristologico sono soprattutto gli Antiocheni. In particolare, Eustazio di Antiochia, fondamentalmente un
antiocheno di formazione oltre che vescovo, ispirato a un modello fortemente unitivo e che valorizzava la
dimensione integrale dell’umanità di Cristo. E quindi di fronte al modello unitivo ma limitante dal punto di
vista dell’umanità di Cristo proposta da Ario, mette in rilievo che non era possibile accettare tale modello.

I due modelli possono essere riassunti con: modello Logos-sarx (modello teologico alessandrino – il Logos
eterno fa sua direttamente la carne umana, parte dalle parti che si uniscono) e modello Logos-antropos
(modello cristologico antiocheno – enfatizza sul fatto che l’umanità e la divinità del Logos sono
integralmente presenti nell’unione, parte dal tema dell’unità). Possono essere presi in termini ortodossi o
meno, utilizzati nel rispetto della fede condivisa dalla comunità cristiana o interpretati in modo radicale fino
al punto di dire qualcosa di vero ma anche di esprimere degli aspetti che non sono conciliabili con la fede
della comunità.

Il modello Logos-sarx può condurre a dire:

- Che il Logos si unisce ad una umanità (CARNE al massimo animata dall’anima sensitiva) non
integrale, non completa (cfr. Apollinare di Laodicea e Eutiche);

Il modello Logos-antropos può condurre a dire:

- Che si tratta di una DICOTOMIA tra la dimensione umana e la dimensione divina, uomo completo e
il Logos malamente uniti tra loro (cfr. Nestorio_Nestoriani, coloro che interpretano il modello in
modo fortemente divisivo);

Al fondo di questi due modelli interpretativi c’è un interesse di carattere soteriologico. L’uomo non è nelle
condizioni di salvarsi da solo, era necessario che Dio stesso si facesse carico di questo cambiamento, di una
nuova creazione; perché ciò avvenga l’uomo deve essere assunto completamente da Dio. Dunque, è un
motivo di ordine soteriologico quello che spinge i teologici alessandrini e antiocheni, persino coloro che poi
si posizionano in interpretazioni radicali. Da un lato era necessario che tutto Dio e tutto l’uomo fossero
presenti nel soggetto teandrico, perché soltanto così era garantita la salvezza ma allo stesso tempo era
necessario che le due dimensioni fossero veramente unite, perché quella salvezza fosse reale. Se l’uomo e
Dio in questa unione restassero due soggetti distinti la salvezza sfumerebbe, come se mancasse qualcosa di
una o dell’altra dimensione. Entrambi enfatizzano su due aspetti, l’unità e la presenza completa delle due
dimensioni, che però rischiano di essere estremizzati fino a far si che la divinità pregiudichi la condizione
umana o che le due dimensioni pregiudichino l’unica persona, il soggetto unitario, necessario a garantire la
salvezza dell’uomo. Tutta la controversia cristologica sarà tesa a garantire una formula che garantisca le
esigenze dell’uno e dell’altro modello.
Nel primo modello è il Logos il centro di tutta l’azione di Gesù, dando meno importanza al soggetto umano,
perfettamente unito al Logos, ma che ha la sua dimensione che non può non essere considerata. Il limite
dell’altro modello è quello di rilevare la presenza integrale delle due dimensioni, fino a farne due soggetti.

Apollinare di Laodicea – vescovo di questa grande città, non lontana da Antiochia, in Siria dove è diffuso il
modello Logos-antropos. Apollinare propone, in questo clima avverso, il suo modello Logos-sarx.
Apollinare era grande amico di Atanasio e sul fronte della questione trinitaria era un vetero niceno. Lo
schieramento antiariano era piuttosto diviso, il pericolo attuale e il problema di Atanasio era quello di
occuparsi di questa questione rimandando quindi l’interesse di Apollinare per il nuovo modello cristologico
(alcuni cenni li troviamo in una lettera di Atanasio nel 362 rivolta ai vescovi antiocheni, in occasione del
Concilio di Alessandria – cap. legato alla cristologia: termini come escamotage per tenere tutti nel calderone
antiariano, necessario per opporsi alla dottrina e non aprire un altro fronte – oltre al problema terminologico
c’era il problema di fondo: le espressioni apollinariste avrebbero spaccato ulteriormente il fronte che
necessariamente doveva rimanere unito nelle controversie trinitarie).

