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IL CRISTO

Volume II
T E S T I T E O L O G IC I E S P IR IT U A L I
IN L IN G U A G R E C A
D A L IV A L V I I S E C O L O

a cura
di Manlio Simonetti

F O N D A Z IO N E L O R E N Z O VALLA
A R N O LD O M O N D A D O R I E D IT O R E
Questo volume è stato pubblicato
grazie alla collaborazione della
Banca Nazionale del Lavoro S.p.A.
e della
Fondazione Cariplo

ISBN 88-04-26988-X

Grafica di Vittorio Merico

© Fondazione Lorenzo Valla 1986


l edizione ottobre 1986
V edizione febbraio 2001
T E S T I E T R A D U Z IO N I
Parte Prima
C R IS T O C R E A T O R E E R E D E N T O R E
IN D U E T E S T I
D E L L ’IN IZ IO D E L IV S E C O L O
Le discussioni e i contrasti d ’argomento cristologico, già vivi du­
rante il II e III secolo, aumentarono grandemente di tono e
asprezza a partire dall’inizio della crisi ariana (320) e continuaro­
no, pur fra alti e bassi e con varietà di obiettivi, fino al VII secolo
inoltrato, polarizzando intorno a sé, soprattutto in oriente, i
migliori ingegni della cristianità e quasi tutto l’impegno letterario
riguardante Cristo. M a nonostante l’importanza essenziale dei
temi in discussione, le parti in contrasto avevano in comune fra
loro, all’inizio della crisi, un’ampia piattaform a ideologica relati­
va al rapporto fra Cristo e il mondo, cioè il nucleo essenziale della
religione cristiana. Perciò, prima di trattare dei vari momenti
della controversia, intendiamo rilevare questa convergenza di
fondo presentando due brani rispettivamente di Eusebio di Cesa­
rea e Atanasio di Alessandria. Si tratta di due grandi protagoni­
sti, che nel contesto della controversia ariana militarono in campi
avversi e che anche personalmente furono fra loro in pessimi
rapporti. Proprio per questo la loro convergenza di fondo assume
un importante significato.
Tale convergenza deriva dal fatto che ambedue fondano la
loro riflessione su uno schema teologico, relativo al rapporto fra
Dio e il mondo, largamente operante fin dal II secolo ed elabora­
to, al di là dell’incidenza gnostica, sotto l’influsso della filosofia
medioplatonica. In sostanza tale schema, per colmare lo iato che
divide fra loro Dio assolutamente trascendente e il mondo della
creazione, afferma la presenza e l’opera di un essere divino inter­
medio (o anche di una pluralità di esseri divini). Trasferita in
ambiente cristiano, tale concezione accentua la funzione media­
trice di Cristo, estendendola dalla sua componente umana a quel­
la specificamente divina e valorizzando, accanto alla sua funzione
12 PARTE PRIMA

soteriologica, anche quella cosmologica, certamente presente già


in Paolo e Giovanni ma in secondo piano rispetto all’altra.
C osì la funzione mediatrice di Cristo viene ad assommare ed
esaurire in sé tutto il rapporto fra Dio e il mondo. E lui che, in
quanto Logos e Sapienza di Dio, per volere del Padre opera la
creazione del mondo sulla base degli archetipi ideali presenti in
lui. E lui che, dopo il peccato dell’uomo, comincia gradualmente
l’opera di recupero operando sui patriarchi e poi sul popolo d ’I­
sraele, attraverso tutta l’economia veterotestamentaria, per pre­
parare progressivamente gli uomini alla comprensione del mo­
mento forte di tale opera di recupero. E lui che, nella pienezza
dei tempi, discende dal cielo e s’incarna nel seno di Maria per
operare, mediante passione-morte-risurrezione, la salvezza del­
l’uomo e la sua liberazione dalla tirannia del peccato e della mor­
te. E lui che, alla fine dei tempi, tornerà nella gloria per giudi­
care i vivi e i morti.
Q uesta concezione della storia della salvezza, insieme sempli­
ce e grandiosa, era destinata a modificarsi e ridursi non di poco
per effetto dello sviluppo della riflessione cristologica che si at­
tuò nel contesto della controversia ariana e che portò gli avversa­
ri di Ario della terza generazione a conclusioni che i primi avver­
sari dell’eresiarca difficilmente avrebbero potuto prevedere. Pro­
prio per questo presentiamo due testi di parte avversa che, pur
con accentuazioni personali dovute anche allo scarto cronologico
che divide fra loro le due opere, testimoniano, agl’inizi della
grande crisi, la convergenza delle parti in contrasto sul tema ba­
silare della storia della salvezza.
1. E u sebio, Storia ecclesiastica I 1, 7 - 1 4, 15

Eusebio di Cesarea all’inizio della Storia ecclesiastica presenta figura,


opera, significato di Cristo in un passo sintetico che compendia bene
le sue idee più caratteristiche sull’argomento, non solo in ambito
teologico ma anche apologetico, più diffusamente trattate in altre
opere. Il passo si può dividere in quattro parti: I 2, 1-1 2, 16, natura
e opera di Cristo prima dell’incarnazione; I 2, 17-1 2, 27, perché
Cristo non è stato annunciato già anticamente e a tutti gli uomini; I
3, 1-1 3, 20, significato dei nomi Gesù e Cristo; I 4, 1-1 4, 15,
antichità dell’insegnamento di Cristo. Dopo questo testo introdutti­
vo, Eusebio comincia il racconto storico vero e proprio, a partire
dall’incarnazione.
Nella prima delle quattro parti Eusebio, continuando l’insegna­
mento degli apologisti e di Origene, e fondandosi su una serie di
passi scritturistici già tradizionali in questo senso, presenta Cristo
come un essere divino preesistente all’incarnazione, vero e unigenito
Figlio di Dio, da lui generato con generazione ineffabile, suo Logos
e Sapienza, cui il Padre delega, come ad un ministro, la creazione e
il governo del mondo, secondo una evidente gradazione di autorità e
dignità nel mondo divino. Egli è anche il soggetto delle teofanie,
cioè delle apparizioni di Dio ai patriarchi e a Mosè, così come sono
raccontate in Genesi ed Esodo, apparizioni che hanno la finalità di
far conoscere Dio agli uomini che di tale conoscenza sono degni.
Il tema delle teofanie introduce la seconda parte della trattazione
con un argomento apologetico molto scottante. «Perché cosi tardi?»:
perché il Figlio di Dio ha tardato tanto ad incarnarsi per redimere
l’uomo e non lo ha fatto subito dopo il peccato? Era un’obiezione
che già Celso aveva mosso ai cristiani sul finire del II secolo e alla
quale Origene aveva risposto invocando la gradualità pedagogica nel
processo laborioso della salvezza dell’uomo, una salvezza che l’uomo
deve essere in grado di accogliere liberamente e può farlo soltanto
14 EUSEBIO

dopo adeguata educazione. Eusebio riprende questo motivo e lo


tratta rifacendosi a descrizioni tradizionali nel mondo pagano, rela­
tive alla degradazione dell’uomo successiva alla primitiva età dell’o­
ro. Poiché gli uomini erano imbestialiti a causa del peccato, il Logos
divino cominciò a rivelarsi con gradualità, sia per mezzo di angeli sia
in modo personale, ma solo a poche persone degne. Progressivamen­
te la rivelazione si estese all’intero popolo d’Israele, mentre i semi di
conoscenza diffusi anche presso gli altri popoli li incivilivano e li
rendevano idonei ad accogliere il grande evento. A questo punto,
si è avuta l’incarnazione del Logos che con il suo insegnamento di­
retto e la sua morte e risurrezione ha operato definitivamente la
redenzione.
La terza parte spiega il significato dei nomi Gesù e Cristo e si
sofferma soprattutto su quest’ultimo. Cristo («unto») è il termine
greco che corrisponde all’ebraico Messia, perché la prerogativa di
questo inviato di Dio sarebbe stata la triplice unzione: regia, profe­
tica e sacerdotale. L ’unzione perciò era considerata specificamente
pertinente all’opera redentrice di Cristo; ma già nel II secolo (Giu­
stino, Ireneo) anche l’azione cosmologica del Logos era stata collega­
ta ad un’unzione cosmica, che rilevava la signoria di Cristo su tutto
il mondo creato. Qui Eusebio sviluppa soprattutto il tema dell’un­
zione in senso soteriologico, rilevando la superiorità di Cristo su
tutti gli unti, cioè « i cristi», del Vecchio Testamento (sacerdoti, re,
profeti), poiché la sua unzione, immateriale e spirituale, non realiz­
zata per mezzo di simboli e figure, egli l’ha ricevuta in quanto parte­
cipe della divinità del Padre. Per questo è il Cristo per antonomasia,
e solo da lui hanno tratto nome i cristiani, che lo adorano come Dio
e per lui sono disposti anche a morire.
L ’ultima parte della trattazione, che non ha intrinseco collega­
mento con la precedente, presenta un altro argomento di grande
significato apologetico. Da sempre i pagani avevano rinfacciato ai
cristiani di essere un popolo nuovo, senza tradizione e successione
ab antiquo cui rifarsi, una massa di sradicati. La risposta a questa
accusa non era stata univoca, perché il fatto di essere di ieri, se da
una parte era motivo di inferiorità per certi cristiani, per altri invece
era motivo di vanto, giacché rilevava al massimo grado la rapidità
con cui i cristiani si erano diffusi in tutto il mondo, segno evidente
della protezione divina e del carattere divino del fondatore. Eusebio
non manca di rilevare anche questo motivo, ma si sofferma di più su
un altro, suo caratteristico, che egli sviluppò lungamente nella Prepa­
razione evangelica, e il ricorso a questo testo serve a chiarire qualche
punto troppo sintetico della trattazione di cui ci stiamo occupando.
I cristiani, avendo fatto proprio il Vecchio Testamento, si pote­
vano rifare alle antiche tradizioni del popolo giudaico; ma l’implaca­
bile ostilità fra loro e i giudei facilmente spingeva a rilevare più la
STORIA ECCLESIASTICA 15

frattura che non la continuità fra gli uni e gli altri. Per ovviare a tale
difficoltà Eusebio opera una distinzione fra ebrei e giudei: i primi
sono stati i patriarchi vissuti fra Adamo e Mosè, autentici depositari
della rivelazione divina. Con la Legge, necessaria per la durezza del
popolo israelitico, si è avuto il passaggio da ebrei a giudei, con
conseguente corruzione della primitiva rivelazione, che solo i
cristiani, mediante la predicazione profetica, hanno recuperato e
valorizzato. In tal senso nel nostro passo Eusebio collega diretta-
mente la religione cristiana alla rivelazione avuta da Abramo, al di là
della legislazione mosaica con quanto di simbolico e imperfetto essa
presentava agli occhi del cristiano. Così egli può sottolineare che
attraverso la rivelazione di Cristo attualmente i cristiani diffusi in
tutto il mondo praticano l’antichissima e perfetta religione ch’era
stata già di Abramo.
Per il testo di Eusebio che presentiamo abbiamo seguito l’edizio­
ne di G. Bardy, in Sources Chrétiennes 31, che sostanzialmente ripro­
duce quella di E. Schwartz, in Die Grìecbischen Christlichen Schrift-
steller 9.

Eusebio, vescovo d i C esarea di Palestina dal 313 circa al 340, ebbe fama
soprattutto come storico (oltre la Storia ecclesiastica, si ricordino la Cronaca e
la Vita di Costantino), ma si occupò molto di esegesi (Commentario ai Salmi,
Commentario a Isaia), di apologetica (Preparazione evangelica, Dimostrazione
evangelica) e di teologia, nel contesto della controversia ariana, in cui si
schierò, con prudenza, dalla parte di Ario (Contro Marcello, Teologa ecclesia­
stica). Appoggiò incondizionatamente la nuova politica inaugurata nei con­
fronti della chiesa da Costantino, di cui esaltò il ruolo di capo non solo
politico ma anche religioso dell’impero.

Bibliografia: D .C . W allace-Hadrill, E usebius of Caesarea, London 1960; J.


Sirinelli, Les vues historiques d ’Eusèbe de Césarée, D akar 1961; R. Farina,
L'impero e l'imperatore cristiano in Eusebio di Cesarea, Ziirich 1968; E . des
Places, Eusèbe de Césarée commentateur, Paris 1982.
1 , 7. Καί όίρξεταί γ έ μοι ό λόγος, ώς εφην, άπό τής κατά τον

Χριστόν έπινοουμένης ύψηλοτέρας καί κρείττονος ή κατά άνθρω­


πον οικονομίας τε καί θεολογίας. 8 . καί γάρ τον γραφή

μέλλοντα της έκκλησιαστικής ύφηγήσεως παραδώσειν τήν ιστο­


ρίαν, άνωθεν έκ πρώτης τής κατ’ αυτόν τόν Χριστόν, οτιπερ έξ
αύτοΰ καί τής προσωνυμίας ήξιώθημεν, θειοτέρας ή κατά τό
δοκοΰν τοΐς πολλοΐς οικονομίας άναγκαΐόν αν ειη κατάρξασθαι.
2, 1. Διττοΰ δέ δντος τοϋ κατ’ αύτόν τρόπου, καί τοΰ μέν
σώματος έοικότος κεφαλή, ή θεός έπινοεΐται, τοΰ δέ ποσί παρα-
βαλλομένου, ή τόν ήμΐν άνθρωπον όμοιοπαθή τής ημών αυτών
ενεκεν ύπέδυ σωτηρίας, γένοιτ’ αν ήμΐν έντεΰθεν έντελής ή τών
άκολούθων διήγησις, εΐ τής κατ’ αύτόν ιστορίας άπάσης άπό
τών κεφαλαιωδεστάτων καί κυριωτάτων τοΰ λόγου τήν ύφήγη-
σιν ποιησαίμεθα* ταύτη δε καί τής Χριστιανών άρχαιότητος τό
παλαιόν όμοΰ καί θεοπρεπές τοΐς νέαν αυτήν καί έκτετοπισμέ-
νην, χθές καί ού πρότερον φανεΐσαν, ύπολαμβάνουσιν άναδειχ-
θήσεται.
2 . Γένους μεν ουν καί αξίας αύτής τε ουσίας τοΰ Χριστοΰ

καί φύσεως οΰτις αν εις εκφρασιν αυτάρκης γένοιτο λόγος, η


καί τό πνεΰμα τό θειον έν προφητείαις «τή ν γενεάν αύτοΰ»
φησίν «τ ίς διηγήσετα ι;» (Is. 53,8), δτι δή οΰτε τόν πατέρα τις
£γνω, εί μή ό υιός, ουτ’ αυ τόν υιόν τις εγνω ποτέ κατ’ άξίαν,
εί μή μόνος ό γεννήσας αύτόν πατήρ (Εν. Matth. 11, 27). 3. τό
τε φώς τό προκόσμιον καί τήν προ αιώνων νοερόν καί ούσιώδη
1, 7. Il mio discorso comincerà, come ho detto, dall’economia
e dalla teologia1 che riguardano Cristo, che sono più sublimi e
importanti che se riguardanti l’uomo. 8. Infatti chi si accinge a
tramandare per iscritto il racconto della storia della chiesa deve
cominciare dall’inizio dell’economia che riguarda Cristo, poiché
siamo stati ritenuti degni di trarre anche il nome da lui, economia
che è più divina di quanto non sembri ai più.
2, 1. Poiché è duplice la condizione di Cristo, una ch’è simile
alla testa del corpo per cui è considerato Dio, e l’ altra paragonabi­
le ai piedi per cui, a causa della nostra salvezza, ha rivestito un
uomo soggetto come noi alle passioni, di qui risulterà completo il
mio racconto di ciò che segue se tratterò di tutta la sua storia,
cominciando dai punti più importanti e qualificanti dell’argomen­
to. Con ciò dimostreremo anche l’antichità e insieme la divina
dignità della primitiva condizione dei cristiani a quelli che la
ritengono nuova e straniera, apparsa ieri e non prima.
2. Nessun discorso è sufficiente a descrivere il genere e la
dignità della sostanza e della natura di Cristo, per cui anche lo
Spirito divino dice nelle profezie: «C h i descriverà la sua genera­
zione?» (is. 53, 8)2, giacché nessuno conosce il Padre tranne il
Figlio e nessuno conosce degnamente il Figlio tranne soltanto il
Padre che lo ha generato (Ev. Matth. 11, 27). 3. La luce ante­
riore al mondo, la sapienza intellettuale e sostanziale anteriore ai
18 EUSEBIO

σοφίαν τόν τε ζώντα καί έν άρχή παρά τώ πατρί τυγχάνοντα


θεόν λόγον τίς αν πλήν τοΰ πατρός καθαρώς έννοήσειεν; πρό
πάσης κτίσεως καί δημιουργίας όρωμένης τε καί άοράτου τό
πρώτον καί μόνον τοΰ θεοΰ γέννημα, τόν της κατ’ ούρανόν
5 λογικής καί αθανάτου στρατιάς αρχιστράτηγον (Ios. 5, 14), τον
τής μεγάλης βουλής άγγελον (Is. 9, 6 ), τόν τής άρρήτου γνώ­
μης τοΰ πατρός υπουργόν, τον τών απάντων συν τώ πατρί δη­
μιουργόν, τόν δεύτερον μετά τόν πατέρα τών δλων αίτιον, τόν
τοΰ θεοΰ παΐδα γνήσιον καί μονογενή, τόν τών γενητών άπάν-
ιο των κύριον καί θεόν καί βασιλέα τό κΰρος όμοΰ καί τό κράτος
αύτη θεότητι καί δυνάμει καί τιμή παρά τοΰ πατρός ύποδεδεγ-
μένον, 'ότι δή κατά τάς περί αύτοΰ μυστικάς τών γραφών θεο­
λογίας « έν άρχή ήν ό λόγος, καί ό λόγος ήν προς τόν θεόν, καί
θεός ήν ό λόγος* πάντα δι’ αύτοΰ έγένετο, καί χωρίς αύτοΰ
15 έγένετο ούδέ £ν» (Εν. Ιο. 1, 1-3).
4. Τοΰτό τοι καί ό μέγας Μωυσής, ώς αν προφητών απάν­
των παλαιότατος, θείω πνεύματι τήν τοΰ παντός ούσίωσίν τε
καί διακόσμησιν ύπογράφων, τόν κοσμοποιόν καί δημιουργόν
τών δλων αύτώ δή τώ Χριστώ καί ούδέ αλλω ή τώ θείω δη-
2ο λαδή καί πρωτογόνω έαυτοΰ λόγω τήν τών ύποβεβηκότων
ποίησιν παραχωροΰντα διδάσκει αύτώ τε κοινολογούμενον έπί
τής άνθρωπογονίας· «εΐπ εν γά ρ » φησίν «ό θεός- ποιήσωμεν
άνθρωπον κατ’ εικόνα ήμετέραν καί καθ’ όμοίωσιν» (Gen. 1 ,
26). 5. ταύτην δε έγγυδται τήν φωνήν προφητών άλλος, ώδέ
25 πως έν δμνοις θεολογών· «αυτός εΐπεν, καί έγενήθησαν· αύτός
ένετείλατο, καί έκτίσθησαν» (Ps. 32, 9), τον μεν πατέρα καί
ποιητήν είσάγων ώς άν πανηγεμόνα βασιλικω νεύματι προσ-
τάττοντα, τον δέ τούτω δευτερεύοντα θειον λόγον, ούχ ετερον
τοΰ πρός ήμών κηρυττομένου, ταΤς πατρικαΐς έπιτάξεσιν ύπουρ-
30 γοΰντα.
6. Τοΰτον καί άπό πρώτης άνθρωπογονίας πάντες δσοι δή
δικαιοσύνη καί θεοσεβείας άρετή διαπρέψαι λέγονται, άμφί τε
τόν μέγαν θεράποντα Μωυσέα καί πρό γε αύτοΰ πρώτος Α ­
βραάμ τούτου τε οί παΐδες καί δσοι μετέπειτα δίκαιοι πεφήνα-
STORIA ECCLESIASTICA 19

tempi, il Dio logos ch’è in principio presso il Padre chi, eccetto il


Padre, può comprendere in modo chiaro?: la prima e sola genitu­
ra di Dio anteriore a ogni creazione e produzione visibile e invi­
sibile, il capo supremo dell’esercito razionale e immortale ch’è in
cielo (Ios. 5, 14), l’angelo del gran consiglio (Is. 9, 6), il ministro
dell’indicibile consiglio del Padre, il creatore - insieme col Padre
- di tutte le cose, la seconda causa di tutte le cose dopo il Padre,
il figlio vero e unigenito di Dio, il signore dio re di tutte le
creature, che per divinità, potenza e onore ha ricevuto dal Padre
il potere e insieme la forza, perché secondo le parole divine e
misteriose che le Scritture gli dedicano: «In principio era il Lo­
gos e il Logos era presso Dio e D io era il Logos. Tutto è stato
fatto per mezzo di lui e senza di lui neppure una cosa è stata
fatta» (Ευ. Io. 1, 1-3).
4. Questo insegna anche il grande Mosè, il più antico di tutti
i profeti3, quando descrive, per ispirazione divina, la creazione e
organizzazione dell’universo: cioè, che il creatore del mondo e
artefice di tutte le cose proprio a Cristo e a nessun altro se non
al suo divino e primogenerato Logos ha affidato la creazione de­
gli esseri inferiori, e conversa insieme con lui per la creazione
dell’uomo: «D isse Dio: “ facciamo l’uomo a nostra immagine e
somiglianza” » (Gen. 1, 26). 5. Un altro profeta conferma que­
ste parole, parlando cosi di Dio in un punto degl’inni: «E g li
disse, e furono fatti; egli ordinò, e furono creati» (Ps. 32, 9),
presentando il Padre e Creatore che come un capo supremo ordi­
na con un cenno regale, e il Logos divino, ch’è secondo dopo di
lui e non è altri rispetto a quello che ci viene annunciato, che
ubbidisce agli ordini del Padre.
6. Questo L ogos4, anche tutti quanti (come si dice) si sono illu­
strati fin dalla creazione dell’uomo per giustizia e venerazione di
Dio, quelli che stavano con Mosè, il grande servitore, e prima di
lui Abramo per primo e i suoi figli, e quanti in seguito apparvero
20 EUSEBIO

σιν καί προφήται, καθαροΐς διανοίας δμμασι φαντασθέντες


£γνωσάν τε καί οια θεοΰ παιδί τό προσήκον άπένειμαν σέβας,
αύτός τε, ούδαμώς άπορραθυμών της τοΰ πατρός εύσεβείας, δι­
δάσκαλος τοΐς πάσι τής πατρικής καθίστατο γνώσεως. 7.
5 ώφθαι γοΰν κύριος ό θεός άνείρηται οΐά τις κοινός άνθρωπος τώ
Α βρα άμ καθημένω παρά τήν δρΰν τήν Μ αμβρή (Gen. 18, 1
sgg.)· ό δ’ ύποπεσών αύτίκα, καίτοι γ ε άνθρωπον όφθαλμοΐς
όρων, προσκυνεΐ μεν ώς θεόν, ικετεύει δέ ώς κύριον, ομολογεί
τε μή άγνοεΐν οστις εΐή, ρήμασιν αύτοΐς λ έγ ω ν « κύριε ό κρίνων
ίο πάσαν τήν γην, ού ποιήσεις κρίσιν; » (Gen. 18, 25). 8 . εί γάρ

μηδε'ις έπιτρέποι λόγος τήν άγένητον καί άτρεπτον ουσίαν θεοΰ


τοΰ παντοκράτορος εις άνδρός είδος μεταβάλλειν μηδ’ αΰ γενη-
τοΰ μηδενός φαντασία τάς τών όρώντων δφεις έξαπατάν μηδε
μήν ψευδώς τά τοιαΰτα πλάττεσθαι τήν γραφήν, θεός καί κύ-
15 ρως ό κρίνων πάσαν τήν γην καί ποιών κρίσιν, έν άνθρώπου
όρώμενος σχήματι, τίς αν ετερος άναγορεύοιτο, εί μή φάναι
θέμις τό πρώτον τών δλων αίτιον, ή μόνος ό προών αύτοΰ λό­
γος; περί ου καί έν ψαλμοΐς άνείρηται· «άπέστειλεν τόν λόγον
αύτοΰ, καί Ιάσατο αυτούς, καί έρρύσατο αύτούς έκ τών δια-
ζο φθορών αύτών» (Ps. 106, 20). 9. τοΰτον δεύτερον μετά τόν
πατέρα κύριον σαφέστατα Μωυσής άναγορεύει λέγων* « εβρεξε
κύριος έπί Σόδομα καί Γόμορρα θειον καί πΰρ παρά κυρίου»
(Gen. 19, 24)· τοΰτον καί τώ Ια κ ώ β αΰθις έν άνδρός φανέντα
σχήματι, θεόν ή θεία προσαγορεύει γραφή, φάσκοντα τώ Ία-
25 κώβ· «ούκέτι κληθήσεται τό δνομά σου Ια κ ώ β , άλλ’ Ισραήλ
εσται τό δνομά σου, δτι ένίσχυσας μετά θεοΰ», δτε καί «έκάλε-
σεν Ια κ ώ β τό δνομα τοΰ τόπου έκείνου Είδος θεοΰ», λέγων·
«είδον γάρ θεόν πρόσωπον προς πρόσωπον, καί έσώθη μου ή
ψ υ χ ή» (Gen. 32, 25 sgg.). 10. καί μήν ούδ’ ύποβεβηκότων
3ο άγγέλων καί λειτουργών θεοΰ τάς άναγραφείσας θεοφανείας ύ-
πονοεΐν θέμις, έπειδή καί τούτων δτε τις άνθρώποις παραφαίνε-
ται, ούκ έπικρύπτεται ή γραφή, όνομαστί ού θεόν ούδέ μήν
κύριον, άλλ’ άγγέλους χρηματίσαι λέγουσα, ώς διά μυρίων
μαρτυριών πιστώσασθαι ράδιον.
STORIA ECCLESIASTICA 21

giusti, e i profeti, contemplando coi limpidi occhi dell’intelligen­


za, - lo hanno conosciuto e gli hanno rivolto la dovuta venera­
zione come al Figlio di Dio. Egli poi, in nulla venendo meno alla
venerazione verso il Padre, si presentò a tutti come maestro della
conoscenza del Padre. 7. Si dice che il Dio Signore apparve
come un comune mortale ad Abramo che sedeva presso la quer­
cia di Mambre (Gen. 18, 1 sgg.): quello subito prosternatosi,
anche se vedeva con gli occhi un uomo, lo adora come Dio e lo
supplica come Signore, e conferma di non ignorare chi fosse,
esprimendosi con queste parole: « O Signore che giudichi tutta la
terra, non farai tu il giudizio?» (Gen. 18, 25). 8. Nessun moti­
vo ci può indurre a credere che la sostanza increata e immutabile
di D io onnipotente si cambi in forma d ’uomo, ma neppure ch’es-
sa inganni gli occhi di chi vede con l’apparenza di una creatura
inesistente o che la Scrittura inventi una tale favola. Ma allora
chi altri diremo il Dio e Signore che giudica tutta la terra e fa il
giudizio, ch’è apparso in forma d ’uomo, se non (siccome non è
lecito dire la causa prima di tutte le cose) soltanto il suo Logos
preesistente? D i lui anche nei Salmi si dice: « H a inviato il suo
logos e li ha sanati, e li ha liberati dalle loro rovine» (Ps. 106,
20). 9. Questi ch’è secondo Signore dopo il Padre, Mosè d i­
chiara nel modo più evidente dicendo: « Il Signore ha fatto pio­
vere dal Signore zolfo e fuoco su Sodoma e Gom orra» (Gen. 19,
24). Questi, ch’è apparso anche a Giacobbe in forma d’uomo, la
Sacra Scrittura definisce Dio, che dice a Giacobbe: «N on ti
chiamerai più Giacobbe ma il tuo nome sarà Israele, poiché hai
lottato con D io», quando anche «G iacobbe chiamò il nome di
quel luogo Visione di D io», dicendo: «In fatti ho visto Dio faccia
a faccia e si è salvata l’anima m ia» (Gen. 32, 25 sgg.). 10. Non
è lecito supporre che le teofanie che abbiamo descritto siano de­
gli angeli inferiori e ministri di Dio, poiché quando qualcuno di
costoro appare agli uomini, la Scrittura non lo nasconde, defi­
nendolo per nome né Dio né Signore ma angelo, come è facile
dimostrare con mille testimonianze.
22 EUSEBIO

1 1 . Τοΰτον καί ό Μωυσεως διάδοχος Ίησοΰς, ώς &ν τών

ουρανίων αγγέλων καί άρχαγγέλων τών τε υπερκόσμιων δυνά­


μεων ήγούμενον καί ώς αν εί τοΰ πατρός υπάρχοντα δύναμιν
καί σοφίαν ( 1 Ερ. Cor. 1 , 24) καί τά δευτερεΐα τής κατά πάντων
βασιλείας τε καί άρχής έμπεπιστευμένον, άρχιστράτηγον δυνά-
μεως κυρίου ονομάζει, ούκ άλλως αυτόν ή αύθις έν ανθρώπου
μορφή καί σχήματι θεωρήσας. 12 . γέγραπται γοΰν «κ α ί έ-
γενήθη, ώς ήν Ίησοΰς έν Ιερ ιχ ώ , καί άναβλέψας όρά άνθρω­
πον έστηκότα κατέναντι αύτοΰ, καί ή ρομφαία έσπασμένη έν τή
χειρί αύτοΰ, καί προσελθών Ίησοΰς εΐπεν· ήμέτερος ε ΐ ή τών
ύπεναντίων; καί είπεν αύτώ· έγώ άρχιστράτηγος δυνάμεως κυ­
ρίου· νυνί παραγέγονα. καί Ίησοΰς έπεσεν έπί πρόσωπον έπί
τήν γην καί εΐπεν αύτώ· δέσποτα, τί προστάσσεις τώ σώ οΐ-
κέτη; καί εΐπεν ό άρχιστράτηγος κυρίου προς Ίησοΰν λΰσαι τό
υπόδημα έκ τών ποδών σου· ό γάρ τόπος, έν ω συ εστηκας,
τόπος άγιός έσ τιν» (Ios. 5, 13 sgg.). 13. ενθα καί έπιστήσεις
άπό τών αύτών ρημάτων δτι μή ετερος ουτος εΐη τοΰ καί Μωυ-
σεΐ κεχρηματικότος, δτι δή αύτοις ρήμασι καί έπί τώδε φησιν ή
γραφή· «ώ ς δέ εΐδεν κύριος δτι προσάγει ίδεΐν, έκάλεσεν αύτόν
κυρως έκ τοΰ βάτου λέγων· Μωυσή Μωυσή· ό δέ εΐπεν· τί
έστιν; καί εΐπ εν μή έγγίσης ώδε· λΰσαι τό υπόδημα έκ τών
ποδών σου· ό γάρ τόπος, έν ω συ εστηκας έπ’ αύτοΰ, γή αγία
έστίν. καί εΐπεν αύτώ· έγώ είμ ι ό θεός τοΰ πατρός σου, θεός
Α βραάμ καί θεός Ισαάκ καί θεός Ια κ ώ β » (Ex. 3, 4-6).
14. Καί δτι γέ έστιν ουσία τις προκόσμιος ζώσα καί
ύφεστώσα, ή τώ πατρί καί θεώ τών δλων εις τήν τών γενητών
άπάντων δημιουργίαν ύπηρετησαμένη, λόγος θεοΰ καί σοφία
χρηματίζουσα, προς ταΐς τεθειμέναις άποδείξεσιν ετι καί αυτής
έξ ίδίου προσώπου τής σοφίας έπακοΰσαι πάρεστιν, διά
Σολομώνος λευκότατα ώδε πως τά περί αύτής μυσταγωγού-
σης· «έγ ώ ή σοφία κατεσκήνωσα βουλήν, καί γνώσιν καί έν­
νοιαν έγώ έπεκαλεσάμην. 15. δ ι’ έμοΰ βασιλείς βασιλεύου-
σιν, καί οί δυνάσται γράφουσι δικαιοσύνην δ ι’ έμοΰ μεγιστάνες
μεγαλυνονται, καί τύραννοι δ ι’ έμοΰ κρατοΰσι γης »· οΐς έπιλέ-
STORIA ECCLESIASTICA 23

11. Questi anche Giosuè, il successore di M osè, chiama capo


supremo dell’esercito del Signore, in quanto comanda gli angeli e
gli arcangeli celesti e le potenze sovramondane e sussiste come
potenza e sapienza del Padre (1 Ep. Cor. 1, 24) e gli è stato
affidato il secondo posto del regno e del comando su tutto, aven­
dolo visto ancora una volta non altrimenti che in forma e aspetto
di uomo. 12. Infatti è scritto: «Avvenne che, quando Giosuè
stava a Gerico, avendo sollevato lo sguardo vide un uomo che
stava ritto dinanzi a lui con la spada sguainata in mano; e Giosuè
avvicinatosi gli disse: “ Sei dei nostri o dei nemici?” . E quello gli
rispose: “ Sono il capo supremo dell’esercito del Signore. Ora
sono venuto” . E Giosuè si prostrò a terra dinanzi a lui e gli
disse: “ Signore, che cosa comandi al tuo servo?” . E disse a G io­
suè il capo supremo del Signore: “ Sciogli il calzare dai tuoi pie­
di, perché il luogo dove tu stai è luogo santo” » (Ios. 5, 13
sgg.). 13. Qui anche in base alle parole potrai giudicare che
questi è lo stesso che rispose anche a Mosè, poiché pure a tal
proposito la Scrittura dice così: «Q uando il Signore vide che
Mosè si avvicinava per poter guardare, lo chiamò dal cespuglio
dicendo: “ Mosè, M osè” . Quello rispose: “ Che c’è?” . E il Signo­
re disse: “ Non avvicinarti qui e sciogli il calzare dai tuoi piedi.
Infatti il luogo dove tu stai è terra santa” . E gli disse: “ Io sono il
Dio di tuo padre, Dio di Abramo e Dio di Isacco e Dio di G ia­
cobbe” » (Ex. 3, 4-6).
14. Che esista una sostanza anteriore al mondo, vivente e
sussistente, ch’è stata ministro del Padre e Dio di tutte le cose
per la creazione di tutte le creature e ch’è chiamata Logos e
Sapienza di Dio, oltre alle prove già presentate è possibile ap­
prenderlo anche dalla stessa Sapienza5, che in propria persona per
mezzo di Salomone nel modo più chiaro rivela così di sé stessa:
« Io la Sapienza ho preso ad abitare con me il consiglio e a me ho
chiamato scienza e intelligenza. 15. Grazie a me i re regnano e
i signori esercitano la giustizia, grazie a me i potenti menano
vanto e i tiranni dominano la terra», e vi aggiunge: «Il Signore
24 EUSEBIO

γ ει· «κύριος έ'κτισέν με άρχήν όδών αύτοΰ είς Ιίργα αΰτοΟ, πρό
τοΰ αΐώνος έθεμελίωσέν μ ε- έν άρχή πρό τοΰ τήν γην ποιήσαι,
προ τοϋ προελθεΐν τάς πηγάς τών ύδάτων, πρό τοΰ δρη
έδρασθήναι, πρό δε πάντων βουνών γεννά με. ήνίκα ήτοίμαζεν
5 τόν ουρανόν, συμπαρήμην αύτώ, καί ώς άσφαλεΐς έτίθει πηγάς
της ύπ’ ούρανόν, ήμην συν αύτώ άρμόζουσα. έγώ ήμην ή προ-
σέχαιρεν καθ’ ήμέραν, εύφραινόμην δε ένώπιον αύτοΰ έν παντί
καιρώ, δτε εύφραίνετο τήν οικουμένην συντελέσας» (Prov. 8 ,
12.15.16.22-5.27-8.30-1). 16. δτι μεν οΰν προήν καί τισιν, εΐ
ίο καί μή τοΐς πάσιν, ό θείος λόγος έπεφαίνετο, ταΰθ’ ήμΐν ώς έν
βραχέσιν είρήσθω.
17. Τ ί δή οΰν ούχί καθάπερ τά νΰν, καί πάλαι πρότερον είς
πάντας άνθρώπους καί πάσιν εθνεσιν έκηρύττετο, ώδε αν γένοι-
το πρόδηλον, ούκ ήν πω χωρεΐν οΐός τε τήν τοΰ Χρίστου πάν-
ΐ5 σοφον καί πανάρετον διδασκαλίαν ό πάλαι τών άνθρώπων
βίος. 18. εύθυς μεν γε έν αρχή μετά τήν πρώτην έν μακα-
ρίοις ζωήν ό πρώτος όίνθρωπος ήττον τής θείας έντολής φροντί-
σας, εις τουτονί τόν θνητόν καί έπίκηρον βίον καταπέπτωκεν
καί τήν έπάρατον ταυτηνί γήν τής πάλαι ένθέου τρυφής άντι-
20 κατηλλάξατο, οΐ τε άπό τούτου τήν καθ’ ήμάς σύμπασαν πλη-
ρώσαντες πολύ χείρους άναφανέντες έκτος ένός που καί δευτέ­
ρου, θηριώδη τινά τρόπον καί βίον άβίωτον έπανήρηντο. 19.
άλλά καί οΰ'τε πόλιν οΰτε πολιτείαν, ού τέχνας, ούκ έπιστήμας
έπί νοΰν έβάλλοντο, νόμων τε καί δικαιωμάτων καί προσέτι
25 άρετής καί φιλοσοφίας ούδε όνόματος μετεϊχον, νομάδες δε έπ’
έρημίας οιά τινες άγριοι καί άπηνεις διήγον, τούς μεν έκ φύ-
σεως προσήκοντας λογισμούς τά τε λογικά καί ήμερα τής άν­
θρώπων ψυχής σπέρματα αύτοπροαιρέτου κακίας ύπερβολή δια-
φθείροντες, άνοσιουργίαις δε πάσαις δλους σφάς έκδεδωκότες,
30 ώς τοτε μέν άλληλοφθορεΐν, τοτέ δε άλληλοκτονεΐν, άλλοτε δέ
άνθρωποβορεΐν, θεομαχίας τε καί τάς παρά τοΐς πάσιν βοωμέ-
νας γιγαντομαχίας έπιτολμάν, καί γήν μεν έπιτειχίζειν ούρανώ
διανοεΐσθαι, μανίςι δέ φρονήματος έκτόπου αύτόν τόν έπί πάσιν
STORIA ECCLESIASTICA 25

mi ha creato inizio delle sue vie per le sue opere, prima del tem­
po mi ha fondato. In principio, prima di creare la terra, prima di
far scaturire le fonti d ’acqua, prima di consolidare i monti, pri­
ma di tutti i colli mi genera. Quando preparava il cielo ero ac­
canto a lui, e quando collocava le fonti stabili sotto il cielo ero
con lui disponendo. Ero io di cui egli ogni giorno traeva gioia, e
io mi rallegravo al suo cospetto in ogni momento, quando egli
esultava di aver portato a termine la creazione della terra » (Prov.
8, 12.15.16.22-5.27-8.30-1). 16. Abbiamo così esposto breve­
mente che il Logos divino preesisteva e si è manifestato ad alcu­
ni, anche se non a tutti.
17. Perché mai egli non sia stato annunziato, come ora, anche
prima anticamente a tutti gli uomini e a tutti i popoli, si può
spiegare così. Anticamente il modo di vivere degli uomini non
era in grado di comprendere l’insegnamento di Cristo che era
sapiente e virtuoso al massimo grado. 18. Infatti subito in
principio, dopo aver cominciato a vivere nella beatitudine, il pri­
mo uomo per aver trascurato il comando divino precipitò in que­
sto modo di vita caduco e mortale, e in cambio del godimento
divino di prima ebbe questa terra maledetta; i suoi discendenti
poi, che si diffusero su tutta la terra, si rivelarono, eccetto forse
uno o due, molto peggiori di lui e si dettero a vivere in modo
bestiale e non degno del nome di vita. 19. Non pensavano né
a una città né a un modo di vita civile né alle arti né alle scienze,
e quanto a leggi, decreti e anche virtù e filosofia, ne ignoravano
perfino il nome. Vivevano nomadi nei deserti, in quanto erano
selvaggi e crudeli perché distruggevano per eccesso di deliberata
malvagità le inclinazioni naturali alla razionalità e i germi d ’in­
telligenza e dolcezza insiti nell’anima umana. S i abbandonavano
senza remore ad ogni scelleratezza, così che a volte si danneggia­
vano fra loro, a volte si uccidevano, a volte poi si nutrivano di
carne umana. Osavano combattere gli dei e intraprendere quelle
battaglie con i giganti famose presso tutti gli uomini6, meditava­
no di opporre la terra al cielo e per follia di mente stravolta si
26 EUSEBIO

πολεμεΐν παρασκευάζεσθαι. 2 0 . έφ’ οίς τοΰτον έαυτοΐς < είσ > -

άγουσι τον τρόπον, κατακλυσμοΐς αύτους καί πυρπολήσεσιν


ώσπερ άγρίαν υλην κατά πάσης τής γης κεχυμένην θεός δ πάν­
των έφορος μετήει, λιμοΐς τε συνεχέσι και λοιμοΐς πολέμοις τε
; αΰ και κεραυνών βολαΐς άνωθεν αύτους ύπετέμνετο, ώσπερ τινά
δεινήν καί χαλεπωτάτην νόσον ψυχών πικροτέροις άνέχων τοΐς
κολαστηρίοις. 2 1 . τότε μεν οΰν, οτε δή καί πολύς ήν έπικε-

χυμένος ολίγου δεΐν κατά πάντων ό τής κακίας κάρος, οΐα


μέθης δεινής, τάς άπάντων σχεδόν άνθρώπων έπισκιαζούσης
ίο καί έπισκοτούσης ψυχάς, ή πρωτόγονος καί πρωτόκτιστος τοΰ
θεοΰ σοφία καί αύτός ό προών λόγος φιλανθρωπίας υπερβολή
τοτε μεν δι’ όπτασίας άγγέλων τοΐς ύποβεβηκόσι, τοτέ δε καί
δ ι’ έαυτοΰ οΤα θεοΰ δύναμις σωτήριος ένί που καί δευτέρω τών
πάλαι θεοφιλών άνδρών ούκ άλλως ή δ ι’ άνθρώπου μορφής,
ΐ5 δτι μηδ’ έτέρως ήν δυνατόν αύτοΐς, ύπεφαίνετο. 2 2 . ώς δ’

ήδη διά τούτων τά θεοσεβείας σπέρματα είς πλήθος άνδρών


καταβέβλητο ολον τε έθνος έπί γης θεοσεβείς προσανέχον έκ
τών άνέκαθεν Ε βρ α ίω ν ύπέστη, τούτοις μέν, ώς αν εί πλήθε-
σιν ϊ η ταΐς παλαιαΐς άγωγαΐς έκδεδιητημένοις, διά τοΰ προφή-
20 του Μωυσέως εικόνας καί σύμβολα σαββάτου τινός μυστικού
καί περιτομής ετέρων τε νοητών θεωρημάτων είσαγωγάς, άλλ’
ούκ αύτάς έναργεΐς παρεδίδου μυσταγωγίας. 23. ώς δε τής
παρά τούτοις νομοθεσίας βοωμένης καί πνοής δίκην εύώδους είς
άπαντας άνθρώπους διαδιδομένης, ήδη τότε έξ αύτών καί τοΐς
25 πλείοσιν τών έθνών διά τών πανταχόσε νομοθετών τε καί φιλο­
σόφων ήμέρωτο τά φρονήματα, τής άγριας καί άπηνοϋς θηριω­
δίας έπί τό πράον μεταβεβλημένης, ώς καί ειρήνην βαθεΐαν φι­
λίας τε καί έπιμιξίας προς άλλήλους εχειν, τηνικαΰτα πδσι δή
λοιπόν άνθρώποις καί τοΐς άνά τήν οικουμένην εθνεσιν ώς αν
30 προωφελημένοις και ήδη τυγχάνουσιν έπιτηδείοις πρός παρα­
δοχήν τής τοΰ πατρός γνώσεως, ό αύτός δή πάλιν εκείνος ό τών
άρετών διδάσκαλος, ό έν πάσιν άγαθοΐς τοΰ πατρός υπουργός,
ό θείος καί ούράνιος τοΰ θεοΰ λόγος, δι’ άνθρώπου κατά μηδέν
σώματος ούσία τήν ήμετέραν φύσιν διαλλάττοντος άρχομένης
STORIA ECCLESIASTICA 27

accingevano a muover guerra proprio a colui ch’è su di tut­


ti. 20. Poiché gli uomini vivevano in questo modo, Dio che
tutto sorveglia li puniva con inondazioni e incendi, quasi diffon­
dendo una foresta selvaggia su tutta la terra, e li sterminava con
carestie continue, pestilenze, guerre e scagliando fulmini dall’al­
to, quasi per arrestare con le più dure punizioni una terribile e
gravissima m alattia dell’anima. 21. Allora dunque, quando il
torpore della malvagità si era grandemente diffuso pressoché su
tutti, come una terribile ubriachezza che aduggiava e ottenebrava
le anime di quasi tutti gli uomini, la Sapienza primogenita e pri­
mocreata di D io 7 e il Logos preesistente, per eccesso di amore per
gli uomini, prese a rivelarsi, a volte agli esseri inferiori per mezzo
dell’apparizione di angeli8, a volte agli uno o due uomini antichi
amici di Dio, in modo personale, in quanto potenza salvifica di
Dio, non altrimenti che in forma umana, perché non era possibile
farsi conoscere da quelli in altro modo. 22. Poiché ormai grazie
a questi uomini i germi della religione erano stati sparsi fra una
gran quantità di uomini e si ebbe sulla terra un intero popolo
dedito alla religione, discendente dagli antichi ebrei, a costoro,
quasi che in molti fossero ancora dediti al loro antico modo di
vivere, il Logos per tramite del profeta M osè dette immagini e
simboli9 di un sabbato mistico e le iniziazioni alla circoncisione e
ad altri precetti spirituali, ma non rivelò i misteri in modo evi­
dente. 23. Poiché la loro legislazione veniva celebrata e a guisa
di aroma profumato si diffondeva fra tutti gli uomini, allora a
partire da loro anche nella maggior parte dei popoli, grazie ai
legislatori e ai filosofi sparsi dovunque, s'ingentilirono gli animi e
si mitigò la bestialità selvaggia e dura, così che si ebbe una grande
pace fatta di amicizia e di rapporti reciproci. Fu allora che a tutti
gli uomini e ai popoli diffusi sulla terra, che avevano ricevuto
giovamento ed erano ormai pronti ad accogliere la conoscenza del
Padre, quando cominciava l’impero romano, si rivelò a sua volta
proprio quel maestro di virtù, il ministro del Padre in ogni opera
buona, il Logos divino e celeste di Dio, per mezzo di un uomo che
28 EUSEBIO

τής 'Ρωμαίων βασιλείας έπιφανείς, τοιαΰτα εδρασέν τε χαί πέ-


πονθεν, οΐα ταΐς προφητείαις άκόλουθα ήν, άνθρωπον όμοΰ καί
θεόν έπιδημήσειν τώ βίω παραδόξων έργων ποιητήν καί τοΐς
πάσιν εθνεσιν διδάσκαλον τής του πατρός εύσεβείας άναδειχθή-
5 σεσθαι τό τε παράδοξον αύτοΰ της γενέσεως καί τήν καινήν
διδασκαλίαν καί τών έργων τά θαύματα έπί τε τούτοις τοΰ θα­
νάτου τόν τρόπον τήν τε έκ νεκρών άνάστασιν καί έπί πάσιν τήν
εις ουρανούς ενθεον άποκατάστασιν αύτοΰ προκηρυττούσαις.
24. Τ ήν γοΰν έπί τέλει βασιλείαν αύτοΰ Δανιήλ ό προφήτης
ίο θείω πνεύματι συνορών, ώδέ πη έθεοφορεΐτο, άνθρωπινώτερον
τήν θεοπτίαν υπογραφών· « έθεώρουν γάρ » φησιν « εως οΰ θρό­
νοι έτέθησαν, καί παλαιός ήμερών έκάθητο. καί τό ένδυμα αύ­
τοΰ ώς εί χιών λευκόν, καί ή θρίξ τής κεφαλής αύτοΰ ώς εί
εριον καθαρόν* ό θρόνος αύτοΰ φλόξ πυρός, οΐ τροχοί αύτοΰ πΰρ
ΐ 5 φλέγον* ποταμός πυρός ειλκεν έμπροσθεν αύτοΰ. χίλια ι χ ιλιά ­
δες έλειτούργουν αύτώ, καί μύριαι μυριάδες παρειστήκεισαν
εμπροσθεν αύτοΰ. κριτήριον έκάθισεν, καί βίβλοι ήνεώχθη-
σαν». 25. καί εξής «έθεώρουν» φησίν «κ α ί ιδού μετά τών νε­
φελών τοΰ ούρανοΰ ώς εί υιός άνθρώπου έρχόμενος, καί εως
2ο τοΰ παλαιοΰ τών ήμερών εφθασεν, καί ένώπιον αύτοΰ προσηνέχ-

θη* καί αύτώ έδόθη ή άρχή καί ή τιμή καί ή βασιλεία, καί
πάντες οί λαοί φυλαί γλώσσαι αύτώ δουλεύσουσιν. ή έξουσία
αύτοΰ έξουσία αιώνιος, ήτις ού παρελεύσεται* καί ή βασιλεία
αύτοΰ ού διαφθαρήσεται » (Dan. 7, 9-10. 13-4). 26. ταΰτα δε
25 σαφώς ούδ’ έφ’ ετερον, άλλ’ έπί τόν ήμέτερον σωτήρα, τόν έν
άρχή προς τόν θεόν θεόν λόγον, άναφέροιτο αν, υιόν άνθρώπου
διά τήν ύστάτην ένανθρώπησιν αύτοΰ χρηματίζοντα. 27. άλ­
λα γάρ έν οίκείοις ύπομνήμασιν τάς περί τοΰ σωτηρος ήμών
Ίησοΰ Χρίστου προφητικάς έκλογάς συναγαγόντες άποδεικτι-
30 κώτερόν τε τά περί αύτοΰ δηλούμενα έν έτέροις συστήσαντες,
τοΐς είρημένοις έπί τοΰ παρόντος άρκεσθησόμεθα.
3, 1 . "Ο τ ι δέ καί αύτό τοΰνομα τοΰ τε Ίησοΰ καί δή καί
τοΰ Χρίστου παρ’ αύτοΐς τοΐς πάλαι θεοφιλέσιν προφήταις τε-
τίμητο, ήδη καιρός άποδεικνύναι. 2 . σεπτόν ώς Ivi μάλιστα
STORIA ECCLESIASTICA 29

in nulla differiva dalla nostra natura quanto alla sostanza del


corpo. Operò e patì in conformità delle profezie, che avevano
annunciato che uno insieme uomo e dio sarebbe venuto in questa
vita operatore di prodigi e si sarebbe mostrato maestro a tutte le
genti della religione del Padre, e avevano rivelato l’eccezionaiità
della sua nascita, l’insegnamento nuovo, le opere prodigiose, e
inoltre il modo della morte e la risurrezione dai morti e infine la
sua divina restaurazione in cielo.
24. Il profeta Daniele, contemplando per ispirazione dello
Spirito divino il suo regno finale, così era ispirato, descrivendo
la visione divina in modo piuttosto umano: «O sservai finché fu­
rono collocati i troni e l’Antico dei giorni si mise a sedere. La
sua veste era bianca come neve e i capelli del suo capo come lana
pura; il suo trono una vampa di fuoco e le ruote un fuoco arden­
te; un fiume di fuoco scorreva dinanzi a lui. M igliaia di migliaia
lo servivano e miriadi di miriadi stavano in piedi davanti a lui.
Egli stabilì il giudizio e i libri vennero aperti». 25. E appres­
so: «G uardavo, ed ecco venire con le nubi del cielo come un
Figlio dell’uomo e giunse fino all’Antico dei giorni e si portò al
suo cospetto. G li fu dato comando onore regno e tutti i popoli
tribù lingue lo serviranno. Il suo potere è potere eterno, che
non passerà, e il suo regno non verrà distrutto» (Dan. 7, 9-10.
13-4). 26. Queste parole evidentemente non si possono riferi­
re ad altri se non al nostro Salvatore, il Dio Logos che in princi­
pio era presso Dio, che si chiama Figlio dell’uom o10 per
l’incarnazione finale. 27. Poiché ho riunito in commentari
specifici11 una scelta di profezie sul nostro salvatore Gesù Cristo
e in altri ho presentato in modo più diffuso le rivelazioni che
lo riguardano, ora ci contentiamo di ciò che abbiamo detto.
3, 1. O ra è tempo di dimostrare che dagli stessi antichi pro­
feti cari a Dio fu onorato anche il nome di Gesù e quello di
C risto12. 2. Mosè, avendo per primo appreso che il nome di
30 EUSEBIO

καί ένδοξον τό Χρίστου δνομα πρώτος αύτός γνωρίσας Μωυσής


τύπους ουρανίων καί σύμβολα μυστηριώδεις τε εικόνας άκο-
λούθως χρησμώ φήσαντι αύτώ «δρα, ποιήσεις πάντα κατά τόν
τόπον τόν δειχθέντα σοι έν τώ ορει» (Ex. 25, 14) παραδούς,
άρχιερέα θεοΰ, ώς ένήν μάλιστα δυνατόν άνθρωπον, έπιφημί-
σας, τοΰτον Χριστόν άναγορεύει, καί ταυτη γε τή κατά την
άρχιερωσύνην άξία, πάσαν ύπερβαλλούση παρ’ αύτώ τήν έν
άνθρώποις προεδρίαν, έπί τιμή καί δόξη τό τοΰ Χρίστου περι-
τίθησιν δνομα (Lev. 4, 5)· ούτως αρα τόν Χριστόν θεΐόν τι
χρήμα ήπίστατο. 3. ό δ’ αύτός καί τήν τοΰ Ίησοΰ προσηγο-
ρίαν εΰ μάλα πνεύματι θείω προ'ίδών, πάλιν τινός έξαιρέτου
προνομίας καί ταύτην άξιοι, οΰποτε γοΰν πρότερον έκφωνηθέν
είς άνθρώπους, πριν ή Μωυσεΐ γνωσθήναι, τό τοΰ Ίησοΰ πρόσ-
ρημα τούτω Μωυσής πρώτω καί μόνω περιτίθησιν, δν κατά
τύπον αυθις καί σύμβολον εγνω μετά τήν αύτοΰ τελευτήν δια-
δεξόμενον τήν κατά πάντων άρχήν. 4. ού πρότερον γοΰν τόν
αύτοΰ διάδοχον, τή τοΰ Ίησοΰ κεχρημένον προσηγορία, όνό-
ματι δέ έτέρω τώ Αύσή, δπερ οΐ γεννήσαντες αύτώ τέθεινται,
καλούμενον, Ίησοΰν αύτός άναγορεύει (Nutn. 13, 16), γέρας
ώσπερ τίμιον, παντός πολύ μεΐζον βασιλικοΰ διαδήματος,
τουνομα αύτώ δωρούμενος, δτι δή καί αύτός ό τοΰ Ναυή
Ίησοΰς τοΰ σωτήρος ήμών τήν εικόνα εφερεν, τοΰ μόνου μετά
Μωυσέα καί τό συμπέρασμα τής δ ι’ έκείνου παραδοθείσης συμ­
βολικής λατρείας, τής άληθοΰς καί καθαρωτάτης εύσεβείας τήν
άρχήν διαδεξαμένου. 5. καί Μωυσής μέν ταύτη πη δυσί τοΐς
κατ’ αύτόν άρετή καί δόξη παρά πάντα τόν λαόν προφέρουσιν
άνθρώποις, τώ μέν άρχιερεΐ, τώ δέ μ ετ’ αύτόν ήγησομένω,
τήν τοΰ σωτήρος ήμών Ίησοΰ Χριστοΰ προσηγορίαν έπί τιμή
τή μεγίστη περιτέθειται.
6 . Σαφώς δέ καί οΐ μετά ταΰτα προφήται όνομαστί τόν Χ ρ ι­
στόν προανεφώνουν, όμοΰ τήν μέλλουσαν εσεσθαι κατ’ αύτοΰ
συσκευήν τοΰ Ιουδαίων λαοΰ, όμοΰ δέ καί τήν τών έθνών δι’
αύτοΰ κλήσιν προμαρτυρόμενοι, τοτέ μέν ώδέ πως Ιερεμία ς
λέγω ν· «πνεΰμα προσώπου ήμών Χριστός κύριος συνελήφθη έν
STORIA ECCLESIASTICA 31

Cristo è sommamente venerabile e glorioso, quando dava figure,


simboli e immagini misteriose delle realtà celesti conformemente
all’oracolo che gli aveva detto: «G uarda, farai tutto secondo la
figura che ti è stata mostrata sul m onte» (Ex. 25, 14), per consa­
crare il sommo sacerdote di Dio quanto più è possibile per un
uomo, lo chiama Cristo e a questa dignità del sommo sacerdozio,
che per lui superava ogni dignità fra gli uomini, per onore e
gloria assegna il nome di Cristo (Lev. 4, 5). Così egli sapeva che
il Cristo è qualcosa di divino. 3. Egli stesso ben conoscendo
anticipatamente per ispirazione divina anche il nome di Gesù,
anche questo ritiene degno di distinzione privilegiata. Tale nome
di G esù, che non era stato pronunciato fra gli uomini prima di
essere conosciuto da Mosè, questi lo attribuisce a quel primo e
solo, che ancora secondo la figura e il simbolo egli sapeva desti­
nato a ricevere dopo la sua morte il comando supremo. 4. Il
successore di Mosè, che fu chiamato Gesù, prima veniva chiama­
to col nome di Ause, che gli avevano imposto i genitori. Mosè lo
chiama Gesù (Num. 13, 16), dandogli questo nome come onore
privilegiato, di molto superiore a ogni diadema regale, poiché
Gesù figlio di Nave portava l’immagine del nostro salvatore, il
solo che, dopo Mosè e il compimento del culto simbolico fatto
conoscere per suo tramite, abbia ricevuto la primizia della reli­
gione vera e purissima. 5. Così M osè ai due uomini che secon­
do lui eccellevano per virtù e onore fra tutto il popolo, cioè il
sommo sacerdote e quello che dopo di lui avrebbe esercitato il
comando, attribuisce come segno dell’onore più grande il nome
del salvatore nostro Gesù Cristo.
6. Anche i profeti successivi in modo chiaro annunciarono
Cristo per nome, attestando in anticipo sia il complotto del po­
polo giudaico che ci sarebbe stato contro di lui sia la chiamata
che per opera sua sarebbe stata rivolta alle genti pagane, quando
Geremia diceva: « L o spirito del nostro volto, Cristo signore, è
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34 EUSEBIO

έπεί μηδε τοσοϋτον έν έκείνοις ή τοΰ συμβόλου δύναμις οϊα τε


ήν ένεργεΐν, οσον ή τής άληθείας παράστασις διά τοΰ σωτήρος
ήμών ένδεικνυμένη· 1 1 . ος ουτε σύμβολα καί τύπους άρχιερω-

σύνης παρά του λαβών, άλλ’ ούδε γένος το περί σώμα έξ


5 ιερωμένων κατάγων, οΰδ’ άνδρών δορυφορίαις επί βασιλείαν
προαχθείς ούδε μήν προφήτης ομοίως τοΐς πάλαι γενόμενος,
ούδ’ άξίας δλως ή τίνος παρά Ίουδαίοις τυχών προεδρίας,
δμως τοΐς πάσιν, εί καί μή τοΐς συμβόλοις, άλλ’ αυτή γε τη
άληθείρ παρά τοΰ πατρός κεκόσμητο, [ 1 2 .] ούχ όμοίων δ’
ίο οΰν οΓς προειρήκαμεν, τυχών, πάντων έκείνων καί Χριστός
μάλλον άνηγόρευται, κα'ι ώς αν μόνος καί άληθής αύτός ών
ό Χριστός τοΰ θεοΰ, Χριστιανών τον πάντα κόσμον, της όν­
τως σεμνής καί ΐερας αύτοΰ προσηγορίας, κατέπλησεν, ούκέτι
τύπους ούδέ εικόνας, άλλ’ αύτάς γυμνάς άρετάς καί βίον
ΐ 5 ουράνιον αύτοΐς άληθείας δόγμασιν τοΐς θιασώταις παρα-
δούς, [13.] τό τε χρίσμα, ού τό διά σωμάτων σκευαστόν, άλλ’
αυτό δή πνεύματι θείω τό θεοπρεπές, μετοχή τής άγεννήτου
καί πατρικής θεότητος άπειλήφει· δ καί αυτό πάλιν Ήσαΐας
διδάσκει, ώς άν έξ αύτοΰ ώδέ πως άναβοών τοΰ Χριστοΰ*
ίο «πνεϋμα κυρίου έπ’ έμέ, οΰ εΐνεκεν εχρισεν με· εύαγγελίσασθαι
πτωχοΐς άπέσταλκέν με, κηρϋξαι αίχμαλώτοις άφεσιν καί τυ-
φλοΐς άνάβλεψιν» (Is. 56, 1 ; Εν. Lue. 4, 18-9).
14. Κ αί ού μόνος γε Ήσαΐας, άλλα καί Δαυίδ εις τό
πρόσωπον άναφωνεΐ λ έγ ω ν « ό θρόνος σου, ό θεός, εις τον
2$ αιώνα τοΰ αίώνος· ράβδος εύθύτητος ή ράβδος τής βασιλείας

σου. ήγάπησας δικαιοσύνην καί έμίσησας άνομίαν· διά τοΰτο


εχρισεν σε, ό θεός, ό θεός σου ελαιον άγαλλιάσεως παρά τους
μετόχους σου» (Ps. 44, 7-8)· [15.] έν οίς ό λόγος έν μεν τώ
πρώτω στίχω θεόν αύτόν έπιφημίζει, έν δε τω δευτέρω σκήπ-
30 τρω βασιλικω τιμά , εΤΘ’ έξης ΰποβάς μετά τήν ενθεον καί βα­
σιλικήν δύναμιν τρίτη τάξει Χριστόν αύτόν γεγονότα, έλαίω ού
τω έξ υλης σωμάτων, άλλα τω ένθέω τής άγαλλιάσεως ήλειμ-
μένον, παρίστησιν· παρ’ δ καί τό έξαίρετον αύτοΰ καί πολύ
κρεΐττον καί διάφορον των πάλαι διά των εικόνων σωματικώ-
STOMA ECCLESIASTICA 35

perché in costoro la potenza del simbolo non era tale da operare


ciò che ha fatto vedere la presentazione della verità per opera del
nostro Salvatore13. 11. Questi, che da nessuno aveva ricevuto
simboli e figure del sommo sacerdozio e neppure discendeva cor­
poralmente da famiglia sacerdotale, che non era stato tratto al
regno da uomini armati e non era diventato profeta alla maniera
di quelli antichi, e che da parte dei giudei non aveva assolutamen­
te ottenuto alcun onore e dignità, di tutte queste prerogative fu
tuttavia adornato dal Padre non simbolicamente ma realmen­
te. 12. Senza che gli sia toccato nulla di simile a quelli che
abbiamo detto, egli è chiamato anche Cristo a maggior ragione di
tutti costoro, e poiché è il solo e vero Cristo di Dio ha riempito
tutto il mondo di cristiani, del suo nome veramente santo e vene­
rabile, ed ha trasmesso ai seguaci non più simboli e immagini ma
con le norme di verità proprio le virtù schiette e la vita cele­
ste. 13. Quanto poi all’unzione14, non preparata con sostanza
materiale ma risplendente per spirito divino, l’ha ricevuta in
quanto partecipe della divinità ingenerata del Padre. Questo c’in-
gcgna ancora Isaia, annunciando in persona dello stesso Cristo:
« Ι λ spirito del Signore su di me, per cui mi ha unto. M i ha
inviato a predicare la buona novella ai poveri, ad annunciare la
libertà ai prigionieri e la vista ai ciechi» (Is. 56, 1; Ευ. Lue. 4,
18-9).
14. Non solo Isaia ma anche Davide annuncia cosi proprio
persona di Cristo: « Il tuo trono, o Dio, nei secoli dei secoli;
scettro di rettitudine è lo scettro del tuo regno. H ai amato la
giustizia e hai odiato l’iniquità; per questo ti ha unto Dio, il tuo
Dio con olio di esultanza a preferenza dei tuoi compagni» (Pi.
44, 7-8). 15. Qui il testo prima lo definisce Dio, in secondo
luogo l’onora con lo scettro regale, quindi, dopo aver parlato della
potenza divina e reale, in terzo luogo ce lo presenta diventato
Cristo, unto non con olio fatto di sostanza materiale ma con olio
divino di esultanza. In tal modo ne indica anche eccellenza, supe­
riorità, differenza, rispetto a coloro che anticamente venivano
36 EUSEBIO

τερον κεχρισμένων ΰποσημαίνει. 16. και άλλαχοΰ δέ ό αύτός


ώδέ πως τά περί αύτοΰ δηλοΐ λέγω ν· « ειπεν ό κύριος τω κυρίω
μου* κάθου εκ δεξιών μου, εως αν θώ τους εχθρούς σου ύποπό-
διον των ποδών σου», καί « έ κ γαστρός προ εωσφόρου έγέννησά
5 σε. ώμοσεν κύριος καί οΰ μεταμεληθήσεται· συ εΐ ίερευς εις τον
αιώνα κατά τήν τάξιν Μ ελχισεδέκ» (Ps. 109, 1 . 3-4). 17. ού-
τος δε είσάγεται έν τοΐς ΐεροΐς λόγοις ό Μ ελχισεδέκ ίερευς τοΰ
θεοΰ τοΰ ύψίστου, ούκ έν σκευαστώ τινι χρίσματι άναδεδειγμέ-
νος, άλλ’ ουδέ διαδοχή γένους προσήκων τή καθ’ Εβραίους
ίο ίερωσύντ) (Gen. 14, 17-20)* δι’ δ κατά τήν αύτοΰ τάξιν, ά λλ’
ού κατά την τών άλλων σύμβολα και τύπους άνειληφότων Χ ρ ι­
στός καί ίερευς μεθ’ δρκου παραλήψεως ό σωτήρ ήμών άνηγό-
ρευται. 18. δθεν ούδέ σωματικώς παρά Ίουδαίοις χρισθέντα
αύτόν ή ιστορία παραδίδωσιν, ά λλ’ ούδ’ έκ φυλής τών ΐερω-
ι 5 μένων γενόμενον, έξ αύτοΰ δέ θεοΰ προ εωσφόρου μέν, τοΰτ’
έστίν προ τής τοΰ κόσμου συστάσεως, ούσιωμένον, άθάνατον δέ
καί άγήρω τήν ίερωσύνην είς τον άπειρον αιώνα διακατεχοντα.
19. Τής δ’ είς αύτόν γενομένης άσωμάτου καί ένθέου χρί-
σεως μέγα καί έναργές τεκμήριον τό μόνον αυτόν έξ άπάντων
ίο τών πώποτε είς ετι καί νΰν παρά πάσιν άνθρώποις καθ’ δλου
τοΰ κόσμου Χριστόν έπιφημίζεσθαι όμολογεΐσθαί τε καί μαρτυ-
ρεΐσθαι πρός άπάντων έπί τή προσηγορία παρά τε 'Έ λλησ ι καί
βαρβάροις μνημονεύεσθαι, καί είς ετι νΰν παρά τοΐς άνά τήν
οικουμένην αύτοΰ θιασώταις τιμασθαι μέν ώς βασιλέα, θαυμάζε-
25 σθαι δέ υπέρ προφήτην, δοξάζεσθαί τε ώς άληθή καί μόνον θεοΰ
άρχιερέα, καί έπί πάσι τούτοις, οΐα θεοΰ λόγον προόντα καί πρό
αιώνων άπάντων ούσιωμένον τήν τε σεβάσμιον τιμήν παρά τοΰ
πατρός ύπειληφότα, καί προσκυνεΤσθαι ώς θεόν. 2 0 . τό γε

μήν πάντων παραδοξότατον, δτι μή φωναΐς αύτό μόνον καί ρη-


30 μάτων ψόφοις αυτόν γεραίρομεν οι καθωσιωμένοι αύτώ, άλλά
καί πάστι διαθέσει ψυχής, ώς καί αύτής προτιμάν τής έαυτών
ζωής τήν είς αύτόν μαρτυρίαν.
4 , 1 . Ταΰτα μέν ούν άναγκαίως πρό τής ιστορίας ένταΰθά μοι
κείσθω, ώς άν μή νεώτερόν τις είναι νομίσειεν τον σωτήρα καί
STORIA ECCLESIASTICA 37

unti più materialmente in forma simbolica. 16. E in altro luogo


lo stesso Davide indica ciò che riguarda Cristo dicendo così: «H a
detto il Signore al mio Signore: “ Siedi alla mia destra, finché
ponga i tuoi nemici come sgabello dei tuoi piedi” », e «D al ventre
prima della stella del mattino ti ho generato. Il Signore ha giurato
e non cambierà: tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di
M elchisedek» (Ps. 109, 1.3-4). 17. Questo Melchisedek15 è in­
trodotto nelle Sacre Scritture come sacerdote del Dio altissimo,
non manifestato tale per unzione materiale né affine al sacerdozio
degli ebrei per successione familiare (Gen. 14, 17-20). Perciò se­
condo il suo ordine, e non secondo l’ordine degli altri che aveva­
no ricevuto simboli e figure, il nostro Salvatore è detto Cristo e
sacerdote con l’assunzione di un giuramento. 18. Per tal moti­
vo la storia tramanda che egli non è stato unto corporalmente
presso i giudei e neppure ch’è disceso dalla tribù sacerdotale, ma
che ha tratto l’essere proprio da Dio prima della stella del m atti­
no, cioè prima della creazione del mondo, e possiede per l’eterni­
tà il sacerdozio immortale e immarcescibile.
19. Grande ed evidente prova della sua unzione immateriale e
divina è il fatto che, di tutti quanti sono vissuti fino ad oggi,
presso tutti gli uomini di tutto il mondo egli soltanto è detto,
confessato, riconosciuto Cristo da parte di tutti, che è ricordato
con questo nome sia dai greci sia dai barbari, che ancora oggi dai
suoi discepoli sparsi in tutto il mondo egli è onorato come re,
ammirato più di un profeta, glorificato come vero e unico sacer­
dote di Dio; e più di tutto ciò, in quanto Logos di Dio preesisten­
te e tratto all’essere prima di tutti i tempi, egli ha ricevuto dal
Padre onore degno di venerazione ed è adorato come Dio. 20.
M a la cosa più straordinaria di tutte è che quanti gli siamo consa­
crati lo celebriamo non solo con le voci e il suono delle parole ma
con tutte le disposizioni dell’animo, così che anteponiamo la te­
stimonianza resa a lui alla nostra stessa v italé.
4, 1. E stato indispensabile trattare qui questi argomenti pri­
ma dei fatti storici, perché nessuno avesse a pensare che il nostro
38 EUSEBIO

κύριον ήμών Ίησοΰν τόν Χριστόν διά τούς τής ένσάρκου πολι­
τείας αύτοΰ χρόνους, ΐνα δε μηδε τήν διδασκαλίαν αύτοΰ νέαν
είναι καί ξένην, ώς αν ύπό νέου καί μηδέν τους λοιπούς διαφέ-
ροντος Ανθρώπους συστάσαν, ύπονοήσειέν τις, φέρε, βραχέα καί
5 περί τούτου διαλάβωμεν. 2 . της μέν γάρ τοΰ σωτήρος ήμών

Ίησοΰ Χριστοΰ παρουσίας νεωστί πάσιν άνθρώποις έπιλαμψά-


σης, νέον όμολογουμένως έθνος, ού μικρόν ούδ’ άσθενές ούδ’
έπί γωνίας ποι γης ίδρυμένον, άλλά και πάντων τών έθνών
πολυανθρωπότατόν τε καί θεοσεβέστατον ταύτη τε άνώλεθρον
ίο και άήττητον, ή καί εις άεί τής παρά θεοΰ βοήθειας τυγχάνει,
χρόνων προθεσμίαις άρρήτοις άθρόως ούτως άναπέφηνεν, τό
παρά τοΐς πάσι τή τοΰ Χριστοΰ προσηγορία τετιμημένον. 3.
τοΰτο καί προφητών κατεπλάγη τις, θείου πνεύματος όφθαλμώ
τό μέλλον έσεσθαι προθεωρήσας, ώς καί τάδε άναφθέγξασθαι*
ι 5 «τ ίς ήκουσεν τοιαΰτα, καί τίς έλάλησεν ούτως; εί ώδινεν γή έν
μια ήμέρα, καί εΐ έτέχθη έθνος είς απαξ » (is. 6 6 , 8 ). ύποσημαίνει
δέ πως καί τήν μέλλουσαν ό αύτός προσηγορίαν, λέγων· «το ΐς
δέ δουλεύουσίν μοι κληθήσεται δνομα καινόν, ο εύλογηθήσεται
έπί τής γής » (Is. 65, 15 sg.).
20 4. Ά λ λ ’ εί καί νέοι σαφώς ήμεΐς καί τοΰτο καινόν δντως
δνομα τό Χριστιανών άρτίως παρά πάσιν έ'θνεσιν γνωρίζεται, ό
βίος δ’ οΰν δμως καί τής άγωγής ό τρόπος αύτοΐς εύσεβείας
δόγμασιν δτι μή εναγχος ύφ’ ήμών έπιπέπλασται, έκ πρώτης
δ’ ώς είπεΐν άνθρωπογονίας φυσικαΐς έννοίαις τών πάλαι θεο-
25 φιλών άνδρών κατωρθοΰτο, ώδέ πως έπιδείξομεν. 5. ού νέον,
άλλά καί παρά πάσιν άνθρώποις άρχαιότητι τετιμημένον έθνος,
τοΐς πάσι καί αύτό γνώριμον, τό Ε βρα ίω ν τυγχάνει, λόγοι δή
παρά τούτω καί γράμματα παλαιούς ανδρας περιέχουσιν, σπα­
νίους μέν καί άριθμφ βραχείς, ά λλ’ δμως εύσεβεία καί δικαιο-
3ο σύνη καί πάση τή λοιπή διενεγκόντας άρετή, πρό μέν γε τοΰ
κατακλυσμοΰ διαφόρους, μετά δέ καί τοΰτον έτέρους, τών τε τοΰ
Ν ώ ε παίδων καί άπογόνων άτάρ καί τόν Α βρα άμ, δν άρχηγόν
καί προπάτορα σφών αύτών παΐδες Ε βρ α ίω ν αύχοΰσι. 6.

πάντας δή έκείνους έπί δικαιοσύνη μεμαρτυρημένους, έξ αύτοΰ


STORIA ECCLESIASTICA 39

salvatore e signore Gesù Cristo sia solo di ieri, a causa del tempo
della sua incarnazione. Perché poi nessuno abbia a supporre che il
suo insegnamento sia nuovo e straniero, in quanto istituito da un
uomo nuovo e per nulla differente dagli altri, suvvia, trattiamo in
breve anche di questo punto. 2. Quando di recente si è mani­
festata a tutti gli uomini la venuta del salvatore nostro Gesù
Cristo, senza dubbio è apparso tutto insieme, secondo computi
misteriosi dei tempi, un popolo nuovo17, né piccolo né debole né
confinato in un angolo della terra, ma il più numeroso e il più
religioso di tutti i popoli e in tanto indistruttibile e invincibile in
quanto protetto sempre dall’aiuto divino, onorato col nome di
Cristo presso tutti gli uomini. 3. Per questo anche uno dei
profeti, prevedendo grazie all’occhio dello Spirito divino ciò che
sarebbe accaduto, fu colto da stupore così da proclamare: «C h i ha
udito tali meraviglie e chi ha parlato così? L a terra ha partorito in
un sol giorno e in una.volta sola è nato un popolo» (Is. 66, 8). Ed
egli stesso indica in qualche modo il nome futuro dicendo: «A i
miei servi sarà dato un nome nuovo, phe sarà benedetto sulla
terra» (Is. 65, 15 sg.).
4. M a anche se senza dubbio noi siamo di ieri ed effettiva­
mente questo nome di cristiani è conosciuto da poco presso tutti i
popoli, che tuttavia il nostro modo di vivere e comportarci sulla
base dei precetti di pietà non sia stato escogitato da noi di recente
ma invece è stato istituito per naturale istinto degli antichi uomi­
ni cari a Dio, per così dire fin dal momento della creazione del­
l’uomo, - ecco come lo dimostreremo. 5. Il popolo degli ebrei
non è recente, ma è onorato da tutti gli uomini per la sua antichi­
tà e a tutti è ben noto. Presso di questo ci sono tradizioni e scritti
che trattano di antichi uomini, certo rari e pochi di numero, ma
di contro eccellenti per religione, giustizia e ogni altra virtù, alcu­
ni vissuti prima del diluvio altri anche dopo, fra i figli e i discen­
denti di Noè, e infine Abramo, che i figli degli ebrei vantano
come loro capostipite e progenitore. 6. Se uno dicesse che tutti
costoro, di cui è attestata la giustizia a cominciare da Abramo
Α βραάμ έπί τόν πρώτον άνιοΰσιν άνθρωπον, εργω Χριστια­
νούς, εί καί μή δνόματι, προσειπών τις ούκ άν εκτός βάλοι τής
άληθείας. 7. δ γάρτοι δηλοΰν έθέλοι τοΰνομα, τόν Χριστιανόν
άνδρα διά της τοΰ Χριστοΰ γνώσεως καί διδασκαλίας σωφρο­
σύνη καί δικαιοσύνη καρτερία τε βίου καί άρετής ανδρεία εύσε-
βείας τε όμολογίςι ενός καί μόνου τοΰ έπί πάντων θεοΰ διαπρέ-
πειν, τοΰτο πάν έκείνοις ού χείρον ήμών έσπουδάζετο. 8.
ούτ’ ούν σώματος αύτοΐς περιτομής έ'μελεν, δτι μηδέ ήμΐν, ού
σαββάτων έπιτηρήσεως, δτι μηδέ ήμΐν, άλλ’ ούδέ τών τοιώνδε
τροφών παραφυλακής ούδέ τών άλλων διαστολής, δσα τοΐς με-
τέπειτα πρώτος απάντων Μωυσής άρξάμενος έν συμβόλοις τε-
λεΐσθαι παραδέδωκεν, δτι μηδέ νΰν Χριστιανών τά τοιαΰτα.
άλλά καί σαφώς αύτόν ηδεσαν τόν Χριστόν τοΰ θεοΰ, ε ί γε
ώφθαι μέν τώ Α βρα άμ, χρηματίσαι δέ τώ Ισαάκ, λελαληκέ-
ναι δέ τώ Ισρα ήλ, Μωυσεΐ τε καί τοΐς μετά ταΰτα προφήταις
ώμιληκεναι προδέδεικται. 9. ενθεν αύτους δή τους θεοφιλείς
εκείνους εΰροις αν καί της τοΰ Χριστοΰ κατηξιωμένους έπωνυ-
μίας, κατά τήν φάσκουσαν περί αύτών φωνήν· « μή αψησθε τών
χριστών μου, καί έν τοΐς προφήταις μου μή πονηρεύεσθε» (Ps.
104, 15)· [10.] ώστε σαφώς πρώτην ήγεΐσθαι δεΐν καί πάντων
παλαιοτάτην τε καί άρχαιοτάτην θεοσεβείας εΰρεσιν αύτών έ-
κείνων τών άμφί τόν Αβραάμ θεοφιλών άνδρών τήν άρτίως διά
τής τοΰ Χριστοΰ διδασκαλίας πάσιν εθνεσιν κατηγγελμενην.
11. Ε ί δέ δή μακρώ ποθ’ ύστερον περιτομής φασι τόν Α ­
βραάμ έντολήν είληφέναι, άλλά πρό γ ε ταύτης δικαιοσύνην διά
πίστεως μαρτυρηθείς άνείρηται, ώδέ πως τοΰ θείου φάσκοντος
λόγου- «έπίστευσεν δέ Άβροιάμ τώ θεώ, καί έλογίσθη αύτώ είς
δικαιοσύνην» {Gen. 15, 6). 12. καί δή τοιούτω πρό τής περι­
τομής γεγονότι χρησμός ύπό τοΰ φήναντος εαυτόν αύτώ θεοΰ
(ούτος δ’ ήν αύτός ό Χριστός, ό τοΰ θεοΰ λόγος) περί τών έν
τοΐς μετέπειτα χρόνοις τόν δμοιον αύτώ δικαιοΰσθαι τρόπον
μελλόντων ρήμασιν αύτοΐς προεπήγγελται λέγω ν· « καί ένευλο-
γηθήσονται έν σοί πάσαι αί φυλαί τής γής » (Gen. 22, 18), καί ώς
δτι· «Ισται είς έθνος μέγα και πολύ, καί ένευλογηθήσονται έν
STORIA ECCLESIASTICA 41

risalendo fino al primo uomo, di fatto sono stati cristiani, anche se


non di nome, non direbbe cosa inesatta. 7. Tutto ciò infatti che
vuole indicare questo nome, cioè che il cristiano grazie alla cono­
scenza e all’insegnamento di Cristo eccelle per saggezza, giustizia,
forza di carattere, coraggio di virtù e professione della religione del
solo e unico Dio sommo, di tutto ciò quelli si prendevano cura non
meno di noi. 8. Non si curavano della circoncisione del corpo,
come neppure noi, né dell’osservanza del sabbato, come neppure
noi, né delle proibizioni di certi cibi né di altre interdizioni che
Mosè, primo fra tutti, cominciò a disporre che fossero praticate
in modo simbolico, ciò che ora neppure noi cristiani facciamo.
Invece anch’essi conobbero in modo evidente il Cristo di D io 18, se
abbiamo dimostrato che quello è apparso ad Abramo, ha fatto
predizioni ad Isacco, ha parlato con Israele, si è intrattenuto con
Mosè e con i profeti successivi. 9. Perciò tu puoi vedere che
questi uomini cari a Dio sono stati ritenuti degni anche del nome
di Cristo, secondo queste parole che li riguardano: «N on toccate i
miei cristi e non maltrattate i miei profeti» (Ps. 104, 15). 10.
Bisogna perciò senza dubbio ritenere che questa religione, la pri­
ma e più antica di tutte, ch’è stata praticata da quegli uomini pii
che stavano con Abramo, è la stessa che di recente è stata annun­
ciata a tutti i popoli grazie all’insegnamento di Cristo.
11. Se uno poi obietta che molto tempo dopo Abramo ricev
te l’ordine di circoncidersi, si risponde che prima di ciò è attesta­
to che egli era stato giustificato per la fed e19, poiché la parola
divina dice così: «Abram o credette a Dio e gli fu imputato a
giustificazione» (Gen. 15, 6). 12. E a lui ch’era stato giustifica­
to D io - cioè Cristo, il Logos di Dio - apparendogli gli fece una
predizione riguardante quelli che in seguito sarebbero stati giusti­
ficati come lui, con queste parole: « E in te saranno benedette
tutte le tribù della terra» (Gen. 22, 18), e ancora: «Diventerà un
popolo grande e numeroso, e in lui saranno benedetti tutti i popo-
42 EUSEBIO

αύτω πάντα τα εθνη της γη ς» (Gen. 18, 18). τοΰτω δε καί


έπιστησαι εις ήμας έκπεπληρωμένω πάρεστιν. 13. πίστει μέν
γάρ έκεΐνος τη εις τον όφθέντα αύτω τοΰ θεοΰ λόγον τον Χριστόν
δεδικαίωτο, πατρώας μέν άποστάς δεισιδαιμονίας καί πλάνης
5 βίου προτέρας, ενα δε τόν επί πάντων όμολογήσας θεόν καί
τοϋτον εργοις άρετης, ούχι δέ θρησκεία νόμου τοΰ μετά ταΰτα
Μωυσέως θεραπεύσας, τοιούτω τε δντι ειρητο δτι δή πασαι αί
φυλαί της γης καί πάντα τα εθνη έν αύτώ εύλογηθήσε-
ται· [14.] εργοις δε λόγων έναργεστέροις έπί του παρόντος
ίο παρά μόνοις Χριστιανοΐς καθ’ δλης της οικουμένης άσκούμενος
αυτός έκεΐνος ό τής θεοσεβείας τοΰ Α βρα άμ άναπέφηνε τρόπος.
15. Τ ί δή ουν λοιπόν έμποδών αν εϊη, μή ούχί ενα κ
αύτόν βίον τε καί τρόπον εύσεβείας ήμΐν τε τοΐς άπό Χριστοΰ καί
τοΐς πρόπαλαι θεοφιλέσιν όμολογεΐν; ώστε μή νέαν καί ξένην,
ι 5 ά λλ’ εί δει φάναι άληθεύοντα, πρώτην ΰπάρχειν καί μόνην καί
άληθή κατόρθωσιν εύσεβείας την διά της τοΰ Χριστοΰ διδασκα­
λίας παραδοθεΐσαν ήμΐν άποδείκνυσθαι.
STORIA ECCLESIASTICA 43

li della terra» (Gen. 18, 18). E d è possibile intendere che questa


predizione si è realizzata in noi. 13. Infatti Abramo fu giustifi­
cato per la fede in Cristo, il Logos di Dio che gli era apparso; e
avendo abbandonato le superstizioni avite e gli errori della vita
precedente, avendo confessato un solo sommo Dio e avendolo
servito con opere di virtù e non con l’osservanza della legge di
Mosè, che fu successiva, a lui che si trovava in tale condizione fu
detto che in lui sarebbero state benedette tutte le tribù e tutti i
popoli della terra. 14. Orbene con i fatti più evidenti delle
parole, al giorno d ’oggi, è manifesto che soltanto presso i cristiani
in tutta la terra è praticata quella forma di religione ch’era stata
di Abramo.
15. M a allora che difficoltà ci può essere a riconoscere che
seguaci di Cristo e quegli antichi uomini cari a Dio abbiamo un
solo e medesimo modo di vivere e di praticare la religione? Perciò
non nuova e straniera, ma se dobbiamo dire la verità, si dimostra
che la norma di pietà trasmessa a noi per l ’insegnamento di Cristo
è la prima, la sola, la vera.
2. A tanasio, contro ipagani 40-1; L ’incarnazione 4-5; 8-9

La data in cui Atanasio scrisse queste due opere, che si presentano


una come il seguito dell’altra, non è certa: alcuni pensano ad una
data anteriore al sorgere della controversia ariana, il 318 circa, altri
invece al 336 circa, quando Atanasio fu esiliato a Treviri. A noi qui
interessa il fatto che, anche se le due opere furono scritte dopo l’in­
sorgere della controversia, la materia che in esse è trattata non ne
mostra traccia rilevante: l’interesse è soltanto apologetico e mira a
presentare ai pagani il messaggio cristiano nel suo aspetto prima di­
struttivo per la polemica contro la religione idolatrica, e poi costrut­
tivo per l’esposizione della dottrina cristiana.
I tre passi che qui presentiamo, anche se fra loro non contigui,
costituiscono ideologicamente un testo coerente nel trattare i vari
aspetti dell’azione del Logos divino nel mondo: creazione, governo
provvidenziale, redenzione, nella stretta corrispondenza fra creazio­
ne e redenzione, per cui quest’ultima fu anche definita allora secon­
da, nuova creazione. II tema di fondo, come ho già accennato, è lo
stesso di Eusebio. Meno comprensivo, il testo dedica maggiore at­
tenzione agli argomenti di cui specificamente si occupa, e soprattut­
to si sofferma sul tema della redenzione, alle cui soglie abbiamo in­
terrotto il testo eusebiano. Qui Atanasio espone questo tema secon­
do l’angolatura più frequente nel mondo antico, quella della soddi­
sfazione vicaria. Cristo è morto per espiare i peccati del mondo che
avevano reso l’uomo schiavo del principe di questo mondo, cioè del
diavolo. Cristo, libero dal peccato e perciò non debitore nei con­
fronti del diavolo, morendo di propria elezione ha pagato il prezzo
del riscatto e ha liberato tutti gli schiavi dal peccato e dalla morte.
Indirettamente è cosi rilevato anche il suo autentico carattere divi­
no, perché solo in quanto egli è Dio, è libero dal peccato e perciò è
in condizione di soddisfare il debito contratto dall’uomo.
In confronto col tono generale dell’esposizione eusebiana, questa
CONTRO I PAGANI; l ’INCARNAZIONE 45

di Atanasio si caratterizza per il rilievo molto minore dato al tema


della subordinazione di Cristo al Padre, su cui abbiamo visto Euse­
bio insistere tanto. Vi si può forse scorgere l’eco lontana della con­
troversia ariana, che ebbe al centro proprio questo argomento.
Presentiamo il testo di Atanasio secondo l’edizione di R.W.
Thomson, Oxford 1971 (Oxford Early Christian Texts).