Modello di Apollinare - uomo tripartito

Nous - intelletto

Psychè - anima sensitiva

Sarx - carne

L’uomo Gesù sarebbe costituito dalle due dimensioni più basse e il nous è sostituito completamente dal
Logos. Se fosse rimasto il nous umano, nello stesso soggetto unitario sarebbero stati presenti due centri di
pensiero e di azione: quello umano e quello del Logos divino. Con lo stesso modello cristologico Ario nega
la divinità, Apollinare nega la pienezza dell’umanità in Cristo.

Frammento sull’unione, Apollinare:

- I discepoli di apollinare fecero passare i suoi testi sotto il nome di altri autori ortodossi salvando così
per noi i testi di questo autore;
- Il Logos prende il posto del nous e della psychè, pertanto, unirebbe a sé soltanto la sarx (questa è una
delle espressioni più radicali, in seguito escluderà solo il nous) – le accuse diranno che il Logos
unisce a sé non un uomo ma un semplice pezzo di carne;
- Il problema alessandrino è tenere insieme due ipostasi in un'unica persona, senza divisione, senza
che soffra una frattura interna; da una parte il Logos deve assumere un’umanità completa allo stesso
tempo non può assumere un’astrazione ma può assumere un singolo uomo, che però non è l’umanità
completa. Per Apollinare questo è un problema, ai suoi occhi è impossibile; quindi, diventa
inevitabile eliminare ciò che rende l’uomo veramente tale, la forma che da l’essere alla materia, che
rende ciascuno una persona, eccetto la dimensione della sarx.

*Come queste due dimensioni stiano insieme non in modo dicotomico ma così inscindibilmente e insieme ma
integralmente presenti, da garantire la salvezza vera, non di una umanità generica ma dell’uomo in tutte le
sue dimensioni.

Apollinare troverà contrasti da chi vuole garantire la presenza completa delle due dimensioni (teologi di
area antiochena, Teodoro di Tarso, ecc.) e sul versante del suo stesso schieramento.

18^ lezione del 08/04/2022

Lettera a Gioviano, Apollinare:


- “per la nostra salvezza”; non manca mai un rilievo soteriologico in questi testi;
- “figlio dell’uomo secondo la carne”, dice qualcosa in cui non crede profondamente ma sta parlando
all’imperatore;
- Il Figlio di Dio non presenta due realtà che corrispondono in qualche modo a due centri di pensiero e
di volontà e di azione che creerebbero la dicotomia di matrice antiochena, ma una sola natura che si
è incarnata.

Alla posizione di Apollinare si oppongono, da un lato i teologi di origine antiochena e critiche arriveranno
anche da coloro che erano stati sostenitori di Apollinare, in ambiente alessandrino e in ambiente cappadoce;
discepoli del pensiero di Basilio in particolare Gregorio di Nazanzio e Gregorio di Nissa.

Risposta di Gregorio di Nazianzo ad Apollinare, (a un suo corrispondente tra il 381 e il 382 - Vescovo a
distanza della diocesi di Nazianzo portata avanti da Cledonio. Quest’ultimo lo informa della diffusione delle
dottrine di Apollinare motivo per cui si impegna in una lunga risposta per correggere la dottrina
apollinarista) modello durante tutta la controversia per ricordare che questo soggetto è pienamente Dio e
uomo:

- “uno solo e lo stesso”, terminologia non tecnica ma espressione diffusa nel tempo per dire l’unità del
soggetto;
- Per gli apollinaristi non viene salvata l’anima dell’uomo perché Dio non la unisce a sé (cfr. gnostici
salvano solo gli pneumatici, resta fuori dalla salvezza la dimensione materiale, carnale); per i Padri:
perché tuto l’uomo si salvi tutto l’uomo deve essere assunto;
- È tutto l’uomo che deve essere rinnovato perché è tutto l’uomo che ha commesso il peccato;
- “Madre di Dio” espressione diffusa probabilmente dal III sec. (attestazione su papiro di una
preghiera in Egitto rivolta a Maria come genitrice di Dio)
- “Due sono infatti le nature” (physis, nell’unico soggetto ci sono due nature complete, che non
mancano di nulla: tutto Dio e tutto uomo);
- Mentre per l’unione delle due dimensioni dobbiamo pensare a due neutri riuniti nello stesso soggetto
allo men kai allo άλλο μέν…), all’opposto nella Trinità riconosciamo una natura comune condivisa e
tre soggetti;
- Gregorio inquadra bene il problema, chiarisce il bisogno di tenere insieme due elementi che sono
affermazione di un soggetto unitario e di due nature complete;
- Enfatizza la dimensione del nous nell’uomo ma non viene meno il ragionamento di fondo per cui
nulla può essere tolto dall’uomo, sia che si tratti di una concezione unitaria o tripartita, perché
verrebbe meno l’uomo che deve essere salvato dal Logos incarnato;
- Gregorio ha capito il problema di Apollinare: come tenere insieme le due realtà che se sono
complete e perfette e quindi da pensarsi in termini di due ipostasi, di due soggetti?;

19^ lezione del 26/04/2022

20^ lezione del 29/04/2022

Lettura da Lettera a Cirillo, Nestorio:

- Difficoltà di Nestorio e condivisa con il suo ambiente teologico; il pròsopon in generale della
teologia degli antiocheni non riesce a esprimere pienamente l’unità del soggetto. Christos altro non
è, agli occhi di un antiocheno, che una debole congiunzione, una maschera dietro la quale restano
due identità così fortemente distinte che si fa fatica a cogliere la congiunzione più profonda (espressa
dal termine συνάφεια, termine che non utilizzerebbero mai degli alessandrini che invece impiegano
“unione” per indicare che tale unione delle dimensioni umana e divina si radica su un soggetto
unitario, unico soggetto al quale in modo unitario aderiscono le due dimensioni: un’unica ipostasi) –
lo scopo è la salvezza integrale dell’uomo (tenere insieme le due dimensioni nella loro inscindibile
unione);
[4]
- “loro maestro”, dei padri:
- “Cristo”, tra virgolette per indicare la non consistenza del soggetto, modo in cui viene espressa la
congiunzione; questo pròsopon, il Christos al quale si attribuisce la passione, tiene unite le
dimensioni in termini che non ci restituiscono un soggetto forte; ma non sta dicendo qualcosa di
lontano dalla fede della comunità. Per questo, malgrado il sentire divisivo, questi testi non
restituiscono una visione non eterodossa della fede cristologica; chi accentuerà gli aspetti che
potranno essere interpretati in termini non ortodossi saranno gli alessandrini, come Cirillo che
enfatizzerà nel contesto di quella politica ecclesiastica orientale illustrata nelle lezioni precedenti.
Dovremmo dire che Nestorio ha esposto una dottrina cristologica che nel tempo estremizzata
avrebbe portato a una riflessione cristologica non più conciliabile con la fede della comunità
cristiana ma attenendosi a ciò che dice nel testo, l’unico limite che possiamo riconoscere è il limite
del modello cristologico antiocheno che fanno fatica, e se ne rendono conto, ad esprimere il soggetto
così come il modello cristologico alessandrino permetteva di fare;
- [7] riconoscono benissimo le due dimensioni, non riescono a spiegare come si coniugano tra loro;
- Piuttosto che dire “madre di Dio” sottomettendo la divinità a una nuova nascita, causa la
congiunzione debole del soggetto preferisce dire “madre di Cristo”: se Cristo è la congiunzione è
madre del soggetto in termini antiocheni (madre del pròsopon)
- Ragionamento che prosegue su due binari che non riescono ad incontrarsi mai (dicotomia profonda
che nei termini del pròsopon tiene unite queste due dimensioni che corrono parallele, se pur
congiunte in modo debole dagli elementi perpendicolari a queste due linee che corrono
parallelamente – modo divisivo che tenta di trovare, attraverso il linguaggio utilizzato, un modo di
tenere unite le due dimensioni ma non vi riesce) – al fondo il problema
-
- In un ragionamento antiocheno questo pròsopon sembra un terzo aggiunto per tenere insieme i due
binari, in un a logica alessandrina tutto ciò è incomprensibile perché il binario è unico;
- Se non si fosse arrivati a una polemica così accesa, dal punto di vista dottrinale, politico ed
ecclesiastico, forse il problema cristologico sarebbe rimasto diviso; sarà sottoscritta una formula
cristologica di unione, premessa del successivo dibattito che porterà ad esprimere il problema di
fondo: come esprimere l’unità inscindibile e l’integrale presenza delle due nature nell’unico mistero
di Cristo;