A tanasio fu vescovo di Alessandria dal 328 fino all’anno della morte (373), e
per tutto questo lungo periodo fu ripetutamente coinvolto nella controversia
ariana, che lo vide irriducibile avversario non solo di A rio ma anche dell’a-
rianesimo moderato, che tanta parte ebbe nelle vicende svoltesi fra il 341 e il
}7 0 . D ato l’appoggio che questa corrente ebbe da parte di Costantino (dopo
il concilio di Nicea) e dei suoi successori, più volte Atanasio fu costretto
all’esilio e solo dopo il 362 potè godere di una relativa pace. N el contesto
della controversia scrisse opere sia polemiche (Storia degli Ariani, Apologia a
Costanzo) sia dottrinali (Discorsi contro gli Ariani, Lettere a Serapione). L a sua
Vita di Antonio, ch ’era stato l’ iniziatore del movimento monastico, ebbe
enorme fortuna e contribuì molto alla grande fioritura degl’ideali di vita
ascetica nel IV secolo.

Bibliografia: E. Schwartz, «Z u r Geschichte des A thanasius», in Gesammelte


Schriften 3, Berlin 1959; A A .W ., Politique et théologie chez Athanase d ’Ale-
xandrie, Paris 1974.
40. Τ ίς αν εΐη οΰτος; καί τοϋτο γάρ άναγκαίον μάλισ
δηλώσαι και λέγειν, ινα μή, τή περί τοΰτον άγνοια πλανηθείς
τις, «Ετερον ύπολάβη, καί εις τήν αυτήν πάλιν τοΐς πρότερον
άθεότητα έμπεση. νομίζω δε μηδενα περί τούτου τήν διάνοιαν
άμφιβολον εχειν. εί γάρ δή τους παρά ποιηταΐς λεγομένους
θεούς ούκ είναι θεούς ό λόγος εδειξε, καί τούς τήν κτίσιν θεο-
ποιοΰντας ήλεγξε πλανωμένους, καί καθόλου τήν των έθνών
είδωλολατρείαν άθεότητα καί άσέβειαν ουσαν άπέδειξεν, άνάγ-
κη πάσα τούτων άναιρουμένων, λοιπόν παρ’ ήμΐν είναι τήν
εύσεβή θρησκείαν, καί τόν παρ’ ήμών προσκυνούμενον καί κη-
ρυττόμενον τοΰτον μόνον είναι θεόν άληθη, τον καί της κτίσεως
κύριον καί πάσης ύποστάσεως δημιουργόν, τίς δή ουν έστιν ού-
τος, ά λλ’ ή ό πανάγιος καί ύπερέκεινα πάσης γενητης ούσίας,
ό τοΰ Χριστοΰ πατήρ, δστις, καθάπερ άριστος κυβερνήτης, τη
ιδία σοφία καί τω ίδίω λόγω τώ κυρίω ήμών καί σωτηρι Χ ρ ι­
στώ, τά πανταχοϋ διακυβερνδ σωτηρίως καί διακοσμεί, καί
ποιεί ώς άν αύτω καλώς εχειν δοκή; εχει δε καλώς, ώς γέγονε
καί όρώμεν γιγνόμενα, έπειδή καί τοΰτο βούλεται· καί τοΰτο
ούκ αν τις άπιστήσειεν. εί μεν γάρ άλογος ήν ή της κτίσεως
κίνησις καί άπλώς έφέρετο τό παν, καλώς άν τις καί τοΐς λεγο-
μένοις ήπίστησεν εί δε λόγω καί σοφίςι καί επιστήμη συνέστη-
κε, καί παντί κόσμω διακεκόσμηται, άνάγκη τον έπικείμενον
καί διακοσμήσαντα τοΰτον ούκ άλλον τινά ή λόγον είναι τοΰ
θεοΰ.
40. Ma chi è questo (creatore)? Infatti è necessario sopratt
to chiarire e trattare questo argomento, perché non avvenga che
uno, errando su questo per ignoranza, ne immagini un altro1 e
ricada nella stessa empietà degli uomini prima di noi. Ritengo
perciò che su questo nessuno debba avere idee poco chiare. Se
infatti il ragionamento ci ha dimostrato che quelli che i poeti
dicono dei non lo sono, ha confutato quelli che per errore deifi­
cano la creazione, e ci ha fatto vedere in generale che l’idolatria
dei pagani è ateismo ed empietà, tolto via tutto ciò, risulta ne­
cessariamente che la nostra è la vera religione e che quello che
noi adoriamo e annunciamo è il solo vero Dio, signore anche
della creazione e artefice di ogni sostanza. M a chi è costui se non
il Padre di Cristo, santissimo e che trascende ogni sostanza crea­
ta, il quale, come abile nocchiero, con la sua sapienza e il suo
logos, ch’è Cristo nostro signore e salvatore, governa e dispone
l’universo al fine della salvezza e agisce come a lui sembra esser
bene? E l’universo sta bene così, com’è stato fatto e come noi lo
vediamo, perché anche questo egli vuole e di ciò nessuno potreb­
be dubitare. Se infatti il movimento della creazione fosse privo
di razionalità2 e l’universo fosse semplicemente spinto a caso, a
ragione uno non presterebbe fede a ciò che diciamo. M a se esso
è stato fatto con ragione, sapienza e scienza ed è stato ordinato
nel modo migliore, ne consegue che chi lo governa e lo ha ordi­
nato non è altri che il Logos d i Dio.
48 ATANASIO

Λόγον δέ φημι ού τόν έν έκάστω τών γενομένων συμπε-


πλεγμένον καί συμπεφυκότα, δν δή καί σπερματικόν τινες είώ-
θασι καλεΐν, άψυχον δντα καί μηδέν λογιζόμενον μήτε νοοΰν-
τα, άλλα τη εξωθεν τέχνη μόνον ένεργοΰντα κατά τήν τοΰ έπι-
βάλλοντος αύτόν έπιστήμην· ούδέ οιον εχει τό λογικόν γένος
λόγον τόν έκ συλλαβών συγκείμενον, καί έν άέρι σημαινόμενον·
άλλα τόν τοΰ άγαθοΰ καί θεοΰ τών δλων ζώντα καί ενεργή θεόν
αύτολόγον λέγω , δς άλλος μέν έστι τών γενητών καί πάσης τής
κτίσεως, ίδιος δέ καί μόνος τοΰ άγαθοΰ πατρός ύπάρχει λόγος,
δς τόδε τό παν διεκόσμησε καί φωτίζει τη έαυτοΰ προνοία. ά­
γαθοΰ γάρ πατρός άγαθός λόγος ύπάρχων, αύτός τήν τών πάν­
των διεκόσμησε διάταξιν, τα μέν εναντία τοΐς έναντίοις συν­
απτών, έκ τούτων δέ μίαν διακοσμών αρμονίαν, ούτος, θεοΰ
δύναμις καί θεοΰ σοφία (1 Ερ. Cor. 1, 24) ών, ούρανόν μέν
περιστρέφει, γην δέ άναρτήσας, καί έπί μηδενός κειμένην τώ
ίδίω νεύματι ήδρασε. τούτω φωτιζόμενος ήλιος τήν οικουμένην
καταυγάζει, καί σελήνη μεμετρημένον εχει τό φώς. διά τοΰτον
καί τό ΰδωρ έπί νεφελών κρεμάται, καί ύετοί τήν γην έπικλύ-
ζουσι, καί ή μέν θάλαττα περιορίζεται, ή δέ γη παντοίοις
φυτοΐς κομά καί χλοηφορεΐ. καί ei' τις άπιστος ζητοιη περί τών
λεγομένων, εί δλως έστί λόγος θεοΰ, μαίνοιτο μεν ό τοιοΰτος
άμφιβάλλων περί λόγου θεοΰ’ εχ ει δέ δμως έκ τών όρωμένων
τήν άπόδειξιν δτι πάντα λόγω θεοΰ καί σοφία συνέστηκε, καί
ούκ άν ήδράσθη τι τών γενομένων, εί μή λόγω έγεγόνει καί
λόγω τώ θείω, καθάπερ έλεχθη.
41. Λόγος δέ ών, ού κατά τήν τών άνθρώπων ομοιότητ
ώσπερ είπον, έστί συγκείμενος έκ συλλαβών· άλλα τοΰ έαυτοΰ
πατρός έστιν είκών άπαράλλακτος. άνθρωποι μέν γάρ έκ μερών
συγκείμενοι καί έκ τοΰ μή δντος γενόμενοι, συγκείμενον εχου-
σι καί διαλυόμενον τον εαυτών λό γο ν ό δέ θεός ών έστι (Ex. 3,
14), καί ού σύνθετος* διό καί ό τούτου λόγος ών έστι, καί ού
σύνθετος· ά λλ’ εις καί μονογενής θεός, ό έκ πατρός οΐα πηγής
άγαθής άγαθός προελθών, τά πάντα διακοσμεί καί συνέχει, ή
δέ αίτία, δι’ ήν δλως ό τοΰ θεοΰ λόγος τοΐς γενομένοις έπι-
CONTRO I PAGANI 49

Dico L ogos3 non quello ch’è ìnsito e innato in ognuna delle


creature, che alcuni son soliti definire anche seminale, che di per
sé è senza vita, ragione, intelletto, ma agisce solo per azione
esterna secondo la capacità di colui che lo ha immesso; né è pa­
rola come l’hanno gli esseri razionali, composta di sillabe ed
espressa nell’aria; ma dico il Dio vivente e operante che è pro­
prio il Logos del Dio buono di tutte le cose, il quale è altro
rispetto alle creature e a tutta la creazione, è il proprio e solo
Logos del Padre buono e con la sua provvidenza ha ordinato e
illumina questo universo. Essendo infatti Logos buono di un Pa­
dre buono, egli ha disposto in ordine l’universo, adattando enti­
tà fra loro contrarie e da esse ricavando una sola armonia. Q ue­
sto, che è potenza e sapienza di Dio (1 Ep. Cor. 1, 24), fa muo­
vere in giro il cielo e, avendo sospeso la terra, ha reso stabile col
suo volere questa che su nulla poggia. Illuminato da lui, il sole
illumina la terra, e alla luna viene misurata la sua luce. Grazie a
lui l’acqua è sospesa sulle nubi, le piogge si riversano sulla terra,
il mare è contenuto nei propri limiti e la terra si ricopre e ver­
deggia di piante di ogni genere. E se uno incredulo ricercasse, in
merito a ciò che diciamo, se effettivamente esista il Logos di
Dio, un tale sarebbe pazzo a dubitare del Logos di Dio, e pure
avrebbe da ciò che si vede4 la dimostrazione che tutto è venuto
all’essere per opera del Logos e della Sapienza di Dio e che nes­
suna delle cose create starebbe al suo posto se non fosse stata
creata dal Logos e dal Logos divino, come abbiamo detto.
41. Essendo Logos, non è composto di sillabe, come ho d
to, a somiglianza degli uomini, ma è immagine’ perfettissima di
suo Padre. Infatti gli uomini, in quanto composti di parti e creati
dal nulla, hanno il loro logos composto e dissolubile. Invece Dio
è «colui che è » (Ex. 3, 14) e non è composto; perciò anche il suo
Logos è «colui che è » e non è composto. M a è il solo e unigenito
Dio, che venuto fuori buono dal Padre come da una buona fon­
te, ordina e contiene l’universo. La causa poi, per cui il Logos di
Dio effettivam ente si è deciso alla creazione, è veramente mera-
50 ATANASIO

βέβηκεν, έστιν αληθώς θαυμαστή καί γνωρίζουσα δτι ούκ άλ­


λως επρεπεν ή οΰτω γενέσθαι, ώσπερ καί εστι. τών μεν γάρ
γενητών έστιν ή φύσις, ατε δή έξ ούκ δντων ύποστάσα, ρευστή
τις καί άσθενής καί θνητή καθ’ έαυτήν συγκρινομένη τυγχάνει-
ό δε τών δλων θεός άγαθός καί ύπέρκαλος τήν φύσιν έστί. διό
καί φιλάνθρωπος έστιν. άγαθώ γάρ περί ούδενός αν γένοιτο
φθόνος· δθεν ούδέ τό είναι τινι φθονεί, άλλά πάντας είναι βού­
λεται, ΐνα καί φιλανθρωπεύεσθαι δύνηται.
'Ορών οΰν τήν γενητήν πασαν φύσιν, δσον κατά τούς ίδιους
αύτής λόγους, ρευστήν οΰσαν καί διαλυομένην, ϊνα μή τοΰτο
πάθη καί πάλιν είς τό μή είναι άναλυθή τό δλον, τούτου ενεκεν
τώ έαυτοΰ καί άϊδίω λόγω ποιήσας τά πάντα καί ούσιώσας τήν
κτίσιν, ούκ άφήκεν αύτήν τή έαυτής φύσει φέρεσθαι καί χειμά-
ζεσθαι, ΐνα μή καί κινδυνεύση πάλιν εις τό μή είναι άλλ’ ώς
άγαθός τώ έαυτοΰ λόγω καί αύτώ δντι θεώ τήν σύμπασαν δια-
κυβερνά καί καθίστησιν, ϊνα τή τοΰ λόγου ήγεμονία καί προ-
νοίρ καί διακοσμήσει φωτιζόμένη ή κτίσις βεβαίως διαμένειν
δυνηθή, ατε δή τοΰ όντως δντος έκ πατρός λόγου μεταλαμβά-
νουσα καί βοηθουμένη δι’ αύτοΰ είς τό είναι, μή αρα πάθη
δπερ αν επαθεν, εί μή ό λόγος αύτήν έτήρει, λέγω δή τό μή
είναι, «δ ς έστι γάρ είκών τοΰ θεοΰ τοΰ άοράτου, πρωτότοκος
πάσης κτίσεως· δτι δ ι’ αύτοΰ καί έν αύτώ συνέστηκε τά πάντα
τά τε ορατά καί τά άόρατα, καί αύτός έστιν ή κεφαλή τής
έκκλησίας» (Ερ. Col. 1, 15-8), ώς οί τής άληθείας διάκονοι
διδάσκουσιν έν άγίοις γράμμασιν.

4. "Ισως θαυμάζεις τί δήποτε περί τής ένανθρωπήσεως τοΰ


λόγου προθέμενοι λέγειν, νΰν περί τής άρχής τών άνθρώπων
διηγούμεθα. άλλά καί τοΰτο ούκ άλλότριόν έστι τοΰ σκοποΰ
τής διηγήσεως. άνάγκη γάρ ήμάς λέγοντας περί τής είς ήμας
έπιφανείας τοΰ σωτήρος, λέγειν καί περί τής τών άνθρώπων
άρχής, ΐνα γινώσκης δτι ή ήμών αιτία έκείνω γεγονε πρόφασις
CONTRO i p a g a n i ; l ’ in c a r n a z io n e 51

vigliosa e tale da farci comprendere che non poteva essere altri­


menti da come è. Infatti la natura delle cose create, in quanto
tratta all’essere dal nulla, è instabile, debole e mortale, conside­
rata di per sé. Invece il Dio dell’universo è per natura buono e
assolutamente perfetto. Perciò è anche amorevole. Infatti un es­
sere buono non potrebbe invidiare nessuno6; per cui egli non
ricusa l’essere a nessuno, ma vuole che tutti esistano, per poter
anche esercitare la sua bontà.
Vedendo perciò che tutta la natura creata era, quanto alla pro­
pria ragion d’essere, instabile e dissolubile, perché ciò non avve­
nisse e l’universo non si dissolvesse nuovamente nel non essere,
per questo dopo aver creato ogni cosa per mezzo del suo Logos
eterno e aver dato sostanza alla creazione, non ha permesso che
questa fosse trascinata e travolta dalla propria natura, perché non
corresse anche il rischio di tornare nuovamente al non essere. Ma,
in quanto è buono, la governa e dispone tutta col suo Logos, che è
egli stesso Dio, perché la creazione, illuminata dalla signoria, dal­
la provvidenza e dall’ordinamento del Logos, possa permanere
stabile, in quanto partecipa di quello ch’è veramente il Logos del
Padre, ed è da lui soccorsa perché continui ad esistere. In tal
modo non le succede ciò che accadrebbe - dico il ricadere nel non
essere - se non la custodisse il Logos, che infatti «è immagine di
Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché per suo
mezzo e in lui sono state fatte tutte le cose, visibili e invisibili, ed
egli è il capo della chiesa» (Ep. Col. 1, 15-8), come insegnano
nelle Sacre Scritture i ministri della verità.

4. Forse ti meravigli perché mai, essendoci proposti di parlare


dell’incarnazione del Logos, ora stiamo trattando degli inizi del­
l’umanità7. M a neppure questo argomento è estraneo allo scopo
dell’esposizione. E ra infatti indispensabile che, volendo parlare
della venuta del Salvatore fra noi, parlassimo anche degli inizi
dell’umanità, perché tu apprendessi che la nostra causa è stata
52 ATANASIO

της καθόδου, καί ή ήμών παράβασις τοΰ λόγου τήν φιλανθρω­


πίαν έξεκαλέσατο, ώστε καί εις ήμάς φθάσαι καί φανήναι τόν
κύριον έν άνθρώποις. τής γάρ εκείνου ένσωματώσεως ήμεϊς γε-
γόναμεν ύπόθεσις, καί διά τήν ήμών σωτηρίαν έφιλανθρωπεύ-
σατο και έν άνθρωπίνω γενέσθαι και φανήναι σώματι.
Οΰτως μεν ούν ό θεός τόν άνθρωπον πεποίηκε, καί μένειν
ήθέλησεν έν άφθαρσίρ· άνθρωποι δέ κατολιγωρήσαντες καί ά-
ποστραφέντες τήν πρός τόν θεόν κατανόησιν, λογισάμενοι δέ
καί έπινοήσαντες έαυτοΐς τήν κακίαν, ώσπερ έν τοΐς πρώτοις
έλέχθη, εσχον τήν προαπειληθεΐσαν τοΰ θανάτου κατάκρισιν
καί λοιπόν ούκ ετι ώς γεγόνασι διέμενον, ά λλ’ ώς έλογίζοντο
διεφθείροντο· καί ό θάνατος αύτών έκράτει βασιλεύων, ή γάρ
παράβασις της εντολής εις τό κατά φύσιν αύτούς έπέστρεφεν,
iva, ώσπερ ούκ δντες γεγόνασιν, οΰτως καί τήν εις τό μή είναι
φθοράν ύπομείνωσι τώ χρόνω εικότως, εί γάρ φύσιν εχοντες τό
μή ειναί ποτε, τη τοΰ λόγου παρουσία καί φιλανθρωπία εις τό
είναι έκλήθησαν, άκόλουθον ήν κενωθέντας τούς άνθρώπους της
περί θεοΰ έννοιας καί είς τά ούκ δντα άποστραφέντας, ούκ δντα
γάρ έστι τά κακά, δντα δέ τά καλά, έπειδήπερ άπό τοΰ δντος
θεοΰ γεγόνασι, κενωθηναι κα'ι τοΰ είναι άεί. τοΰτο δέ έστι τό
διαλυθέντας μένειν έν τώ θανάτω καί τη φθορά, έστι μέν γάρ
κατά φύσιν άνθρωπος θνητός, ατε δή έξ ούκ δντων γεγονώς.
διά δέ τήν πρός τόν δντα ομοιότητα, ήν εί έφύλαττε διά τής
πρός αύτόν κατανοήσεως, ήμβλυνεν άν τήν κατά φύσιν φθοράν
καί εμεινεν άφθαρτος· καθάπερ ή σοφία φησίν· «Προσοχή νό­
μων βεβαίωσις άφθαρσίας» (Sap. 6, 18)· άφθαρτος δέ ών, εζη
λοιπόν ώς θεός, ώς που καί ή θεία γραφή τοΰτο σημαίνει λέ-
γουσα- « Έ γ ώ είπα* θεοί έστε καί υιοί ύψίστου πάντες· ύμεϊς
δέ ώς άνθρωποι άποθνήσκετε, καί ώς εις τών άρχόντων π ίπ ­
τ ε τ ε» (Ps. 81, 6-7).
l ’ in c a r n a z io n e 53

per lui il motivo della discesa dal cielo, e la nostra trasgressione


ha invocato la benevolenza del Logos, sì che il Signore è venuto
a noi ed è apparso in mezzo agli uomini. Infatti noi siamo stati il
motivo della sua incarnazione, e per la nostra salvezza egli ha
manifestato la sua benevolenza fino al punto da nascere e appari­
re in corpo umano.
Perciò Dio creò l’uomo e volle che rimanesse nell’incorrutti­
bilità. Ma gli uomini non ne tennero conto ed essendosi distolti
dalla considerazione di Dio, meditarono ed escogitarono per sé il
male, come prima abbiamo detto, sì che ricevettero la condanna
a morte che era stata loro minacciata. Così non rimasero più
nella condizione in cui erano stati creati, ma si corruppero come
avevano meditato; e la morte prevalse e dominò su di loro. In­
fatti la trasgressione dell’ordine li volse a ciò ch’è secondo natu­
ra, perché, come erano nati mentre prima non esistevano, così
conseguentemente dovessero esser soggetti, col passare del tem­
po, alla corruzione che li avrebbe riportati al non essere. Come
infatti per loro era naturale il non esistere mai e solo per la pre­
senza e la benevolenza del Logos erano stati chiamati all’essere,
così conseguentemente gli uomini, restati privi della comprensio­
ne di Dio e voltisi al non essere - infatti non esistenti sono i
mali® ed esistenti i beni -, dopo che si furono allontanati da
Dio che esiste, furono privati anche dell’esistere per sempre. Ciò
significa che, una volta morti, essi restano nella morte e nella
corruzione. Infatti l’uomo per natura è mortale, in quanto è sta­
to creato dal nulla. Grazie alla somiglianza con colui che è, se
l’avesse custodita pensando a lui, avrebbe tolto forza alla corru­
zione naturale e sarebbe restato incorruttibile, come dice la Sa­
pienza: « L ’osservanza dei precetti è assicurazione d’incorruttibi­
lità» {Sap. 6, 18). E d essendo incorruttibile, egli avrebbe conti­
nuato a vivere come Dio, come anche la Sacra Scrittura indica in
un passo, dicendo: « Io ho detto: “ Siete dei e tutti figli dell’Al­
tissimo” . M a voi come uomini morite e come uno dei principi
cadete» (Ps. 81, 6-7).
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OISVNVXV
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OISVNVXV 9e
5« ATANASIO

δμοιον λαβών, διά τό πάντας υπευθύνους είναι τή τοΰ θανάτου


φθορςί, αντί πάντων αυτό θανάτω παραδιδούς, προσήγε τώ πα-
τρί, καί τοΰτο φιλανθρώπως ποιων, ΐνα ώς μέν πάντων άποθα-
νόντων έν αύτώ λυθή ό κατά τής φθοράς τών άνθρώπων νόμος
(ατε δή πληρωθείσης τής έξουσίας έν τώ κυριακώ σώματι, καί
μηκέτι χώραν ϋχοντος κατά τών όμοιων άνθρώπων)* ώς δέ είς
φθοράν άναστρέψαντας τούς άνθρώπους πάλιν είς τήν άφθαρ-
σίαν έπιστρέψτ), καί ζωοποιήαη τούτους άπό τοΰ θανάτου τή
τοΰ σώματος ίδιοποιήσει, καί τή τής άναστάσεως χάριτι τόν
θάνατον άπ’ αυτών ώς καλάμην άπό πυρός έξαφανίζων.
9. Συνιδών γάρ ό λόγος δτι άλλως ούκ αν λυθείη τών άν­
θρώπων ή φθορά εί μή διά τοΰ πάντως άποθανεΐν, ούχ οΐόν τε
δέ ήν τόν λόγον άποθανεΐν άθάνατον δντα καί τοΰ πατρός υιόν,
τούτου Ινεκεν τό δυνάμενον άποθανεΐν έαυτώ λαμβάνει σώμα,
ινα τοΰτο τοΰ έπί πάντων λόγου μεταλαβόν άντί πάντων ικανόν
γένηται τώ θανάτω, καί διά τόν ένοικήσαντα λόγον άφθαρτον
διαμείνη, καί λοιπόν άπό πάντων ή φθορά παύσηται τή τής
άναστάσεως χάριτι. δθεν ώς ΐερεΐον καί θΰμα παντός έλεύθερον
σπίλου, δ αυτός έαυτώ ελαβε σώμα προσάγων είς θάνατον, άπό
πάντων ευθύς τών όμοιων ήφάνιζε τόν θάνατον τή προσφορά
τοΰ καταλλήλου, υπέρ πάντας γάρ ών ό λόγος τοΰ θεοΰ
εικότως τόν έαυτοΰ ναόν καί τό σωματικόν δργανον προσάγων
άντίψυχον υπέρ πάντων έπλήρου τό όφειλόμενον έν τώ θανάτω*
καί ώς συνών δέ διά τοΰ όμοίου τοΐς πασιν ό άφθαρτος τοΰ θεοΰ
υιός εικότως τούς πάντας ένέδυσεν άφθαρσίαν έν τή περί τής
άναστάσεως έπαγγελία.
Κ α ί αύτή γάρ ή έν τώ θανάτω φθορά κατά τών άνθρώπων
ούκέτι χώραν εχει διά τόν ένοικήσαντα λόγον έν τούτοις διά
τοΰ ένός σώματος, καί ώσπερ μεγάλου βασιλέως είσελθόντος
είς τινα πόλιν μεγάλην καί οίκήσαντος είς μίαν τών έν αύτή
οικιών, πάντως ή τοιαύτη πόλις τιμής πολλής καταξιοΰται, καί
ούκέτι τις έχθρός αύτήν ουτε ληστής έπιβαίνων καταστρέφει,
l ' in c a r n a z io n e 59

assunto un corpo sim ile13 al nostro, poiché tutti eravamo soggetti


alla corruzione della morte, egli in luogo di tutti consegnò il suo
corpo alla morte e lo presentò al Padre; e fece questo per amore,
perché, quasi che tutti fossero morti in lui, fosse abolita fra gli
uomini la legge della corruzione - in quanto aveva esaurito il suo
potere nel corpo del Signore e non aveva più facoltà contro gli
uomini simili a quello Così gli uomini che si erano volti alla
corruzione egli nuovamente li volse all’incorruttibilità e vivificò
tutti dalla morte coll’appropriazione del corpo, e con la grazia
della risurrezione fece scomparire da loro la morte come canna
bruciata dal fuoco.
9. Infatti il Logos, comprendendo che la corruzione degli uo­
mini non poteva essere dissolta14 altrimenti che col morire in mo­
do reale e d ’altra parte non era possibile che morisse il Logos, in
quanto immortale e Figlio del Padre, per questo assume per sé
un corpo che poteva morire, perché questo, partecipando del L o­
gos eh’è su tutti, fosse idoneo a morire per tutti e però a rimane­
re incorrotto in forza del Logos che dimorava in lui, sì che in
grazia della risurrezione avesse fine in tutti la corruzione. Perciò,
come sacra offerta sacrificale priva di ogni macchia, egli presentò
alla morte il corpo che aveva assunto per sé e subito, coll’offerta
del simile, fece scomparire la morte da tutti i simili. Poiché in­
fatti è al di sopra di tutti, il Logos di Dio col presentare il pro­
prio tem pio15 e lo strumento corporeo come contraccambio per
tutti a buon diritto ha soddisfatto il debito con la sua morte; e in
quanto l’incorruttibile Figlio di Dio coesisteva con tutti in forza
del corpo simile, a buon diritto ha rivestito tutti dell’incorrutti­
bilità all’annuncio della risurrezione.
C osì la corruzione non ha più potere con la morte a danno
degli uomini, grazie al Logos che dimora in essi col suo unico
corpo. E come, quando un grande re entra in una grande città e
prende dimora in una delle sue case, tutta questa città è fatta
Oggetto di grande onore e non più nemici e predoni l’assalgono e
la mettono sottosopra, perché anzi essa è ritenuta meritevole di
6o ATANASIO

πάσης δέ μάλλον έπιμελείας άξιοΰται διά τόν είς μίαν αυτής


οικίαν οίκήσαντα βασιλέα· ούτως καί έπί τοΰ πάντων βασιλέως
γέγονεν. έλθόντος γάρ αύτοΰ έπί τήν ήμετέραν χώραν καί οίκή-
σαντος είς εν τών όμοιων σώμα, λοιπόν πάσα ή κατά τών άν-
5 θρώπων παρά τών εχθρών έπιβουλή πεπαυται, και ή τοΰ θανά­
του ήφάνισται φθορά ή πάλαι κατ’ αυτών ίσχυουσα. παραπωλώ-
λει γάρ αν τό τών άνθρώπων γένος, εί μή ό πάντων δεσπότης
καί σωτήρ τοΰ θεοΰ υιός παρεγεγόνει προς τό τοΰ θανάτου τέ­
λος.
l ’ in c a r n a z io n e 6 i

grandi cure in forza del re che abita in una sola delle sue case,
allo stesso modo è successo anche riguardo al re di tutti. Poiché
infatti egli è venuto nella nostra terra ed ha preso dimora in un
solo corpo simile al nostro, così è cessata ogni insidia da parte
dei nemici a danno degli uomini ed è scomparsa la corruzione
della morte, che da tanto tempo dominava contro di loro. Infatti
il genere degli uomini sarebbe completamente perito se non fosse
venuto il Figlio di Dio, signore e salvatore di tutti, per metter
fine alla morte.
Parte Seconda
L A C R IS I A R IA N A
D A L L ’IN IZ IO
A L C O N C IL IO D I N IC E A (325)
In data non precisabile intorno al 320 il prete Ario, membro
influente del clero di Alessandria, cominciò a diffondere delle
idee su Cristo che provocarono subito forti reazioni. Accusato
presso il vescovo Alessandro, Ario non modificò le sue posizioni
e fu perciò condannato e deposto dal suo ufficio insieme con
alcuni seguaci. Tuttavia trovò larghi appoggi in membri anche
influenti dell’episcopato orientale, così che la controversia, lungi
dallo spegnersi, si diffuse ben presto in gran parte dell’oriente.
Ebbe inizio la crisi ariana, che si protrasse per buona parte del
IV secolo, coinvolse tutto l’oriente e poi anche l’occidente, po­
larizzò attorno a sé gl’ingegni più validi della cristianità del tem­
po e contribuì in modo decisivo alla definitiva formulazione del
dogma trinitario.
Per ambientare la controversia, si ricordi che da circa un se­
colo e mezzo si discuteva, soprattutto in oriente, sulla natura di
Cristo e sul suo rapporto con Dio Padre. I cosiddetti teologi del
Logos, dei quali abbiamo già conosciuto Eusebio, consideravano
il Padre e il Figlio come due entità divine sussistenti (ipostasi,
hypostaseis), la seconda originata dalla prima e a lui subordinata,
e assicuravano l’unione dei due sul piano dinamico dell’unità di
volere e agire. Q uesta concezione appariva «d iteista» a tanti
preoccupati di salvaguardare più adeguatamente l’unità di Dio.
Alcuni di costoro, i monarchiani, tendevano a considerare il Lo­
gos divino come non sussistente, ma come una dynamis, una fa­
coltà operativa del Padre, che solo prendendo corpo nell’uomo
Gesù aveva acquistato sussistenza individuale. Contro costoro
polemizzava Ario e contro chi gli sembrava profilare il rapporto
di generazione fra il Padre e il Figlio in modo eccessivamente
materialista. Egli veniva a rappresentare, nell’ ambito della tradi-
66 PARTE SECONDA

zione di Origene, l’ala più radicale: per affermare decisamente


l’individualità sussistente del Figlio, ne faceva una creatura del
Padre, anche se di condizione unica e privilegiata, e lo conside­
rava in definitiva come un dio minore, non partecipe né dell’o­
nore né della natura del Padre, unico vero Dio. Alessandro rap­
presentava un origenismo moderato che, pur subordinando il F i­
glio al Padre, non lo staccava da lui in modo così reciso: pur
essendo lontano dalle dottrine monarchiane, dopo lunga medita­
zione, fu costretto a prendere posizione contro Ario e lo fece
condannare da un concilio di vescovi d ’Egitto e di Libia, insieme
con alcuni seguaci.
M a la sua dottrina radicale Ario, almeno in parte, l’aveva
assimilata alla scuola del prete antiocheno Luciano, presso il qua­
le avevano studiato vari esponenti qualificati dell’episcopato
orientale di quegli anni. Presso costoro, tra i quali il più influen­
te era Eusebio di Nicomedia, il prete alessandrino trovò rifugio
e sostegno: anche presso Eusebio di Cesarea, il cui subordinazio-
nismo però non raggiungeva le punte radicali di Ario e che per­
ciò, pur cooperando politicamente con i suoi sostenitori, non
volle mai confondere con loro la sua posizione ideologica. Una
missione in oriente di Ossio di Cordova, voluta da Costantino,
non sortì alcun effetto, così che si giunse, per ordine dell’impe­
ratore, alla convocazione, a Nicea in A sia Minore, del primo
concilio ecumenico della Chiesa, che si svolse fra maggio e giu­
gno del 325. Un concentramento di origeniani moderati e di mo­
narchiani isolò i partigiani di Ario; ma la stesura di una formula
di fede, tale da significare il ripudio senza ombra di dubbio della
dottrina di Ario, fu molto laboriosa perché gli antiariani erano
profondamente divisi fra loro su punti qualificanti di dottrina.
Perciò l’adozione del termine homoousios, imposto alla fine dallo
stesso Costantino come radicalmente opposto alle tesi di Ario,
non fu gradita da molti che lo sottoscrissero soltanto dietro pres­
sione dell’imperatore. Fra questi ci fu pure Eusebio di Cesarea e
perfino Eusebio di Nicomedia, il leader dello schieramento aria­
no. Ario e pochi dei suoi non vollero sottoscrivere e furono esi­
liati. Successivamente fu esiliato, per causa non ben precisata,
anche Eusebio di Nicomedia.
L a sorte dell’arianesimo sembrava così segnata; ma nel giro di
qualche anno la situazione si rovesciò. 11 malumore che la formu­
la nicena aveva provocato in molti esponenti dell’episcopato
orientale, non ariani ma neppure fautori dell’impostazione dot­
LA CRISI ARIANA 67

trinale del simbolo niceno, costituì la piattaforma che permise


prima ad Eusebio di Cesarea e poi, tornato dall’esilio, ad
Eusebio di Nicomedia, di organizzare un’accorta reazione
antinicena. E ssi non agirono sul piano ideologico, perché
Costantino non avrebbe permesso che si mettesse pubblicamente
in discussione il credo di Nicea, ma solo sul piano personale; vari
capiparte antiariani con pretesti vari, ora dottrinali ora
disciplinari, furono posti sotto accusa, condannati e deposti.
Basti ricordare Eustazio di Antiochia, Asclepio di Gaza,
Marcello di Ancira e Atanasio di Alessandria, il successore di
Alessandro (concilio di Tiro del 335). Lo stesso Ario, a seguito
di una anodina professione di fede presentata a Costantino, fu
riabilitato da un concilio tenuto a Gerusalemme nel 335, ma
morì quasi subito, senza essere potuto rientrare ad Alessandria.
D i lì a poco moriva anche Costantino, e la sua morte impresse
un nuovo aspetto alla controversia, a riprova dell’incidenza
ormai decisiva che il potere politico esercitava nelle questioni
anche più specificamente religiose della chiesa.
I testi che presentiamo per illustrare la prima fase della con­
troversia ariana sono sufficienti a dare un quadro abbastanza
completo delle diverse impostazioni dottrinali che si scontrarono
a Nicea, e propongono l’essenziale della documentazione super­
stite relativa al concilio.
1. Ario, Lettera a Eusebio di Nicomedia

È il documento più antico della controversia ariana. Ario lo indirizzò a


Eusebio di Nicomedia, che era stato con lui alla scuola di Luciano e
sarebbe diventato il più valido dei suoi sostenitori, quando, condanna­
to da Alessandro, si trovava ancora ad Alessandria o se ne era allonta­
nato da poco. In esso egli espone la sua dottrina nella forma più
radicale. Rimprovera ad Alessandro di ritenere il Figlio esistente ab
aetemo e perciò coeterno col Padre, e derivato dalla sua sostanza. Di
contro afferma che, prima di essere stato generato e creato, il Figlio
non esisteva e che è stato tratto all’essere dal nulla. Sono queste le due
proposizioni più radicali della dottrina di Ario. In lui è soprattutto
evidente la preoccupazione di escludere una concezione materialista
della generazione divina, che importerebbe la divisione in due parti del
comune sostrato divino, preoccupazione che Ario condivide con Ori-
gene e che forse non era infondata, data la prevalente impostazione
materialista della riflessione teologica d ’ambiente asiatico.
Se in questa preoccupazione Ario continua l’impostazione trini­
taria di Origene, se ne distacca nel rifiutare la coeternità del Figlio
col Padre, perché, profilando la generazione divina secondo i para­
metri di quella animale, non riesce a comprendere l’assoluta atempo­
ralità di questo processo, che Origene aveva invece ben rilevato (de
principiis IV 4, 1). Anche la conclusione che egli trae dall’escludere
la generazione del Figlio dalla sostanza del Padre, cioè che questi era
stato tratto all’essere dal nulla, lo isola rispetto alla tradizione prece­
dente la quale, pur ritenendo il Figlio in varia misura inferiore al
Padre, lo aveva però sempre ritenuto Figlio vero, nel senso proprio
del termine, e non soltanto metaforicamente, per adozione. Quando
perciò Ario afferma che i vescovi d ’oriente, nella quasi totalità, la
pensano come lui, esagera largamente. Quanto ai tre vescovi che
dichiara a lui ostili, troppo poco ne sappiamo per poter definire la
loro posizione dottrinale.
LETTERA A EUSEBIO DI NICOMEDIA 69

Presentiamo il testo della lettera di Ario a Eusebio di Nicomedia


secondo l’edizione di H .G . Opitz, Urkunden zur Gescbichte àes arìa-
nischen Streites, Berlin - Leipzig 1934, pp. 1-3.

Ario era prete ad Alessandria quando, già in tarda età, intorno al 320 provo­
cò con la diffusione delle sue idee su Cristo l’inizio della grande controversia
che da lui ebbe nome, e per le cui vicende si rimanda alle notizie contenute
nelle introduzioni ai singoli testi. D i lui ci sono rimaste tre lettere e alcuni
frammenti della Thalia (Banchetto ), un’opera scritta in poesia per propagan­
dare più efficacemente la sua dottrina. Condannato al concilio di N icea del
325 ed esiliato, fu richiamato dall’esilio e successivamente riabilitato, per
volere d i C ostantino, nel concilio di Gerusalemm e del 3 )5 , ma morì poco
dopo, prima di essere potuto rientrare ad Alessandria.

Bibliografìa: E . Boularand, L'héresie d ’Arius et la foi de Nicée, I II, Paris


1972-3; M . Sim onetti, L a crisi ariana nel IV secolo, Rom a 1975; R. Lorenz,
Arias judaizans?, G òttingen 1980.
1. Κυρίω ποθεινοτάτω άνθρώπω θεοΰ πιστώ, δρθοδόξω Εύ-
σεβίω "Αρειος ό διωκόμενος ύπό Αλεξάνδρου πάπα αδίκως
διά τήν πάντα νικώσαν αλήθειαν ής καί συ υπερασπίζεις, έν
κυρίω χαίρειν.
2. Τοΰ πατρός μου Άμμωνίου είς τήν Νικομήδειαν άφίκο-
μένου εύλογον καί όφειλόμενον έφάνη μοι προσαγορεΰσαί σε
δι’ αύτοΰ, όμοΰ τε καί ύπομνήσαι τήν έμφυτόν σου άγάπην καί
διάθεσιν, ήν εχεις προς τους άδελφούς διά τόν θεόν καί τόν
Χριστόν αύτοΰ, δτι μεγάλως ήμας έκπορθεΐ καί διώκει καί
πάντα κάλων κινεί καθ’ ήμών ό έπίσκοπος, ώστε έκδιώξαι
ήμάς έκ τής πόλεως ώς άνθρώπους άθεους, έπειδή ού συμφω-
νοΰμεν αύτώ δημοσία λέγοντι· «ά εί θεός άεί υιός, άμα πατήρ
άμα υιός, συνυπάρχει ό υιός άγεννήτως τώ θεώ, άειγεννής, ά-
γεννητογενής, ούτ’ έπινοίςι ούτ’ άτόμω τινί προάγει ό θεός τοΰ
υίοΰ, άεί θεός άεί υιός, έξ αύτοΰ τοΰ θεοΰ ό υιός».
3. Καί έπειδή Ευσέβιος ό άδελφός σου έν Καισαρεία καί
θεόδοτος καί Παυλϊνος καί Αθανάσιος καί Γρηγόριος καί
Άέτιος καί πάντες οΐ κατά τήν άνατολήν λέγουσιν οτι προ­
ϋπάρχει ό θεός τοΰ υίοΰ άνάρχως, άνάθεμα έγένοντο δίχα Φι-
λογονίου καί Έλλανικοΰ καί Μακαρίου, άνθρώπων αιρετικών
άκατηχήτων τόν υιόν λεγόντων οί μέν έρυγήν, οί δέ προβολήν,
οί δέ συναγέννητον.
4. Καί τούτων τών άσεβειών ούδέ άκοΰσαι δυνάμεθα, έάν
μυρίους θανάτους ήμΐν έπαπειλώσιν οί αιρετικοί, ήμεΐς δέ τί
1. Al signore Eusebio, amatissimo uomo fedele a Dio e di
retta fede, da parte di Ario, perseguitato d a papa 1 Alessandro
ingiustamente a causa della verità che vince su tutto e che anche
tu difendi, salute nel Signore.
2 . Poiché il padre 2 Ammonio veniva a Nicomedia, mi è

sembrato opportuno e doveroso salutarti per suo tramite e insie­


me rammentarti l’affetto in te innato e la buona disposizione che
hai verso i fratelli in grazia di Dio e del suo Cristo, dato che il
vescovo aspramente ci tormenta, ci perseguita e usa contro di
noi ogni mezzo, sì che ci ha scacciato dalla città quali uomini
senza Dio. Il motivo è che non siamo d ’accordo con lui che af­
ferma pubblicamente: «Sem pre Dio sempre il Figlio, insieme il
Padre insieme il Figlio, il Figlio coesiste con Dio senza essere
stato generato, generato da sempre, ingenerato-generato3. N é
nel pensiero né di un solo istante D io precede il Figlio. Sempre
Dio sempre il Figlio. Il Figlio deriva proprio da D io4».
3. E poiché Eusebio, il tuo collega di Cesarea, Teodoto, Pao­
lino, Atanasio’ , Gregorio, Aezio e tutti gli orientali affermano
che Dio, senza avere inizio, preesiste al Figlio, tutti sono stati
condannati, eccetto Filogonio, Ellanico e Macario, eretici igno­
ranti i quali sostengono, uno che il Figlio è eruttazione, un altro
emissione, un altro ingenerato insieme col Padre6.
4. Tali empietà non possiamo neppure stare a sentire, anche
se gli eretici ci minacciano mille morti. Ma noi che cosa affer-
72 ARIO

λέγομεν καί φρονοϋμεν καί έδιδάξαμεν καί διδάσκομεν; δτι ό


υιός ούκ έστιν άγέννητος ούδέ μέρος άγεννήτου κατ’ ούδένα
τρόπον οΰτε έξ ύποκειμένου τινός, άλλ’ δτι θελήματι καί βουλή
ύπέστη πρό χρόνων καί πρό αιώνων, πλήρης θεός, μονογενής,
5 αναλλοίωτος. 5. καί πριν γεννηθή ήτοι κτισθη ήτοι όρισθή ή
θεμελιωθή (Prov. 8, 22-5), ούκ ήν. άγέννητος γάρ ούκ ήν. διω-
κόμεθα δέ οτι εϊπομεν· «άρχήν έχει ό υιός, ό δέ θεός αναρχός
έστι». διά τοΰτο διωκόμεθα καί δτι ειπομεν· «έξ ούκ δντων
έστίν». οδτως δέ εϊπομεν, καθότι ούδέ μέρος θεοΰ έστιν ούδέ έξ
ίο ύποκειμένου τινός. διά τοΰτο διωκόμεθα, λοιπόν σύ οίδας.
Έρρώσθαί σε έν κυρίω εύχομαι μεμνημένον τών θλίψεων
ήμών, συλλουκιανιστά άληθώς Εύσέβιε.
LETTERA A EUSEBIO DI NICOMEDIA 73

miamo, pensiamo, abbiamo insegnato e insegnamo? Il Figlio non


è ingenerato né in alcun modo è parte dell’ingenerato 7 né deriva
da un sostrato; ma per volere® e decisione del Padre è venuto
all’esistenza prima dei tempi9 e dei secoli, pienamente D io 10,
unigenito, inalterabile11. 5. E prima di essere stato sia genera­
to sia creato 12 sia definito sia fondato (Prov. 8 , 22-5), non esiste­
v a 11. Infatti non era ingenerato14. Veniamo perseguitati perché
abbiamo detto: «Il Figlio ha principio, mentre Dio è senza
principio». Per questo siamo perseguitati, e perché abbiamo
detto: «D eriva dal nulla». Cosi abbiamo detto, in quanto non è
né parte di Dio né deriva da un sostrato. Per questo siamo
perseguitati. Il resto tu lo sai.
T i auguro di star bene nel Signore, memore delle nostre affli­
zioni, Eusebio veramente coUucianista1*.
2. Ario, Lettera ad Alessandro di Alessandria

È una professione di fede che Ario e i suoi compagni indirizzarono


ad Alessandro, quando erano fuori d ’Egitto, forse per consiglio di
Eusebio di Nicomedia. Rispetto al testo precedente, qui Ario precisa
meglio qualche dettaglio e soprattutto ne attenua qualche punta ra­
dicale. Soprattutto tace della creazione dal nulla del Figlio per parte
del Padre, ma senza precisarne meglio l’origine, in quanto tace anco­
ra che il Figlio possa aver tratto l’essere dalla sostanza divina. In tal
senso però egli precisa di esser disposto ad accettare la derivazione
(generica) del Figlio dal (έκ) Padre, ma con la precisazione che essa
non debba essere intesa come divisione della sostanza divina. Per
questo motivo condanna alcune dottrine eretiche che, a suo parere,
profilavano in tal modo l’origine del Figlio (Valentino, Mani), insie­
me con la dottrina monarchiana di Sabellio.
Il testo, meglio elaborato del precedente, tende a presentare da
una parte l’assoluta preminenza del Padre, ma dall’altra anche il ca­
rattere d’eccellenza del Figlio, che viene collocato, per cosi dire, a
mezzo, fra Dio e il mondo della creazione, nella sua qualità di essere
unico creato direttamente dal Padre per provvedere poi, per volere
del Padre, alla creazione di tutti gli altri esseri. In tal senso egli è
l’Unigenito, perché Ario, sulla base dell’equivalenza creare = gene­
rare, fondata - come ha fatto nella lettera ad Eusebio e come fa
ancora qui - su Prov. 8 , 22-5, continua a parlare del Figlio «anche»
come generato dal Padre, uniformandosi così ad un dato altamente
tradizionale. Ario resta fermo, invece, nell’affermazione che il Padre
precede il Figlio il quale perciò, prima di essere stato generato, non
esisteva.
Questa formulazione della dottrina, rispetto alla precedente, fa
concessioni più di forma che di sostanza e rileva bene la capacità di
Ario di riprendere proposizioni tradizionali ad litteram ma piegando­
le ad una nuova significazione, molto più subordinante che prima. Il
LETTERA AD ALESSANDRO DI ALESSANDRIA 75

testo era destinato a grande fortuna nelle file degli ariani e dei loro
simpatizzanti. Nel 358 circa Ilario sentirà infatti l’esigenza di ri­
prenderlo, per confutarlo ampiamente, nei 11. IV-VI del de trinitate, e
ancora nel 381, nel concilio di Aquileia, sarà tirato in questione
durante il dibattimento.
Per il testo della lettera seguiamo l’edizione di H .G . Opitz, Ur-
kunden zur Geschichte des arianischen Streites..., pp. 12-3.
1. Μακαρίω πάπα καί έπισκόπω ήμών Άλεξάνδρω οί πρε-
σβύτεροι καί οί διάκονοι έν κυρίω χαίρειν.
2. Ή πίστις ήμών ή έκ προγόνων, ήν καί άπό σου μεμαθή-
καμεν, μακάριε πάπα, εστιν αυτη. οΐδαμεν ενα θεόν, μόνον ά-
γεννητον, μόνον άΐδιον, μόνον αναρχον, μόνον άληθινόν, μόνον
αθανασίαν εχοντα, μόνον σοφόν, μόνον άγαθόν, μόνον δυνά­
στην, πάντων κριτήν, διοικητήν, οίκονόμον, δτρεπτον καί ά-
ναλλοίωτον, δίκαιον καί άγαθόν, νόμου καί προφητών καί
καινής διαθήκης θεόν, γεννήσαντα υιόν μονογενή προ χρόνων
αιωνίων, δι’ οΰ καί τούς αιώνας καί τά 8λα πεποίηκε, γεννή­
σαντα δέ ού δοκήσει, άλλα άληθεία, ύποστήσαντα ίδίω θελή-
ματι, άτρεπτον καί άναλλοίωτον, κτίσμα τοΰ θεοΰ τέλειον, άλ-
λ ’ούχ ώς εν τών κτισμάτων, γέννημα, άλλ’ ούχ ώς εν τών
γεγεννημενων, [3.] ούδ’ ώς Ούαλεντΐνος προβολήν το γέννη­
μα τοϋ πατρός έδογμάτισεν, ούδ’ ώς Μανιχαΐος μέρος όμοού-
σιον τοΰ πατρός τό γέννημα είσηγήσατο, ούδ’ ώς Σαβέλλιος
τήν μονάδα διαιρών υίοπάτορα είπεν, ούδ’ ώς Ίερακάς λύχνον
άπό λύχνου ή ώς λαμπάδα εις δύο, ούδέ τόν οντα πρότερον,
ύστερον γεννηθέντα ή έπικτισθέντα εις υιόν, ώς καί συ αύτός,
μακάριε πάπα, κατά μέσην τήν έκκλησίαν καί έν συνεδρίω
πλειστάκις τούς ταΰτα είσηγησαμένους άπηγόρευσας, άλλ’ ώς
φαμεν, θελήματι τοΰ θεοΰ προ χρόνων καί προ αιώνων κτισθέν-
1. Al beato papa e vescovo nostro Alessandro, da parte dei
preti e dei diaconi, salute nel Signore.
2. La nostra fede, che ci viene dai padri 1 e che anche da te,
beato papa, abbiamo appreso, è la seguente. Sappiamo che esiste
un unico Dio, solo 2 ingenerato, solo eterno, solo senza princi­
pio, solo vero, solo che possiede l’immortalità, solo sapiente, solo
buono, solo potente, che giudica regge e governa ogni cosa, im­
mutabile e inalterabile, giusto e buono3, Dio della Legge, dei
profeti e del Nuovo Testamento. Egli ha generato 4 il Figlio uni­
genito prima dei tempi eterni, e per mezzo di lui ha creato i
tempi e tutte le cose: lo ha generato non in apparenza ma in
realtà, per propria volontà lo ha fatto sussistere, immutabile e
inalterabile, creatura perfetta di Dio, ma non come una delle
creature, genitura, ma non come una delle geniture. 3. Non
come Valentino 5 ha sostenuto che la genitura del Padre è emana­
zione; né come Mani ha insegnato che la genitura è parte consu­
stanziale 6 del Padre; né come Sabellio, dividendo la monade,
l’ha definita figlio-padre7; né come Ieraca ha affermato lucerna
da lucerna o quasi un lume che si divide in due, né nel senso che,
esistendo dapprim a8, dopo è stato generato o creato in luogo di
Figlio, come tu stesso, beato papa, hai più volte condannato, in
mezzo alla chiesa e in assemblea, coloro che facevano tali affer­
mazioni. Affermiamo invece9 che il Figlio è stato creato per
volere di Dio prima dei tempi e dei secoli, ed ha ricevuto dal
ARIO

τα καί τό ζην καί τό είναι παρά τοΰ πατρός είληφότα καί τάς
δόξας, συνυποστήσαντος αύτώ τοΰ πατρός. 4. ού γάρ ό
πατήρ δους αύτώ πάντων τήν κληρονομιάν έστέρησεν εαυτόν
ών άγεννήτως εχει έν έαυτώ· πηγή γάρ έστιν πάντων, ώστε
5 τρεΤς είσιν υποστάσεις, καί ό μέν θεός αίτιος τών πάντων τυγ-
χάνων έστιν αναρχος μονώτατος, ό δε υιός άχρόνως γεννηθείς
ύπό τοΰ πατρός καί πρό αιώνων κτισθείς καί θεμελιωθείς (Prov.
8, 22-5) ούκ ήν πρό τοΰ γεννηθήναι, άλλ’ άχρόνως πρό πάν­
των γεννηθείς, μόνος ύπό τοΰ πατρός ύπέστη. ούδέ γάρ έστιν
ίο άίδιος ή συναΐδιος ή συναγέννητος τώ πατρί, ούδέ αμα τώ πα­
τρί τό είναι εχει, ώς τινες λέγουσι τά πρός τι, δύο άγεννήτους
άρχάς είσηγούμενοι. άλλ’ ώς μονάς καί άρχή πάντων, ούτως ό
θεός πρό πάντων έστί. διό καί πρό τοΰ υίοΰ έστιν, ώς καί παρά
σου μεμαθήκαμεν κατά μέσην τήν έκκλησίαν κηρύξαντος.
ι5 5. Καθό οΰν παρά τοΰ θεοΰ τό είναι εχει καί τάς δόξας καί
τό ζην καί τά πάντα αύτώ παρεδόθη, κατά τοΰτο άρχή αύτοΰ
έστιν ό θεός. άρχει γάρ αύτοΰ ώς θεός αύτοΰ καί πρό αύτοΰ ών.
εί δέ τό « έξ αύτοΰ » καί τό « έκ γαστρός » (Ps. 109, 3) καί τό « έκ
τοΰ πατρός έξήλθον καί ήκω » (Ευ. Ιο. 8, 42) ώς μέρος αύτοΰ
ίο όμοουσίου καί ώς προβολή ύπό τινων νοείται, σύνθετος έ'σται ό
πατήρ καί διαιρετός καί τρεπτός καί σώμα κατ’ αύτους καί τό
οσον έπ’ αύτοΐς τά άκόλουθα σώματι πάσχων ό άσώματος
θεός.
Έρρώσθαί σε έν κυρίω εύχομαι, μακάριε πάπα. "Αρειος,
25 Αειθαλής, ’Αχιλλεύς, Καρπώνης, Σαρμάτας, ’Άρειος πρε-
σβύτεροι. διάκονοι Εύζώϊος, Λούκιος, Ιούλιος, Μηνάς, Έλ-
λάδιος, Γάϊος. έπίσκοποι Σεκοΰνδος Πενταπόλεως, Θεωνάς
Λίβυς, [Πιστός].
LETTERA AD ALESSANDRO DI ALESSANDRIA 79

Padre la vita, l’essere e la gloria, mentre il Padre sussiste insieme


con lui. 4. Infatti il Padre, nel dare a lui l’eredità di tutto,
non ha privato se stesso di ciò che possiede in sé stesso senza
essere stato generato, in quanto è fonte di tutte le cose. Sicché
esistono tre ipostasi10; e Dio che è causa di tutte le cose è senza
principio assolutamente solo; invece il Figlio, generato dal Padre
fuori dal tem po 11 e creato e fondato (Prov. 8 , 22-5) prima dei
tempi, non esisteva prima di essere stato generato, ma generato
fuori dal tempo prima di tutte le cose, egli solo ha derivato l’es­
sere sussistente dal Padre. Infatti non è eterno né coeterno né
ingenerato insieme col Padre, né ha l’essere insieme col Padre,
come dicono alcuni sulla base del principio di relazione12,
introducendo così due principi ingenerati. Ma in quanto monade
e principio di tutto, Dio esiste prima di tutto; perciò esiste
anche prima del Figlio, come abbiamo appreso anche da te che
insegnavi in mezzo alla chiesa.
5. In quanto il Figlio ha da Dio l’essere, la gloria, la vita
tutto gli è stato affidato, in questo senso D io è suo principio.
Infatti comanda su di lui, in quanto è il suo Dio ed esiste prima
di lui. Quanto poi a espressioni come «d a la i» e «dal ventre»
(Pi. 109, 3) e «sono uscito dal Padre e sono venuto» (Ευ. Io. 8 ,
42)u , se alcuni le intendono nel senso che il Figlio è parte del
Padre consustanziale ed emanazione, il Padre risulterà, secondo
loro, composto, divisibile, mutevole e corpo; e Dio incorporeo
sarà soggetto a tutto ciò che, secondo loro, succede naturalmente
ad un corpo.
T i auguro di star bene nel Signore, beato papa. Ario, Aitale,
Achille, Carpone, Sarmata, Ario, preti. Euzoio, Lucio, Giulio,
Mena, Elladio, G aio, diaconi. Secondo della Pentapoli, Teona
della Libia, [Pisto], vescovi.
3. Alessandro, Lettera a tutti i vescovi

Questa lettera enciclica di Alessandro di Alessandria si colloca cro­


nologicamente fra la prima e la seconda lettera di Ario. Egli la scris­
se dopo che il clero di Alessandria aveva condannato Ario e un con­
cilio di circa cento vescovi di Egitto e di Libia aveva ratificato la
condanna, perché la propaganda che Eusebio di Nicomedia faceva in
favore di Ario gli fece ritenere opportuno scrivere ai vescovi della
cristianità per informarli su come si fossero svolte le cose e sul teno­
re della dottrina di Ario. Perciò insieme con un breve ragguaglio dei
fatti, che insiste soprattutto sulla responsabilità di Eusebio, egli dà
un sommario della dottrina di Ario e lo fa seguire da una confutazio­
ne breve ma dettagliata.
L a presentazione della dottrina di Ario è fatta insistendo sui suoi
aspetti più radicali e forse con una certa tendenziosità in merito alla
mutabilità del Figlio. La confutazione è fondata essenzialmente sul­
l’argomento scritturistico, cioè riportando passi vetero e neotesta­
mentari che contrastavano in modo diretto le proposizioni ariane.
Indirettamente si ricava la posizione dottrinale di Alessandro, che è
in perfetta antitesi con quella di Ario sulle due proposizioni fonda-
mentali: il Figlio è coeterno col Padre ed è stato da lui generato con
generazione reale. Per reazione al radicale subordimzionismo di
Ario, anche il moderato subordinazionismo ereditato dalla tradizio­
ne origeniana viene da Alessandro ulteriormente ridotto.
In questo testo, forse volutamente, Alessandro non fa ricorso a
terminologia tecnica. In un’altra lettera, ad Alessandro di Tessaloni-
ca (Opitz, Urkunden zur Geschichte des arianischen Streites..., p. 19
sgg.), Alessandro precisa meglio il suo pensiero anche su questo pun­
to: evita di parlare di ousia del Padre e del Figlio, perché questo
termine si prestava ad equivoci e poteva provocare l’accusa di conce­
pire Dio in modo corporeo e materiale. Si serve invece delle ormai
tradizionali definizioni del Padre e del Figlio come ipostasi. In effet­
LETTERA A TUTTI I VESCOVI 8l

ti Alessandro può essere definito un origeniano moderato, senza


dubbio più fedele allo spirito e alla lettera della formulazione trinita­
ria di Origene, che invece Ario, pur riaffermando la dottrina delle
tre ipostasi, alterava profondamente.
Per il testo di questa lettera abbiamo seguito l’edizione di H.G.
Opitz, Urkunden zur Gescbichte des arianischen Streites..., pp. 6 -1 0 .

Alessandro fu vescovo d i Alessandria dal 312 al 328. Prima fu coinvolto


nello scisma meliziano, di natura disciplinare, e poi nella controversia ariana
per la sua opposizione alla dottrina di Ario. O ttenne a Nicea (32?) la con­
danna del suo avversario e morì prima che la reazione a favore di questi si
fosse pienamente sviluppata. C i sono rimaste due tra le varie lettere scritte
nel contesto della controversia.

Bibliografia: M. Sim onetti, Studi sull'arianesimo, Rom a 1965, pp. 110-34.


1. Τοΐς άγαπητοΐς καί τιμιωτάτοις συλλειτουργούς τοΐς
άπανταχοΰ της καθολικής εκκλησίας Αλέξανδρος έν κυρίω
χαίρειν.
2. Ενός σώματος δντος τής καθολικής έκκλησίας έντολής
τε ουσης έν ταΐς θείαις γραφαΐς τηρεΐν τόν σύνδεσμον της όμο-
νοίας καί ειρήνης (Ερ. Eph. 4, 3 sg.) άκόλουθόν έστι γράφειν
ήμας και σημαίυειν άλλήλοις τά παρ’ έκαστου γινόμενα, ΐνα
είτε πάσχει είτε χαίρει εν μέλος ή συμπάσχωμεν ή συγχαίρω-
μεν άλλήλοις. 3. έν τή ήμετέρρ τοίνυν παροικίςι έξήλθον
νΰν ανδρες παράνομοι καί χριστομάχοι διδάσκοντες άποστα-
σίαν, ήν εικότως αν τις πρόδρομον τοΰ άντιχρίστου ΰπονοή-
σειε καί καλέσειεν. 4. καί έβουλόμην μεν σιωπή παραδοΰναι
τό τοιοΰτον, δπως έν τοΐς προστάταις μόνοις άναλωθή τό κα­
κόν καί μή είς ετέρους τόπους διαβάν τό τοιοΰτον ρυπώση
τινών άκεραίων τάς άκοάς. έπειδή δέ Ευσέβιος ό νΰν έν τή
Νικομηδεί? νομίσας έπ’ αύτώ κεΐσθαι τά τής έκκλησίας, δτι
καταλείψας την Βηρυτόν καί έποφθαλμίσας τή έχκλησίςι Nt-
κομηδέων καί ούκ έκδεδίκηται κατ’ αύτοΰ, προίσταται καί
τούτων τών αποστατών καί γράφειν έπεχείρησε πανταχοϋ συ-
νιστών αύτούς, δπως ύποσύρη τινάς άγνοοΰντας είς τήν αί-
σχίστην ταύτην καί χριστομάχον αΐρεσιν, άνάγκην εσχον εΐ-
δώς τό έν τώ νόμω γεγραμμένον μηκέτι μεν σιωπήσαι, άναγ-
γεΐλαι 5έ πασιν ΰμΐν, ΐνα γινώσκητε τούς τε άποστάτας γενο­
μένους καί τά τής αΐρέσεως αύτών δύστηνα βήματα καί, έάν
1. Alessandro saluta nel Signore gli amati e stimatissimi colle­
glli di tutta la chiesa cattolica.
2. Poiché uno solo è il corpo della chiesa cattolica e le Sacre
Scritture ci impongono di custodire il vincolo della concordia e
della pace (Ep. Eph. 4, 3 sg.), è opportuno che noi ci scriviamo e
ci comunichiamo reciprocamente ciò che accade presso ciascuno,
perché, sia che soffra sia che si rallegri un membro, noi tutti
insieme soffriamo o ci rallegriamo reciprocamente. 3. Orbene
nella nostra diocesi uomini empi e nemici di Cristo son venuti
fuori ad insegnare un’apostasia che a ragione si può considerare e
definire precorritrice dell’Anticristo. 4. Io avrei voluto passare
sotto silenzio tale fatto, perché il male si esaurisse nell’ambito dei
suoi soli principali assertori e non si diffondesse in altri luoghi
contaminando le orecchie di persone pure. M a Eusebio, che ora è
a Nicomedia, ritenendo che su di sé riposino le sorti della chiesa,
perché pur avendo abbandonato B erito 1 e gettato l’occhio sulla
chiesa di Nicomedia, non è stato sottoposto a giudizio, si è messo
a capo anche di questi apostati e ha intrapreso a scrivere dovun­
que raccomandandoli, al fine di trarre qualche ignaro a questa
eresia pessima e nemica di Cristo. Perciò io, sapendo ciò ch’è
scritto nella Legge, ho ritenuto necessario non conservare più il
silenzio e dar notizia a voi tutti, perché impariate a conoscere sia
questi che son diventati apostati sia le sciagurate espressioni della
loro eresia, così che, se vi scrive Eusebio, non gli prestiate atten-
84 ALESSANDRO

γράφη Ευσέβιος, μή προσέχητε. 5. παλαιάν γάρ αύτοΰ κα-


κόνοιαν την χρόνω σιωπηθεΐσαν νΰν διά τούτων άνανεώσαι
βουλόμενος σχηματίζεται μέν ώς υπέρ τούτων γράφειν, έργω
δέ δείκνυσιν δτι ύπέρ έαυτοΰ σπουδάζων τοΰτο ποιεί.
6. Οί μέν οδν άποστάται γενόμενοί είσιν "Αρειος καί Ά -
χιλεύς καί Αειθαλής και Καρπώνης καί 'έτερος ’Άρειος καί
Σαρμάτης οί ποτέ πρεσβύτεροι· καί Εύζώϊος καί Λούκιος καί
Ιούλιος καί Μήνας καί Έλλάδιος καί Γάϊος οί ποτέ διάκονοι-
καί σύν αύτοΐς Σεκοΰνδος καί Θεωνάς οί ποτέ λεχθέντες έπί-
σκοποι. 7. ποια δέ παρά τάς γραφάς έφευρόντες λαλοΰσιν,
εστι ταΰτα·
« Ούκ άεί ό θεός πατήρ ήν, άλλ’ ήν δτε ό θεός πατήρ
ούκ ήν. ούκ άεί ήν ό τοΰ θεοΰ λόγος, άλλ’ έξ ούκ δντων
γέγονεν. ό γάρ ών θεός τόν μή οντα έκ τοΰ μή δντος πεποίη-
κε. διό καί ήν ποτε δτε ούκ ήν. κτίσμα γάρ έστι καί ποίημα ό
υιός. οΰτε δέ δμοιος κατ’ ούσίαν τώ πατρί έστιν οΰτε αληθι­
νός καί φύσει τοΰ πατρός λόγος έστίν ουτε άληθινή σοφία
αύτοΰ έστιν, άλλ’ είς μέν τών ποιημάτων και γενητών έστι,
καταχρηστικώς δέ λέγεται λόγος καί σοφία, γενόμενος καί αύ-
τός τώ ιδίω τοΰ θεοΰ λόγω καί τή έν τώ θεώ σοφία έν ή καί
τα πάντα καί αύτόν πεποίηκεν ό θεός. 8. διό καί τρεπτός
έστι καί άλλοιωτός τήν φύσιν ώς καί πάντα τά λογικά, ξένος
τε καί άλλότριος καί άπεσχοινισμένος έστιν ό λόγος της τοΰ
θεοΰ ούσίας καί άόρατός έστιν ό πατήρ τώ υίώ. οΰτε γάρ
τελείως καί άκριβώς γινώσκει ό λόγος τόν πατέρα, οΰτε τε­
λείως όράν αύτόν δύναται. καί γάρ καί έαυτοΰ τήν ούσίαν
ούκ οίδεν ό υιός ώς εστι. 9. δι’ ήμας γάρ πεποίηται, ϊνα
ήμάς δι’ αύτοΰ ώς δι’ οργάνου κτίση ό θεός. καί ούκ αν
ύπέστη, εί μή ήμάς ό θεός ήθέλησε ποιήσαι». 10. ήρώτη-
σε γοΰν τις αύτους εί δύναται ό τοΰ θεοΰ λόγος τραπηναι ώς ό
διάβολος έτράπη, καί ούκ έφοβήθησαν εΐπεϊν δτι ναι δύνα-
ται· τρεπτης γάρ φύσεώς έστι γενητός καί κτιστός υπάρχων.
11. Ταΰτα λέγοντας τους περί "Αρειον καί έπί τούτοις
ναισχυντοΰντας αύτούς τε καί τούς συνακολουθήσαντας αύτοΐς
LETTERA A TUTTI I VESCOVI 85

zione. 5. Infatti, volendo ora rinnovare, approfittando di co­


storo, la sua vecchia malizia per lungo tempo taciuta, egli fa finta
di scrivere per loro ma in realtà dimostra di agire così per provve­
dere al suo interesse2.
6. Ecco quelli che hanno apostatato: Ario, Achille, Aita
Carpone, un altro Ario, Sarmata, che allora erano preti; Euzoio,
Lucio, Giulio, Mena, Elladio, G aio, che allora erano diaconi; e
con loro Secondo e Teona3, che allora erano detti vescovi. 7.
Ecco quindi le loro affermazioni, che hanno escogitato contro la
Scrittura:
«N o n sempre Dio fu padre, ma ci fu un tempo in cui Dio non
era padre. Non sempre è esistito il Logos di Dio, ma è stato
creato dal nulla. Infatti colui che era Dio ha creato dal nulla
quello che non esisteva: perciò c’è stato un tempo in cui quello
non esisteva. Infatti il Figlio è creatura e fattura. Né è simile al
Padre per sostanza4; né è il vero e naturale Logos del Padre né è
la sua vera Sapienza, ma è soltanto una delle cose fatte e create, e
impropriamente è definito Logos e Sapienza, mentre anch’egli è
stato creato dal vero e proprio logos di Dio e dalla sapienza che è
in Dio, nella quale Dio ha fatto tutte le cose e anche quello. 8.

Perciò egli è mutevole e alterabile per natura, alla pari di tutte le


creature razionali. Il Logos è estraneo, altro e separato rispetto
alla sostanza di Dio, e il Padre è invisibile al Figlio. Infatti il
Logos non conosce il Padre esattamente e perfettamente, né lo
può vedere perfettamente. Infatti il Figlio non conosce neppure
la sua stessa sostanza, com’essa è. 9. Infatti è stato creato per
noi, perché servendosi di lui come di uno strumento Dio ci creas­
se; né sarebbe esistito se Dio non ci avesse voluto creare». 10.
Uno li interrogò 5 se il Logos di D io può cambiare come il diavolo
è cambiato; e non ebbero ritegno ad affermare che lo può. Infatti
in quanto creato e fatto, è di natura mutevole.
11. Ario e quelli con lui che facevano tali affermazioni e
esse tenevano un contegno spudorato, e i loro seguaci, noi riuniti-
86 ALESSANDRO

ήμεΐς μέν μετά τών κατ’ Αίγυπτον καί τάς Λιβύας έπισκόπων
έγγυς έκατόν δντων συνελθόντες άνεθεματίσαμεν. οΐ δε περί
Ευσέβιον προσεδέξαντο σπουδάζοντες έγκαταμΐξαι τό ψεΰδος
τη άληθείςι καί τή ευσεβείς τήν άσέβειαν. άλλ’ ούκ ίσχύ-
σουσι· νικδ γάρ ή άλήθεια καί ούδεμία έστι κοινωνία φωτί
προς σκότος, ούδέ συμφώνησις Χριστοΰ προς Βελίαρ. 12.
τίς γάρ ήκουσε πώποτε τοιαΰτα; ή τίς νΰν άκούων ού ξενίζεται
καί τάς άκοάς βύει υπέρ τοΰ μή τόν ρύπον τούτων τών ρη­
μάτων ψαΰσαι της άκοής; τίς άκούων Ίωάννου λέγοντος «έν
άρχή ήν ό λόγος» (Εν. Ιο. 1, 1), ού καταγινώσκει τούτων
λεγόντων «ήν ποτε δτε ούκ ή ν », ή τίς άκούων έν τώ εύαγ-
γελίω «μονογενής υιός», καί « δ ι’ αύτοΰ έγένετο πάντα»
(Εν. Ιο. 1, 18.3), ού μισήσει τούτους φθεγγομένους δτι εις έ-
στιν τών ποιημάτων; πώς γάρ δύναται εις είναι τών δι’ αύτοΰ
γενομένων, ή πώς μονογενής 6 τοΐς πάσι κατ’ έκείνους συνα-
ριθμούμενος; πώς δέ έξ ούκ δντων αν ειη τοΰ πατρός λέγοντος
« έξηρεύξατο ή καρδία μου λόγον άγαθόν» και «έκ γαστρός
πρό έωσφόρου έγέννησά σε» (Ps. 44, 2; 109, 3); 13. ή πώς
άνόμοιος τή ούσία τοΰ πατρός ό ών είκών τελεία καί άπαύ-
γασμα τοΰ πατρός καί λέγων «ό έωρακώς έμέ έώρακε τόν
πατέρα» (Εν. Ιο. 14, 9); πώς δέ, εί λόγος καί σοφία έστι τοΰ
θεοΰ ό υιός, ήν ποτε δτε ούκ ήν; ϊσον γάρ έστι αύτους λέγειν
αλογον καί άσοφόν ποτε τόν θεόν.
14. Πώς δέ τρεπτός καί άλλοιωτός ό λέγων δι’ έαυτοΰ μέν
«έγώ έν τώ πατρί καί é πατήρ έν έμοί» καί «έγώ καί ό
πατήρ εν έσμεν» (Εν. Ιο. 14, 10; 10, 30), διά δέ τοΰ προφήτου
«ΐδετέ με δτι έγώ είμι καί ούκ ήλλοίωμαι» (Mal. 3, 6); εί
γάρ καί έπ’ αύτόν τις τόν πατέρα δύναται τό £ητόν άναφέ-
ρειν, άλλά άρμοδιώτερον αν ειη περί τοΰ λόγου νΰν λεγόμε­
νον, δτι καί γενόμενος άνθρωπος ούκ ήλλοίωται, άλλ’ ώς
εΐπεν ό άπόστολος· « Ίησοΰς Χριστός χθες καί σήμερον ό αύ­
τός καί είς τούς αιώνας» (Ερ. Hebr. 13, 8). τίς δέ αρα είπεΐν
LETTERA A TUTTI I VESCOVI 8?

ci con i vescovi d’Egitto e di Libia in numero di circa cento li


abbiamo condannati. M a i partigiani di Eusebio li hanno accolti e
si danno da fare per mescolare la menzogna con la verità e l’em­
pietà con la retta fede. M a non prevarranno. Infatti la verità
vince e non ci può essere comunione fra la luce e le tenebre né
accordo fra Cristo e Beliar. 12. Chi mai infatti ha udito tali
affermazioni? E chi ad udirle non se ne tiene lontano e tura le
orecchie per tenerle immuni dalla sozzura di tali parole? Chi, ad
udire Giovanni che dice: «In principio era il L ogos» (Ev. Io. 1,
l ) 6, non biasima costoro che affermano: « C ’è stato un tempo in
cui non esisteva?»7. Chi, ad udire nel Vangelo «Figlio unigenito»
e «p e r mezzo di lui tutto è stato fatto » (Ev. Io. 1, 18.3), non
odierà costoro che affermano che egli è una delle cose create?
Come infatti egli può essere una delle cose che sono state fatte
per suo mezzo ? 8 o come è Unigenito colui che, secondo loro, è
connumerato insieme con tutti? Come può derivare dal nulla, dal
momento che il Padre dice: «D mio cuore ha emesso una buona
parola» (Ps. 44, 2) e «D al ventre prima della stella del mattino ti
ho generato» (Ps. 109, 3)? 13. Come può essere dissimile dal
Padre per sostanza colui che è l’immagine perfetta 9 e il riflesso
del Padre e che dice: «C h i ha visto me ha visto il Padre» (Ev. Io.
14, 9)? Come infine, se il Figlio è logos e sapienza di Dio, c’è
stato un tempo in cui non esisteva? Infatti sarebbe lo stesso che
essi dicessero che un tempo il Padre è stato privo di logos e
sapienza.
14. Come è mutabile e alterabile colui che dice da sé: « Io sono
nel Padre e il Padre è in m e» (Ev. Io. 14, 10), e « Io e il Padre
siamo una cosa sola» (Ev. Io. 10, 30), e dice per mezzo del profe­
ta: «G uardatem i, perché io sono e non mi sono m utato» (Mal. 3,
6 )?
Se infatti questo passo può essere riferito anche proprio al
Padre10, sembra però più conveniente dirlo ora del Logos, per­
ché anche diventato uomo non si è mutato, ma - secondo quanto
ha detto l’apostolo - «G esù Cristo è lo stesso ieri oggi e nei
secoli» (E p. Hebr. 13, 8 ). E chi mai li ha convinti ad affermare
88 ALESSANDRO

αύτους έ'πεισεν δτι δι’ ήμάς γέγονε, καίτοι τοΰ Παύλου γρά-
φοντος « δ ι’ δν τα πάντα, καί δι’ ου τα πάντα» (Ep. Hebr. 2,
10); 15. περί γάρ τοΰ βλασφημεΐν αύτους δτι ούκ οίδεν
τελείως ό υιός τόν πατέρα, ού δει θαυμάζειν. όίπαξ γάρ προθέ-
5 μενοι χριστομαχεΐν παρακρούονται καί τάς φωνάς αύτοΰ λέ-
γοντος «καθώς γινώσκει με ό πατήρ κάγώ γινώσκω τόν πατέ­
ρα» (Εν. Ιο. 10, 15). εΐ μέν ούν έκ μέρους ό πατήρ γινώσκει
τόν υιόν, δήλον δτι καί ό υιός μή τελείως γινωσκέτω τόν πατέ­
ρα. εί δέ τοΰτο λέγειν ού θέμις, οίδεν δέ τελείως ό πατήρ τόν
ίο υιόν, δήλον δτι καθώς γινώσκει ό πατήρ τόν έαυτοΰ λόγον,
ούτως καί ό λόγος γινώσκει τόν έαυτοΰ πατέρα, οδ καί έστι
λόγος.
16. Ταΰτα λέγοντες καί άναπτυσσοντες τάς θείας γραφάς
πολλάκις ένετρέψαμεν αύτους, καί πάλιν ώς χαμαιλέοντες
ΐ 5 μετεβάλοντο φιλονεικοΰντες είς έαυτούς έφελκύσαι τό γε-
γραμμένον «δταν έλθη άσεβής είς βάθος κακών καταφρονεί»
(Prov. 18, 3). πολλαί γοΰν αιρέσεις πρό αύτών γεγόνασιν, αϊτι-
νες πλέον τοΰ δέοντος τολμήσασαι πεπτώκασιν είς άφροσύ-
νην. ουτοι δέ διά πάντων έαυτών τών ρηματίων έπιχειρήσαντες
20 τα εις άναίρεσιν τής τοΰ λόγου θεότητος έδικαίωσαν έξ
έαυτών έκείνας ώς έγγύτεροι τοΰ άντιχρίστου γενόμενοι. διό
καί άπεκηρύχθησαν καί άνεθεματίσθησαν άπό τής εκκλη­
σίας. 17. λυπούμεθα μέν ούν έπί τή άπωλεία τούτων καί
μάλιστα δτι μαθόντες ποτέ καί αύτοί τα τής έκκλησίας νΰν
25 άπεπήδησαν, ού ξενιζόμεθα δέ· τοΰτο γάρ καί 'Υμέναιος καί
Φίλητος πεπόνθασι (2 Ep. Tim. 2, 17) καί πρό αύτών Ιούδας,
δς άκολουθήσας τώ σωτήρι ύστερον προδότης καί αποστάτης
γέγονε.
18. Καί περί τούτων δέ αύτών ούκ άδίδακτοι μεμενήκα-
30 μεν, άλλ’ ό μέν κύριος προείρηκε «βλέπετε μή τις ΰμάς πλα-
νήση. πολλοί γάρ έλεύσονται έπί τώ όνόματί μου λέγοντες
δτι έγώ είμι καί ό καιρός ήγγικε καί πολλούς πλανήσουσι. μή
πορευθήτε όπίσω αύτών» (Εν. Lue. 2 1 , 8 ). ό δέ Παΰλος
μαθών ταΰτα παρά τοΰ σωτήρος έγραψεν «δ τι έν ύστέροις και-
LETTERA A TUTTI I VESCOVI 89

che egli è stato fatto per noi11, dal momento che Paolo scrive:
«T u tto per lui e tutto per mezzo di lu i» (Ep. Hebr. 2, 10)? 15.
Quanto poi alla loro bestemmia che il Figlio non conosce perfet­
tamente il Padre, non dobbiamo meravigliarci. Infatti una volta
che si son dati a combattere Cristo, essi respingono anche le
parole con le quali egli dice: «C om e il Padre conosce me anche io
conosco il Padre» (Ev. Io. 10, 15). Se perciò il Padre conoscesse il
Figlio parzialmente, sarebbe chiaro che anche il Figlio conosce il
Padre non perfettamente. Ma se non è lecito affermar ciò e il
Padre conosce il Figlio perfettamente, allora è chiaro che, come il
Padre conosce il suo Logos, cosi anche il Logos conosce suo Pa­
dre, di cui è anche Logos.
16. Con tali affermazioni e con l’interpretazione delle Sacre
Scritture più volte li confutammo, ma quelli di volta in volta si
trasformavano come camaleonti12, adoperandosi di applicare a
sé il detto: «Q uando l’empio giunge al fondo del male, arriva al
disprezzo» (Prov. 18, 3). Infatti prima di loro ci sono state molte
eresie, che per aver osato più del dovuto sono precipitate nella
stoltezza, ma costoro che con tutte le loro chiacchiere hanno
cercato di distruggere la divinità del Logos, hanno reso giustizia a
tutte quelle, in quanto si sono avvicinati di più all’Anticristo. Per
questo sono stati condannati ed espulsi dalla chiesa. 17. Noi
siamo addolorati per la loro rovina e soprattutto perché avendo
prima anch’essi appreso la dottrina della chiesa poi sono venuti
meno; però non ci stupiamo. Infatti è successo lo stesso anche a
Imeneo e Fileto (2 Ep. Tim. 2, 17), e prima di loro, a Giuda, che
aveva seguito il Salvatore e in un secondo momento lo tradì e
abbandonò.
18. E neppure riguardo a costoro ci siamo trovati privi d ’inse­
gnamento, ma il Signore ha detto in anticipo: « State attenti che
nessuno vi inganni. Molti infatti verranno in mio nome e diran­
no: “ Sono io” , e: “ Il tempo si è avvicinato” , e inganneranno
molti. Non seguiteli» (Ev. Lue. 21, 8 ). E Paolo, avendo appreso
questo dal Salvatore, ha scritto: «N egli ultimi tempi alcuni si
9° ALESSANDRO

ροΐς άποστήσονταί τινες τής ύγιαινούσης πίστεως προσέχοντες


πνεύμασι πλάνοις καί διδασκαλίαις δαιμόνιων άποστρεφομέ-
νων τήν άλήθειαν» (1 Ερ. Ttm. 4, 1). 19. τοΰ τοίνυν χορίου
καί σωτήρος ήμών Ίησοΰ Χριστοΰ διά τε έαυτοΰ παραγγείλαν-
τος καί διά τοΰ άποστόλου σημάναντος περί τών τοιούτων ά-
κολούθως ήμεΐς αύτήκοοι της άσεβείας αύτών γενόμενοι ά­
νεθεματίσαμεν, καθά προείπομεν, τούς τοιούτους άποδείξαντες
αύτους άλλοτρίους της καθολικής έκκλησίας τε καί πίστεως.
20. Έδηλώσαμεν δέ καί τή ύμετέρι? θεοσεβεία, άγαπητοί
καί τιμιώτατοι συλλειτουργοί, ϊνα μήτε τινάς έξ αύτών, εί
προπετεύσαιντο πρός ύμάς έλθεΐν, προσδέξησθε μήτε Εύσεβίω
ή έτέρω τινί γράφοντι περί αύτών πεισθήτε. πρέπει γάρ ύμάς
Χριστιανούς δντας πάντας τους κατά Χριστοΰ λέγοντάς τε καί
φρονοΰντας ώς θεομάχους καί φθορέας τών ψυχών άποστρέφε-
σθαι, καί μηδέ καν χαίρειν τοΐς τοιούτοις λέγειν, ϊνα μήποτε
καί ταΐς άμαρτίαις αύτών κοινωνοί γενώμεθα, ώς παρήγγειλεν
ό μακάριος Ιωάννης (2 Ερ. Ιο. 10). προσείπατε τούς παρ’ ύμΐν
αδελφούς, ύμάς οί συν έμοί προσαγορεύουσιν.
LETTERA A TUTTI I VESCOVI 91

allontaneranno dall’integrità della fede, prestando ascolto a spiri­


ti ingannatori e ad insegnamenti di demoni che stravolgono la
verità» (1 Ep. Tim. 4, 1). 19. Dato che il signore e salvatore
nostro Gesù Cristo ci ha informato personalmente e ci ha raggua­
gliato per mezzo dell’apostolo su tali persone, noi conseguente­
mente, dopo aver ascoltato di persona la loro empietà, li abbiamo
condannati, come abbiamo già detto, avendo dimostrato che co­
storo sono estranei alla chiesa cattolica e alla fede.
20. Abbiamo fatto conoscere tutto ciò anche alla vostra pietà,
amati e stimatissimi colleghi, perché non accogliate alcuno di co­
storo, se avranno la temerarietà di venire da voi, né prestiate
ascolto ad Eusebio o ad altri che vi scriva di loro. E doveroso
infatti che voi, che siete tutti cristiani, respingiate quelli che
parlano e pensano contro Cristo in quanto nemici di Dio e corrut­
tori delle anime, e non rivolgiate loro neppure il saluto, perché
non abbiamo a diventare partecipi dei loro errori, secondo quanto
ha detto il beato Giovanni (2 Ep. Io. 10). Avvisate i fratelli che
stanno presso di voi. Quelli che stanno insieme con m e 13 vi salu­
tano.
4. M arcello di A n d rà

Mentre Ario e Alessandro si collocano, par con vistose differenze


fra loro, nel comune solco della tradizione alessandrina, Marcello di
Ancira, un altro dei protagonisti di questa prima fase della contro­
versia, si collega ad un altra tradizione, quella monarchiana d ’origi­
ne asiatica, e sta agli antipodi di Ario e anche ben lontano da Ales­
sandro. Eusebio di Cesarea e altri suoi avversari lo accuseranno di
essere sabelliano, in quanto Sabellio era ormai considerato il mo­
narchiano per eccellenza (si veda la seconda lettera di Ario). Ma
questo eretico della metà del III secolo, nel presentare Padre, Fi­
glio e Spirito santo come tre modi di essere e di manifestarsi di
un’unica monade divina, non aveva dato spazio, nel suo sistema,
alla figura del Logos, ch’è invece centrale in Marcello, sulla traccia
di Paolo di Samosata. Egli lo concepisce come una facoltà di Dio,
in lui immanente in potenza e passata in atto per operare la crea­
zione del mondo, ma rimanendo sempre facoltà di Dio, senza per­
sonalizzarsi, come invece avevano affermato gli apologisti (cfr. te­
sto n. 2 nota 8 ). Questa dynamis divina s’incarna in Maria, e solo a
partire da questo momento il Logos, in Cristo, diventa Figlio di
Dio. La monade si è cosi dilatata in diade, e successivamente a
Pentecoste si dilaterà in triade con l’emissione dello Spirito santo,
la dynamis santificante. Si tratta comunque di una triade fondata
sulle operazioni, non sulle persone, sì che la monade resta indivisa.
Successivamente, alla fine della storia del mondo, esaurito il suo
compito, il Logos sarebbe stato riassorbito, insieme con lo Spirito
santo, nella monade.
Storicamente il monarchianesimo di Marcello è importante non
soltanto perché fece sentire il suo influsso nelle decisioni di Nicea
(325 d.C.) ma anche e soprattutto perché condizionò per lungo tem­
po gli esponenti orientali di tradizione alessandrina, i quali ravvisa­
rono in lui un pericolo anche maggiore di quello rappresentato da
MARCELLO DI ANCIRA 93

Ario; e proprio questa presa di coscienza avrebbe favorito grande­


mente la reazione antinicena e filoariana.
Presentiamo il testo di quattro frammenti di Marcello secondo
l’edizione di E. Klostermann, in Die Griechischen Christlichen
Schriftsteller, Eusebio, Werke 4, pp. 183-214.