Cristologia cirilliana – ha all’inizio una posizione morbida che si irrigidisce nell’andare avanti della
controversia cristologica. Punto di riferimento per la cristologia ortodossa ma anche per la cristologia dei
monofisiti: coloro che ripescando l’insegnamento di Apollinare di Laodicea, porteranno avanti una
cristologia così unitiva che sottrarrà qualcosa alla divinità o all’umanità e che la chiesa condannerà come
eterodossa al pari degli sviluppi nestoriani (divisivi).

Seconda lettera a Nestorio, Cirillo:

- Punto di vista che riposa sulla rivelazione: unico soggetto incarnato nel grembo della Vergine,
facendo tutta sua l’umanità in modo misterioso che deve essere spiegato fin dove possibile;
- [3] concilio di Nicea – si parte dal soggetto;
--- partire dal testo per assimilare le questioni poste

--- schematizzare a partire dalle questioni per ricostruire lo sviluppo del pensiero

--- dal testo per ricostruire il profilo dell’autore (ogni autore è figlio di una storia)
21^ lezione del 03/05/2022

- [4] ha avuto una generazione eterna dal Padre, con cui è consustanziale e una generazione nel tempo
da una donna, con la quale è consustanziale - due dimensioni pienamente presenti;
- “per noi e per la nostra salvezza” (riferimento continuo all’orizzonte soteriologico)
- Il Logos unisce alla sua ipostasi tutta la natura umana completa - siamo di nuovo al punto cruciale
della cristologia: come può essere una sola ipostasi se sono due i centri di volontà e di azione?
Cirillo: per fede diciamo che l’ipostasi è una e che unisce a sé né un’umanità generica, né limitata,
bensì INTEGRALE;
- Secondo l’ipostasi, questo unisce a sé tutta l’umanità – unico modo per garantire “per noi e per la
nostra salvezza”;
- [6] “Adoriamo invece l’uno e il medesimo, perché il suo corpo non è altro dal Verbo: con questo
egli siede accanto allo stesso Padre, non come se sedessero due Figli, bensì uno solo, secondo
l’unione con la propria carne.” (linguaggio unitivo, non usa “insieme” perché non ci sono due
soggetti);
- La cristologia di Nestorio è così divisiva da far pensare ad un alessandrino che avrebbe portato a
distinguere un Figlio dall’altro, quello eterno e quello nato dalla Vergine Maria; sappiamo che
Nestorio, pur con i suoi limiti, non è mai arrivato ad ammettere questa posizione binaria;
- “razionalmente animato”: caro Nestorio non puoi accusarmi di essere apollinarista!