M arcello, vescovo di Ancira all’inizio della controversia ariana, fu tra i più


accaniti avversari di Ario al concilio di N icea (323). L a sua dottrina monar-
chiana si contrapponeva nettamente non solo alla dottrina di Ario ma più in
genere all’im postazione trinitaria d ’impronta origeniana dominante allora in
oriente. Per questo, nonostante gli appoggi che ricevette in occidente, M ar­
cello fu uno dei bersagli preferiti della reazione antinicena: condannato a
Costantinopoli nel 336 per le sue idee monarchiane, nonostante che gli occi­
dentali lo riabilitassero a Rom a (341) e a Serdica (343) non potè più rientrare
in patria. Sopravvisse lungamente alla sua disgrazia e morì intorno al 374. Ci
restano di lui copiosi frammenti d i un’opera che fu confutata da Eusebio di
C esarea, e qualche altro documento.

Bibliografia: W . G ericke, Marceli voti Ancyra, Halle 1940; M. Sim onetti, Su


alcune opere attribuite di recente a Marcello d ’Ancira, «R iv ista di storia e lette­
ratura religiosa» 9, 1973, pp. 313-29.
Fr. 48. Ούκοϋν πρό μεν τοΰ κατελθεΐν καί διά τής παρθένου
τεχθήναι λόγος ήν μόνον, έπεί τί έτερον ήν πρό τοΰ τήν άνθρω-
πίνην άναλαβεΐν σάρκα τό κατελθόν « έπ’ έσχατων τών
ήμερων» (Ep. Hebr. 1, 2), ώς καί αυτός γέγραφεν, καί γεννη-
θεν έκ τής παρθένου; ούδέν ετερον ήν ή λόγος.

Fr. 52. "Ιν’ έν μεν τώ φήσαι «έν άρχή ήν ό λόγος» (Ευ.


Ιο. 1, 1) δείξη δυνάμει έν τώ πατρί είναι τόν λόγον (άρχή γάρ
άπάντων τών γεγονότων ό θεός « έξ ού τά πάντα ») (1 Ep. Cor.
8, 6), έν δε τώ «καί ό λόγος ήν πρός τόν θεόν» (Εν. Ιο. 1, 1)
ένεργεία πρός τόν θεόν είναι τόν λόγον («πάντα» γάρ « δ ι’
αύτοΰ έγένετο, καί χωρίς αύτοΰ έγένετο ούδέ εν») (Ευ. Ιο.
1, 3), έν δε τώ θεόν είναι τόν λόγον (Εν. Ιο. 1, 1) είρηκέναι μή
διαιρείν τήν θεότητα, έπειδή ό λόγος τε έν αύτώ καί αύτός έν
τώ λόγω· «έν έμοι» γάρ φησιν «ό πατήρ, κάγώ έν τώ
πατρί» (Εν. Ιο. 10, 38).

Fr. 71. Ε ί μέν γάρ ή τοΰ πνεύματος έξετασις γίγνοιτο


μόνη, εν και ταύτόν εικότως αν ό λόγος είναι τώ θεώ φαίνοι-
το· εί δέ ή κατά σάρκα προσθήκη έπί τοΰ σωτήρος έξετάζοι-
το, ένεργεία ή θεότης μόνη πλατύνεσθαι δοκεΐ· ώστε εικότως
μονάς ό'ντως έστιν άδιαίρετος.
Fr. 48. Prima di discendere e di essere generato 1 per mezzo
della Vergine era soltanto Logos. Infatti che cos’altro era prima
di assumere la carne umana ciò ch’è disceso «negli ultimi
giorni», com’egli stesso ha scritto (Ep. Hebr. 1, 2), ed è stato
generato dalla Vergine? N ient’altro era che Logos.

Fr. 52. Col dire «In principio 2 era il L ogos» {Ev. Io. 1, 1) la
Scrittura dimostra che il Logos esiste in potenza nel Padre (in­
fatti principio di tutte le cose create è Dio, dal quale derivano
tutte le cose [I Ep. Cor. 8 , 6 ]), e col dire «il Logos era presso
D io» (Ev. Io. 1, 1) dimostra che il Logos è in atto presso Dio
(infatti per suo mezzo sono state fatte tutte le cose e senza di lui
nulla è stato fatto [Ev. Io. 1, 3]). Col dire poi che il Logos è Dio
(Ev. Io. 1, 1) dimostra di non dividere la divinità, poiché il L o­
gos è in lui ed egli è nel Logos. Infatti dice: «Il Padre è in me e
io sono nel Padre» (Ev. Io. 10, 38).

Fr. 71. Se avvenisse soltanto la dilatazione dello spirito3,


giustamente il Logos sembrerebbe essere una sola cosa e la stessa
rispetto a Dio. M a se si tien conto che la carne si aggiunge al
Salvatore, la divinità appare dilatarsi per la sola attività. Cosi
giustamente la monade resta in effetti indivisa.
96 MARCELLO DI ANCIRA

Fr. 121. Novi δέ πιστεύω ταΐς θείαις γραφαϊς, δτι εις θεός,
καί ό τούτου λόγος προήλθεν μέν τοΰ πατρός, ΐνα πάντα δι’
αύτοΰ (Εν. Ιο. 1, 3) γένηται· μετά δέ τον καιρόν τής κρίσεως
καί τήν τών απάντων διόρθωσιν καί τόν άφανισμόν της άντι-
κειμένης άπάσης ένεργείας, τότε αύτός ύποταγήσεται τώ ύπο-
τάξαντι αύτώ τά πάντα, θεώ καί πατρί (1 Ερ. Cor. 15, 28.24),
ΐν’ ούτως ή έν τώ θεώ ό λόγος, ώσπερ καί πρότερον ήν πρό
τοΰ τόν κόσμον είναι, ούδενός γάρ δντος πρότερον ή θεοΰ μό­
νου, πάντων δέ διά τοΰ λόγου γίγνεσθαι μελλόντων, προήλθεν
ό λόγος δραστική ένεργεία, ό λόγος ούτος τοΰ πατρός ών.
MARCELLO DI ANCIRA 97

Fr. 121. Presto ora fede alle Sacre Scritture, che Dio è uno
solo, e che il suo Logos è proceduto dal Padre perché tutte le
cose fossero create per mezzo di lui (Ev. Io. 1 , 3). E dopo il
momento del giudizio e la restaurazione di tutte le cose e la
distruzione di ogni potenza avversa, allora egli stesso si sotto­
metterà a colui che gli ha sottomesso ogni cosa, cioè a Dio Padre
(1 Ep. Cor. 15, 28.24), perché così il Logos sia in Dio, come lo
era anche prima che il mondo fosse4. Poiché infatti precedente-
mente nessuno esisteva se non soltanto Dio, e tutte le cose sa­
rebbero state create per mezzo del Logos, allora è proceduto il
Logos con efficacia operativa, questo Logos che è del Padre.
5. D sim bolo niceno

Forse sotto l’influsso di Ossio di Cordova, suo consigliere in questa


fase della controversia, Costantino decise di demandare la risoluzio­
ne della controversia ariana ad un concilio ecumenico, cioè di vesco­
vi di tutta la cristianità, il primo che sia stato mai riunito e che fu
convocato a Nicea, in Asia Minore, per il maggio 325. Il 20 maggio,
presente lo stesso imperatore, cominciarono i lavori circa 250 vesco­
vi, nella quasi totalità orientali. Su questi lavori siamo mal raggua­
gliati per la perdita degli atti ufficiali. Possiamo comunque ricostrui­
re lo svolgimento del concilio in due momenti fondamentali. Nel
primo si mise in chiaro l’eterodossia della dottrina divulgata da Ario
e i suoi sostenitori, tutti presenti ai lavori; nel secondo si giunse ad
una positiva affermazione della dottrina ortodossa. Questo secondo
momento fu molto laborioso, perché Ario e i suoi si rivelarono in
grado di accettare e interpretare in modo compatibile con la loro
dottrina varie formulazioni di fede che furono proposte: il Figlio
deriva da Dio; è potenza reale, immagine perfetta del Padre, ecc. A
questo punto, per sbloccare la situazione, nella coalizione antiariana,
formata da origeniani moderati e monarchiani, forse per iniziativa di
questi ultimi fu proposta l’adozione della proposizione secondo cui il
Figlio è homoousios col Padre, cioè della stessa sostanza. Abbiamo
già visto come Ario fosse contrario a questo concetto (cfr. testo n.
2 ); ma anche moki esponenti di tradizione origeniana lo avversavano
per la sua equivocità. Fu però approvato da Costantino che, col peso
della sua autorità, lo impose al concilio. Si giunse così, forse sulla
traccia di una più generica formula di fede presentata da Eusebio di
Cesarea (cfr. testo n. 6 ), alla stesura del simbolo niceno, redatto in
modo tale da escludere i punti centrali della predicazione di Ario.
Tutti, anche se più d’uno di mala voglia, sottoscrissero, ad eccezione
di Ario e dei suoi fedeli seguaci Secondo e Teona, che furono perciò
condannati ed esiliati.
IL SIMBOLO NICENO 99

Il simbolo niceno si articola in due parti. La prima è una formula


di fede di tipo battesimale, debitamente adattata con l’inserzione di
alcune espressioni decisamente antiariane. La seconda parte è un
anatematismo ( = formula di condanna) che condanna le proposizio­
ni più qualificanti della dottrina ariana. Nella prima parte il Figlio è
detto della stessa ousia del Padre; nella seconda si condanna colui il
quale non affermi che il Figlio deriva dalla stessa ipostasi e ousia del
Padre. In tal modo, pur con formulazione ambigua, il concilio affer­
ma l’identità di ousia e ipostasi, il che permetteva di interpretare
bomoousios non solo nel senso che il Padre e il Figlio partecipano
della stessa ousia, un termine che sappiamo passibile di varia inter­
pretazione (cfr. testo n. 2 nota 6 ), ma anche che essi sono di una
stessa ipostasi, affermazione che escludeva la dottrina delle tre ipo­
stasi, largamente diffusa in oriente, e dava al simbolo significazione
decisamente monarchiana. Ciò spiega la riluttanza di molti ad accet­
tare questo termine, al quale veniva anche obiettato di non essere di
origine scritturistica. Si ponevano cosi le premesse per la reazione
antinicena.
Per il testo del simbolo seguiamo l’edizione di H .G. Opitz, Ur-
kunden zur Geschichte des arianischen Streites..., pp. 51-2.
Πιστεύομεν είς ενα θεόν, πατέρα, παντοκράτορα, πάντων
ορατών τε καί άοράτων ποιητήν καί είς ενα κύριον Ίησοΰν
Χριστόν τόν υιόν του θεοΰ, γεννηθέντα έκ τοΰ πατρός μονο­
γενή, τουτέστιν έκ της ούσίας του πατρός, θεόν έκ θεοΰ, φώς
έκ φωτός, θεόν αληθινόν έκ θεοΰ άληθινοΰ, γεννηθέντα ού
ποιηθέντα, όμοούσιον τώ πατρί, δι’ ου τά πάντα έγένετο τά τε
έν ούρανώ καί τα έν τη γη, τόν δι’ ήμάς τούς άνθρώπους καί
διά τήν ήμετέραν σωτηρίαν κατελθόντα καί σαρκωθέντα, έναν-
θρωπήσαντα, παθόντα καί άναστάντα τη τρίτη ήμερα, άνελ-
θόντα είς ουρανούς, ερχόμενον κρΐναι ζώντας καί νεκρούς*
καί είς τό άγιον πνεΰμα.
Τούς δέ λέγοντας «ήν ποτε ό'τε ούκ ήν» ή «ούκ ήν πριν
γεννηθή» ή «έξ ούκ δντων έγένετο» ή έξ έτέρας ύποστά-
σεως ή ούσίας φάσκοντας είναι ή κτιστόν ή τρεπτόν ή άλ-
λοιωτόν τόν υιόν τοΰ θεοΰ, τούς τοωύτους αναθεματίζει ή
καθολική καί άποστολική έκκλησία.
Crediamo in un solo Dio Padre onnipotente, creatore di tutte
le cose visibili e invisibili. E in un solo signore Gesù Cristo, il
Figlio di Dio, generato unigenito dal Padre, cioè dalla sostanza
del Padre1, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero2,
generato, non creato, consustanziale al Padre, per mezzo del
quale sono state create tutte le cose in cielo e in terra. Egli per
noi uomini e per la nostra salvezza è disceso e si è incarnato, si è
fatto uomo, ha patito ed è risorto il terzo giorno, è risalito al
cielo e verrà a giudicare i vivi e i morti. Crediamo nello Spirito
santo3.
Quelli che dicono4: « C ’è stato un tempo in cui non esisteva»
o «N o n esisteva prima di essere stato generato» ο « E stato crea­
to dal nulla», o affermano che egli deriva da altra ipostasi o
sostanza o che il Figlio di Dio è o creato o mutevole o alterabile,
tutti costoro condanna la chiesa cattolica e apostolica.
6. Eusebio, Lettera alla sua comunità sul sìmbolo niceno

Eusebio di Cesarea si collocava teologicamente, per così dire, a mez­


za strada fra Ario e Alessandro. Era, come abbiamo visto, subordi-
nazionista, ma non come Ario e, a differenza di questo, considerava
il Figlio generato realmente dal Padre, anche se preferiva non inda­
gare i modi di tale generazione. Ma politicamente egli aveva appog­
giato Ario sin dalla prima ora e per questo motivo un concilio riuni­
to ad Antiochia, sotto la presidenza di Ossio, solo pochi mesi prima
della riunione del concilio niceno, lo aveva condannato in linea
provvisoria, rimandando al prossimo più importante concilio la defi­
nizione del problema. Per questo Eusebio a Nicea aveva badato pri­
ma di tutto a scagionare sé stesso mediante la presentazione della
formula di fede battesimale della sua città, e aveva finito per sotto­
scrivere il simbolo niceno, abbandonando Ario al suo destino. Sentì
l’esigenza di scrivere subito dopo alla sua comunità di Cesarea per
spiegare il suo comportamento e soprattutto per giustificare la sua
sottoscrizione al simbolo niceno. La lunga lettera è un documento
prezioso perché è l’unico a noi pervenuto che si occupi della formula
nicena a brevissima distanza di tempo dalla sua redazione. Dopo,
infatti, su questo testo scenderà un silenzio che si prolungherà per
circa 30 anni, silenzio osservato non solo dai filoariani ma anche
dagli antiariani.
Il testo si può dividere in due parti. La prima ragguaglia, ma con
scarsezza di dettagli, come si fosse giunti alla formulazione del sim­
bolo niceno; la seconda ne spiega le espressioni più decisamente an-
tiariane. Secondo il racconto di Eusebio, egli avrebbe presentato la
formula di fede battesimale della sua città e Costantino l’avrebbe
approvata come testo ufficiale del concilio, suggerendo soltanto l’in­
serzione, in senso antiariano, di homoousios. Ma con questo pretesto
gli estensori della formula - Eusebio non precisa chi fossero stati -
avevano apportato al testo di Cesarea altre modificazioni e aggiunte.
LETTERA SUL SIMBOLO NICENO 10 3

Alcuni studiosi moderni hanno revocato in dubbio tutto il racconto;


ma non sembra giustificato dubitare della sua fondamentale attendi­
bilità. D’altra parte risulta evidente la tendenziosità dell’esposizione
di Eusebio, che è in chiave apologetica. Non soltanto egli non parla
della condanna che precedentemente gli era stata inflitta, ma anche
la spiegazione che fornisce di alcuni dettagli del testo niceno è forza­
ta per il tentativo di far quadrare la formula con la sua impostazione
dottrinale che, soprattutto in merito alla coetemità del Figlio col
Padre, ne era molto distante. Per i dettagli rimando alle note di
commento.
Per il testo di questa lettera di Eusebio abbiamo seguito l’edizio­
ne di H .G . Opitz, Urkunden zur Geschichte des arianhchen Streites
.... pp. 42-7.
1. Τά περί τής έκκλησιαστικής πίστεως πραγματευθέν
κατά τήν μεγάλην σύνοδον τήν έν Νικαία συγκροτηθεΐσαν εί-
κός μεν ύμάς, αγαπητοί, καί αλλοθεν μεμαθηκέναι, τής φήμης
προτρέχειν είωθυίας τόν περί τών πραττομένων ακριβή λό­
γον. άλλ’ ϊνα μή έκ τοιαύτης άκοής τά τής άληθείας έτε-
ροίως ύμΤν άπαγγέλληται, άναγκαίως διεπεμψάμεθα ύμΐν
πρώτον μέν τήν ύφ’ ήμών προταθεΐσαν περί τής πίστεως γρα­
φήν, επειτα τήν δευτέραν, ήν ταΐς ήμετέραις φωναΐς προσθήκας
έπιβαλόντες έκδεδώκασιν. 2. τό μέν ούν παρ’ ήμών γράμ­
μα έπί παρουσία τοΰ θεοφιλεστάτου ήμών βασιλέως άναγνω-
σθέν εΰ τε £χειν καί δοκίμως άποφανθέν τοΰτον έ'χει τφν τρό­
πον·
3. «Καθώς παρελάβομεν παρά τών προ ήμών επισκόπων
καί έν τή πρώτη κατηχήσει καί δτε τό λουτρόν έλαμβάνομεν
καί καθώς άπό τών θείων γραφών μεμαθήκαμεν καί ώς έν τώ
πρεσβυτερίω καί έν αύτή τή έπισκοπή έπιστεύομέν τε καί
έδιδάσκομεν, ούτως καί νΰν πιστεύοντες τήν ήμετέραν πίστιν
ύμΐν προσαναφέρομεν· έστι δέ αυτη·
4. “ Πιστεύομεν είς ενα θεόν, πατέρα, παντοκράτορα, τόν
τών άπάντων ορατών τε καί άοράτων ποιητήν, καί είς ενα
κύριον Ίησοΰν Χριστόν τόν τοΰ θεοΰ λόγον, θεόν έκ θεοΰ, φώς
έκ φωτός, ζωήν έκ ζωής, υιόν μονογενή, πρωτότοκον πάσης
κτίσεως, πρό πάντων τών αιώνων έκ τοΰ πατρός γεγεννημέ-
νον, δ ι’ ού καί έγένετο τά πάντα· τόν διά τήν ήμετεραν σωτη-
1. Ciò che riguardo alla fede della chiesa è stato fatto
grande concilio riunito a Nicea è naturale che voi, carissimi,
l’ abbiate appreso anche da altra fonte, dato che la fama è solita
precedere l’esatta informazione sui fatti. Ma perché da tali dice­
rie la verità non vi venisse annunciata in modo diverso, ho rite­
nuto necessario inviarvi prima il testo relativo alla fede presenta­
to da me, e poi il secondo ch’è stato pubblicato con l’inserzione
di alcune aggiunte alle nostre parole. 2. Il testo da me presen­
tato, che alla presenza del nostro imperatore carissimo a Dio fu
letto e riconosciuto andar bene e che fu dichiarato come si con­
viene, è di questo tenore1:
3. «C om e abbiamo ricevuto dai vescovi che ci hanno prece­
duto e nella prima istruzione e quando abbiamo ricevuto il bat­
tesimo, come abbiamo appreso dalle Sacre Scritture, e come ab­
biamo creduto e insegnato sia da preti sia da vescovi, cosi anche
ora crediamo e presentiamo a voi la nostra fede. Eccola:
4. “ Crediam o 2 in un solo Dio Padre onnipotente, creatore
di tutte le cose visibili e invisibili. E in un solo signore Gesù
Cristo, il Logos di Dio, Dio da Dio, luce da luce, vita da vita,
Figlio unigenito, primogenito di tutta la creazione, generato dal
Padre prima di tutti i tempi, per mezzo del quale sono state
create tutte le cose. Per la nostra salvezza egli si è incarnato, è
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oraasna 9 01
ιο 8 EUSEBIO

8. « Πιστεύομεν είς ενα θεόν, πατέρα, παντοκράτορα, πάν­


των ορατών τε καί άοράτων ποιητήν· καί είς ενα κύριον Ίη-
σοΰν Χριστόν, τον υιόν τοΰ θεοΰ, γεννηθέντα έκ τοΰ πατρός
μονογενή, τουτέστιν έκ τής ουσίας τοΰ πατρός, θεόν έκ θεοΰ,
φώς έκ φωτός, θεόν άληθινόν έκ θεοΰ άληθινοΰ, γεννηθέντα
ού ποιηθέντα, όμοούσιον τώ πατρί, δι’ ου τά πάντα έγένετο
τά τε έν τώ ούρανώ καί τά έν τή γή, τον δι’ ήμάς τούς
ανθρώπους καί διά τήν ήμετέραν σωτηρίαν κατελθόντα καί
σαρκωθέντα, ένανθρωπήσαντα, παθόντα καί άναστάντα τή
τρίτη ήμέρι?, άνελθόντα είς ούρανούς, έρχόμενον κρΐναι
ζώντας καί νεκρούς, καί είς τό άγιον πνεΰμα. τούς δέ λέγοντας
“ ήν ποτε δτε ούκ ήν” καί “ πριν γεννηθήναι ούκ ήν” καί δτι
“ έξ ούκ δντων έγένετο” ή έξ έτέρας ύποστάσεως ή ούσίας
φάσκοντας είναι ή κτιστόν ή τρεπτόν ή άλλοιωτόν τόν υιόν τοΰ
θεοΰ, άναθεματίζει ή καθολική καί άποστολική έκκλησία».
9. Καί δή ταύτης της γραφής ύπ’ αύτών ύπαγορευθείσης,
δπως εϊρηται αύτοΐς τό «έκ τής ούσίας τοΰ πατρός» καί τό
«τώ πατρί όμοούσιον», ούκ άνεξέταστον αύτοΐς κατελιμπά-
νομεν. έπερωτήσεις τοιγαροΰν καί αποκρίσεις έντεϋθεν άνε-
κινοϋντο έβασάνιζέν τε ό λόγος τήν διάνοιαν τών είρημένων.
καί δή τό «έκ τής ούσίας» ώμολογεΐτο προς αύτών δηλωτι­
κόν είναι τοΰ έκ μέν τοΰ πατρός είναι, ού μήν ώς μέρος ύπάρ-
χειν τοΰ πατρός. 10. ταύτη δέ καί ήμΐν έδόκει καλώς εχειν
συγκατατίθεσθαι τή διανοία τής εύσεβοΰς διδασκαλίας ύπαγο-
ρευούσης έκ τοΰ πατρός είναι τόν υιόν, ού μήν μέρος αύτοΰ
τής ούσίας τυγχάνειν. διόπερ τή διανοία καί ήμεΐς συνετιθέ-
μεθα ούδέ τήν φωνήν τοΰ δμοουσίου παραιτούμενοι, τοΰ τής
ειρήνης σκοποΰ πρό οφθαλμών ήμΐν κειμένου καί τοΰ μή τής
όρθής έκπεσεΐν διανοίας.
11. Κατά τά αύτά δέ καί τό «γεννηθέντα καί ού ποιηθ
τα » κατεδεξάμεθα, έπειδή τό «ποιηθέν» κοινόν έφασκον είναι
πρόσρημα τών λοιπών κτισμάτων τών διά τοΰ υιοΰ γενομένων,
ών ούδεν δμοιον εχειν τόν υιόν- διό δή μή είναι αύτόν ποίημα
τοΐς δι’ αύτοΰ γενομένοις έμφερές, κρείττονος δέ ή κατά πάν
LETTERA SUL SIMBOLO NICENO IO 9

8. «Crediam o in un solo Dio Padre onnipotente, creatore di


tutte le cose visibili e invisibili. E in un solo signore Gesù C ri­
sto, il Figlio di Dio, generato unigenito dal Padre, cioè dalla
sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio
vero, generato, non creato, consustanziale al Padre, per mezzo
del quale sono state create tutte le cose in cielo e in terra. Egli
per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso e si è incarnato,
si è fatto uomo, ha patito ed è risorto il terzo giorno, è risalito al
cielo e verrà a giudicare i vivi e i morti. Crediamo nello Spirito
santo. Quelli che dicono: “ C ’è stato un tempo in cui non esiste­
va” o “ Non esisteva prima di essere stato generato” o “ È stato
creato dal nulla” o affermano che egli deriva da altra ipostasi o
sostanza o che il Figlio di Dio è o creato o mutevole o alterabile,
tutti costoro condanna la chiesa cattolica e apostolica».
9. Una volta proposto da loro questo testo, in che senso essi
affermassero «dalla sostanza del Padre» e «consustanziale al Pa­
dre», non gliel’abbiamo lasciato passare senza averlo esaminato4.
D i qui ci fu un seguito di domande e risposte, e parlando il senso
di quelle espressioni fu esaminato attentamente. Quanto a «dalla
sostanza», essi dichiararono che indicava il derivare dal Padre,
ma non esistere come parte del Padre. 10. Anche io ho ritenu­
to opportuno accettare questa interpretazione della dottrina or­
todossa, che afferma che il Figlio deriva dal Padre ma non è
parte della sua sostanza. Perciò anch’io sono stato d ’accordo con
questa interpretazione e non ho respinto il termine «consustan­
ziale», perché avevo davanti agli occhi la finalità della pace e
l’esigenza di non allontanarmi dalla retta interpretazione.
11. Nello stesso senso ho accettato anche «generato e n
fatto »’ , poiché essi dicevano che il termine « fa tto » è comune
con tutto il resto delle creature che sono state create per mezzo
del Figlio e con le quali egli non ha nulla di simile. Perciò egli
non è fattura simile a quelle create per mezzo di lui, ma è di
sostanza superiore rispetto ad ogni cosa fatta, che le parole divi-
n o EUSEBIO

ποίημα τυγχάνειν ούσίας, ήν έκ τοΰ πατρός γεγεννησθαι τά


θεία διδάσκει λόγια, τοΰ τρόπου τής γεννήσεως ανέκφραστου
και άνεπιλογίστου πάση γενητή φύσει τυγχάνοντος.
12. Ού'τω δέ καί τό «όμοούσιον είναι τοΰ πατρός τόν
5 έξεταζόμενος ό λόγος συνίστησιν, ού κατά τον τών σωμάτων
τρόπον ούδέ τοΐς θνητοΐς ζώοις παραπλησίως, οίίτε γάρ κατά
διαίρεσιν της ούσίας ουτε κατά άποτομήν, άλλ’ ούδέ κατά
τι πάθος ή τροπήν ή άλλοιωσιν τής τοΰ πατρός ούσίας τε καί
δυνάμεως. τούτων γάρ πάντων άλλοτρίαν είναι τήν άγέννη-
ιο τον τοΰ πατρός φύσιν. 13. παραστατικόν δέ είναι τό «όμοού­
σιον τώ πατρί» τοΰ μηδεμίαν έμφέρειαν προς τά γενητά κτί-
σματα τον υιόν τοΰ θεοΰ φέρειν, μόνω δέ τώ πατρί τώ γεγεννη-
κότι κατά πάντα τρόπον άφωμοιώσθαι καί μή είναι έξ έτέρας
τινός ύποστάσεως τε καί ούσίας, άλλ’ έκ τοΰ πατρός. ώ καί
ι5 αύτώ τοΰτον έρμηνευθέντι τόν τρόπον καλώς έ'χειν έφάνη
συγκαταθέσθαι, έπεί καί τών παλαιών τινας λογίους και έπι-
φανεΤς έπισκόπους καί συγγραφείς έ'γνωμεν έπί τής τοΰ πα­
τρός καί υίοΰ θεολογίας τώ τοΰ όμοουσίου συγχρηβαμένους ό-
νόματι.
2ο 14. Ταΰτα μέν οΰν περί τής έκτεθείσης είρήσθω πίστεως,
ή συνεφωνήσαμεν οί πάντες ούκ άνεξετάστως, άλλά κατά
τάς άποδοθείσας διανοίας έπ’ αύτοΰ τοΰ θεοφιλεστάτου βασι-
λέως έξετασθείσας καί τοΐς είρημένοις λογισμοΐς συνομολο-
γηθείσας. 15. καί τόν άναθεματισμόν δέ τον μετά τήν πίστιν
25 προς αύτών έκτεθέντα αλυπον είναι ήγησάμεθα διά τό
άπείργειν άγράφοις χρήσθαι φωναΐς, διό σχεδόν ή πάσα γέ-
γονε αύγχυσις καί άκαταστασία τής έκκλησίας. μηδεμιας
γοΰν θεοπνεύστου γραφής τώ «έξ ούκ δντων» καί τώ «ήν
ποτε δτε ούκ ήν» καί τοΐς εξής έπιλεγομενοις κεχρημένης
3ο ούκ εδλογον έφάνη ταΰτα λέγειν καί διδάσκειν. ω καί αύτώ
καλώς δόξαντι συνεθέμεθα, έπεί μηδέ έν τώ πρό τούτου
χρόνω τούτοις είώθαμεν συγχρήσθαι τοΐς ^ήμασιν.
16. ’Έ τι μήν τό άναθεματίζεσθαι τό «πρό τοΰ γεννηθήν
ούκ ήν» ούκ ατοπον ένομίσθη τφ παρά πάσιν όμολογείσθαι
LETTERA SUL SIMBOLO NICENO III

ne insegnano essere stata generata dal Padre, pur essendo il mo­


do della generazione inesprimibile e inconcepibile da parte di
ogni natura creata.
12. Così anche, presa in esame nella discussione l’espressio
«il Figlio è consustanziale al P a d re»6, si stabili che ciò non è a
mo’ dei corpi e similmente agli esseri animati mortali, né per
divisione della sostanza né per scissione, e neppure con passione
ο mutamento o alterazione della sostanza e della potenza del Pa­
dre. Infatti la natura ingenerata del Padre è estranea a tutto
ciò. 13. Invece «consustanziale al Padre» indica che il Figlio
di Dio non ha alcuna somiglianza con le creature create, e invece
è simile in tutto al solo Padre che lo ha generato, e non deriva da
altra ipostasi o sostanza ma dal Padre. Sembrò bene accondi­
scendere all’imperatore che in persona dava questi chiarimenti,
dato che venimmo a sapere che anticamente anche alcuni dotti e
illustri vescovi e scrittori avevano fatto uso del termine «consu­
stanziale» nella dottrina del Padre e del Figlio.
14. Questo sia detto riguardo alla professione di fede, con la
quale tutti fummo d ’accordo non senza esame, ma secondo i
concetti esposti, che furono esaminati alla presenza dello stesso
imperatore carissimo a Dio e risultarono in accordo con le spie­
gazioni che ho detto. 15. Quanto all’anatematismo 7 che essi
aggiunsero alla professione di fede, ritenni che fosse senza dan­
no, perché proibiva di usare termini non attestati nella Scrittura,
a causa dei quali suole nascere quasi ogni occasione di disordine
e confusione nella chiesa. Perciò, dato che in nessuna scrittura
divinamente ispirata si fa uso di «d al nulla» e di « c ’è stato un
tempo in cui non esisteva» e di ciò che segue, non sembrò ben
fatto dire e insegnare tali cose. Fui perciò d ’accordo con l’impe­
ratore che era d i questo avviso, poiché neppure nel tempo prece­
dente ero stato solito far uso di tali espressioni.
16. Inoltre non sembrò fuor di luogo condannare la prop
zione «non esisteva prima di essere stato generato», in quanto
112 EUSEBIO

τό είναι τόν υιόν τοΰ θεοΰ πρό της κατά σάρκα γεννήσεως. ήδη
δέ ό θεοφιλέστατος ήμών βασιλεύς τώ λόγω κατεσκεύαζε καί
κατά τήν ένθεον αύτοΰ γέννησιν τό πρό πάντων αιώνων είναι
αύτόν, έπεί καί πριν ένεργείςι γεννηθήναι δυνάμει ήν έν τώ
5 πατρί άγεννήτως, δντος τοΰ πατρός άεί πατρός ώς καί βασι-
λέως άεί καί σωτήρος άεί, δυνάμει πάντα δντος, άεί τε κατά
τά αύτά καί ώσαύτως εχοντος.
17. Ταΰτα ύμΐν άναγκαίως διεπεμψάμεθα, άγαπητο
κεκριμένον τής ήμετέρας έξετάσεώς τε καί συγκαταθέσεως φα-
ιο νερόν ύμΐν καθιστώντες καί ώς εύλόγως τότε μέν καί μέχρις
έσχάτης ώρας ένιστάμεθα, δθ’ ήμΐν τά έτεροίως γραφέντα
προσέκοπτε, τότε δέ άφίλονείκως τά μή λυποΰντα κατεδεξά-
μεθα, δθ’ ήμΐν εύγνωμόνως τών λόγων έξετάζουσι τήν διά­
νοιαν έφάνη συντρέχειν τοΐς ύφ’ ήμών αύτών έν τή προεκ-
ΐ 5 τεθείση πίστει ώμολογημένοις.
LETTERA SUL SIMBOLO NICENO 113

tutti furono d ’accordo che il Figlio di Dio esiste prima di nascere


secondo la carne. Inoltre il nostro imperatore carissimo a Dio
con la sua parola spiegò che il Figlio secondo la sua nascita divi­
na è anteriore a tutti i tempi, poiché, anche prima di essere ge­
nerato in atto, esisteva in potenza nel Padre senza generazione,
perché il Padre è sempre Padre come anche sempre re e sempre
salvatore, in quanto è tutto in potenza ed è sempre uguale a sé
stesso.
17. H o ritenuto necessario, carissimi, inviarvi queste not
per chiarirvi quale sia stato il criterio del mio esame e della mia
approvazione, e come coerentemente a volte abbia resistito fino
all’ultimo momento, quando trovavo difficoltà in espressioni
scritte in modo diverso, altre volte invece abbia accettato senza
far difficoltà espressioni che non provocavano danno, quando,
esaminati attentamente i termini, il loro concetto mi parve ac­
cordarsi con quanto io stesso avevo professato nella formula di
fede che avevo prima proposto.
7. Ario, Lettera a Costantino

Questa lettera rappresentò un momento importante nella storia della


reazione antinicena, che cominciò poco dopo il 325 ed ebbe dalla
sua l’appoggio di Costantino il quale, forse, resosi cont'o di aver
troppo forzato la mano in senso antiariano a Nicea, cercava così di
riequilibrare la situazione favorendo uno schieramento moderato
contro gli estremismi di una parte e dell’altra. Siamo intorno al 334.
Già da tempo Ario è stato richiamato dall’esilio in Illiria ma non
può rientrare in Egitto né essere riconciliato con la chiesa per l’osti­
lità di Atanasio, successore di Alessandro. Perciò Costantino, forse
per suggerimento di Eusebio di Nicomedia, che era rientrato nel
favore dell’imperatore dopo breve eclissi, mentre da una parte ripete
la condanna contro Ario in quanto eresiarca (cfr. Opitz, Urkunden
zur Geschicbte des arianiscben Streites..., p. 6 6 ), dall’altra sollecita un
contatto con lui quasi a rilevare che, pur condannando la dottrina,
egli era pronto a perdonare il peccatore ravveduto [per la ricostru­
zione di questi fatti, complicati e non privi di incertezze, si veda il
mio volume La crisi ariana nel IV secolo, p. 115 sgg.]. Ario risponde
con questa professione di fede, che pone le premesse per la sua ria­
bilitazione (335).
La lettera è breve e, se si eccettuano le espressioni di circostan­
za, la vera e propria professione di fede è brevissima e di tono del
tutto generico, sì che Ario la poteva interpretare in perfetta coeren­
za con le idee sempre professate e che erano state condannate a
Nicea. E perciò un altro esempio dell’abilità di Ario di mimetizzare
il suo vero pensiero dietro formule apparentemente irreprensibili.
Un tale testo non avrebbe potuto ingannare nessuno degli avversari
di Ario; ma il vento ormai tirava in senso a lui favorevole, così che
queste poche righe, formalmente ineccepibili nella loro genericità,
bastavano a chi ormai era orientato in senso favorevole alla sua ria­
bilitazione.
LETTERA A COSTANTINO 115

Diamo il testo di questa lettera secondo l’edizione allestita da


H .G . Opitz, Urkunden zur Geschichte des arianiscben Streites...,
p. 64.
Τώ εύλαβεστάτω καί θεοφιλεστάτω δεσπότη ήμών βάσιλεΐ
Κωνσταντίνα) "Αρειος καί Εύζώιος.
1. Καθώς προσέταξεν ή θεοφιλής σου ευσέβεια, δέσποτα
βασιλεύ, εκτιθέμεθα τήν έαυτών πίστιν καί έγγράφως όμολο-
γοΰμεν έπί θεοΰ ούτως πιστεύειν ήμεΐς καί πάντες οί σύν ήμϊν
ώς ύποτέτακται.
2. Πιστεύομεν είς ενα θεόν πατέρα, παντοκράτορα- καί είς
κύριον Ίησοΰν Χριστόν τόν υιόν αύτοΰ τόν μονογενή, τόν έξ
αύτοΰ πρό πάντων τών αιώνων γεγεννημένον, θεόν λόγον,
δι’ ού τά πάντα έγένετο τά τε έν τοΐς ούρανοΐς καί τα έπί
τής γής, τόν κατελθόντα καί σάρκα άναλαβόντα καί παθόντα
καί άναστάντα καί άνελθόντα είς τούς ούρανούς καί πάλιν
έρχόμενον κρΐναι ζώντας καί νεκρούς. 3. καί είς τό άγιον
πνεΰμα καί είς σαρκός άνάστασιν καί είς ζωήν τοΰ μέλλοντος
αϊώνος καί είς βασιλείαν ούρανών καί είς μίαν καθολικήν
εκκλησίαν τοΰ θεοΰ τήν άπό περάτων εως περάτων.
4. Ταύτην δε την πίστιν παρειλήφαμεν έκ τών αγίω
εύαγγελίων, λέγοντος τοΰ κυρίου τοΐς έαυτοΰ μαθηταΐς- «πο-
ρευθέντες μαθητεύσατε πάντα τά εθνη βαπτίζοντες αύτούς είς
τό δνομα τοΰ πατρός καί τοΰ υίοΰ καί τοΰ άγιου πνεύματος »
(Εν. Matth. 28, 19). εί δέ μή ταΰτα ούτως πιστεύομεν καί ά-
ποδεχόμεθα άληθώς πατέρα καί υιόν καί πνεΰμα άγιον ώς
πάσα ή καθολική έκκλησία καί αί γραφαί διδάσκουσιν, αίς κα­
τά πάντα πιστεύομεν, κριτής ήμών έστιν ό θεός καί νΰν καί έν
AI religiosissimo e piissimo signore nostro imperatore Co­
stantino, Ario ed Euzoio1.
1 . Come ha ordinato la tua religiosa pietà, signore e impera­

tore, presentiamo la nostra fede e per scritto professiamo davan­


ti a Dio che in tal modo crediamo noi e tutti quelli che sono con
noi, secondo quanto è stato ordinato.
2. Crediamo in un solo Dio Padre onnipotente. E nel signore
Gesù Cristo, suo Figlio 2 unigenito, da lui generato prima di
tutti i tempi, Dio Logos, per cui mezzo sono state create tutte le
cose, quelle in cielo e quelle in terra, che è disceso, si è incarna­
to, ha patito, è risorto, è risalito in cielo e verrà di nuovo a
giudicare i vivi e i morti. 3. Crediamo nello Spirito santo, nel­
la risurrezione della carne, nella vita del tempo futuro, nel regno
dei cieli e in una sola chiesa cattolica di Dio da un confine all’al­
tro del mondo.
4. Abbiamo ricevuto questa fede dai santi Vangeli, dove
Signore dice ai suoi discepoli: «A ndate ad insegnare a tutti i
popoli, battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spi­
rito santo» (Ev. Matth. 28, 19). Se non crediamo in tal modo
queste dottrine e non comprendiamo veramente Padre, Figlio e
Spirito santo come insegnano tutta la chiesa cattolica e le Scrittu­
re, alle quali crediamo in tutto, Dio è nostro giudice ora e nel
I l8 ARIO

τή μελλούση ημέρα. 5. διό παρακαλοΰμέν σου τήν ευσέ­


βειαν, θεοφιλέστατε βασιλεύ, έκκλησιαστικους ήμάς όντας καί
τήν πίστιν καί τό φρόνημα της έκκλησίας καί τών αγίων
γραφών έχοντας ένοΰσθαι ήμας διά τής είρηνοποιοϋ σου καί
5 θεοσεβούς εύσεβείας τή μητρί ήμών, τή έκκλησία δηλαδή,
περιηρημένων τών ζητημάτων καί τών έκ τών ζητημάτων πε-
ρισσολογιών, ΐνα καί ήμεΐς καί ή έκκλησία μετ’ άλλήλων
είρηνεύοντες τάς συνήθεις εύχάς ύπέρ τής ειρηνικής σου καί
εύσεβοΰς βασιλείας καί παντός τοΰ γένους σου κοινή πάντες
ΙΟ ποιώμεθα.
LETTERA A COSTANTINO 1 19

giorno futuro. 5. Perciò, dato che siamo uomini di chiesa e


osserviamo la fede e il pensiero della chiesa e delle Sacre Scrittu­
re, preghiamo la tua pietà, piissimo imperatore, di riunirci alla
nostra madre, cioè alla chiesa, grazie al tuo sentimento religioso
timorato di D io e apportatore di pace, dopo aver posto fine alle
inchieste e alle prolisse discussioni che dalle inchieste derivano.
Così noi e la chiesa, tornati in pace gli uni con gli altri, faremo
tutti insieme le preghiere consuete per il tuo regno pio e pacifico
e per tutta la tua famiglia.
Parte Terza
L A R E A Z IO N E A N T IN IC E N A
D A L 340 A L 360
L a morte di Costantino inaugurò una nuova fase della controver­
sia ariana. Dopo il 325, egli aveva appoggiato la reazione ten­
dente a rimuovere dalle loro sedi gli antiariani più accesi ed a
riabilitare anche Ario, ma senza revocare in dubbio la fede nice-
na e perciò la condanna della dottrina ariana. Invece, morto lui,
il contrasto si riportò anche sul piano dottrinale, dando inizio ad
una lunga vicenda che, fra complicazioni di ogni sòrta, portò nel
359-60 al trionfo di una forma larvata di arianesimo moderato.
La cosa fu possibile perché il partito antiniceno fu costantemen­
te appoggiato dall’imperatore Costanzo, fino al 350 imperatore
della pars Orientis dell’impero, mentre il fratello Costante regge­
va l’occidente; e dopo questa data Costanzo fu unico imperatore,
per la morte di Costante. Per inquadrare storicamente i testi che
presenteremo, riassumiamo rapidamente i dati fondamentali di
questa vicenda.
M orto Costantino, i suoi successori autorizzarono il ritorno
in patria degli esponenti antiariani, che erano stati negli anni
precedenti deposti ed esiliati, fra cui Atanasio e Marcello. M a
ben presto in oriente Costanzo prese posizione netta a favore
degli antiniceni, guidati da Eusebio di Nicomedia, e Atanasio e i
suoi compagni furono di nuovo scacciati e si rifugiarono a Roma.
L ’occidente era compatto a favore della fede nicena e perciò fa­
voriva le vittime della reazione antinicena, ch’esso riteneva aria­
na tout court, e Costante appoggiò questa politica. Un concilio di
vescovi occidentali, tenuto a Roma nel 341, esaminò la posizione
di Atanasio e Marcello e assolse i due dalle condanne inflitte loro
in oriente. G li orientali non solo rifiutarono queste decisioni ma,
riunitisi alcuni mesi dopo ad Antiochia, presero posizione anche
in merito all’aspetto dottrinale della controversia, pubblicando
124 PARTE TERZA

una formula di fede, irreprensibilmente ortodossa, ma piuttosto


generica sui termini specifici del contrasto e nella quale non si
faceva cenno dell ’homoousios niceno. E ssa costituì il fondamento
ideologico di uno schieramento che raccoglieva gran parte dell’e­
piscopato orientale in senso antiniceno, antiatanasiano e antioc­
cidentale.
Per riesaminare la situazione, il vescovo di Roma, Giulio, ot­
tenne da Costante e, per tramite di questo, da Costanzo, la con­
vocazione di un nuovo concilio ecumenico a Serdica (odierna So­
fia). G li orientali, che non gradivano questo incontro, si piegaro­
no contro voglia alle pressioni di Costanzo, ma il concilio, tenuto
nel 343, si rivelò un vero fallimento: le due parti confermarono
le precedenti decisioni, politiche e dottrinali, e finirono per sco­
municarsi a vicenda. A questo punto la cristianità era addirittura
divisa in due tronconi. Successivamente la situazione si chiarì sul
piano politico e Costanzo autorizzò Atanasio a rientrare ad Ales­
sandria (346), ma senza che il suo rientro fosse stato autorizzato
da un concilio che abrogasse la condanna che gli era stata inflitta
a Tiro nel 335.
Morto Costante e sconfitto l’usurpatore Magnenzio, Costan­
zo nel 351 rimase unico imperatore e pensò di riunificare religio­
samente l’impero in senso antiniceno, servendosi soprattutto
dell’opera dei vescovi illirici Valente di Mursa e Ursacio di Sin-
gidunum. Due concili occidentali, tenuti ad Arles (353) e a Mila­
no (355), nonostante qualche sporadica resistenza, confermaro­
no, per pressione dell’imperatore, la condanna di Atanasio, che
fu ancora una volta costretto ad abbandonare Alessandria, tro­
vando rifugio presso i monaci del deserto. A questo punto, nel
357, gli esponenti più filoariani del gruppo antiniceno, capitanati
da Valente, Ursacio e Germinio di Sirmio, ritennero maturo il
momento per una ulteriore precisazione in senso dottrinale, do­
po le lontane prese di posizione degli anni 341-45, e perciò pub­
blicarono a Sirmio una formula di fede che, senza affermare le
proposizioni dell’arianesimo radicale, era molto esposta in senso
filoariano.
Questa dichiarazione provocò una violenta reazione non solo
in occidente, ma anche in oriente, dove molti vescovi, soprattut­
to d’Asia minore, non niceni ma di sentimenti antiariani, propo­
sero una via mediana fra i due estremi fondata sul concetto di
Cristo simile al Padre secondo la sostanza (358). Dopo un con­
vulso succedersi di azioni e reazioni si giunse ad un nuovo conci­
LA REAZIONE ANTTNICENA 125

lio ecumenico, articolato in due sedi: gli occidentali si riunirono


a Rimini e gli orientali a Seleucia di Caria (359). In ambedue le
sedi gli antiariani erano nettamente prevalenti, ma le pressioni di
Costanzo modificarono radicalmente l’iniziale andamento dei la­
vori, a favore di una formula di fede generica al massimo, la
quale affermava soltanto che il Figlio era simile al Padre secondo
le Scritture. Q uesta formula fu imposta a Rimini ai vescovi occi­
dentali, e in un successivo concilio, riunito a Costantinopoli all’i­
nizio del 360, fu confermata dagli orientali. Nonostante la sua
genericità, la formula fu sentita allora come espressione della vit­
toria del partito filoariano.
1. Professione di fede di Antiochia (341)

In risposta al concilio di Roma (341), che aveva scagionato Atanasio


e Marcello dalle condanne loro inflitte in oriente (335 e 336), gli
orientali si riunirono alcuni mesi dopo ad Antiochia, in occasione
dell’inaugurazione di una grande basilica (in encaeniis), e presero po­
sizione, nel contesto della controversia, anche sul piano dottrinale,
che da Nicea in poi non era stato ancora ufficialmente toccato. Nul­
la sappiamo dello svolgimento del concilio, dominato da Eusebio di
Nicomedia (Eusebio di Cesarea era già morto). Relative ad esso ci
sono giunte quattro formule di fede: la prima è soltanto introdutti­
va, la terza fu presentata a titolo personale da Teofronio di Tiana,
sospetto di simpatie monarchiane, la quarta è un testo che fu pre­
sentato nel 342 a Costante, a Milano, nel tentativo di attenuare la
tensione fra orientali ed occidentali. Esso sintetizza i dati essenziali
della seconda formula di fede, che fu quella ufficiale e che, in forma
di volta in volta un po’ modificata, rappresenterà d’ora in poi il
punto di vista ufficiale degli orientali, in materia cristologica, fino al
357. Questa formula era conosciuta come di Luciano di Antiochia
(cfr. p. 548). Il pochissimo che sappiamo di questo personaggio non
permette di accertare la consistenza della notizia, che non pare co­
munque destituita di fondamento. La formula potrebbe rappresenta­
re un momento della riflessione di questo personaggio piuttosto lon­
tano dai suoi atteggiamenti che avevano influenzato in senso radical­
mente subordinazionista sia Ario sia altri collucianisti.
Infatti la seconda formula di Antiochia si distacca nettamente
dalle proposizioni dell’arianesimo radicale sia perché parla aperta­
mente di generazione, senza riprendere l’equivoca formulazione
ariana generazione = creazione, sia soprattutto perché definisce il
Figlio immagine perfetta, senza differenze, della ousia del Padre.
D ’altra parte la formula tace il termine homoousios, distintivo del
Credo niceno, e invece riafferma la dottrina origeniana delle tre ipo-
PROFESSIONE DI FEDE DI ANTIOCHIA >27

stasi, proponendo la loro unione sulla base dell’armonia nel volere e


nell’agire. Si tratta, in sostanza, di una formula di impostazione ac­
centuatamente scritturistica che è lontana sia dalle implicazioni mo­
narchiane dell’homoousios niceno sia dal subordinazionismo radicale
dell’Ario più autentico, formula attestata su una posizione di stampo
origeniano, ormai un po’ arcaica rispetto ai recenti sviluppi della
controversia, ma che proprio per il suo aspetto tradizionale poteva
essere condivisa da esponenti di posizioni dottrinali anche lontane
tra loro. La potevano infatti accettare l’ariano moderato come l’e­
sponente della linea origeniana moderata, lontano sia dalla posizione
monarchiana, sia da quella ariana, quale sarebbe stato di 11 a poco
Cirillo di Gerusalemme.
La formula, che dobbiamo pensare ispirata da Eusebio di Nicome­
dia, aveva il fine di dare una consistenza ideologica ad un gruppo
che egli aveva formato mettendo insieme larga parte dell’episcopato
orientale in funzione antinicena (ch’è dire, antimonarchiana, secon­
do l’interpretazione che molti davano, in oriente, del simbolo nice­
no), antiatanasiana (cioè, contro il prepotere del potente vescovo di
Alessandria) e antioccidentale (sfruttando, cioè, i sempre vivi senti­
menti antiromani degli orientali, punti sul vivo dall’intervento della
sede romana in difesa di Atanasio e di Marcello). Il difficile equili­
brio di questo schieramento poteva essere salvaguardato mediante
un’accurata equidistanza sia dal monarchianismo sia dall’arianesimo
radicale. Eusebio, sia solo per finalità politica sia forse anche per
convinzione maturata durante lo svolgimento della controversia, riu­
scì a mantenere questo precario equilibrio. Ma egli sarebbe morto di
lì a poco, e i suoi eredi non ne avrebbero saputo continuare l’accorta
politica.
Presentiamo il testo della professione di fede antiochena secondo
A. Hahn - G .L. Hahn, Btbliotek der Symbole und Glaubensregeln der
alten Kircbe, Breslau 1897, pp. 184-6.
Πιστεύομεν άκολούθως τη ευαγγελική καί άποστολική
παραδόσει είς ενα θεόν πατέρα παντοκράτορα, τόν τών δλων
δημιουργόν τε καί ποιητήν καί προνοητήν. καί είς ενα κύριον
Ίησοΰν Χριστόν, τόν υιόν αύτοΰ τόν μονογενή, θεόν, δ ι’ ου τά
πάντα, τόν γεννηθέντα προ τών αιώνων έκ τοΰ πατρός, θεόν
έκ θεοΰ, δλον έξ δλου, μόνον έκ μόνου, τέλειον έκ τελείου,
βασιλέα έκ βασιλέως, κύριον άπό κυρίου, λόγον ζώντα, σο­
φίαν ζώσαν, φώς άληθινόν, όδόν, άλήθειαν, άνάστασιν, ποι­
μένα, θύραν, ατρεπτόν τε καί άναλλοίωτον, τής θεότητος,
ούσίας τε καί βουλής καί δυνάμεως καί δόξης τοΰ πατρός ά-
παράλλακτον εικόνα, τόν πρωτότοκον πάσης κτίσεως (Ep. Col.
1, 15), τόν δντα έν άρχή πρός τόν θεόν (Εν. Ιο. 1 , 1 ), θεόν
λόγον, κατά τό είρημένον εύαγγελίω· «κ α ί θεός ήν ό λόγος,
δ ι’ ού τά πάντα έγένετο» καί· «έν ώ τά πάντα συνέστηκε»
(Εν. Ιο. 1 , 1.3; Ep. Col. 1, 17)· τόν έπ’ έσχάτων τών ήμερών
κατελθόντα άνωθεν καί γεννηθέντα έκ παρθένου, κατά τάς
γραφάς, καί άνθρωπον γενόμενον, μεσίτην θεοΰ καί άνθρώ-
πων, άπόστολόν τε τής πίστεως ήμών (1 Ep. Tìm. 2 , 5; Ερ.
Hebr. 3, 1), καί άρχηγόν ζωής, ώς φησι δτι «καταβέβηκα έκ
τοΰ ούρανοΰ, ούχ ινα ποιώ τό θέλημα τό έμόν, άλλά τό
θέλημα τοΰ πέμψαντός μ ε » (Ευ. Ιο. 6 , 38)· τόν παθόντα ύπερ
ήμών καί άναστάντα τή τρίτη ήμέρςι καί άνελθόντα είς ού-
ρανούς καί καθεσθέντα έν δεξιά τοΰ πατρός, καί πάλιν έρχό-
μενον μετά δόξης καί δυνάμεως κρΐναι ζώντας καί νεκρούς.
Coerenti con la tradizione evangelica e apostolica, crediamo
in un solo Dio Padre onnipotente, l’artefice creatore e reggitore
provvidenziale di tutte le cose. In un solo signore Gesù Cristo, il
Figlio di lui unigenito, Dio, per cui mezzo sono state create tutte
le cose, generato dal Padre prima dei tem pi1, Dio da D io2,
tutto da tutto, solo da solo, perfetto da perfetto, re da re, signo­
re da signore, logos vivente3, sapienza vivente, luce vera, via,
verità, risurrezione, pastore, porta, immutabile e inalterabile,
immagine4, priva di differenze, della divinità, sostanza, volontà,
potenza, gloria del Padre, il primogenito di tutta la creazione
(Ep. Col. 1, 15), che esiste in principio 5 presso Dio (Ev. Io. 1, 1),
Dio Logos, secondo le parole del Vangelo: « E Dio era il Logos
per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose» e «In lui sono
state create tutte le cose» (Ev. Io. 1, 1.3; Ep. Col. 1, 17). Negli
ultimi giorni è disceso dall’alto ed è stato generato dalla Vergine,
secondo le Scritture, ed è diventato uomo, mediatore fra Dio e
gli uomini6 (1 Ep. Tim. 2, 5), apostolo della nostra fede (Ep.
Hebr. 3, 1) e autore della vita, secondo quanto dice: «Son o di­
sceso dal cielo non per fare la mia volontà ma la volontà di colui
che mi ha inviato» (Ev. Io. 6 , 38). H a patito per noi, è risorto il
terzo giorno, è risalito al cielo e siede alla destra del Padre, e
verrà nuovamente con gloria e potenza a giudicare i vivi e i
morti.
130 PROFESSIONE DI FEDE DI ANTIOCHIA

Κ αί είς τό πνεύμα τό δγιον, τό είς παράκλησιν καί αγια­


σμόν καί τελείωσιν τοΐς πιστευουσι διδόμενον, καθώς καί 6 κύ­
ριος ήμών Ίησοΰς Χριστός διετάξατο τοΐς μαθηταΐς, λ έγ ω ν
«πορευθέντες μαθητεύσατε πάντα τά εθνη, βαπτίζοντες αυτούς
είς τό δνομα τοΰ πατρός καί τοΰ υιού καί τοΰ άγίου νεύ μα τος »
(Ευ. Matth. 28, 19)· δηλονότι πατρός αληθώς πατρός δντος,
υίοΰ δέ άληθώς υιού δντος, τοΰ δέ άγίου πνεύματος αληθώς
άγίου πνεύματος δντος, τών ονομάτων ούχ άπλώς ούδέ
άργώς κειμένων, άλλά σημαινόντων άκριβώς την οίκείαν
έκαστου τών όνομαζομένων ύπόστασιν καί τάξιν καί δόξαν* ώς
είναι τη μέν ύποστάσει τρία, τή δέ συμφωνίφ εν.
Ταύτην ούν εχοντες τήν πίστιν, καί έξ άρχής καί μέχρι
τέλους εχοντες, ένώπιον τοΰ θεοΰ καί τοΰ Χριστοΰ πάσαν αι­
ρετικήν κακοδοξίαν άναθεματίζομεν. καί ε ΐ τις παρά τήν ύγιή
τών γραφών ορθήν πίστιν διδάσκει, λέγων ή χρόνον ή καιρόν
ή αιώνα ή είναι ή γεγονέναι πρό του γεννηθήναι τόν υιόν,
άνάθεμα εστω. καί ε ί τις λέγει τόν υιόν κτίσμα ώς εν τών
κτισμάτων, ή γέννημα ώς *έν τών γεννημάτων, ή ποίημα ώς εν
τών ποιημάτων, καί μή ώς αί θεΐαι γραφαί παραδέδωκαν τών
προειρημένων έκαστον άφ’ έκάστου, ή ε ί τις άλλο διδάσκει ή
εύαγγελίζεται παρ’ δ παρελάβομεν, άνάθεμα εστω. ήμεΐς
γάρ πάσι τοΐς έκ τών θείων γραφών παραδεδομένοις ύπό τε
τών προφητών καί άποστόλων άληθινώς καί έμφόβως καί
πιστεύομεν καί άκολουθοΰμεν.
PROFESSIONE DI FEDE DI ANTIOCHIA

Crediamo nello Spirito santo, che viene dato ai credenti per


consolazione, santificazione e perfezione, come anche il signore
nostro Gesù Cristo ha comandato ai discepoli, dicendo: «A ndate
ad insegnare a tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre,
del Figlio e dello Spirito san to» (Ev. Matth. 28, 19) 1, cioè nel
nome del Padre che è veramente Padre, del Figlio che è vera­
mente Figlio, dello Spirito santo che è veramente Spirito santo,
poiché i nomi non sono stati dati alla buona e senza motivo ben­
sì indicano con esattezza l’ipostasi, l’ordine e la gloria proprie di
ciascuno di quelli che sono nominati, sì ch’essi son tre quanto
all’ipostasi8, ma una cosa sola quanto all’armonia.
Avendo questa fede, e avendola dall’inizio e fino alla fine, al
cospetto di Dio e di Cristo condanniamo ogni falsa credenza de­
gli eretici. E se uno insegna contro la sana e retta fede delle
Scritture, dicendo che c’è o c’è stato un tempo o un momento
prima che il Figlio fosse generato, sia condannato. E se uno defi­
nisce il Figlio creatura come una delle creature, genitura come
una delle geniture, opera come una delle opere, e non come ci
hanno tramandato le Sacre Scritture che ognuno di quelli che
sopra abbiamo nominato deriva dall’altro, o se insegna o annun­
cia diversamente da quanto ci è stato trasmesso, sia condan­
nato9. Infatti noi crediamo e ci atteniamo veramente e con
reverenza a tutto ciò che ci è stato tramandato nelle Sacre Scrit­
ture dai profeti e dagli apostoli.
2 . Professione di fede degli occidentali a Serdica (343)

Per cercare di risolvere il dissidio fra occidentali e orientali, papa


Giulio ottenne che Costante facesse pressioni sul fratello Costanzo
per la convocazione di un nuovo concilio ecumenico. Costanzo per
esigenze di politica generale accondiscese alla richiesta del fratello, e
il concilio fu indetto con convocazione per l’autunno 343 a Serdica,
in Mesia, nella parte occidentale dell’impero ma molto vicino al con­
fine con la parte orientale. I vescovi orientali, che non avevano inte­
resse a riesumare le questioni di Atanasio e di Marcello, vennero di
malavoglia, non più di una settantina, mentre gli occidentali erano
un centinaio. I lavori s’insabbiarono per questioni di procedura: gli
occidentali, che a Roma nel 341 avevano assolto Atanasio e Marcello
dalle condanne loro inflitte in oriente, sostenevano ch’essi avrebbe­
ro dovuto sedere in concilio con gli altri vescovi, mentre gli orienta­
li, che non avevano approvato quelle assoluzioni, s’opponevano. In
tale frangente improvvisamente gli orientali abbandonarono Serdica
e, raggiunta Filippopoli, città orientale lì vicina, stilarono un lungo
documento in cui rifacevano, dal loro punto di vista, tutta la storia
dei contrasti e condannavano i capiparte occidentali (Ossio di Cor­
dova, Protogene di Serdica, Giulio di Roma, ecc.). Dal canto loro gli
occidentali continuarono da soli i lavori e formularono un documen­
to parallelo in cui esponevano il loro punto di vista e condannavano
i capiparte orientali (Stefano di Antiochia, Acacio di Cesarea, Va­
lente, Ursacio, ecc.). Si giunse così alla rottura fra cristianità orien­
tale e occidentale.
I documenti pubblicati dalle due parti rilevano in modo netto il
contrasto: gli occidentali considerano gli orientali tutti veri e propri
ariani e non tengono conto della complessità della situazione dottri­
nale, ben più articolata al di là del contrasto fra ariani e niceni. Gli
orientali rifiutano l’accusa di ariani e preferiscono non scendere in
dettagli sul piano dottrinale, limitandosi a rammentare i motivi d’or­
PROFESSIONE DI FEDE DEG Ù OCCIDENTALI A SERBICA 133

dine disciplinare, che avevano portato alla condanna di Atanasio, e


il monarchianismo radicale di Marcello. I due opposti punti di vista
dottrinali sono compendiati in due professioni di fede che corredano
i documenti. Quella orientale ricalca, abbreviandola, la formula an­
tiochena del 341, che già conosciamo. Riportiamo invece quella de­
gli occidentali, unico testo che ci ragguagli sulla teologia trinitaria in
occidente nella prima metà del IV secolo.
La teologia romana, a seguito delle controversie della prima metà
del III secolo, aveva adottato con papa Callisto una linea di pensiero
moderatamente monarchiana, che nel 257 Dionigi di Roma aveva
ribadito in polemica con Dionigi di Alessandria, condannando la
dottrina delle tre ipostasi come forma di triteismo. La professione di
Serdica conferma questo atteggiamento: se infatti tace deìl’homo-
ousios, un termine che evidentemente risultava poco soddisfacente
anche ai sostenitori della fede nicena, condanna decisamente la dot­
trina delle tre ipostasi e ribadisce una sola ipostasi e ousia della Tri­
nità, senza preoccuparsi di articolare con apposito linguaggio la di­
stinzione di Padre, Figlio e Spirito santo all’interno di tale ipostasi:
è assente il termine prosopon, corrispondente greco del latino perso­
na, che Tertulliano aveva introdotto appunto in questa accezione
trinitaria. E ben ribadita la coeternità del Figlio col Padre. Al di là
di varie ingenuità di trattazione, che ben rilevano il basso livello
teologico degli occidentali e per le quali si rinvia alle note di com­
mento, il confronto fra questo testo e quello antiocheno del 341, cui
esso intese contrapporsi, evidenzia con la più esplicita chiarezza il
contrasto anche dottrinale che ormai separava i cristiani delle due
parti dell’impero: infatti se la dottrina orientale delle tre ipostasi
appariva agli occidentali triteista, agli orientali l’affermazione di una
sola ipostasi della Trinità da circa un secolo suonava sabelliana e
poi anche marcelliana, cioè monarchiana radicale.
Per il testo della professione di fede serdicense seguiamo Hahn,
Bibliotek der Sytnbole..., pp. 188-90.
Ή μεΐς δέ ταυτην παρειλήφαμεν καί δεδιδάγμεθα και ταύτην
εχομεν τήν καθολικήν καί άποστολικήν παράδοσιν καί πίστιν
καί όμολογίαν, μίαν είναι "ύποστασιν, ήν αύτοί οΐ αιρετικοί
ούσίαν προσαγορεύουσι, τοΰ πατρός καί τοΰ υΐοΰ καί τοΰ άγίου
πνεύματος, καί εί ζητοΐεν τίς τοΰ υΐοΰ ή ύπόστασίς έστιν,
όμολογοΰμεν ώς αυτη ήν ή μόνη τοΰ πατρός όμολογουμένη,
μηδέ ποτε πατέρα χωρίς υΐοΰ μηδέ υιόν χωρίς πατρός γεγε-
νησθαι μηδέ είναι δύνασθαι, δ έστι λόγος πνεΰμα ούκ έχων.
άτοπώτατον γάρ έστι λέγειν ποτέ πατέρα γεγενήσθαι χωρίς
υΐοΰ, μήτε όνομάζεσθαι μήτε είναι δύνασθαι έστι αύτοΰ μαρ­
τυρία τοΰ υΐοΰ λέγουσα- «έγ ώ έν τώ πατρί καί ό πατήρ έν
έμ ο ί» καί· «έ γ ώ καί ό πατήρ 2ν έσμεν» (Εν. Ιο. 14, 10; 10,
30). ούδείς ήμών άρνεΐται τόν γεγεννημένον, άλλά γεγεννη-
μένον προ πάντων, απερ άόρατα καί όρατά προσαγορεύεται,
ποιητήν καί τεχνίτην καί άρχαγγέλων καί άγγέλων καί κό­
σμου καί τοΰ άνθρωπίνου γένους· δτι φησίν « ή πάντων τεχ ­
νίτης έδίδαξέ με σοφία», καί· «πάντα δ ι’ αύτοΰ έγένετο»
(Sap. 7, 21; Εν. Ιο. 1 , 3). ού πάντοτε γάρ είναι ήδύνατο, εί
άρχήν ελαβεν, δτι ό πάντοτε ών άρχήν ούκ εχει λόγος, θεός
δέ ούδέποτε ύπομένει τέλος, ού λέγομεν τόν πατέρα υιόν είναι
ούδέ πάλιν τόν υιόν πατέρα είναι, άλλ’ ό πατήρ πατήρ έστι,
καί ό υιός πατρός υιός έστιν.
Ό μολογοΰμεν δύναμιν είναι τοΰ πατρός τόν υιόν. όμολο­
γοΰμεν τόν λόγον θεοΰ πατρός είναι υιόν παρ’ δν έτερος ούκ
Noi abbiamo ricevuto, abbiamo appreso e manteniamo questa
tradizione e professione di fede cattolica e apostolica, che una
sola è l’ipostasi (che gli eretici definiscono sostanza1) del Padre,
del Figlio e dello Spirito santo. E se essi chiedessero quale sia
l’ipostasi del Figlio, noi dichiareremmo che essa è quella che ri­
conosciamo come la sola ipostasi del Padre, e che il Padre non è
mai stato né può essere tale senza Figlio, né il Figlio senza Pa­
dre, che sarebbe Logos privo di spirito2. Infatti è del tutto
assurdo affermare che il Padre sia mai esistito senza Figlio, e il
Figlio attesta che quello non può essere definito ed esser tale,
dicendo: «Io sono nel Padre e il Padre è in m e» e «Io e il Padre
siamo una cosa so la» (Ev. Io. 14, 1 0 ; 10, 30)3. Nessuno di noi
nega che il Figlio è stato generato, ma generato prima di tutte le
cose, che definiamo visibili e invisibili, creatore e artefice degli
arcangeli, degli angeli, del mondo e del genere umano, com’è
detto: «M i ha istruito la Sapienza, artefice di tutto » (Sap. 7, 21)

e «T u tto è stato fatto per mezzo di lu i» (Ev. Io. 1, 3). Non


avrebbe potuto esistere sempre, se avesse avuto inizio, perché il
Logos che esiste sempre è senza inizio4. Dio poi non è soggetto a
fine. Non diciamo che il Padre è il Figlio o inversamente che il
Figlio è il Padre, ma il Padre è Padre e il Figlio è Figlio del
Padre3.
Professiamo che il Figlio è potenza del Padre. Professiamo
che Logos di D io Padre è il Figlio, oltre il quale non ce n’è altro,
136 PROFESSIONE DI FEDE DEG Ù OCCIDENTALI A SERDICA

έ'στιν, καί του λόγον άληθή θεόν καί σοφίαν καί δύναμιν αλη­
θή δέ υιόν παραδιδόαμεν, ά λλ’ ούχ ώσπερ οί λοιποί υιοί
προσαγορεύονται τόν υιόν λέγομεν. δτι έκεΐνοι ή διά τοΰτο
θεοί εΐεν, τοΰ άναγεννασθαι χάριν, ή διά τό καταξιωθήναι υίοί
προσαγορεύονται, ού διά τήν μίαν ύπόστασιν, ήτις έστί τοΰ
πατρός καί τοΰ υίοΰ. όμολογοΰμεν μονογενή καί πρωτότοκον,
άλλά μονογενή τόν λόγον, δς πάντοτε ήν καί εστιν έν τώ
πατρί, τό' πρωτότοκος δε τώ άνθρώπω. διαφέρει δέ τή καινή
κτίσει, δτι καί πρωτότοκος έκ τών νεκρών (Ep. Col. 1 , 18).
όμολογοΰμεν ενα είναι θεόν. όμολογοΰμεν μίαν πατρός καί υίοΰ
θεότητα, ούδέ τις άρνεϊταί ποτε τόν πατέρα τοΰ υίοΰ μείζονα
(Ευ. Ιο. 14, 28), ού δ ι’ άλλην ύπόστασιν, ού δ ι’ άλλην διαφο­
ράν, ά λλ’ δτι αύτό τό όνομα τοΰ πατρός μεϊζόν έστι τοΰ
υίοΰ. αυτη δέ αύτών ή βλάσφημος καί διεφθαρμένη ερμηνεία,
τούτου ένεκα είρηκέναι αύτόν φιλονεικοΰσιν «έγ ώ καί ό πα­
τήρ εν έσμεν» (Ευ. Ιο. 10, 30) διά την συμφωνίαν καί τήν
όμόνοιαν. κατέγνωμεν δέ πάντες οί καθολικοί τής μωράς καί
οίκτρας αύτών διανοίας. καί ώσπερ γάρ οι άνθρωποι θνητοί,
έπειδή διαφέρεσθαι ήρξαντο, προσκεκρουκότες διχονοοΰσι καί
είς διαλλαγήν έπάνεισιν, ούτως διάστασις καί διχόνοια μετα­
ξύ πατρός θεοΰ παντοκράτορος καί τοΰ υίοΰ δύναται είναι λέ-
γουσιν, δπερ άτοπώτατον καί ύπονοήσαι καί ύπολαβεΐν. ήμεΐς
δέ καί πιστεύομεν καί διαβεβαιούμεθα καί ουτω νοοΰμεν, δτι ή
ιερά φωνή έλάλησεν «έγ ώ καί ό πατήρ εν έσμεν» (Ευ. Ιο.
10, 30) καί διά τήν τής ύποστάσεως ένότητα, ήτις έστί μία τοΰ
πατρός καί μία τοΰ υίοΰ.
Κ α ί τοΰτο δέ πιστεύομεν· πάντοτε, άνάρχως καί άτελευ-
τήτως τοΰτον μετά τοΰ πατρός βασιλεύειν και μή έχειν μήτε
χρόνον διορίζοντα μήτε έκλείπειν αύτοΰ τήν βασιλείαν, δτι δ
πάντοτέ έστιν, ουδέποτε τοΰ είναι ήρξατο ούδέ έκλείπειν
δύναται. πιστεύομεν δέ καί περιλαμβάνομεν τόν παράκλητον,
τό άγιον πνεΰμα, δπερ ήμΐν αύτός ό κύριος καί έπηγγείλατο
καί επεμψεν. καί τοΰτο πιστεύομεν πεμφθέν. καί τοΰτο ού πέ-
πονθεν, ά λλ’ ό άνθρωπος, δν ένεδύσατο, δν άνέλαβεν έκ
PROFESSIONE DI FEDE DEGLI OCCIDENTALI A SERBICA 137

e il Logos è vero dio, sapienza e potenza. Affermiamo per tradi­


zione che è Figlio vero6, e lo definiamo figlio non come vengono
definiti gli altri figli. Poiché questi possono essere dei in grazia
della rigenerazione e possono essere definiti figli per esserne stati
ritenuti degni, non in forza dell’unica ipostasi, che è del Padre e
del Figlio. Professiamo che questo è unigenito e primogenito7,
ma primogenito è il Logos che da sempre era ed è nel Padre,
invece è primogenito a causa dell’uomo. Si distingue per la nuo­
va creazione, perché è anche primogenito dai morti (Ep. Col. 1 ,
18). Professiamo che uno solo è Dio. Professiamo una sola divi­
nità del Padre e del Figlio. Nessuno mai negherà che il Padre è
maggiore del Figlio (Ev. lo. 14, 28)8, non per altra ipostasi né
per altra differenza, ma perché proprio il nome di padre è mag­
giore di quello di figlio. Invece con interpretazione blasfema e
rovinosa essi pretendono che il Figlio abbia detto: «Io e il Padre
siamo una cosa so la» (Ev. Io. 10, 30) per l’armonia e la concor­
d ia9. Ma noi tutti cattolici condanniamo questo concetto folle
e deplorabile. Come infatti gli uomini mortali, in quanto dall’o­
rigine sono differenti l’uno dall’altro, quando sono in contrasto
fra loro manifestano opinioni contrastanti e arrivano fino alla
separazione, così costoro affermano che ci può essere differenza
di giudizio e separazione fra Dio Padre onnipotente e il Figlio, il
che è del tutto assurdo supporre e immaginare. Noi invece cre­
diamo, teniamo per certo e pensiamo che la sacra parola ha det­
to: « I o e il Padre siamo una cosa sola» per l’unità dell’ipostasi,
che è una sola del Padre e del Figlio.
Crediamo anche questo: sempre, senza inizio e senza fine10,
il Figlio regna insieme col Padre, né ci sarà un tempo che lo
dividerà da lui né il suo regno verrà a mancare. Infatti ciò che
esiste sempre non ha cominciato ad esistere né può aver fine.
Crediamo e comprendiamo insieme il Paracleto, lo Spirito santo,
che proprio il Signore ci ha annunciato e inviato. E crediamo che
è stato inviato11. M a non ha patito lui, bensì l’uomo che ha
rivestito, che ha assunto da Maria Vergine, l’uomo capace di
13 8 PROFESSIONE DI FEDE DEGLI OCCIDENTALI A SERBICA

Μαρίας της παρθένου, τόν άνθρωπον τόν παθειν δυνάμενον. οτι


άνθρωπος θνητός, θεός δέ άθάνατος. πιστεύομεν δτι τή τρίτη
ήμέριρ άνέστη ούχ ό θεός έν τω άνθρώπω, ά λλ’ ό άνθρω­
πος έν τώ θεώ άνέστη, δντινα καί προσήνεγκε τώ πατρί έαυ­
τοΰ δώρον, δν έλευθέρωσεν έκ τής αμαρτίας καί τής φθοράς,
πιστεύομεν δέ δτι εύθέτω καιρώ καί ώρισμένω πάντας καί
περί πάντων αύτός κρίνει.
Τοσαύτη δέ αύτών έστιν ή άνοια, καί ουτω παχεΐ σκότω ή
διάνοια αύτών έκτετύφλωται, ϊνα μή δυνηθώσιν ίδεΐν τό φώς
της άληθείας. ού συνιασιν ώ λόγω ειρηται· « ϊνα καί αύτοί
έν ήμΐν εν ώ σιν» (Εν. Ιο. 17, 21). σαφές έστι διά τ ί !ν· οτι οι
άπόστολοι πνεΰμα άγιον τοΰ θεοΰ ελαβον, ά λλ’ ομως αύτοί
ούκ ήσαν πνεΰμα, ούδέ τις αύτών ή λόγος ή σοφία ή δυναμις
ήν, ούδέ μονογενής ήν. «ώσπερ έγώ, φησιν, καί συ εν έ-
σμεν, οΰτως καί αύτοί έν ήμΐν εν ώσιν» (Εν. Ιο. 17, 21).
άλλά καί άκριβώς διέστειλε ή θεία φωνή- «έ ν ήμΐν εν ώ σ ι» ,
φησίν. ούκ εΐπ εν «ώσπερ ήμεΐς εν έσμεν, έγώ καί ό
π α τήρ», ά λλ’ ΐνα οί μαθηται έν αύτοΐς σύζυγοι καί ήνωμένοι
εν ώσι τη πίστει, τή ομολογία καί έν τή χάριτι καί εύσεβεία
τη τοΰ θεοΰ πατρός καί τη τοΰ κυρίου καί σωτηρος ήμών συγ­
χωρήσει καί άγάπη εν είναι δυνηθώσιν.
PROFESSIONE DI FEDE D E G Ù OCCIDENTALI A SERDICA 139
patire. Infatti l ’uomo è mortale, mentre Dio è immortale. Cre­
diamo che il terzo giorno è risorto non Dio nell’uomo ma l’uomo
in Dio; e quest’uomo egli ha portato a suo Padre come dono
dopo averlo liberato dal peccato e dalla corruzione. Crediamo
che a tempo debito e stabilito egli giudicherà tutti e su tutto.
Tale è la loro stoltezza e da sì fitta tenebra è accecata la loro
mente che essi non possono scorgere la luce di verità. Non com­
prendono in che senso sia detto: «Perché anch’essi in noi siano
una cosa sola» (Ev. Io. 17, 2 1 ) 12. È chiaro infatti per qual solo
motivo: perché gli apostoli hanno ricevuto lo Spirito santo di
Dio, e tuttavia essi non erano spirito, né alcuno di loro era o
logos o sapienza o potenza, né era unigenito. «Com e io e te»
dice «siam o una cosa sola, così anch’essi siano in noi una cosa
sola» (Ev. Io. 17, 21). M a la parola divina ha distinto con esat­
tezza dicendo: « In noi siano una cosa sola». Non ha detto: «C o ­
me noi siamo una cosa sola, io e il Padre », ma perché i discepoli,
concordi e uniti fra loro, siano una cosa sola per la professione di
fede, e nella grazia e la pietà di Dio Padre e nel consenso e
l’amore del Signore e Salvatore nostro possano essere una cosa
sola.
3. L a lunga (?) esposizione (345)

Socrate (Historia ecclesiastica II 19) dice che questo testo era chia­
mato εκθεσις μακρόστιχος, cioè «esposizione dalle lunghe righe»,
cioè - si pensa - «lunga». In effetti ha poco in comune con le
precedenti formulazioni di fede orientali, in quanto vuole essere un
chiarimento dettagliato della dottrina professata nel gruppo già eu-
sebiano, che riuniva buona parte dell’episcopato orientale. Fu pre­
sentata nel 345 a Milano all’imperatore Costante nel tentativo di
riprendere il colloquio interrotto a Serdica, mediante un chiarimento
dottrinale. A seguito di esso gli occidentali furono d’accordo nel
condannare Fotino (cfr. il commento al testo, nota 7); ma non si
andò più avanti perché, sembra, gli orientali rifiutarono di condan­
nare la dottrina di Ario.
Il testo presenta in apertura la formula di fede del 342 (cfr. p.
126), corredata dagli anatematismi pubblicati a Filippopoli (cfr. p.
132), e vi fa seguire un’ampia spiegazione articolata in sette punti,
tendente a precisare la posizione degli orientali come lontana sia
dall’arianesimo radicale sia dal monarchianismo, specificato nella
dottrina sia di Sabellio sia di Paolo di Samosata sia di Marcello e di
Fotino. Nel rapporto Padre/Figlio, ch’è di generazione reale, il Fi­
glio da una parte è subordinato al Padre ma dall’altra è definito
Figlio per natura, in tutto simile al Padre e a lui unito. La distinzio­
ne delle persone è ben rilevata, ma usando prosopon invece di iposta­
si, troppo forte per gli occidentali; l’unità è professata sulla base
dell’accordo di volontà e operazione, come ad Antiochia (341), men­
tre l’unicità di Dio è assommata nel Padre, il solo senza principio e
principio di tutto, anche del Figlio. Dello Spirito santo, al solito, si
parla ben poco.
In complesso, un testo che mantiene salda la concezione che in
oriente articolava la Trinità in tre unità sussistenti, ma che cerca di
non calcare la mano sulle differenze fra questa dottrina e il monar-
LA LUNGA (?) ESPOSIZIONE 141

chianismo degli occidentali, attenuando al massimo compatibile la


distinzione delle ipostasi col far ricorso a diversa terminologia e rile­
vando il più possibile l’unione del Figlio col Padre.
Presentiamo questo testo secondo Hahn, Bìbliotek der Symbole
..., pp. 192-6.
1 . Πυττεύομεν είς ενα θεόν πατέρα παντοκράτορα, κτίστην

και ποιητήν τών πάντων, έξ ου πάσα πάτριά έν ούρανώ καί


έπί γης όνομάζεται (Ερ. Eph. 3, 15). καί είς τόν μονογενή
αύτοΰ υιόν, τον κύριον ήμών Ίησοΰν Χριστόν, τόν πρό πάν­
των τών αιώνων έκ τοΰ πατρός γεννηθέντα, θεόν έκ θεοΰ,
φώς έκ φωτός, δ ι’ ου έγένετο τά πάντα, τά έν ούρανοΐς καί
τά έπί της γης, τά όρατά καί τά αόρατα, λόγον δντα καί
σοφίαν καί δύναμιν καί ζωήν καί φώς άληθινόν, τόν έπ’ ε ­
σχάτων τών ήμερών δ ι’ ήμάς ένανθρωπήσαντα καί γεννηθέντα
έκ τής αγίας παρθένου, τόν σταυρωθέντα καί άποθανόντα καί
ταφέντα, καί άναστάντα έκ τών νεκρών τή τρίτη ήμέρςι, καί
άναληφθέντα είς ούρανόν καί καθεσθέντα έκ δεξιών τοΰ πα­
τρός, καί έρχόμενον έπί συντελεία τοΰ αίώνος κρΤναι ζώντας
καί νεκρούς καί άποδοΰναι έκάστω κατά τά εργα αύτοΰ, ού ή
βασιλεία άκατάπαυστος ούσα διαμένει είς τούς άπειρους
αιώνας· καθέζεται γάρ έν δεξιά τοΰ πατρός ού μόνον έν τώ
αίώνι τούτω, άλλά καί έν τώ μέλλοντι. Πιστεύομεν καί εις
τό πνεΰμα τό άγιον, τουτέστι τόν παράκλητον, δπερ έπαγγει-
λάμενος τοΐς άποστόλοις μετά τήν είς ούρανόν άνοδον άπέ-
στειλε διδάξαι αύτους καί ύπομνησαι πάντα, δ ι’ ού καί άγια-
σθήσονται αΐ τών είλικρινώς είς αύτόν πεπιστευκότων ψυχαί.
2 . Τούς δε λέγοντας έξ ούκ δντων τόν υιόν ή έξ έτέρας

ύποστάσεως, καί μή έκ τοΰ θεοΰ, καί δτι ήν χρόνος ποτε ή


αιών, δτε μή ήν, άλλοτρίους οίδεν ή καθολική καί αγία
1. C rediam o 1 in un solo Dio Padre onnipotente, creatore e
artefice di tutte le cose, da cui trae nome ogni paternità in cielo
e in terra (Ep. Eph. 3, 15). E nel suo Figlio unigenito, il signore
nostro Gesù C risto, generato dal Padre prima di tutti i tempi,
Dio da Dio, luce da luce, per mezzo del quale sono state create
tutte le cose, in cielo e in terra, visibili e invisibili; che è logos,
sapienza, potenza, vita, luce vera; che negli ultimi giorni si è
fatto uomo per noi ed è stato generato dalla santa Vergine; che è
stato crocifisso, è morto, è stato sepolto ed è risorto dai morti il
terzo giorno; che è stato assunto in cielo, siede alla destra del
Padre e verrà alla fine dei tempi a giudicare i vivi e i morti ed a
retribuire ciascuno secondo le proprie opere, il cui regno rimarrà
senza fine nei tempi infiniti. Siede infatti alla destra del Padre
non solo in questo tempo ma anche nel futuro. Crediamo anche
nello Spirito santo, cioè nel Paracleto che il Figlio, dopo averlo
annunciato agli apostoli, una volta tornato in cielo ha inviato per
istruirli e rammentar loro ogni cosa, per mezzo del quale sareb­
bero state santificate le anime di quelli che avrebbero creduto in
lui con purezza.
2 . Quelli che affermano che il Figlio è derivato dal nulla o da

altra ipostasi e non da Dio, e che c’è stato un tempo in cui egli
non esisteva, costoro la chiesa santa e cattolica riconosce estranei
14 4 LA LUNGA (?) ESPOSIZIONE

έκκλησία. ομοίως καί τούς λέγοντας τρεις είναι θεούς, η τον


Χριστόν μή είναι θεόν, η πρό τών αιώνων μήτε Χριστόν αυ­
τόν μήτε υιόν είναι θεοΰ, ή τόν αύτόν είναι πατέρα και υιόν ή
άγιον πνεΰμα, ή άγέννητον υιόν, ή δτι ού βουλήσει ούδέ
θελήσει έγέννησε τόν υιόν ό πατήρ, άναθεματίζει ή άγία καί
καθολική έκκλησία.
3. Ουτε γάρ έξ ούκ δντων τόν υιόν λέγειν άσφαλές, έπει
μηδαμοΰ τοΰτο τών θεόπνευστων γραφών φέρεται περί αύτοΰ,
ουτε μήν έξ έτέρας τινός ύποστάσεως παρά τόν πατέρα
προϋποκειμένης, ά λλ’ έκ μόνου τοΰ θεοΰ γνησίως αύτόν γε-
γεννησθαι διοριζόμεθα· εν γάρ τό άγέννητον καί άναρχον τόν
Χρίστου πατέρα ό θείος διδάσκει λόγος, ά λλ’ ούδέ τό ήν ποτε
δτε ούκ ήν έξ άγράφων έπισφαλώς λέγοντας χρονικόν τι
διάστημα προενθυμητέον αύτοΰ, άλλά μόνον τόν άχρόνως
αύτόν γεγεννηκότα θεόν· καί χρόνοι γάρ καί αιώνες γεγόνασι
δ ι’ αύτοΰ. ουτε μήν συνάναρχον καί συναγέννητον τόν υιόν τώ
πατρί είναι νομιστέον· συνανάρχου γάρ καί συναγεννήτου ού-
δείς κυρίως πατήρ ή υιός λεχθήσεται, άλλά τόν μέν πατέρα
μόνον άναρχον δντα καί άγέννητον γεγεννηκέναι άνεφίκτως
καί πάσιν άκαταλήπτως οΐδαμεν, τόν δέ υιόν γεγεννήσθαι πρό
αιώνων καί μηκέτι ομοίως τω πατρί άγέννητον είναι καί αύ­
τόν, ά λλ’ άρχήν εχειν τόν γεννήσαντα πατέρα· «κεφαλή γάρ
Χρίστου ό θεός» (1 Ep. Cor. 1 1 , 3).
4. Οΰτε μήν τρία όμολογοΰντες πράγματα καί τρία πρόσω­
πα τοΰ πατρός καί τοΰ υίοΰ καί τοΰ άγίου πνεύματος κατά τάς
γραφάς τρεΤς διά τοΰτο θεούς ποιοΰμεν, έπειδή τόν αυτοτελή
και άγέννητον, αναρχόν τε καί άόρατον θεόν ενα μόνον οιδα-
μεν, τόν θεόν καί πατέρα τοΰ μονογενοΰς, τόν μόνον μέν έξ
έαυτοΰ τό είναι εχοντα, μόνον δέ τοΐς αλλοις πάσιν άφθόνως
τοΰτο χαριζόμενον. ουτε μήν ενα θεόν μόνον είναι λέγοντες τόν
τοΰ κυρίου ήμών Ίησοΰ Χριστοΰ πατέρα, τον μόνον άγέννη­
τον, διά τοΰτο άρνούμεθα καί τόν Χριστόν θεόν είναι πρό
αιώνων· όποιοι είσιν οί άπό Παύλου τοΰ Σαμοσατέως, υστε-
LA LUNGA (?) ESPOSIZIONE 145

a sé. Similmente anche quelli che affermano che ci sono tre dei o
che Cristo non è Dio, o che prima del tempo egli non è né Cristo
né Figlio di Dio, o che lo stesso è Padre, Figlio e Spirito santo, o
che il Figlio è ingenerato, o che il Padre ha generato il Figlio non
per proprio volere e decisione, tutti costoro la chiesa santa e
cattolica li condanna2.
3. Infatti noi dichiariamo che non è senza pericolo affermare
che il Figlio è derivato dal nulla, perché ciò non è tramandato di
lui in nessun punto delle Scritture ispirate da Dio, o da altra
ipostasi preesistente oltre il Padre; ma egli è stato realmente
generato dal solo D io3. Infatti la parola divina insegna che l’uni­
co ingenerato e senza principio è il Padre di Cristo. E neppure,
affermando con proprio rischio sulla base di ciò che non è scritto
che c’è stato un tempo in cui il Figlio non esisteva4, si deve
pensare un intervallo di tempo anteriore a lui; ma soltanto che
Dio lo ha generato fuori dal tempo. Infatti tempi e secoli sono
stati creati per mezzo di lui. N é si deve credere che il Figlio sia
senza principio e ingenerato insieme col Padre: infatti nessuno
può esser propriamente definito figlio o padre di uno che è, co­
me lui, ingenerato e senza principio. M a sappiamo che il Padre,
il solo che sia senza principio e ingenerato, ha generato in modo
a tutti incomprensibile e inaccessibile, e che il Figlio è stato ge­
nerato prima dei tempi e non è ingenerato anche lui come il
Padre, ma ha come principio il Padre che lo ha generato, infatti:
«D io è capo di C risto» (1 Ep. Cor. 11, 3).
4 . N é affermando secondo le Scritture tre entità e tre perso­
ne 5 del Padre, Figlio e Spirito santo, con questo ne facciamo tre
dei, perché sappiamo che uno solo è il Dio perfetto e ingenerato,
invisibile e senza principio6, il Dio e Padre dell’Unigenito, il
solo che abbia l’essere da sé, il solo che lo elargisca a tutti gli
altri in abbondanza. M a quando affermiamo che il solo Dio è il
Padre del signore nostro Gesù Cristo e che egli solo è ingenera­
to, non neghiamo con questo che anche Cristo sia Dio prima dei
tempi. Di tal fatta sono invece i discepoli di Paolo di Samosata, i
14 6 LA LUNGA (?) ESPOSIZIONE

pov αύτόν μετά τήν ένανθρώπησιν έκ προκοπής τεθεοποι-


ήσθαι λέγοντες, τώ τήν φύσιν ψιλόν άνθρωπον γεγονέναι. οϊδα-
μεν γάρ και αύτόν, εί καί ύποτέτακται τώ πατρί καί τώ θεώ,
ά λλ’ δμως πρό αιώνων γεννηθέντα έκ τοΰ θεοΰ θεόν κατά
φύσιν τέλειον είναι καί άληθη, καί μή έξ άνθρώπων μετά
ταΰτα θεόν, ά λλ’ έκ θεοΰ ένανθρωπήσαι δ ι’ ήμάς καί μηδέ­
ποτε άπολωλεκότα τό είναι.
5. Βδελυσσόμεθα δε προς τούτοις καί άναθεματίζομεν καί
τούς λόγον μέν μόνον αύτόν ψιλόν τοΰ θεοΰ καί άνύπαρκτον
έπιπλάστως καλοΰντας έν έτέρω τό είναι εχοντα, νΰν μέν ώς
τόν προφορικόν λεγόμενον ύπό τινων, νΰν δέ ώς τόν ένδιάθε-
τον, Χριστόν δέ αύτόν καί υιόν τοΰ θεοΰ καί μεσίτην καί εικό­
να τοΰ θεοΰ μή είναι πρό αιώνων θέλοντας, ά λλ’ έκ τότε
Χριστόν αύτόν γεγονέναι καί υιόν τοΰ θεοΰ, έξ ού τήν ήμετέ-
ραν έκ τής παρθένου σάρκα άνείληφε πρό τετρακοσίων ούχ
δλων έτών· έκ τότε γάρ τόν Χριστόν άρχήν βασιλείας έσχη-
κέναι έθέλουσι, καί τέλος Ιξειν αύτήν μετά τήν συντέλειαν καί
τήν κρίσιν.
6 . Τοιοΰτοι δέ είσιν οί άπό Μαρκέλλου καί Φωτεινού τών

Άγκυρογαλατών, οι τήν προαιώνιον ίίπαρξιν του Χρίστου καί


τήν θεότητα καί τήν άτελεύτητον αύτοΰ βασιλείαν ομοίως
Ίουδαίοις άθετοΰσιν, έπί προφάσει τοΰ συνίστασθαι δοκεΐν τή
μοναρχία· ίσμεν γάρ αύτόν ήμεΐς ούχ απλώς λόγον προφορι­
κόν ή ένδιάθετον τοΰ θεοΰ, άλλά ζώντα θεόν λόγον καθ’ έαυ-
τόν ύπάρχοντα, και υιόν θεοΰ καί Χριστόν, καί ού προγνω-
στικώς συνάντα καί συνδιατρίβοντα πρό αιώνων τώ έαυτοΰ πα­
τρί καί πρός πάσαν διακονησάμενον αύτώ τήν δημιουργίαν είτε
τών δρατών είτε τών άοράτων. ούτος γάρ έστι πρός δν είπεν ό
πατήρ δτι «ποιήσωμεν άνθρωπον κατ’ εικόνα ήμετέραν καί
καθ’ όμοίωσιν» (Gen. 1, 26), ό καί τοΐς πατριάρχαις αύτοπρο-
σώπως όφθείς δεδωκώς τόν νόμον καί λαλήσας διά τών
προφητών καί τό τελευταΐον ένανθρωπήσας καί τόν έαυτοΰ πα­
τέρα πάσιν άνθρώποις φανερώσας καί βασιλεύων είς τούς ά-
τελευτήτους αιώνας, ούδέν γάρ πρόσφατον ό Χριστός προσεί-
LA LUNGA (?) ESPOSIZIONE 147

quali affermano che solo in un secondo momento, dopo essersi


fatto uomo, egli è stato divinizzato in forza del suo progresso
morale, perché per natura egli è stato semplice uomo. Sappiamo
infatti che anch’egli, pur se è sottoposto a Dio Padre, tuttavia,
in quanto generato da Dio prima dei tempi, è per natura Dio
vero e perfetto, e non da uomo che era successivamente è diven­
tato Dio, ma da Dio si è fatto uomo per noi, senza però mai
perdere il suo esser Dio.
5. Oltre a questi abbiamo in orrore e condanniamo 7 quelli
che falsamente lo definiscono soltanto come parola di Dio nuda e
insussistente, che ha l’essere in un altro (e alcuni dicono che ora
è parola profferita ora parola immanente). Essi sostengono che
Cristo non è Figlio di Dio e mediatore e immagine di Dio da
prima dei tempi, ma è diventato Cristo e Figlio di Dio dal mo­
mento in cui ha assunto la nostra carne dalla Vergine, neppure
400 anni or sono. Sostengono infatti che Cristo ha cominciato a
regnare soltanto da quel momento e che il suo regno avrà termi­
ne dopo la fine del mondo e il giudizio.
6 . Sono costoro i discepoli di Marcello e di Fotino, i galati,

che alla pari dei giudei negano l’esistenza pretemporale di Cri­


sto, la sua divinità e il suo regno senza fine, col pretesto di af­
fermare la monarchia divina. Sappiamo infatti che egli non è sol­
tanto parola profferita o immanente 8 di Dio, bensì Dio viven­
te, Logos sussistente di per sé, Figlio di Dio e Cristo, che non
coesiste prima dei tempi con suo Padre soltanto in prescienza ma
gli è stato ministro in tutta la creazione degli esseri visibili e
invisibili. È a lui che si è rivolto il Padre 9 dicendo: «Facciamo
l’uomo a nostra immagine e somiglianza» (Gen. 1, 26), che è
apparso in propria persona ai patriarchi, ha dato la Legge, ha
parlato per mezzo dei profeti, e che da ultimo si è fatto uomo,
ha rivelato suo Padre a tutti gli uomini e regna per i tempi infi­
niti. Infatti Cristo non ha ricevuto alcuna dignità recente, ma
148 LA LUNGA (?) ESPOSIZIONE

ληφεν άξίωμα, ά λλ’ άνωθεν τέλειον αυτόν καί τώ πατρί κατά


πάντα ομοιον είναι πεπκιτεύκαμεν.
7. Καί τους λέγοντας δέ τόν αύτόν είναι πατέρα καί υιόν
καί άγιον πνεΰμα, καθ’ ένός καί τοΰ αύτοΰ πράγματός τε καί
προσώπου τά τρία όνόματα ασεβώς έκλαμβάνοντας, εικό­
τως άποκηρύσσομεν τής έκκλησίας, δτι τόν άχώρητον καί
άπαθή πατέρα χωρητόν αμα καί παθητόν διά της ένανθρωπή·
σεως ύποτίθενται· τοιοΰτοι γάρ είσιν οί Πατροπασσιανοί μεν
παρά 'Ρω μαίοις, Σαβελλιανοί δέ καλούμενοι παρ’ ήμΐν. οίδα-
μεν γάρ ήμεΐς τόν μέν άποστείλαντα πατέρα έν τώ οίκείω
της άναλλοιώτου θεότητος ήθει μεμενηκέναι, τόν δέ άποστα-
λέντα Χριστόν τήν τής ένανθρωπήσεως οικονομίαν πεπληρω-
κέναι.
8. Ό μοίω ς δέ καί τους ού βουλήσει ούδέ θελήσει
γεγεννήσθαι τόν υιόν είρηκότας άνευλαβώς, άνάγκην δέ δη­
λονότι άβούλητον καί άπροαίρετον περιτεθεικότας τώ θεώ,
ίνα ακων γέννηση τόν υιόν, δυσσεβεστάτους καί τής έκκλησίας
ξένους έπιγινώσκομεν, δτι τε παρά τάς κοινάς περί θεοΰ έν­
νοιας καί δή καί παρά τό βούλημα τής θεοπνεύστου γραφής
τοιαΰτα τετολμήκασι περί αύτοΰ διορίσασθαι· αύτοκράτορα
γάρ ήμεΐς τόν θεόν καί κύριον αύτόν έαυτοΰ είδότες έκουσίως
αύτόν καί έθελοντήν τόν υιόν γεγεννηκέναι εύσεβώς ύπειλή-
φαμεν. πιστεύοντες δέ έμφόβως καί τώ περί έαυτοΰ λέγοντι·
«κύριος έκτισέ με αρχήν οδών αύτοΰ εις εργα αύτοΰ» (Prov.
8 , 2 2 ),
ούχ όμοίως αύτόν τοΐς δ ι’ αύτοΰ γενομένοις κτίσμα-
σιν ή ποιήμασι γεγεννήσθαι νοοΰμεν· ασεβές γάρ καί τής
έκκλησιαστικής πίστεως άλλότριον τό τόν κτίστην τοΐς δ ι’
αύτοΰ κεκτισμένοις δημιουργήμασι παραβάλλειν καί τόν αύ­
τόν τής γενέσεως τοΐς £λλοις τρόπον εχειν καί αύτόν νομίζειν.
μόνον γάρ καί μόνως τόν μονογενή υιόν γεγεννήσθαι γνησίως
τε καί άληθώς διδάσκουσιν ήμάς αί θεΐαι γραφαί.
9. Ά λ λ ’ ούδέ τόν υιόν καθ’ εαυτόν είναι, ζήν τε καί ύπάρ-
χειν όμοίως τώ πατρί λέγοντες, διά τοΰτο χωρίζομεν αύτόν
LA LUNGA (?) ESPOSIZIONE 149

noi crediamo che dall’inizio egli è perfetto e simile in tutto al


Padre.
7. Quelli poi che afferm ano 10 che il medesimo è Padre, F i­
glio e Spirito santo, in quanto intendono empiamente i tre nomi
in riferimento ad una sola e medesima entità e persona, giusta­
mente li scomunichiamo dalla chiesa, perché suppongono che il
Padre illimitato e impassibile si sia delimitato e abbia patito a
causa dell’incarnazione. Sono costoro i patripassiani presso i lati­
ni e i cosiddetti sabelliani presso di noi. Noi infatti sappiamo che
il Padre, che ha inviato, è rimasto nella propria condizione di
divinità inalterabile, e che Cristo, che è stato inviato, ha realiz­
zato l’economia dell’incarnazione.
8 . Del pari, quelli che affermano irriverentemente che il F i­

glio è stato generato non per volere e decisione del Padre 11 e che
perciò addossano a Dio una necessità che esclude la capacità di
volere e scegliere, quasi che avesse generato il Figlio contro il
suo volere, costoro li riconosciamo empi in massimo grado ed
estranei alla chiesa, in quanto contro la comune nozione che si
ha di Dio e l’intenzione della Sacra Scrittura hanno osato fare
tale affermazione su di lui. Sapendo infatti che Dio è padrone
assoluto e signore di sé stesso, religiosamente supponiamo che
egli abbia generato il Figlio per propria volontà ed elezione. Cre­
dendo poi con reverenza al Figlio che dice di sé stesso: « Il Si­
gnore mi ha creato principio delle sue vie per le sue opere»
(Prov. 8 , 2 2 ), non pensiamo che egli sia stato generato in modo
simile alle creature che sono state fatte per mezzo di lui. È infat­
ti empio ed estraneo alla fede della chiesa mettere il creatore alla
pari degli esseri che sono stati creati per mezzo di lui e ritenere
che il suo modo d i nascere sia stato lo stesso degli altri esseri.
Infatti le Scritture divine ci insegnano che soltanto e in modo
unico il Figlio unigenito è stato generato autenticamente e real­
mente.
9. Se d’altra parte affermiamo che neppure il Figlio sussiste,
vive ed ha l’essere di per sé alla pari del Padre, non per questo lo
150 LA LUNGA (?) ESPOSIZIONE

τοΰ πατρός, τόπους και διαστήματα τινα μεταξύ τής συναφείας


αυτών σωματικώς έπινοουντες· πεπιστεύκαμεν γάρ άμεσι-
τεύτως αύτους καί άδιαστάτως άλλήλοις έπισυνήφθαι καί
άχωρίστους ύπάρχειν έαυτών, δλον μέν τοΰ πατρός ένστερνι-
σμένου τον υιόν, δλου δέ τοΰ υίοΰ έξτρτημένου καί προσπεφυ-
κότος τώ πατρί καί μόνου τοΐς πατρώοις κόλποις άναπαυομέ-
νου διηνεκώς (Εν. Ιο. 1, 18). Πιστεύοντες ούν είς τήν παντέ-
λειον τριάδα τήν άγιωτάτην, τουτέστιν είς τόν πατέρα καί είς
τόν υιόν καί είς τό πνεΰμα τό άγιον, καί θεάν μέν τόν πατέρα
λέγοντες, θεόν δέ καί τόν υιόν, ού δύο τούτους θεούς, ά λλ’ εν
όμολογοΰμεν της θεότητος άξίωμα καί μίαν ακριβή της βασι­
λείας τήν συμφωνίαν, πανταρχοΰντος μέν καθόλου πάντων καί
αύτοΰ τοΰ υίοΰ μόνου τοΰ πατρός, τοΰ δέ υίοΰ ύποτεταγμένου
τώ πατρί, έκτος δέ αύτοΰ πάντων μετ’ αύτόν βασιλεύοντος
τών δ ι’ αύτοΰ γενομένων καί τήν τοΰ άγίου πνεύματος χάριν
άφθόνως τοΐς άγίοις δωρουμένου πατρικώ βουλήματι. οΰτω
γάρ τόν περί της είς Χριστόν μοναρχίας συνίστασθαι λόγον
παρέδοσαν ήμΐν οί ιεροί λόγοι.
Ταΰτα ήναγκάσθημεν μετά τήν έν έπιτομή προεκτεθεΐ-
σαν πίστιν πλατύτερον έπεξεργάσασθαι, ού κατά περιττήν φι­
λοτιμίαν, ά λλ’ ινα πάσαν τήν κατά τής ήμετέρας ύπολήψεως
άλλοτρίαν άνακαθάρωμεν υποψίαν παρά τοΐς τά καθ’ ήμάς
άγνοοΰσι καί γνώσιν οί κατά τήν δύσιν πάντες όμοΰ μέν της
συκοφαντίας τών έτεροδόξων τήν άναίδειαν, όμοϋ δέ τών ά-
νατολικών τό έκκλησιαστικόν έν κυρίω φρόνημα, μαρτυρού-
μενον άβιάστως ύπό τών θεόπνευστων γραφών παρά τοΐς
άδιαστρόφοις.
LA LUNGA (?) ESPOSIZIONE

dividiamo dal Padre 12 immaginando in modo corporeo un luo­


go o un intervallo che si frapponga nella loro congiunzione. Cre­
diamo infatti che essi sono uniti fra loro senza intervallo o alcun­
ché di intermedio e non possono essere separati l’uno dall’altro,
perché il Padre abbraccia tutto il Figlio e tutto il Figlio è connes­
so e unito col Padre ed egli solo riposa ininterrottamente nel
seno paterno (Εν. Το. 1 , 18). Credendo dunque nella Trinità per­
fettissima e santissima, cioè nel Padre, Figlio e Spirito santo, e
dicendo Dio il Padre e Dio il Figlio non professiamo due d e i 13
ma una sola dignità della divinità e una sola perfetta armonia del
regno. Infatti soltanto il Padre comanda in modo completo su
tutti e sullo stesso Figlio, mentre il Figlio, sottomesso al Padre,
eccetto lui e dopo di lui regna su tutti gli esseri creati per suo
mezzo e per volere del Padre elargisce abbondantemente ai santi
la grazia dello Spirito santo. Infatti le Sacre Scritture ci hanno
tramandato che così si presenta la dottrina della monarchia in
riferimento a Cristo.
Dopo l’iniziale e sintetica professione di fede siamo stati co­
stretti a trattare questi argomenti in forma più ampia non per
vana ostentazione ma per liberarci da ogni sospetto incompatibi­
le col nostro pensiero, che viene d a parte di chi non conosce le
cose nostre14, e al fine che tutti gli occidentali possano venire a
conoscenza sia delle spudorate accuse degli eretici sia di ciò che
pensano nel Signore gli orientali in conformità con la vera chie­
sa, confortati, presso coloro che non si sono fatti sviare, dalla
testimonianza senza forzature delle Scritture ispirate da Dio.
4. Seconda formula di Sirmio (357)

Fra il 345 e il 355 alla tregua sul piano politico (Atanasio rientra ad
Alessandria, auspice Costanzo, nel 346) corrisponde un periodo di
stasi sul piano teologico, interrotto soltanto dalla condanna inflitta a
Fotino da un concilio di vescovi orientali riuniti a Sirmio nel 351
(prima formula di Sirmio). Ma intorno al 355, mentre Costanzo ri­
prende ad operare ai danni di Atanasio e piega gli occidentali ai suoi
voleri, riprende anche la discussione sul piano dottrinale. Da una
parte Atanasio, dopo un silenzio trentennale, ripropone Ybomo-
oustos niceno come stendardo dell’ortodossia antiariana; dall’altra
Aezio e, poco dopo, Eunomio riesumano e sviluppano organicamen­
te le proposizioni dell’arianesimo radicale, che da decenni erano sta­
te abbandonate e condannate dagli aderenti al gruppo che dicemmo
eusebiano. All’interno di questo schieramento, esorcizzato con la
condanna di Fotino il pericolo del monarchianismo, parecchi sento­
no ora l’esigenza di prendere le distanze anche da Ario in modo più
deciso di quanto fino allora non si fosse fatto.
Di fronte a questo fermento d ’idee Ursacio e Valente, gli espo­
nenti del fronte eusebiano più aperti alle tesi dell’arianesimo vero e
proprio, godendo allora dell’appoggio di Costanzo, riuniscono pochi
esponenti dell’episcopato occidentale di fede filoariana e pubblicano
a Sirmio (357) una lunga professione di fede, che Costanzo cerca di
imporre in tutto l’occidente. Non la si può definire ariana in senso
stretto, perché vi mancano le proposizioni radicali di quella dottrina
ma, nel complesso delle formule pubblicate dal 341 in poi, è di gran
lunga la più aperta verso l’arianesimo. Essa infatti sottolinea l’unici­
tà di Dio Padre subordinando a lui il Figlio con più insistenza di
quanto avvenisse nelle altre professioni, perché rileva molto più la
divisione del Figlio dal Padre che non l’unione. Inoltre, il testo per
la prima volta proscrive ufficialmente Yhomoousios niceno (insieme
con Vhomoiousios di cui diremo fra breve) anche se non per motivi
SECONDA FORMULA DI SIRMIO 153

specifici di carattere dottrinale. Invece non prende più posizione


contro le proposizioni dell’arianesimo radicale. In questo modo esso
poteva costituire un comodo paravento per coprire e avallare un
arianesimo anche molto spinto. Per tale motivo la formula fu sentita
come una vera e propria professione di fede ariana non solo in occi­
dente ma anche in oriente.
Diamo questo testo secondo Hahn, Bìbliotek der Symbole..., pp.
199-201.
Quum nonnulla putaretur esse de fide disceptatio, dili­
genter omnia apud Sirmium tractata sunt et discussa, prae­
sentibus fratribus et coèpiscopis nostris Valente, Ursacio et
G er minio.
Unum constat Deum esse omnipotentem et Patrem, sicut
per universum orbem creditur, et unicum Filium eius Iesum
Christum, Dominum, salvatorem nostrum, ex ipso ante sae­
cula genitum, duos autem deos nec posse nec debere praedi­
cari, quia ipse Dominus dixit: «Ib o ad Patrem meum et ad
Patrem vestrum, ad Deum meum et ad Deum vestrum» (Ev.
Io. 20, 17). Ideo omnium Deus unus est, sicut apostolus do­
cuit: «A n Iudaeorum Deus tantum? nonne et gentium? Immo
et gentium. Quoniam quidem unus Deus, qui iustificat cir­
cumcisionem ex fide et praeputium per fidem » (Ep. Rom. 3,
29-30). Sed et caetera convenerunt nec ullam habere potue­
runt discrepantiam.
Quod vero quosdam aut multos movebat de substantia,
quae Graece usta appellatur, id est, ut expressius intellegatur,
homousion, aut quod dicitur homoeusion, nullam omnino fieri
oportere mentionem, nec quemquam praedicare: ea de causa
et ratione, quod nec in divinis scripturis contineatur, et quod
super hominis scientiam sit nec quisquam possit nativitatem
Filii enarrare, de quo scriptum est: «Generationem eius quis
enarrabit?» (Is. 53, 8). Scire autem manifestum est solum Pa-
Poiché si pensava che ci fosse qualche discussione in materia
di fede, a Sirmio sono stati trattati e discussi tutti gli argomenti,
presenti i nostri fratelli e colleghi di episcopato Valente, Ursacio
e Germ inio1.
È chiaro che uno solo è Dio onnipotente e Padre, come si
crede in tutto il mondo, e unico suo Figlio è Gesù Cristo, signo­
re, nostro salvatore, da quello generato prima dei secoli. Ma non
si possono né si debbono predicare due dei, perché proprio il
Signore ha detto: «A ndrò al Padre mio e Padre vostro, al Dio
mio e Dio vostro» (Ev. Io. 20, 17)z. Perciò uno solo è il Dio di
tutti, come ha insegnato l’apostolo: «Forse Dio è soltanto dei
giudei? Non anche dei pagani? Certo anche dei pagani. Perché
uno solo è Dio, che giustifica il circonciso dalla fede e l’incircon-
d so per la fed e» (Ep. Rom. 3, 29-30). Anche sugli altri argomen­
ti ci si è accordati e non c’è stata alcuna divergenza.
Quanto poi al fatto che turbava molti riguardo alla sostanza,
che in greco si dice ousia, cioè, per intendere più chiaramente,
riguardo all’ bomoousion* o a quello che vien detto homoiousion,
non bisogna assolutamente nominarli e nessuno li deve predica­
re. Il motivo è che questo termine non si trova nelle Sacre Scrit­
ture, ed è al di sopra della conoscenza degli uomini né alcuno
può spiegare la nascita del Figlio, del quale è scritto: «C hi spie­
gherà la sua generazione?» (ir. 53, 8 ). È evidente infatti che
i 56 SECONDA FORMULA DI SIRMIO

trem , quom odo genuerit Filium suum, et Filium , quom odo


genitus sit a Patre.
Nulla am biguitas est m aiorem esse Patrem : nulli potest
dubium esse Patrem honore, dignitate, claritate, m aiestate et
ipso nomine patris maiorem esse Filio, ipso testante: « Q u i me
m isit, m aior me e s t» (Ev. Io. 5, 23; 14, 28). E t hoc catholi­
cum esse nemo ignorat, duas personas esse Patris et Filii,
m aiorem Patrem , Filium subiectum cum om nibus his quae
ipsi Pater subiecit (1 Ep. Cor. 15, 28); Patrem initium non
habere, invisibilem esse, im m ortalem esse, im passibilem esse,
Filium autem natum esse ex Patre, D eum ex D eo, lumen ex
lumine, cuius Filii generationem , ut ante dictum est, nem i­
nem scire, nisi Patrem suum.
Ipsum autem Filium D ei, Dom inum et D eum nostrum, si-
cuti legitur, carnem vel corpus, id est, hom inem suscepisse ex
utero virginis M ariae, sicut angelus praedicavit. U t autem
scripturae om nes docent, et praecipue ipse m agister gentium,
apostolus, hom inem suscepisse de M aria virgine, per quem
com passus est. Illa autem clausula est totius fidei et illa con­
firm atio, quod trinitas sem per servanda est, sicut legimus in
evangelio: « I t e et baptizate om nes gentes in nomine Patris et
Filii et Spiritus san cti» (Ev. Mattb. 28, 19). Integer, perfectus
numerus trinitatis est. Paracletus autem Spiritus per Filium
est, qu i m issus venit iuxta prom issum , ut apostolos et omnes
credentes instrueret, doceret, sanctificaret.
SECONDA FORMULA DI SIRMIO I5 7

soltanto il Padre sa in che modo abbia generato suo Figlio, e solo


il Figlio sa in che modo sia stato generato dal Padre.
Non c’è invece alcuna incertezza sul fatto che il Padre è mag­
giore4: nessuno può dubitare che, per onore, dignità, gloria,
maestà e per lo stesso nome di padre, il Padre è maggiore del
Figlio, dato che questi dichiara: «C h i mi ha inviato è maggiore
di m e» (Ev. Io. 5, 23; 14, 28). E nessuno ignora che è retta fede
credere che ci sono due persone5, del Padre e del Figlio, e che il
Padre è maggiore, mentre il Figlio gli è sottomesso con tutto ciò
che il Padre ha sottomesso a lui (1 Ep. Cor. 15, 28). Il Padre non
ha principio, è invisibile, immortale, impassibile; invece il Figlio
è nato dal Padre, Dio da Dio, luce da luce, la cui generazione,
come abbiamo detto, nessuno conosce se non suo Padre.
Il Figlio di Dio, Signore e Dio nostro, come si legge, ha as­
sunto carne o corpo, cioè un uomo, dal seno della Vergine M a­
ria, come aveva annunciato l’angelo. E come insegnano tutte le
Scritture e soprattutto il maestro dei pagani, l’apostolo, ha as­
sunto da Maria Vergine un uomo per mezzo del quale ha parteci­
pato alla passione6. Questa poi è la conclusione e la conferma di
tutta la fede, che bisogna sempre preservare l’integrità della T ri­
nità, come leggiamo nel Vangelo: «A ndate e battezzate tutti i
popoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo» (Ev.
Matth. 28, 19). Completo e perfetto è il numero della Trinità.
Per mezzo del Figlio esiste lo Spirito santo7, che secondo la
promessa è stato inviato ed è venuto per istruire, insegnare, san­
tificare gli apostoli e tutti i credenti.
5. Lettera sinodale di Ancira (358) e documento del 359

La pubblicazione della seconda formula di Sirmio, così aperta verso


un’interpretazione di tipo ariano, suscitò reazione non solo in occi­
dente ma anche in oriente. Qui infatti Aezio ed Eunomio, protetti
dal vescovo di Antiochia, Eudossio, avevano cominciato a diffonde­
re nuovamente, approfondita e sviluppata, la dottrina ariana radica­
le, detta anche anomea in quanto implicava la dissomiglianza, per
natura, del Figlio rispetto al Padre. Quest’attività preoccupò non
poco una buona parte dei vescovi di Asia Minore e Siria che fino
allora avevano appoggiato la politica degli eusebiani, ma senza inten­
dere con ciò di aderire alla dottrina ariana. In questi ambienti, so­
prattutto asiatici, si cominciò ad elaborare, sulla traccia di Eusebio
di Cesarea ed Eusebio di Emesa e, più di recente, di Cirillo di Geru­
salemme, una dottrina che prendesse le distanze, da una parte,
dall’homoousios niceno, accusato di implicazioni monarchiane, e,
dall’altra, dalla proposizione dell’arianesimo radicale di Aezio. In
sostanza era la continuazione della teologia promossa da Eusebio di
Nicomedia, ma la novità importante era rappresentata dal modo
dettagliato con cui la dottrina era sviluppata, ancor più che nella
Ekthesis makrostichos, e in particolare dalla decisa accentuazione del­
l’affinità profonda che unisce Cristo col Padre.
La pubblicazione della formula sirmiese del 357 spinse i capi di
questo schieramento a rompere gl’indugi. Per invito di Giorgio di
Laodicea, un ariano della prima ora che gradatamente si era spostato
su posizioni sempre più moderate, Basilio di Ancira riunì un piccolo
concilio di vescovi asiatici ad Ancira verso la Pasqua del 358. Il
documento che qui venne pubblicato e che riportiamo per la maggior
parte costituì il manifesto della teologia cosiddetta omeousiana, in
quanto il suo termine distintivo, proposto in sostituzione dell’homo-
ousios niceno, fu appunto homoiousios, nel senso che il Figlio è simi­
le (homoios) al Padre non genericamente, come sostenevano anche
LETTERA SINODALE DI ANCIRA 159

gli ariani, ma secondo la sostanza (kat’ousian), in modo da contrasta­


re direttamente la dottrina degli ariani radicali, che tale specifica
somiglianza negavano.
Questo concetto fondamentale fu ribadito e chiarito in un docu­
mento pubblicato nel 359, nell’imminenza dei concili di Rimini e
Seleucia e di cui riportiamo solo qualche passo. Dal complesso dei
due documenti emerge una dottrina che punta in modo insistente
sulla generazione reale del Figlio, presentata ripetutamente con in­
gegnosi argomenti dimostrativi; sulla coeternità esplicita del Figlio
col Padre; perciò sulla sua piena divinità. Gli omeousiani d’altra par­
te continuano la dottrina delle tre ipostasi e identificano ancora ou-
sia con ipostasi, nel senso di sostanza individuale, ammettendo nella
Trinità come tre ipostasi, così anche tre ousie. Perciò continuano a
rilevare l’unità di Dio nel senso dinamico di unità di autorità e pote­
re, ma ridimensionando ulteriormente il subordinazionismo modera­
to presente ancora nella Ekthesis makrostichos. In sostanza, si tratta
di una dottrina di stampo tradizionale sulla traccia della teologia
alessandrina, ma ripensata a fondo alla luce dei problemi emersi con
la controversia ariana, e dove la preoccupazione dominante non è
più quella di contrapporsi al monarchianismo, come era ancora nella
esposizione del 345, bensì all’arianesimo riproposto in modo radicale
da Aezio e Eunomio.
I due testi omeousiani sono riportati da Epifanio, Panarìon (La
Cassetta dei medicinali) 73. Li presentiamo quasi per intero il primo,
solo due passi del secondo, secondo l’edizione di K. Holl, in Die
(ìriechischen Christlichen Scbrìftsteller 25. La pubblicazione della let­
tera sinodale di Ancira del 358 rappresentò una svolta decisiva nel
tormentato iter della controversia ariana. Perciò abbiamo ritenuto
necessario presentarla nella nostra raccolta anche se il testo, spesso
ili per sé oscuro e involuto, ci è giunto in condizioni deplorevoli per
errori e omissioni, che solo in parte Holl ha potuto risarcire nella sua
edizione (il segno indica i passi che sono da considerare corrotti),
l’er tal motivo in più di un punto la nostra traduzione cerca di resti­
tuire con libertà, sulla base del contesto, il senso del passo, piuttosto
che aderire strettamente ad un testo poco o niente affatto affidabile.
3. Ή πίστις ήμών εις πατέρα καί υιόν καί άγιον πνεΰ
[δ] έστιν. ουτω γάρ έδίδασκε τους έαυτοΰ μαθητάς ό κύριος
ήμών Ίησοΰς Χριστός είπών· «πορευθέντες μαθητεύσατε πάν­
τα τά εθνη, βαπτίζοντες αύτούς είς τό δνομα τοΰ πατρός καί
τοΰ υΐοΰ καί τοΰ άγίου πνεύματος» (Εν. Matth. 28, 19).
ούκοΰν οί άναγεννώμενοι είς ταύτην τήν πίστιν εύσεβώς
νοεΐν τάς έκ τών όνομάτων έννοιας όφείλομεν. ού γάρ εί­
πε' βαπτίζοντες αύτούς είς τό δνομα τοΰ άσάρκου καί σαρκω-
θέντος ή τοΰ άθανάτου καί θανάτου πείραν λαβόντος ή τοΰ
άγεννήτου καί γεννητοΰ, ά λλ’ είς τό τοΰ πατρός καί τοΰ υΐοΰ
καί τοΰ άγίου πνεύματος, ΐνα <τών> όνομάτων προσακούοντες
άπό τών φυσικών, έν οίς ★ , τόν πατέρα αίτιον όμοιας αύτοΰ
ούσίας έννοώμεν, καί τό δνομα τοΰ υΐοΰ άκούοντες δμοιον
νοήσωμεν τόν υιόν τοΰ πατρός, ού έστιν ό υιός. έπιστεύσαμεν
ούν είς πατέρα καί υιόν καί άγιον πνεΰμα, ούκ είς κτίστην
καί κτίσμα. αλλο γάρ έστι κτίστης καί κτίσμα, αλλο πατήρ
καί [ό] υιός, διότι κεχώρισται τούτων έκάτερον τή έννοια.
Τ ό γάρ κτίσμα λέγων πρώτον κτίστην φημί, καί τό υιός
★ , ώς άπό σωματικών προσλαμβανόμενον καί διά τά πάθη
καί τάς άπορροίας τών σωματικών πατέρων καί υιών, ★
καθαρώς τήν τοΰ έξ άσωμάτου πατρός άσωμάτου υΐοΰ ΰπαρ-
ξιν ΐστησιν έννοιαν, διά τοΰτο καί τήν τοΰ κτίσματος, δτι σωμα­
τικού παρέπλεξεν έννοιαν ★ . καί έπειδή τό κτίσμα δ ποιεί,
<υίός έστιν>, υιόν <έκάλεσεν> μόνον άπό τοΰ κτίστου καί τοΰ
3. La nostra fede è nel Padre, nel Figlio e nello Spirito san
Infatti così ha insegnato ai suoi discepoli il signore nostro Gesù
Cristo, dicendo: «A ndate e insegnate a tutti i popoli, battezzan­
doli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo» (Ev.
Matth. 28, 19). Perciò noi che siamo rinati a questa fede, dobbia­
mo intendere con retta pietà i concetti che si ricavano da questi
nomi. Infatti egli non ha detto: battezzandoli nel nome di chi è
senza carne e di chi si è incarnato, o di chi è immortale e di chi
ha sperimentato la morte, o dell’ingenerato e del generato1, ma
ha detto: «nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo»,
perché dall’ascolto dei nomi naturali noi considerassimo il Padre
causa di una sostanza simile a lui2, e ad udire il nome del Figlio
pensassimo ad un figlio simile al padre di cui è figlio. Perciò
abbiamo creduto nel Padre, nel Figlio e nello Spirito santo, non
nel creatore e nella creatura. Una cosa sono infatti creatore e
creatura e un’altra padre e figlio, perché ognuno di questi con­
cetti è distinto dall’ altro.
Infatti quando dico creatura3, affermo prima di lui il creato­
re. Quanto al concetto di figlio, assunto dalla realtà corpo­
rea, se lo purifichiamo dalle idee di passione e flusso che sono
proprie dei padri e figli corporei, ci fa comprendere l’esistenza
del Figlio incorporeo che deriva dal Padre incorporeo. A tal fine
la retta fede vi ha connesso anche il concetto di creatura tratto
dalla realtà corporea. E poiché il concetto di creatura da solo
IÓ 2 LETTERA SINODALE DI ANCIRA

χτίσματος λαβών τό άπαθές τοΰ κτίζοντος ώς πρός τό χτίσμα


και τοΰ χτίσματος τό έξ άπαθοΟς τοΰ χτίζοντος ύφεστός πά­
γιον <καί οιον ό> κτίζων έβούλετο, τελείαν έκ τοΰ σωματικού
πατρός καί υίοΰ <καί> έκ σωματικοΰ κτίστου καί χτίσματος τήν
περί πατρός καί υίοΰ καθαρώς ήμάς έπαίδευσεν έννοιαν, ά-
φαιρουμένου γάρ άπό τοΰ κτίσματος τοΰ τε εξωθεν ύφεστώτος
καί τοΰ ύλικοΰ καί τών άλλων, δσαπερ σωματικοΰ κτίσματος
τό δνομα περιέχει, μόνη άπό τοΰ κτίσματος μένει ή άπαθής
φημι τοΰ κτίζοντος καί τελεία τοΰ κτιζομένου καί οιον ήβοΰλε-
το ό κτίζων είναι το κτιζόμενον, έννοια, εί οδν άπό τοΰ κτί­
στου καί τοΰ κτίσματος τά άλλα πάλιν έκβάλλοντες, τήν έξ
άπαθοΰς τοΰ κτίζοντος καί τελείου τε καί παγίου καί οιον έ ­
βούλετο είναι τό κτίσμα μόνην λαμβάνομεν έννοιαν, άκό-
λουθόν έστιν άπό <τών> τοΰ πατρός καί τοΰ υίοΰ δνομάτων
(έπειδή μάλιστα είς πατέρα χαί υιόν πιστεύειν έδιδάχθημεν)
μίαν [ούν] τινα εύσεβώς λαμβάνειν ήμάς έννοιαν [δε!].
4. Αιό καί έπί τούτων, έκβαλλομένου τοΰ κατά τό πάθ
ή άπορροήν, <ώστε> τόν πατέρα πατέρα νοεΐσθαι τοΰ υίοΰ καί
τόν υιόν μή σπερματικώς καταβεβλημένον σωματικοϊς φύσεως
τελειοΰσθαι καί κινουμένοις άεί πρός αΰξην καί φθοράν, ώς τά
σωματικά εχ ει τους χαρακτήρας, μόνη παραλειφθήσεται έννοια
τοΰ όμοιου, ώς γάρ έπί του κτίσματος πάλιν έροϋμεν, <δτι>
πάντων έκβεβλημένων <τών σωματικών> παρελείφθη ή ά­
παθής μέν τοΰ κτίζοντος, τελεία <δέ> καί οίαν ήβούλετο καί
παγία ή τοΰ κτίσματος < έννοια >, οδτω καί έπί τοΰ πατρός καί
υίοΰ, έκβεβλημένων τών σωματικών πάντων, παραλειφθήσε-
ται μόνη ή όμοίου [καί] κατ’ ούσίαν ζφου γενεσιουργία, έπει-
δή πάς πατήρ όμοίας ουσίας αύτοϋ νοείται πατήρ, εί δέ μετά
τών λοιπών άπάντων έκ τών τοΰ πατρός καί υίοΰ όνομάτων
σωματικών έκβαλλομένων έννοιών συνεκβάλλοιτο καί ή
όμοίου κατ’ ούσίαν ζώου <αΐτιον> τόν πατέρα παρέχουσα ήμΐν
νοεΐν, ούκέτι έ'σται πατήρ καί υιός πιστευόμενος, άλλά χ τί­
στης καί κτίσμα, καί περιττά <τά πατρός καί υίοΰ> όνόματα,
LETTERA SINODALE DI ANCIRA

non dà quello di figlio, assumendo dal creatore e dalla creatura


l'impassibilità del creatore nel rapporto con la creatura, e la sta­
bilità della creatura in quanto prodotta da un creatore che resta
Impassibile, a partire dai concetti di padre e figlio corporei e di
creatore e creatura corporei, ci ha voluto insegnare l’esatto con­
cetto di Padre e di Figlio. Se infatti, nel considerare la creatura,
prescindiamo dal fatto ch’è stata tratta all’essere dall’esterno,
dalla sua materialità e dagli altri caratteri implicati nel nome di
creatura corporea, del concetto di creatura resta soltanto l’im­
passibilità di chi crea e la perfezione di ciò che viene creato e la
conformità della creatura all’intenzione del creatore. Se perciò,
eliminando dai concetti di creatore e creatura tutti gli altri carat­
teri, assumiamo soltanto del creatore la mancanza di passione e
della creatura la perfezione, la stabilità e la conformità alTinten-
7,ione del creatore, ne consegue che, avendo appreso in primo
luogo a credere nel Padre e nel Figlio, noi da questi nomi dob­
biamo ricavare un solo concetto conforme alla retta fede.
4. Se perciò, in questo ordine d ’idee, consideriamo che il
dre è padre del Figlio prescindendo da passione ed efflusso, e
che il Figlio non è stato prodotto seminalmente né si è accresciu­
to per apporti di natura corporea, che sempre, secondo il caratte­
re delle realtà corporee, tendono all’accrescimento e alla corru­
zione, ci resta soltanto il concetto di simile. Come infatti - lo
ripetiamo - , se dall’atto di creare eliminiamo tutto ciò che è
corporeo, ci resta l'impassibilità del creatore e la stabilità, perfe­
zione, conformità della creatura, così se a proposito del Padre e
del Figlio eliminiamo tutti i caratteri corporei, ci resterà soltanto
Iti generazione di un essere vivente simile secondo la sostanza:
Infatti ogni padre è considerato padre di una sostanza simile a
lui. Se invece, insieme con tutti gli altri caratteri connessi con i
nomi corporei di padre e figlio, eliminiamo insieme anche il con­
cetto del padre causa di un essere vivente simile per sostanza4,
non crederemo più nel Padre e nel Figlio, ma nel creatore e nella
creatura5, e quei nomi risulteranno inadeguati e privi di apporto
16 4 LETTERA SINODALE DI ANCIRA

μηδέν παρ’ έαυτών εισφερόμενα, καί εσται ούτως κτίστης μέν


ώς θεός, κατ’ ούδέν <δέ> δλως πατήρ, δτι γάρ ούκ ένεργείας
λέγεται πατήρ ό πατήρ, ά λλ’ όμοιας έαυτώ ουσίας, τής κατά
τήν τοιάνδε ένέργειαν υπόστασης, δήλον έκ τών φυσικών
καθέστηκε λογισμών, πολλάς γάρ ένεργείας εχων ό θεός άλλη
μέν ένεργείι^ κτίστης νοείται, καθό ουρανού καί γης καί πάν­
των τών έν τούτοις, άλλα καί τών άοράτων κτίστης έστί.
πατήρ δέ μονογενούς ών ούχ ώς κτίστης, ά λλ’ ώς πατήρ γεν-
νήσας νοείται, εί δέ <τις> διά τήν ύπόνοιαν τήν περί <τών κοιτά>
τους σωματικούς πατέρας τε καί υιούς [τών] παθών, δεδιώς μή
τ ι πάθη γεννών ό άσώματος, εί μή άτελές ειη τό γεννώμενον
καί δσα συμβαίνει περί τόν σωματικόν πατέρα τε καί υιόν, ευ­
λαβούμενος άφέλοιτο τήν γνησίαν έπί πατρός καί υίοϋ έν­
νοιαν, όποιον αν λέγοι ετερον ποίημα καί ουδέποτε έρεΐ τόν
υιόν υιόν.
Ε ϊτε γάρ μεγέθει ύπερβάλλοντα λέγοι, ώς ούρανόν ορούς ή
βουνοΰ, τοΰ τών ποιημάτων γένους αύτόν, κάν μεγέθει ύπερ-
βάλλων νοοΤτο, <ύπάρχοντα> Ιξει, είτε χρεία ώς πρώτον αύτόν
γεγονότα, εϊτε είς τήν άλλων δημιουργίαν ύπουργήσαντα,
οΰτε ούτως αύτόν εξω ποιήσει τής τών ποιημάτων έννοιας,
ώς γάρ ούδέν διαφέρει τό τη λα βίδι έκ τοΰ θυσιαστηρίου τόν
άνθρακα, μή αύτή τή χειρί λαμβάνεσθαι, <εί> καί διά ταύτης
ή χαλκευτική ειη <τό> έπελαύνειν τόν σίδηρον (εσται γάρ καί ή
λαβίς καί ό διά ταύτης έλαυνόμενος σίδηρος τοΰ γένους τών
ποιημάτων), ούτως ούδέν διοίσει τών ποιημάτων ό δ ι’ ου τά
πάντα, εί μή εστιν υιός, ώς ή φυσική έννοια ύποβάλλει. ποιη­
θείς δέ πρώτος εσται τών ποιημάτων καί δργανον γινόμενος
τώ ποιητή, δ ι’ ου τά πάντα ό κτίστης έργάζεται.
5. Κ α ί ούκ άν τις σοφίσαιτο τήν τοΰ ίδίως πατρός καί τ
ιδίως υΐοΰ έννοιαν έκ τών κοινότερον υιών λεγομένων, έπεί
ούτως πολλοί εσονται οί υιοί τοΰ θεοΰ, <ώς> δταν λέγη· «υιούς
έγέννησα καί ύψωσα, αύτοί δέ με ήθέτησαν» (Is. 1 , 2 ), καί τό
LETTERA SINODALE DI ANCIRA 16 5

concettuale. Cosi uno sarà creatore, in quanto Dio, ma per nulla


affatto Padre, perché dal ragionamento naturale risulta chiaro
che il Padre non è detto padre di un’operazione, bensì di una
.sostanza simile a lui, che ha tratto sussistenza da quella opera­
zione. Infatti, poiché il Padre ha facoltà di compiere molte ope­
razioni, in forza di una è considerato creatore, cioè del cielo,
della terra e di tutto ciò che in essi si trova; ed è anche creatore
delle realtà invisibili. M a in quanto Padre dell’Unigenito, è con­
siderato non creatore, ma un padre che ha generato. Se poi uno,
per l’idea di passione inerente ai padri e figli corporei, teme che
unche il generante incorporeo subisca qualche passione o che il
generato risulti imperfetto e si preoccupa di tutto ciò che può
succedere a un padre e figlio corporei e di conseguenza toglie di
mezzo il concetto reale di Padre e di Figlio, costui parlerà di
un’altra creatura, ma non potrà più dire che il Figlio è Figlio.
Se infatti lo dirà superiore per grandezza6, come il cielo su­
pera un monte o un colle, pur considerandolo così grande, lo
relegherà nel genere delle creature. Se poi lo considererà superio­
re per condizione e per ufficio, in quanto è stato creato per pri­
mo ed ha collaborato alla creazione delle altre cose, neppure così
lo terrà fuori dal concetto di creatura. Come infatti non fa diffe­
renza portar via il carbone dall’altare non proprio con la mano
iritt col forcipe, e di questo l’arte del fabbro si serve per disten­
dere una lamina d i ferro (infatti sia il forcipe sia la lamina di
lerro lavorata con quello appartengono al genere delle creature),
cosi non differirà in nulla dalle creature colui per mezzo del qua­
le sono state create tutte le cose, se non è Figlio come suggeri­
ate la ragione naturale. In quanto creato, sarà il primo fra le
creature e strumento per mezzo del quale il creatore crea tutte le
rose.
5. Nessuno dovrebbe immaginare 7 il concetto di Padre e
μΐΐο in senso proprio a partire da quelli che comunemente sono
detti figli, perché in questo caso molti sarebbero i figli di Dio,
i'ome quando la Scrittura dice: « H o generato ed esaltato figli;
ι6 6 LETTERA SINODALE DI ANCIRA

«ο ύ χ ί πατήρ είς πάντων ύ μ ώ ν ;» (Mal. 2, 10), καί «δσοι ελαβον


αύτόν, είδωκεν αύτοΐς έξουσίαν τέκνα θεοΰ γενέσθαι· οι ούκ
έκ θελήματος σαρκός, φησίν, ούδε έκ θελήματος άνδρός,
ά λλ’ έκ θεοΰ έγεννήθησαν» (Εν. Ιο. 1, 12-3), καί πρός τούτοις
περί αψύχων [ώς] «ό τετοκώς βώλους δρόσου» (lob 38, 28).
έπί γάρ πλέον διά τούτων κατασκευασθήσεται άπό τής κοινής
<έννοίας> τό μή είναι μέν αύτόν υιόν, ώς ούδέ ταΰτα, ποίημα
δέ δντα ώς ταΰτα κλήσεως υίοΰ μόνης μετέχειν. ή δέ έκκλησία
πεπίστευκεν οτι θεός ού μόνον έστί κτίστης κτισμάτων (τοΰτο
γάρ Ιουδαίοι τε καί 'Έ λληνες έπίστανται), άλλ’ δτι καί πα­
τήρ έστι μονογενοΰς, ού μόνον τήν κτιστικήν εχων ένέργειαν,
άφ’ ής κτίστης νοείται, άλλά καί ιδίως καί μονογενώς γεν-
νητικήν, καθ’ ήν πατήρ μονογενοΰς ήμΐν νοείται, τοΰτο γάρ παι-
δεύων ήμάς ό μακάριος Παΰλος γράφει· «τούτου γάρ χάριν
κάμπτω τά γόνατά μου πρός τόν πατέρα, έξ ού πάσα πάτριά
έν ούρανώ καί έπί γής ονομάζεται» (Ep. Eph. 3, 4)· <ώσπερ
γάρ έπί γης πατέρες όνομάζονται>, καθ’ όμοιότητα τών οι­
κείων ουσιών τους υιούς εχοντες, οΰτω καί πατήρ έν
ούρανοΐς ονομάζεται, άφ’ ού οί πατέρες οί έπί γής κατ’
ούσίαν ώνομάσθησαν, καθ’ όμοιότητα της έαυτοΰ ούσίας
πάντως τόν έξ αύτοΰ εχων γεγεννημένον υιόν. καί ού δύνα-
ται ή έπί τών καταχρηστικώς καί όμωνύμως λεγομένων υιών
Ιννοια τώ μονογενεί άρμόζειν. ώσπερ γάρ πυξίον μέν λέγεται
κυρίως τό έκ πύξου κατεσκευασμένον, κοινότερον δέ καί κα-
ταχρηστικώς άπ’ έκείνου πυξίον καί τό έκ μολίβου καί χαλ­
κού καί άλλης τινός υλης γεγονός ★ . οΰτε ούν ώς «ό τετοκώς
βώλους δρόσου» (lob 38, 28) ★ τουτέστιν ούσιωδώς* καταχρη­
στικώς γάρ ένταΰθα έπί τοΰ ποιήματος τό τοΰ τόκου παρείλη-
πται* οΰτε ώς τό «υιούς έγέννησα καί ΰψωσα» (Is. 1, 2), καί
ένταΰθα γάρ καταχρηστικώς άπό τής εύνοίας καί τιμής προ-
σωνόμασται· οΰτε <ώς> τό «εδωκεν αύτοΐς έξουσίαν τέκνα
θεοΰ γενέσθαι» (Εν. Ιο. 1 , 1 2 )· καί τοΰτο γάρ <άπό> τής κατ’
LETTERA SINODALE DI ANCIRA

ma essi mi hanno disprezzato» (Is. 1, 2); e: «N on è uno solo il


Padre di voi tu tti?» (Mal. 2, 10); e: « A quanti lo accolsero dette
la possibilità di diventare figli di Dio, essi che sono nati non
dalla volontà della carne né dalla volontà dell’uomo, ma da D io»
(Ev. Io. 1, 12-3). E oltre a questi, è detto delle creature inanima­
te; «E g li che ha generato le gocce di rugiada» (lob 38, 28).
Infatti, con questi esempi, dalla denominazione comune si rica­
verà soprattutto che il Figlio non è tale, come neppure questi,
ma, essendo come questi creatura, partecipa del solo nome di
Figlio. Invece la chiesa crede non solo che Dio è creatore delle
creature (questo infatti lo sanno anche giudei e greci), ma che è
anche Padre dell’Unigenito, perché ha non solo la capacità di
creare, per cui è considerato creatore, ma anche di generare in
modo proprio e unico, per cui lo consideriamo Padre dell’Unige­
nito. Proprio per insegnarci questo il beato Paolo scrive: «Per
questo piego le mie ginocchia dinanzi al Padre, da cui trae nome
ogni paternità in cielo e in terra» (Ep. Eph. 3, 4). Come infatti
Nono chiamati in terra i padri, che hanno figli a somiglianza della
propria sostanza, così viene chiamato anche il Padre nei cieli, da
cui traggono nome i padri sulla terra secondo la sostanza, in
quanto egli ha generato realmente da sé il Figlio ad imitazione
della sua sostanza. Così al Figlio unigenito non può adattarsi il
concetto che si applica a quelli che son detti figli in modo impro­
prio e per omonimia. Infatti è detta pisside in senso proprio
quella fatta di legno di bosso, mentre in senso improprio e gene­
rico il nome di pisside di qui passa ad indicare quelle fatte di
piombo, bronzo e altra materia. E neppure il passo: «C olui che
ha generato le gocce di rugiada» (lob 38, 28) indica generazione
secondo sostanza: infatti qui in modo improprio il nome di
figlio è applicato ad una creatura. Non lo indica neppure «H o
generato ed esaltato figli» (ir. 1 , 2 ), perché qui in modo impro­
prio il figlio è definito tale per la benevolenza e l’onore. E nep­
pure «D ette ad essi la possibilità di diventare figli di D io » (Ev.
Io. 1 , 1 2 ): infatti anche qui il nome è preso per indicare l’eccel-
l6 8 LETTERA SINODALE DI ANCIRA

άρετήν καί μίμησιν [της] ποιήσεως εΐληπται- <ούχ> ούτως ό


μονογενής νοηθήσεται, άλλά κυρίως, ώς μόνος έκ μόνου,
ομοιος κατ’ ουσίαν έκ τοΰ πατρός, ούπερ καί ώνομάσθη και
ένοήθη υιός, γεννηθείς.
6. Ε ί δέ διά τό άδύνατον τών λογισμών μή <δ>έχοιτό
τον λογισμόν, ώς, εί ούτως νοηθείη πατήρ, πάθος ή μερισμόν
ή άπόρροιαν ΰπομένοντος τοΰ πατρός, καί παρωσάμενος τήν
πίστιν, ή ύφίστησι τήν εύσεβή περί πατρός καί υΐοΰ έννοιαν,
λογισμούς άπαιτοίη, άπαιτητέον αύτόν λογισμούς, πώς ό
θεός σταυροϋται καί πώς τό μωρότερον τοΰ εύαγγελικοϋ κη­
ρύγματος διά τό άσυλλόγιστον παρά τοΐς δοκοΰσιν είναι τοΰ
κόσμου σοφοΐς σοφώτερον ανθρώπων έστίν, οδς ούδέ λόγου
άξιοι ό μακάριος Παΰλος, διότι τώ άσυλλογίστω τής δυνά­
μεως έμώρανε τήν σοφίαν τών συλλογίζεσθαι δυναμένων (1
Ep. Cor. 1, 20). είρηκε γάρ· «ήλθον καταγγέλλων ύμΐν τό μυ­
στήριον τοΰ θεοΰ, ούκ έν σοφία λόγου, ΐνα μή κενωθή ό σταυ­
ρός τοΰ Χ ριστοΰ» (I Ep. Cor. 1 , 17). ό οδν έν σοφία λόγου
<λογισμούς> άπαιτών τό μυστήριον, μετά τής μωρανθείσης σο­
φίας εχων τό μέρος άπιστείτω τω μυστηρίω, ό'τε, κάν έκεΐνος
άπιστεΐται έν σοφίφ λόγου, ό Παΰλος ★ «ΐνα μή κενωθή ό
σταυρός τοΰ Χ ρισ τοΰ» (1 Ep. Cor. 1 , 17). εί δέ έν τούτοις
άποκρίνεται, ούκ έν σοφίφ λόγου, άλλά μωρίαν πάσαν συλ­
λογιστικήν σοφίαν έλέγξας διά της άσυλλογίστου δυνάμεως,
τήν πίστιν μόνην λαμβάνει πρός σωτηρίαν τών τό κήρυγμα δε-
χομένων.
Ούδέ άποκρίνεται πώς ό πατήρ απαθώς γεννςί τόν υιόν,
ΐνα μή κενωθή τό μυστήριον τής έκ πατρός υίότητος τοΰ μονο­
γενούς, άλλα μωραινομένην τήν σοφίαν τών συνετών (καθά
γέγραπται· «ποΰ σοφός, ποΰ γραμματευς, ποΰ συζητητής τοΰ
αίώνος τούτου;» [I Ep. Cor. 1, 2 0 ]) έλέγχω ν, ούκ έν σο-
φίςι λόγου, ΐνα μή διά τά έκ λογισμών υποπτευόμενα κενωθή
LETTERA SINODALE DI ANCIRA 16 9

lenza della creatura e la sua imitazione di Dio. Non tale consi­


dereremo l’Unigenito, ma Figlio in senso proprio, in quanto solo
da solo, generato simile secondo la sostanza dal Padre, di cui è
considerato e chiamato Figlio.
6. Se poi per l’inadeguatezza del ragionamento 8 uno n
Hccoglie la retta spiegazione e considerando quasi che il Padre
ubbia subito, nel generare, passione o scissione o efflusso, re­
spinge la fede che ci propone la retta conoscenza del Padre e del
Viglio e ci chiede spiegazioni, noi dobbiamo ritorcere contro di
lui la domanda di spiegazioni chiedendogli come mai Dio abbia
potuto esser crocifisso, e come mai quella che per quanti sembra­
no essere sapienti del mondo, a causa del difetto di razionalità, è
la stoltezza della predicazione evangelica, possa essere più sa­
piente degli uomini, che il beato Paolo 9 ha ritenuto indegni di
considerazione (I Ep. Cor. 1, 20). Infatti con la forza della illogi­
cità la nostra fede ha reso stolta la sapienza di quelli che sanno
ragionare con logica. Paolo infatti ha detto: «S o n venuto ad an­
nunciarvi il mistero di Dio, ma non con sapienza di parola, per­
ché non risultasse vana la croce di C risto» (1 Ep. Cor. 1, 17).
Perciò chi indaga il mistero con sapienza di parola, in quanto
partecipa della sapienza che è stata resa stolta, non abbia fede
nel mistero, là dove, anche se questi non ha fede nella sapienza
della parola, Paolo... (dice): «Perché non sia resa vana la croce di
C risto» (1 Ep. Cor. 1, 17). Se invece a tal proposito uno risponde
non con sapienza di parola ma dopo aver con la forza dell’illogi-
cllìt convinto di stoltezza la sapienza razionatrice, questi assume
la sola fede per la salvezza di quanti accolgono il messaggio.
Perciò costui non risponde in che modo il Padre generi senza
passione il Figlio, perché non sia reso vano il mistero della figlio­
lanza dell’Unigenito dal Padre. M a respingendo la sapienza degli
euperti, ch’è diventata stolta - secondo quanto è scritto: «D ove
il sapiente? dove 0 maestro? dove l’investigatore di questo mon­
ili»?» (1 Ep. Cor. 1, 20) - , non risponde con sapienza di parola,
|tcrché non venga in sospetto a causa del ragionamento e sia reso
LETTERA SINODALE DI ANCIRA

<τό μυστήριον», φημί <δε ή> ευσεβής έννοια ή περί πατρός καί
υίοΰ, άλλ’ άπαθώς πατέρα καί υιόν, πατέρα μέν έξ έαυτοΰ
γεγεννηκότα ανευ άπορροίας και πάθους τόν υιόν, υιόν δέ
δμοιον [και] κατ’ ούσίαν έκ τοΰ πατρός, τέλειον έκ τελείου,
μονογενή ύποστάντα, <πιστευόμενα> τοΐς πιστοΐς ή υποπτευόμε­
να <τοΤς άπίστοις> άσυλλογίστως κηρύττει, τών γάρ άτόπων
έστίν έκ σοφοΰ θεοΰ σοφίαν ύφισταμένην άκούοντα, ώς
σοφώς οΐδε τής έξ έαυτοΰ γεννηθείσης σοφίας γενέσθαι πατήρ,
πάθος έννοεΐν πατρί <έν τώ> τήν σοφίαν ύφίστασθαι, εί μέλ-
λοι έξ αύτοΰ κατ’ ούσίαν όμοία τώ σοφώ ή σοφία ύφίστα-
σθαι. εί γάρ μήτε 6 σοφός θεός μεθέξει σοφίας συνθέτως σοφός
ήμϊν νοείται, άλλ’ άσυνθέτως αύτός έστι σοφός, ούσία έ­
στί, μήτε ή σοφία έστίν ό υιός έξ ής νοείται, άλλά ή σοφία
ούσία έστίν άπό σοφοΰ ούσίας, δ έστι σοφία, ούσία ό υιός
ύποστάς όμοία έ'σται [καί] κατ’ ούσίαν τοΰ σοφοΰ πατρός, άφ’
ουπερ ύπέστη σοφία ό υιός.
7. Διό καί είωθώς ό μακάριος Παΰλος, καλώς
Ε βρ α ίω ν πεπαιδευμένος, άπό τοΰ αύτοΰ πνεύματος τοΰ έν
παλαιοί καί καινή διαθήκη λαλήσαντος τάς αύτάς ελκειν έν­
νοιας, ώσπερ άπό τών δύο ψαλμών, άπό τοΰ τε λέγοντος·
«τ ά κρίματά σου άβυσσος π ο λλή », καί άπό τοΰ « α ί τρίβοι σου
έν ΰδασι πολλοΤς, καί τά ίχνη σου ού γνωσθήσονται» (Ps. 35,
7; 76, 20), τόν περί κριμάτων τοΰ θεοΰ λόγον μετέβαλε, άντί
μέν τοΰ «άβυσσος π ο λλή» τό « ώ βάθος πλούτου» (Ep . Rom.
11, 33) <θέμενος>, άντί δέ τοΰ « α ί τρίβοι σου έν ΰδασι
πολλοΐς, καί τά ϊχνη σου ού γνωσθήσονται» τό «άνεξιχνία-
σ το ι», άντί δέ τοΰ «τά κρίματά σου άβυσσος π ο λλή» τό «ά -
νεξερεύνητα τά κρίματά σου», οΰτω καί παρ’ αύτης τής σοφίας
τήν περί έαυτής καί τοΰ πατρός <εννοιαν> καί τήν πρός τάδε <τά>
γενόμενα σχέσιν μαθών, έν τοΐς έαυτοΰ ήμΐν τήν περί πατρός
καί υίοΰ καί τών έκ πατρός δ ι’ υίοΰ γεγονότων παρίστησιν
LETTERA SINODALE DI ANCIRA

vano - ripeto - il mistero, cioè la retta dottrina sul Padre e sul


Figlio; ma senza apporto di ragionamento dialettico proclama
che il Padre e il Figlio sono tali senza passione, che il Padre ha
generato da sé il Figlio senza efflusso e passione, che il Figlio è
simile al Padre secondo la sostanza, perfetto da perfetto, sussi­
stendo unigenito: concetti che i fedeli credono mentre gl’incre­
duli li hanno in sospetto. Infatti sarebbe assurdo che uno, ad
udire che da Dio sapiente ha tratto l’essere la Sapienza10, in
quanto sa bene che quello è diventato Padre della Sapienza da
lui generata, pensi che ci sia stata passione per il Padre nel veni­
re all’essere della Sapienza, dal momento che essa doveva venire
uH'essere da Dio, simile a lui sapiente secondo la sostanza. Come
infatti Dio sapiente non lo consideriamo sapiente per composi­
zione in quanto partecipa della sapienza, ma è sapiente senza
composizione in quanto sostanza, così neppure il Figlio va consi-
tlcrato come la sapienza con la quale noi pensiamo: infatti la
Sapienza è sostanza derivata da sostanza sapiente, e questa Sa­
pienza sostanziale, che è il Figlio sussistente, è simile per sostan­
t i al Padre sapiente, da cui ha tratto l’essere il Figlio Sapienza.
7. Il beato Paolo11, che ben conosceva le dottrine ebraic
Spirato dal medesimo Spirito che ha parlato nel Vecchio e N uo­
vo Testamento, di solito ha tratto da quello i suoi concetti, come
- p. es. - dai due salmi che dicono: « I tuoi giudizi sono un
gronde abisso» e « I tuoi sentieri in acque profonde e non si
riconosceranno le tue tracce» (Ps. 35, 7; 76, 2 0 ), egli ha ripreso
il concetto che riguarda i giudizi di Dio. Così, in luogo di «un
grande abisso», ha scritto: « O profondità della ricchezza» (Ep.
Heim. 11, 33); in luogo di « I tuoi sentieri in acque profonde e
non si riconosceranno le tue tracce», ha scritto: «impenetrabili»;
in luogo di « I tuoi giudizi sono un grande abisso», ha scritto:
«Inscrutabili i tuoi giudizi». Analogamente12, avendo appreso
proprio dalla Sapienza il rapporto di lei sia col Padre sia con le
rrcoture, di qui, nelle sue lettere, ci espone il suo pensiero sul
Putire, sul Figlio e sulle cose create dal Padre per mezzo del
172 LETTERA SINODALE DI ANCIRA

έννοιαν, τής γάρ σοφίας είπούσης· «έγ ώ ή σοφία κατεσκήνω-


σα βουλήν» καί τά έξης (Prov. 8 , 12 sgg.), καί μεταβάσης είς
τόν δι’ ού λόγον (εί'ρηκε γάρ « δ ι’ έμοΰ βα σιλείς» καί το «έάν
αναγγείλω ύμΐν τα δ ι’ έμοΰ, μνημονεύσω τά άπ’ αίώνος
άριθμήσαι») (Prov. 8 , 15.21) καί είπούσης «κύριος εκτισέ με
άρχήν όδών αύτοΰ είς εργα αύτοΰ, προ τοΰ αίώνος έθεμε-
λίωσέ με, προ δέ πάντων γέννα μ ε » (Prov. 8 , 22. 23. 25), άντί
μέν τοΰ «ά ρ χ ή ν » ελαβεν ό άπόστολος τό «π ρώ τος», άντί δέ
τοΰ «γεννά μ ε » τό «τόκος» (Ερ. Col. 1, 15) άντί δέ τοΰ δλου
όμοΰ τοΰ «εκτισέ με άρχήν όδών αύτοΰ καί γεννά μ ε » τό
«πρωτότοκος πάσης κτίσεως» (Ερ. Col. 1 , 15), άντί δέ τοΰ
«έθεμ ελ ίω σ ε» τό «έν αύτώ έκτίσθη τά πάντα» (Ερ. Col. 1,
16), άντί δέ τοΰ « δ ι’ έμοΰ τά άπ’ αίώνος», <τό> « ε ϊτ ε θρό­
νοι εϊτε κυριότητες είτε άρχαί είτε έξουσίαι- τά πάντα δ ι’ αύ­
τοΰ καί είς αύτόν έ'κτισται » (Ερ. Col. 1, 16).
Πάντων οΰν πρός λέξιν έξισαζόντων <τών> άποστολικών
πρός τά παρά της σοφίας, τουτέστι τοΰ τε «ά ρ χή ν» πρός τό
«π ρώ τος», καί τοΰ «γεννά » πρός τό «τό κ ο ς», καί τοΰ «εκτισέ
με άρχήν όδών αύτοΰ είς έργα αύτοΰ» πρός τό «πρωτότο­
κος πάσης κτίσεω ς», άντί δέ τοΰ «έθεμελίω σέ μ ε » τό «έν
αύτώ έκτίσθη», άντί δέ τόΰ « δ ι’ έμοΰ τά άπ’ αίώνος» τό
«πάντα δ ι’ αύτοΰ», φανερόν <οτι> καί ή «ε ίκ ώ ν » (Ερ. Col. 1 ,
15) ούκ έν πάθει ★ , άλλ’ άντί τοΰ «έγ ώ ή σοφία» παρείλη-
πται, καί ώς ή σοφία τοΰ σοφοΰ υιός, ούσία ούσίας, οΰτως ή
είκών ούσίας όμοία έστί· διό καί «ε ίκ ώ ν » ένοήθη «τοΰ
θεοΰ τοΰ αοράτου» <ή σοφία> δς έστιν υιός. καί έχομεν έξισα-
ζουσας τάς λέξεις πάσας, άντί μέν «τοΰ σοφοΰ» τό «θεό ς»,
άντί δέ «τή ς σοφίας» τό «είκ ώ ν », άντί δέ τοΰ «ά ρ χ ή » <τό>
«π ρώ τος», άντί δέ τοΰ «γέννα » τό «τό κος», άντί δέ δλου
όμοΰ φαμεν [άντί δέ] τοΰ «άρχήν όδών αύτοΰ εκτισέ με είς
εργα αύτοΰ καί γεννά μ ε » τό «πρωτότοκος πάσης κτίσεως»,
άντί δέ τοΰ «έθεμελίω σέ μ ε » τό «έν αύτώ έκτίσθη», άντί
LETTERA SINODALE DI ANCIRA 173

Figlio. Infatti la Sapienza dice: «Io , la Sapienza, ho abitato nel


consiglio, ecc.» (Prov. 8, 12 sgg.); e passando a parlare di sé
come strumento della creazione (infatti ha detto: «P er me i re» e
« S e vi annuncerò ciò ch’è stato fatto per mio mezzo, ricorderò
passando in rassegna le cose dall’inizio del tem po» [Prov. 8 ,
15.21]) dice: « I l Signore mi ha creato inizio delle sue vie per le
sue opere. Prima del tempo mi ha fondato; prima di tutto mi
genera» (Prov. 8 , 22. 23. 25). Orbene, in luogo di «inizio», l’a­
postolo ha scritto «prim o»; in luogo di «m i genera», ha scritto
«-genito» (Ep. Col. 1, 15); in luogo di tutta l’espressione: «M i
ha creato inizio delle sue vie» e «m i genera», ha scritto: «Prim o­
genito di tutta la creazione» (Ep. Col. 1, 15). In luogo di «m i ha
fondato», ha scritto: «In lui sono state create tutte le cose» (Ep.
Col. 1, 16); in luogo di «per mio mezzo, le cose dall’inizio del
tem po», ha scritto: « I troni, le dominazioni, i principati, le po­
testà, tutte le cose sono state create per mezzo di lui e per lui»
(Ep. Col. 1 , 16).
Se perciò tutte le parole dell’apostolo corrispondono letteral­
mente a quelle della Sapienza (cioè, a «principio» corrisponde
«prim o»; a «genera», «-genito»; a «m i ha creato inizio del­
le sue vie per le sue opere», «primogenito di tutta la creazione»;
tt «m i ha fondato», «in lui sono state create»; a «per mio mezzo
le cose dall’inizio del tem po», «per mezzo di lui tutte le cose»),
risulta evidente che anche «im m agine» (Ep. Col. 1, 15)1} deve
essere assunto senza implicare passione ma in luogo di «io , la
Sapienza». £ come il Figlio è Sapienza del Sapiente, sostanza
della sostanza, così l’immagine della sostanza è simile; e per que-
Hto si concepisce come immagine di Dio invisibile la Sapienza che
è il Figlio. Così abbiamo tutte le parole che si corrispondono
perfettamente: in luogo di «sapiente», « D io » ; in luogo di « S a ­
pienza», «im m agine»; in luogo di «principio», «prim o»; in luo-
μο di «genera», «-genito»; in luogo di tutta l’espressione «m i ha
creato inizio delle sue vie per le sue opere» e «m i genera», «p ri­
mogenito di tutta la creazione»; in luogo di «m i ha fondato»,
174 LETTERA SINODALE DI ANCIRA

δέ τοΰ « δ ι’ έμοΰ» τό «πάντα δ ι’ αύτοΰ καί εις αύτόν».