Formula di unione:

- Lontanamente un modello di quella sintesi tra le due tradizioni teologiche che poi ritroveremo nel
concilio di Calcedonia del 451;
- Formula del 433, esito del concilio;
- “Dio perfetto e uomo perfetto”: dice tutta la verità ma non entra in espressioni tecniche e di
linguaggio che potrebbero creare problemi alle diverse posizioni;
- “per anima razionale e corpo”: vs Apollinare
- “egli stesso”: Cirillo, il soggetto è proprio quello che è stato generato ab eterno dal Padre, non è un
altro;
- “l’unione di due nature”: (Apollinare – una sola natura) (Cirillo pensando che non fosse di
Apollinare ma di A, la utilizza per intendere una sola natura che ha in sé due dimensioni) – unità,
non congiunzione, e le due parti sono definite come due nature, proprio come gli antiocheni e gli
occidentali volevano sentir dire;
- “tempio assunto”, terminologia antiochena, altra concessione al linguaggio tipico lontano dalla
sensibilità di Cirillo;

File 17 – Teodoreto di Ciro è esistito e ha fatto lo sforzo di esprimere meglio l’unità del soggetto

Dopo il 433 tutto sembrava riconciliato sotto la formula trovata da Cirillo e sottoscritta dai vescovi
antiocheni. Alcune circostanze sono favorite dalla forza e dal carisma di una persona, in questo caso da
Cirillo che fino alla morte riesce a riunire tutti sotto questa formula di compromesso. Dopo la sua morte
ognuno torna più o meno sulle sue posizioni.

Il problema della contesa tra Costantinopoli e Alessandria viene scatenato da un monaco costantinopolitano,
Eutiche. Propagandava una forma di cristologia, di matrice alessandrina radicalizzata, per cui parlava di una
sola natura di Cristo; contro l’accordo del 433 Eutiche parla di una sola natura e bisogna spiegare come
quest’unico soggetto tenga insieme tutta l’umanità e tutta la divinità. Viene condannato da san Flaviano.
Purtroppo, questo monaco oltre a propagandare le sue idee era uno che si infilava spesso nel palazzo
imperiale e aveva degli ecclesiastici e delle persone importanti come amici, compreso Teodosio II. Poco
esperto di teologia ma ben consapevole che queste sorte di dibattiti avrebbero potuto portare delle divisioni
che avrebbero minato l’ordine pubblico, che invece aveva molto a cuore. Tutta l’area siro-palestinese e
l’Egitto erano zone in cui moltissimi la pensavano come Eutiche, la fascia che divideva l’Impero Romano dai
Persiani dove a maggior ragione era necessario mantenere l’ordine.

*Concilio Vaticano I – infallibilità del papa (necessità di esplicitazione di questo dogma sulla base del
contesto storico politico dell’epoca)

22^ lezione del 05/05/2022

Leone Magno e l’esito della controversia nel Concilio di Calcedonia

Fino al 444, data di morte di Cirillo di Alessandria, la sua autorità, il suo prestigio, connesso alla Formula di
unione aveva preservato un consenso intorno a quella formula di unione che per circa un decennio aveva
calmato le acque. Intorno al 448-449, a seguito della predicazione di un monaco costantiniano Eutiche, che
aveva riproposto una formula radicalizzata del modello cristologico alessandrino, così fortemente unitiva da
sottrarre qualcosa alla dimensione umana di Cristo per garantire l’unione. San Flaviano, vescovo di
Costantinopoli, fu umiliato da Eutiche e da chi lo sosteneva, morì deposto dalla sede papale. Roma,
tradizionalmente fedele alla sede alessandrina, in questa sede assume una posizione a difesa di Flaviano e
quindi contro Eutiche e chi lo sosteneva, e l’imperatore e il vescovo di Alessandria. La morte di Teodosio
cambia le carte in tavola: Eutiche non ha più l’appoggio dell’autorità imperiale (segno del ruolo determinante
dell’autorità papale nelle questioni dottrinali di questi secoli). (13) e un altro tema ancora, l’aspetto etnico-
culturale. Queste regioni nelle quali si diffonde il monofisismo sono aree eccentriche rispetto al cuore del
mondo ellenistico, della cultura greca, aree di cultura semitica e poi c’è l’Egitto, luogo dove malgrado
l’ellenizzazione iniziata all’epoca di Alessandro Magno, le masse continuano a parlare le loro lingue e a
vivere secondo la cultura semitica; saranno i copti in Egitto. I cristiani dell’impero venivano chiamati dai
monofisiti i melchiti (uno che aderisce alla politica religiosa dell’impero). Imperatrice sua sorella, e
imperatore suo marito anti-monofisita e ciò permetterà di trovare le condizioni per un concilio che sancirà
come ortodossa la cristologia monofisita. Questa cercherà di tenere insieme e la cristologia alessandrina e il
meglio della cristologia antiochena. Un contributo valido provenne dagli occidentali, solitamente marginali
nelle dispute, per bene due volte: il contributo è offerto da papa Leone Magno che scrive una lunga lettera al
vescovo Flaviano di Costantinopoli nella quale fa sintesi di tutto ciò che di meglio era stato espresso da quei
due modelli cristologici, in una sintesi che i latini avevano raggiunto grazie a una tradizione cristologica che
teneva insieme e l’unità del soggetto e la distinzione delle due nature. (25)

File 18 – Lettera dogmatica a Flaviano di Costantinopoli, Leone Magno

- Fino al V secolo non troviamo l’espressione “Papa”, solo da questo momento troviamo il termine
raramente;
- Il vescovo di Roma non dice di avere ragione ma richiama il metodo del teologo (rivelazione
interpretata, celebrata e rivelata dalla comunità cristiana);
- Accanto alla rivelazione scritta richiamo della rivelazione della prassi, della tradizione (es.
Battesimo);
- La divinità non è stata alterata in nessun modo dalla nascita;
- Tipico affastellate testi che mettano in luce e la dimensione umana e la dimensione divina
nell’interpretazione che la chiesa aveva affidato a questi brani;
- La tradizione latina, in sintonia con il modello antiocheno, parte dalle due dimensioni per confluire
in un’unica persona;
- “persona”, per un latino come Leone non è il pròsopon di Nestorio, non è il nome comune delle
nature ma è il soggetto che agisce, l’ipostasi di Cirillo - c’è ancora dietro questa espressione che la
persona sia l’esito dell’unione delle nature;
- La controversia cristologica è una summa di tante questioni (30);
- “entrambe le forme, una con la partecipazione dell’altra, operano ciò che è proprio di ognuna” – il
soggetto agisce nella sua dimensione umana ma non senza la sua dimensione divina; una non può
essere senza l’altra (morte di Lazzaro, passione di Cristo);
- *Talvolta la dottrina calcedonese viene accusata di aver ceduto troppo al linguaggio della filosofia,
alla concettualizzazione delle scuole filosofiche del tempo. Uno dei padri di Calcedonia, in un
intervento dopo il Concilio, utilizza l’espressione “non aristotelicae sed pescatori che stanno
trasmettendo la fede che hanno ricevuto”.

23^ lezione del 06/05/2022

- Ripercorre esempi manifestativi dell’una e dell’altra dimensione (p. 431);


- Leone riesce ad individuare molto meglio di coloro che comunque accoglie, le due dimensioni e a
tenerle insieme: “una sola è la persona del Dio e dell’uomo”;
- Figlio di Dio – divinità / Cristo – umanità (a differenza del Christos di Nestorio);
- Tutto l’accento post-pasquale sulla presenza di Gesù con gli apostoli per illuminarli e aiutarli a
comprendere i misteri non chiari finora (la fede della risurrezione non posa su una tomba vuota ma
sul fatto che il Signore appare loro in forma umana per annunciare e trasmettere la fede) vuole
sottolineare gli elementi fondamentali della comunità post-pasquale, quindi della Chiesa e del
ministero episcopale dell’autore;
- Il primato dell’episcopo e la realtà comunitaria sono realtà ecclesiali che si muovono insieme;
- Vs Eutiche: nell’unica natura divina è stata assorbita la dimensione umana;
- La questione non è solo cercare di capire come tenere insieme le dimensioni umana e divina in una
sola persona ma dimostrare come questa duplicità sia funzionale nell’orizzonte soteriologico;
- [6] la dottrina dei monofisiti è questa: affermare una sola natura del Logos incarnato. È possibile
distinguere razionalmente, in modo astratto ma di fatto nell’unione c’è solo una natura, una è
assorbita dall’altra.
- *monofisiti verbali: affermano a parole una sola natura, una sola ipostasi e in questa sono presenti
completamente tutta la divinità e tutta l’umanità, unite e non distinte (pugna verborum secondo gli
occidentali); [gli autori orientali non potevano accogliere il linguaggio delle due nature perché
sarebbe sembrato un rimando a Nestorio]