φανερόν <οΰν> ώς <τούς> εικόνα άκούοντας τόν υιόν τοΰ θεοΰ
τοΰ άοράτου καί οΰτως άναιδώς σοφίζεσθαι τήν κατ’ ουσίαν
ομοιότητα τοΰ υίοΰ πρός πατέρα έπιχειροΰντας τοΐς πασιν έ-
λ εγ χ ει παραπεσόντας t ού Παΰλός γ ε μόνος, άλλά γε προ
τούτου Ιωάννης, ό υιός δντως βροντής, τή οίκεί^ μεγαλοφω-
νία ώσπερ εκ τινων νεφελών τών τής σοφίας αινιγμάτων τήν
εύσεβή ήμΐν έννοιαν τοΰ υίοΰ κατά τόν δμοιον τρόπον άνήκεν.
8. "Ορα γάρ δτι καί αύτός α έδιδάχθη παρά σοφία
ταΰτα έν τώ παρ’ αύτοΰ κηρυχθέντι ήμΐν εύαγγελίω παρα-
δέδωκε. τής γάρ σοφίας είπούσης «εκτισέ με άρχήν οδών
αύτοΰ» (Prov. 8, 2 2 ), τό «έν α ρχή» έξέθετο είπών «έν
άρχή ήν ό λόγος» (Εν. Ιο. 1, 1), άντί δε τοΰ «ϋκτισέ μ ε » <τό>
«κ α ί θεός ήν <ό λόγος>» (Εν. Ιο. 1 , 1 ). ινα μή τον έν προφορά,
άλλά τόν έν ύποστάσει παγία άπαθώς έκ πατρός <γεγεννη-
μένον> θεόν λόγον νοήσωμεν, άντί δέ τοΰ «ή μ η ν παρ’ αύτώ»
(Prov. 8 , 30) τό «<ήν> πρός θεόν» (Εν. Ιο. 1, 1), άντί δέ τοΰ
« δ ι’ έμοΰ τά άπ’ αίώνος» (Prov. 8, 15.21) τό «πάντα δι’ αύ­
τοΰ έγένετο, καί χωρίς αύτοΰ έγένετο ούδέ εν» (Εν. Ιο. 1 ,
3), άντί δέ τοΰ «έθεμελίω σ ε» (Prov. 8 , 23) τό « δ γέγονεν έν
αύτώ ζωή ή ν » (Εν. Ιο. 1, 4) ώ ϊσον τό «έ ν αύτώ έκτίσθη τά
πάντα» (Ep. Col. 1, 16), άντί δέ τοΰ «ό λόγος σάρξ έγένετο»
(Εν. Ιο. 1, 14) <τό> « ή σοφία φκοδόμησεν έαυτή οίκον» (Prov.
9, 1), άντί δέ τοΰ «ήμην παρ’ αύτώ άρμόζουσα» (Prov. 8 , 30)
τό «ού δύναται ό υιός ποιεΐν άφ’ έαυτοΰ ούδέν, έάν μή τ ι
βλέπη τόν πατέρα ποιοΰντα· α γάρ αν έκεΐνος ποιή, ταΰτα καί
ό υιός όμοίως π ο ιεί» (Εν. Ιο. 5, 19), ώς εχειν τήν έπί στόματος
δύο καί τριών μαρτύρων ★ είς άπόδειξιν τής κατ’ ούσίαν
πρός πατέρα τοΰ υίοΰ όμοιότητος. ό μέν γάρ τοΰ σοφοΰ τήν
σοφίαν υίόν, ό δέ τοΰ θεοΰ τόν λόγον μονογενή θεόν, ό δέ τοΰ
θεοΰ τόν υίόν εικόνα φησίν, ώς τόν θεοΰ λόγον καί τήν σοφίαν
LETTERA SINODALE DI ANCIRA 175

«in lui sono state create»; in luogo di «per mio mezzo», «tutte
le cose per mezzo di lui e per lui». È perciò evidente che coloro i
quali, pur apprendendo che il Figlio è l’immagine di Dio invisi­
bile, si adoperano per calunniare svergognatamente la somiglian­
za per sostarla del Figlio col Padre, incorrono presso tutti nell’i­
gnominia14. Tanto più che non solo Paolo, ma anche prima di lui
Giovanni, vero figlio del tuono, con la sua gran voce ci ha enun­
ciato in modo analogo la retta concezione del Figlio, che la Sa­
pienza ci aveva adombrato in modo coperto, come fra le nubi.
8. Osserva infatti come ciò che ci era stato insegnato da
Sapienza, anch’egli lo abbia tramandato nel Vangelo che ci
ha annunciato. Dove infatti la Sapienza dice: «M i ha creato
principio delle sue opere» (Prov. 8 , 22), egli ha indicato «in
principio», dicendo «In principio era il L ogos» (Ev. Io. 1 , 1 ), in
luogo di «m i ha creato» (Prov. 8 , 22) ha scritto «e Dio era il
I.ogos» (Ev. Io. 1 ,1 ). Perché poi pensassimo che il Dio Logos era
derivato impassibilmente dal Padre non per prelazione ma in
Hlabile ipostasi1’ , in luogo di «stavo presso di lui» (Prov. 8 , 30),
ha scritto «era presso D io » (Ev. Io. 1, 1). In luogo di «per mio
mezzo le cose dall’inizio del tem po» (Prov. 8 , 15.21), ha scritto
«lu tto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato
lutto» (Ev. Io. 1, 3); in luogo di «m i ha fondato» (Prov. 8 , 23),
hu scritto «C iò che fu fatto in lui era v ita» (Ev. Io. 1, 4), ch’è
uguale a «in lui sono state fatte tutte le cose» (Ep. Col. 1, 16).
Alle sue parole « Il Logos si è fatto carne» (Ev. Io. 1, 14) corri-
Nponde: « L a Sapienza si è edificata una c asa» (Prov. 9, l ) 16. In
luogo di «stavo presso di lui adattando» (Prov. 8 , 30), ha scritto:
«11 Figlio non può fare nulla da sé, se non ciò che ha visto fare al
Padre. Infatti ciò che egli fa, lo fa anche il Figlio similmente»
(Jw. Io. 5, 19). Così dalla bocca di due e tre testim oni 17 abbiamo
III testimonianza che dimostra la somiglianza del Figlio col Padre
.secondo la sostanza. Infatti uno dice che il Figlio è la Sapienza
ilei sapiente, un altro che il Logos di Dio è Dio unigenito, il
terzo che il Figlio di Dio è immagine. Sicché il Logos di Dio, la
176 LETTERA SINODALE DI ANCIRA

καί τήν εικόνα δμοιον έκ πάντων, καθά προείρηται, καί κατ’


ουσίαν υιόν τοΰ θεοΰ καί πατρός τοΐς πάσι κηρυττεσθαι.
” Ε τ ι δέ μάλλον ώς τόν Θωμάν ήμάς τή ψηλαφία τής ένερ­
γείας τής κατ’ ουσίαν όμοιότητος ό τοΰ θεοΰ λόγος προσάγει
λ έγ ω ν «ώ ς ό πατήρ 2χ ει ζωήν έν έαυτώ, οΰτω καί τώ υίώ
δέδωκε ζωήν εχειν έν έαυτώ» (Εν. Ιο. 5, 26). εί γάρ τό «ώ ς ό
πατήρ ε χ ε ι» ούχ ώς έν αλλω νοείται (ού γάρ αλλο μέν έ-
στιν ό πατήρ αλλο δέ ή ζωή ή έν αύτώ, ΐνα τό μέν εχον, τό
δε έχόμενον νοήται· άλλ’ αύτός άσυνθέτως έστι ζωή ό πα­
τήρ, και ώς εχει αύτός, ουτω δέδωκε <εχειν> και τώ υίώ, δη­
λονότι άσυνθέτως ώς ό πατήρ), φανερόν δτι οΰτως εχων, έπεί
μή άγεννήτως εχ ει μηδέ συνθέτως, εχει ομοίως κατ’ ούσίαν
καί άσυνθέτως ώς ό πατήρ· δήλου δντος δτι τό ομοιον ουδέ­
ποτε ταύτόν είναι δύναται ού έστιν δμοιον, ★ άπόδειξιν τό
έν όμοιώματι άνθρώπων γενόμενον τόν υιόν τοΰ θεοΰ άνθρω­
πον μέν γενέσθαι, μή κατά πάντα δέ ταύτόν γενέσθαι άν-
θρώπω, καί <έν> «όμοιώ ματι σαρκός αμαρτίας» (Ερ. Kom. 8 , 3)
γενόμενον γενέσθαι μέν έν τοΐς πάθεσι τοΐς αίτίοις τής έν
σαρκί αμαρτίας, πείνης φαμέν καί δίψης καί τών λοιπών, μή
γενέσθαι δέ έν ταυτότητι τής σαρκός αμαρτίας· ώστε καί άπό
τών άποστολικών μαρτυριών [καί] τήν κατ’ ούσίαν ομοιότη­
τα τοΰ υίοΰ πρός πατέρα κηρυττεσθαι.
9. 'Ως γάρ έν όμοιώματι άνθρώπων γενόμενος καί άνθρ
πος ήν καί ού κατά πάντα άνθρωπος, άνθρωπος μέν τώ καί
σάρκα άναλαβεΐν άνθρωπίνην, έπειδή «ό λόγος σαρξ έγένε­
τ ο » (Εν. Ιο. 1, 14), ούκ άνθρωπος δέ ών, έπεί ούχ ομοίως
άνθρώποις έγεννήθη (ού γάρ έκ σποράς καί συνδυασμοΰ),
ουτω καί ό πρό αιώνων υιός θεός μέν καθό υιός θεοΰ, ώς άνθρω­
πος καθό υιός άνθρώπου, ού ταύτόν δέ τώ θεώ καί πατρί
τώ γεννήσαντι, ώς ού ταύτόν τώ άνθρώπω, καθό άνευ ά-
πορροίας καί πάθους, <ώς> καθό άνευ σποράς καί ήδονής. καί
LETTERA SINODALE DI ANCIRA 177

Sapienza, l'Immagine - come abbiamo già detto - è proclamato


da tutti a tutti Figlio di Dio Padre simile anche secondo la so­
sta rla .
E ancor meglio il Logos di Dio ci fa toccare con mano, come
a Tomaso, l’efficacia della sua somiglianza sostanziale, quando
dice: « Come il Padre ha la vita in sé, così ha dato anche al Figlio
di aver la vita in sé » (Ev. Io. 5, 26). Infatti l’espressione «come
il Padre h a» non va intesa come se la vita fosse in un altro,
perché non dobbiamo pensare che una cosa sia il Padre e un’altra
la vita che è in lui, uno che ha e un’altra che si h a18; ma pro­
prio il Padre è vita senza risultare per questo composto; e come
egli ha, così ha dato anche al Figlio di avere, cioè senza composi­
zione come il Padre. Risulta perciò chiaro che, come il Figlio ha
la vita non senza generazione ma senza composizione, similmen­
te la possiede per sostanza e senza risultare composto, come il
Padre. D ’altra parte è evidente che il simile non può essere per­
fettamente lo stesso di ciò di cui è simile1*, come - p. es. - il
Figlio di Dio, fatto a somiglianza di uomo, si è fatto uomo ma
non si è identificato completamente con l’uomo. «F atto a somi­
glianza della carne peccatrice» (Ep. Rom. 8 , 3), è stato soggetto
olle passioni che sono causa del peccato della carne - dico fame,
sete e tutto il resto - , ma non si è identificato perfettamente con
la carne peccatrice. Così anche dalla testimonianza degli apostoli
viene proclamata la somiglianza del Figlio col Padre secondo la
sostanza.
9. Infatti, in quanto il Figlio fu fatto a somiglianza di uom
era uomo ma uomo non in tutto. E ra uomo perché aveva assunto
la carne umana, poiché « il Logos si è fatto carne» (Ev. Io. 1, 14);
ma non era uomo perché non fu generato come gli altri uomini:
infatti fu generato senza seme e senza unione. Così anche il Fi­
glio anteriore ai secoli è Dio, in quanto Figlio di Dio, come è
uomo in quanto figlio dell’uomo; ma non è identico a Dio Padre
che lo ha generato, come non è identico all’uomo, perché è stato
generato, in quanto Dio, senza efflusso e passione come, in
178 LETTERA SINODALE DI ANCIRA

<ώσπερ> έν όμοιώματι σαρκός αμαρτίας <έ γ έ ν ετ ο , καθό


πεινάν τε καί δίψαν καί ΰπνον έν τή σαρκ'ι ύπέμεινεν, έξ ών
παθών άμαρτητικώς κινείται τά σώματα, ύπομένων δε τά σαρ-
κός προειρημένα πάθη ούκ έξ αύτών άμαρτητικώς έκινεΐτο,
οΰτω καί ό υιός, <υίός> ών τοΰ θεοΰ καί έν μορφή υπάρχων
θεοΰ, καί Γσα ών θεώ (Ep. Phil. 2, 6 ), τά μέν ιδιώματα είχε
τής θεότητος, κατ’ ούσίαν άσώματος ών καί δμοιος τώ πατρί
κατά τήν θεότητα καί άσωματότητα και τάς ένεργείας.
ώσπερ δμοιος τή σαρκί τώ σαρξ είναι καί πάθη σαρκός ύπομέ-
νειν, μή μέντοι τόν αύτόν είναι, < ούτως δμοιος τώ θεώ> καθό
θεός ών ουτε μορφή έστι τοΰ θεοΰ, άλλά θεοΰ, οΰτε ίσα έστι
τώ θεώ, άλλα θεώ, οΰτε αύθεντικώς <εχει τήν θεότητα> ώς ό
πατήρ, ώσπερ γάρ ούχ άμαρτητικώς <έκινεΐτο ώς> άνθρωπος,
άλλ’ ομοίως <έφέρετο> ένεργεία ώς άνθρωπος, ★ . «άπερ
γάρ αν ό πατήρ ποιή, ταΰτα καί ό υιός όμοίως π ο ιεί» (Εν. Ιο.
5, 19). ώσπερ ούν ένταΰθα ούχ άμαρτητικώς, άλλ’ όμοίως
τοΐς έν σαρκί έκινεΐτο (τών γάρ άτοπων έστίν άπό μεν τοΰ
κατά φύσιν έλθόντα αύτόν είς τό παρά φύσιν, τουτέστιν άπό
θεοΰ γενόμενον υιόν άνθρώπου, δμοιον γενέσθαι τοΐς κατά φύ­
σιν, τουτέστι τοΐς φύσει άνθρώποις, έν τώ έαυτοΰ παρά φύσιν,
έν δέ τώ κατά φύσιν έαυτοΰ μή είναι δμοιον αύτόν τφ κατά
φύσιν πατρί, έκ θεοΰ θεόν γεννηθέντα. καί φανερόν δτι οί μή
κατ’ ούσίαν λέγοντες δμοιον τώ πατρί τόν υιόν οΰτε υιόν λέ-
γουσιν, άλλά κτίσμα μόνον, οΰτε τόν πατέρα πατέρα, άλλά
κτίστην, της όμοίου έννοιας ούκ έπί τήν ταυτότητα τοΰ πα­
τρός άγούσης τόν υιόν, άλλ’ έπί τήν κατ’ ούσίαν όμοιότητα
καί άπόρρητον έξ αύτοΰ άπαθώς γνησιότητα) - ώς γάρ,
πάλιν έρώ, έν όμοιώματι άνθρώπων καί έν όμοιώματι σαρ­
κός άμαρτίας <γενόμενος> ούκ επί τήν ταυτότητα ήγετο τοΰ
άνθρώπου, ά λλ’ έπί τήν τής σαρκός ούσίας όμοιότητα διά
τά εΐρημένα, οΰτως ούδέ ό υιός δμοιος κατ’ ούσίαν γενόμε-
νος τω γεννήσαντι πατρί είς ταυτότητα άξει τοΰ πατρός τήν
έαυτοΰ ούσίαν, ά λλ’ έπί τήν όμοιότητα.
LETTERA SINODALE DI ANCIRA 179

quanto uomo, senza seme e piacere. £ fatto a somiglianza della


carne peccatrice, in quanto nella carne era soggetto alla fame, alla
sete, al sonno, cioè alle passioni che spingono i corpi al peccato, egli
pur assoggettandosi a queste passioni della carne non ne veniva
Spinto al peccato. C osi il Figlio, essendo Figlio di D io e nella forma
di D io e pari a Dio (Ep. Phil. 2, 6 ), aveva i caratteri della divinità,
perché era incorporeo per sostanza e simile al Padre per divinità,
incorporeità, operazione. Come è simile alla carne in quanto è car­
ne e soggetto alle passioni della carne, ma non si identifica con
essa, così è simile a Dio in quanto è Dio, ma non è nella forma del
Dio bensì di Dio né è pari al Dio bensì a D io20, né ha la divinità
originariamente, come il Padre. Come infatti egli non era spinto al
peccato in quanto uomo ma agiva in modo simile all’uomo per l’o-
lierazione, così «tu tto ciò che fa il Padre, lo fa anche il Figlio simil­
mente» (Ev. Io. 5, 19). Perciò come qui non in modo peccaminoso
ma in modo simile era mosso dalle passioni della carne, così sareb­
be assurdo che egli, passato da una condizione naturale ad una
contro natura, cioè diventato da Dio figlio dell’uomo, sia simile a
quelli che sono secondo natura, cioè agli uomini per natura, il che
|icr lui è contro natura, e che invece nella sua condizione di natura
non sia simile al Padre per natura, egli che è Dio generato da Dio.
Kisulta perciò chiaro che quanti negano che il Figlio sia simile
ul Padre secondo la sostanza, non lo considerano neppure figlio
ina soltanto creatura e non considerano il Padre padre ma crea­
tore, mentre invece il concetto del simile porta non all’identifi-
cuzione del Figlio col Padre, ma alla somiglianza secondo la so-
Htanza e alla autenticità della sua generazione dal Padre, indici­
bile e impassibile. Come infatti - per ripetere ancora ciò che è
stato detto - , fatto a somiglianza dell’uomo e a somiglianza della
carne peccatrice, il Figlio è arrivato non ad identificarsi con l’uo­
mo ma ad essergli simile secondo la sostanza della carne, analo­
gamente, essendo simile per sostanza al Padre che lo ha genera­
lo, il Figlio non arriva all’identificazione della sua sostanza col
Padre, ma alla somiglianza.
ΐ8 θ DOCUMENTO DEL 3 5 9

16. Καί μή ταρασσέτω τό τών ύποστάσεων δνομά τινας. διά


τοΰτο γάρ υποστάσεις οΐ άνατολικοί λέγουσιν, ΐνα τάς ιδιότη­
τας τών προσώπων ύφεστώσας καί ύπαρχούσας γνωρίσωσιν. εί
γάρ πνεΰμα ό πατήρ, πνεΰμα καί ό υιός, πνεΰμα και τό άγιον
πνεΰμα, ού νοείται <δέ> πατήρ ό υιός, ύφέστηκε δε καί τό
πνεΰμα, δ ού νοείται υιός, δ καί ούκ εστι [τό πνεΰμα ού
νοείται υιός, ύφέστηκε δέ καί τό πνεΰμα τό άγιον], καί ούκέ-
τ ι τό πνεΰμα τό άγιον ούδέ ό πατήρ ούδέ ό υιός, άλλά
πνεΰμα άγιον έκ πατρός δι' υίοΰ πιστοΐς διδόμενον, εικότως
ύφεστώτος καί ύπάρχοντος καί τοΰ πνεύματος τοΰ άγιου, τάς
ιδιότητας ώς προειρήκαμεν προσώπων ύφεστώτων υποστάσεις
όνομάζουσιν οί άνατολικοί, ούχί τάς τρεις ύποστάσεις τρεις
άρχάς ή τρεις θεούς λέγοντες. άναθεματίζουσι γάρ ει τις λέγει
τρεις θεούς, ά λλ’ ούδέ πατέρα καί υίόν δύο θεούς λέγουσιν
όμολογοΰσι γάρ μίαν είναι θεότητα, έμπεριέχουσαν δ ι’ υίοΰ
έν πνεύματι άγίω τά πάντα, όμολογοΰντες <δέ> μίαν θεότητα
καί μίαν βασιλείαν καί μίαν άρχήν ομως τά πρόσωπα έν ταΐς
ίδιότησι τών ύποστάσεων εύσεβώς γνωρίζουσι, τόν πατέρα
έν τή πατρική αύθεντία ύφεστώτα νοοΰντες καί τόν υίόν ού
μέρος δντα τοΰ πατρός, άλλά καθαρώς έκ πατρός τέλειον έκ
τελείου γεγεννημένον καί ύφεστώτα όμολογοΰντες καί τό
πνεΰμα τό άγιον, δ ή θεία γραφή παράκλητον όνομάζει (Εν.
Ιο. 14, 16), έκ πατρός δι’ υίοΰ ύφεστός γνωρίζοντες· ώς <γάρ>
ό παράκλητος, τό πνεΰμα τής άληθείας, διδάσκει ήμάς τήν
άλήθειαν, ήτις έστίν ό υίός («ούδείς γάρ λέγει κύριος
Ίησοΰς, εί μή πνεύματι ά γ ίω » [1 Ep. Cor. 12, 3]), ουτω καί ό
υίός, δς έστιν άλήθεια, τόν άληθινόν θεόν, τόν έαυτοΰ πατέ­
ρα, ήμάς εύσεβώς είδέναι διδάξει, καθώς λέγει* «ό έωρακώς
έμ έ έώρακε τόν πατέρα» (Εν. Ιο. 14, 9). ούκοΰν έν πνεύματι
άγίω υιόν άξίως νοοΰμεν, έν υίώ δέ μονογενεΐ πατέρα
εύσεβώς καί άξίως δοξάζομεν. καί αδτη έστίν ή σφραγίς της
πίστεως, έν ή σφραγΐδι βαπτισθήναι προσεταξεν ό σωτήρ καί
κύριος Ίησοΰς Χριστός, ό λέγων* «πορευθέντες μαθητεύσατε
πάντα τά εθνη, βαπτίζοντες αύτούς είς τό δνομα τοΰ πατρός
DOCUMENTO DEL 3 5 9 l8 l

16. Il nome poi delle ipostasi non turbi alcuno21. Infatti gli
orientali parlano di ipostasi per dichiarare le proprietà sussistenti
ed esistenti delle persone. Se anche, infatti, il Padre è
spirito 22 e il Figlio è spirito e lo Spirito santo è spirito, non
pensiamo però che il Padre sia il Figlio; e sussiste anche lo Spirito,
che non consideriamo Figlio, ciò che non è, perché esso non è né
Padre né Figlio, ma è Spirito santo che deriva dal Padre ed è
elargito ai fedeli per tramite del Figlio23. Poiché certo anche
10 Spirito santo sussiste ed esiste, gli orientali - come abbiamo
detto - chiamano ipostasi le proprietà delle persone sussistenti,
ma non dicono che le tre ipostasi sono tre principi2'' o tre dei.
Infatti condannano chi afferma tre dei. E neppure affermano
che il Padre e il Figlio sono due dei, perché professano che una
sola è la divinità, che per mezzo del Figlio nello Spirito santo
abbraccia tutte le cose. Professano una sola divinità, un solo re­
gno e un solo principio; tuttavia riconoscono con retta fede le
persone2’ nelle proprietà delle ipostasi, considerando che il Pa­
dre sussiste nella propria autenticità e professando che il Figlio
non è parte del Padre ma è stato generato con integrità dal Pa­
dre, perfetto da perfetto, e sussiste26; riconoscono che lo Spiri­
to santo, che la Scrittura chiama Paracleto (Ev. Io. 14,16), sussi­
ste dal Padre per tramite del Figlio. E come il Paracleto27,
Spirito di verità, ci insegna la verità, ch’è il Figlio (infatti nessu­
no dice: Signore G esù se non nello Spirito santo [1 Ep. Cor. 12 ,

3]), così anche il Figlio, ch’è verità, ci insegna a conoscere con


retta fede suo Padre, quando dice: «C h i ha visto me, ha visto il
Padre» (Ev. Io. 14, 9). Perciò conosciamo degnamente il Figlio
nello Spirito santo e rettamente e degnamente glorifichiamo nel
Figlio unigenito il Padre. Questo è il suggello della fede nel quale
11 salvatore e signore Gesù Cristo ha comandato di essere battez­
zati, dicendo: «A ndate e insegnate a tutti i popoli, battezzandoli
i 82 DOCUMENTO DEL 359

καί τοΰ υΐοΰ καί τοΰ άγίου πνεύματος» (Εν. Matth. 28, 19).

19. Έ άν οί καινοί αιρετικοί προσδιαλεγόμενοι ήμΐν άγέν­


νητον λέγουσι καί γεννητόν, έροΰμεν αύτοΐς· έπειδή κακουρ-
γήσαντες τό τής ούσί<χς δνομα έν χρήσει τοΐς πατράσιν ύπαρ­
χον ώς αγραφον ού δέχεσθε, ούδέ ήμεΐς τό άγέννητον αγρα-
φον δν δεξόμεθα. άφθαρτον μεν καί άόρατον καί αθάνατον
λ έγ ει ό απόστολος, ούδέποτε δέ αύτόν άγέννητον ώνόμα-
σεν ή γραφή, επειθ’ δτι ώς προείρηται τό άγέννητος ούδέπω
σημαίνει τήν τοΰ πατρός έννοιαν καί δτι τό γεννητός ιδίως υιόν
ούδέπω σημανεΐ, άλλά κοινοποιεί πρός πάντα τά γεννητά τήν
έννοιαν (ό γάρ είπών γεννητόν δτι μέν γέγονεν έσήμανεν,
ούδαμοΰ δέ τό<ν> άϊδίως υιόν νοούμενον παρεδήλωσε), διό
άϊδίως έννοοϋντες υιόν θεοΰ ού δεξόμεθα τοΰτο* πρός τούτοις
<δέ>, δτι τό τοΰ πατρός καί υίοΰ δνομα τήν πρός τι σχέσιν ση­
μαίνει, διό καν πατέρα μόνον όνομάζωμεν, εχομεν τώ όνό-
ματι τοΰ πατρός συνυπακουομένην τήν έννοιαν τοΰ υίοΰ (πατήρ
γάρ υίοΰ πατήρ λέγεται), καν <τε> υιόν μόνον όνομάσωμεν,
εχομεν τήν έννοιαν τοΰ πατρός, δτι υιός πατρός λέγεται, εχεται
γάρ θάτερον θατέρου καί ού διακόπτεται ή σχέσις, άλλά καί
μόνον έκάτερον λεγόμενον συνεισάγει θατέρου τήν έννοιαν, καί
ού τό δνομα μόνον άλλά μετά τοΰ όνόματος καί τής φύσεως
τήν οικειότητα, πατέρα γάρ νοοΰντες τόν θεόν θεοΰ νοοΰμεν
πατέρα, καί υιόν νοοΰντες θεοΰ θεόν νοοΰμεν τόν ρηθέντα υιόν
θεοΰ καί δμοιον έκείνω κατά τήν φύσιν ού καί νοείται υιός.
άγέννητον δε ού λέγεται γεννητοΰ άγέννητον ούδέ γεννητόν
άγεννήτου γεννητόν.
DOCUMENTO DEL 3 5 9 183

nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo» (Ev. Matth.
28, 19).

19. Se i nuovi eretici28, discutendo con noi, parlano di


ingenerato e generato, diremo loro: dato che in modo fraudolen­
to non accettate il nome di sostanza, che pure era nell’uso dei
padri, in quanto non scritturistico, neppure noi accettiamo 1 ’« in­
generato», che non è attestato nella Scrittura. Infatti l’apostolo
parla di incorruttibile, invisibile, immortale; ma la Scrittura non
ha mai parlato di Dio come ingenerato. Infatti - come abbiamo
detto prima - ingenerato 29 non indica affatto il concetto di
Padre, e così generato non indica in modo specifico il Figlio ma
mette il concetto in comune con tutte le entità generate. Infatti
se uno dice generato, ha indicato che è venuto all’essere, ma non
ha affatto dichiarato che il Figlio è concepito ab aetemo. Perciò
noi considerando il Figlio di Dio ab aetemo™, non accettiamo
questa definizione, oltre che per questo motivo, anche perché i
nomi di padre e figlio indicano relazione con qualcosa. Perciò,
anche se nominiamo solo il Padre, col nome di padre intendiamo
compreso anche il concetto di Figlio. Infatti un padre è detto
tale in quanto è padre di un figlio. E se diciamo solo Figlio,
intendiamo anche il concetto di Padre, perché il figlio è detto
tale in quanto figlio di un padre. Un concetto implica l’altro e la
relazione non viene tolta via, ma anche se nominiamo uno solo,
essa introduce insieme il concetto dell’altro: e non il solo nome
ma insieme col nome anche la proprietà della natura31. Infatti
pensando a Dio come Padre, pensiamo al Padre di Dio, e pen­
sando al Figlio di Dio, pensiamo come Dio colui ch’è detto Fi­
glio di Dio e simile per natura a quello di cui è pensato come
Figlio. Invece con ingenerato non diciamo l’ingenerato del gene­
rato, né con generato il generato dell’ingenerato.
6 . Eunomio, Esposizione della fede

Si tratta di un testo scritto dal grande teologo ariano nel 383, cioè
parecchi anni dopo gli avvenimenti di cui ci stiamo occupando. Lo
abbiamo prescelto per presentare la dottrina degli ariani radicali (o
anomei) negli anni 358-9 in forza del suo carattere, insieme sintetico
ed esauriente, e perciò più adatto al nostro scopo che non la più
analitica Apologia scritta dallo stesso autore parecchi anni prima.
Infatti, di nuovo rispetto alla problematica degli anni 355-60 l'Espo­
sizione di Eunomio presenta la parte finale destinata ad illustrare la
dottrina anomea dello Spirito santo, argomento, questo, che si co­
minciò a trattare a fondo soltanto dopo il 360. Ma sul punto che più
direttamente ci interessa, cioè sul rapporto Padre-Figlio, la posizione
degli anomei non subì mutamenti fra il 358 e il 383.
Il testo si presenta come una professione di fede, e perciò espone
in distinti articoli la dottrina sul Padre, sul Figlio, sullo Spirito san­
to. Anche nella più diffusa Apologia Eunomio aveva prediletto que­
sto modo di esposizione, che gli permetteva di rilevare bene la di­
stanza che separava fra loro le tre ipostasi. E questo infatti il tono
che informa tutto lo scritto, anche se l’autore, in questo ambito, si
sforza di rilevare anche al massimo l’eccellenza delle prerogative di
Cristo. La dottrina - se si eccettua la parte dedicata allo Spirito
santo, di cui Ario ben poco si era occupato - è sostanzialmente quel­
la di Ario, con accentuazione - come abbiamo visto rilevato dall’e­
stensore della lettera sinodale ancirana del 358 - sui termini ingene­
rato e generato, per meglio evidenziare lo iato che divide il Figlio
dal Padre.
Ovviamente non compare Yitem della creazione del Figlio dal
nulla, che vedemmo accantonato in un secondo tempo dallo stesso
Ario, ma senza che sia precisato donde il Figlio abbia tratto la sua
«m ateria». Sulla sua origine Eunomio continua l’ambiguità di Ario:
ripetutamente sottolinea il carattere speciale della condizione del Fi­
ESPOSIZIONE DELLA FEDE 18 5

glio, e ripetutamente lo definisce generato e unigenito ma, in rela­


zione a Prov. 8 , 22, compare anche il termine «creato» ad indicare
che, come nell’Apologia, Eunomio continua la concezione di Ario
secondo cui il Figlio derivava la sua condizione di eccellenza dalla
sua qualità di unico essere creato direttamente da Dio ( = generato).
11 suo carattere di mediatore è particolarmente rilevato, con accen­
tuazione fortemente subordinante. In definitiva una formula che,
data l’occasione in cui fu scritta, cioè per ubbidire ad un invito del­
l’imperatore Teodosio, cerca nella forma di fare qualche concessio­
ne, ma nella sostanza rappresenta bene la posizione dell’arianesimo
radicale e l’intransigenza del suo massimo rappresentante.
Diamo il testo della professione di fede di Eunomio secondo J.D .
Goldhom, S. Basilii et S. Gregorit Theologi opuscula dogmatica selecta,
Leipzig 1854, pp. 618-29.

Discepolo dell’ariano radicale Aezio, Eunom io fu il capo del movimento nella


seconda metà del IV secolo. Fu per breve tempo, dopo il 360, vescovo di
( ’.izico; inviso non solo ai cattolici ma anche agli ariani m oderati, subì l'ostili­
tà degl’imperatori C ostanzo, Valente e Teodosio e fu più volte inviato in
esilio. M ori intorno al 394. Andate perdute le sue opere esegetiche, ci resta­
no, oltre il testo che pubblichiamo, un'Apologià, che fu confutata da Basilio,
e frammenti ampi dell'Apologià per l'apologia, con cui egli rispose alla confu-
Lazione d i Basilio e che fu a sua volta confutata da Gregorio di Nissa.

Bibliografia: E. Cavalcanti, Studi eunomiani, Roma 1976; Th. A. Kopecek, A


[Ustory o f Nec-Arianistn, I-II, Philadelphia 1979.
1 . Τοΰ θεοΰ καί σωτήρος ήμών κατά δικαίαν κρίσιν φή-

σαντος όμολογεϊν εμπροσθεν τοΰ θεοΰ καί πατρός τούς όμολο-


γοΰντας αύτόν καί άπαρνεΐσθαι τούς άρνουμένους αύτόν (Εν.
Matth. 10, 32-3), καί τής άποστολικής διδασκαλίας προτρεπού-
σης ήμας έτοιμους είναι πρός άπολογίαν παντί τώ έπερωτών-
τι λόγον (1 Ep. Pet. 3, 15), καί τών βασιλικών προσταγμάτων
ταύτην έπιζητούντων τήν όμολογίαν, προθύμως όμολογοΰμεν
α φρονοΰμεν καί δτι*
2 . Πιστεύομεν εις τόν ενα καί μόνον αληθινόν θεόν, κατά

τήν αύτοΰ τοΰ κυρίου διδασκαλίαν (Εν. Ιο. 17, 3), ούκ έψευ-
σμένη φωνή τιμώντες αύτόν, εστι γάρ άψευδής, ά λλ’ δντως
δντα φύσει τε καί δόξη θεόν, ενα, άνάρχως, άϊδίως, άτελευ-
τήτως, μόνον, ού τήν ούσίαν, καθ’ ήν έστιν εις, χωριζόμε-
νον, ή μεριζόμενον είς πλείους, ή άλλοτε άλλον γενόμενον, ή
τοΰ είναι δ έστι μεθιστάμενον, οΰτε έκ μιας ούσίας είς ύπό-
στασιν τρισσήν σχηματιζόμενον. πάντη γάρ καί καθάπαξ έστίν
είς καί κατά τά αυτά καί ώσαύτως διαμένων μόνος, ού κοινω-
νόν εχων της θεότητος, ού μερίτην της δόξης, ού συγκληρον
της έξουσίας, ού συνθρονον τής βασιλείας, είς γάρ έστι καί
μόνος θεός παντοκράτωρ, θεός θεών, βασιλεύς τών βασιλευόν­
των καί κύριος τών κυριευόντων (1 Ep. Tim. 6 , 15), υψιστος
έπί πασαν τήν γην, υψιστος έν ούρανοΐς, υψιστος έν ύψί-
στοις, έπουράνιος, άληθινός έν τφ είναι δ έστιν άεί καί
διαμένων, άληθινός έν εργοις, άληθινός έν λόγοις, άρχής
1. Il Dio e Salvatore nostro con giusto giudizio ha affermato
che egli riconoscerà davanti a Dio Padre quelli che lo riconosco­
no e rinnegherà quelli che lo rinnegano (Ev. Mattb. 10, 32-3), e
l’insegnamento degli apostoli ci invita ad esser pronti a giustifi­
carci con ognuno che ci chiede ragione (1 Ep. Pet. 3, 15). Perciò,
dato che l’ordine dell’imperatore richiede questa professione di
fedeL, prontamente professiamo ciò che crediamo.
2. Crediamo in un unico e solo Dio vero2, secondo l’inse­
gnamento proprio del Signore (Ev. Io. 17, 3), e lo onoriamo con
parole non false, infatti è immune da falsità, in quanto è real­
mente Dio per natura e gloria, l’unico, per sempre, senza inizio e
senza fine, il solo, la cui sostanza, per la quale egli è uno solo,
non è divisa e ripartita in più parti: non è venuto all’essere da
una parte o dall’altra, non cessa di essere ciò che è, né la sua
unica sostanza prende forma in tre ipostasi3. Infatti è compieta-
mente e assolutamente l’unico, e resta sempre il solo allo stesso
modo, e nessun altro ha partecipe della divinità, della gloria, del
potere, del regno. Infatti è l’unico e solo Dio onnipotente, dio
degli dei, re dei re, signore dei signori (1 Ep. Tim. 6 , 15), altissi­
mo su tutta la terra, altissimo nei cieli, altissimo fra gli altissimi,
celeste, vero nell’essere ciò che è e sempre resta, vero nelle ope­
re, vero nelle parole, al di sopra di ogni principio, sottomissione,
u o u ‘o ju a u n S S a i o jo j ji o j j m u i a ju a ip iq q n ‘ n a s s a ijS ap suoizeoj.')
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B p o jS Bjjap a je d p a iJB d ond is u o u p i B ju j -inj ip e ijo jS Bjpp
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ouvoNna
I9 O EUNOMIO

πρός πάσαν διοίκησιν, ούκ έκ τής ύπακοής προσλαβών τό εί-


ν$ι υίός ή θεός, ά λλ’ έκ τοΰ υίός είναι καί γεννηθήναι μονο­
γενής θεός γενόμενος, υπήκοος έν εργοις, υπήκοος έν λόγοις·
μεσίτης έν δόγμασι, μεσίτης έν νόμω.
Τοΰτον ΐσμεν υίόν τοΰ θεοΰ καί μονογενή θεόν, τοΰτον
δμοιον τω γεννήσαντι μόνον, κατ’ έξαίρετον ομοιότητα καί
τήν ίδιάζουσαν έννοιαν, ούχ ώς πατρί πατέρα, ού γάρ είσι
δύο πατέρες, ούδέ ώς υίώ υιόν ούκ δντων δύο υιών, ούδέ ώς
άγέννητον άγεννήτω, μόνος γάρ έστιν άγέννητος ό παντο-
κράτωρ καί μόνος υίός ό μονογενής, ά λλ’ ώς υίόν τώ πατρί, ώς
εικόνα καί ώς σφραγίδα πάσης τής τοΰ παντοκράτορος ένερ-
γείας καί δυνάμεως, σφραγίδα τών τοΰ πατρός έργων καί
λόγων καί βουλευμάτων.
Τοΰτον όμολογοΰμεν ενα, τόν έν υδασιν έπικλύσαντα τήν
γήν, τόν πυρί καταφλέξαντα Σοδομίτας, τόν έπιθέντα δίκην
Αίγυπτίοις, τόν θέμενον τους νόμους κατ’ έπιταγήν τοΰ αιω­
νίου θεοΰ, τόν έπί τών προφητών όμιλήσαντα τοΐς παλαιοΐς,
τόν καλέσαντα τους άπειθοΰντας, τόν λαβόντα πάσαν τοΰ κρί-
νειν τήν έξουσίαν, ό γάρ πατήρ κρίνει ούδένα, τήν γάρ κρίσιν
πάσαν δέδωκε τώ υίώ (Εν. Ιο. 5, 2 2 ). τόν έπ’ έσχάτων τών
ήμερων γενόμενον έν σαρκί, γενόμενον έκ γυναικός, γενόμε-
νον άνθρωπον έπί έλευθερίςι καί σωτηρία τοΰ γένους ήμών,
ούκ άναλαβόντα τόν έκ ψυχής καί σώματος άνθρωπον, τόν
διά γλώσσης καί στόματος εύαγγελισάμενον τήν ειρήνην τοΐς
έγγύς καί τοΐς μακράν (Ep. Eph. 2, 17), τόν γενόμενον υπή­
κοον μέχρι σταυροΰ καί θανάτου (Ep. Phil. 2, 8 ), καί μή ίδόντα
διαφθοράν, άλλά άναστάντα τή τρίτη τών ήμερών, καί μετά
τήν άνάστασιν άνακεφαλαιοσάμενον τοΐς έαυτοΰ τό μυστή­
ριον, καί καθήμενον έν δεξιά τοΰ πατρός, τόν έρχόμενον
κρίναι ζώντας καί νεκρούς.
4. Καί μετά τοΰτον πιστεύομεν είς τόν παράκλητον, τό
πνεΰμα τής άληθείας, τόν καθηγητήν της εύσεβείας, γενόμε­
νον ύπό τοΰ μόνου θεοΰ διά τοΰ μονογενούς, καί τούτω καθά-
παξ ύποτεταγμένον, οΰτε κατά τόν πατέρα ούτε τώ πατρί συνα-
ESPOSIZIONE DELLA FEDE 191

ha ottenuto per l’ubbidienza di essere Figlio e D io9; ma dato


che era Figlio ed era stato generato Dio unigenito, si è fatto
ubbidiente nelle opere e ubbidiente nelle parole, intermediario
nella dottrina, intermediario nella legge.
Sappiamo che questo è il Figlio di Dio, il Dio unigenito, il
solo simile a colui che lo ha generato10, per somiglianza singola­
re e significazione particolare: non come un padre è simile a un
padre, perché non sono due padri; né come un figlio è simile a
un figlio, perché non sono due figli; né come un ingenerato è
simile ad un ingenerato, perché il solo ingenerato è l’Onnipoten­
te e il solo figlio è l’Unigenito; ma come un figlio è simile a un
padre, in quanto è immagine e impronta di tutta l’attività e la
potenza dell’Onnipotente, impronta delle opere, delle parole e
dei voleri del Padre.
Professiamo che questo è stato il solo 11 che ha inondato la
terra con le acque, che ha distrutto i sodomiti col fuoco, che ha
punito gli egiziani, che ha dato la Legge per comando del Dio
eterno, che al tempo dei profeti ha parlato agli antichi, che ha
richiamato quelli che disubbidivano, che ha ricevuto tutto il po­
tere di giudicare: infatti il Padre non giudica nessuno ma ha ri­
messo al Figlio tutto il giudizio (Ev. Io. 5, 22). Negli ultimi gior­
ni è nato nella carne, è nato da donna, è nato uomo per la libera­
zione e la salvezza del nostro genere, ma senza assumere l’uomo
composto di anima e di corpo12. Con la sua parola ha annun­
ciato la pace a quelli che stavano vicino e a quelli che stavano
lontano (Ep. Eph. 2, 17), si è fatto ubbidiente fino alla croce e
olla morte (Ep. Phil. 2, 8 ), non ha provato corruzione ma è risor­
to il terzo giorno e dopo la risurrezione ha ricapitolato ai suoi il
mistero, siede alla destra del Padre, verrà a giudicare i vivi e i
morti.
4. Dopo di questo crediamo nel Paracleto13, lo spirito di ve­
rità, il maestro di pietà, creato dall’unico Dio per mezzo dell’U-
liigenito, e a questo completamente sottomesso, che non è con­
numerato né in relazione al Padre né col Padre - infatti unico e
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Λ(Γ)Λ|τΙθΛ3λ ηοιη n o i m g λο>ι 3κ Ιι^|ξ]»Λ » d»Jl ΛΓοίΛίρΐϋο ‘ λοα3Ή9 &
-οχοΛηο ιλ ιι Α ^ χ » λΙχτ) 3ΐη ο ‘ Iaa3JLotIo A9 Ì \ 3gip Λ0 Χ 3 »Λ3§ηο
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ΛίοΐΛ γα ιιΐ3 ο didime 50Λ9Ή ime i m j d»l 5p ‘ ΛθΛ3τ1αοτ]0^

oiwoNna z6i
194 EUNOM IO

πραγμένων, της συμμέτρου καί δικαίας έπιμετρουμένης δίκης,


καί τους μεν είς τέλος άσεβήσαντας ή άμαρτήσαντας πρός τήν
άτελεύτητον κόλασιν παραπεμπούσης, τους δέ όσίως καί δι­
καίως βιώσαντας πρός τήν αίωνίαν ζωήν άναφερουσης.
6 . Ταΰτα καί φρονοΰμεν παρά τών άγίων μαθόντες καί φρο-

νοΰντες πιστεύομεν, ούδέν ύπ’ αισχύνης ή δέους παρέντες ών


έμάθομεν, οδτε μήν έπ’ αισχύνης ή φιλονεικίας προστιθέντες
πλεΐον ή διαστρέφοντες, ούδέ συνειδότες ούδέν άπηχές ή δύ-
σφημον, όποΤα πλάττουσι καθ’ ήμών οΐ συκοφαντοΰντες ή δια-
βάλλοντες, ών τό κρίμα ένδικόν έστιν (Ερ. Rorn. 3, 8 ).
ESPOSIZIONE DELLA FEDE 195

giustizia. Sarà resa allora giustizia rispondente ed equa, e coloro


cke fino alla fine saranno stati empi e peccatori verranno inviati
alla punizione senza fine, mentre quanti avranno vissuto giusta­
mente e santamente saranno innalzati alla vita eterna.
6. Questo pensiamo, avendolo appreso dai santi15, e pens
dolo lo crediamo, nulla per vergogna o timore avendo omesso di
ciò che abbiamo appreso né per offesa e contesa avendo aggiunto
di più o alterato, di nulla consapevoli che sia disdicevole ed em­
pio, com’è invece ciò che contro di noi inventano quelli che ci
accusano e ci calunniano e dei quali è giusta la condanna (Ep.
Rem. 3, 8 ).
7. A tanasio, Seconda lettera a Serapione

A partire più o meno dal 355, in sintonia con la ripresa dei contrasti
sul piano politico, Atanasio sviluppò un’intensissima attività lettera­
ria con una serie di opere relative alla controversia ariana, tutte di
carattere polemico ma che vanno divise in due gruppi: da una parte
una serie di opere di carattere storico-politico (le tre Apologie, la
Storia degli ariani), dall’altra una serie di opere di contenuto dottri­
nale, fra cui fanno spicco i tre Discorsi contro gli ariani e le quattro
Lettere a Serapione (ma la seconda e la terza originariamente costitui­
vano una sola lettera). Le Lettere a Serapione, scritte in risposta a
quesiti propostigli appunto da Serapione, vescovo di Tmuis, trattano
specificamente la questione dello Spirito santo, che appunto in quel
torno di tempo (359-60) cominciava ad agitarsi, ma l’attuale seconda
è dedicata completamente al tema cristologico della controversia,
che giustamente Atanasio considera inscindibile dall’altro, come os­
serva all’inizio della terza lettera, che originariamente continuava
l’attuale seconda. Abbiamo preferito riportare questo testo piuttosto
che qualche passo dei più diffusi e analitici Discorsi contro gli ariani,
specificamente dedicati al tema cristologico e cronologicamente più
pertinenti al momento storico di cui ci stiamo occupando (357-9),
perché il suo carattere di sintesi complessiva dell’argomento cristolo­
gia) permette una visione d’insieme della dottrina di Atanasio in
materia.
In opposizione alle due proposizioni dell’arianesimo radicale, se­
condo cui Cristo è una creatura e non è coeterno col Padre, Atanasio
propone la dottrina nicena della generazione reale e della coeternità
del Figlio, intrecciandole l’una nell’altra, e conclude con una specie
di breve appendice relativa a due passi di particolare significato nella
controversia: Prov. 8 , 22, che già ben conosciamo, e Ev. Me. 13, 32,
dove si afferma che neppure il Figlio conosce l’ora del giudizio fina­
le. Sulla specificità della dottrina di Atanasio, rimandando per i det-
SECONDA LETTERA A SERAPIONE 197

lugli alle note di commento, basterà qui osservare che i dati della
tradizione alessandrina, in sostanza quella origeniana, ancora ribadi­
ti da Alessandro, il predecessore di Atanasio sulla cattedra di Ales-
tiundria, vengono da Atanasio modificati in modo profondo in con­
seguenza delle affermazioni di Nicea. Infatti la dottrina origeniana
ilclle tre ipostasi affermava con forza la sussistenza personale del
Padre e del Figlio e di qui risaliva all’unità di Dio, secondo un pro­
cedimento che è ancora evidente nella lettera sinodale ancirana del
)58. Ma il simbolo niceno, affermando la omousia del Figlio col
Padre e equiparando hypostasis a ousia, aveva messo l’accento molto
più sull’unità del Padre e del Figlio che non sulla distinzione e aveva
miche favorito l’interpretazione di una sola ousia = una sola ipostasi
dei due, in contrasto evidente con la dottrina delle tre ipostasi (cfr.
il commento a p. 554, nota 4). Contrariamente a gran parte degli
«rientali, Atanasio, seguito dalla maggior parte dei vescovi e fedeli
d'Egitto, si è uniformato al dettato del concilio niceno, ma non ha
voluto contrastare in modo diretto la dottrina delle ipostasi, come
uvevano invece fatto gli occidentali nel 343 a Serdica. Si è limitato
perciò ad accantonare il termine «ipostasi» dal suo linguaggio teolo-
Hico di questi anni. In tal modo il suo pensiero risulta un po’ sbilan­
ciato dalla parte dell’unità del Padre e del Figlio, mentre resta in
ombra la distinzione, anche se Atanasio dichiara di voler tenere be­
iti: le distanze dal monarchianismo radicale. La grande importanza
ilella dottrina trinitaria di Atanasio sta soprattutto nella difesa e
nella esplicitazione della dottrina nicena, che dopo il 325 abbiamo
v Islo abbandonata in oriente e che invece, grazie proprio all’opera di
Atanasio, sia pur con lentezza e in mezzo a mille difficoltà, era de­
stinata ad imporsi gradualmente, costituendo uno dei due poli sui
quali si sarebbe articolata la sintesi di Basilio di Cesarea.
Presentiamo la seconda lettera di Atanasio a Serapione secondo
il testo di PG X X V I 608-24.
1. Έ γ ώ μέν ένόμιζον καί ούτως όλίγα γεγραφέναι- κ
κατηγόρουν έμαυτοϋ πολλής άσθενείας, ώς μή δυνηθέντος το-
σοΰτον γράψαι, δσον άνθρώποις εξεστι λέγειν κατά τών άσε-
βούντων είς το πνεΰμα τό άγιον* έπειδή δέ, ώς γράφεις, τινές
τών άδελφών ήξίωσαν καί ταΰτα έπιτεμεΐν, ΐνα έχωσιν έξ
έτοιμου καί δ ι’ όλίγων άπολογεΐσθαι μεν τοΐς έρωτώσι περί
τής έν ήμΐν πίστεως, διελέγχειν δέ τους άσεβοϋντας, έποίησα
καί τοΰτο θαρρών, δτι συνείδησιν £χων άγαθήν, ε ΐ τι καί έν
τούτοις παραλέλειπται, άναπληρώσεις.
ΟΕ Ά ρειανοί, είς έαυτούς στραφέντες καί μηδέν πλέον ή
έξωθεν έαυτών νοοΰντες κατά τούς Σαδδουκαίους, άνθρωπίνοις
λογισμοΐς έξεδέξαντο τήν θεόπνευστον γραφήν. Άκούοντες
γοΰν σοφίαν καί άπαύγασμα καί λόγον είναι τοΰ πατρός τον
υιόν, είώθασιν έπιλέγειν· «πώς δύναται τοΰτο είν α ι;», ώσπερ
ού δυναμενου είναι δ μή δύνανται αύτοί νοεΐν. ώρα γάρ αύ­
τούς καί περί τοΰ παντός τοιαΰτα διανοεΐσθαι* «πώ ς δύναται ή
κτίσις, μή οδσά ποτε, γενέσθαι;» (Gen. 1, 1), ή «πώ ς δύναται
χοΰς γης πλασθήναι λογικός άνθρωπος;» (Gen. 2, 7), ή «πώς
τό φθαρτόν αφθαρτον γενέσθαι;» (1 Ερ. Cor. 15, 42), ή «πώς ή
γή έπί θαλασσών τεθεμελ(ωται, καί έπί ποταμών ήτοίμασεν
αύτήν ό θεός; » (Ps. 23, 2 ). καί λοιπόν έπιλέγειν αύτούς έαυ-
τοΐς* «φάγωμεν καί πίωμεν* αυριον γάρ άποθνήσκομεν » (1
1 . Anche così ero convinto di aver scritto poco, e incolpav
inia grande incapacità perché non ero stato capace di scrivere tan­
to quanto è possibile dire ad un uomo contro quelli che sono empi
verso lo Spirito santo. Poiché invece tu mi scrivi 1 che alcuni dei
{rateili hanno richiesto che anche questo poco venga compendia­
to, perché essi prontamente e con poche parole possano risponde­
re a quelli che li interrogano sulla nostra fede e confutare gli empi,
ho fatto così confidando anche che tu, date le tue conoscenze,
supplirai ciò che in questo scritto sarà risultato mancante.
G li ariani, poiché guardano solo a loro stessi e, alla maniera dei
sadducei2, niente considerano più di ciò che sta al di fuori di
loro, hanno ricevuto la Scrittura divinamente ispirata sulla base di
ragionamenti umani. Perciò, a sentire che il Figlio è sapienza,
splendore e logos del Padre3, sono soliti soggiungere: «M a come
può essere tutto ciò? », quasi che non possa darsi ciò che essi non
«escono a comprendere. Infatti sarebbe il momento che essi ri­
flettessero anche a queste questioni riguardanti l’universo: « C o ­
me può avvenire la creazione, che una volta non c’era?» (Gen. 1 ,
I), «C om e può il fango della terra essere plasmato a formare l’uo­
mo razionale?» (Gen. 2, 7), «C om e ciò ch’è corruttibile può di­
ventare incorruttibile?» (1 Ep. Cor. 15, 42), «C om e può la terra
essere fondata sui mari e come può Dio averla disposta sulle cor­
renti?» (Ps. 23, 2). Così non resta loro che dire a sé stessi: «M an ­
giamo e beviamo, perché domani moriremo» (1 Ep. Cor. 15, 32),
200 ATANASIO

Ep. Cor. 15, 32), ϊνα δηλονότι, φθειρόμενων αύτών, συμφθαρή


καί ή της αίρέσεως αύτών μανία.
2. Τώ ν μεν οΰν Άρειανών θνητόν καί φθαρτόν τό τοιοΰτ
φρόνημα· ό δέ της άληθείας λόγος, δνπερ έπρεπε καί αύτούς
διανοεΐσθαι, τοιοΰτός έστιν· εί πηγή καί φώς καί πατήρ έστιν
ό θεός, ού θέμις είπεΤν ού'τε τήν πηγήν ξηράν, οΰτε τό φώς
χωρίς αύγής, οΰτε τόν θεόν χωρίς λόγου, ι'να μή άσοφος καί
άλογος καί άφεγγής ή ό θεός. άϊδίου τοιγαροΰν δντος τοΰ
πατρός, άνάγκη καί τόν υιόν άΐδιον είναι· & γάρ αν έν τώ
πατρί νοήσωμεν, ταΰτα καί έν τώ υίώ είναι ούκ άμφίβολον,
λέγοντος αύτοΰ τοΰ κυρίου· «πάντα, δσα εχει ό πατήρ, έμά
έσ τι» (Εν. Ιο. 16, 15) και τά έμά πάντα τοΰ πατρός έστιν.
αιώνιος γοΰν έστιν ό πατήρ· αιώνιός έστι καί ό υιός- δ ι’
αύτοΰ γάρ οί αιώνες γεγόνασιν. ών έστιν ό πατήρ (Ex. 3,
14)· άνάγκη καί ό υιός «ό ών έπί πάντων θεός ευλογητός
είς τούς αιώνας, ά μήν» (Ερ. Rom. 9, 5), ώς εΐπεν ό Παΰλος.
ού θέμις είπεϊν έπί πατρός* ήν ποτε, δτε ούκ ήν* άθέμιτον
είπεΐν έπί υίοΰ* ήν ποτε, δτε ούκ ήν. παντοκράτωρ έστιν ό
πατήρ* παντοκράτωρ έστι καί ό υιός, λέγοντος τοΰ Ίωάννου*
« ό ών, ό ήν, ό έρχόμενος, ό παντοκράτωρ» (Apoc. 1, 8 ). φώς
έστιν ό πατήρ, άπαύγασμα ό υιός καί φώς άληθινόν. άληθι-
νός θεός ό πατήρ, άληθινός θεός ό υιός* ουτω γάρ ό Ιωάννης
εγραψεν* «Έ σ μ έν έν τώ άληθινφ, έν τώ υίώ αύτοΰ Ίησοΰ
Χριστώ. Ούτός έστιν ό άληθινός θεός καί ζωή ή αιώνιος» (1
Ερ. Ιο. 5, 20).
Κ αί δλως ούδέν έστιν, ών εχει ό πατήρ, δ μή τοΰ υίοΰ
έστι. διά τοΰτο γάρ ό υιός έν τώ πατρί καί ό πατήρ έν τώ
υίώ (Εν. Ιο. 14, 10)· επειδή τά τοΰ πατρός, ταΰτα έν τώ υίώ
έστι, καί πάλιν ταΰτα έν πατρί νοείται, ουτω νοείται καί τό
«έ γ ώ καί ό πατήρ εν έσμεν» (Εν. Ιο. 1 0 , 30), έπειδή ούκ
άλλα έν τούτω, καί άλλα έν τώ υίφ* άλλά τά έν τφ πατρί,
ταΰτα έν τφ υίφ έστι. Καί a βλέπεις δέ έν τφ πατρί, έπειδή
βλέπεις έν τφ υ ίφ , νοείται καλώς τό « ό εμέ έωρακώς έώρακε
τόν πατέρα» (Εν. Ιο. 14, 9).
SECONDA LETTERA A SERAPIONE 201

certo perché, andati loro in malora, vada insieme in malora an­


che la pazzia della loro eresia.
2. Questo è il ragionamento degli ariani, mortale e corrutt
le. Ecco invece il discorso della verità che anch’essi dovrebbero
meditare. Se Dio è fonte4, luce, padre, non è lecito dire che la
fonte è secca, né che la luce è priva di raggio, né che Dio è privo
di ragione, perché Dio non può essere privo di sapienza, di ra­
gione, di luce. Perciò, dato che il Padre è eterno, consegue ne­
cessariamente che anche il Figlio è eterno. Infatti tutte le carat­
teristiche che immaginiamo nel Padre, non v ’è dubbio che siano
anche nel Figlio, perché proprio il Signore dice: «T u tto ciò che
ha il Padre, è m io» (Ev. Io. 16, 15), e tutte le mie cose sono del
Padre’ . C osì il Padre è eterno, e anche il Figlio è eterno: infatti
per mezzo di lui sono stati creati i tempi. Il Padre è Colui che è
(Ex. 3, 14), e necessariamente lo è anche il Figlio «che è su tutti
Dio benedetto nei secoli. A m en», come ha detto Paolo (Ep.
Rom. 9, 5). N on è lecito dire del Padre: « C ’è stato un tempo in
cui non esisteva», e non è lecito dire del Figlio: « C ’è stato un
tempo in cui non esisteva». Onnipotente è il Padre, onnipotente
è anche il Figlio, come dice Giovanni: «C olui che è, che era e
che viene, l’onnipotente» (Apoc. 1, 8 ). Il Padre è luce, il Figlio è
riflesso e luce vera. Il Padre è Dio vero, il Figlio è Dio vero,
come infatti ha scritto Giovanni: «Siam o nel vero, nel Figlio di
lui Gesù Cristo. Questi infatti è il vero Dio e la vita eterna» (1
Ep. Io. 5, 20).
Insomma, non c’è nulla che abbia il Padre, che non sia del
Figlio. Per questo infatti il Figlio è nel Padre e il Padre nel Figlio
(Ev. Io. 14, 10), perché ciò che è del Padre questo è nel Figlio e
d'altra parte si capisce che è nel Padre. In tal modo si compren­
dono anche le parole: « Io e il Padre siamo una cosa sola» (Ev. Io.
10, 30)6, in quanto non una cosa è nel Padre e un’altra nel
Figlio, ma tutto ciò che è nel Padre, questo è nel Figlio. E poi­
ché ciò che vedi nel Padre, lo vedi nel Figlio, comprendi bene
che significhi «C h i ha visto me ha visto il Padre» (Et». Io. 14, 9).
202 ATANASIO

3. Τούτων δέ ουτω δεικνυμένων, άσεβής έστιν ό λ


κτίσμα είναι τον υιόν. άναγκασθήσεται γάρ είπεϊν χτίσμα καί
τήν πηγήν βρύουσαν, κτίσμα τήν σοφίαν, τόν λόγον, έν ω έ-
στι πάντα τά τοΰ πατρός. άλλως τε καί άπό τούτων αν τις ΐδοι
5 τό σαθρόν της αίρέσεως τών Άρειομανιτών. ών έσμεν όμοιοι,
καί τήν ταυτότητα εχομεν τούτων καί όμοούσιοί έσμεν- άν­
θρωποι γοΰν δμοιοι καί ταυτότητα εχοντες, όμοούσιοί έσμεν
άλλήλων. Τ ο αύτό γάρ πασι, τό θνητόν, τό φθαρτόν, τό
τρεπτόν, τό έκ μή δντων. Καί άγγελοι δε πρός εαυτούς, καί
ίο τά αλλα πάντα, ώσαύτως όμοφυη έστιν άλλήλων.
Ούκοΰν έρευνάτωσαν οΐ περίεργοι, ει εστι τις όμοιότης
πρός τόν υιόν τοΐς κτίσμασιν· ή τα έν τώ υίώ δύνανται εύρεΐν
|ν τοΐς γενητοΐς, ϊνα καί κτίσμα τολμήσωσιν είπεϊν τόν τοΰ
θεοΰ λόγον, ά λ λ’ ούκ αν εΰροιεν οΐ πάντα προπετεΐς καί πλα-
ι 5 νώμενοι περί τήν εύσέβειαν. έν μέν γάρ τοΤς κτίσμασιν ούδέν
έστι παντοκράτωρ, καί ούδέν παρά τοΰ έτέρου κρατείται,
έκαστον γάρ αύτοΰ έστι τοΰ θεοΰ· « ο ΐ μέν γάρ ούρανοί διη­
γούνται δόξαν θεοΰ· ή δέ γή τοΰ κυρίου έστι καί τό πλήρωμα
αύτης· ή θάλασσα είδε καί εφυγε» (Ps. 18, 2 ; 23, 1; 113, 3).
ζο καί τά πάντα δοΰλα τοΰ πεποιηκότος έστί, ποιοΰντα τόν λόγον
αύτοΰ, καί ύπακούοντα τώ προστάγματι αύτοΰ. ό δέ υιός
παντοκράτωρ έστίν, ώς ό πατήρ· καί τοΰτο γεγραπται καί δέ-
δεικται. πάλιν τε έν τοΐς κτίσμασιν ούδέν έστιν άτρεπτον τή
φύσει, τών γάρ άγγέλων τινές ούκ έτήρησαν τήν ιδίαν τά-
25 ξ ιν καί «αστρα ού καθαρά ένώπιον αύτοΰ» (lob 25, 5), καί
ό μέν διάβολος επεσεν άπ’ ούρανοϋ· ό δέ Ά δ α μ παρέβη· καί
πάντα άλλοιούμενά έστιν. ό δέ υιός ατρεπτός έστι καί ά-
ναλλοίωτος, ώς ό πατήρ, καί τοΰτο ό Παϋλος ύπέμνησεν έκ
τοΰ έκατοστοΰ καί πρώτου ψαλμοΰ λέγων· «κ α ί σύ κατ’ άρ-
30 χάς, κύριε, τήν γην έθεμελίωσας* καί έ'ργα τών χειρών σου
είσίν οΐ ούρανοί. αύτοί άπολοΰνται, σύ δέ διαμενεΐς* καί
πάντες ώς ίμάτιον παλαιωθήσονται, καί ώσεί περιβόλαιον άλ-
λάξεις αύτούς, καί άλλαγήσονται- σύ δέ ό αύτός εΐ, καί τά
SECONDA LETTERA A SERAPIONE 203

3. D ato che abbiamo così dimostrato questi concetti, è em


colui che afferm a che il Figlio è creatura. Infatti sarà costretto a
definire creatura anche la fonte che zampilla, creatura la Sapien­
za e il Logos in cui è tutto ciò ch’è del Padre. M a anche in altro
modo sulla base di questi concetti uno può vedere il putridume
dell’eresia degli ariomaniti7. Se noi abbiamo somiglianza con
qualcuno, abbiamo anche identità con costui e gli siamo consu­
stanziali8. Perciò noi tutti uomini, in quanto abbiamo fra noi
somiglianza e identità, siamo fra noi consustanziali: infatti è co­
mune a noi tutti la mortalità, la corruttibilità, la mutabilità, il
derivare dal nulla. E anche gli angeli uno rispetto all’altro, come
lutto il resto così sono anche della stessa natura l’uno con l’altro.
M a allora quanti si occupano di cose inutili ricerchino se c’è
qualche somiglianza del Figlio con le creature o se possono tro­
vine negli esseri creati ciò che è nel Figlio, perché possano aver
l’ardire di affermare che anche il Logos di Dio è creatura9. Ma
nulla potranno trovare costoro che son disposti a tutto ed errano
riguardo alla retta fede: infatti nulla c’è di onnipotente fra le
creature e niente è sotto il dominio di un altro. Infatti ogni cosa
appartiene a Dio: « I cieli raccontano la gloria di Dio. Appartiene
ili Signore la terra e la sua pienezza. Il mare vide e fuggì» (Ps.
18, 2; 23, 1; 113, 3). E tutto l’universo è servo di colui che lo ha
lutto, fa il suo volere e ubbidisce al suo ordine. Invece il Figlio è
onnipotente come il Padre, e questo è stato scritto e dimo-
Ktrato. Ancora, fra le cose create non c’è nulla che sia immu-
lubile per natura. Infatti anche alcuni degli angeli non stettero al
loro posto e gli astri non sono puri al suo cospetto (lob 25, 5 )10.
Anche il diavolo è caduto dal cielo e Adamo ha trasgredito, e
ogni cosa è soggetta ad alterarsi. Invece il Figlio è immutabile e
inalterabile, come il Padre. Queste verità anche Paolo ha ripreso
dttl salmo 101, che dice: «T u in principio, Signore, hai fondato
lu terra e opera delle tue mani sono i cieli. E ssi cadranno in
rovina, tu invece rimarrai. Tutti invecchieranno come un vesti­
lo, e tu come un mantello li cambierai ed essi saranno cambiati.
204 ATANASIO

ετη σου ούκ έκλείψουσι» (Ps. 101, 26-8; Ερ. Hebr. 1, 10-2).
και πάλιν λέγ ει· «Ίησοΰς Χριστός χθές καί σήμερον ό αύτός
καί είς τούς αιώνας» (Ερ. Hebr. 13, 8 ).
4. Κ α ί πάλιν τά γενητά πάντα ούκ ήν, καί γέγονε. τήν γ
γήν, ώς ούδέν, έποίησε καί « ό καλών τά μή δντα ώς δντα»
(Ερ. Rom. 4, 17), καί ποιήματα δέ έστι και κτίσματα· διά
τοΰτο γάρ καί άρχήν εχει τοΰ γενέσθαι· «έν άρχή γάρ έ-
ποίησεν ό θεός τόν ούρανόν καί τήν γ η ν » (Gen. 1 , 1 ), καί
πάντα τά έν αύτοΐς- καί π ά λιν « ή χείρ μου έποίησε ταΰτα
πάντα» (Is. 6 6 , 2 ). ό δέ υιός ών έστι καί έπί πάντων θεός, ώς
ό πατήρ· καί τοΰτο ουτω δέδεικται· καί ού ποιούμενός έστιν,
άλλά π οιώ ν καί ού κτιζόμενος, άλλά κτίζων καί ποιών τά
έργα τοΰ πατρός. δ ι’ αύτοΰ γάρ οί αιώνες γεγόνασι· καί πάν­
τα δι’αύτοΰ έγένετο· καί χωρίς αύτοΰ έγένετο ούδέ εν
(Ευ. Ιο. 1, 3)· ώς δέ άπόστολος έδίδαξε τό έν τώ ψαλμώ,
αύτός κατ’ άρχάς τήν γήν έθεμελίωσε, καί έ'ργα τών χειρών
αύτοΰ είσιν οί ούρανοί.
Κ α ί πάλιν τών κτισμάτων ούδέν έστι τή φύσει θεός· ά λλ’
έκαστον τών γενομένων δ καί γέγονε, τοΰτο καί έκλήθη· τό
μέν ούρανός, αλλο δέ γή· καί οΐ μέν φωστήρες, τά δέ άστρα*
καί άλλα θάλασσα καί άβυσσοι καί τετράποδα* καί λοιπόν,
άνθρωπος* καί πρό τούτων άγγελοι, καί άρχάγγελοι, χερου­
β ίμ , σεραφίμ, καί δυνάμεις, άρχαί, έξουσίαι, κυριότητες, πα­
ράδεισος* καί ούτως έκαστον διαμένει. Ε ί δέ καί θεοί τινες
έκλήθησαν, ά λ λ’ ού τή φύσει άλλά τή μετουσία τοΰ υΐοΰ.
ουτω γάρ καί αύτός εΐπεν* « ε ί έκείνους εΐπεν θεούς, πρός οΰς
ό λόγος τοΰ θεοΰ έγένετο» (Εν. Ιο. 10, 35). διό, μή δντες τή
φύσει θεοί, έ'στιν δτε τινές τρέπονται, άκούοντες· «έγ ώ είπα·
θεοί έστε καί υιοί ύψίστου πάντες· ύμεΐς δέ, ώς άνθρωποι,
άποθνήσκετε» (Ps. 81, 6 ). τοιοΰτος ήν ό άκούσας· «σύ δέ εΐ
άνθρωπος, καί ού θεός» (Ps. 81, 7). ό δέ υιός θεός άληθινός
έστιν, ώς ό πατήρ, έν αύτώ γάρ έστιν, καί ό πατήρ έν τώ
υίώ* καί ό μέν Ιωάννης ίγραψεν, ώς δέδεικται* ό δέ Δαβίδ
ψάλλει* «ό θρόνος σου, ό θεός, εις αιώνα αίώνος* ράβδος
SECONDA LETTERA A SERAPIONE 205

Tu invece sei lo stesso e i tuoi anni non verranno m eno» (Pi.


101, 26-8; Ep. Hebr. 1, 10-2). E a sua volta egli dice: «G esù
Cristo, lo stesso ieri oggi e nei secoli» (Ep. Hebr. 13, 8 ).
4. Inoltre, tutto ciò ch’è stato fatto prima non esisteva e
stato fatto. Fece infatti la terra, che prima non esisteva, ed è
«colui che chiama le cose che non sono all’esistenza» (Ep. Rom.
4, 17), e vengono fatte e create. Per questo hanno anche un
inizio del loro esistere. Infatti «in principio Dio ha fatto il cielo
e la terra» (Gen. 1, 1) e tutto ciò che in essi si trova; e ancora:
«L a mia mano ha fatto tutte queste cose» (is. 6 6 , 2 )11. Ma il
Figlio è Colui che è ed è Dio su tutti, come il Padre, e anche
questo è stato dimostrato: non viene fatto ma fa, non viene crea­
to ma crea e fa le opere del Padre. Per mezzo di lui infatti sono
stati creati i tempi e tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza
di lui nulla è stato fatto (Ev. Io. 1, 3). Come ci ha insegnato
l’apostolo per mezzo del salmo, egli all’inizio ha fondato la terra
c opera delle sue mani sono i cieli.
D ’ altra parte, nessuna delle creature per natura è Dio, ma
ciascuna delle cose create, come è stata creata, cosi viene anche
chiamata: una cosa è il cielo, un’ altra la terra, una cosa le stelle e
gli astri, un’altra il mare, gli abissi e i quadrupedi e, per finire,
l’uomo. E prima di questi, angeli, arcangeli, cherubini, serafini,
i' potenze, principati, dominazioni, potestà, e il paradiso. E così
ogni cosa continua ad esistere. Se poi alcuni sono stati chiamati
anche d e i12, non lo sono per natura ma per partecipazione al
Figlio, come infatti anch’egli ha detto: «S e ha chiamato dei
quelli ai quali fu rivolta la parola di D io ...» (Ev. Io. 10, 35).
Perciò, dato che non sono dei per natura, succede che alcuni
subiscano mutamento, ad udire: « Io ho detto: “ Siete tutti dei e
figli dell’Altissimo; ma voi, in quanto uomini, morirete” » (Pi.
81, 6 ). Tale fu colui che si sentì dire: «M a tu sei uomo, e non
D io» (Ps. 81, 7). Invece il Figlio è Dio vero, come il Padre.
Infatti è in lui, e il Padre è nel Figlio: lo ha scritto Giovanni,
come abbiamo dimostrato, e Davide canta: « Il tuo trono, Dio,
2θ6 ATANASIO

εύθύτητος ή ράβδος τής βασιλείας σου» (Ps. 44, 7)· καί ό προ­
φήτης δέ Ήσαΐας βοά· « έκοπίασεν Αίγυπτος καί έμπορία
Α ίθιόπω ν καί οί Σαβα είμ άνδρες υψηλοί έπί σέ διαβήσονται,
καί άκολουθήσουσιν οΐ όπίσω σου δεδεμένοι χειροπέδαις, καί
προσκυνήσουσί σοι, δτι έν σοί ό θεός. σύ γάρ εί ό θεός τοΰ
Ισρα ήλ, καί ούκ ήδειμεν» (Is. 45, 14-5). τίς δή έστιν ό θεός,
έν ώ ό θεός, εί μή ό υίός ό λέγω ν· «έγ ώ έν τώ πατρί, καί ό
πατήρ έν έμοί έστιν» (Εν. Ιο. 14, 10);
5. Τ ίς , τούτων δντων καί γεγραμμένων, ού σύνορά, έπεί
τών μέν κτισμάτων ούδέν δμοιον ό υίός εχει, πάντα δέ τά τοΰ
πατρός τοΰ υίοΰ έστιν, δτι όμοούσιος αν εΐη ό υίός τώ πατρί;
ώσπερ γάρ, εί τών κτισμάτων τινά είχεν ομοιότητα καί πρός
αύτά τινα είχε συγγένειαν, όμοούσιος αν αύτοΐς ή ν οΰτως
άλλότριος μέν ών κατ’ ούσίαν τών γενητών, ίδιος δέ τοΰ πα­
τρός λόγος, ούκ άλλος ών ουτος έκείνου, έπειδή καί αύτοΰ
έστιν ΐδια πάντα τα τοΰ πατρός, όμοούσιος εικότως άν εΐη τω
πατρί. οΰτω γάρ καί οΐ πατέρες νοήσαντες, ώμολόγησαν έν τή
κατά Νίκαιαν συνόδω όμοούσιον καί έκ της ούσίας τοΰ πα­
τρός τόν υίόν. συνεΐδον γάρ καλώς δτι κτιστή ούσία ού δύνα-
ται αν ποτε είπ εΐν «πάντα, δσα εχει ό πατήρ, έμά έστιν»
(Εν. Ιο. 16, 15). άρχήν γάρ εχουσα τοΰ γίνεσθαι, ούκ έχει τό
ών καί τό ήν άϊδίως. καί διά τοΰτο, έπειδή ταΰτ’ εχει ό υίός
καί πάντα δέ τά προειρημένα τοΰ πατρός τοΰ υίοΰ έστιν, ά·
νάγκη μή κτιστήν είναι τήν ούσίαν τοΰ υίοΰ, άλλ’ όμοούσιον
τώ πατρί. άλλως τε καί κατά τοΰτο ούκ αν εΐη κτιστή ούσία,
δεκτική τών ιδίων τοΰ θεοΰ. ίδια δέ αύτοΰ έστιν, έξ ών
γινώσκεται ό θεός, οΐον τό παντοκράτωρ, τό ών, τό άναλ-
λοίωτον, καί τά ετερα τά προειρημένα, ΐνα μή όμοούσιος τών
κτισμάτων αύτός ό θεός φαίνηται κατά τούς άφρονας, εχων
οίπερ καί τά κτίσματα εχειν δύναται.
6 . Καί οΰτω δ ’ άν τις διελέγξειε τήν άσέβειαν τών λεγόν-

των κτίσμα είναι τόν τοΰ θεοΰ λόγον, ή πίστις ήμών εις πατέ­
ρα καί υίόν καί άγιον πνεΰμά έστι, λέγοντος αύτοΰ τοΰ υίοΰ
SECONDA LETTERA A SERAPIONE 207

nei secoli dei secoli. Scettro di equità è lo scettro del tuo regno »
(Ps. 44, 7). E il profeta Isaia proclama: « S i sono affaticati gli
egiziani e i commercianti etiopi; e gli alti sabei passeranno a te,
ti seguiranno in catene e ti adoreranno, perché in te è Dio. In­
fatti tu sei il Dio d’Israele e non lo sapevam o» (Is. 45, 14-5)13.
M a chi è il Dio in cui è Dio, se non il Figlio che dice: «Io sono
nel Padre e il Patire è in m e» (Ev. Io. 14, 10)?
5. Poiché le cose stanno così e così sono state scritte, dato
che il Figlio nulla ha di simile con le creature e invece tutto ciò
che è del Padre è del Figlio, chi non vede che il Figlio è consu­
stanziale al Padre? Come infatti, se avesse somiglianza e paren­
tela con le creature, sarebbe ad esse consustanziale, così, dato
che per sostanza è estraneo alle creature e invece è il Logos pro­
prio del Padre e non altro rispetto a quello, perché tutto ciò che
è del Padre è anche suo, per questo egli a buon diritto deve
essere consustanziale al Padre14. Così infatti anche i padri nel
concilio di Nicea furono dell’opinione e convennero che il Figlio
è consustanziale e deriva dalla sostanza del Padre15. Infatti ben
sapevano che una sostanza creata non potrà mai dire: «T utto ciò
che ha il Padre, è m io» (Ev. Io. 16, 15). Poiché infatti essa inizia
ad essere, non possiede in sé né l’essere né l’esistere dall’eterni­
tà. M a proprio per questo, perché il Figlio ha queste proprietà e
tutto ciò che abbiamo detto essere del Padre è del Figlio, ne
discende necessariamente che la sostanza del Figlio non è creata
ma consustanziale al Padre. Per altri motivi e per questo non può
essere sostanza creata, perché accoglie le proprietà caratteristi­
che di Dio, ed è suo proprio ciò da cui si conosce Dio, p.es.,
l’onnipotenza, l’essere, l’immutabilità, e le altre proprietà dette
sopra, perché D io non sembri consustanziale alle creature, come
vogliono gli stolti16, quasi avesse ciò che anche le creature pos­
sono avere.
6 . In questo modo uno può confutare l’empietà di quanti af­

fermano che il Logos di Dio è creatura. La nostra fede è nel


Padre, nel Figlio e nello Spirito santo, dato che proprio il Figlio
2θ 8 ATANASIO

τοΐς άποστόλοις· « πορευθέντες, μαθητεύσατε πάντα τά εθνη,


βαπτίζοντες αύτους είς τό δνομα τοΰ πατρός καί τοΰ υίοΰ καί
τοΰ αγίου πνεύματος » (Εν. Matth. 28, 19). είπε δε ούτως, ΐνα
έξ ών οϊδαμεν, άπό τούτων νοώμεν καί περί τών προειρημέ­
νων. ώσπερ ούν ούκ Scv εΐποιμεν τους πατέρας ποιητάς, άλλα
γεννήτορας, καί αύτους δέ ήμάς ούκ άν είποι τις κτίσμα πα­
τέρων, άλλά υιούς φύσει, καί όμοουσίους τών πατέρων
ούτως, εί πατήρ ό θεός, πάντως υίοΰ φύσει καί όμοουσίου έ­
στί πατήρ. Α βρα ά μ γοΰν ούκ έκτισε τόν Ισα άκ, ά λλ’ έγέν-
νησε· Βεσελεήλ δέ καί Έ λ ιά β ούκ έγέννησαν, ά λλ’ έποίη-
σαν πάντα τά Ιργα τά έν τή σκηνή (Ex. 36, 1). καί ναυπηγός
δέ καί οικοδόμος ού γεννώσιν α ποιοΰσιν, ά λλ’ έκαστος έρ-
γάζεται, ό μέν τό σκάφος, ό δέ τήν οίκίαν. ό μέντοι Ισαάκ
ού ποιεί, άλλά γεννά φύσει καί όμοούσιον τόν Ια κ ώ β· καί ό
Ια κ ώ β δε οίίτως τόν Ιούδαν καί τους άδελφούς αύτοΰ.
ώσπερ ούν μαίνοιτ’ άν τις λέγων τήν οίκίαν όμοούσιον τοΰ
οικοδόμου καί τό σκάφος τοΰ ναυπηγοΰ, οΰτως πρεπόντως άν
τις ειποι πάντα υιόν όμοούσιον είναι τοΰ έαυτοΰ πατρός.
Ε ί τοίνυν πατήρ έστι καί υιός, ανάγκη τόν υίόν φύσει καί
άληθείφ είναι υίόν. τοΰτο δέ έστι τό όμοούσιον είναι τώ πα­
τρί, ώς έκ πολλών έδείχθη. άμέλει περί μέν τών ποιη­
μάτων· «αύτός είπε, καί έγενήθησαν· αύτός ένετείλατο,
καί έκτίσθησαν» (Ps. 148, 5), περί δέ τοΰ υίοΰ· « έξηρεύξατο ή
καρδία μου λόγον αγαθόν » (Ps. 44, 2 ). ό δέ Δανιήλ οίδεν υίόν
τοΰ θεοΰ, οίδε καί τά εργα τοΰ θεοΰ· καί τόν μέν υίόν είδε
δροσίζοντα τήν κάμινον (Da». 3, 49-50)· περί δέ τών έργων
είρηκώς· «εύλο γεϊτε, πάντα τά εργα κυρίου, τόν κύριον»
έκαστον μέν τών κτισμάτων κατέλεξε (Dan. 3, 57 sgg.), τόν δέ
υίόν ού συνηρίθμησε τούτοις, είδώς δτι ούκ έστιν έργον, άλ­
λα δ ι’ αύτοΰ γέγονε μέν τά έ'ργα, έν πατρί δέ υμνούμενος καί
ύπερυψούμενός έστιν. ώσπερ ούν δ ι’ αύτοΰ άποκαλύπτεται ό
θεός τοΐς γινώσκουσιν, οΰτως δ ι’ αύτοΰ ή εύλογία καί ό ύμνος
καί ή δόξα καί τό κράτος όμολογεΐται τώ πατρί δ ι’ αύτοΰ καί
SECONDA LETTERA A SERAPIONE 209

dice agli apostoli: «A ndate e insegnate a tutti i popoli, battez­


zandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo» (Ev.
Mattò. 28, 19). Parlò cosi perché noi da ciò che sappiamo potes­
simo comprendere anche ciò che abbiamo detto prima. Come
infatti non potremmo definire un padre creatore bensì genitore,
e nessuno dirà che noi siamo creatura dei nostri padri bensì figli
per natura e consustanziali ai padri, così, se Dio è Padre, egli è
certamente Padre del Figlio per natura, che gli è consustanziale17.
Così Abramo non ha creato Isacco ma lo ha generato, e di contro
Beseleele ed Eliab non generarono ma fecero tutti gli oggetti che
stavano nel Tabernacolo (Ex. 36, 1). Così un costruttore di navi
e uno di case non generano ciò che fanno ma ognuno le costrui­
sce, quello la nave, questo la casa. Invece Isacco non fa ma gene­
ra per natura Giacobbe che gli è consustanziale, e Giacobbe a
sua volta G iuda e i suoi fratelli. Come dunque uno sarebbe paz­
zo a dire che la casa è consustanziale all’architetto e la nave al
carpentiere, invece ben a ragione uno può dire che ogni figlio è
consustanziale a suo padre.
Se perciò essi sono il Padre e il Figlio, ne consegue che il
Figlio debba esser tale per natura e verità. Questo significa es­
sere consustanziale al Padre, come abbiamo più volte dimostrato.
Del resto, riguardo alle creature è scritto: «E g li disse e furono
fatte, egli ordinò e furono create» (Ps. 148, 5); invece riguardo al
Figlio: « I l mio cuore ha emesso una buona parola» (Ps. 44,
2 ) ιβ. E Daniele conosce il Figlio di Dio e conosce anche le
opere di Dio: ha visto il Figlio di Dio che irrigava di rugiada la
fornace (Dan. 3, 49-50); invece, riguardo alle creature, quando
disse: «Benedite voi tutte, opere del Signore, il Signore» ed enu­
merò ognuna delle creature (Dan. 3, 57 sgg.), non numerò insie­
me con esse il Figlio, perché sapeva che egli non è un’opera, ma
per suo mezzo sono state fatte le opere, così che è celebrato e
superesaltato nel Padre. Come perciò per mezzo di lui Dio si
rivela a quelli che lo conoscono, così per mezzo di lui benedizio­
ne, inno, gloria, potenza sono riconosciute al Padre, per mezzo
210 ATANASIO

έν αύτώ, ΐνα καί εύπρόσδεκτος ή τοιαύτη όμολογία γένηται,


ώς αΐ γραφαί λέγουσιν. έκ πολλών μέν ούν καί έκ τούτων
δέδεικται και δείκνυται άσεβής ό λέγων κτίσμα είναι τον τοΰ
θεοΰ λόγον.
7. Ά λ λ ’ έπειδή προφασίζονται τό έν ταΐς Παροιμίαις γ
γραμμένον τό «κύριος εκτισέ με άρχήν όδών αύτοΰ εϊς εργα
αύτοΰ» (Prov. 8 , 22), καί έπιλέγουσιν έαυτοΐς· « Ιδ ο ύ έκτισε,
καί κτίσμα έσ τίν», άναγκαΐόν έστι καί έκ τούτου δεΐξαι
δσον πλανώνται, μή είδότες τόν σκοπόν της θείας γραφής.
ΕΕ μέν οΰν υιός έστι, μή λεγέσθω κτίσμα· ει δέ κτίσμα,
μή λεγέσθω υιός. δέδεικται γάρ έν τοΐς εμπροσθεν οση διαφο­
ρά έστι κτίσματος καί υίοΰ. καί έπειδή ή τελείωσις ούκ εις
κτίστην καί κτίσμα, ά λλ’ είς πατέρα καί υιόν κρατεί, ά­
νάγκη μή λέγεσθαι κτίσμα, ά λλ’ υιόν τόν κύριον, ού γέγραπ-
ται ούν, φησί. ναι γέγραπται, καί άναγκαίως εΐρηται· άλλα
κακώς νοοΰσι τό καλώς είρημένον οΐ αιρετικοί, ει γάρ ένόουν
καί έγίνωσκον τόν χαρακτήρα τοΰ Χριστιανισμοΰ, ούκ αν τόν
κύριον τής δόξης ελεγον κτίσμα είναι, ούδέ προσέκοπτον τώ
γεγραμμένω καλώς, έκεΐνοι μέν ούν « ούκ εγνωσαν, ούδέ
συνήκαν», διά τοΰτο, ώς γέγραπται, «έν σκότω διαπορεύον-
τ α ι» (Ps. 81, 5; Εν. Ιο. 12, 35). ήμας δε δμως άναγκαΐόν εί-
πεΐν, ΐν ’ έκεΐνοι μέν καί έν τούτω δειχθώσιν άφρονες, ήμεΐς
δέ μή παραλίπωμεν τόν κατά τής άσεβείας αύτών έλεγχον,
ίσως καί αύτοί μεταγνώσιν.
Ό χαρακτήρ τοίνυν τής έν Χριστώ πίστεώς έστιν ούτος,
τόν υιόν τοΰ θεοΰ, λόγον δντα θεόν (« έ ν άρχή γάρ ό λόγος,
καί θεός ήν ό λόγος» [Εν. Ιο. 1 , 1]), σοφίαν δντα καί δύναμιν
τοΰ πατρός («Χ ρισ τός γάρ θεοΰ δύναμις καί θεοϋ σοφία» [I
Ερ. Cor. 1 , 2 4 ]), τούτον έπί συντελεία τών αΕώνων άνθρωπον
γεγενήσθαι διά τήν ήμετέραν σωτηρίαν, αύτός γάρ ό Ιω ά ν ­
νης, είρηκώς «έν άρχή ήν ό λόγος», μ ε τ’ όλίγα είπε· «κ α ί
ό λόγος σαρξ έγένετο» (Εν. Ιο. 1, 14), ίσον τώ είπεϊν, ανθρω-
SECONDA LETTERA A SERAPIONE 211

di lui e in lui, perché tale professione sia bene accetta, come


dicono le Scritture. Con questi e con molti altri argomenti si è
dimostrato e si dimostra che è empio colui che afferma che il
Logos di Dio è creatura.
7. M a poiché essi prendono a pretesto il passo dei Proverb
cui è scritto: « Il Signore mi ha creato inizio delle sue vie per le
sue opere» (Prov. 8 , 22) e vi aggiungono di suo: «E cco, lo ha
creato, perciò è creatura», è necessario dimostrare anche di qui
quanto si sbaglino, perché non conoscono il fine cui mira la Sa­
cra Scrittura.
Se è Figlio, non può esser definito creatura; se è creatura, non
può esser definito Figlio, poiché abbiamo sopra dimostrato
quanta differenza ci sia fra la creatura e il Figlio19. E poiché il
battesimo ha efficacia non nel nome del creatore e della creatura,
ma nel nome del Padre e del Figlio, ne consegue che il Signore
debba essere definito Figlio e non creatura. M a non è scritto
così, essi obiettano20. Sì, invece: è scritto e necessariamente è
detto; ma gli eretici interpretano male ciò che è scritto bene. Se
infatti comprendessero e conoscessero il carattere distintivo del
cristianesimo, non definirebbero creatura il Signore della gloria
né troverebbero motivo di errore in ciò che è scritto bene. C o­
storo «non hanno conosciuto né compreso», perciò - com’è
scritto - « s i trovano nelle tenebre» (Ps. 81, 5; Ev. Io. 12, 35). A
noi tuttavia corre l’obbligo di parlare, perché si dimostri anche
in questo la loro stoltezza. Perciò non tralasceremo la confuta­
zione della loro empietà, e chissà che forse essi non abbiano a
cambiate opinione.
Il carattere distintivo della fede in Cristo è questo21: il F i­
glio di Dio, ch’è Logos Dio - «In principio, infatti era il Logos,
e il Logos era D io » (Ev. Io. I, 1) - , che è sapienza e potenza del
Padre - «C risto infatti è potenza di Dio e sapienza di D io» (1
Ep. Cor. 1, 24) - , alla fine dei tempi si è fatto uomo per la nostra
salvezza. Infatti Giovanni, dopo aver detto: «In principio era il
Logos», poco dopo ha aggiunto « e il Logos si fece carne» (Ev.
212 ATANASIO

πος γεγονε. καί ό μέν κύριος περί έαυτοΰ ελεγε- «τ ( με ζητείτε


άποκτεΐναι, άνθρωπον δς τήν άλήθειαν ΰμϊν λελάληκα; » (Εν.
Ιο. 7, 2 0 ; 8 , 40), ό δέ Παΰλος, παρ’ αύτοΰ μαθών, ελ εγ εν
« εις θεός, είς καί μεσίτης θεοΰ καί άνθρώπων, άνθρωπος Χ ρ ι­
στός Ίησοΰς» (2 Ep. Tim. 2 , 5), άνθρωπος δέ γενόμενος καί
οίκονομήσας τά άνθρώπινα, τροπώσας τε καί καταργήσας τον
καθ’ ήμών θάνατον, κάθηται νΰν έν δεξι$ τοΰ πατρός, έν
αύτώ ών καί τοΰ πατρός δντος έν αύτώ, ώσπερ ήν άεί, καί
εστι διαπαντός.
8. Ό μέν χαρακτήρ ουτος έκ τών άποστόλων διά τώ
πατέρω ν δ ει δέ λοιπόν, έντυγχάνοντα τη γραφή, δοκιμάζειν
καί διακρίνειν, πότε μέν περί τής θεότητος τοΰ λόγου λέγ ει,
πότε δέ περί τών άνθρωπίνων αύτοΰ, ινα μή ετερα άνθ’
έτέρων νοοΰντες παραπαίωμεν, οΐα πεπόνθασιν οί Άρειανοί.
"Ωσπερ τοίνυν, λόγον αύτόν είδότες, ο’ιδαμεν δτι « δ ι’
αύτοΰ τά πάντα έγένετο, καί χωρίς αύτοΰ έγένετο ούδέ
εν » (Εν. Ιο. 1, 3) καί «τω λόγω κυρίου οί ούρανοί έστερεώ-
θησαν» (Ps. 32, 6 ) καί «άποστέλλει τόν λόγον αύτοΰ, καί
ίάται τά πάντα» (Ps. 106, 20)· καί σοφίαν δέ αύτόν είδότες,
οίδαμεν οτι ό θεός τη σοφία έθεμελίωσε τήν γην, καί πάντα
έν σοφία έποίησεν ό πατήρ (Prov. 3, 19; Pi. 103, 24)· και θεόν
δέ αύτόν είδότες, πεπιστεύκαμεν δτι αύτός έστιν ό Χριστός*
« ό θρόνος σου γάρ ό θεός» αδει Δαβίδ «ε ίς αιώνα αίώνος·
ράβδος εύθύτητος ή ράβδος της βασιλείας σου. ήγάπησας δι­
καιοσύνην καί έμίσησας άδικίαν* διά τοΰτο ?χρισέ σε ό θεός, ό
θεός σου, ελαιον άγαλλιάσεως παρά τούς μετόχους σου» (Ps.
44, 7-8). καί έν μέν τώ Ήσαΐςι αυτός περί έαυτοΰ λέγει·
« πνεύμα κυρίου έπ’ έμέ, ού εΐνεκεν εχρισέ μ ε » (Is. 61, 1). ό δέ
Πέτρος ώμολόγησεν δτι «συ εί ό Χριστός ό υίός τοΰ θεοΰ τοΰ
ζώντος» (Εν. Mattò. 16, 16).
Ούτως είδότες αύτόν άνθρωπον γενόμενον, ούκ άρνού-
μεθα τά περί αύτοΰ άνθρωπίνως λεγόμενα, οΓά έστι τό
πεινάν, τό διψάν, τό ραπισθηναι, τό δακρΰσαι, τό κοιμηθήναι,
καί τέλος τώ σταυρώ άναδέξασθαι τόν υπέρ ήμών θάνατον
SECONDA LETTERA A SERAPIONE 213

Io. 1, 14), che è come dire: diventò uomo. E il Signore dice di


sé: «Perché cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la
verità?» (Ev. Io. 7, 2 0 ; 8 , 40); e Paolo, che aveva appreso da lui,
scrive: «U n solo Dio, un solo mediatore fra Dio e gli uomini,
Cristo Gesù uom o» (1 Ep. Tim. 2, 5). Diventato uomo e avendo
operato da uomo, dopo aver volto in fuga e annientato la morte
ch’era contro di noi, siede ora alla destra del Padre, essendo egli
nel Padre e il Padre in lui, come da sempre cosi per sempre.
1 fc-Qaesto è il segno distintivo della nostra fede, che ci deriva

dagli apostoli per tramite dei padri. Per il resto, quando abbiamo
a che fare con la Scrittura, dobbiamo esaminare e distinguere
quando essa parla della divinità del Logos e quando invece del­
la sua umanità, per evitare che, interpretando in un modo piut­
tosto che nell’altro, cominciamo a sragionare come succede agli
ariani22.
Così, sapendo che egli è il Logos, sappiamo che «tutto è stato
fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto» (Ev. Io.
1, 3), e: «D alla parola del Signore sono stati consolidati i cieli»
(Ps. 32, 6 ), e «M anda la sua parola e sana tutte le cose» (Ps. 106,
20). E sapendo che egli è la Sapienza, sappiamo che Dio con la
sapienza ha fondato la terra e che il Padre nella sapienza ha fatto
tutte le cose (Prov. 3, 19; Ps. 103, 24). E sapendo che egli è Dio,
crediamo che egli è il Cristo25: infatti « Il tuo trono, o Dio -
canta Davide - nei secoli dei secoli. Scettro di equità è lo scettro
del tuo regno. H ai amato la giustizia e hai odiato l’iniquità. Per
questo ti ha unto Dio, il tuo Dio, con olio di esultanza più dei
tuoi com pagni» (Ps. 44, 7-8). E in Isaia egli dice di sé stesso:
«L o Spirito del Signore su di me: per questo mi ha unto» (Is. 61,
I). E Pietro proclamò: «T u sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo»
(Ih. Matth. 16, 16).
Così, sapendo che egli si è fatto uomo, non respingiamo ciò
che la Scrittura dice di lui in forma umana, come aver fame, aver
sete, essere percosso, piangere, dormire, e in ultimo ricevere la
morte in croce per noi. Infatti tutto questo è stato scritto di lui.
214 ATANASIO

ταΰτα γάρ πάντα περί αύτοΰ γέγραπται. οΰτως καί τό «έκτι-


σεν» άνθρώποις άρμόζον ούκ άπέκρυψεν ή γραφή ά λλ’ εϊ-
ρηκεν. έκτίσθημεν γάρ και πεποιήμεθα οί άνθρωποι, ά λλ’
ώσπερ άκούοντες· έπείνασεν, έκοιμήθη, έρραπίσθη, ούκ άρ-
νούμεθα αύτοΰ τήν θεότητα· ούτως άκούοντας τό « Ικτισεν »
άκόλουθον άν εΐη μνημονεύειν δτι, θεός ών, έκτίσθη άνθρω­
πος. άνθρώπων γάρ ίδιον τό κτίζευθαι, ώσπερ καί τά προειρη­
μένα, τό πεινάν, καί τά δμοια.
9. Κ αί γάρ κάκεΐνο πάλιν τό καλώς μεν εϊρημένον, κακ
δέ νοούμενον παρ’ αύτοΐς· φημί δή τό «π ερί τής ημέρας ή τής
ώρας έκείνης ούδείς οίδεν, ούδέ οί άγγελοι, ούδέ ό υιός»
(Εν. Marc. 13, 32) καλόν έχει τόν νοΰν. έκεΐνοι μέν γάρ νομίζου-
σιν έκ τοΰ λέγειν «ούδέ ό υίός» δτι άγνοών δηλοΐ δτι κτίσμα
έστίν. ούκ εστι δέ ούτως· μή γένοιτο· καί γάρ ώσπερ λέγων
«έκτισέ μ ε » άνθρωπίνως εϊρηκεν, ούτως λέγων «ούδέ ό υίός»
άνθρωπίνως ειρηκε. καί τό αίτιον τοΰ οΰτως είρηκέναι έχει
τό εύλογον, έπειδή γάρ άνθρωπος γέγονεν, ώς γέγραπται, άν­
θρώπων δέ ίδιον τό άγνοεΐν, ώσπερ καί τό πεινάν καί τά άλλα
(ού γάρ γινώσκουσιν, έάν μή άκούσωσι καί μάθωσι), διά
τοΰτο καί τήν άγνοιαν τών άνθρώπων, ώς άνθρωπος γεγονώς,
έπιδείκνυται* πρώτον μέν, ΐνα δείξη δτι άληθώς άνθρώπινον
έχει σώμα· έπειτα δέ, ΐνα καί, τήν άγνοιαν τών άνθρώπων έν
τώ σώματι έχων, άπό πάντων λυτρωσάμενος καί καθαρίσας,
τελείαν καί άγίαν παραστήση τω πατρί τήν άνθρωπότητα.
Ποίαν ετι πρόφασή εύρήσουσιν οί Ά ρειανοί; τί λοιπόν έπι-
νοήσαντες γογγύσουσι; κατεγνώσθησαν μή είδότες τό «κύριος
έκτισέ με είς έργα αύτοΰ». καί έδείχθησαν μή νοοΰντες τό
«π ερ ί δέ τής ήμέρας έκείνης ούδείς οίδεν, ούδέ οί άγγελοι,
ούδέ ό υίός». Κ αί γάρ ώσπερ λέγων μέν τό «έκ τισ ε», τό άν­
θρώπινον σημαίνει, δτι άνθρωπος γέγονε καί έκτίσθη· λέγων δέ
«έγ ώ καί ό πατήρ έν έσμεν» καί «ό έωρακώς έμέ έώρακε
SECONDA LETTERA A SERAPIONE 2 15

Cosi anche il « c r e ò » 24, che ben si adatta agli uomini, la Scrit­


tura non l’ha taciuto ma lo ha detto. Infatti noi uomini siamo
stati creati e fatti. M a come, a sentire che egli ha avuto fame, ha
dormito, è stato battuto, non neghiamo la sua divinità, così, a
sentire «creò », conseguentemente dobbiamo ricordare che, es-
Hendo Dio, è stato creato come uomo. Infatti l’essere creati è
proprio degli uomini, come l’aver fame e tutto quel che di tal
genere abbiamo detto sopra.
9. Ancora un altro passo che è detto bene, viene interpret
male dagli ariani. Voglio dire che «Q uanto a quel giorno e a
ciuell’ora, nessuno li conosce, neppure gli angeli, neppure il F i­
glio» {Ev. Marc. 13, 32) ha un giusto significato25. Ma essi
ritengono che, avendo detto: «neppure il Figlio», egli, in quanto
ignorante, abbia rivelato di essere creatura. M a la cosa non sta
così. Non sia mai! Come infatti, dicendo: «M i ha creato», lo ha
detto in riferimento all’umanità, così anche, dicendo: «neppure
il Figlio», si è riferito alla sua umanità. E il motivo per cui ha
parlato così è logico. Poiché infatti, com’è stato scritto, è diven­
tato uomo, ed è proprio dell’uomo l’ignorare, come l’aver fame e
il resto (infatti l ’uomo non sa se non ascolta e apprende), così
egli, in quanto diventato uomo, ha dato a vedere anche l’igno-
runza propria degli uomini per questo motivo: in primo luogo,
per dimostrare di avere veramente un corpo umano; poi anche
perché, avendo nel corpo l’ignoran 2 a propria dell’uomo, dopo
aver mondato e purificato da tutto l’umanità, la presentasse al
Padre perfetta e santa.
Quale pretesto ancora troveranno gli ariani? Che altro escogi­
teranno e grideranno? Li abbiamo convinti di ignorare il signifi­
cato di « Il Signore mi ha creato per le sue opere», e abbiamo
dimostrato che non capiscono che cosa significhi: «Q uanto a
quel giorno, nessuno lo sa, neppure gli angeli, neppure il Figlio».
H come quando dice «m i creò», egli dà a vedere la sua umanità,
|>erché è diventato ed è stato creato uomo, così, quando dice:
«lo e il Padre siamo una cosa sola» e «C h i ha visto me ha visto il
2 l6 ATANASIO

τόν πατέρα» καί «έγ ώ έν τώ πατρί, καί ό πατήρ έν έμ ο ί»


(Εν. Ιο. 10, 30; 14, 9. 10), τήν άϊδιότητα καί τό πρός τόν πατέ­
ρα όμοούσιον σημαίνει- ούτως λέγων «ούδείς οίδεν, ούδέ ό
υ ιό ς», ώς άνθρωπος πάλιν λέγει· άνθρώπων γάρ ίδιον τό ά-
5 γνοεΐν. λέγων δέ «ούδείς οίδε τόν πατέρα εί μή ό υιός, ού­
δέ τόν υιόν εί μή ό πατήρ» (Εν. Matth. 11, 27), οιδε πολλώ
πλέον τά γενητά. οί μεν ούν μαθηταί έν τώ κατά Ίωάννην
ελεγον τώ κυρίω* «νΰν οΐδαμεν δτι πάντα οΐδας» (Εν. Ιο. 16,
30). εΰδηλον ούν δτι ούδέν έστιν δ άγνοεΐ, λόγος ών δι’ ου τά
ίο πάντα έγένετο. τών δε πάντων ούσα καί ή ήμερα έκείνη πάν­
τως δ ι’ αύτοΰ γενήσεται, καν διαρραγώσι μυριάκις τή εαυτών
άγνοία οί Ά ρειανοί.
SECONDA LETTERA A SERAPIONE 217

Padre» e « Io nel Padre e il Padre in m e» (Ev. Io. 10, 30; 14, 9.


10), dimostra la sua eternità e la consustanzialità col Padre. Così
quando dice: «N essuno lo sa, neppure il Figlio», egli parla di
nuovo come uomo. Infatti è proprio degli uomini l’ignorare. M a
quando dice: «N essuno conosce il Padre se non il Figlio, e nessu­
no conosce il Figlio se non il Padre» (Ev. Matth. 1 1 , 27), molto
di più egli conosce le creature26. Nel Vangelo di Giovanni i
discepoli dicono al Signore: «O ra sappiamo che tu sai tu tto»
(Ev. Io. 16, 30). E infatti evidente che non c’è nulla che egli
ignori, in quanto è il Logos per mezzo di cui tutte le cose sono
state create. E poiché fra tutte queste cose c’è anche quel gior­
no, anch’esso certamente sarà creato per mezzo di lui, anche se
gli ariani per la loro ignoranza andranno mille volte in malora.
8. Ilario, L a Trinità V i l i 41-56

L ’a2 Ìone con cui Ilario tentò di contrastare la politica filoariana di


Costanzo gli valse, a seguito del concilio di Béziers, l’esilio in Frigia
(356). Già prima egli aveva appoggiato con scritti la sua azione an­
tiariana, ma soltanto durante l’esilio in quella regione dell’Asia Mi­
nore, dove erano dominanti gli omeousiani, egli potè approfondire
la sua interpretazione dei temi relativi alla controversia, rielaboran­
do le vecchie formule di Tertulliano alla luce della teologia omeou-
siana, con risultati originali e profondi. Ben modesto appare invece
l’influsso esercitato su di lui da Atanasio. Rispetto a questo, se Ila­
rio ne condivide la fondamentale impostazione omousiana, assoluta-
mente dominante in occidente, eredita però dagli omeousiani la
preoccupazione di tenersi ugualmente lontano dagli estremismi del-
Γ arianesimo da una parte e del monarchianismo radicale dall’altra,
sì che la sua sintesi trinitaria risulta meglio equilibrata di quella di
Atanasio. Egli si trovò anche avvantaggiato dall’aver ereditato dalla
tradizione tertullianea alcune formule tecniche importanti: una so­
stanza divina partecipata dalle tre persone. In Tertulliano, alla loro
base c’era una concezione materialista di Dio, così da dar l’idea di
un sostrato divino diviso in più parti. Ma Ilario, che in oriente
aveva apprezzato lo spiritualismo origeniano, è attento a non incor­
rere in questa incongruenza e, pur non avendo alcuna simpatia per il
termine homoousios di cui avvertiva l’ambiguità, ne interpreta il
senso profondo nell’affermazione di un’unica natura divina spiritua­
le (Ilario preferisce natura a substantìa) articolata nelle persone del
Padre e del Figlio. Solo marginale è in lui l’attenzione per lo Spirito
santo, perché egli ritornò in occidente nel 360, proprio quando in
oriente si avevano le prime avvisaglie della controversia pneumato-
logica.
L ’opera in cui Ilario ha più compiutamente esposto la sua inter­
pretazione trinitaria è il de trinitate in 12 libri, scritti fra il 356 e il
LA TRINITÀ 219

360, durante l’esilio in Asia minore, probabilmente rielaborando in


modo unitario due scritti originariamente concepiti fra loro indipen­
denti. In essi ad una parte sintetica destinata all’esposizione positi­
va del rapporto Padre/Figlio (libri I-III) segue una lunga parte anali­
tica in cui Ilario esamina più da vicino gli argomenti prodotti dagli
avversari. Il lib. V ili tratta specificamente dell’unità del Padre e
del Figlio in polemica con la concezione ariana che affermava tale
unione soltanto sul piano morale e dinamico. Di tale libro riportia­
mo la parte finale, dove il tema viene esposto sulla base di alcuni
fondamentali passi neotestamentari, tra cui soprattutto Ep. Col. 1 ,
1?, che permette al nostro autore di approfondire il tema di Cristo
immagine di Dio, e Ep. Col. 2 , 8-9, che egli interpreta nel senso di
rilevare la perfetta divinità di Cristo nella compenetrazione totale
fra lui e il Padre.
Per il testo ilariano seguiamo l’edizione di P. Smulders, in Cor­
pus Christianorum LXII-LXIIA.

Ilario, vescovo di Poitiers, in G allia, intorno alla m età del IV secolo, fu


inviato in esilio di Frigia (Asia Minore) nel 336, per la sua opposizione agli
ariani moderati allora dominanti per l’appoggio dell’imperatore Costanzo. In
Asia entrò in contatto con ambienti omeousiani e fi maturò la sua concezio­
ne trinitaria. Tornato dall’esilio nel 360, capeggiò la reazione antiariana che
si ebbe in occidente sotto Giuliano l’apostata e negli anni successivi. Morì
intorno al 367. O ltre il de trinitate, ricordiamo il de synodis e, di argomento
esegetico, il Commento ai Salmi e il de mysteriis.

Bibliografia: P. Sm ulders, L a doctrine trinitaire de S. Hilaire de Poitiers, Roma


1944; J . Doignon, Hilaire de Poitiers avant l'exile, Paris 1971; A A .V V ., Hi-
laire et son temps, Paris 1969.
41. U na igitur fides est, Patrem in Filio, Filium in Patre
(Ev. Io. 14, 10) per inseparabilis naturae unitatem confiteri:
non confusam , sed indiscretam ; neque perm ixtam , sed in dif­
ferentem ; neque cohaerentem , sed existentem ; neque incon­
sum m atam , sed perfectam . N ativitas enim est, non divisio; et
Filius est, non adoptio; et D eus est, non creatio. N eque alte­
rius generis D eus est, sed Pater et Filius unum sunt (Ev. Io.
10, 30). N o n enim innovata est natura nascendo, ut ab origi­
nis suae proprietate esset aliena.
T enet hanc itaque m anentis in Patre Fili et Patris in Filio
fidem , unum D eum Patrem et unum Dom inum Christum sibi
esse apostolus praedicans (2 Ep. Cor. 8 , 6 ), cum in Dom ino
C hristo et D eus esset, et in D eo Patre esset et Dom inus, et
unum esset uterque quod D eus est, et unum esset uterque
quod Dom inus est: quia inperfectum et D eo, nisi Dom inus
sit, et D om ino intellegatur esse, nisi D eus sit. A dque ita,
cum uterque unus est et unus significatur in utroque et non
est uterque sine uno, non excedit evangelicam praedicatio­
nem apostolus docens, nec loquens in Paulo Christus diversus
ab his est, quae corporeus in m undo m anens locutus est.
42. D ixerat enim in evangeliis Dom inus: «O peram ini
escam non quae interit, sed escam quae perm anet in vitam
41. Una sola pertanto è la fede: professare che il Padre è nel
Figlio 1 e il Figlio è nel Padre (Ev. Io. 14, 10) per l’unità dell’inse­
parabile natura: unità non confusa ma senza divisione, non con
mescolanza ma senza differenza, non derivante da congiunzione
ma esistente di per sé, non priva di completezza ma perfetta. In­
fatti c’è nascita, non divisione; c’è il Figlio, non adozione; c’è
Dio, non creazione. Né Dio è di altro genere, ma il Padre e il
Figlio sono una cosa sola (Ev. Io. 1 0 , 30). Infatti la natura non si è
rinnovata col nascere, così da essere per proprietà diversa da quel­
la ch’era in origine.
H a perciò questa fede del Figlio ch’è nel Padre e del Padre
ch’è nel Figlio l’apostolo il quale predica che per lui c’è un solo
Dio Padre e un solo Signore Gesù Cristo (1 Ep. Cor. 8 , 6 )2: in­
fatti nel Signore Cristo c’è anche Dio, e in Dio Padre c’è anche il
Signore, e l’uno e l’altro sono una cosa sola ch’è Dio, e l’uno e
l’altro sono una cosa sola ch’è il Signore, perché dovremmo pensa­
re ad imperfezione per Dio se non ci fosse il Signore, e per il Si­
gnore se non ci fosse Dio. Invece così, poiché l’uno e l’altro sono
uno solo e uno solo è significato nell’uno e nell’altro e non c’è
l’uno e l ’altro senza l’uno, l’insegnamento di Paolo non si allonta­
na dalla predicazione del Vangelo, né Cristo che parla in Paolo è
diverso da ciò che ha detto, quando viveva col corpo nel mondo.
42. Aveva infatti detto il Signore nei Vangeli: «Procuratevi
non il cibo che perisce, ma il cibo che resta per la vita eterna,
222 ILARIO

aeternam , quam filius hominis dabit vobis. H unc enim Pater


signavit D eus. D ixerunt igitur ad eum: “ Q uid faciem us, ut
operem ur opera D e i?” . E t d ixit illis: “ H oc est opus D ei, ut
credatis ei quem m isit ille” » (Ev. Io. 6 , 27-9). Sacram entum
et corporationis et divinitatis suae D om inus exponens, fidei
quoque nostrae et spei doctrinam locutus est: ut escam non
intereuntem sed perm anentem in aeternum operaremur; ut
hanc aeternitatis escam dari nobis a filio hom inis m em inisse­
m us; ut filium hom inis signatum a D eo Patre scirem us; ut
hoc esse opus D ei noscerem us, credere in eum quem m isisset.
E t quis est, quem Pater m isit? N em pe quem signavit Deus.
E t quis est, quem signavit D eus? Filius utique hominis,
escam scilicet praebens vitae aeternae. E t qui tandem sunt,
quibus praebet eam ? Illi nam que qui operabuntur escam non
intereuntem . A dque ita quae opera escae est, eadem operatio
D ei est, in eum scilicet credidisse quem m isit. Sed haec lo ­
quitur filius hom inis. E t quom odo escam vitae aeternae filius
hom inis d abit? S ed sacram entum salutis suae nescit, qui ne­
scit filium hom inis dantem escam in vitam a D eo Patre esse
signatum . H ic nunc quaero, qui tandem intellegentiae sensus
sit, filium hom inis a Patre signatum D eo.
43. A c prim um cognosci oportet D eum non sibi sed no
locutum, et in tantum ad intellegentiam nostram eloquii sui
tem perasse serm onem , quantum conpraehendere ad sentien­
dum naturae nostrae posset infirm itas. N am que cum superius
increpitus a Iudaeis fuisset, cur se aequalem D eo, Filium se
D ei profitendo fecisset, responderat om nia se, quae faceret
Pater, facere; et om ne se a Patre adeptum esse iudicium;
etiam se, ut Patrem , honorandum (Ev. Io. 5, 18-23). E t in
his om nibus, professus ante se Filium , Patri se exaequaverat
honore p otestate natura. D ehinc dixerat, ut Patrem vitam in
se habere, ita eum Filio vitam in se habendam dedisse (Ev.
Io. 5, 26). In quo significaverat naturae eiusdem per sacra-
LA TRINITÀ 223

che darà a voi il Figlio dell’uomo. Questo infatti Dio Padre ha


contrassegnato col suo sigillo. Allora gli dissero: “ Che dobbiamo
fare per operare le opere di D io?” . E disse loro: “ Questa è l’ope­
ra di Dio, che crediate in colui ch’egli ha inviato” » (Ev. Io. 6 ,
2 7-9)3. Il Signore, spiegando il mistero della sua incarnazione e
della sua divinità, ci ha comunicato anche la dottrina della no­
stra fede e speranza, perché ci procurassimo cibo che non peri­
sce ma che dura per l’eternità, perché apprendessimo che questo
cibo di eternità ci è dato dal Figlio dell’uomo, perché sapessimo
che il Figlio dell’uomo è stato contrassegnato da Dio Padre, per­
ché venissimo a conoscenza che opera di Dio è credere in colui
ch’egli ha inviato. E chi è colui che il Padre ha inviato? Certo
colui che Dio ha contrassegnato. E chi è colui che Dio ha con­
trassegnato? Certo il Figlio dell’uomo, in quanto dà cibo di vita
eterna. E infine chi sono coloro ai quali egli dà tale cibo? Coloro
che si procureranno cibo che non perisce. Così l’effetto del cibo
è lo stesso che l’opera di Dio, cioè aver creduto in colui ch’egli
ha inviato. Ma questo lo dice il Figlio dell’uomo. E in che modo
il Figlio dell’uomo darà cibo di vita eterna? M a non conosce il
mistero della sua salvezza chi non sa che il Figlio dell’uomo, che
dà il cibo per la vita, è stato contrassegnato da Dio Padre4. Qui
perciò ora mi chiedo come si debba intendere che il Figlio
dell’uomo è stato contrassegnato da Dio Padre.
43. Per prima cosa bisogna sapere che Dio non ha parlato
sé ma a noi, e ha adattato la sua parola alla nostra intelligenza
tanto quanto potesse comprendere la naturale debolezza della
nostra mente. Infatti, poiché prima era stato ripreso dai giudei
perché, professandosi Figlio di Dio, si faceva uguale a Dio, egli
aveva risposto di fare tutto ciò che faceva il Padre, di aver rice­
vuto dal Padre tutto il giudizio, e di dover anche essere onorato
come il Padre (Ev. Io. 5, 18-23). E in tutto ciò, col professarsi
apertamente Figlio, si era fatto uguale al Padre per onore, pote­
re, natura. Poi aveva detto che, come il Padre ha la vita in sé,
così aveva dato al Figlio di avere la vita in sé (Ev. Io. 5, 26)’ , e
224 ILAJUO

m entum nativitatis unitatem . Per id enim quod habet Pater,


ipsum illum significavit in habendo: quia non humano modo
ex conpositis D eus est, ut in eo aliud sit quod ab eo habetur,
et aliud sit ipse qui habeat; sed totum quod est vita est, na­
tura scilicet perfecta et absoluta et infinita et non ex dispari-
bus constituta, sed vivens ipsa per totum . Q uae cum qualis
habetur, talis et d ata est, etsi nativitatem eius intellegatur
significare cui d ata est, non tam en diversitatem generis ad-
fert, cum talis d ata est, qualis et habetur.
44. Post hanc ergo tam m ultiplicem ac propriam dem on­
strandae in se paternae naturae significationem , usus hoc d ic­
to est: «H u n c enim Pater signavit D e u s» (Ev. Io. 6 , 27).
Signaculorum natura ea est, ut om nem inpressae in se speciei
explicent form am , et nihil minus ex eo in se habeant unde
signentur; et dum totum accipiunt quod inprim itur, totum ex
se praeferunt quidquid inpressum est. Verum hoc ad divinae
nativitatis non proficit exem plum , quia in signaculis et m ate­
ries sit et diversitas et inpressio, per quas m ollioribus naturis
validiorum generum species inprim untur. Unigenitus vero
D eus et per sacram entum salutis nostrae hominis filius, vo­
lens proprietatis nobis paternae in se significare speciem , si­
gnatum se a D eo ait. E t hoc ideo, quia vitae aeternae escam
filius hom inis esset daturus, ut per hoc potestas in eo dandae
ad aeternitatem escae intellegi posset, qui omnem in se pa­
ternae form ae plenitudinem signantis se D ei contineret: ut
quod signasset D eus non aliud ex se quam form am D ei si­
gnantis ecferret.
H aec quidem ad Iudaeos D om inus ob infidelitatem suam
dicti istius incapaces locutus est.
45. Sed nobis evangelii praedicator proprietatis huius in­
tellegentiam spiritu C hristi per se loquentis insinuat, dicens:
LA TRINITÀ 225

in questo aveva significato l’unità di natura in forza del mistero


della nascita. Infatti il Padre, proprio per ciò che ha, ha significa­
to il Figlio nell’avere, perché Dio non è composto a modo umano,
sì che in lui una cosa sia ciò che egli ha e altra cosa egli che ha: ma
tutto ciò che è, è vita, cioè natura perfetta, assoluta, infinita, non
costituita da elementi diversi ma vivente nella totalità. Poiché
questa natura, quale è posseduta, tale anche è stata data, anche se
comprendiamo che la nascita del Figlio significa colui cui essa è
S tata data, tuttavia non comporta diversità di genere, poiché tale
è stata data quale è anche posseduta.
44. Dopo aver significato in modo così molteplice e specifico
la presenza in sé della natura del Padre, il Figlio ha fatto uso di
questa espressione: «Q uesto infatti Dio Padre ha contrassegnato
col suo sigillo» (Ev. Io. 6 , 27). La natura dei sigilli è tale che ripro­
ducono tutta l’immagine della figura che su di essi è stata impressa
ed hanno in sé tutto ciò da cui sono stati segnati, sì che, come
accolgono tutto ciò che su di essi viene impresso, così riproducono
da sé tutto ciò che è stato impresso. In realtà queste parole non
forniscono un esempio adeguato della nascita divina6, perché nei
sigilli si dà la materia, la diversità e l’impressione, grazie alle quali
su una natura più tenera s ’imprime la forma di sostanze più dure.
Tuttavia il Dio unigenito e Figlio dell’uomo per il mistero della
nostra salvezza, volendo significare l’immagine in sé della specifi­
cità del Padre, ha detto di essere stato contrassegnato da Dio col
suo sigillo. Poiché infatti il Figlio dell’uomo era sul punto di dare
cibo di vita eterna, da queste parole si poteva capire che aveva il
potere di dare cibo per l’eternità colui che recava in sé tutta la
pienezza dell’immagine di Dio Padre che lo aveva contrassegnato.
Infatti ciò che Dio aveva contrassegnato non riproduceva altro
che l’immagine di Dio che aveva contrassegnato.
Così il Signore ha parlato ai giudei incapaci, per la loro man­
canza di fede, di comprendere le sue parole.
45. A noi 7 invece il predicatore della buona novella, in forza
dello spirito di Cristo che parlava per suo tramite, ha presentato
226 ILA RIO

« Q u i cum in form a D ei esset, non rapinam arbitratus est


esse se aequalem D eo, sed se exinanivit form am servi acci­
p ie n s» (Ep. Phil. 2, 6-7). Q uem enim signaverat D eus, aliud
praeterquam D ei form a esse non potuit. E t id quod signatum
in D ei form a est, hoc necesse est totum in se coim aginatum
habere quod D ei est. E t idcirco apostolus eum , quem signa­
vit D eu s, in D ei form a m anentem D eum praedicavit. N am
adsum pti et connati in eo corporis sacram entum locuturus
ait: « N o n rapinam arbitratus est esse se aequalem D eo, sed
se exinanivit form am servi accip ien s» (Ep. Phil. 2 , 6-7).
Q u od enim in form a D ei erat per signantem se Deum D eus
m anebat. S e d quia suscipienda erat form a servi et oboediens
esset futurus ad m ortem (Ep. Phil. 2, 8 ), non sibi rapiens esse
se aequalem D eo, ad susceptionem se form ae servilis per
oboedientiam exinanivit. E xinanivit autem se ex Dei form a,
id est ex eo quod aequalis D eo erat; non tam en aequalem se
D eo per rapinam existim ans, quam vis in form a D ei et aequa­
lis D eo per D eum Deus signatus extaret.
46. H ic nunc quaero, utrum alterius generis D eus est, q
in form a D ei D eu s m aneat: ut secundum consignatas consi-
gnantesque species in signaculis cernimus, cum inpressum
plum bo ferrum et gem m a cerae, speciem vel concavae in se
im aginis fingat vel extantis de se exprim at form ae. Sed si
quis extiterit tam stultus aut vaecors, ut putet quod aliud ex
se D eus in D eum quam D eum form et, et qui in form a D ei sit
aliud aliquid totus ipse quam D eus sit, post sacram enta ho­
m inis adsum pti et per oboedientiam consum m atae usque ad
crucis m ortem hum ilitatis, audiet caelestium et terrestrium et
infernorum et om nis linguae confessione Iesum in gloria D ei
Patris (Ep. Phil. 2, 10). In hac igitur gloria si, cum iam form a
servilis fuerit, m anebit, tum cum in form a D ei est, quaero
LA TRINITÀ 227

il significato di questa proprietà del Figlio con queste parole:


«E gli, pur essendo nella forma di Dio, non riservò a sé l’essere
uguale a Dio, ma si è annientato prendendo la forma dello schia­
vo » (Ep. Phil. 2, 6-7). Infatti colui che Dio aveva contrassegnato
col suo sigillo non poteva essere altro che forma di Dio; e ciò
ch’è stato contrassegnato in forma di Dio, necessariamente ha,
impresso su di sé, tutto ciò che è di Dio. Perciò l’apostolo ha
definito Dio colui che Dio ha contrassegnato e che è in forma di
Dio. Infatti per esprimere il mistero del corpo assunto e nato
insieme con lui, dice: «N o n riservò a sé l’essere uguale a Dio,
ma si è annientato prendendo la forma dello schiavo» (Ep. Phil.
2, 6-7). Infatti ciò che era in forma di Dio perché Dio lo aveva
contrassegnato, era Dio. Ma poiché avrebbe assunto la forma
dello schiavo e sarebbe stato obbediente fino alla morte (Ep.
Phil. 2, 8 ), non riservando a sé l’essere uguale a Dio, si è per
obbedienza annientato per ricevere la forma dello schiavo. Per­
ciò si è annientato dalla forma di Dio, cioè dall’essere uguale a
Dio: infatti non volle riservare a sé l’essere uguale a Dio, anche
se era nella form a di Dio e uguale a Dio e contrassegnato come
Dio per opera di Dio.
46. O ra mi chiedo 8 se sia Dio di altro genere colui che
Dio in forma di Dio, come, quando osserviamo nei sigilli le figu­
re che imprimono e quelle che vengono impresse, il piombo e la
cera ricevono su di sé la figura incavata dell’immagine che viene
impressa, mentre il ferro e la gemma riproducono da sé la forma
che recano impressa. Se poi qualcuno sarà stato sciocco e pazzo
al punto di credere che Dio forma come Dio da sé qualcosa
d’altro che non Dio e che colui ch’è in forma di Dio possa, nella
sua integrità, essere altro che Dio, costui, dopo il mistero del­
l'uomo assunto e dell’abbassamento realizzato per obbedienza
(ino alla morte in croce, ascolterà tutte le lingue degli esseri
celesti, terrestri e infernali proclamare che G esù è nella gloria di
Dio Padre (Ep. Phil. 2, 10). Ma se rimarrà in questa gloria dopo
essere stato forma di schiavo, mi chiedo che cosa rimarrà in tale
228 ILARIO

quid m anserit. Utrum ne in natura D ei, quae significatur in


gloria, C hristus spiritus fuerit, cum in gloria D ei Patris C hri­
stus Iesus, id est homo natus, extabit?
47. T enet in om nibus beatus apostolus fidei evangelicae
indem utabilem praedicationem , ita Dom inum Iesum C hri­
stum D eum praedicans, ut neque per alterius generis Deum
in deos duos fides apostolica depereat, neque inseparabilis a
Patre filius D eus unici ac singularis D ei praedicandi occasio­
nem inpiam praebeat. Dicens enim « in form a D e i» et «in
gloria D ei P a tris», neque d ifferre docuit, neque non existen-
tem nos existim are perm isit. N am qui in form a D ei est, ne­
que in alterum D eum proficit, neque etiam ipse non Deus
est. Q u ia nec separari potest a D ei form a, cum in ea sit; nec
qu i in D ei est form a, non D eu s est. Sicut qui in gloria D ei
est, non potest aliud esse quam Deus est, et dum in gloria
D ei D eu s est, alterius D ei adque a D eo diversi non habet
praedicationem : quia per id quod in gloria D ei est, ex eo in
cuius gloria est habet in se naturale quod D eus est.
48. N on periclitatur per plures praedicationes fides una,
ne una sit. Evangelista enim dictum a Dom ino docuerat:
« Q u i me vidit, vidit et P atrem » (Ev. Io. 14, 9). Sed numquid
doctor gentium Paulus virtutem dicti dom inici aut ignoravit
aut tacuit, dicens: « Q u i est im ago D ei in visibilis» (Ep. Coi.
1 , 15)? E t interrogo utrum visibilis im ago est invisibilis Dei,

et utrum infinitus D eus per form ae im aginem coim aginari


possit ad speciem ? Im ago enim form am necesse est eius red­
d at, cuius et im ago est. Q u i volunt autem alterius generis in
F ilio esse naturam , constituant cuiusm odi Filium imaginem
esse invisibilis D ei velint. Anne corpoream et contem plabi­
lem et e x locis in loca m otu incessuque circum vagam ? Memi-
LA TRINITÀ 229

gloria allora, quando egli è in forma di Dio. Forse Cristo spirito 9


sarà nella natura di Dio, che è significata nella gloria, mentre C ri­
sto G esù, cioè l’uomo nato, sarà nella gloria di Dio Padre?
47. In tutta questa questione il beato apostolo conserva sen­
za alterazione la predicazione della fede evangelica affermando
che il signore G esù Cristo è Dio in modo tale che la fede apo­
stolica non vada in rovina affermando due dei a causa di un Dio
di altro genere, né il Dio Figlio inseparabile dal Padre offra
l’empia occasione di predicare un Dio unico e singolo. Infatti col
dire che il Figlio è «in forma di D io » e «nella gloria di Dio
Padre » ci ha insegnato che egli non è diverso dal Padre e non ci
ha permesso di credere che egli non esiste in modo personale10.
Infatti chi è in forma di D io 11 né progredisce fino a diventare
un altro Dio né d ’altra parte egli stesso non è Dio, in quanto
non può essere separato dalla forma di Dio chi è in essa, né chi
è nella forma di Dio può non essere Dio. Analogamente chi è
nella gloria di Dio non può essere altro che Dio, e poiché Dio è
nella gloria di Dio, non ammette l’affermazione di un Dio altro
c diverso da Dio. Poiché infatti è nella gloria di Dio, da colui,
nella cui gloria è, il Figlio riceve in sé per natura l’essere Dio.
48. N é la fede, ch’è una sola, corre rischi per la sua unità a
causa delle diverse predicazioni12. Infatti l’evangelista ci aveva
insegnato che il Signore aveva detto: «C h i ha visto me ha visto
anche il Padre» (Ev. Io. 14, 9). M a forse Paolo, il dottore delle
genti pagane, ha ignorato o taciuto il significato delle parole del
Signore quando ha detto: «E gli ch’è l’immagine di Dio invisibi­
le» (Ep. Col. 1, 15)? E chiedo 13 se sia visibile l’immagine di Dio
invisibile e se D io infinito possa essere rappresentato, grazie al­
l’immagine della forma, in una figura definita. E necessario in­
fatti che l’immagine riproduca la forma di colui di cui è immagine.
Ma allora quanti pretendono che nel Figlio ci sia natura di genere
diverso rispetto al Padre spieghino in che modo il Figlio è im­
magine di Dio invisibile. Forse è immagine corporea visibile e
mobile così da trasferirsi da un luogo all’altro? M a ricordino che
230 ILARIO

nerint tam en secundum evangelia et profetas et Christum


spiritum et D eum spiritum . Q u i si circum scribent hunc spiri­
tum C hristum form abili et corporali m odo, non erit invisibi­
lis D ei im ago corporeus, nec indefiniti species definita m ode­
ratio.
49. Sed neque Dom inus incertum reliquit: «Q u i me vidit,
vidit et P atrem » (Ev. Io. 14, 9). N eque apostolus tacuit qu a­
lis esset « q u i est im ago D ei in visibilis» (Ep. Col. 1, 15). D o ­
minus enim d ixerat: « S i non facio opera Patris mei, nolite
m ihi cred ere» (Ev. Io. 10, 37); hinc videri in se Patrem do­
cens, quod opera eius efficeret, ut intellecta naturae virtus
naturam intellectae virtutis ostenderet. Per quod apostolus
hanc im aginem D ei esse significans, ait: « Q u i est imago D ei
invisibilis, prim ogenitus om nis creaturae, q u ia in ipso consti­
tu ta sunt om nia in caelis et in terra, visibilia et invisibilia,
sive throni, sive dom inationes, sive principatus, sive potesta­
tes. O m nia per ipsum et in ipso condita sunt, et ipse est ante
om nes, et om nia ipsi constant. E t ipse est caput corporis ec­
clesiae. Q ui est initium , prim ogenitus ex m ortuis, ut fieret in
om nibus ipse prim atum tenens: quia in ipso conplacuit om ­
nem plenitudinem habitare, et per ipsum reconciliari omnia
in e u m » (Ep. Col. 1 , 15-20).
Per horum igitur operum virtutem im ago D ei est. N am
utique invisibilium conditor non est in ea naturae necessita­
te, ut invisibilis D ei im ago visibilis sit. A c ne form ae potius
quam naturae im ago esse intellegeretur, idcirco invisibilis Dei
im ago est: natura in eo D ei per naturae suae virtutem intelle­
genda, non in visibili qualitate.
50. Prim ogenitus itaque om nis creaturae est, quia in ipso
creata om nia sint. E t ne quod in ipso creata om nia sunt, non
ad ipsum quisquam auderet referre, ait: «O m n ia per ipsum et
in ipso condita sunt, et ipse est ante om nes, et om nia ipsi
LA TRINITÀ 231

secondo i Vangeli e i profeti sia Cristo è spirito sia Dio è spirito,


cosi che, se circoscriveranno questo Cristo spirito a mo’ di corpo
e figura, un C risto corporeo non può essere immagine di Dio
invisibile né una precisa delimitazione può essere rappresenta­
zione dell’infinito.
4 9 . Ma né il Signore ha lasciato incerto il significato di «C h i
ha visto me ha visto anche il Padre» (Ev. Io. 14, 9), né l’aposto­
lo ha taciuto quale fosse «colui ch’è l’immagine di Dio invisibi­
le» (Ep. Coi. 1 , 15). Infatti il Signore aveva detto: «N on presta­
temi fede, se non compio le opere del Padre m io» (Ev. Io. 10,
37), insegnandoci di qui che in lui si vedeva il Padre perché egli
compiva le opere di quello, si che, una volta compresa, la poten­
za della natura rivelasse la natura della potenza ch’era stata
compresa. Perciò l’apostolo, significando che questa è l’immagi­
ne di Dio, dice: «E g li che è l’immagine di Dio invisibile, il pri­
mogenito di tutta la creazione, perché in lui sono state create
tutte le cose in cielo e in terra, visibili e invisibili, troni, domi­
nazioni, principati, potestà. Tutto è stato creato per mezzo di
lui e in lui ed egli è prima di tutti e tutto sussiste in lui. Egli è
anche il capo del corpo della chiesa, egli che è il principio, il
primogenito dai morti per avere il primato su tutti. Perché in lui
ei compiacque di abitare tutta la pienezza e di riconciliare per
mezzo di lui tutto con lu i» (Ep. Col. 1 , 15-20)u .
Cristo è immagine di Dio in forza della potenza di tali opere.
Infatti il creatore delle realtà invisibili non si trova in condizio­
ne d i natura tale da essere immagine visibile di Dio invisibile. E
perché non si pensasse che egli era immagine piuttosto della for­
ma che della natura, per questo è invisibile l’immagine di Dio,
perché la natura di Dio fosse conosciuta in lui grazie alla poten­
za della sua natura e non in un carattere visibile.
50. Perciò è primogenito di tutta la creazione perché tutto è
Stato creato in lui. E perché nessuno avesse il coraggio di non
riferire a lui il fatto che in lui tutto è stato creato, l’apostolo
dice: «T u tto è stato creato per mezzo di lui e in lui ed egli è
232 ILARIO

co n stan t» (Ep. Col. 1 , 16-7). O m nia itaque ipsi constant, qui


ante om nia est et in quo om nia sunt. E t haec quidem ad
exordia pertinent creaturarum . C eterum o b dispensationem
corporis nostri ait: « E t ipse est caput corporis ecclesiae. Q ui
est initium , prim ogenitus ex m ortuis, ut fieret in om nibus
ipse prim atum tenens: quia in ipso conplacuit omnem pleni­
tudinem habitare, et per ipsum om nia reconciliari in eu m »
(Ep. Coi. 1, 18-20).
R eddidit apostolus spiritalibus sacram entis corporeas op e­
rationes. N am que qui im ago D ei invisibilis est, et ipse est
caput corporis ecclesiae; et qui prim ogenitus omnis creaturae
est, idem initium prim ogenitus ex m ortuis est. U t in omnibus
teneat prim atum , dum nobis corpus est, qui D ei imago est;
dum qui prim ogenitus creaturae est, idem prim ogenitus ad
aeternitatem est. U t cui spiritalia debent in prim ogenito
creata, quod m aneant, ei et hum ana debeant, quod in prim o­
genito ex m ortuis renascantur aeterna. Ipse est enim initium.
Q ui cum Filius sit, imago est; cum imago D ei est, prim ogeni­
tus quoque creaturae est, continens in se universitatis exor­
dium . E t rursum ipse caput ecclesiae corporis et prim ogeni­
tus e x m ortuis, u t in om nibus teneat primatum. E t quia om ­
nia ei constant, in ipso conplacita plenitudo consistit: dum in
eo per ipsum in eum reconciliantur om nia, in quo per ipsum
in ipso om nia sunt creata.
51. Sentisne iam quid sit esse im aginem D ei? Creari u
que om nia in eo per eum. C um in eo creantur om nia, intelle­
ge etiam eum , cuius imago est, creantem in eo om nia. Cum
autem quae in eo creantur, per ipsum creantur, in hoc q u o­
que qui im ago est naturam eius cuius im ago est inesse cogno­
sce. Per se enim creat quae in ipso creantur, sicuti per ipsum
reconciliantur in eo om nia. C um in eo reconciliantur, pater-
LA TRINITÀ 233

prima di tutti e tutto sussiste in lu i» (Ep. Col. 1, 16-7). Perciò


tutto sussiste in lui che è prima di tutti e in cui è tutto. E
queste parole riguardano l’inizio delle creature. Quanto poi
all’economia del nostro corpo, Paolo dice: «E g li è il capo del
corpo della chiesa. Egli che è il principio, il primogenito dai
morti, per avere il primato su tutti. Perché in lui si compiacque
di abitare tutta la pienezza e di riconciliare per mezzo di lui
tutto con lu i» (Ep. Col. 1, 18-20).
L ’ apostolo ha riportato ai misteri spirituali le operazioni ma­
teriali13. Infatti colui che è immagine di Dio invisibile, egli stes­
so è il capo del corpo della chiesa; e colui ch’è primogenito di
tutta la creazione, questo stesso inizio è il primogenito dai morti,
perché abbia il primato su tutti, mentre è corpo per noi, colui
ch’è immagine di Dio; e colui ch’è primogenito della creazione,
egli stesso è primogenito per l’eternità. Così, mentre gli esseri
spirituali 16 creati nel primogenito debbono a lui di continuare
ad esistere, anche gli esseri umani debbono a lui di rinascere
eterni nel primogenito dai morti. Infatti egli è l’inizio. E in
quanto è Figlio, è immagine; e in quanto è immagine di Dio, è
anche il primogenito della creazione, perché contiene in sé l’ini­
zio di tutto l’universo. D ’altra parte egli è anche il capo del
corpo della chiesa e il primogenito dai morti, per avere il prima­
to su tutti. E poiché tutto sussiste in lui, la pienezza si è com­
piaciuta di abitare in lui: infatti, in tanto tutto si riconcilia in lui
t* per mezzo di lui in quanto tutto è stato creato per mezzo di lui
e in lu i17.
51. Capisci ormai che cosa significhi essere immagine di D
Che in lui e per mezzo di lui sono create tutte le cose. Quando
in lui sono create tutte le cose, intendi che anche colui, del qua­
le il Figlio è immagine, crea in lui tutte le cose18. E dato che
ciò ch’è creato in lui è creato per mezzo di lui, apprendi che
anche in questi, ch’è l’immagine, c’è la natura di colui del quale
CrI ì è immagine. Infatti crea da sé ciò ch’è creato in sé, come in
lui per mezzo di lui sono riconciliate tutte le cose. E quando
234 ILARIO

nae in eo unitatis adpraehende naturam reconciliantem sibi


in eo om nia. Cum per eum reconciliantur om nia, ipsum Patri
reconciliantem in se om nia quae per se reconciliabat intelle­
ge. A it enim idem apostolus: «O m n ia autem a D eo, qui re-
5 conciliavit nos sibi per Christum , et dedit nobis m inisterium
reconciliationis. Q uoniam quidem D eus erat in Christo mun­
dum reconcilians s ib i» (2 Ep. Cor. 5, 18-9).
C on fers cum his omne evangelicae fidei sacramentum.
Q ui enim videtur in viso, qui operatur in operante, qui lo-
io quitur in loquente, idem in reconciliante reconciliat. E t id­
circo in eo et per eum reconciliatio est, quia per indifferen­
tem naturam Pater in eo m anens, mundum sibi ipse per eum
et in eo reconciliatione reddebat.
52. Consulens itaque hum anae infirm itati Deus non
15 ta verborum nuditate fidem docuit. N am que cum credendi
necessitatem dicti dom inici auctoritas sola praestaret, tam en
sensum nostrum per intellegentiam editae rationis instituit,
ut id quod d ixerat: « E g o et Pater unum su m u s» (Ev. Io. 10,
30), per causam ipsam unitatis expositae noscerem us. Dicens
20 enim se per loquentem loqui et per operantem operari et per
iudicantem iudicare et per visum videri et per reconciliantem
reconciliare et m anere se in eo qui in se m aneret, quaero quo
alio ad intellegentiae nostrae sensum expositionis suae uti
potuerit aptiore serm one, ut unum esse intellegerentur, quam
25 isto quo per nativitatis veritatem et naturae unitatem quid­
quid Filius ageret ac diceret, id in Filio Pater et loqueretur et
gereret.
N o n est hoc itaque naturae a se alienae, neque per crea­
tionem in D eum conparatae, neque ex portione D ei in Deum
30 natae; sed p erfecta nativitate in D eum perfectum genitae di-
LA TRINITÀ 235

sono riconciliate in lui, ravvisa in lui la natura dell’unità paterna,


che riconcilia a sé in lui tutte le cose. E dato che per mezzo di lui
sono riconciliate tutte le cose, intendi che egli riconcilia in sé al
Padre tutto ciò che per suo mezzo riconciliava. Infatti dice l’apo­
stolo: «T u tto poi deriva da Dio, che ci ha riconciliato a sé per
opera di Cristo e ci ha affidato il ministero della riconciliazione.
Infatti Dio era in Cristo, riconciliando a sé il m ondo» ( 2 Ep. Cor.
5, 18-9).
M etti a riscontro con queste parole tutto il mistero della fede
evangelica. Infatti chi si fa vedere in colui ch’è visto, chi opera in
colui che opera, chi parla in colui che parla, questi riconcilia in
colui che riconcilia. E in lui e per mezzo di lui c’è la riconciliazio­
ne proprio perché il Padre, stando in lui in forza dell’uguaglianza
di natura, riconcilia il mondo a sé per opera di lui e in lui.
52. Perciò Dio, nel provvedere all’umana debolezza, ha in
gnato la fede con parole che, nella loro nudità, non lasciano incer­
tezza19. Infatti, anche se c’impone di credere la sola autorità
della parola del Signore, egli con la comprensione del disegno di­
vino da lui rivelato ha istruito la nostra intelligenza, perché com­
prendessimo le sue parole « Io e il Padre siamo una cosa sola » (Ev.
Io. 10, 30) in forza dell’unità che qui è presentata. Dato infatti
che Dio dice di parlare per mezzo di quello che parla, di operare
per mezzo di quello che opera, di giudicare per mezzo di quello
che giudica, di farsi vedere per mezzo di quello che si fa vedere, di
riconciliare per mezzo di quello che riconcilia, di stare in quello
che sta in lui (Ev. Io. 14, 10), posto tutto ciò, io mi chiedo di quali
parole più adatte egli avrebbe potuto far uso per far comprendere
alla nostra intelligenza il senso del suo discorso, e farci capire che
essi sono una cosa sola, se non di queste, per cui in forza della
realtà della nascita e dell’unità della natura, il Padre dice e fa nel
Figlio tutto ciò che il Figlio fa e dice.
Infatti questa è prerogativa non di una natura estranea al
Padre, né creata per essere Dio né nata come Dio da una parte
di Dio stesso, bensì di una divinità generata per essere Dio per-
236 ILAR IO

vinitatis. C uius haec naturalis conscientiae fiducia est, ut d i­


cat: « E g o in Patre et Pater in m e»; et rursum : «O m n ia quae
Patris sunt m ea su n t» (Ev. Io. 14, 10; 16, 15). Nihil enim ei
ex D eo deest, quo operante et loquente et viso, D eus et ope-
5 ratur et loquitur et videtur.
N on sunt duo in unius vel operatione vel sermone vel vi­
su. N ec solitarius D eus est, qui in operante et loquente et
viso D eo D eus et operatus et locutus et visus sit. H oc eccle­
sia intellegit, hoc synagoga non credit, hoc filosofia non sa­
io pit: unum ex uno et totum a toto, D eum et Filium neque per
nativitatem Patri adim isse quod totum est, neque hoc ipsum
totum non secum nascendo tenuisse. E t quisquis in hac infi­
delitatis stultitia detinebitur, aut Iudaeorum sectator aut
gentium est.
15 53. U t autem dictum Dom ini intellegas quo ait: «O m n ia
quae Patris sunt m ea su n t» (Ev. Io. 16, 15), apostoli et doc­
trinam et fidem disce dicentis: «V id ete ne quis vos seducat
per filosofiam et inanem deceptionem secundum traditionem
hom inum secundum elem enta m undi et non secundum Chri-
20 stum : quia in ipso inhabitat om nis plenitudo divinitatis cor­
poraliter» (Ep. Coi. 2, 8-9). D e mundo est et doctrinas hom i­
num sapit et filosofiae praeda est quisque Christum verum
D eum nescit, quisque in eo plenitudinem divinitatis ignorat.
H um ana mens hoc solum sapit quod intellegit, et mundus hoc
25 tantum quod p otest credit, secundum elementorum naturas
id tantum possibile existim ans, quod aut videret aut gereret.
Elem enta enim mundi ex nihilo substiterunt. Sed C hri­
stus non de non substantibus m anet, nec coepit ad originem,
sed originem ab origine sum psit aeternam . Elem enta enim
30 m undi aut inanim a sunt, aut ad anim am profecerunt. Sed
C hristus vita est, ex D eo vivente in viventem Deum natus.
E lem enta mundi ex D eo sunt instituta, non D eus sunt. C hri­
stus ex D eo D eus hoc totum est ipse quod D eus est. Elem en­
ta m undi cum intra sint, non possunt a se extare ne intra
LA TRINITÀ 237

fetto in forza di una nascita perfetta. E per la fiducia che gli


deriva dalla coscienza della sua natura egli dice: «Io sono nel
Padre e il Padre è in m e», e anche: «T u tto ciò che è del Padre,
è m io» (Ev. Io. 14, 10; 16, 15). Nulla infatti di Dio manca in co­
lui nella cui opera, parola, apparizione, Dio opera, parla, appare.
Non sono infatti due nell’operazione, parola, apparizione di
uno solo, né è solitario 20 Dio che nell’operazione, parola, ap­
parizione di Dio, ha operato, ha parlato ed è apparso come Dio.
Questo comprende la chiesa, mentre non lo crede la sinagoga e
non lo capisce la filosofia: uno da uno e tutto da tutto, il Dio e
Figlio col nascere nulla ha tolto al Padre della sua totalità, ma
questa stessa totalità ha assunto per sé con la nascita. E chiun­
que scioccamente non crede a questo, si fa seguace o dei giudei o
dei pagani.
53. Perché poi tu comprenda le parole del Signore: «T u t
ciò ch’è del Padre è m io» (Ev. Io. 16, 15), apprendi la fede e la
dottrina dell’apostolo che dice: «S tate attenti che nessuno vi
tragga fuori strada col vano inganno della filosofia, secondo la
tradizione degli uomini e gli elementi del mondo ma non secon­
do Cristo. Perché è in lui che abita corporalmente la pienezza
della divinità» (Ep. Col. 2 , 8-9). È del mondo, è sapiente delle
dottrine degli uomini ed è preda della filosofia chi non sa che
Cristo è vero Dio e ignora che in lui è la pienezza della divinità.
La mente umana sa solo ciò che comprende, e il mondo crede
soltanto ciò che può, ritenendo possibile, secondo la natura degli
elementi, soltanto ciò che può o vedere o fare21.
Infatti gli elementi del mondo sono stati creati dal nulla. In­
vece Cristo trae l’essere non dal nulla né ha cominciato ad esi­
stere, ma la sua origine è dall’eternità. Gli elementi del mondo o
sono privi di vita o sono venuti alla vita. Invece Cristo è vita,
nato da D io vivo per essere Dio vivo. G li elementi del mondo
sono stati creati da Dio, non sono Dio. Invece Cristo, Dio da
Dio, è tutto ciò che è Dio. G li elementi del mondo, poiché stan­
no dentro il mondo, non possono esistere di per sé, sì da non
238 ILAR IO

sint. D eum sub sacram ento in se habens Christus in D eo est.


Elem enta m undi cum ex se sui generis generant ad vitam ,
per corporales quidem passiones praebent ex se initia nascen­
di, ceterum non insunt viva ipsa nascentibus. O m nis vero
corporaliter plenitudo divinitatis in Christo est.
54. E t interrogo: cuius in eo divinitatis plenitudo est?
Q uae si non Patris est, quem mihi Deum alium unius D ei
fallax praedicator inponis, cuius divinitatis plenitudo habitet
in C hristo? Si vero Patris est, edoce quom odo corporaliter
haec in eo inhabitet plenitudo. S i enim corporali m odo P a­
trem in F ilio claudes, Pater in Filio habitans non extabit in
sese. Sin vero, quod est potius, corporaliter in eo manens
divinitas naturae in eo D ei ex D eo significat veritatem , -
dum in eo D eus est, non aut per dignationem aut per volun­
tatem , sed per generationem verus et totus corporali secun­
dum se plenitudine manens; dum quod ipse est, id etiam per
nativitatem D ei in D eum natum est; neque diversum aut d if­
ferens aliquid in D eo est, quam id quod corporaliter habitet
in C h risto; et quidquid inhabitet corporaliter, id secundum
divinitatis est plenitudinem , - quid hum ana sectaris? Q uid
inanium deceptionum doctrinis inhaeres? Q uid mihi adfers
unianim itatem concordiam creaturam ? Plenitudo divinitatis
in C hristo est corporaliter!
55. T enuit autem etiam in hoc apostolus fidei suae legem,
ut corporaliter in Christo habitare plenitudinem divinitatis
doceret: ne ad unionem inpium fidei serm o decideret, nec ad
alterius naturae intellegentiam furor inreligiosus erumperet.
H abitan s enim in Christo plenitudo divinitatis corporaliter,
nec singularis nec separabilis est: dum nec se patitur a corpo­
rali plenitudine corporalis plenitudo discerni, nec habitans
divinitas ea ip sa intellegi potest esse divinitatis habitatio; ad-
que ita C hristus est, ut corporaliter plenitudo divinitatis in
C hristo sit; sic vero in Christo sit divinitatis corporaliter ple-
LA TRINITÀ 239

essere dentro il mondo. Cristo, che ha Dio in sé in modo misterio­


so, è in Dio. G li elementi del mondo, quando da sé danno vita a
qualcosa del loro genere, lo fanno nascere da sé con passione cor­
porea, ma non si trovano vivi in ciò che nasce. Invece in Cristo è
presente corporalmente tutta la pienezza della divinità.
54. E chiedo: « D i quale divinità è in Cristo la pienezza?».
Se non è del Padre, quale altro Dio mi imponi, tu fallace predi­
catore 22 di un solo Dio, della cui divinità la pienezza abita in
Cristo? Se invece è proprio del Padre, spiegami in che modo
essa abiti in lui corporalmente23. Se infatti racchiudi il Padre
nel Figlio a mo’ di corpo, il Padre abitando nel Figlio non esiste­
rà in sé. Se invece, com’è vero, abitando in lui corporalmente, la
divinità indica in lui la realtà della natura di Dio da Dio, poiché
Dio è in lui, vi è non per degnazione o per volontà, ma per
generazione, realmente e integralmente in pienezza a modo suo
corporea. Infatti ciò che il Padre è, è anche nato, in forza della
nascita di Dio, a rendere Dio il Figlio; né in Dio c’è qualcosa di
diverso e differente rispetto a ciò che abita corporalmente in
Cristo; e tutto quanto abita corporalmente, ciò è secondo la pie­
nezza della divinità. M a allora perché vai in cerca di realtà uma­
ne? Perché ti attacchi a dottrine vane e ingannatrici? Perché mi
proponi l’unanimità24, la concordia, la creatura? In Cristo c’è
corporalmente la pienezza della divinità.
55. Anche in questo l’apostolo ha osservato la regola della
sua fede, insegnandoci che la pienezza della divinità abita corpo­
ralmente in Cristo, per evitare sia che il discorso sulla fede por­
tasse a un’empia unicità2’ di Dio sia che una pazzia contraria
alla religione arrivasse a concepire una natura divina diversa.
Infatti abitando corporalmente in Cristo, la pienezza della divi­
nità non è né singola né separabile, perché una pienezza corpo­
rea non permette di essere distinta da un’altra pienezza corpo­
rea, né la divinità che abita può essere intesa essa stessa come
abitazione della divinità. Perciò Cristo è tale che in lui vi sia
corporalmente la pienezza della divinità; e la pienezza della divi-
240 ILARIO

nitudo, ut in eo inhabitans plenitudo nihil aliud intellegatur


esse quam Christus.
Furare quas voles verborum occasiones, et inreligiosi inge­
nii aculeos excita. Em entire saltim cuius plenitudo divinitatis
in C h risto inhabitet corporaliter. E st enim Christus, est et
inhabitans in eo divinitatis corporaliter plenitudo.
56. E t si quaeras quae sit habitatio corporalis, intelle
quid sit loqui in loquente, et in viso videri, et in operante
operari, et in D eo Deum , et ex toto totum , et ex uno unum:
et ita corporalis divinitatis plenitudinem recognosce. E t cuius
haec divinitatis corporaliter inhabitans plenitudo sit, memen­
to apostolum non tacere dicentem : « E a enim quae invisibilia
sunt eius, a conditione m undi per ea quae facta sunt intellec­
ta conspiciuntur, aeterna quoque virtus eius et d iv in itas»
(Ep. Rom . 1, 20). H uius itaque divinitas corporalis in Christo
est, non ex parte, sed tota. N eque portio est, sed plenitudo,
ita corporaliter m anens, ut unum sint. Ita unum sunt, ut a
D eo non d ifferat D eus. Ita indifferens a D eo D eus, ut per­
fectum D eum substituerit perfecta nativitas. Ita autem per­
fecta nativitas subsistat, quia in D eo ex D eo nato corporali­
ter divinitatis inhabitet plenitudo.
LA TRINITÀ 241

nità sta in C risto corporalmente sì che comprendiamo che, abi­


tando in lui, questa pienezza non è altro che Cristo.
Carpisci i pretesti di parole che vorrai e aguzza le punte del
tuo empio ingegno. E almeno inventa di quale divinità la pienez­
za abita corporalmente in Cristo. È infatti Cristo ed è anche la
pienezza della divinità che abita in lui corporalmente.
56. Se poi mi chiedi che cosa sia l’abitazione corporale, pe
che cosa è il parlare in chi parla, Tesser visto in chi è visto,
l’operare in chi opera, e l’essere Dio in Dio, tutto da tutto, uno
da uno26; e così apprendi la pienezza della divinità corporale.
Ricorda poi che l’apostolo non tace di quale divinità sia questa
pienezza che abita corporalmente, quando dice: «In fatti le sue
invisibili perfezioni appariscono chiare dal mondo creato quando
si considerino dalle sue opere; e così anche la sua eterna potenza
e la sua divinità» (Ep. Rom. 1, 20). D i tale Dio la divinità corpo­
rale abita in Cristo, non parzialmente ma integralmente. Infatti
non è parte ma pienezza, abitando corporalmente sì che essi sia­
no una cosa sola27. Ed essi sono una cosa sola sì che Dio non
sia diverso da Dio. E Dio non è diverso da Dio, sì che la nascita
perfetta ha prodotto un Dio perfetto. Ma la nascita perfetta è
tale perché nel Dio nato da Dio abita corporalmente la pienezza
della divinità.
9. Professione di fede di Costantinopoli (360)

La reazione omeousiana ebbe il risultato di spezzare il gruppo anti-


niceno, antiatanasiano e antioccidentale che così abilmente Eusebio
di Nicomedia aveva costituito e che, pur tra alti e bassi, gli era
sopravvissuto fino allora. In un primo tempo Costanzo favorì Basi­
lio di Ancira e gli omeousiani (concilio di Sirmio del 358), ma subi­
to dopo preferì appoggiare un gruppo che si venne formando in quel
frangente, e che tendeva a prendere le distanze dall’arianesimo radi­
cale da una parte e dall’omeousianismo dall’altra, in nome di una
posizione meno qualificata dottrinalmente e che perciò si pensava
idonea a riunire attorno a sé quanti non desideravano una precisa
specificazione teologica. Acacio di Cesarea, che capeggiò questo
gruppo, propose infatti la formula che definiva il Figlio simile in
tutto al Padre, formula - nonostante l’«in tutto» - sufficientemente
generica per poter essere interpretata in modi diversi, dall’ariano
radicale fino all’omeousiano. Di fronte al pullulare di sempre nuove
iniziative, nel tentativo di porre fine alle divisioni, Costanzo indisse
per l’estate del 359 un concilio ecumenico ripartito in due sedi: gli
occidentali si sarebbero riuniti a Rimini, gli orientali a Seleucia di
Caria.
Nel concilio di Rimini, che si aprì nel luglio del 359 alla presen­
za di circa 400 vescovi, una larghissima maggioranza omousiana
(cfr. l’introduzione al testo a p. 218) isolò e condannò la minoran­
za filoariana capitanata da Valente e Ursacio. Ma l’imperatore non
gradì questa soluzione e impose un riesame della situazione che,
dopo lunghe e estenuanti discussioni e trattative, portò, verso la
fine dell’anno, alla resa della maggioranza in nome di una anodina
formula di fede, che fu sentita come vera e propria affermazione di
arianesimo, nonostante la sua voluta genericità. Era la soluzione au­
spicata da Costanzo, la quale fu imposta esclusivamente per le pres­
sioni che direttamente e indirettamente egli esercitò sulla maggio-
PROFESSIONE DI FEDE DI COSTANTINOPOLI 243

ranza omousiana. A Seleucia, dove i lavori cominciarono verso la


fine di settembre, i circa 160 vescovi erano ideologicamente molto
più frazionati degli occidentali: i pochi omousiani, assente Atanasio
rifugiatosi fra i monaci del deserto per sfuggire le ire di Costanzo,
fecero blocco con i più numerosi omeousiani, mentre i pochi ariani
radicali si unirono al gruppo più moderato, capitanato da Acacio: gli
aderenti furono definiti acaciani (i moderni li definiscono omei, da
homoios, «simile», termine distintivo della loro posizione dottrina­
le). Anche qui la maggioranza omeousiana s’impose sugli acaciani e
li condannò; ma Costanzo non approvò questi risultati. Mentre la
delegazione omeousiana discuteva a Costantinopoli con quella degli
omei, i risultati definitivi di Rimini permisero a Costanzo di impor­
re questa soluzione anche agli omeousiani presenti nella capitale.
Per una sanzione definitiva egli volle la riunione di un altro concilio
a Costantinopoli, all’inizio del 360, che ormai senza difficoltà impo­
se la formula riminese. I capiparte degli omeousiani (Basilio di An­
cira, Eleusio di Cizico, Eustazio di Sebaste, Macedonio di Costanti­
nopoli, ecc.) furono tutti deposti ed esiliati, mentre saliva alle stelle
il prestigio di Acacio e di Eudossio di Antiochia.
La formula di Costantinopoli, che qui presentiamo, corrisponde
fedelmente nell’impostazione ideologica a quella di Rimini, ma è più
ampia ed articolata. L ’espressione qualificante definisce, come a Ri­
mini, il Figlio simile al Padre secondo le Scritture, formula generica
al massimo, che di fatto favoriva una posizione ariana moderata ed
era compatibile anche con i postulati deH’arianesimo radicale, seb­
bene Aezio fosse esiliato, per dimostrare l’equidistanza di Costanzo
dalle parti estreme dello schieramento orientale a beneficio della
maggioranza di centro. Ma la proscrizione del termine ousia colpiva
la dottrina sia omousiana sia omeousiana, così che la formula in
definitiva si presentava piuttosto sbilanciata verso le posizioni
dell'arianesimo moderato, e come tale fu effettivamente sentita dal­
la cristianità di allora.
Per il testo di questa professione di fede seguiamo Hahn, Biblio-
tek der Symbole..., pp. 208-9.
Πιστεύομεν είς 2να θεόν, πατέρα παντοκράτορα, έξ οΰ τά
πάντα, καί εις τόν μονογενή υιόν τοΰ θεοΰ, τόν πρό πάντων
αιώνων καί πρό πάσης άρχής γεννηθέντα έκ τοΰ θεοΰ- St’ οΰ
τα πάντα έγένετο, τά όρατά καί τά άόρατα· γεννηθέντα δέ μο­
νογενή, μόνον έκ μόνου τοΰ πατρός, θεόν έκ θεοΰ, ομοιον τώ
γεννήσαντι αύτόν πατρί κατά τάς γραφάς, οΰ τήν γένεσιν ού­
δείς γινώσκει, εί μή μόνος ό γεννήσας πατήρ, τοΰτον οΐδαμεν
μονογενή θεοΰ υιόν πέμποντος τοΰ πατρός παραγεγενήσθαι έκ
τών ούρανών, ώς γέγραπται, έπί καταλύσει τής αμαρτίας καί
τοΰ θανάτου, καί γεννηθέντα έκ πνεύματος άγίου έκ Μαρίας
τής παρθένου, τό κατά σάρκα, ώς γέγραπται, καί άναστραφέν-
τα μετά τών μαθητών καί πάσης τής οικονομίας πληρωθείσης
κατά τήν πατρικήν βούλησιν, σταυρωθέντα καί άποθανόντα καί
ταφέντα καί είς τά καταχθόνια κατεληλυθότα, ον τινα καί αύ­
τός ό αδης ϊπτηξεν, δστις καί άνέστη άπό τών νεκρών τή τρίτη
ήμέρςι καί διέτριψε μετά τών μαθητών, καί πληρωθεισών τεσσα­
ράκοντα ήμερών άνελήφθη είς τούς ούρανούς, καί καθέζεται
έν δεξιά τοΰ πατρός, έλευσόμενος έν τή έσχάτη ήμέρςι τής
άναστάσεως έν τή πατρική δόξη, ϊνα άποδώ έκάστω κατά τά
εργα αύτοΰ. καί είς τό άγιον πνεΰμα, δπερ αύτός ό μονογενής
τοΰ θεοΰ υιός, ό Χριστός, ό κύριος καί θεός ήμών, έπηγγείλατο
πέμπειν τώ γένει τών άνθρώπων παράκλητον, καθάπερ γέ-
γραπται, τό πνεΰμα τής άληθείας, δπερ αύτοΐς επεμψεν, οτε
άνήλθεν είς τούς ούρανούς.
Crediamo in un solo Dio Padre onnipotente, dal quale sono
state create tutte le cose. E nell’unigenito Figlio di Dio, genera­
to 1 da Dio prima di tutti i tempi e di ogni principio, per mezzo
del quale sono state create tutte le cose, visibili e invisibili. È
stato generato unigenito, solo dal solo Padre, Dio da Dio, simile
al Padre che lo ha generato 2 secondo le Scritture, la cui gene­
razione nessuno conosce, eccetto il Padre che lo ha generato.
Sappiamo che questo unigenito Figlio di Dio, inviato dal Padre,
è venuto tra noi dal cielo, com’è stato scritto, per distruggere il
peccato e la morte, ed è stato generato dallo Spirito santo e da
Maria Vergine per quanto riguarda la carne, come è stato scrit­
to. Si è intrattenuto con i discepoli ed ha realizzato tutta l’eco­
nomia della redenzione secondo il volere del Padre; è stato cro­
cifisso, è morto, è stato seppellito ed è disceso sottoterra, così
che anche l’Ade ha avuto timore di lui. E risorto dai morti il
terzo giorno ed è stato con i discepoli; dopo quaranta giorni è
stato assunto in cielo e siede alla destra del Padre; e verrà
nell’ultimo giorno della risurrezione nella gloria paterna, per re­
tribuire ciascuno secondo le proprie opere. Crediamo nello Spi­
rito santo che l’unigenito Figlio di Dio, Cristo, il Signore e Dio
nostro, ha promesso di inviare come consolatore degli uomini -
secondo quanto è scritto -, lo Spirito di verità, che ha loro in­
viato quando è risalito al cielo.
246 PROFESSIONE DI FEDE DI COSTANTINOPOLI

Το δέ δνομα της ούσίας, δπερ άπλούστερον ύπό τών πα­


τέρων έτέθη, άγνοούμενον δέ τοΐς λαοΐς σκάνδαλον εφερε,
διότι μηδέ αί γραφαί τοΰτο περιέχουσιν, ήρεσε περιαιρεθήναι
καί παντελώς μηδεμίαν μνήμην τοΰ λοιποΰ γίνεσθαι, έπειδή-
περ καί αί θεΐαι γραφαί ούδαμώς έμνημόνευσαν περί ούσίας
πατρός καί υίοΰ- καί γάρ ούδέ όφείλει ύπόστασις περί πατρός
καί υίοΰ καί άγίου πνεύματος όνομάζεσθαι. δμοιον δέ λέγομεν
τώ πατρί τόν υιόν, ώς λέγουσιν αί θεΐαι γραφαί καί διδάσκου-
σιν. πασαι δέ αί αιρέσεις, α ΐ τε ήδη πρότερον κατεκρίθησαν καί
αι τινες έάν καινότεραι γένωνται, έναντίαι τυγχάνουσαι της
έκτεθείσης ταύτης γραφής, άνάθεμα έ'στωσαν.
PROFESSIONE DI FEDE DI COSTANTINOPOLI 247

Quanto al nome di sostanza·*, che i padri introdussero un


po’ semplicisticamente e che dà scandalo al popolo che Io ignora,
dato che neppure le Scritture lo contengono, si è convenuto di
toglierlo di mezzo e che neppure per il futuro se ne faccia men­
zione, perché in nessun punto le Sacre Scritture hanno nomina­
to la sostanza del Padre e del Figlio. E neppure bisogna parlare
di ipostasi 4 in riferimento al Padre, al Figlio e allo Spirito santo.
Affermiamo invece che il Figlio è simile al Padre, come afferma­
no e insegnano le Sacre Scritture. Tutte le eresie, sia quelle già
condannate sia se ce ne sono di nuove, in quanto contrastanti
con questa professione di fede, siano condannate.
Parte Quarta
L ’A F F E R M A Z IO N E D E L L A T E O L O G IA
D E I CAPPADO CI
La soluzione filoariana di Rimini e Costantinopoli era stata im­
posta da Costanzo. Perciò, venuto a mancare poco dopo (361)
l’imperatore, la politica di neutralità nelle questioni interne della
chiesa inaugurata da Giuliano favorì la ripresa delle parti che da
quei concili erano uscite in vario modo sconfitte. Ripresero la
loro propaganda gli anomei, ma furono soprattutto omousiani e
omeousiani a trar vantaggio dalla nuova politica. L ’inversione di
tendenza continuò sotto il breve regno di Gioviano e, per l’occi­
dente, anche sotto Valentiniano (dal 384). Questo imperatore
continuò la politica di non ingerenza di Giuliano, così che gli
omousiani, nettamente maggioritari, pur con qualche battuta
d ’arresto, furono in grado di assumere il controllo generale della
situazione e gradatamente eliminare dalla scena i loro avversari.
Il concilio di Aquileia del 381, cui partecipò Ambrogio, con la
condanna di due dei pochi superstiti esponenti dell’arianesimo
segnò emblematicamente la fine dell’eresia in occidente. La ri­
presa che si ebbe di lì a non molto fu fenomeno di carattere ben
diverso, perché fu provocata dalle invasioni dei barbari, che in
massima parte erano stati conquistati, grazie soprattutto all’ope­
ra missionaria di Ulfila, alla fede ariana.
In oriente invece l’andamento delle cose fu molto più com­
plesso e confuso, perché qui il fronte teologico-politico era molto
più variegato, i contrasti anche personali più accentuati, le divi­
sioni fra gli antiariani profonde e di lunga data. Per di più si
complicarono anche i rapporti con l’occidente, e questo fattore
incise negativamente non solo nel confronto tra oriente e occi­
dente, ma anche all’interno del già frazionato fronte orientale.
Per qualche indispensabile dettaglio rinviamo alle introduzioni
preposte ai singoli testi, e qui ci limitiamo a ricordare come sia
252 PARTE QUARTA

stata soprattutto l’opera politica e dottrinale di Basilio di Cesa­


rea che gradualmente dette unità e consistenza alle file dell’epi­
scopato orientale, che nel concilio di Costantinopoli del 381 non
soltanto condannò in modo definitivo l’arianesimo nelle sue va­
rie forme ma trovò anche la forza di contrapporsi all’invadenza
di papa Damaso in nome di una ritrovata omogeneità dottrinale
e politica, destinata comunque a conservarsi solo per breve ora.
1 . L ettera del concilio di A ntiochia a G ioviano (363)

Morto Costanzo e succedutogli Giuliano che inaugurò, nei riguardi


dell’annosa controversia, una politica di neutralità, Atanasio, che
nei cruciali anni 357-60 era rimasto nascosto fra i monaci d’Egitto e
solo con gli scritti aveva cercato di affermare la sua presenza nella
disputa, ritenne giunto il momento di riprendere il vecchio ruolo di
protagonista. Rientrato ad Alessandria, vi convocò (362) un conci­
lio, cui parteciparono i vescovi d’Egitto e alcuni niceni ch’erano sta­
ti esiliati lì da Costanzo. Il concilio propugnò nuovamente Γ bo-
moousios niceno come norma di fede in senso antiariano, invitando a
sottoscriverlo i tanti vescovi d ’oriente e occidente che, bon gré mal
gré, avevano sottoscritto la formula di Rimini-Costantinopoli. L ’an­
no successivo, durante l’effimero regno di Gioviano, una ventina di
vescovi, soprattutto di area siro-palestinese, ritenne opportuno acco­
gliere l’invito di Atanasio e adeguarsi al nuovo corso degli eventi che
sembrava delinearsi. Riunitisi perciò ad Antiochia, intorno al vesco­
vo locale, Melezio, decisero di accettare la formula nicena. Di ciò
dettero comunicazione a Gioviano con una lettera sinodale.
I motivi che spinsero a questa decisione alcuni dei vescovi firma­
tari certamente saranno stati politici - fra loro vi era anche Acacio e
insieme con lui vari altri vescovi provenienti dalle file degli omei
ma Melezio, pur anch’egli di estrazione omea, eletto vescovo di An­
tiochia nel 360, aveva preso pubblicamente posizione in senso
omeousiano e per questo era stato subito deposto ed esiliato. Torna­
to dall’esilio aveva ripreso l’attività antiariana, anche se vecchi ran­
cori lo dividevano da Atanasio. Fu soprattutto lui a dare credibilità
a questo piccolo concilio, la cui importanza nel complicato iter della
controversia fu molto grande. Infatti nella lettera inviata a Gioviano
i firmatari accettano 1 ’homoousios niceno ma l’interpretano in senso
omeousiano: «consustanziale» significa «simile secondo la so­
stanza». In tal modo questa breve lettera può essere considerata
LETTERA DEL CONCILIO DI ANTIOCHIA A GIOVIANO 255

come la carta di fondazione di un nuovo partito nel complesso schie­


ramento dell’episcopato orientale, il partito dei niceni provenienti
dalle file degli omeousiani e degli omei, che possiamo definire neoni-
ceni, in contrapposizione ai niceni di vecchia osservanza che, con
Atanasio in testa, pur disposti a discutere con gli omeousiani, accet­
tavano integralmente l’impostazione dottrinale del simbolo niceno,
9enza condividerne l’interpretazione omeousiana. Questa divisione
sul piano ideologico fu subito potenziata da un’altra e più grave
ancora sul piano politico, il cosiddetto scisma di Antiochia. Lo sci­
sma fu provocato appunto dalla divisione, nella comunità antiochena
antiariana, fra antichi e nuovi niceni ostili fra loro non solo per
divergenze di dottrina ma anche, se non soprattutto, per vecchi ran­
cori. Atanasio, quando vide respinta da Melezio una profferta di
conciliazione, appoggiò i vecchi niceni e il suo atteggiamento attirò
da questa parte Roma e l’occidente. Ma l’oriente, ad eccezione
dell’Egitto, gradualmente si schierò dalla parte di Melezio e dei neo-
niceni. In tal modo gli antiariani d ’oriente e d’occidente si trovaro­
no ancora una volta divisi, e tale situazione avrebbe favorito non
poco i loro avversari.
Riportiamo il testo sinodale del 363 secondo l’edizione di PG
LXVII 453.
Τώ εύσεβεστάτω καί θεοφιλεστάχω δεσπότη ήμών
Ίοβιανώ Ν ικητή Αύγούστω, ή τών έν Ά ντιοχείςι παρόντων
έπισκόπων έκ διαφόρων έπαρχιών σύνοδος.
Τ ήν έκκλησιαστικήν ειρήνην τε καί ομόνοιαν, δτι σοϋ καί
πρώτη πρεσβεύειν έσπούδασεν ή ευσέβεια, ευ ισμεν καί αυ­
τοί, θεοφιλέστατε βασιλεΰ. δτι δέ κεφάλαιον της τοιαύτης
ένότητος, της άληθοΰς καί όρθοδόξου πίστεως καλώς ύπείλη-
φας τόν χαρακτήρα, ούδέ τοΰτο άγνοοΰμεν. ΐνα μή τοίνυν
μετά τών παραχαρασσόντων τό δόγμα τής άληθείας τετάχθαι
νομιζώμεθα, άναφέρομεν τή σή ευλαβείς δτι τής άγίης συνό­
δου τής έν Νικαί^ι πάλαι πρότερον συγκροτηθείσης τήν πίστιν
καί άποδεχόμεθα καί κατέχομεν.
'Οπότε καί τό δοκοΰν έν αύτή ξένον τισίν δνομα, τό τοΰ
όμοουσίου φαμέν, άσφαλοΰς τετύχηκε παρά τοΐς πατράσιν ερ­
μηνείας, σημαινούσης δτι έκ τής ουσίας τοΰ πατρός ό υίός
έγεννήθη, καί δτι δμοιος κατ’ ουσίαν τώ πατρί. ουτε δέ ώς
πάθους τινός περί τήν άρρητον γέννησιν έπινοουμένου, οΰτε
κατά τινα χρήσιν Ε λλη νικ ήν λαμβάνεται τοΐς πατράσι τό δνο­
μα τής ούσίας· είς άνατροπήν δέ τοΰ έξ ούκ δντων, περί
τοΰ Χριστοΰ άσεβώς τολμηθέντος παρά τοΰ Ά ρείου, δπερ καί
οί νΰν έπίφοιτήσαντες Α νόμοιοι ϊτ ι θρασύτερον καί τολμηρό-
τερον έπί λύμη τής έκκλησιαστικής όμονοίας άναισχύντως
παρρησιάζονται.
AI piissimo e carissimo a Dio signore nostro Gioviano Vinci­
tore Augusto il concilio dei vescovi presenti ad Antiochia da di­
verse province.
Ben sappiamo anche noi, o imperatore carissimo a Dio, che la
tua pietà si è adoperata per tenere in primo e massimo conto la
pace e la concordia della chiesa; e neppure ignoriamo che tu ret­
tamente ritieni che l’essenziale di tale unità sia la forma della
fede vera e ortodossa. Perciò, a fine che non si creda che noi
siamo a fianco di coloro che adulterano la dottrina della verità1,
comunichiamo alla tua venerazione che accettiamo e teniamo
ferma la fede del santo concilio riunito tanto tempo fa a Nicea.
Quanto poi al fatto che ad alcuni sembra strano un termine
che si trova in questo testo, cioè quello di consustanziale, esso è
stato interpretato in modo sicuro dai nostri padri2, a significare
che il Figlio è stato generato dalla sostanza del Padre ed è simile
al Padre secondo la sostanza. Né si deve pensare a passione ri­
guardo all’indicibile generazione né i padri hanno assunto il no­
me di sostanza secondo l’uso dei greci. Ma lo hanno assunto per
confutare l’affermazione che il Figlio è stato creato dal nulla, che
empiamente Ario ha osato proporre riguardo a Cristo, e che an­
che gli anomei or ora apparsi propongono svergognatamente in
maniera ancor più audace e temeraria per la rovina della concor­
dia della chiesa.
258 LETTERA DEL CONCILIO DI ANTIOCHIA A GIOVIANO

Δ ιό συνετάξαμεν τήδε ήμών τή άναφορφ καί τό άντίγρα


φον τής πίστεως τής έν Νίκαια ύπό τών συγκροτηθέντων έπι
σκόπων έκτεθεισης, ήν τινα καί άγαπώμεν.
LETTERA DEL CONCILIO DI ANTIOCHIA A GIOVIANO 259

Perciò abbiamo aggiunto a questa nostra relazione anche la


copia della fede che fu pubblicata a Nicea dai vescovi che si
erano là riuniti, e che anche noi abbracciamo3.
2. Basilio, Omelia su «In principio era il Logos»

Gioviano morì nel 364 e gli successe Valentiniano, che affidò subito
il governo dell’oriente al fratello Valente, conservando per sé l’occi­
dente. Egli inaugurò qui una politica di neutralità religiosa che favo­
rì gli omousiani, i quali vi erano dominanti, sì che in poco tempo
l’arianesimo fu praticamente debellato. In oriente invece Valente
trovò una situazione molto più confusa, coesistendo più o meno in
polemica fra loro ariani radicali, ariani moderati, omeousiani, e
omousiani divisi fra vecchi e nuovi niceni. L ’insorgere della contro­
versia intorno allo Spirito santo (360 circa) complicò ancor più la
situazione, in quanto vari omeousiani non erano disposti ad ammet­
tere, alla pari degli ariani, la divinità della terza ipostasi trinitaria,
che invece altri di loro accettavano insieme con gli omousiani. Di
fronte a tante divisioni e ispirato da Eudossio, il vescovo di Costan­
tinopoli che professava ora un arianesimo di tipo moderato, Valente
ripristinò la posizione ch’era stata di Costanzo, cercando di allineare
tutto l’episcopato orientale sulla generica formula costantinopolitana
del 360. I provvedimenti a danno di chi non aderiva, applicati in
modo tutt’altro che sistematico, contribuirono a logorare ancora di
più i già tanto divisi omeousiani.
In questa drammatica situazione esplicò la sua decisiva azione
antiariana, fra il 370 e il 379, Basilio di Cesarea (di Cappadocia). Di
ascendenza omeousiana, egli mirò a rassodare ed amplificare le fragi­
li file dei neoniceni, conquistando aderenze fra quelli ch’erano stati
omeousiani e omei e che ora, per la posizione negativa in materia di
Spirito santo, erano chiamati pneumatomachi (e poco più tardi ma-
cedoniani, da Macedonio, vescovo di Costantinopoli intorno al 358),
e appoggiando vigorosamente Melezio nello scisma antiocheno, sia
contro Alessandria, dove nel 373 Pietro succedeva ad Atanasio, sia
contro l’occidente guidato dall’autoritario papa Damaso. Dal punto
di vista dottrinale egli fornì la base ideologica a questo schieramen-
OMELIA SU «IN PRINCIPIO ERA IL LOGOS» 261

to, approfondendo decisamente la teologia dello Spirito santo ed ela­


borando una posizione trinitaria capace di soddisfare le esigenze sia
della teologia nicena sia di quella delle tre ipostasi.
Forte dell’appoggio di vari importanti collaboratori, fra cui ricor­
diamo Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa sotto l’aspetto dot­
trinale, e Anfilochio d’Iconio ed Eusebio di Samosata nell’azione
politica, Basilio portò avanti la sua politica con grande fermezza pur
fra smacchi a volte molto dolorosi, senza temere di confrontarsi an­
che duramente con papa Damaso. La morte lo colse quando i frutti
prodotti dalla sua politica non erano ancora maturi; ma di lì a due
anni il concilio di Costantinopoli avrebbe segnato il trionfo di que­
sta politica e la sanzione definitiva della soluzione dottrinale da lui
proposta per definire la controversia.
Presentiamo di lui un’omelia che interpreta il v. 1, 1 del Vangelo
di Giovanni. Ev. Io. 1, 1-3 sin dall’inizio della polemica (cfr. parte II
testo n. 3, 1 2 ) aveva costituito il più importante punto d’appoggio
scritturistico per la teologia antiariana, e anche Basilio continua a
valorizzarlo in questo senso. Di qui egli può ricavare i punti dogma­
tici basilari della teologia del Logos in funzione antieretica: coeterni­
tà del Logos rispetto al Padre, sua perfetta divinità, distinzione per­
sonale rispetto al Padre.
Per il testo dell’omelia basiliana seguiamo l’edizione di PG
X X X I 472-81.