Tutta la regione della Siria, della Palestina e dell’Egitto, nel corso del VII secolo usciranno fuori dal
panorama della chiesa imperiale e si ritroveranno nel mondo islamico per cui non avranno più motivo di
contesa con la fede della chiesa imperiale.

Muore Teodosio II, sostenitore di Eutiche e dell’accordo con i monofisiti; il trono passa alla sorella, Santa
Pulcheria che promuoverà il concilio di Calcedonia nel 451 per ricondurre la chiesa imperiale su una
posizione di medietà, verso un accordo tra le posizioni alessandrina e antiochena, cercando di salvaguardare
la cristologia antiochena che difendeva le due dimensioni. Al concilio da un grande contributo la lettera di
Leone. Al contrario del concilio di Efeso precedente, che non aveva prodotto un simbolo di fede, ritiene
opportuno scrivere un testo di riferimento e di sintesi della fede cristologica, così come era stato fatto a Nicea
e a Costantinopoli per la sintesi della vita intra divina.

Simbolo di Calcedonia:

- I padri di Calcedonia partono dal modello alessandrino, integrandolo della cristologia antiochena,
riconoscendo il contributo di Cirillo;
- “anima razionale (contro Apollinare) e corpo (contro il docetismo)”;
- “consustanziale al Padre” (dottrina nicena);
- “si fa conoscere in due nature” – persistono nell’unità del soggetto altrimenti elimineremmo il
mistero;
Subito dopo il concilio di Calcedonia, sotto gli imperatori successivi, la dottrina viene diffusa, è la dottrina
ufficiale dell’impero, come il Codice (fatto da Teodosio II). L’imperatore deve fare i conti con la realtà: una
buona fetta del suo impero non ne vuole sapere di Calcedonia, o perché monofisiti radicali, o perché
monofisiti verbali e quindi inevitabilmente l’imperatore si trova a cercare vie di conciliazione. Tutti i
tentativi di accordo falliscono perché sono tentativi di carattere politico, si cercano delle formule di
compromesso che mettano d’accordo tutti e poi nella realtà dispiacciono tutti scavando ulteriormente le
divisioni.

Come stanno insieme due nature eterogenee in un unico soggetto, essendo una realtà inscindibile e non due
centri di attività indipendenti? Gli sviluppi della cristologia che non possiamo ripercorrere nei dettagli
arrivano a pensare questa umanità integrale, proprio come la nostra [san Massimo il Confessore dovrà
combattere contro chi postula una sola volontà, ricadendo in una formula monofisita (monoenergiti,
monoteliti)]. Il contesto del dibattito è quello dei monaci sciiti. Originari del mar Nero, di cultura e lingua
latina (Dacia romana), in rapporto con Costantinopoli e il mondo greco, fondano la loro teologia su
Sant’Agostino. Loro come tanti altri arrivano progressivamente a mettere a fuoco la dottrina della
ENIPOSTASIA, en (in) + iupostasis (ipostasi). L’umanità di Cristo non può essere una umanità generica,
questa umanità appoggia sé stessa sull’ipostasi del Logos. Chi garantisce che l’uomo sia veramente tale e
non un’astrazione è la presenza dell’ipostasi del Logos, la seconda persona della Trinità, che garantisce il
fatto che questa umanità sia un uomo, un soggetto.

Calcedonia ha esplicitato che non si può essere nella fede della Chiesa senza riconoscere un unico soggetto e
la piena presenza dell’umanità e della divinità. L’unico modo è ribadire che l’unico soggetto è l’ipostasi del
Logos che garantisce la vera umanità di Gesù. Interessa loro dire che non è stata salvata l’umanità ma
ognuno di noi.

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