Proveniente da nobile e ricca famiglia, Basilio (330 circa-379) prima fu mo­


naco, poi prete nella natia Cesarea di Cappadocia, quindi vescovo a partire
dal 370. Abbiam o già accennato alla sua attività nella controversia ariana. Va
aggiunto che fu valido organizzatore dell’attività monastica in Asia minore e
fautore di una cultura che conciliava le esigenze della fede cristiana con quel­
le della tradizione classica. D i argomento trinitario ricordiamo tre libri contro
Eunomio e L o Spirito Santo. A ll’attività monastica sono legate alcune Regole
e vari scritti ascetici. Della sua predicazione sono superstiti varie omelie, di
argomento dottrinale, morale ed esegetico. Fra queste ultime ricordiamo
quelle suU’Esamemne. U n ricchissimo epistolario testim onia la multiforme e
instancabile attività di questo grande leader della cristianità d ’oriente.

Bibliografia: L . V ischer, Basilius der Grosse. Diss. Basel 1933; H . Dòrries,


De Spiritu Sancto. Der Beitrag des Basilius zum Abschluss des trìnitarischen Dog-
mas, G ottingen 1956; «B asilio di C esarea: la sua età la sua opera e il basilia-
nesimo in Sicilia » , A tti del Congresso (tenuto a M essina, 3-6 dicembre 1979),
M essina 1983.
Ε ίς τό «έν άρχή ήν ό λόγος».
1. Πάσα μέν ή τών ευαγγελίων φωνή μεγαλοφυεστέρα τών
λοιπών τοΰ πνεύματος διδαγμάτων, καθ’ δτι έν έκείνοις μέν
διά τών δούλων ήμΐν έλάλησε τών προφητών, έν δέ τοΐς
εύαγγελίοις αύτοπροσώπως διελέχθη ήμΐν ό δεσπότης, αύ­
τοΰ γ ε μήν τοΰ εύαγγελικοΰ κηρύγματος ό μεγαλοφωνότατος,
καί πάσης μέν άκοής μείζονα, πάσης δέ διανοίας υψηλότερα
φθεγξάμενος, Ιωάννης έστίν, ό υιός τής βροντής· ού τό προοί-
μιον τής ευαγγελικής συγγραφής άρτι άναγνωσθέν ήκούσα-
μεν· «έ ν άρχή ήν ό λόγος, καί ό λόγος ήν πρός τόν θεόν, καί
θεός ήν ό λόγος» (Εν. Ιο. 1 , 1). ταΰτα οΐδα πολλούς καί τών
ϊξω τοΰ λόγου τής άληθείας μέγα φρονούντων έπί σοφία κο­
σμική καί θαυμάσαντας, καί τοΐς εαυτών συντάγμασιν έγκατα-
μίξαι τολμήσαντας. κλέπτης γάρ ό διάβολος, καί τά ήμέτερα
έκφερομυθών πρός τούς έαυτοΰ ύποφήτας. εί ούν ή σάρκινη
σοφία τοσοΰτον έθαύμασε τών ρημάτων τήν δύναμιν, τ ί ποιή-
σωμεν ήμεΐς οί μαθηταί τοΰ πνεύματος, έάν παρέργως άκού-
σωμεν καί μικράν τινα τήν ένυπάρχουσαν αύτοΐς δύναμιν εί­
ναι λογισώμεθα; καί τίς ούτως άναισθησίαν νοσών, ώστε
τοιοΰτον κάλλος έννοιας καί βάθος δογμάτων ούτως άνέφικ-
τον μή ούχί καταπλαγήναι καί έπιθυμήσαι αύτών τής άλη-
θοΰς καταλήψεως; άλλά γάρ ούχί τό θαυμάσαι τά καλά δύ-
σκολον, άλλά τό έν άκριβεΐ κατανοήσει γενέσθαι τών θαυμα-
σθέντων, τοΰτο χαλεπόν καί δυσέφικτον. έπεί καί τόν ήλιον
Su «In principio era il Logos».
1. Ogni parola dei Vangeli è di significato più elevato d
(litri insegnamenti dello Spirito, perché in quelli il Signore ci ha
parlato per mezzo dei profeti suoi servi, mentre nei Vangeli ci ha
parlato di persona1. Nel messaggio evangelico poi il più eloquen­
te e chi ha parlato più forte di ogni udito e più alto di ogni
intelligenza, è Giovanni, il figlio del tuono: del prologo del suo
Vangelo abbiamo udito poco fa la lettura: «In principio era il
Logos e il Logos era presso Dio e il Logos era D io » (Ev. Io. 1 ,1 ).
So che anche molti estranei alla parola di verità e pieni d ’orgo­
glio per sapienza profana hanno ammirato queste parole 2 e
hanno avuto l’ardire di frammischiarle alle loro opere. Il diavolo
infatti è un ladro, che divulga ai suoi ministri le nostre verità.
Ma se la sapienza della carne ha ammirato a tal punto il valore di
queste parole, che cosa faremo noi, i discepoli dello Spirito, se le
staremo a sentire con superficialità e considereremo di poco con­
to il loro significato? E chi è tanto insensibile da non essere
colpito dalla bellezza del pensiero e dall’inaccessibile profondità
della dottrina, e da non desiderarne la vera comprensione? Infat­
ti non è gravoso ammirare le cose belle; ma comprendere adegua­
tamente ciò che abbiamo ammirato, questo - si - è penoso e
difficile da realizzare. Non c’è nessuno infatti che non apprezzi
264 BASILIO

τοΰτον τόν αισθητόν ούδείς μέν έστιν δς ούχ ύπερεπαινεΐ, τό


μέγεθος αύτοΰ καί τό κάλλος, καί τών άκτίνων τήν συμμε­
τρίαν, καί τό άποστίλβον αύτοΰ φώς κατασπαζόμενος· έάν
μέντοι βιαιότερον φιλονεικήση τώ κύκλω άντεξάγειν έαυτοΰ
τάς τών όμμάτων βολάς, ού μόνον ού κατόψεται τά περι­
σπούδαστα, άλλά καί τήν άκρίβειαν τής δψεως προσδιαφθεί-
ρας οίχήσεται. τοιοΰτόν τί μοι δοκώ τήν διάνοιαν πάσχειν, τήν
φιλονεικοΰσαν άκριβή ποιεϊσθαι τών προκειμένων ρημάτων
τήν έξέτασιν.
« Έ ν άρχή ήν ό λόγος», τίς έννοήσει άξίως τά περί τής
άρχής; ποία ρημάτων δύναμις εύρεθή όμοτίμως δυναμένη
παραστήσαι τό νοηθέν; μέλλων παραδιδόναι ήμΐν τά περί τής
θεολογίας τοΰ υίοΰ τοΰ θεοΰ, ούδεμίαν άρχήν άλλην τώ λόγω
ή τήν άρχήν τών δλων έδωκεν. ήδει τούς έπιφυομένους τή
δό£ο τοΰ μονογενούς τό πνεΰμα τό άγιον- προήδει τούς μέλλον­
τας ήμΐν προφέρειν τά σοφίσματα, τά έπί καταστροφή τών ά-
κουόντων αύτοΐς μεμηχανημένα. δτι· εί έγεννήθη, ούκ ήν,
καί· πρό τοΰ γεννηθήναι ούκ ήν, κα(· έξ ούκ δντων τήν ύπό-
στασιν ελαβε. τοιαΰτα δέ φθέγγονται γλώσσαι ήκονημέναι διά
πιθανολογίας ΰπέρ πάσαν μάχαιραν δίστομον, ΐνα τοίνυν μηδενί
λέγειν έξή τά τοιαΰτα, προλαβόν τό πνεΰμα τό άγιον διά τοΰ
εύαγγελίου· «έ ν άρχή, φησίν, ήν ό λόγος».
Έ άν κρατής ταύτην τήν φωνήν, ούδεν ού μή πάθης δει­
νόν παρά τών κακοτέχνων. έάν γάρ λέγη έκεΐνος· εί έγεν­
νήθη, ούκ ήν, συ είπέ· έν άρχή ήν. άλλά, φησί, πριν ή
γεννηθήναι πώς ήν; σύ μή άφής τό « ή ν » , μή καταλίπης τό
«έν ά ρχ ή ». άρχής ή κορυφή ού καταλαμβάνεται· άρχής
τό έξώτερον ούχ εύρίσκεται. μή παραλογίσηταί σέ τις τώ πο-
λυσήμω τής λέξεως. πολλαί γάρ άρχαί πολλών πραγμάτων
κατά τόν βίον τοΰτον· άλλά μία άρχή έπί πάντων ή έπέκει-
OMELIA SU «IN PRINCIPIO ERA IL LOGOS» 265

oltre misura questo sole sensibile, traendo diletto dalla bellezza e


dalla grandezza, dalla regolarità dei raggi e dallo splendore della
luce. M a se uno cercherà di affiggere con troppa intensità lo
Sguardo dei suoi occhi in quella circonferenza, non soltanto non
riuscirà a scorgere ciò che desidera, ma danneggerà l’integrità
della vista. Tale sensazione mi sembra di provare nella mente,
ora che cerco di spiegare in modo adeguato il controverso signifi­
cato delle parole che ci vengono proposte.
«In principio era il Logos». Chi può comprendere convenien­
temente ciò che riguarda il principio? E quali parole adatte potrà
trovare, per poter esprimere ciò che avrà pensato? Sul punto di
trasmetterci l’insegnamento relativo alla teologia del Figlio di
Dio, Giovanni non ha assegnato al Logos altro principio che il
principio di tutte le cose. Infatti lo Spirito santo sapeva che al­
cuni avrebbero cercato di insidiare la gloria dell’Unigenito, e sa­
peva in anticipo che alcuni ci avrebbero opposto i loro sofism i3,
escogitati per la rovina di quelli che avrebbero prestato loro
ascolto. « S e è stato generato, non esisteva» e «Prim a di essere
Stato generato non esisteva» e « H a tratto sussistenza dal nulla».
Ecco che cosa profferiscono alcune lingue che la capacità di fare
bei discorsi ha reso aguzze più di ogni spada a due tagli. Ma
perché a nessuno fosse lecito fare tali affermazioni, prevenendo­
lo lo Spirito santo dice tramite il Vangelo: « In principio era il
Logos ».
Se ti terrai stretto a questa parola, non subirai alcun danno
dagli ingannatori. Se infatti uno di quelli ti dice: «S e è stato
generato, non esisteva», tu rispondi: «In principio era». « M a » -
egli obietta - , «com e era prima di essere stato generato?». M a tu
non ti staccare dall’«e ra », non lasciare l’«in principio», perché
noi non possiamo comprendere la punta estrema del principio e
non possiamo trovare ciò ch’è oltre il principio. Nessuno t’in­
ganni con la varietà di significati della parola4. Infatti in questa
nostra vita ci sono molti principi di molte cose: ma uno solo è il
principio che sta su tutti, quello al di là di tutti. È scritto nei
266 BASILIO

να. «ά ρχή γάρ όδοΰ άγαθήζ» εΐπεν ή παροιμία (Prov. 16, 5).
ά λλ’ όδοΰ μέν άρχή ή πρώτη κίνησις, δθεν άρχόμεθα της
πορείας, ής τό κατόπιν δυνατόν έστιν εύρεΐν. καί «ά ρχή σο­
φίας φόβος κυρίου» (Ps. 110, 10). εστι καί ταύτης τής άρχής
ετερόν τ ι προκείμενον τής γάρ τών τεχνών άναλήψεως άρχή
έστιν ή στοιχείωσις, στοιχεΐον ούν έστι τής σοφίας ό φόβος
τοΰ κυρίου· άλλά ταύτης τής άρχής έστί τι πρεσβύτερον, ή
κατάστασις τής ψυχής, τοΰ μήπω σοφισθέντος καί τόν φόβον
τοΰ θεοΰ άνειληφότος. άρχαί λέγονται καί αί πολιτικαί δυνα-
στεϊαι, αί τών άξιωμάτων ύπεροχαί. ά λλ’ αύται αί άρχαί,
τινών είσιν άρχαί, καί πρός τ ι έκάστη. άρχή γάρ τής
γραμμής τό σημεΐον, καί άρχή τής έπιφανείας ή γραμμή, καί
άρχή τοΰ σώματος ή έπιφάνεια· καί τοΰ κατά σύνθεσιν λόγου
άρχαί τά στοιχεία.
2. Ού μήν κάκείνη τοιαύτη ή άρχή. ούδενί γάρ προ
δέδεται· ούδενί δουλεύει· μετ’ ούδενός θεωρείται· άλλ’ έ-
λευθέρα έστίν· άδέσποτος, λελυμενη τής πρός ετερον σχέ-
σεως· άνυπέρβατος διανοία, ήν ούκ εστιν ύπερβήναι τοΐς λο-
γισμοΐς, ής ούκ εστιν έξευρεΐν τά έπέκεινα. έάν γάρ φιλονει-
κήστ)ς τή φαντασία τοΰ νοΰ παραδραμεΐν τήν άρχήν, εύρήσεις
αύτήν προτρέχουσάν σου, καί προαπαντώσαν τοΐς λογισμοΐς.
αφες σεαυτοΰ τόν νοΰν δραμεΐν δσον βούλεται καί διαταθήναι
έπί τά ανω· εΐτα εύρήσεις αύτόν μυρία πλανηθέντα καί πολλά
κενεμβατήσαντα, καί πάλιν έπανιόντα πρός εαυτόν, διά τό μή
δύνασθαι κατωτέραν έαυτοΰ τήν άρχήν ποιήσαι. διότι άεί τοΰ
νοουμένου έξωτέρα καί πλείων εύρίσκεται ή άρχή.
« Έ ν ά ρχή» τοίνυν «ή ν ό λόγος», ώ τοΰ θαύματος* πώς
πασαι άλλήλαις όμοτίμως αί φωναί συνεξεύχθησαν. τό « ή ν »
ίσον δύναται τοΰ «έν ά ρχ ή ». ποΰ ό βλάσφημος; ποΰ ή χριστο-
μάχος γλώ ττα ; ή λέγουσα· «ή ν ποτε, δτε ούκ ή ν » ; ακούε τοΰ
εύαγγελίου· έν άρχή ήν. εί δέ έν άρχή ήν, πότε ούκ ήν; τήν
άσέβειαν αύτών στενάξω, ή τήν άμαθίαν βδελύξομαι; «άλλά
O M ELIA SU «IN PRINCIPIO ERA IL LOGOS» 267

Proverbi: «Principio di una buona v ia» (Prov. 16, 5). Ma princi­


pio della via è il primo movimento, da cui cominciamo il viaggio,
e di cui è possibile trovare ciò che sta prima. «Principio della
sapienza è il timore del Signore» (Ps. 110, 10). M a c’è qualcosa
d'altro che precede anche questo principio. Infatti principio del­
la comprensione delle arti è l’insegnamento dei primi elementi, e
un elemento della sapienza è il timore del Signore. Ma c’è qual­
cosa di anteriore a questo principio, la costituzione dell’anima
di chi non è stato ancora istruito e non ha ancora appreso il timor
di Dio. Diciamo princìpi anche le autorità politiche e gli onori
più elevati. M a questi princìpi sono princìpi di qualche cosa e
ognuno in relazione a qualche cosa. Principio della linea è il pun­
to, principio della superficie la linea, principio del corpo la su­
perficie. E principio di un discorso completo sono i vari elementi
di cui è composto.
2. M a neppure di tal genere è quel principio. Infatti con nu
è connesso, da nulla dipende, con nulla viene osservato: ma è
libero, indipendente, non correlato ad altro. Invalicabile da par­
te del pensiero, perché non può essere oltrepassato coi ragiona­
menti e non è possibile trovare qualcosa che gli stia al di là. Se
infatti cercherai di oltrepassare con l’immaginazione il principio,
troverai che sempre ti precede e per primo si fa incontro ai ra­
gionamenti. Lascia che la tua mente corra quanto vuole e tenda
alle realtà superiori. Poi dovrai constatare che, dopo aver molto
errato e vagato a vuoto, tom a nuovamente a sé stessa, perché
non può far sì che il principio le stia dietro. Perciò troviamo che
il principio è sempre al di là e al di sopra del nostro pensiero.
Perciò «in principio era il Logos». O meraviglia! Come tutte
le parole si connettono fra loro con lo stesso valore! Infatti «e ra »
ha lo stesso significato di «in principio»5. D ov’è il bestemmiato-
re? Dove la lingua nemica di Cristo? che dice: « C ’è stato un
tempo in cui non esisteva». M a ascolta le parole del Vangelo «In
principio era». Se era in principio, quando mai non è esistito?
Debbo lamentare l’empietà di costoro o provare disgusto per la
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272 BASILIO

είπε, προδιορθούμενος τάς άπρεπείς υπολήψεις, ΐνα σου τήν


ψυχήν ατρωτον διασώσηται.
4. « Κ αι ό λόγος ήν πρός τόν θεόν » . πάλιν τό « ήν » διά τούς
βλασφημοΰντας δτι ούκ ήν. ποΰ ήν ό λόγος; ούκ έν τόπω* ού
5 γάρ περιέχεται τόπω τά άπερίγραπτα. άλλά ποΰ ήν; « πρός τόν
θεόν», ουτε ό πατήρ έν τόπω, οΰτε ό υιός έν περιοχή τινι καί
περιγραφή όμολογουμένη κατειλημμένος* ά λλ’ άπειρος μεν ό
πατήρ, άπειρος δέ ό υιός. παν δπερ έννοήσης, καί δπουπερ άν
πορευθής τώ πνεύματί σου, τοΰ θεοΰ εύρήσεις πεπληρωμένον*
ίο πανταχοΰ συμπαρεκτεινομένην εύρήσεις τοΰ υίοΰ τήν ύπόστασιν.
«κ α ί ό λόγος ήν πρός τον θεόν», θαύμασον τήν άκρίβειαν έκά-
στης φωνής* ούκ εΐπεν* «έ ν τώ θεώ ήν ό λόγος», άλλά
«πρός τόν θεόν», ΐνα τό ίδιάζον τής ύποστάσεως παραστήστ).
ούκ εΐπεν* «έν τώ θ εώ », ΐνα μή πρόφασιν δώ τή συγχύσει τής
ΐ5 ύποστάσεως. πονηρά γάρ κάκείνη ή βλασφημία τών φύρειν τά
πάντα έπιχειρούντων, καί εν τό υποκείμενον λεγόντων πατέρα
καί υιόν καί άγιον πνεΰμα, προσηγορίας δέ διαφερούσας τώ évi
πράγματι έπιφημίζεσθαι. πονηρά ή άσέβεια, καί φευκτή ούκ
ήττον τών άνόμοιον είναι κατ’ ούσίαν τόν υιόν τοΰ θεοΰ τώ
ίο θεώ καί πατρί βλασφημούντων. «κ α ί ό λόγος ήν πρός τον
θεόν ». εΐτα συγχρησάμενος τή τοΰ λόγου φωνή πρός τήν παρά-
στασιν τής κατά τήν γέννησιν άπαθείας, ταχύ καί τό έκ τοΰ
λόγου βλάβος έγγινόμενον ήμΐν παρεμυθήσατο. καί οΐον άφαρ-
πάζων αυτόν τής συκοφαντίας τών βλασφημούντων, τ ί, φησίν,
25 έστιν ό λόγος; «θεός ήν ό λόγος», μή μοι τεχνολογεί διαφοράς
τινας λόγων, μηδέ έκ τής σής κακοτεχνίας πρόστριψής τινά
βλασφημίαν τή διδασκαλία τοΰ πνεύματος, έχεις τήν άπόφασιν*
ύποτάγηθι τώ κυρίω.
θ εό ς ό λόγος «οΰτος ήν έν άρχή πρός τόν θεόν», πάλιν
30 άνακεφαλαιοΰται έν όλίγοις ρήμασι πάσαν έαυτοΰ τήν θεο­
λογίαν, ήν περί τοΰ μονογενοΰς ήμΐν ό εύαγγελιστής παρέδω-
κεν. οΰτος τίς; οΰτος, ό λόγος ό θεός. έπειδή γάρ σοι διήρθρω-
σε τήν περί αύτοΰ έννοιαν, οΐον έντυπώσας σου τή ψυχή διά
τής διδασκαλίας τά άγνοούμενα, καί ένοικίσας τόν λόγον
OMELIA SU «IN PRINCIPIO ERA IL LOGOS» 273

anticipo le interpretazioni sconvenienti, per conservare illesa la


tua anima.
4. « E il Logos era presso D io». Ancora una volta «e ra » a
causa di coloro che bestemmiando dicono: «N o n esisteva». D o-
ν’era il Logos? Non in un luogo, perché non si può racchiudere
in un luogo ciò ch’è incircoscritto. M a allora dov’era? «Presso
D io». M a né il Padre sta in un luogo, né il Figlio è compreso in
un ambito e in una data delimitazione: ma come il Padre è illimi­
tato, così anche il Figlio è illim itato12. Tutto ciò che potrai
pensare e dovunque ti potrai spingere col pensiero, tutto troverai
pieno di Dio, e dovunque troverai estesa insieme l’ipostasi del
Figlio. « E il Logos era presso D io». Ammira l’esattezza di ogni
parola. Non ha detto: « Il Logos era in D io», ma «presso D io»,
per presentarci il carattere distintivo dell’ipostasi13. Non ha det­
to: «in D io », per non offrire il pretesto di confondere l’ipostasi.
Infatti è empia bestemmia anche quella di coloro che cercano di
confondere ogni cosa, e affermano che Padre, Figlio e Spirito
tmnto sono un solo sostrato e che nomi diversi vengono attribuiti
tid un’unica entità. Si tratta di malvagia empietà, da fuggire non
meno di quella che empiamente asserisce che il Figlio di Dio è
per sostanza diverso da Dio Padre. « E il Logos era presso D io».
Dopo aver fatto uso della parola «lo g o s» per presentarci l'impas­
sibilità della generazione, subito dopo ha posto riparo al danno
d ie può venire a noi da questa parola. E quasi strappandola dalla
culunnia dei bestem miatori14, che cos’è - dice Giovanni - il Lo-
gos? «Il Logos era D io». Non escogitare differenze di parole e
non addossare con i tuoi raggiri qualche bestemmia all’insegna-
mento dello Spirito. H ai la sentenza: sottomettiti al Signore.
Il Logos D io «questo era in principio presso D io». D i nuovo
ili poche parole l’evangelista riassume tutta la dottrina che ci ha
li'nsmesso riguardo all’Unigenito. Chi «q u esto»? Questo, il Lo-
μηϋ Dio. Dopo infatti che ti ha esposto il concetto su di lui,
i|iuisi imprimendo nella tua anima con l’insegnamento ciò che
ignori e facendo abitare il Logos Cristo nel tuo cuore, dice: «Que-
'u su jy ’ijoDas p p tjod39
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3. [Basilio], Lettera 38

Fra gli svariati motivi che, al tempo di Basilio, contribuivano a tener


divisi fra loro gli antiariani d’oriente, era fondamentale la divergen­
za nella dottrina trinitaria. Il concilio antiocheno del 363, che aveva
visto vari omeousiani accettare 1’bomoousios niceno (cfr. parte IV,
testo η. 1 ), aveva avuto grande valore politico ma non aveva contri­
buito molto a risolvere le difficoltà di carattere teologico che divide­
vano fra loro omousiani e omeousiani. Tanto meno aveva avuto ef­
fetto in questo senso un chiarimento che Atanasio aveva proposto
nel concilio di Alessandria del 362 (cfr. il commento a questo testo,
nota 1). Come abbiamo visto (cfr. parte III, testo n. 5, nota 21), gli
omeousiani continuavano a propugnare la dottrina origeniana delle
tre ipostasi trinitarie e facevano corrispondere alle tre ipostasi tre
ousie distinte, in quanto assumevano ousia nel senso, prevalente nel­
la tradizione alessandrina, di sostanza individuale (cfr. parte II, te­
sto n. 5, nota 4). Atanasio invece, sulla traccia dell'homoousios nice­
no, preferiva parlare di ousia indifferenziata del Padre e del Figlio (e
perciò anche dello Spirito santo), mentre si asteneva dal far uso, in
contesti trinitari, del termine hypostasis·, infine i niceni di vecchia
osservanza affermavano una sola ousia e una sola ipostasi della Tri­
nità. Essi consideravano triteisti gli omeousiani e, a loro volta, ne
erano considerati monarchiani.
Basilio all’inizio della sua attività teologica si attiene alla posizio­
ne omeousiana e parla di ousie distinte del Padre e del Figlio (cfr.
Epistula 9); ma successivamente accetta Yhomoousios niceno, e di
conseguenza si pone il problema di come conciliare l’impostazione
sostanzialmente monarchiana di questo concetto con l’affermazione
di tre distinte ipostasi trinitarie. La sua soluzione si fonda, in con­
trasto con la posizione omeousiana da lui inizialmente accettata, sul­
la netta distinzione di significato fra hypostasis e ousia in contesto
trinitario: hypostasis indica nella Trinità ciò ch’è proprio, individua­
LETTERA 38 277

le, specifico del Padre, Figlio, Spirito santo; invece ousia indica ciò
che v’è di comune fra loro, divinità, natura, sostanza. Si ha cosi
1’ affermazione di una ousia ( = sostanza, natura divina) articolata in
tre ipostasi distinte ( = persone), destinata ad imporsi in oriente co­
me formula dell’ortodossia, equidistante sia dal divisionismo degli
ariani (tre ipostasi e ousie della divinità eterogenee fra loro) sia
dall’unitarismo dei monarchiani (una sola sostanza e una sola iposta­
si della Trinità).
A documentare questa dottrina che, proposta da Basilio, fu svi­
luppata e chiarita da Gregorio Nazianzeno e soprattutto da Grego­
rio Nisseno, presentiamo l’epistola 58 dell’epistolario di Basilio.
L’autenticità di questo testo è contestata: difficilmente potrà consi­
derarsi basiliano e ora si tende ad attribuirlo al Nisseno, ed è tutt’al-
tro che improbabile che non sia stato scritto né dall’uno né dall’al­
tro. Ma quale che sia l’autore, questa lettera, che certo proviene
dall’ambiente dei cappadoci, presenta in forma sistematica e comple­
ta la dottrina sia di Basilio sia del Nisseno ed è stata sempre consi­
derata dagli studiosi come espressione paradigmatica della loro dot­
trina trinitaria. Per tal motivo diamo per intero questo testo a prefe­
renza di spunti disparati e meno coerenti che si trovano sparpagliati
nelle opere sicuramente autentiche di Basilio.
Presentiamo la lettera 38 nell’edizione di Y. Courtonne, Saint
Rasile, Lettres, Paris 1957.
Γρηγορίω άδελφώ περί διαφοράς ούσίας καί ύποστάσεως.
1 . Έπειδή πολλοί τό κοινόν τής ούσίας έπί τών μυστικών
δογμάτων μή διακρίνοντες άπό τοΰ τών υποστάσεων λόγου ταΐς
αύταΐς συνεμπίπτουσιν ύπονοίαις, καί οί'ονται διαφέρειν μηδέν
ούσίαν ή ύπόστασιν λέγειν (δθεν καί ήρεσέ τισι τών άνεξετά-
στως τά τοιαΰτα προσδεχομένων, ώσπερ μίαν ούσίαν, ουτω καί
μίαν ύπόστασιν λέγειν, καί τό εμπαλιν οί τάς τρεις υποστάσεις
παραδεχόμενοι καί τήν τών ούσιών διαίρεσιν κατά τόν ίσον
άριθμόν έκ τής όμολογίας ταύτης δογματίζειν οί’ονται δεΐν),
διά τοΰτο, ώς αν μή καί συ τά ομοια πάθοις, υπόμνημά σοι διά
βραχέων τόν περί τούτου λόγον έποιησάμην. "Εστι τοίνυν, ώς
έν όλίγω παραστήσαι, τοιαύτη τών λεγομένων ή έννοια.
2 . Πάντων τών όνομάτων τά μέν έπί πλειόνων καί τώ
άριθμώ διαφερόντων λεγόμενα πραγμάτων καθολικωτέραν τι-
νά τήν σημασίαν εχει, οΐον άνθρωπος, ό γάρ τοΰτο είπών, τήν
κοινήν φύσιν διά τοΰ ονόματος δείξας, ού περιέγραψε τή φωνή
τόν τινά άνθρωπον, τόν Ιδίως ύπό τοΰ όνόματος γνωριζόμε-
νον. ού γάρ μάλλον Πέτρος άνθρωπός έστιν ή καί Άνδρέας
καί Ιωάννης καί Ιάκωβος, ή οΰν κοινότης τοΰ σημαινομενου,
ομοίως έπί πάντας τούς ύπό τό αυτό δνομα τεταγμένους
χωρούσα, χρείαν εχει τής ύποδιαστολής δι’ ής ού τόν καθόλου
άνθρωπον, άλλά τόν Πέτρον ή τόν Ίωάννην έπιγνωσόμεθα.
Τά δέ τών όνομάτων ίδικωτέραν ϋχει τήν ενδειξιν δι’ ής ούχ
ή κοινότης τής φυσεως ένθεωρεΐται τώ σημαινομένω, άλλά
Al fratello Gregorio, sulla differenza fra sostanza e ipostasi.
1. A proposito delle dottrine che riguardano Dio molti, non
distinguendo la sostanza comune dal concetto delle ipostasi, fan­
no coincidere i concetti e credono che non faccia differenza dire
sostanza o ipostasi, per cui alcuni, che accolgono tali discorsi
senza esaminarli, hanno deciso di affermare, come una sola so­
stanza, così anche una sola ipostasi1, e inversamente, quelli che
accettano le tre ipostasi credono che corrispondentemente si
debba affermare la divisione delle sostanze secondo lo stesso nu­
mero. Per tal motivo, perché non succeda lo stesso anche a te, ti
presento su questo argomento una trattazione riassuntiva. 11 si­
gnificato dei termini, per dirla in breve, è il seguente.
2. D i tutti i nomi, quelli che si predicano di più oggetti di­
stinti per numero, hanno significato più generale, come, p. es.,
uomo2. Infatti chi dice così indica col nome la natura comune
c non definisce con la parola un singolo uomo, che appunto per
il nome viene riconosciuto nella sua individualità. Infatti Pietro
non è uomo più di Andrea, Giovanni, Giacomo. Il significato
comune, che abbraccia ugualmente tutti coloro che ricadono sot­
to lo stesso nome, ha bisogno di una suddivisione, per cui noi
riconosciamo non l’uomo in generale, ma Pietro o Giovanni. Al­
tri nomi invece danno un’indicazione più particolare, per cui noi
consideriamo con ciò che viene significato non la natura comune
ma la delimitazione di una singola entità, che nulla ha in coma-
28ο [b a s h j o ]

πράγματός τίνος περιγραφή μηδεμίαν Αχούσα πρός τό ομογενές,


κατά τό ίδιάζον, τήν κοινωνίαν, οιον ό Παΰλος ή ό Τιμόθεος,
ούκέτι γάρ ή τοιαύτη φωνή έπί τό κοινόν της φύσεως φέρεται,
άλλα χωρίσασα τής περιληπτικής σημασίας περιγεγραμμένων
τινών πραγμάτων εμφασιν διά τών όνομάτων παρίστησιν.
'Όταν ούν δύο ή καί πλειόνων κατά τό αύτό δντων, οιον
Παύλου καί Σιλουανοΰ καί Τιμοθέου, περί τής ούσίας τών
άνθρώπων ζητείται λόγος, ούκ άλλον τις άποδώσει τής ού­
σίας έπί τοΰ Παύλου λόγον, ετερον δέ έπί τοΰ Σιλουανοΰ καί
άλλον έπί τοΰ Τιμοθέου, άλλά δι’ ών άν λόγων ή ούσία τοΰ
Παύλου δειχθή ουτοι καί τοΐς άλλοις έφαρμόσουσι, καί είσιν
άλλήλοις όμοούσιοι οί τώ αύτώ λόγω τής ούσίας ύπογραφό-
μενοι. έπειδάν δέ τις τό κοινόν μαθών έπί τά ίδιάζοντα
τρέψη τήν θεωρίαν δι’ ών χωρίζεται τοΰ έτέρου τό έτερον, ού­
κέτι ό έκάστου γνωριστικός λόγος τώ περί τοΰ άλλου διά πάν­
των συνενεχθήσεται, καν εν τισιν εΰρεθή τό κοινόν έχων.
3. Τοΰτο τοίνυν φαμέν τό ιδίως λεγόμενον τώ τής ύπ
στάσεως δηλοΰσθαι £ήματι. ό γάρ άνθρωπον είπών έσκεδα-
σμένην τινά διάνοιαν τώ άορίστω τής σημασίας τή άκοή ένε-
ποίησεν, ώστε τήν μέν φύσιν έκ τοΰ όνόματος δηλωθήναι, τό
δέ ύφεστός καί δηλούμενον ιδίως ύπό τοΰ όνόματος πράγμα
μή σημανθήναι. ό δέ Παΰλον είπών ϊδειξεν έν τώ δηλουμένω
ύπό τοΰ όνόματος πράγματι ύφεστώσαν τήν φύσιν. τοΰτο ούν
έστιν ή ύπόστασις, ούχ ή άόριστος τής ούσίας έννοια μηδε­
μίαν έκ τής κοινότητος τοΰ σημαινομένου στάσιν εύρίσκουσα,
ά λλ’ ή τό κοινόν τε καί άπερίγραπτον έν τώ τινί πράγματι
διά τών έπιφαινομένων ιδιωμάτων παριστώσα καί περιγρά-
φουσα, ώς καί τή γραφή σύνηθες τό τοιοΰτο ποιεΐν έν άλλοις
τε πολλοΐς καί έν τή κατά τόν Ί ώ β ιστορία.
Έ π ειδ ή γάρ εμελλε τά περί αύτοΰ διηγεΐσθαι, πρότερον
τοΰ κοινοΰ μνημονεύσασα καί είποΰσα «άνθρωπος» εύθυς ά-
ποτέμνει τώ ίδιάζοντι έν τή προσθήκη τοΰ « τ ις » , άλλά τής μέν
ούσίας τήν υπογραφήν ώς ούδέν φέρουσαν κέρδος πρός τόν
προκείμενον τοΰ λόγου σκοπόν έσιώπησε, τόν δέ τινά διά τών
LETTERA 38 281

ne, nella sua individualità, con ciò che appartiene allo stesso ge­
nere, come, p. es., Paolo o Timoteo. Infatti tale parola non si
estende alla natura comune, ma distinguendo dal significato ge­
nerale, dà con i nomi l’indicazione di alcune entità delimitate.
Perciò se noi, assumendo sotto lo stesso riguardo due o più
persone, come Paolo, Silvano, Timoteo, cerchiamo la definizio­
ne della sostanza degli uomini, non daremo una definizione della
sostanza riguardo a Paolo, un’ altra riguardo a Silvano e un’altra
riguardo a Timoteo, ma la definizione che indicherà la sostanza
di Paolo si adatterà anche agli altri, e sono fra loro consustanzia­
li 3 quanti sono indicati dalla stessa definizione della sostanza.
Ma se, avendo appreso ciò che c’è di comune, uno si volge a
considerare le proprietà individualizzanti, per le quali un’entità
si distingue dall’altra, allora la definizione che indica ognuna di
quelle entità non si adatterà completamente a quella che ne indi­
ca un’altra, anche se si trovano in loro alcune proprietà comuni.
3. Voglio dir questo: ciò che si predica in modo individua
indicato dalla parola ipostasi. Infatti chi dice «uom o», per l’in­
determinatezza del significato suscita in chi ascolta un’idea non
definita, sì che dal nome viene definita la natura ma non indica­
ta l’entità individuale sussistente, ch’è indicata dal suo nome
particolare. Chi invece dice «P ao lo » rileva, nell’entità indicata
dal nome, la natura individuale sussistente. Questa è l’ipostasi:
non la nozione indefinita di sostanza, che non trova alcuna sta­
bilità per la genericità del significato comune; ma la nozione che
distingue e definisce ciò che c’è di comune e indefinito in una
qualche entità, mettendo in rilievo i caratteri individuali. Anche
nella Scrittura questo modo di fare è usuale, oltre che in molti
altri episodi, anche nella storia di G iobbe4.
Infatti quando il testo intraprende a parlare di lui, prima
ricorda ciò che aveva di comune e lo dice «uom o», ma subito lo
circoscrive con ciò che lo individualizza mediante l’aggiunta di
«un certo». Così ha taciuto la descrizione della sostanza in
quanto non avrebbe arrecato nulla di utile alla finalità del rac-
282 [b a silio ]

οικείων γνωρισμάτων χαρακτηρίζει καί τόπον λέγουσα καί τά


τοΰ ήθους γνωρίσματα καί δσα τών εξωθεν συμπαραληφθέντα
χωρίζειν αύτόν και άφιστάν ή μελλε τής κοινής σημασίας,
ώστε διά πάντων έναργή τοΰ ίστορουμένου γενέσθαι τήν υπο­
γραφήν έκ τοΰ ένόματος, έκ τοΰ τόπου, έκ τών τής ψυχής
ιδιωμάτων, έκ τών εξωθεν περί αύτόν θεωρουμένων, εί δέ
τόν τής ούσίας έδίδου λόγον, ούδεμία αν έγένετο τών είρη-
μένων έν τή τής φύσεως έρμηνεία μνήμη, ό γάρ αύτός αν ήν
λόγος δς και έπί Βαλδάδ τοΰ Σαυχίτου καί Σοφάρ τοΰ Μι-
ναίου καί έφ’ έκάστου τών έκεϊ μνημονευθέντων άνθρώπων.
"Ο ν τοίνυν έν τοΐς καθ’ ήμάς εγνως διαφοράς λόγον έπί τε
τής ούσίας καί τής ύποστάσεως τοΰτον μετατιθείς καί έπί τών
θείων δογμάτων ούχ άμαρτήσει. πώς τό είναι τοΰ πατρός, δ τί
ποτε ύποτίθεταί σου ή έννοια (πρός ούδέν γάρ Ιίστιν άποτε-
ταγμένον νόημα τήν ψυχήν έπερείδειν, διά τό πεπεΐσθαι αυτό
υπέρ πάν είναι νόημα), τοΰτο καί έπί τοΰ υίοΰ νοήσεις, τοΰτο
ώσαύτως καί έπί τοΰ πνεύματος τοΰ αγίου, ό γάρ τοΰ άκτί-
στου καί τοΰ άχαταλήπτου λόγος εις καί ό αύτός έπί τε τοΰ
πατρός καί τοΰ υίοΰ καί τοΰ άγίου πνεύματός έστιν. ού γάρ τό
μέν μάλλον άκατάληπτόν τε καί άκτιστον, τό δέ ήττον. έπεί
δέ χρή διά τών Ιδιαζόντων σημείων άαύγχυτον έπί τής τριά-
δος τήν διάκρισιν εχειν, τό μέν κοινώς έπιθεωρούμενον, οιον
τό δκτιστον λέγω , ή τό υπέρ πάσαν κατάληψιν ή ε ϊ τ ι τοιοΰτο
ού συμπαραληψόμεθα είς τήν τοΰ ίδιάζοντος κρίσιν, έπιζη-
τήσομεν δέ μόνον δ ι’ ών ή περί έκάστου έννοια τηλαυγώς καί
άμίκτως τής συνθεωρουμένης άφορισθήσεται.
4. Καλώς ούν εχειν μοι δοκεΐ οΰτως άνιχνεΰσαι τόν λόγο
πάν δπερ αν εις ήμάς έκ θείας δυνάμεως άγαθόν φθάση τής
πάντα έν πάσιν ένεργούσης χάριτος ένέργειαν είναί φαμεν,
καθώς φησιν ό άπόστολος δτι* «ταΰτα δε πάντα ένεργεΐ τό εν
LETTERA 38 283

conto, e invece caratterizza l’«u n certo» con le note individuali,


e parlando del luogo, dei tratti distintivi del carattere e di tutto
quanto Giobbe aveva ricevuto dall’esterno, lo separa e lo distin­
gue rispetto al significato comune della parola «uom o». In tal
modo la descrizione del personaggio risulta del tutto evidente
dal nome, dal luogo, dai caratteri distintivi dell’anima e dagli
elementi esterni che si conoscevano riguardo a lui. Se invece il
testo avesse dato la definizione della sostanza, non si sarebbe
fatta alcuna menzione di ciò ch’è stato detto nell’individuazione
della natura. Infatti la definizione sarebbe stata la stessa che per
Baldad il Sauchita, per Sophar il Mineo e per ognuna delle altre
persone che vengono lì ricordate.
Questo concetto della distinzione fra sostanza e ipostasi, che
hai riconosciuto in ciò che riguarda noi uomini, se lo trasferirai
alla dottrina che riguarda Dio non sbaglierai. Ciò che la mente ti
suggerisce sul modo di essere del Padre (infatti non è possibile
che l’anima si fondi su un concetto ben determinato, perché è
convinta che l’idea di Dio è al di sopra di ogni concetto)5, que­
sto stesso concetto tu penserai del Figlio e altrettanto dello Spi­
rito santo. Infatti la nozione d ’increato e incomprensibile è una
sola e la stessa per il Padre, il Figlio e lo Spirito santo, perché
non si dà che uno sia più increato e incomprensibile e l’altro lo
sia meno. Poiché però bisogna avere una ben precisa distinzione
nella Trinità grazie ai caratteri individuali, non assumeremo ciò
che consideriamo comune - come, p. es., l’essere increato o al di
là di ogni comprensione, o qualcosa del genere - per la distinzio­
ne di ciò ch’è individuale, e invece cercheremo soltanto ciò per
cui il concetto di ogni singola persona possa essere distinto in
modo chiaro e senza confusione da quello della divinità comples­
sivamente considerata.
4. M i sembra opportuno ricercare così questo concetto
Ogni bene che viene a noi dalla potenza divina è effetto della
grazia che opera tutto in tutti, secondo quanto dice l’apostolo:
«T u tto questo opera il solo e medesimo Spirito, dividendo a
284 [BASILIO]

καί τό αυτό πνεύμα διαιρούν 1δί$ έκάστω καθώς βούλεται» (1


Ερ. Cor. 12, 11). ζητοΰντες δέ εΐ έκ μόνου τοΰ άγίου πνεύμα­
τος ή τών αγαθών χορηγία την άρχήν λαβοΰσα ουτω παραγί­
νεται τοΐς άξίοις, πάλιν ύπό τής γραφής όδηγούμεθα είς τό
τής χορηγίας τών αγαθών τών διά τοΰ πνεύματος ήμΐν ένερ-
γουμένων άρχηγόν καί αίτιον τόν μονογενή θεόν είναι πι-
στεύειν. πάντα γάρ δ ι’ αύτοΰ γεγενήσθαι καί έν αύτώ συνε-
στάναι παρά τής αγίας γραφής έδιδάχθημεν (Εν: Ιο. 1, 3; Ερ.
Col. 1, 17). δταν τοίνυν καί πρός έκείνην ύψωθώμεν τήν έν­
νοιαν, πάλιν ύπό τής θεοπνεύστου χειραγωγίας αναγόμενοι δι-
δασκόμεθα δτι δ ι’ έκείνης μέν πάντα τής δυνάμεως έκ τοΰ μή
δντος είς τό είναι παράγεται, ού μήν ούδέ έξ έκείνης ά-
νάρχως, άλλά τίς έστι δύναμις άγεννήτως καί άνάρχως
ύφεστώσα ήτις έστιν αιτία τής άπάντων τών δντων αιτίας,
έκ γάρ τοΰ πατρός ό υιός δ ι’ ου τά πάντα, ω πάντοτε τό
πνεΰμα τό άγιον άχωρίστως συνεπινοεΐται. ού γάρ έστιν έν
περινοία τοΰ υΐοΰ γενέσθαι μή προκαταυγασθέντα τώ πνεύματι.
Έ π ειδ ή τοίνυν τό άγιον πνεΰμα, άφ’ ού πάσα έπί τήν
κτίσιν ή τών άγαθών χορηγία πηγάζει, τοΰ υίοΰ μέν ήρτηται
ω άδιαστάτως συγκαταλαμβάνεται, τής δε τοΰ πατρός αίτιας
έξημμένον ϊχ ε ι τό είναι, δθεν καί έκπορεύεται, τοΰτο γνωρι-
στικόν τής κατά τήν ύπόστασιν ίδιότητος σημεΐον εχει, τό μ ε­
τά τον υιόν καί συν αύτώ γνωρίζεσθαι καί τό έκ τοΰ πατρός
ύφεστάναι. ό δέ υιός ό το έκ τοΰ πατρός έκπορευόμενον πνεΰμα
δ ι’ έαυτοΰ καί μεθ’ έαυτοΰ γνωρίζων, μόνος μονογενώς έκ τοΰ
άγεννήτου φωτός έκλάμψας, ούδεμίαν κατά τό ΐδιάζον τών
γνωρισμάτων τήν κοινωνίαν εχει πρός τόν πατέρα ή πρός τό
πνεΰμα τό άγιον, άλλά τοΐς είρημένοις σημείοις μόνος γνωρί­
ζεται. ό δέ έπί πάντων θεός έξαίρετόν τ ι γνώρισμα τής έαυτοΰ
ύποστάσεως τό πατήρ είναι καί έκ μηδεμιας αιτίας ύποστήναι
μόνος έ'χει, καί διά τούτου πάλιν τοΰ σημείου καί αύτός ιδια­
ζόντως έπιγινώσκεται.
LETTERA 38 285

ciascuno come vuole» (l Ep. Cor. 12, 11). M a quando ricerchia­


mo se questa distribuzione di beni tocca a chi ne è degno avendo
tratto origine soltanto dallo Spirito santo, ancora una volta la
Scrittura c’indirizza a credere che la causa prima della distribu­
zione dei beni operati in noi per mezzo dello Spirito santo è il
Dio Unigenito. Abbiamo appreso infatti dalla Sacra Scrittura
che tutto è stato creato per mezzo di lui e sussiste in lui (Ev. Io.
1 , 3; Ep. Col. 1 , 17). M a dopo che ci siamo innalzati a questo

concetto, di nuovo guidati in alto come per mano dall’ispirazione


divina apprendiamo che tutte le cose sono state tratte dal non
essere all’essere grazie a quella potenza, ma neppure da questa
senza principio, perché c’è una potenza sussistente senza essere
stata generata e senza avere principio, che è causa della causa di
tutti gli esseri. Infatti dal Padre deriva il Figlio per mezzo del
quale sono state create tutte le cose, insieme col quale insepara­
bilmente noi consideriamo sempre anche lo Spirito santo. Infatti
non è possibile pensare al Figlio senza essere stati prima illumi­
nati dallo Spirito.
Poiché dunque lo Spirito santo, da cui come fonte tutti i
beni si diffondono sulla creazione, è connesso col Figlio insieme
col quale inseparabilmente viene compreso, e d ’altra parte il suo
essere è collegato al Padre, che ne è la causa e dal quale anche
procede, ha come segno distintivo della sua individualità secon­
do l’ipostasi il fatto di essere conosciuto dopo il Figlio e insieme
con lui e di derivare l’essere dal Padre7. Il Figlio poi, che per
mezzo di sé e con sé fa conoscere lo Spirito che procede dal
Padre 8 ed è il solo che sia stato generato traendo splendore
dalla luce ingenerata, nulla ha in comune col Padre o con lo
Spirito santo quanto all’individualità dei caratteri distintivi, ma
egli solo si fa conoscere dai segni che abbiamo detto. Infine Dio
che è su tutti ha come segno distintivo della propria ipostasi
l'essere Padre e il non aver derivato l’essere - lui solo - da altra
causa, e per questo segno anch’egli viene conosciuto nella sua
Individualità.
286 [b a s il i o ]

Τούτου ενεκεν έν τή τής ούσίας κοινότητι άσύμβατά φα-


μεν είναι καί άκοινώνητα τά έπιθεωρούμενα τή τριάδι γνωρί­
σματα δ ι’ ών ή ίδιότης παρίσταται τών έν τή πίστει παραδε-
δομένων προσώπων, έκάστου τοΐς ίδίοις γνωρίσμασι διακεκρι­
μένων καταλαμβανομένου, ώστε διά τών είρημένων σημείων
τό κεχωρισμένον τών ύποστάσεων έξευρεθήναι· κατά δέ τό
άπειρον καί άκατάληπτον καί τό άκτίστως είναι καί μηδενί
τόπω περιειλήφθαι καί πασι τοΐς τοιούτοις μηδεμίαν είναι πα­
ραλλαγήν έν τή ζωοποιώ φύσει (έπί πατρός λέγω καί υίοΰ
καί πνεύματος ά γίου), άλλά τινα συνεχή καί άδιάσπαστον
κοινωνίαν έν αύτοΐς θεωρεΐσθαι.
Κ αί δι* ών άν τις νοημάτων τό μεγαλεΐον ένός τίνος τών έν
τή ά γ ί? τριάδι πιστευομένων κατανοήσειε, διά τών αύτών
προσελεύσεται άπαραλλάκτως έπί πατρός καί υίοΰ καί πνεύ­
ματος άγίου τήν δόξαν βλέπων, έν ούδενί διαλείμματι μεταξύ
πατρός καί υίοΰ καί άγίου πνεύματος τής διανοίας κενεμβατού-
σης. διότι ούδέν έστι τό διά μέσου τούτων παρενειρόμενον
οΰτε πράγμα ύφεστός άλλο τι παρά τήν θείαν φύσιν, ώς κατα-
μερίζειν αυτήν πρός έαυτήν διά τής τοΰ άλλοτρίου παρεμπτώ-
σεως δύνασθαι, οΰτε διαστήματός τίνος άνυποστάτου κενότης,
ήτις κεχηνέναι ποιεί τής θείας ούσίας τήν πρός έαυτήν άρμο-
νίαν, τή παρενθήκη τοΰ κενοΰ τό συνεχές διαστέλλουσα.
Ά λ λ ’ ό τόν πατέρα νοήσας αύτόν τε έφ’ έαυτοΰ ένόησε
καί τόν υίόν τή διανοία συμπαρεδέξατο. ό δέ τοΰτον λαβών τοΰ
υίοΰ τό πνεΰμα ούκ άπεμέρισεν, ά λλ’ άκολούθως μέν κατά
τήν τάξιν, συνημμένως δέ κατά τήν φύσιν, τών τριών κατά
ταύτόν συγκεκραμένην έν έαυτώ τήν πίστιν άνετυπώσατο.
καί ό τό πνεΰμα μόνον είπών συμπεριέλαβε τή όμολογίρ
ταύτη καί τόν ου έστι τό πνεΰμα. καί έπειδή τοΰ Χριστοΰ
έστι τό πνεΰμα, καί έκ τοΰ θεοΰ, καθώς φησιν ό Παΰλος (Ερ.
Rom. 8 , 9), ώσπερ έξ άλύσεως ό τοΰ ένός άκρου άψάμενος καί
τό ετερον άκρον συνεπεσπάσατο, οΰτως ό τό πνεΰμα έλκύσας,
καθώς φησιν ό προφήτης (Ps. 118, 131), δ ι’ αύτοΰ καί τόν υίόν
LETTERA 3 8 287

Perciò affermiamo che nella sostanza comune sono inconci­


liabili e incomunicabili i caratteri distintivi che rileviamo nella
Trinità, grazie ai quali si mette in evidenza l'individualità delle
persone 9 che ci sono state tramandate nel deposito di fede,
perché ognuna di esse viene compresa per i propri caratteri di­
stintivi separatamente dalle altre, così che per tali segni noi tro­
viamo ciò che separa le ipostasi una dall’altra. D i contro, per il
fatto di essere infinita, incomprensibile, increata, non contenuta
in un luogo e per tutti i caratteri di questo genere, non c’è alcu­
na differenza nella natura che dà la vita 10 - mi riferisco al Pa­
dre, Figlio, Spirito santo -, ma si rileva in loro una comunanza
continua e indivisibile11.
E lo stesso ordine d ’idee, per cui comprendiamo la magnifi­
cenza di ognuna delle entità che sono oggetto di fede nella santa
Trinità, ci permette di procedere a considerare senza alcuna dif­
ferenza la gloria del Padre, del Figlio e dello Spirito santo12,
perché non c’è alcun intervallo fra Padre, Figlio e Spirito santo,
a causa del quale il pensiero si trovi a procedere nel vuoto. Nulla
c'è infatti che s’inserisca in mezzo a loro: non c’è un’altra entità
sussistente oltre la natura divina, tale da poterla dividere in sé
hlessa per l’inserzione di un elemento estraneo; e neppure un
intervallo di vuoto insussistente tale da interrompere l’armonia
interna della sostanza divina, disunendo il continuo con l’inter­
posizione del vuoto.
M a chi considera il Padre, lo considera in sé stesso e insieme
comprende col pensiero anche il Figlio13. Chi poi pensa al F i­
glio, non tiene separato lo Spirito del Figlio, ma conseguente­
mente secondo l’ordine e unitamente secondo la natura, rappre-
Renta in sé la fede nei tre composta in unità. Chi poi nomina
«oltanto lo Spirito, in questa professione comprende insieme an­
che colui cui Lo Spirito appartiene. E poiché lo Spirito è di C ri­
nio e deriva da Dio, come dice Paolo (Ep. Rom. 8 , 9), come chi
lira un capo della catena tira insieme anche l’altro capo, così chi
ime a sé lo Spirito, come dice il profeta (Ps. 118, 131), per
288 [b a s h jo ]

καί τόν πατέρα συνεφειλκύσατο. καί εί τόν υίόν άληθινώς τις


λάβοι, εξει αύτόν έκατέρωθεν, πή μέν τόν έαυτοΰ πατέρα, πή
δέ τό ίδιον πνεΰμα συνεπαγόμενον. οΰτε γάρ τοΰ πατρός ό άεί
έν τω πατρί ών άποτμηθήναι δυνήσεται, οΰτε τοΰ πνεύματός
ποτε διαζευχθήσεται τοΰ ΐδίου ό πάντα έν αύτώ ένεργών.
ωσαύτως δέ καί ό τόν πατέρα δεξάμενος καί τόν υίόν καί τό
πνεΰμα συμπαρεδέξατο τή δυνάμει.
Ού γάρ έστιν έπινοήσαι τομήν ή διαίρεσιν κατ’ ούδένα
τρόπον, ώς ή υίόν χωρίς πατρός νοηθήναι ή τό πνεΰμα τοΰ υίοΰ
διαζευχθήναι, άλλά τις άρρητος καί ακατανόητος έν τούτοις
καταλαμβάνεται καί ή κοινωνία καί ή διάκρισις, ουτε τής τών
ύποστάσεων διαφοράς τό τής φύσεως συνεχές διασπώσης οΰτε
τής κατά τήν ούσίαν κοινότητος τό ίδιάζον τών γνωρισμάτων
άναχεούσης. μή θαυμάσης δέ εί τό αύτό καί συνημμενον καί
διακεκριμένον είναί φαμεν καί τινα έπινοοΰμεν, ώσπερ έν αί-
νίγματι, καινήν καί παράδοξον διάκρισίν τε συνημμένην καί
διακεκριμένην συνάφειαν, εί γάρ μή τις έριστικώς καί πρός
έπήρειαν άκούοι τοΰ λόγου, καί έν τοΐς αίσθητοΐς δυνατόν
έστι τό τοιοΰτον εύρεΐν.
5. Καί μου δεξασθε τόν λόγον ώς ύπόδειγμα καί σκιάν ά
θείας, ούχ ώς αύτήν τήν τών πραγμάτων άλήθειαν. ού
γάρ δυνατόν έστι διά πάντων έφαρμοσθήναι τό έν τοΐς ύπο-
δείγμασι θεωρούμενον τοΐς πρός ά ή τών υποδειγμάτων χρεία
παραλαμβάνεται.
Πόθεν οϋν φαμεν τό διακεκριμένον αμα καί συμφυές έκ τών
κατά τήν αΐσθησιν ήμΐν προφαινομένων άναλογίζεσθαι; ήδη πο­
τέ τοΰ έν τή νεφέλη τόξου τήν λαμπηδόνα κατά τό εαρ τεθέα-
σαι, έκεΐνο λέγω τό τόξον δπερ ό κοινός λόγος ιριν εϊωθεν
έπονομάζειν, δ φασιν οί περί ταΰτα δεινοί τότε συνίστασθαι
δταν άνακεκραμένη τις ή πρός τόν άερα νοτίς, τής τών πνευ­
μάτων βίας τό έν τοΐς άτμοΐς ύγρόν καί παχύ νεφώδες ήδη
γενόμενον είς ύετόν άποθλιβούσης. συνίστασθαι δέ λέγουσιν
οΰτως. έπειδάν ή τοΰ ήλίου άκτίς κατά τό πλάγιον ύποδρα-
μοΰσα τό πυκνόν τε καί συνηρεφές τής νεφώσεως, ειτα κατά τό
LETTERA 38 289

mezzo di questo tira insieme anche il Figlio e il Padre. E se uno


tiene veramente il Figlio, lo terrà da ambedue le parti, traendo
insieme da una parte suo Padre e dall’altra il suo Spirito. Infatti
né può essere separato dal Padre colui che è sempre nel Padre né
può essere mai diviso dal suo Spirito colui che opera tutto in lui.
Analogamente colui che ha accolto il Padre, ha accolto insieme
effettivamente anche il Figlio e lo Spirito santo.
In nessun modo infatti è possibile pensare a divisione o sepa­
razione, così da considerare il Figlio separatamente dal Padre e
da dividere lo Spirito dal Figlio. Invece noi ravvisiamo in loro
sia comunanza sia distinzione in modo indicibile e inconcepibile,
perché né la differenza delle ipostasi interrompe la continuità
della natura né la comunanza secondo la sostanza elimina l’indi­
vidualità delle proprietà caratteristiche. Non meravigliarti perciò
se affermiamo che la medesima realtà è insieme unita e distinta e
se, come in enigma, immaginiamo una nuova e straordinaria di­
stinzione congiunta e congiunzione distinta14. Se infatti uno
ascolta il nostro discorso non per gusto di discutere e calunniare,
gli è possibile trovare qualcosa del genere anche nella realtà sen­
sibile.
5. Intendete comunque le mie parole come esempio e omb
della verità, non come la verità stessa delle cose, perché non è
possibile che ciò che consideriamo negli esempi si adatti perfet­
tamente a ciò per cui facciamo uso degli esempi.
Come dunque affermiamo che da ciò che appare ai nostri
sensi si può dedurre insieme la distinzione e l’unità? H ai già
osservato qualche volta in primavera lo splendore dell’arcobale­
no nelle nubi15, quell’arco dico che siamo soliti definire iride, e
che gli esperti affermano formarsi talvolta quando una certa
umidità si mescola con l’aria, poiché la violenza del vento espel­
le sotto forma di pioggia l’umidità e la spessa nuvolosità che si è
formata nell’ atmosfera. Sostengono che si formi così. Quando il
raggio del sole, penetrando obliquamente nella parte densa e
oscura dell’ammasso di nubi, imprime direttamente il suo cer-
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[o rn sv H ] OÓZ
292 [b ASIUO]

ηλιακής άκτΐνος άνακλωμένη, τό δέ άνθος τοΰ φαινομένου


πολυειδές, παιδεύοντος ήμάς τοΰ λόγου καί διά της κτίσεως
μή κενοπαθεΐν τοΐς περί τοΰ δόγματος λόγοις, οταν είς τό δυ-
σθεώρητον έμπεσόντες πρός τήν τών λεγομένων συγκατάθεσιν
ίλιγγιάσωμεν. ώσπερ γάρ έπί τών τοΐς όφθαλμοΐς φαινομέ­
νων κρείττων έφάνη τοΰ λόγου της αιτίας ή πείρα, ουτω καί
τών ύπεραναβεβηκότων δογμάτων κρείττων έστί τής διά λο γι­
σμών καταλήψεως ή πίστις, καί τό κεχωρισμένον έν ύποστάσει
καί τό συνημμένον έν τή ούσίςι διδάσκουσα, έπεί οϋν τό μέν
τ ι κοινόν έν τή άγία τριάδι, τό δέ ίδιάζον ό λόγος ένεθεώρη-
σεν, ό μέν τής κοινότητος λόγος είς τήν ούσίαν άνάγεται, ή
δέ ύπόστασις το ίδιάζον έκαστου σημεΐόν έστιν.
6 . Ά λ λ ’ ϊσως οιεταί τις μή συμβαίνειν τόν άποδοθέντα περ

τής ύποστάσεως λόγον τή διανοία τής τοΰ άποστόλου γραφής


έν οις φησι περί τοΰ κυρίου δτι· « άπαύγασμα τής δόξης αύ­
τοΰ καί χαρακτήρ τής ύποστάσεως» (Ερ. Hebr. 1, 3). εί γάρ
ύπόστασιν άποδεδώκαμεν είναι τήν συνδρομήν τών περί έκα­
στον ιδιωμάτων, όμολογεΐται δέ ώσπερ έπί τοΰ πατρός είναί
τ ι τό ιδιαζόντως έπιθεωρούμενον δ ι’ ού μόνος έπιγινώσκε-
τα ι, κατά τόν αύτόν δέ τρόπον καί περί τοΰ μονογενοΰς τό ϊσον
πιστεύεται, πώς ένταΰθα τό τής ύποστάσεως δνομα τώ πατρί
μόνω προσμαρτυρεί ή γραφή, τόν δέ υιόν μορφήν λέγει της
ύποστάσεως, ούκ έν ίδίοις, ά λλ’ έν τοΐς τοΰ πατρός γνωρί-
σμασι χαρακτηριζόμενον; εί γάρ ή ύπόστασις τό ίδιάζον τής
έκάστου ύπάρξεως σημεΐόν έστι, τοΰ δέ πατρός ίδιον τό άγεν-
νήτως είναι όμολογεΐται, μεμόρφωται δέ ό υίός τοΐς τοΰ πατρός
ίδιώμασιν, αρα ούκέτι διαμένει τώ πατρί κατ’ έξαίρετον έπ’
αύτοΰ μόνου τό άγέννητον λέγεσθαι, εΐπερ τώ ίδιάζοντι τοΰ
πατρός καί ή τοΰ μονογενοΰς χαρακτηρίζεται ΰπαρξις.
7. Ά λ λ ’ ημείς τοΰτό φαμεν δτι ετερον πληροί σκοπόν έν­
ταΰθα τώ άποστόλω ό λόγος, πρός δν βλέπων ταύταις έχρή-
σατο ταΐς φωναΐς, δόξης άπαύγασμα λέγων καί χαρακτήρα
LETTERA 3 8 293

sole, ma Io splendore di ciò che appare ha molti aspetti, e così la


ragione c’insegna anche per mezzo delle cose create a non farci
turbare senza motivo dai discorsi che riguardano la dottrina,
quando ci imbattiamo in argomenti di difficile comprensione e
ci troviamo in difficoltà quanto al consenso da dare a ciò che
viene detto. Come infatti per ciò che si mostra ai nostri occhi
l’esperienza ci è apparsa più valida dell’esame della causa, così
anche riguardo alle dottrine trascendenti più valida della com­
prensione razionale è la fede che c’insegna la distinzione nell’i­
postasi e l’unione nella sostanza. Perciò, dato che il discorso ha
rilevato ciò che è comune e ciò ch’è particolare nella santa Tri­
nità, il concetto della comunanza si riferisce alla sostanza, men­
tre l’ipostasi è segno individuante di ciascuno dei tre.
6. Ma forse qualcuno penserà 16 che il discorso che abbiamo
fatto sull’ipostasi non si accorda col concetto di ciò che dice
l’ apostolo riferendosi al Signore: «Riflesso della sua gloria e im­
pronta dell’ipostasi» (Ep. Hebr. 1, 3). Se infatti abbiamo am­
messo che l’ipostasi è il complesso delle proprietà individuali di
ciascuno e abbiamo convenuto che, come per il Padre si conside­
ra qualcosa d ’individuale per cui egli solo è riconosciuto, analo­
gamente anche per il Figlio crediamo lo stesso, come mai qui la
Scrittura attribuisce il nome di ipostasi soltanto al Padre e defi­
nisce il Figlio forma dell’ipostasi, caratterizzato dalle proprietà
distintive non sue ma del Padre ? 17 Se infatti l’ipostasi è segno
individualizzante di ciascuna esistenza e siamo d ’accordo che
proprietà del Padre è di esistere senza essere stato generato, e
d'altra parte il Figlio assume forma grazie alle proprietà del Pa­
dre, allora non rimarrà più caratteristica per eccellenza del solo
Padre Tesser detto ingenerato, dal momento che anche l’esisten-
xu del Figlio viene caratterizzata dalla proprietà individualizzan­
te del Padre.
7. Ma noi affermiamo che qui il discorso dell’apostolo mira
K(l un altro fine18, in vista del quale si è servito di queste
parole ed ha parlato di riflesso della gloria e di impronta dell’i-
- j s d b u i i s B j s o d i u i B j s i s a u o u o j r a a S T U Q j B n s 3 } r e d e p s i p o suo n
J3U UOU ‘SjpBcJ [03 OTjSlJ p p 3UI31SUT 3 J 3 JSTS3 J ISBnb 3 BZU.")J
-apBj ‘on ap 3 is aqa o p uod ‘aipue ejuasajd p ojad ‘auoizuiisip
B JJ3 U UOD 3 SUOISnjUOD BZU3S ISB JSO d l 3 [ j a p B Z U 3 J3 JJT p BJ B u 9 3 S lll
a p a j B jja p E u u j j o p b j 3s sip u B o p o u i 0 } S 3 n b u j o i j S i j [B 3 o j p

- b j ; [b o x u o j u i a j B S u a d B q q a p i s a q o a p a j o o j o j s o d B , ] ìso d ‘ B in B jj

3 o d j o D O IJB JIU n o p o u i U I B JS p iS U O D B U I s u o i z u u s r p B J B 1 J3 3 3 B UOU

b jh jb u B[ 3 jn d ‘ o d jo D jB p e jn 8 i j E] a n S u p s y p oun 3 } u a u ie D iÌ ) o |

s s a q a u B ‘ b i a b u o j a ! B j } p tj j 3 p B j j s n b u o d s p p u i o o u o u ^ j i j u s a n p

s jjs p E u n i p c p i s 3 i]D a u o i z r a i p p e ] 3 o d jo D j s p B jjs n b B u p a

B j n 8 i j B j j a p 3 u o i z o u b j 3 s u n b u i ‘ IZ B j n S i j E u n u t o s s j d o i o D a jd

-U I3S 3 o d j o D [I I1 5 B JU I S U JO Q IJiq iS IA U I E j p a j 3 [ J 3 p 3 U O IS U 3 jd U !0 .1

B jp p io d jO D ld u i3 S 3 UOD p j B p m S J3 d I S B J S 0 d l ([ J 3 p E J U O ld n l I i p

B J J E d ‘ B Z U 3 p 3 D 3 jd U I 0 ) S 0 d S 3 0 ])3 D U 0 D JI 3 J E 3 3 l d s B I S B n b ‘ O pO U l

0 S S 3 J S O JJ Y ’B A T JS p B S S 3 B p 31JD O p 3 j d u i 3 S E p u S jd lU O D TS BSnBD 111

UOD 3 U I3 IS U I 3 i p O pO U I U I BUI ‘ O JJ B A ja jU I u n Tp 3 U 0 I Z I S 0 d j3 1 U T (J [ « | )

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iii| Aod3i | ι» κ 5 o d i» u n o i iit| S ogis 51x^92 11 οχχη Ifri 01 ‘ λολ
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S101 i3sUdn3 Λ3§ηο 5»ο!χολ STOjjidx» 9 d3UA0 ‘ ScQscipiDoun 5U i

[ornsva] t’óz
296 [b a s m o ]

ΰποστάσει και τοΰ μονογενούς, ά λλ’ ώς ου παραδεχόμενου


μεσότητά τινα τής έαυτοΰ πρός τόν πατέρα ένώσεως* ώστε τόν
τώ χαρακτήρι τοΰ μονογενοΰς διά τών τής ψυχής όμμάτων
ένατενίσαντα καί τής τοΰ πατρός ύποστάσεως έν περινοία γε-
νέσθαι, ούκ έπαλλασσομένης ούδέ συναναμιγνυμένης τής έ-
πιθεωρουμένης αύτοΐς ίδιότητος, ώς ή τώ πατρί τήν γέννησιν
ή τώ υίώ τήν άγεννησίαν έπιμορφάζειν, ά λλ’ ώς ούκ ένδε-
χόμενον τό ετερον τοΰ έτέρου διαζεύξαντας έφ’ έαυτοΰ μόνον
καταλαβεϊν τό λειπόμενον. ούδέ γάρ έστι δυνατόν υίόν όνο-
μάσαντα μή καί πατρός έν περινοία γενέσθαι, σχετικώς τής
προσηγορίας ταύτης καί τόν πατέρα συνεμφαινούσης.
8. Έ π ειδή τοίνυν ό έωρακώς τόν υίόν όρά τόν πατέρ
καθώς φησιν έν εύαγγελίοις ό κύριος (Ευ. Ιο. 14, 9), διά τοΰτο
χαρακτήρά φησιν είναι τόν μονογενή τής τοΰ πατρός ύποστά­
σεως. καί ώς αν μάλλον έπιγνωσθείη τό νόημα, καί αλλας
συμπαραληψόμεθα τοΰ άποστόλου φωνάς έν αίς εικόνα τοΰ
θεοΰ τοΰ άοράτου καί τής άγαθότητος αύτοΰ πάλιν εικόνα
φησίν (Ep. Col. 1, 15; Sap. 7, 26), ούχί τώ διαφέρειν τοΰ άρ-
χετύπου τήν ; εικόνα κατά τόν τής άορασίας καί τής άγαθότη­
τος λόγον, ά λ λ’ ινα δειχθή δτι ταύτόν τώ πρωτοτύπω έστί,
καν έτερον ή. ού γάρ αν ό τής είκόνος διασωθείη λόγος, εί
μή διά πάντων τό έναργές εχοι καί άπαράλλακτον. ούκοΰν ό
τό τής είκόνος κατανοήσας κάλλος έν περινοία τοΰ άρχετύ-
που γίνεται, καί ό τοΰ υίοΰ τήν οίονεί μορφήν τή διανοία λα­
βών τής πατρικής ύποστάσεως τόν χαρακτήρα άνετυπώσατο
βλέπων διά τούτου έκεΐνον, ού τήν άγεννησίαν τοΰ πατρός
έν τώ άπεικονίσματι βλέπων (ή γάρ αν δ ι’ δλου ταύτόν ήν
καί ούχ ετερον), άλλά τό άγέννητον κάλλος έν τώ γεννητώ
κατοπτεύσας.
"Ωσπερ ό έν τώ καθαρώ κατόπτρω τήν γενομένην τής
μορφής εμφασιν κατανοήσας έναργή τοΰ άπεικονισθέντος προ­
σώπου τήν γνώσιν εσχεν, ούτως ό τόν υίόν έπιγνούς τόν χα­
ρακτήρα τής πατρικής ύποστάσεως διά τής τοΰ υίοΰ γνώσεως
LETTERA 38 297

ché egli non accetta nulla di intermedio nella sua unione col
Padre. Così, chi consideri attentamente con gli occhi dell’anima
l’impronta dell’Unigenito comprende insieme, col pensiero, an­
che l’ipostasi del Padre, non perché si sia cambiata o confusa
insieme la proprietà individuale che rileviamo in loro, così da
immaginare la nascita per il Padre e l’ingenerabilità per il Figlio,
ma nel senso che non è possibile, separandoli l’uno dall’altro,
considerare di per sé quello solo che resta. Infatti, quando si
nomina il Figlio, non è possibile non comprendere col pensiero
anche il Padre, perché il nome di figlio, con la sua relazione,
significa insieme anche il padre22.
8. Dato perciò che chi ha visto il Figlio vede il Padre, co
dice il Signore nel Vangelo (Ev. Io. 14, 9), per questo l’apostolo
definisce l’Unigenito impronta dell’ipostasi del Padre. E perché
possiamo conoscere meglio il concetto, prenderemo anche le al­
tre espressioni dell’apostolo23, in cui definisce il Figlio imma­
gine di Dio invisibile e ancora immagine della sua bontà (Ep.
Col. 1, 15; Sap. 7, 26), non perché l’immagine differisca dal
modello per la nozione di invisibilità e bontà, ma perché si di­
mostri che è la stessa cosa che il modello, anche se è altra rispet­
to a lui. Infatti non sussisterebbe il concetto dell’immagine se
non possedesse completa evidenza e mancanza di ogni differen­
za. Perciò chi osserva la bellezza dell’immagine, comprende an­
che il modello; e chi comprende col pensiero quella ch’è, per
così dire, la forma del Figlio, si rappresenta l’impronta dell’ipo­
stasi del Padre, guardando uno per mezzo dell’altro, non perché
scorga l’ingenerabilità del Padre nell’immagine (altrimenti infatti
questa sarebbe perfettamente la stessa cosa e non altra rispetto
ili Padre), ma perché riconosce la bellezza ingenerata in quella
generata.
Come chi in uno specchio limpido osserva l’immagine della
ligura che vi si forma, ha piena conoscenza della persona che
viene riprodotta, così chi conosce il Figlio, tramite la conoscenza
del Figlio accoglie nel suo cuore l ’impronta dell’ipostasi del Pa-
298 [b a s i l i o ]

έν τή καρδία έδέξατο. πάντα γάρ τά τοΰ πατρός έν τώ υίώ


καθοραται καί πάντα τά τοΰ υίοΰ τοΰ πατρός έστιν (Εν. Ιο. 16,
15), έπειδή και δλος ό υίός έν τώ πατρί μένει καί ολον εχει
πάλιν έν έαυτώ τόν πατέρα (Εν. Ιο. 14, 10). ώστε ή τοΰ υίοΰ
5 ύπόστασις οίονεί μορφή καί πρόσωπον γίνεται τής τοΰ πατρός
έπιγνώσεως, καί ή τοΰ πατρός ύπόστασις έν τή τοΰ υίοΰ
μορφή έπιγινώσκεται, μενοόσης αύτοΐς τής έπιθεωρουμένης
ίδιότητος είς διάκρισιν έναργή τών ύποστάσεων.
LETTERA 38 299

dre. Infatti tutto ciò ch’è del Padre si contempla nel Figlio e
tutto ciò ch’è del Figlio è del Padre (Ev. Io. 16, 15), poiché
tutto il Figlio sta nel Padre e a sua volta egli ha in sé tutto il
Padre (Ev. Io. 14, IO)24. In tal modo l’ipostasi del Figlio divie­
ne come form a e figura della conoscenza del Padre e l’ipostasi
del Padre si fa conoscere nella forma del Figlio, anche se sussiste
in essi, per la chiara distinzione delle ipostasi, la proprietà indi­
viduale che abbiamo rilevato.
4. Il sim bolo niceno-costantinopolitano

1.il morte di Valente nella disastrosa giornata di Adrianopoli (9 ago-


Nto 378) ebbe ripercussioni importanti sullo svolgimento delle con­
fuse controversie di quel tempo fra ariani radicali, ariani moderati,
inucedoniani e cattolici ( = niceni di vecchia e nuova osservanza).
Infatti il suo successore, Teodosio, uno spagnolo di osservanza nice-
nu, favorì subito i cattolici; e più specificamente, dopo una iniziale
presa di posizione per i niceni di vecchia osservanza, guidati da
Dnrnaso di Roma e da Pietro di Alessandria, dette il suo autorevole
ap p o g g io ai neoniceni che, morto Basilio, avevano il loro capo
iicIPormai vecchio Melezio di Antiochia. Per risolvere i vari proble­
mi ch’erano sul tappeto l’imperatore convocò per il 381 a Costanti­
nopoli un concilio ecumenico della parte orientale dell’impero. Ai
lnvori, che si svolsero fra maggio e luglio, presero parte circa 150
vescovi in massima parte di confessione neonicena. Gli argomenti di
curuttere religioso furono esauriti in breve con la più che prevedibi-
lr vittoria dei cattolici: furono solennemente condannati ariani radi-
iiili e moderati e macedoniani, insieme con sabelliani e altri eretici,
fin cui gli apollinaristi di cui ci occuperemo fra breve. Ma lo scisma
eli Antiochia divideva in modo ormai irrimediabile i cattolici neoni­
ceni dai niceni di antica osservanza, e, durante i lavori del concilio,
prima la contrastata ratifica dell’elezione di Gregorio Nazianzeno a
vescovo di Costantinopoli (da cui era stato allontanato l’ariano mo-
tlrruto Demofilo) e poi la successione a Melezio, morto durante lo
•volgimento del concilio, sulla cattedra di Antiochia turbarono pro­
fondamente l’andamento dei lavori. Prevalsero, come sempre in casi
ilrl genere, gli orientamenti più radicali, col risultato che il modera­
lo Gregorio si dimise da vescovo di Costantinopoli, mentre per suc-
inlerc a Melezio veniva chiamato il prete Flaviano che era stato il
hriieeio destro del morto patriarca. In tal modo lo scisma antiocheno
non fu composto, e fu aggravato il contrasto fra i neoniceni, trion-
302 IL SIMBOLO NICENO-COSTANTINOPOLITANO

fatori al concilio, e i loro avversari sostenuti da Roma e Alessandria.


Solo col tempo questi motivi di contrasto sarebbero stati rimossi.
Abbiamo già rilevato come Basilio avesse dato al partito neoni-
ceno spessore non solo politico ma anche teologico, ed anche sotto
questo punto di vista il concilio fece trionfare le sue direttive. In tal
senso egli, se da una parte aveva accettato Yhomoousios niceno, dal­
l’altra ne aveva fornito, grazie alla formula trinitaria una ousia/tre
ipostasi, un’interpretazione compatibile con la dottrina appunto del­
le tre ipostasi, propugnata dagli omeousiani. Perciò, coerente con
questo atteggiamento, il concilio da una parte confermò la validità
del simbolo niceno del 325, con qualche modificazione superficiale e
l’integrazione di cui diremo appresso, e dall’altra vi affiancò un do­
cumento dottrinale in cui interpretava la formula nicena sulla base
della dottrina trinitaria di Basilio, cioè in un senso ch’era ben lonta­
no da quello ch’era stato al concilio del 325. Da questo momento la
formula che affermava nella Trinità una sola ousia ( = sostanza, na­
tura) divina articolata in tre ipostasi distinte, perfettamente uguali
per natura, dignità, operazione, sarebbe diventata distintiva dell’or­
todossia orientale e gradualmente si sarebbe imposta anche all’Egit­
to, ch’era rimasto in un primo momento di osservanza nicena tradi­
zionale.
La riaffermazione della validità normativa del simbolo del 325
non poteva non tener conto delle complicazioni e degli sviluppi che
la controversia ariana aveva avuto dopo quella data. In tal senso
quel simbolo risultava manchevole soprattutto nel terzo comma,
quello dedicato allo Spirito santo, dato che di questo argomento si
era cominciato a discutere soltanto a partire dal 360. Perciò la for­
mula originaria, oltre a superficiali modificazioni ininfluenti sul pia­
no dottrinale, fu integrata nella parte finale con un ampio comma
dedicato allo Spirito santo, che sanzionava la dottrina dei cattolici
contro ariani e macedoniani. Fu inoltre soppresso l’anatematismo
finale del 325, il quale, nel contesto della condanna delle proposi­
zioni ariane radicali, affermava l’equipollenza di ousia e ipostasi, e
perciò risultava incompatibile con la dottrina basiliana fondata pro­
prio sulla distinzione dei due termini. In tal modo il simbolo, con­
servato alla lettera nel termine distintivo homoousios, si apriva alla
nuova interpretazione che di esso aveva fornito il grande cappadoce.
Queste modifiche avevano alterato in modo notevole nella so­
stanza, se non nella forma, il testo del 325. Ma di fronte alla lunga
serie di formule dottrinali che si erano susseguite, in oriente, dal
341 in poi, sostitutive una dell’altra e che perciò avevano generato
un clima di diffusa sfiducia nel valore di tali testi, i padri conciliari
del 381 non vollero sanzionare quelle modifiche in una nuova pro­
fessione di fede e preferirono riaffermare la validità del testo del
325, chiarendone il nuovo significato nella dichiarazione dottrinale
1
IL SIMBOLO N CENO-COSTANTINOPOLITANO 303

cui sopra abbiamo accennato (questa dichiarazione non è giunta a


noi, ma il suo senso si ricava da testimonianze posteriori). Perciò sul
momento il simbolo di Costantinopoli fu sentito soltanto come
un’integrazione di quello niceno e praticamente confuso con esso.
Solo nel concilio di Calcedonia (451) la sua validità fu confermata
dopo quella della formula del 325, e da questo momento la sua im­
portanza andò gradualmente crescendo. Diventò infatti formula uf­
ficiale delle chiese d ’oriente e col tempo s’impose anche alla chiesa
di Roma e di qui in tutto l’occidente, che tuttora ne fa uso durante
In celebrazione della Messa.
Per il testo del Simbolo del 381 seguiamo Hahn, Bibliotek der
Symhole..., pp. 162-5.
Πιστεύομεν εις ενα θεόν πατέρα παντοκράτορα, ποιητήν
ούρανοΰ καί γης, ορατών τε πάντων καί άοράτων. καί είς
Ινα κύριον Ίησοΰν Χριστόν, τόν υιόν τοΰ θεοΰ τόν μονογενή,
τόν έκ τοΰ πατρός γεννηθέντα προ πάντων τών αιώνων, φώς
έκ φωτός, θεόν αληθινόν έκ θεοΰ άληθινοΰ, γεννηθέντα, ού
ποιηθέντα, όμοούσιον τώ πατρί, δ ι’ ού τά πάντα έγένετο· τόν
δ ι’ ήμάς τους άνθρώπους και διά τήν ήμετέραν σωτηρίαν κα-
τελθόντα έκ τών ούρανών καί σαρκωθέντα έκ πνεύματος
αγίου καί Μαρίας τής παρθένου καί ένανθρωπήσαντα, σταυρω-
θέντα τε ύπέρ ήμών έπί Ποντίου Πιλάτου καί παθόντα καί
ταφέντα καί άναστάντα τή τρίτη ήμέρι? κατά τάς γραφάς, καί
άνελθόντα είς τούς ούρανούς, καί καθεζόμενον έκ δεξιών
τοΰ πατρός, καί πάλιν έρχόμενον μετά δόξης κρΐναι ζώντας
καί νεκρούς· ου της βασιλείας ούκ εσται τέλος, καί εις τό
πνεΰμα τό άγιον, τό κύριον, τό ζωοποιόν, τό έκ τοΰ πατρός
έκπορευόμενον, τό σύν πατρί καί υίώ συμπροσκυνούμενον καί
συνδοξαζόμενον, τό λαλήσαν διά τών προφητών, είς μίαν,
αγίαν, καθολικήν καί άποστολικήν έκκλησίαν. όμολογοϋμεν
εν βάπτισμα εις άφεσιν αμαρτιών, προσδοκώμεν άνάστασιν
νεκρών καί ζωήν τοΰ μέλλοντος αίώνος. αμήν.
Crediamo in un solo Dio Padre onnipotente, creatore del cie­
lo e della terra, di tutti gli esseri visibili e invisibili. E in un solo
Signore Gesù Cristo, il Figlio unigenito di D io 1, generato dal
Padre prima di tutti i tempi, luce da luce, Dio vero da Dio vero,
generato non creato, consustanziale al Padre, per mezzo del qua­
le sono state create tutte le cose. Per noi uomini e per la nostra
salvezza è disceso dal cielo, si è incarnato dallo Spirito santo e
da Maria Vergine e si è fatto uomo. È stato crocifisso per noi
sotto Ponzio Pilato, ha patito, è stato seppellito, è risorto il ter­
zo giorno secondo le Scritture, è risalito al cielo, siede alla de­
stra del Padre, verrà di nuovo con gloria a giudicare i vivi e i
morti, e del suo regno non ci sarà fine2. Crediamo nello Spiri­
to santo3, ch’è Signore e dà la vita, procede dal Padre, è adora­
lo e glorificato insieme con il Padre e il Figlio, ha parlato per
mezzo dei profeti. Crediamo in una sola chiesa, santa, cattolica,
apostolica. Confessiamo un solo battesimo in remissione dei pec­
cati, attendiamo la risurrezione dei morti e la vita del tempo
luturo. Am en4.
Parte Quinta
L A C R I S T O L O G IA D I A P O L L IN A R E
E D E I SU O I A V V ER SA R I
I risultati del concilio del 381 segnarono la fine della controver­
sia trinitaria in oriente, poiché fissarono in modo definitivo co­
rne dovesse essere visto il rapporto di Cristo col Padre e perciò
la sua collocazione nell’ambito della Trinità. Ma già a partire dal
)60 circa, in ambiente antiocheno si era cominciato a discutere
anche di Cristo in modo più specifico, cioè in merito al rappor­
to, in lui, fra componente divina e umana. Non sembra che il
concilio del 381 abbia preso veramente a cuore tale problema e
comunque la sua decisione in argomento, cioè la condanna degli
apollinaristi, non mise affatto fine alla discussione, la quale anzi
ni acuì dando origine ad una serie di contrasti e polemiche desti­
nate a protrarsi per più secoli. Per poter inquadrare questa nuo­
va problematica è opportuno rifarci un po’ indietro.
N el 268 alcuni vescovi di area geografica siro-palestinese ma
di impostazione dottrinale origeniana, riunitisi ad Antiochia,
condannarono per monarchianismo adozionista il vescovo locale,
l’influente Paolo di Samosata. Essi professarono, per la prima
volta quanto alla nostra documentazione, una cristologia del tipo
logos/sane, la quale affermava cioè che nell’uomo Gesù il Logos
divino aveva occupato il posto che in ogni uomo è dell’anima.
Perciò l’uomo Gesù veniva concepito come un corpo privo di
anima. Non è ben spiegabile come mai questa impostazione cri-
Ntologica si sia diffusa in ambiente origeniano, dato che Origene
aveva valorizzato, come nessun altro prima di lui, la funzione
die l’anima umana di Cristo riveste nel composto teandrico.
Ma è un fatto che fra la fine del III e l’inizio del IV secolo
questa nuova cristologia è vastamente affermata in area alessan-
di'ina e d ’influenza alessandrina.
3io PARTE QUINTA

Fu anche la cristologia di Ario e dei suoi seguaci; ma di que­


sto specifico argomento si trattò poco nella prima fase della con­
troversia perché anche gli alessandrini nemici di Ario, sia Ales­
sandro sia Atanasio, in modo più o meno esplicito condivideva­
no la stessa impostazione e perciò non ne potevano far carico
agli avversari. Solo l’antiocheno Eustazio, erede di una tradizio­
ne asiatica che aveva sempre valorizzato l’umanità di Cristo nel­
la sua completezza, polemizzò contro gli ariani anche su questo
punto; ma sul momento la cosa passò pressoché inosservata.
D ’altra parte gli ariani si valevano di tale cristologia per confer­
mare il loro radicale subordinazionismo, in quanto attribuivano
al Logos stesso, da loro concepito come essere di natura divina
inferiore, le passioni cui è soggetto il Cristo dei Vangeli, timore,
dolore, ecc. Per contrastare tali argomentazioni, Atanasio e altri
polemisti antiariani si valsero del criterio di distinguere in modo
netto, in Cristo, da una parte le limitazioni e imperfezioni uma­
ne e dall’altra la capacità di operare prodigi eccedenti di gran
lunga le capacità dell’uomo, e attribuirono le prime all’umanità
di Cristo e la seconda alla sua divinità. Ma in tal modo essi
introducevano in Cristo una pericolosa dicotomia, che ne minac­
ciava l’unità.
Del rischio si avvide, intorno alla metà del secolo, Apollinare
di Laodicea, un niceno convinto, sostenitore e amico di Atana­
sio e già ben noto per l’attività teologica ed esegetica. Per ovvia­
re al pericolo egli riprese, sviluppò e propagandò lo schema cri­
stologico logos/sarx che, postulando la carenza in Gesù di anima
umana, assicurava saldamente l’unità del Logos con la carne. Ad
Alessandria questa dottrina non avrebbe suscitato molto scalpo­
re; ma Laodicea era in Siria e l’ambiente antiocheno reagì subito
contro chi affermava in Cristo un’umanità incompleta. Il con­
trasto veniva a dividere fra loro i niceni di Antiochia e della
Siria in tempi in cui la preoccupazione antiariana era predomi­
nante. Ciò spiega perché, nel concilio alessandrino del 362 in cui
per la prima volta la questione fu ufficialmente trattata, Atana­
sio riuscì a comporla con una formula ambigua che, in pratica,
non sconfessava Apollinare. Ma i contrasti ripresero quasi subi­
to, e dopo alterne vicende e varie prese di posizione ufficiali fra
loro contrastanti, anche da parte di Roma, l’apollinarismo fu
solennemente condannato, come abbiamo già accennato, nel
concilio di Costantinopoli del 381. Ma la condanna non disarmò
affatto Apollinare, che morì verso il 390, e tanto meno i suoi
LA CRISTOLOGIA DI APOLLINARE 3 11

seguaci, che, non contenti di continuare a propagandare le idee


del maestro, ne diffusero anche alcune opere sotto il nome di
Atanasio ed altri importanti personaggi del tempo, p. es., Giulio
di Roma. La diffusione di questi falsi provocò equivoci molto
importanti, perché ci fu chi, in buona fede, propugnava le idee
di Apollinare credendole invece di Atanasio e di altri dottori
di riconosciuta ortodossia.
L a reazione contro Apollinare si sviluppò soprattutto in am­
bito antiocheno (Diodoro di Tarso, Teodoro di Mopsuestia), ma
fu affiancata anche da Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nis-
sa, il cui prestigio era allora molto grande. Contro le idee di
Apollinare fu propugnata una dottrina che salvaguardava la per­
fetta umanità di Cristo, ma proprio per questo appariva difetto­
sa nell’affermazione della sua unità. Soprattutto gli antiocheni,
proprio perché particolarmente attenti a distinguere, in Cristo, i
caratteri dell’umanità e della divinità, sentono ora il rischio ine­
rente alla loro posizione e si sforzano, con Teodoro, di ovviarvi
in qualche modo. Dal canto loro gli alessandrini, in conseguenza
della condanna del 381 contro Apollinare, sono espliciti nell’af­
fermare in Cristo la presenza anche di un’anima umana, ma il
l>cso della tradizione li porta a sminuirne il significato di fronte
ull’eccellenza del Logos, assolutamente egemone nel composto
divino-umano, da loro concepito, su tale fondamento, in modo
|>iii unitario che dagli antiocheni. A costoro perciò essi rimpro­
verano di dividere Cristo in due, e a loro volta ne vengono accu­
biti, nonostante le affermazioni in senso contrario, di continuare
l’eresia di Apollinare. Alla fine del IV secolo e agli inizi del V i
due ambienti, già ostili fra loro per vecchie e nuove ruggini di
carattere politico e amministrativo, professano due dottrine cri-
Hlologiche molto distanti e sono perfettamente consapevoli di
lille divergenza.
1 . T re testi di Apollinare

La preoccupazione fondamentale che muove Apollinare, come del


resto Atanasio, è di ordine soteriologico: soltanto Dio può salvare
l’uomo, reso impotente dal peccato e dalla morte, assumendo in sé
l’umanità. Ma per essere efficacemente operante, tale assunzione
deve essere intrinseca e strettissima, e questo per Apollinare non si
poteva verificare se - come volevano i cattolici di tradizione antio­
chena - il Figlio di Dio avesse assunto un uomo completo anche di
anima. Infatti, data la completezza e l’autonomia di tale uomo, la
sua unione col Logos divino non poteva risultare se non estrinseca e
debole, insufficiente per la redenzione, in quanto, costituendo nel
Cristo incarnato l’anima e il Logos due princìpi vitali e operativi,
l’opera vera e propria di redenzione sarebbe stata realizzata, tramite
la passione e la morte, soltanto dall’umanità assunta, di per sé inca­
pace di redenzione, mentre la divinità del Logos solo moralmente e
in modo molto indiretto avrebbe partecipato a tale opera. Ammet­
tendo invece che il Logos avesse assunto un corpo privo di anima (o
di nous [ = anima razionale]: cfr. il commento al secondo dei tre
testi), assumendone perciò completa direzione, l’unione risultava
quanto mai stretta: una sola natura, nel senso di un solo centro di
attività, l’uomo celeste, come soleva chiamarlo Apollinare, un com­
posto teandrico, una sola natura del Logos incarnata, capace per­
ciò di operare la redenzione grazie alla completa compenetrazione
delle componenti umana e divina. Non che Apollinare affermasse
che sulla croce aveva patito la divinità di Cristo: questi aveva patito
soltanto nella sua umanità, ma data l’unità del soggetto, il Logos
divino aveva intimamente partecipato alla passione e alla morte,
sì che si poteva dire che il Logos aveva patito ed era morto nella
carne.
L ’evidente punto di forza di questa cristologia era il suo caratte­
re unitario, che permetteva di interpretare la redenzione come vera
TRE TESTI DI APOLLINARE 313

e propria passione e morte di Dio. La debolezza altrettanto evidente


era nell’incompletezza di Cristo qua homo, difficilmente accettabile
sulla scorta della Scrittura e della tradizione e che, come vedremo
(cfr. l’introduzione al testo n. 2 di questa parte), fra l’altro compro­
metteva proprio l’autenticità della redenzione, cioè il fine principale
che questa cristologia si sforzava di raggiungere. È ovvio che so­
prattutto su questo ultimo punto si sarebbero concentrate le critiche
degli avversari.
I tre testi che proponiamo presentano il cuore della dottrina di
Apollinare. Il primo è parte di L'unità del corpo con la divinità in
Cristo, un testo conservatoci sotto il nome di papa Giulio; il secon­
do è solo un frammento, ma fondamentale per il contenuto; il terzo
è una professione di fede presentata all’imperatore Gioviano nel
363 e giuntaci sotto il nome di Atanasio.
Presentiamo questi tre testi secondo l’edizione di H. Lietzmann,
Apollinaris von Laodicea und seine Scbule, Tubingen 1904, pp.
185-8; 204; 250-3.

Apollinare di Laodicea (310 circa-390 circa) fu al tempo della controversia


ariana uno degli esponenti più rappresentativi del partito niceno in una Siria
dom inata dagli ariani m oderati, e fu amico anche di Atanasio. Fu per qual­
che tempo a capo della comunità nicena della sua città. Intorno al 360 co­
minciò a diffondere le sue idee cristologiche che gli procurarono forte oppo-
Ni'/.ione e varie condanne ribadite dal concilio costantinopolitano del 381. Fu
tinche apprezzato maestro di esegesi della sacra Scrittura. Mentre però degli
ucritti esegetici ci sono rimasti solo frammenti, grazie alle falsificazioni dei
niioì discepoli ci sono giunti di lui vari scritti teologici: Confessione dettagliata
ili lede, l'Unità del corpo e della divinità in Cristo, la Dimostrazione deU’incar-
IMZione di Dio (incompleta).
lllbllografia: oltre il fondamentale volume di H . Lietzmann citato sopra, si
vrdu E . Miihlenberg, Apollinaris von Laodicea, G òttingen 1969.
I. Π ερί τής έν Χριστώ ένότητος τοΰ σώματος πρός τήν θεότητα

1. "Αγιον έξ άρχής γέννημα καλώς όμολογεΐται καί κατά


τό σώμα ό κύριος, καί κατά τοΰτο διαλλάττει παντός σώμα­
τος· ούδέ γάρ δλως έν μήτρα συνελήφθη χωρίς θεότητος,
ά λλ’ ήνωμένος πρός ταύτην, ώς ό άγγελός φησιν· «πνεΰμα
άγιον έπελεύσεται έπί σέ καί δύναμις ύψίστου έπισκιάσει
σοι* διό καί τό γεννώμενον άγιον κληθήσεται υιός θεοΰ» (Εν.
Lue. 1, 35), καί ήν ούρανία κάθοδος, ού μόνον γέννησις ή έκ
γυναικός. εΐρηται γάρ ού μόνον τό «γενόμενον έκ γυναικός,
γενόμενον ύπό νόμον» (Ep. Gal. 4, 4), άλλά καί «ούδείς ά-
ναβέβηκεν είς τον ούρανόν, εί μή ό έκ τοΰ ούρανοΰ κατα-
βάς, ό υίός τοΰ άνθρώπου» (Εν. Ιο. 3, 13). 2. καί ούκ ?στιν
ιδίως κτίσμα τό σώμα είπεΐν, άχώριστον δν έκείνου πάντως
οΰ σώμά έστιν, άλλά της του άκτιστου κεκοινώνηκεν έπω-
νυμίας καί της τοΰ θεοΰ κλήσεως, δτι πρός ενότητα θεώ συνήπ-
ται, καθά λέγεται δτι «ό λόγος σαρξ έγένετο» (Εν. Ιο. 1, 14)
καί παρά τώ άποστόλω «ό έσχατος Ά δ ά μ εις πνεΰμα ζωο­
ποιούν» ( 1 Ep. Cor. 15, 45). 3. δει δέ ήμας, ώσπερ τά ένδο­
ξα τώ σώματι προσάπτομεν έκ τής θείας συλλήψεως καί τής
πρός θεόν ένότητος, οΰτω καί τά άδοξα τά άπό τοΰ σώματος
μή άρνεΐσθαι, απερ έστί το γενέσθαι έκ γυναικός κατά
τόν άπόστολον (Ep. Gal. 4, 4) καί τό πλασθήναι έκ κοιλίας
δοΰλον θεώ κατά τόν προφήτην (Is. 49, 5), τό δλως άνθρωπον
i. L ’unità del corpo con la divinità in C risto

1. Rettamente si professa che il Signore è generazione sa


fin dall’inizio anche secondo il corpo, e in questo il suo corpo è
diverso da ogni altro corpo1. Infatti non fu certo concepito nel
seno materno separatamente dalla divinità, ma unito con essa,
come dice l’angelo: «L o spirito santo verrà su di te e la potenza
dell’Altissimo ti adombrerà. Perciò ciò che nascerà santo sarà
chiamato Figlio di D io » (Ev. Lue. 1, 35). E fu discesa dal cielo,
non solo nascita d a una donna. Infatti non è stato detto soltan­
to: «N ato da donna, nato sotto la Legge» (Ep. Gal. 4, 4), ma
anche: «N essuno è salito in cielo se non colui che è disceso dal
cielo, il Figlio dell’uom o» (Ev. Io. 3, 13)2. 2 . Non è possibi­

le definire propriamente creatura il corpo, che è assolutamente


inseparabile da colui di cui è corpo, ma esso partecipa della de­
nominazione dell’increato e del nome di Dio, perché si è unito
con Dio in unità, secondo quanto è detto: « Il Logos si è fatto
carne» (Ev. Io. 1 , 14), e da parte dell’apostolo: « L ’ultimo A da­
mo è Spirito vivificante» (1 Ep. Cor. 15, 45). 3. Come riferia­
mo le proprietà gloriose al corpo in forza della concezione divina
e dell’unità con Dio, così non dobbiamo rifiutare neppure le pro­
prietà ingloriose derivanti dal corpo, cioè Tesser nato da donna,
secondo l’apostolo (Ep. Gal. 4, 4), e Tessere stato plasmato nel
seno materno come servo di Dio, secondo il profeta (Is. 49, 5), e
3l6 TRE TESTI DI APOLLINARE

όνομάζεσθαι καί υιόν άνθρώπου, τό άριθμεΐσθαι μετά Α ­


βραάμ πολλάς γενεάς μεθ’ ας γέγονεν άνθρωπος. 4. άνθρω-
πίνως <ού> μεντοι καί λέγειν καί άκούειν χρή, ώσπερ, δτε
δλον άνθρωπος καλείται, μή τις άρνήσηται τήν θείαν ούσίαν,
τήν τώ όνόματι μετά τοΰ σώματος δηλουμένην, καί δτε
δοΰλος κατά τό σώμα όνομάζεται, μή τις άρνήσηται τήν κυ-
ριευτικήν φύσιν, δουλείας όνόματι μετά τοΰ σώματος δηλου­
μένην, καί πάλιν, δτε καταβεβηκώς έξ ούρανοΰ κηρύσσεται
άνθρωπος έπουράνιος (Ευ. Ιο. 3, 13), μή τις άρνήσηται τήν
τοΰ σώματος άπό γής πρός θεότητα συμπλοκήν, ού διατέμνε-
ται μεν γάρ ούδέ πράγματι ούδέ όνόματι, δτε δοΰλος ό κύ­
ριος καλείται καί δτε πλαστός ό άκτιστος όνομάζεται τή συνα-
φεία τή πρός τήν τοΰ δούλου μορφήν καί πρός τό πλασσόμενον
σώμα. 5. όμολογεΐται δέ έν αύτώ τό μέν είναι κτιστόν έν
ένότητι τοΰ άκτιστου, τό δέ άκτιστον έν συγκράσει τοΰ κτι-
στοΰ, φύσεως μιας έξ έκατέρου μέρους συνισταμένης, μερικήν
ένέργειαν καί τοΰ λόγου συντελέσαντος είς τό δλον μετά τής
θεϊκής τελειότητος, δπερ <καί> έπί τοΰ κοινοΰ άνθρώπου έκ
δύο μερών άτελών γίνεται, φύσιν μίαν πληρούντων καί ένί
όνόματι δηλουμένων, έπεί καί σάρξ τό δλον καλείται, μή
περιαιρουμένης έν τούτω τής ψυχής, καί ψυχή τό δλον προσα­
γορεύεται, ού περιαιρουμένου τοΰ σώματος, εί καί ετερόν τι
έστι παρά τήν ψυχήν.
6. Ό θεός ούν ό ένανθρωπήσας, ό κύριος καί προΰχων τ
γεννήσεως, εί καί γεγέννηται άπό γυναικός, κύριος ών, εί
καί μεμόρφωται κατά τούς δούλους, πνεΰμα ών, εί καί σάρξ
κατά τήν ενωσιν τής σαρκός άποδέδεικται, ούκ άνθρωπος ών
κατά τόν άπόστολον, εί καί άνθρωπος ύπό τοΰ αύτοΰ κηρύσ­
σεται, καί (τό δλον είπεϊν) άόρατος θεός όρατώ σώματι με-
ταμορφούμενος, άκτιστος θεός κτιστή περιβολή φανερούμενος,
κενώσας μέν εαυτόν κατά τήν μόρφωσιν <δούλου>, άκένωτος
δέ καί άναλλοίωτος καί άνελάττωτος κατά τήν θείαν ούσίαν
(ούδεμία γάρ άλλοίωσις περί τήν θείαν φύσιν) ούδέ έλατ-
τοϋται ούδέ αύξάνεται. 7. καί δτε λ έγ ει δτι «δόξασόν μ ε » ,
TRE TESTI DI APOLLINARE 3 17

in generale l’essere definito uomo e figlio dell’uomo, e il fatto


che dopo Abramo si sono susseguite molte generazioni, dopo le
quali è diventato uomo. 4. Non bisogna però né parlare né
udire in modo umano. Cosi, quando in senso complessivo egli è
chiamato uomo5, nessuno negherà la sostanza divina, che con
quel nome viene rivelata insieme col corpo; e quando viene chia­
mato servo a causa del corpo, nessuno negherà la natura di si­
gnore, che viene rivelata col nome della servitù insieme col cor­
po. E di contro, quando viene annunciato che è disceso dal cielo
l’uomo celeste {Ev. Io. 3, 13), nessuno negherà la stretta connes­
sione del corpo terreno con la divinità. Non viene infatti diviso
né di nome né di fatto, sia quando il Signore è chiamato servo
sia quando l’Increato è detto creato per la congiunzione con la
forma del servo e col corpo plasmato. 5. Professiamo perciò in
lui l’essere creato in unità con l’increato e l’essere increato in
mescolanza col creato4, perché dall’una e dall’altra parte risulta
una sola natura’ e il Logos completa un’energia parziale per far­
ne un tutto insieme con la divina perfezione. Analogamente an­
che riguardo all’uomo comune, questo è fatto da due parti im­
perfette 6 che realizzano una sola natura e sono indicate con un
solo nome, perché il tutto è chiamato sia carne, senza che in esso
sia eliminata l’anima, sia anima, senza che sia eliminato il corpo,
che pure è qualcosa di diverso rispetto all’anima.
6. Perciò il Dio che si è fatto uomo, il Signore preesiste a
nascita, anche se è nato da donna; è signore, anche se ha preso
forma come gli schiavi; è spirito7, anche se si è rivelato come
carne per l’unione con la carne; non è uomo, secondo l’apostolo,
anche se viene da lui annunciato come uomo; e, per dirla in
breve, Dio invisibile si è trasformato in corpo visibile e Dio
increato si è manifestato in un involucro creato. H a annientato
sé stesso secondo la forma dello schiavo, ma è rimasto immune
da annientamento, alterazione, diminuzione, sefcondo la sostanza
divina - infatti la natura divina non ammette alterazione -, per
cui né diminuisce né aumenta. 7. E quando dice «Glorifica-
•f , EJUO[OA BZU3S ‘OWSJJSJUI B2U3S ‘BOIIUE^UaS BJ3 3LJ0 ‘3U0UI
- o p s τρ o id u ia j ji o jB jn S r p jd elj o j h ssq i p o d io D p p o i d u i a ] |;

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-id3UTÌnc ‘ S oibo oo tìo 5iou<pd0A)fi Λ ίγβ ιι ιβ κ ‘ l e i m ^ i Λοίβηοοτίξΐ
TO30 λ ο ι Sodat 110 ‘ ioxdxD 5U i ιβ κ ιιβ τ ^ Λ ρ A i SlMjrloAX^jrle^id
-3ΐιτΙηι> ‘ A0i e d 9y 01 βτ)η3Λίΐ 01 β ι β κ Soicn o orlo A30 ιβ κ S m in o
8 ‘ A jglid ηοχο noi pp Stoaiox lo ije x ‘ o in o i i3xlxoodu
11U1930 Sroigi ιβ κ ]3 ‘ lo^ U g e i l u .930 ΐ3ΐρ λο^ο§λ3 Λ ίρ ‘ (£ ' i \
o j ·ατι) « ion e d e a i ιβ Λ ρ Λ0τΐ09κ λ ο ι n o i o d u aoX is Ià ll^9 g l i i »
Λ(θλ»31| Λΐγ»3ί Ιβκ *Λ3 Λ1 1 0 | Λοχο 0 1 1191g ‘5θΛ3Τΐθλ3χ ηογο
noi iai| ‘^ o e i j o g ο »rlmc idsu ιβκ ΙίΛοώ U Sodotìcoc ouip

HHVNiTiodv ία u s a i a u i
320 TRE TESTI DI APOLLINARE

m . Πρός Ίοβιανόν

1 . Ό μολογοΰμεν τόν υιόν του θεοΰ, τόν πρό αιώνων


άϊδίως γεννηθέντα, έπ’ έσχάτων τών αιώνων διά τήν ήμε-
τέραν σωτηρίαν έκ Μαρίας γεγεννήσθαι κατά σάρκα, ώς ό
θείος άπόστολος διδάσκει λέγω ν· «δ τε δέ ήλθε τό πλήρωμα
τοΰ χρόνου, έξαπέστειλεν ό θεός τόν υιόν αύτοΰ, γενόμενον
έκ γυναικός» (Ερ. Gal. 4, 4)· καί είναι τόν αύτόν υιόν θεοΰ
καί θεόν κατά πνεΰμα, υιόν δε άνθρώπου κατά σάρκα, ού δύο
φύσεις τόν ενα υιόν, μίαν προσκυνητήν καί μίαν άπροσκύνη-
τον, άλλά μίαν φύσιν τοΰ θεοΰ λόγου σεσαρκωμένην καί προ-
σκυνουμένην μετά τής σαρκός αύτοΰ μιά προσκυνήσει* ούδέ
δύο υιούς, άλλον μέν υιόν θεοΰ άληθινόν καί προσκυνούμενον,
άλλον δέ έκ Μαρίας άνθρωπον μή προσκυνούμενον, κατά χά-
ριν υιόν θεοΰ γενόμενον, ώς καί άνθρωποι, άλλά τόν έκ θεοΰ,
ώς εφην, ενα υιόν θεοΰ καί τόν αύτόν καί ούκ άλλον καί έκ
Μαρίας γεγεννήσθαι κατά σάρκα έπ’ έσχάτων τών ημερών·
ώς ό άγγελος τή θεοτόκω Μαρί$ λεγούση· «πώ ς τοΰτο εσται,
έπεί άνδρα ού γινώ σκω ;» ελεγε· « πνεΰμα άγιον έπελεύσεται
έπί σε, καί δύναμις ύψίστου έπισκιάσει σοι* διό καί τό γεννώ-
μενον άγιον κληθήσεται υιός θεοΰ» (Εν. Lue. 1, 35).
2 . Ό τοίνυν γεννηθείς έκ τής παρθένου Μαρίας υιός θεοΰ
φύσει καί θεός άληθινός, καί ού χάριτι καί μετουσία, κατά
σάρκα μόνον τήν έκ Μαρίας άνθρωπος, κατά δέ πνεΰμα ό
αύτός υιός θεοΰ καί θεός παθών μέν τά ήμετερα πάθη κατά
σάρκα, ώς γέγραπται· «Χ ριστοΰ παθόντος ύπέρ ήμών σαρκί»
(1 Ερ. Pet. 4, 1) καί π ά λ ιν «δς γε τοΰ ίδίου υίοΰ ούκ έφεί-
σατο, ά λλ’ ύπέρ ήμών πάντων παρέδωκεν αύτόν» (Ερ. Rom.
8, 32). άπαθής δέ διαμείνας καί άναλλοίωτος κατά τήν
θεότητα, κατά τό λεγόμενον ύπό τοΰ προφήτου· «έγ ώ θεός
καί ούκ ή λλοίω μα ι» (Mal. 3, 6 ). άποθανών μέν τόν ήμέτε-
ρον θάνατον κατά σάρκα ύπέρ τών άμαρτιών ήμών, iva τόν
θάνατον άνέλη διά τοΰ ύπερ ήμών θανάτου, κατά τόν λέγοντα
απόστολον· «κατεπόθη ό θάνατος είς νΐκος· ποΰ σου θάνατε
TRE TESTI DI APOLLINARE 321

in. A G ioviano

1. Professiamo che il Figlio di Dio, generato eternamente


prima dei tempi, negli ultimi tempi per la nostra salvezza è stato
generato da Maria secondo la carne, come insegna il divino apo­
stolo che dice: «Q uando venne la pienezza del tempo, Dio ha
inviato suo Figlio, nato da donna» (Ep. Gal. 4, 4). E lo stesso è
Figlio di D io e Dio secondo lo spirito e Figlio dell’uomo secondo
la carne. L ’unico Figlio non è due nature, una da adorare e l’al­
tra da non adorare14, ma una sola natura del Dio Logos incarna­
t a 1’ e da adorare insieme con la sua carne in un’unica adorazio­
ne. N é ci sono due Figli, uno il Figlio di Dio vero e da adorare e
l’ altro l’uomo nato da Maria, non da adorare, diventato Figlio di
Dio per grazia14, come possono diventarlo anche gli uomini; ma
- come ho detto - quello nato da Dio è l’unico Figlio di Dio, ed
egli stesso, e non un altro, è stato anche generato da Maria se­
condo la carne negli ultimi giorni. Così l’angelo a Maria, la M a­
dre di Dio, che gli chiedeva: «C om e avverrà questo, dato che
non conosco uom o?», rispose: « L o Spirito santo verrà su di te e
la potenza dell’Altissimo ti adombrerà. Perciò ciò che sarà gene­
rato santo sarà chiamato Figlio di D io » (Ev. Lue. 1, 35).
2 . Perciò 17 il nato da Maria Vergine è Figlio di Dio per na­

tura e Dio vero, e non per grazia e partecipazione, un uomo


soltanto secondo la carne assunta da Maria, ma secondo lo spirito
lo stesso Figlio di Dio e Dio ha patito i nostri patimenti secondo
la carne, come sta scritto: «C risto avendo patito per noi nella
carne» (1 Ep. Pet. 4, 1), e ancora: « I l quale non ha risparmiato
suo Figlio ma lo ha consegnato per tutti n o i» (Ep. Rom. 8 , 32).
Egli è rimasto impassibile e inalterabile secondo la divinità, co­
me è stato detto dal profeta: « Io sono Dio e non mi cam bio»
(Mal. 3, 6 ). È morto della nostra morte secondo la carne per i
nostri peccati, per distruggere la morte con la morte per noi,
secondo quanto dice l’apostolo: « L a morte è stata assorbita in
vittoria. D ov’è, morte, la tua vittoria? Dove, inferno, il tuo
322 THE TESTI DI APOLLINARE

τό νϊκος; ποΰ σου $δη τό κέντρον; » (1 Ερ. Cor. 15, 55), και
πάλιν· «Χ ριστός άπέθανεν ύπέρ τών άμαρτιών ήμών κατά
τάς γραφάς» (1 Ερ. Cor. 15, 3). άθάνατος δέ και άκράτητος
τώ θανάτω διαμείνας διά τήν θεότητα, ώς άπαθής τοΰ πατρός
δύναμις, κατά τόν λέγοντα Πέτρον· «οΰ γάρ ήν, φησι, δυνα­
τόν κρατεΐσθαι αύτόν ύπό τοΰ θανάτου» (Act. Αρ. 2, 24). ά-
νελθών είς ούρανούς καί καθήμενος έκ δεξιών τοΰ πατρός
κατά τήν άπό γης [είς ούρανούς] ύψουμένην σάρκα τοΰ λό­
γου, κατά τό λεγόμενον ύπό τοΰ Δαβίδ* «εΐπ εν ό κύριος τφ
κυρίω μου* κάθου έκ δεξιών μου» (Ps. 109, 1), καί ύπ’ αύτοΰ
τοΰ κυρίου βεβαιούμενον καί τών άποστόλων* κατά δε τήν
θεότητα άπερίληπτος πάντα τόπον περιέχων μετά τοΰ πατρός
έξ άϊδίου ώς πατρική καί άρρητος δύναμις, κατά τόν διδά­
σκοντα Παύλον* «Χ ριστός θεοΰ δύναμις καί θεοΰ σοφία» (1
Ερ. Cor. 1, 24)· έρχόμενος ό αύτός υιός θεοΰ καί θεός, ώς
έπηγγείλατο, κρϊναι ζώντας καί νεκρούς, ώς φησι ό άπόστο-
λος* « τοΰ κρίνοντος τά κρυπτά τοΰ σκότους καί φανεροΰντος τά
κρυπτά τών καρδιών καί τόν έπαινον καί τήν μέμψιν κατ’ ά·
ξίαν φέροντος έκάστω » (1 Ερ. Cor. 4, 5).
3. Ε ί δέ τις παρά ταΰτα έκ τών θείων γραφών διδάσκει,
Ιτερον λέγων τόν υιόν τοΰ θεοΰ καί έτερον τόν έκ Μαρίας
άνθρωπον, κατά χάριν υΐοποιηθέντα ώς ήμεΐς* ώς είναι δύο
υιούς, ενα κατά φύσιν υιόν θεοΰ, τόν έκ θεοΰ, καί ενα κατά
χάριν, τόν έκ Μαρίας άνθρωπον* ή ε ί τις τήν τοΰ κυρίου ήμών
σάρκα άνωθεν λ έγ ει καί μή έκ της παρθένου Μαρίας ή
τραπεΐσαν τήν θεότητα είς σάρκα ή συγχυθεΐσαν ή άλλοιω-
θεΤσαν, ή παθητήν τήν τοΰ υίοΰ θεότητα ή άπροσκύνητον τήν
τοΰ κυρίου ήμών σάρκα ώς άνθρώπου, καί μή προσκυνητήν
ώς κυρίου καί θεοΰ σάρκα, τοΰτον άναθεματίζει ή καθολική
έκκλησία πειθομένη τώ [θείω] άποστόλω λέγοντι· « ε ϊ τις
ύμάς ευαγγελίζεται παρά δ παρελάβετε, άνάθεμα εστω » (Ερ.
Gal. 1, 9).
TRE TESTI DI APOLLINARE 323

pungolo?» (1 Ep. Cor. 15, 55), e ancora: «C risto è morto per i


nostri peccati secondo le Scritture» (1 Ep. Cor. 15, 3). Ma è
rimasto immortale e non è stato vinto dalla morte in forza della
divinità, in quanto è potenza impassibile del Padre, secondo
Pietro che dice: «N o n era infatti possibile che egli fosse vinto
dalla m orte» (Act. Ap. 2, 24). È risalito in cielo 18 e siede alla
destra del Padre, secondo la carne del Logos innalzata dalla ter­
ra [in cielo], come dice Davide: « H a detto il Signore al mio
Signore: "S ie d i alla mia destra” » (Ps. 109, 1), e secondo quanto
è stato confermato dal Signore stesso e dagli apostoli. M a secon­
do la divinità non è circoscritto ma abbraccia ogni luogo insieme
col Padre dall’eternità, in quanto è potenza indicibile del Padre,
come insegna Paolo: «C risto potenza di Dio e sapienza di D io »
(I Ep. Cor. 1, 24). E il Figlio di Dio e Dio verrà a giudicare,
com’è stato annunciato, i vivi e i morti, secondo quanto dice
l’apostolo: « I l quale discemerà ciò ch’è nascosto nelle tenebre e
rivelerà i segreti dei cuori e darà a ciascuno lode e biasimo se­
condo ch’è giusto» (1 Ep. Cor. 4, 5).
3. Se uno insegna diversamente 19 da queste dottrine tra
dalle Sacre Scritture, e dice che altro è il Figlio di Dio e altro
l'uomo nato da Maria, fatto figlio per grazia, come noi, sì che ci
sono due figli, uno Figlio di Dio per natura, nato da Dio, e uno
per grazia, l’uomo nato da Maria; ovvero 20 se uno dice che la
carne del nostro Signore è venuta dall’alto e non è stata assunta
dalla Vergine Maria, o che la divinità si è mutata in carne o si è
confusa o si è alterata o ha patito la divinità del Figlio o che la
carne del nostro Signore non deve essere adorata in quanto è di
un uomo, e non invece afferm a che deve essere adorata in quan­
to carne del Signore e di Dio, costui la chiesa cattolica condan­
na, in ossequio al [divino] apostolo che dice: « S e qualcuno vi
annuncia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia
«naterna» (Ep. Gal. 1, 9).
2. G regorio di N azianzo, Prima lettera a Cledonio

L ’ambiente dei cappadoci fu per lungo tempo in buoni rapporti con


Apollinare, fin da quando il giovane Basilio, che pure non ne
condivideva completamente la dottrina trinitaria, aveva avuto con lui
un fruttuoso scambio epistolare (epistole 361-4 scritte intorno al
360-1). Perciò, quando cominciarono le discussioni sulla cristologia di
Apollinare, il Nazianzeno, alla pari di Basilio, tardò a prendere
posizione sull’argomento. Si decise soltanto, fra il 381 e il 382, di
fronte ai successi della propaganda apollinarista nella nativa Nazianzo
e all’abuso che gli eretici facevano del suo nome come di quello di un
loro sostenitore. Scrisse perciò due lettere a Cledonio, il prete che,
in assenza di un vescovo, reggeva provvisoriamente la chiesa di
Nazianzo, cui ne aggiunse più tardi un’altra indirizzata a Nettario,
vescovo di Costantinopoli. Presentiamo qui gran parte della prima
lettera a Cledonio, che dei tre testi è di gran lunga il più importante.
La critica fondamentale che Gregorio muove ad Apollinare è
ovviamente quella pertinente all'incompleta umanità assunta dal
Logos, ed è fondata anch’essa - proprio come la dottrina di
Apollinare, ma in direzione perfettamente opposta - su un’esigenza
di carattere soteriologico, che si può riassumere nell’assioma: Cristo
ha redento dell’uomo tutto ciò che ha assunto. Si tratta di un assioma
risalente almeno al II secolo, in base al quale gli gnostici, che
consideravano destinato alla corruzione finale il corpo dell’uomo,
avevano sostenuto che il Salvatore celeste, disceso nel mondo per
salvare lo spirito e l’anima dell’uomo, cioè le parti di esso suscettibili
di salvezza, ma non il corpo, aveva assunto spirito e anima umani ma
corpo non reale bensì apparente e comunque non carnale. Invece i
cattolici (Ireneo, Tertulliano, Origene), convinti che Cristo avesse
redento l’uomo nella sua integrità, in quanto anche il corpo, destinato
a risorgere alla fine del mondo, è suscettibile di salvezza, avevano
sostenuto che Cristo aveva assunto un’umanità completa di spirito,
PRIMA LETTERA A CLEDONIO 325

anima e carne. Alla fine del IV secolo invece nessuno metteva più in
dubbio la realtà del corpo assunto dal Redentore, mentre Apollinare
negava che egli avesse assunto un’anima umana - e in questa entità si
deve intendere conglobato anche quello che gli autori del II e III
secolo definivano spirito dell’uomo -. Gregorio perciò riprende con­
tro gli apollinari$ti il vecchio argomento, debitamente adattato: Cri­
sto, poiché ha redento l’uomo nella sua totalità, ha assunto l’uomo
nella sua totalità: perciò anche l’anima oltre il corpo, perché altri­
menti l’uomo non sarebbe stato integralmente salvato.
L ’opposizione ad Apollinare del Nazianzeno, come quella del
Nisseno, si affianca all’opposizione degli antiocheni, ma la sua cristo­
logia è ben lungi dall’identificarsi completamente con quella antio­
chena. È vero che Gregorio, contro l’unica natura di Cristo afferma­
ta da Apollinare, afferma in lui due nature, alla pari degli antiocheni,
ma ben più di costoro sente l’esigenza di affermare l’unità del sogget­
to. Su questo punto gli manca ancora una formulazione tecnica, ma il
concetto è espresso con grande chiarezza e forza, perché egli dimo­
stra di aver recepito le istanze profonde della cristologia apollinarista
molto più degli antiocheni. Il sicuro senso teologico di cui il Nazian­
zeno era fornito gli ha permesso di conquistare subito, con notevole
chiarezza, la posizione che molti decenni dopo sarebbe stata sanzio­
nata a Calcedonia, sulla base di un rimarchevole equilibrio fra esigen­
ze divisive ( = due nature) ed unitarie ( = un solo soggetto). Proprio la
capacità di venir incontro alle due contrastanti esigenze spiega la
grandissima fortuna di cui questo testo avrebbe goduto nel corso
della controversia cristologica, col risultato di venir citato dai con­
tendenti di entrambe le parti.
Per il testo della prima lettera a Cledonio seguiamo l’edizione di
P. Gallay, in Sources Chrétiennes 208.

Gregorio d i N azianzo (330 circa-390) fu in gioventù molto amico d i Basilio e


lo seguì nella breve esperienza monastica. Basilio, diventato uno dei capi del
partito antiariano in Asia M inore, lo volle vescovo di Sasim a, ma Gregorio,
dopo l’ordinazione, non volle raggiungere la scomoda sede e ruppe i rapporti
con l’amico. N el 380-1 fu a capo della comunità nicena di Costantinopoli e 11
fu consacrato anche vescovo ma si dim ise, durante i lavori del concilio del
381, per difficoltà sollevate contro la sua ordinazione, e passò gli ultimi anni a
Nazianzo, dove suo padre era stato vescovo, e nella natia Arianzo. O ratore
molto celebrato e anche poeta, ci ha lasciato molti versi, dedicati soprattutto a
cantare le vicende della sua vita, e molti discorsi, fra cui importanti i 27-31 di
carattere trinitario, il 4 e 5 contro Giuliano l’apostata e il discorso funebre per
Basilio. Fra le varie lettere che ci sono state conservate alcune sono teologica­
mente rilevanti.

Bibliografia: P. Gallay, Grégoire de Nazianze, Paris 1959.


3. Μ ή άπατάτωσαν οί άνθρωποι μηδέ άπατάσθωσαν
άνθρωπον δνουν δεχόμενοι τόν κυριακόν, ώς αύτοί λέγουσι,
μάλλον δέ τόν κύριον ήμών καί θεόν. ούδέ γάρ τόν άνθρωπον
χωρίζομεν τής θεότητος, ά λλ’ ενα καί τόν αύτόν δογματίζο-
μεν, πρότερον μέν ούκ άνθρωπον, άλλά θεόν και υιόν μόνον
καί προαιώνιον, ά μιγή σώματος καί τών δσα σώματος, έπί
τέλει δέ καί άνθρωπον, προσληφθέντα ύπέρ τής σωτηρίας τής
ήμετέρας, παθητόν σαρκί, άπαθή θεότητι, περιγραπτόν σώμα-
τ ι, άπερίγραπτον πνεύματι, τόν αύτόν έπίγειον καί ούράνιον,
όρώμενον καί νοούμενον, χωρητόν καί άχώρητον, ΐν ’ δλω
άνθρώπω τω αύτώ καί θεώ δλος άνθρωπος άναπλασθή πεσών
υπό τήν άμαρτίαν.
4. Ε ί τις ού Θεοτόκον τήν άγ(αν Μαρίαν υπολαμβάνει,
χωρίς έστι τής Θεότητος. ε ί τις ώς διά σωλήνος τής παρθένου
διαδραμεΐν, άλλά μή έν αυτή διαπεπλάσθαι λέγοι θεϊκώς άμα
καί άνθρωπικώς (θεϊκώς μέν, δτι χωρίς άνδρός· άνθρωπικώς
δέ, δτι νόμω κυήσεως), όμοίως άθεος, ει τις διαπεπλάσθαι τόν
άνθρωπον, ειθ’ ύποδεδυκέναι λέγοι θεόν, κατάκριτος. ού
γέννησις γάρ θεοΰ τοΰτό έστιν, άλλά φυγή γεννήσεως. ει τις
εισάγει δύο υιούς, ΐνα μέν τόν έκ τοΰ θεοΰ καί πατρός,
δεύτερον δέ τόν έκ τής μητρός, άλλ’ ούχί ενα καί τόν αύτόν,
καί τής υιοθεσίας έκπέσοι τής έπηγγελμένης τοΐς όρθώς
πιστεύουσι. φύσεις μέν γάρ δύο θεός καί άνθρωπος, έπεί καί
3. Questi uomini non ingannino gli altri ne sé stessi, ammet­
tendo che l’uomo del Signore1, come essi dicono, o meglio il
nostro Signore e D io, sia un uomo privo di intelletto. Infatti, noi
non dividiamo l’uomo dalla divinità, ma affermiamo uno solo e
lo stesso2, prima non uomo ma solo Dio e Figlio e anteriore ai
tempi, non mescolato col corpo e con ciò ch’è del corpo, ma alla
fine anche uomo, assunto per la nostra salvezza, passibile nella
carne, impassibile nella divinità, circoscrivibile nel corpo, incir-
coscrivibile nello spirito3, lo stesso terreno e celeste, visibile e
intellegibile, comprensibile e incomprensibile, perché dallo stes­
so, uomo completo e Dio, fosse ricreato l’intero uomo 4 che era
caduto sotto il peccato.
4. Se uno pensa che la santa Maria non sia Madre di D io 3 è
al di fuori della divinità. Se uno dice che il Logos è passato
attraverso la Vergine come attraverso un canale e non è stato
formato in lei divinamente e umanamente - dico divinamente,
perché senza apporto di uomo, umanamente, perché sotto la leg­
ge della gestazione - , un tale è ugualmente ateo. Se uno dice che
è stato creato l’uomo e successivamente Dio se n’è rivestito, è
condannato. Infatti questa non è nascita di Dio ma esclusione
della nascita. Se poi uno introduce due figli, uno quello nato da
Dio Padre, e il secondo quello nato dalla madre, e non invece
uno solo e lo stesso, egli decade dall’adozione filiale promessa a
quanti credono rettamente. Due sono infatti le nature, Dio e
328 GREGORIO DI ΝΑΖΙΛΝΖΟ

ψυχή και σώμα* υιοί δέ ού δύο, ούδέ θεοί. ούδέ γάρ ένταΰθα
δύο άνθρωποι, εί καί οΰτως ό Παΰλος τό έντός τοΰ άνθρώπου
καί τό έκτος προσηγόρευσε (1 Ep. Cor. 15, 45-7). καί εί δει
συντόμως εΐπεΐν, άλλο μέν καί αλλο τά έξ ών ό σωτήρ (εΐπερ
μή ταύτόν τό αόρατον τώ όρατώ καί τό άχρονον τω υπό
χρόνον), ούκ άλλος δέ καί άλλος· μή γένοιτο. τά γάρ
άμφότερα εν τή συγκράσει, θεοΰ μέν ένανθρωπήσαντος,
άνθρώπου δέ θεωθέντος, ή δπως αν τις όνομάσειε. λέγω δέ
αλλο καί αλλο, εμπαλιν ή έπί τής τριάδος εχει. έκεΐ μέν γάρ
άλλος καί άλλος, ινα μή τάς υποστάσεις συγχέω μεν ούκ αλλο
δέ καί άλλο, εν γάρ τά τρία καί ταύτόν τή θεότητι.

7. Ε ι τις είς άνουν άνθρωπον ήλπικεν, άνόητος δντως έ


καί ούκ άξιος δλως σωζεσθαι. τό γάρ άπρόσληπτον, αθερά­
πευτον· δ δέ ήνωται τώ θεώ, τοΰτο καί σώζεται, εί ήμισυς
επταισεν ό Ά δ ά μ , ήμισυ καί τό προσειλημμένον καί τό
σωζόμενον. εί δέ δλος, δλω τω γεννηθέντι ήνωται καί δλως
σώζεται, μή τοίνυν βασκαινέτωσαν ήμΐν τής παντελοΰς σωτη­
ρίας, μηδέ όστά μόνον καί νεΰρα καί ζωγραφίαν άνθρώπου τώ
σωτήρι περιτιθέτωσαν. εί μέν γάρ άψυχος ό άνθρωπος, τοΰτο
καί Άρειανοί λέγουσιν, ιν’ έπί τήν θεότητα τό πάθος
ένέγκωσιν, ώς τοΰ κινοΰντος τό σώμα, τούτου καί πάσχοντος.
εί δέ έμψυχος, εί μέν ού νοερός, πώς καί άνθρωπος; ού γάρ
άνουν ζώον ό άνθρωπος, καί άνάγκη τό σχήμα μέν άνθρώπειον
είναι καί τήν σκηνήν, τήν δέ ψυχήν ίππου τινός ή βοός ή άλλου
τών άνοήτων. τοΰτο γοΰν εσται καί τό σωζόμενον καί
διεψευσθην έγώ παρά τής άληθείας, άλλου τιμηθέντος, άλλος
μεγαλαυχούμενος, εί δέ νοερός ά λλ’ ούκ άνους ό άνθρωπος,
παυσάσθωσαν δντως άνοηταίνοντες.
PRIMA LETTERA A CLEDONIO 329

l’uomo, perché anche anima e corpo sono due nature6; ma non


sono due figli né dei. Infatti neppure in noi ci sono due uomini,
anche se Paolo ha così definito la realtà interiore dell’uomo e
quella esteriore (1 Ep. Cor. 15, 45-7). E per dirla in breve, altro
e altro è ciò di cui è composto il Salvatore 7 - dato che non sono
lo stesso ciò ch’è invisibile e ciò ch’è visibile, ciò ch’è fuori del
tempo e ciò ch’è soggetto al tempo - , ma non sono un altro e un
altro. Non sia mai! Infatti le due realtà sono una cosa sola per
mescolanza8, in quanto D io si è fatto uomo e l’uomo è stato
reso Dio, o comunque uno voglia dire. Dico altro e altro, mentre
per la Trinità è l’opposto9. Infatti qui sono un altro e un altro,
perché noi non avessimo a confondere le ipostasi. Non altro e
altro: infatti i tre sono una sola e stessa cosa per la divinità.

7. Se uno spera in un uomo privo di intelletto10, egli ste


è veramente senza intelletto e non meritevole di essere salvato
per intero. Infatti ciò che non viene assunto, non viene curato11;
invece ciò ch’è stato unito a Dio, questo si salva. Se Adamo
avesse peccato per metà, sarebbe anche metà ciò ch’è stato as­
sunto e viene salvato. Poiché invece ha peccato nella sua interez­
za, è stato unito con uno ch’è stato generato per intero, e così
viene salvato per intero. Perciò non ci calunnino per la salvezza
completa e non rivestano il Salvatore soltanto di ossa, nervi e
figura umana. Se infatti l’uomo assunto fosse stato senz’anima,
anche gli ariani dicono così 12 per attribuire la passione alla di­
vinità, nel senso che chi muove il corpo questo anche patisce. Se
poi è dotato di anima ma non di intelletto13, dov’è l’uomo? In­
fatti l’uomo non è animale privo di intelletto. E necessariamente
la figura e la dimora sarebbero di uomo, ma l’anima di un cavallo
o di un bue o di un altro degli esseri privi di intelletto. M a allora
anche questo sarebbe ciò che viene salvato, e io sarei stato sviato
dalla verità perché, mentre viene onorato uno, io un altro ne
trarrei vanto14. Se invece l’uomo è dotato di intelletto e non
senza intelletto, la smettano di essere veramente senza intelletto.
33 ° GREGORIO DI NAZIANZO

8. ’Α λ λ ’ ήρκει, φησίν, ή θεότης άντί τοΰ νοΰ. τ ί οδν πρός


έμέ τοΰτο; θεότης γάρ μετά σαρκός μόνης ούκ άνθρωπος, ά λλ’
ουδέ ψυχής μόνης, ούδέ άμφοτέρων χωρίς τοΰ νοΰ, δ καί
μάλλον άνθρωπος, τήρει ούν τόν άνθρωπον δλον καί μΐξον την
θεότητα, ϊνα με τελέως εύεργετής. ά λλ’ ούκ έχώρει, φησι,
δυο τέλεια, ούδέ γάρ, εΐπερ σωματικώς σκοπείς, άγγεΐον γάρ
μεδιμναΤον ού χωρήσει διμέδιμνον, ούδέ σώματος ένός τόπος
δύο ή πλείω σώματα* εί δέ ώς νοητά καί άσώματα, σκόπει δτι
καί ψυχήν καί λόγον καί νοΰν καί πνεΰμα άγιον ό αύτός
έχώρησα καί πρό έμοΰ τόν πατέρα καί τόν υιόν καί τό άγιον
πνεΰμα & κόσμος οΰτος, τό έξ όρατών λέγω καί άοράτων
σύστημα, τοιαύτη γάρ ή τών νοητών φύσις, άσωμάτως καί
άμερ(στως καί άλλήλοις καί σώμασι μίγνυσθαι. έπεί καί
φωναί πλείους άκοή μια χωρηταί, καί δψεις πλειόνων τοΐς
αύτοΐς όρατοίς, καί όσφραντοΐς δσφρησις, οΰτε τών αίσθήσεων
στενοχωρουμένων ύπ’ άλλήλων ή έκθλιβομένων, οΰτε τών
αισθητών έλαττουμένων τώ πλήθει τής άντιλήψεως.
9. Ποΰ δέ καί τέλειον νοϋς άνθρώπου ή καί άγγέλου
συγκρίσει θεότητος, ϊνα τό ετερον έκθλιβή παρουσία τοΰ
μείζονος; ούδέ γάρ αύγή τις πρός ήλιον, ούδέ νοτίς όλίγη
πρός ποταμόν, ΐνα τά μικρά προανέλωμεν, οΕκου μέν αύγήν,
γης δέ νοτίδα, καί ουτω χωρηθή τά μείζω καί τελεώτερα. πώς
γάρ χωρήσει δύο τέλεια, οίκος μέν αύγήν καί ήλιον, γή δέ
νοτίδα καί ποταμόν, τοΰτο διασκεψώμεθα- καί γάρ πολλής
δντως τό πράγμα φροντίδος άξιον. ή άγνοοΰσιν δτι τό πρός τι
τέλειον πρός Ετερον άτελές, ώς βουνός πρός δρος καί κόκκος
νάπυος πρός κύαμον, ή τι άλλο τών μειζόνων σπερμάτων, καν
PRIMA LETTERA A CLEDONIO 331

8 . M a bastava la divinità - obiettano 15 - al posto dell’intel­

letto. M a ciò che mi riguarda? Infatti la divinità con la sola carne


non è un uomo, e neppure con la sola anima e neppure con l’una
e con l’altra senza l’intelletto, perché soprattutto questo è l’uo­
mo. Conserva perciò l’uomo completo e mescola la divinità per
beneficarmi in modo perfetto. M a - osservano - non poteva
contenere due entità perfette. Certo che no, se tu osservi da un
punto di vista corporeo14: infatti un recipiente da un medimno
non può contenere una misura di due medimni, né il posto per
un corpo solo due o più corpi. M a se li consideri come realtà
intellettuali e incorporee, osserva come io stesso possa contenere
anima, ragione, intelletto e Spirito santo, e prima di me questo
mondo, cioè il complesso di esseri visibili e invisibili, ha potuto
contenere il Padre, il Figlio e lo Spirito santo. Infatti la natura
delle realtà intellettuali è tale che esse si uniscono in modo in­
corporeo e senza divisione fra loro e con i corpi. Giacché anche
più voci sono contenute da un solo orecchio e la vista di più cose
dagli stessi organi visivi e l’olfatto dagli stessi organi olfattivi,
senza che le cose percepite si costringano e si schiaccino l’una
con l’altra e senza che gli oggetti sensibili risultino rimpiccioliti
per la quantità delle percezioni.
9. M a come l’intelletto dell’uomo o dell’angelo può essere
una cosa perfetta a confronto con la divinità, così che uno sarà
soppresso dalla presenza del più grande? Infatti non è perfetto
un raggio di fronte al sole né poca umidità di fronte ad un fiume,
per cui dovremmo eliminare le cose piccole, il raggio dalla casa,
l’umidità dalla terra, e così si farà posto alle più grandi e perfet­
te. Perciò ora dovremo esaminare come si possano contenere due
cose perfette: come la casa possa contenere il raggio e il sole, e la
terra possa contenere l’umidità e il fiume; ed effettivamente è
questione meritevole di attenta riflessione. O forse essi ignorano
che ciò ch’è perfetto rispetto ad una cosa, è imperfetto rispetto
ad un’altra, come il colle rispetto al monte e un grano di senape
rispetto ad una fava o a qualche altro dei semi più grandi, anche
33^ GREGORIO DI NAZIANZO

τών ομογενών μεΐζον λέγηται; εί δε βούλει, άγγελος πρός θεόν,


καί πρός άγγελον άνθρωπος, τέλειον οΰν ό ήμέτερος νοΰς καί
ήγεμονικόν, άλλα ψυχής καί σώματος, ούχ άπλώς τέλειον,
θεοΰ δέ δοΰλον καί ύποχείριον, ά λλ’ ού συνηγεμονικόν ούδέ
όμότιμον. έπεί καί Μωϋσης Φαραώ μέν θεός, θεοΰ δέ θεράπων
(Εκ. 7, 1; Deut. 34, 5), ώς άναγέγραπται· καί άστέρες νύκτα
μέν περιλάμπουσιν, ήλίω δέ κρύπτονται, ώς μηδ’ δτι είσίν
ημέρα γνωρίζεσθαι* καί λαμπάς όλίγη μεγάλη πυρκαϊά
προσχωρήσασα οΰτε άπόλλυται οΰτε φαίνεται οΰτε χωρίζεται,
ά λλ’ δλον έστί πυρκαϊά, τοΰ ύπερέχοντος έκνικήσαντος.
10 . Ά λ λ α κατάκριτος, φησίν, ό ήμέτερος νοΰς. τί δέ ή σάρξ;
ού κατάκριτος; ή καί ταύτην άποσκευασαι διά τήν άμαρτίαν, ή
κάκεΐνον πρόσαγε διά τήν σωτηρίαν, εί τό χείρον προσείληπ-
ται, ιν’ άγιασθή διά της σαρκώσεως, τό κρεϊττον ού προσλη-
φθήσεται, ϊν ’ άγιασθή διά τής ένανθρωπήσεως; εί ό πηλός
έζυμώθη και νέον φύραμα (1 Ep. Cor. 5, 7) γέγονεν, ώ σοφοί,
ή είκών ού ζυμωθήσεται καί πρός θεόν άνακραθήσεται,
θεωθεΐσα διά τής θεότητος; κάκεΐνο προσθήσομεν· εί διέπτυσται
πάντως ό νοΰς ώς άμαρτητικός καί κατάκριτος, καί διά τοΰτο
σώμα μέν προσείληπται, νοΰς δέ παραλέλειπται, συγγνώμη τοΐς
πταίουσι περί νοΰν μαρτυρία γάρ θεοΰ σαφώς ϋδειξε τό τής
θεραπείας άδύνατον. εϊπω τό μεϊζον; συ μέν διά τοΰτο
ατιμάζεις, ώ βέλτιστε, τόν έμόν νοΰν, ώς σαρκολάτρης, ειπερ
άνθρωπολάτρης έγώ , ινα συνδήσης θεόν πρός σάρκα, ώς ούκ
άλλως δεθήναι δυνάμενον, καί διά τοΰτο έξαιρεΐς τό μεσότοι­
χον. ό δέ έμός λόγος τίς, τοΰ άφιλοσόφου καί άπαιδεύτου; ό
νοΰς τώ νοΐ μίγνυται, ώς έγγυτέρω καί οίκειοτέρω καί διά
τούτου σαρκί μεσιτευοντος θεότητι καί παχύτητι.
PRIMA LETTERA A CLEDONIO 333

se lo diciamo più grande rispetto ad entità dello stesso genere? 17 O


se vuoi, così è l’angelo di fronte a Dio, o l’uomo di fronte all’ange­
lo. Perciò il nostro intelletto è qualcosa di perfetto ed egemone, ma
rispetto all’amma e al corpo; non perfetto in modo assoluto, in
quanto è servo di Dio e a lui sottoposto, e non dotato dello stesso
potere e dello stesso onore. Giacché anche M osè era Dio per il
faraone, anche se era servo di Dio, com’è scritto (Ex. 7, 1; Deut.
34, 5). E gli astri illuminano la notte ma sono messi in ombra dal
sole, così che di giorno neppure si vede che ci sono. E una piccola
lampada, accostata ad un grande rogo né viene meno né si vede né
viene separata, ma il tutto è rogo, perché ha prevalso il più forte.
10. M a il nostro intelletto - egli dice - è condannato18. E
ne è allora della carne? Non è condannata? O togli via anche questa
per il peccato o metti avanti anche quello per la salvezza. Se ciò
ch’è inferiore è stato assunto per essere santificato mediante l’as­
sunzione della carne, non sarà stato assunto ciò ch’è superiore per
essere santificato mediante l’assunzione dell’uomo? Se il fango 19
è stato impastato col lievito ed è diventato una nuova pasta (1 Ep.
Cor. 5, 7), o sapienti, invece l’immagine non sarà stata impastata
col lievito e mescolata con Dio, per essere divinizzata mediante la
divinità? Aggiungerò ancora: se è stato respinto del tutto l’intellet­
to, in quanto soggetto al peccato e alla condanna, e per questo è
stato assunto il corpo ed è stato lasciato da parte l ’intelletto, dob­
biamo aver comprensione per coloro che sbagliano riguardo all’in­
telletto20, perché la testimonianza di Dio ha mostrato chiara­
mente l’impossibilità della cura. M a posso dire qualcosa di più im­
portante? Tu per questo disprezzi, o ottimo, il mio intelletto, in
quanto sei adoratore della carne21, come io sono adoratore del­
l’uomo, per unire Dio alla carne, quasi che non vi possa essere
unito in altro modo, e per questo togli di mezzo ciò che fa da inter­
mediario22. Qual è invece il mio concetto, che pur non sono né
filosofo né istruito? L ’intelletto si unisce con l’intelletto, in quanto
gli è più affine e familiare, e con la carne per mezzo di questo che fa
d a intermediario fra la divinità e la materialità.
334 GREGORIO DI ΝΛΖΙΑΝΖΟ

1 1 . Τ ίς δέ καί ό λόγος αύτοΐς τής ένανθρωπήσεως ίδωμεν,

εΐτ’ οΰν σαρκώσεως, ώς αύτοί λέγουσιν. εί μέν ΐνα χωρηθή


θεός, άλλως άχώρητος ών, καί ώς ύπό παραπετάσματι τή
σαρκί τοΐς άνθρώποις προσομιλήση, κομψόν τό προσωπεΐον
αύτοΐς καί τό δράμα τής ύποκρίσεως· ΐνα μή λέγω δτι και
άλλως όμιλήσαι ήμΐν οΐόν τε ήν, ώσπερ έν βάτω πυράς καί
άνθρωπίνω εϊδει (Ex. 3, 2; Gen. 18, 1 sgg.) τό πρότερον. εί δέ
ΐνα λύση τό κατάκριμα τής αμαρτίας τω όμοίω τό δμοιον
άγιάσας, ώσπερ σαρκός έδέησε διά τήν σάρκα κατακριθεΐσαν
καί ψυχής διά τήν ψυχήν, οΰτω καί νοΰ διά τόν νοϋν, ού
πταίσαντα μόνον έν τώ Ά δά μ άλλά καί πρωτοπαθήσαντα,
δπερ οί ιατροί λέγουσιν έπί τών άρρωστημάτων. δ γάρ τήν
έντολήν έδέξατο, τοΰτο καί τήν έντολήν ούκ έφύλαξεν· δ δέ
ούκ έφύλαξε, τοΰτο καί τήν παράβασιν έτόλμησεν δ δέ
παρέβη, τοΰτο καί τής σωτηρίας έδεΐτο μάλιστα- δ δέ τής
σωτηρίας έδεΐτο, τοΰτο καί προσελήφθη· ό νοΰς άρα προσείληπ-
ται.
1 2 . Τοΰτο νΰν άποδέδεικται, καν μή βούλωνται, γεωμετρι-

κάϊς, ώς φασιν αύτοί, άνάγκαις καί άποδείξεσι. συ δέ ποιείς


παραπλήσιον ώσπερ Scv εί, όφθαλμοΰ άνθρώπου πταίσαντος
καί ποδός προσπταίσαντος, τόν πόδα μέν έθεράπευες, τόν δέ
όφθαλμόν άθεράπευτον είας· ή ζωγράφου τι μή καλώς
γράψαντος, τό μέν γραφέν μετεποίεις, τόν δε ζωγράφον ώς
κατορθοΰντα παρέτρεχες. εί δέ ύπό τούτων έξειργόμενοι τών
λογισμών καταφεύγουσιν έπί τό δυνατόν είναι θεω καί χωρίς
νοΰ σώσαι τόν άνθρωπον, δυνατόν δη που καί χωρίς σαρκός
μόνω τω βούλεσθαι, ώσπερ καί τά άλλα πάντα ένεργεΐ καί
ένήργηκεν άσωμάτως. άνελε ούν μετά τοΰ νοΰ καί τήν σάρκα,
ϊν ’ ή σοι τέλειον τό τής άπονοίας. ά λλ’ άπατώνται ύπό τοΰ
γράμματος καί διά τοΰτο τη σαρκί προστρέχουσι, τήν συνήθειαν
τής γραφής άγνοοΰντες. ήμεΐς αύτους καί τοΰτο διδάξομεν.
PRIMA LETTERA A CLEDONIO 335

11. M a vediamo qual è per loro la ragione del farsi uomo o,


com’essi dicono, del farsi carne. Se il Figlio si è fatto uomo al fine
che Dio fosse comprensibile (perché altrimenti è incomprensibi­
le23), e al fine di intrattenersi con gli uomini per mezzo della
carne come sotto un velo, ingegnosa è la loro mascherata e la
rappresentazione della loro finzione. Per non dire che gli era
possibile intrattenersi con noi anche in altro modo, come aveva
fatto prima nel cespuglio di fuoco e in forma di uomo (Ex. 3, 2;
Gen. 18, 1 sgg.). Se invece lo ha fatto per togliere la condanna del
peccato santificando il simile col simile2'', come ha avuto biso­
gno della carne a causa della carne condannata, e dell’anima a
causa dell’anima, così ha avuto bisogno anche dell’intelletto a
causa dell’intelletto, che in Adamo non solo aveva peccato ma era
incorso nel peccato proprio per primo, come dicono i medici delle
malattie. Infatti ciò che ha ricevuto il comando, non ha osservato
il comando; ciò che non ha osservato il comando, ha anche osato
la trasgressione; ciò che ha trasgredito, ha avuto soprattutto biso­
gno della salvezza; ciò che ha avuto bisogno della salvezza, è stato
anche assunto. Perciò l’intelletto è stato assunto.
12. Questo ora è stato dimostrato, anche se non vogliono,
con teoremi e dimostrazioni geometriche, come dicono proprio
loro. Tu invece ti comporti press’a poco come se, colpito un uo­
mo ad un occhio e in aggiunta anche ad un piede, curassi il piede
e lasciassi l’occhio senza cura; o, se un pittore ha dipinto qualco­
sa non bene, tu modificassi il dipinto ma lasciassi stare il pittore,
come se faccia bene. Se poi, stretti da questi ragionamenti, si
riducono a dire che a Dio è possibile salvare l’uomo anche senza
intelletto, allora gli è possibile salvarlo anche senza la carne, col
solo volere, come fa e ha fatto tutte le altre cose senza bisogno
di corpo. Perciò insieme coll’intelletto togli di mezzo anche la
carne, per raggiungere il colmo della follia. M a essi sono tratti in
errore dalla lettera del testo e per questo corrono alla carne, in
quanto non conoscono l’abitudine della Scrittura. Anche su que­
sto li istruiremo.
336 GREGORIO DI NAZIANZO

13. "Ο τ ι μέν γάρ πανταχοΰ τής γραφής άνθρωπος καί υιός
ανθρώπου προσαγορεύεται, τί δ ει πρός είδότας καί λέγειν; εί
δε διισχυρίζονται τώ « δ λόγος σαρξ έγένετο καί έσκήνωσεν έν
ή μ ΐν » (Εν. Ιο. 1, 14), καί διά τοΰτο περιξέουσι τοΰ άνθρώπου τό
κάλλιστον, ώσπερ οί σκυτεΐς τά παχύτερα τών δερμάτων, ΐνα
θεόν σαρκί συγκολλήσωσιν, ώρα λέγειν αύτοΐς καί σαρκών
μόνων τόν θεόν είναι θεόν, ά λλ’ ούχί καί ψυχών, διά τό
γεγράφθαι* «καθώς εδωκας αύτώ έξουσίαν πάσης σαρκός»
(Εν. Ιο. 17, 2), καί «πρός σέ πάσα σάρξ ή ξ ει» (Ps. 64, 3), καί
«εύλογείτω πάσα σάρξ τό δνομα τό άγιον αύτοΰ» (Ps. 144,
2 1 ),
τοϋτ’ £στι πας άνθρωπος* ή πάλιν άσωμάτους καί
άοράτους καταβεβηκέναι τούς πατέρας ήμών είς Αίγυπτον καί
τήν ψυχήν τοΰ Ιω σήφ δεδέσθαι μόνην ύπό τοΰ Φαραώ, διά τό
γεγράφθαι* « έν έβδομήκοντα πέντε ψυχαΐς κατέβησαν είς
Αίγυπτον » (Act. Αρ. 7, 14), καί «σίδηρον διήλθεν ή ψυχή
αύτοΰ» (Ps. 104, 18), πράγμα δεθήναι μή δυνάμενον. άγνοοΰσι
γάρ οί ταΰτα λέγοντες δτι συνεκδοχικώς τά τοιαΰτα όνομάζε-
ται, άπό μέρους τοΰ παντός δηλουμένου, ώσπερ καί* «νεοσσοί
τών κοράκων έπικαλοΰνται τόν θεόν» (Ps. 146, 9), ϊν ’ ή πτηνή
δηλωθή φύσις, καί Πλειάς καί "Εσπερος καί Άρκτοΰρος
μνημονεύονται (lob 9, 9; 38, 31-2) άντί πάντων άστέρων καί
τής περί τούτους οίκονομίας.
14. Κ αί άμα ούκ άλλως οιόν τε ήν τήν τοΰ θεοΰ δηλωθηναι
περί ήμάς άγάπην ή έκ τοΰ μνημονευθήναι τήν σάρκα καί δτι
δ ι’ ήμάς κατέβη καί μέχρι τοΰ χείρονος. σάρκα γάρ είναι ψυχής
εύτελέστερον, πάς άν τών ευ φρονούντων όμολογήσειεν. τό ούν*
« ό λόγος σάρξ έγένετο» (Εν. Ιο. 1, 14) ϊσον δοκεΐ μοι δύνασθαι
τώ καί άμαρτίαν αύτόν γεγονέναι λέγεσθαι καί κατάραν (2 Ερ.
Cor. 5, 2 1 ; Ερ. Gal. 3, 13)* ούκ εις ταΰτα τοΰ κυρίου
μεταποιηθέντος, πώς γάρ; ά λλ’ ώς διά τοΰ ταΰτα δέξασθαι
τάς άνομίας ήμών άναλαβόντος καί τάς νόσους βαστάσαν-
τος. ταΰτα μέν ούν ικανώς έν τώ παρόντι διά τό σαφές
καί τοΐς πολλοΐς εΰληπτον. ού γάρ λογογραφεΐν ά λλ’ έπι-
PRIMA LETTERA A CLEDONIO 337

13. Quanto al fatto che dovunque nella Scrittura Cristo è


definito uomo e figlio dell’uomo, che bisogno c’è d i parlarne an­
cora, dal momento che essi ben lo sanno? Se poi si basano su «Il
Logos si è fatto carne ed ha abitato in mezzo a noi» (Ev. Io. 1,
14)2’ e per questo raschiano via la parte migliore dell’uomo,
come i cuoiai la parte più spessa delle pelli, per attaccare Dio alla
carne, è tempo di dir loro che allora Dio sarebbe Dio soltanto
della carne e non anche delle anime, dal momento che è scritto:
«Com e gli hai dato potere su tutta la carne» (Ev. Io. 17, 2), e « A
te verrà tutta la carne» (Ps. 64, 3), e «O gn i carne benedica il tuo
santo nom e» (Ps. 144, 21), cioè ogni uomo. E di contro i nostri
antenati sono discesi in Egitto incorporei e invisibili e dal farao­
ne è stata incatenata solo l’anima di G iuseppe26, dal momento
che è scritto: «In settantacinque anime discesero in E g itto »
(Act. Ap. 7, 14), e «P assò attraverso il ferro la sua anima» (Ps.
104, 18), cioè una cosa che non può essere incatenata. Infatti
quelli che fanno queste affermazioni, ignorano che tali espressio­
ni sono dette per sineddoche, in quanto la parte indica il tutto,
come anche: « I piccoli dei corvi invocano D io » (Ps. 146, 9),
dove è indicato tutto il genere dei volatili, e le Pleiadi, Esperò e
Arturo sono ricordati (lob 9, 9; 38, 31-2) in luogo di tutti gli
astri e dell’economia che li regola.
14. E insieme non in altro modo era possibile che si rivelasse
l’ amore di Dio per noi che col ricordare la carne e col discendere
per noi fino alla parte infima dell’uomo. Infatti ogni persona
assennata converrà che la carne vale meno dell’anima27. Perciò
« I l Logos si è fatto carne» (Ev. Io. 1, 14) mi sembra avere lo
stesso significato dei passi in cui si dice che egli per noi è diven­
tato peccato e maledizione (2 Ep. Cor. 5, 21; Ep. Gal. 3, 13).
Infatti il Signore non si è trasformato in questo - come infatti
sarebbe possibile? - , ma ha accettato questo poiché ha preso su
di sé i nostri peccati ed ha portato le nostre malattie. Per il
momento mi sembrano sufficienti queste considerazioni, per­
ché sono chiare e accessibili ai più. Infatti scrivo così non per
538 GREGORIO DI ΝΛΖΙΛΝΖΟ

σχεΐν τήν άπάτην βουλόμενοι ταΰτα γράφομεν, τόν δέ τελεώ-


τερον περί τούτων λόγον, εί δοκεΐ, καί διά μακροτέρων άπο-
δώσομεν.
PIUMA LETTERA A CLEDONIO 339

dilungarmi ma per arrestare l’errore. Se poi sembrerà opportu­


no, pubblicherò su questo argomento un trattato più completo
e diffuso.
3. T eodoro d i M opsuestia , Omelie catechetiche 6 ,3 -6

Apollinare svolse la sua attività in ambiente antiocheno, e qui la sua


dottrina incontrò più forte resistenza, dato il particolare rilievo che
nella tradizione cristologica antiochena aveva sempre avuto la compo­
nente umana di Cristo. Dato questo rilievo, non riusciva agevole agli
antiocheni presentare in modo unitario la duplice dimensione, divina
e umana, di Cristo, e proprio questa evidente mancanza aveva attira­
to la critica di Apollinare. Alla sua critica essi ovviamente reagiscono
in nome dell’esigenza di salvaguardare integra l’umanità di Cristo, ma
non possono disattendere l’esigenza di fondo che aveva animato la
proposta apollinarista. Troppo poco ci è rimasto, in proposito, di
Diodoro di Tarso, che possiamo considerare il vero e proprio auctor
della tradizione esegetica e teologica specificamente antiochena; me­
glio di lui conosciamo Teodoro di Mopsuestia, il più rappresentativo
esponente di questa tradizione, e nelle sue pagine superstiti ripetuta-
mente avvertiamo lo sforzo di conciliare l’integrità e la distinzione
delle due nature di Cristo con l’esigenza di predicare un solo Cristo e
un solo Signore.
Il passo di Teodoro che qui presentiamo fa parte di una serie di
Omelie catechetiche, cioè predicate ai catecumeni che nella prossima
Pasqua avrebbero ricevuto il battesimo. Esse ci sono giunte soltanto
in traduzione siriaca. Teodoro si fonda su Ep. Rot». 9, 5 e Ep. Phil. 2,
6 sgg. per dimostrare in modo ingegnoso sia la distinzione delle natu­
re, e perciò delle operazioni, in Cristo sia l’unità della persona. Ma
nonostante il suo evidente impegno, più volte il suo discorso finisce
per presentarci due soggetti distinti, corrispondenti alle due nature,
strettamente connessi fra loro, ma pur sempre due. Proprio per que­
sto un alessandrino, abituato a pensare a Cristo come ad un solo
soggetto divino, sebbene incarnato, nonostante gli esiti della contro­
versia apollinarista continuava a ravvisare nella cristologia antiochena
una tendenza divisiva tanto forte da compromettere l’unità di Cristo.
OMELIE CATECHETICHE 34I

Presentiamo il testo di Teodoro in traduzione italiana dall’edi­


zione siriaca di R. Tonneau, Les homélies catéchétiques de Théodore
de Mopsueste, Città del Vaticano 1949, pp. 135-43. La traduzione
dal siriaco è di J. Guirau.

Teodoro, d i nascita e fo rm azion i antiochena, fu vescovo di M opsuestia, in


Siria" dal 398 al 428. Fu l’esponente più rappresentativo della scuola di An­
tiochia sia per l’esegesi di stam po letteralista sia per la cristologia. L a con­
danna che gli fu inflitta, post mortem, al tem po di Giustiniano (Questione dei
Tre C apitoli, 553) provocò la scom parsa di quasi tutti i suoi scritti nel testo
originale (fa eccezione il Commentario a i Profeti minori), ma alcuni di essi ci
sono pervenuti in traduzione siriaca. O ltre le Omelie catechetiche, ricordiamo
il Commentario a Giovanni e, in traduzione latina, il Commentario alle lettere
di Paolo.

Bibliografia: R. Devreesse, Essai sur Théodore de Mopsueste, C ittà del V atica­


no 1948; R.A . N orris, Manhood and Christ. A Study in thè Cbristology of
Theodore of Mopsuestia, O xford 1963; J.M . Lera, «... y se htzo hombre». La
economia trinitaria in las Catequesis de Teodoro de Mopsuestia, Bilbao 1977.
6 , 3. Tenendosi all’inìzio e alla fine, i nostri beati padri ci
hanno trasmesso, nella brevità del sim bolo1, tutto ciò che si è
svolto nel mezzo, per istruzione di quanti desiderano apprendere
la verità. È ovvio infatti che essi non credevano che fosse la
5 natura divina dell’Unigenito a nascere da donna, come se di lì
avesse avuto inizio, poiché non ha avuto inizio da Maria colui
che essi affermavano generato dal Padre suo prima di tutti i se­
coli e che eternamente esiste da lui e con lui. Essi hanno seguito
invece le Sacre Scritture, le quali parlano delle nature in modo
io diverso, quando insegnano una sola persona 2 in virtù della con­
giunzione esatta che ha avuto luogo, così che non sembrassero
dividere la perfetta comunione di colui che è stato assunto con
colui che ha assunto. Se infatti si toglie via questa congiunzione,
colui che è stato assunto apparirebbe non essere altro che un
15 uomo come noi. Per questo le Sacre Scritture proclamano ambe­
due i termini dell’unico Figlio, per rendere palese con una mede­
sima confessione la gloria dell’Unigenito 3 e anche l’onore del­
l’uomo che quello ha rivestito.
4. Infatti il beato Paolo, dopo aver detto: « ... dai quali
20 i giudei) è C risto», ha aggiunto «secondo la carne» (Ep. Rom. 9,
5), per distinguere le nature4. Così egli ci fa sapere che non
intende «C risto dai giudei secondo la carne» della natura divina
dell’Unigenito e che non definisce così il Dio Logos che nel prin­
cipio era presso Dio e dall’eternità era nel seno del Padre (Ev. Io.
OMELIE CATECHETICHE 343

1, 1.18), bensì la forma d ’uomo che quello ha assunto (Ep. Phil.


2, 7). M a poi, per evitare che a causa di questa parola aggiunta,
cioè che la natura umana è stata presa dai giudei, fosse svilita la
gloria di Cristo, nel senso che egli è uomo per natura ed è nato
da uomini e in lui non vi è altro, per questo egli ha aggiunto
«che è Dio al di sopra di tutto», al fine di mostrare la gloria di
Cristo che viene dal Dio Logos che lo ha assunto e lo ha unito a
sé, il quale è causa di tutto e Signore su tutto. E quest’uomo, in
forza della congiunzione esatta col Dio Logos, è onorato e adora­
to da tutta la creazione. E il beato Paolo, pur potendo scrivere:
«in lui è Dio al di sopra di tutto», non lo ha fatto ma ha detto
così: «ch e è Dio al di sopra di tu tto », per la congiunzione esatta
delle due nature. Non che egli pensasse che colui che era nato
dai giudei secondo la carne fosse per natura Dio sopra tutti né
credesse che la natura umana fosse causa di tutto e signore per
natura su tutto; ma confessava come Cristo nella carne la forma
d’uomo che egli ha preso e chiamava Dio al di sopra di tutto
colui che ha assunto questa forma.
Quindi egli nomina insieme queste due cose per far vedere la
distinzione delle nature. Nessuno infatti riconosce come Dio per
natura colui che è dai giudei secondo la carne, o come Dio al di
sopra di tutto colui che per natura è dai giudei. Tuttavia, nomi­
nando le due cose insieme egli rende palese la congiunzione esat­
ta di colui che fu assunto con colui che lo ha assunto, così che
con la differenza di natura fossero a tutti noti anche l’onore e la
gloria 3 che colui che è stato assunto riceve dall’unione con Dio
che lo ha assunto.
5. E non diversamente (Paolo) ha scritto ai Filippesi6 dic
do: «C olui che è forma di Dio e non ha ritenuto usurpazione
essere uguale a Dio, tuttavia ha svuotato sé stesso e ha preso la
forma di schiavo, essendo in forma d ’uomo e apparendo in sem­
bianza d ’uom o» (Ep. Phil. 2, 6-7). Anche qui egli mette in chiaro
la distinzione delle nature, e che altra è la forma di Dio e altra la
forma d ’uomo, e che altro è colui che ha assunto e altro colui che
544 TEODORO DI MOPSUESTTA

è stato assunto, e che colui che ha assunto è diventato forma


d’uomo in colui che è stato assunto. Colui poi che è stato assun­
to era veramente forma d ’uomo in cui era colui che lo ha assun­
to; e colui che ha assunto, non essendo uomo ma per sua natura
incorporeo e semplice, è diventato forma di servo che ha per
natura corpo e composizione, e secondo la legge del corpo umano
si trovò ad essere uomo. Così ha nascosto sé stesso mentre era
nel mondo e s’intratteneva con gli uomini, in modo che tutti
coloro che lo vedevano da uomo, altro non percepivano e di lui
credevano che fosse un semplice uomo.
Dopo aver così chiarita la distinzione delle nature, cioè che
altra è la forma di Dio e altra la forma di servo, altro colui che
ha assunto e altro colui che è stato assunto, (Paolo) ci istruisce
riguardo alla natura umana in cui era il nostro Signore, e perciò
nomina ciò che è proprio della forma di servo che quello aveva
assunto, cioè, che «h a umiliato sé stesso ed è stato obbediente
fino alla morte, e morte di croce; perciò D io lo ha innalzato
grandemente e gli ha dato un nome al di sopra di ogni altro
nome, perché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nel cie­
lo, in terra e sotto terra, ed ogni lingua confessi che Gesù Cristo
è Signore a gloria di Dio Padre suo» (Ep. Pkil. 2, 8 -1 1 ).
6. Infatti non è stata la natura divina a subire la morte, be
- com’è ovvio - l’uomo che è stato assunto come tem pio 7 dal
Dio Logos, lo stesso che è morto e che è stato risuscitato da colui
che l’aveva assunto. E non è stata la natura divina ad essere
innalzata dopo la croce, ma il tempio che era stato assunto, che è
risuscitato dai morti, è salito in cielo e si è seduto alla destra di
Dio. E non è stato accordato alla natura divina, che è causa di
tutto, che ogni uomo l’adori, perché dinanzi ad essa si piega ogni
ginocchio; ma l’adorazione 8 fu accordata alla forma di servo
che per natura sua non la possedeva.
E dopo aver chiarito e accertato che tutto ciò è detto della
natura umana, (Paolo) lo afferm a poi, in forza della congiunzio­
ne, della natura divina, così che tale sorprendente affermazione
OMELIE CATECHETICHE 345

abbia l’ assenso degli ascoltatori. Poiché infatti essere adorato da


tutti è ben al di sopra della natura umana, bisogna che ciò sia
stato detto come di uno solo, così che tale affermazione sia cre­
duta in forza della congiunzione esatta fra le nature. Egli infatti
5 fa vedere chiaramente donde riceva tale onore colui che fu as­
sunto, cioè da null’altro se non dalla natura divina di colui che
l’ha assunto e vi dimora.
Parte Sesta
C R I S T O L O G IA M O N O F IS IT A E D IF IS IT A
D A L C O N C IL IO D I E F E S O (431)
A L C O N C IL IO D I C A L C E D O N IA (451)
All'inizio del V secolo gli ambienti di Alessandria e Antiochia, i
principali della cristianità orientale, condividevano la stessa teolo­
gia trinitaria d ’impostazione basiliana. Anche in ambito esegetico
avevano smussato la loro contrapposizione: Cirillo, patriarca di
Alessandria, aveva attenuato le punte radicali dell’allegorismo
tradizionale nella sua città; ma restavano nettamente divise quan­
to al problema cristologico, che allora, dati gli strascichi della
controversia apollinarista, era più che mai di urgente attualità.
Infatti la condanna di Apollinare, se da un lato sembrava dar
ragione all’impostazione divisiva degli antiocheni a danno dello
schema, di lontana origine alessandrina, logos/sane, dall’altra però
non aveva affatto convertito gli alessandrini alla dottrina dei loro
rivali. Questo contrasto dava spessore ideologico ad una rivalità
politica, ormai di vecchia data, in quanto la sede alessandrina
aveva sempre incontrato in quella antiochena ostacolo alla propria
ambizione d i conquistare un’autentica guida nell’ambito della cri­
stianità orientale. Alessandria, che nel concilio del 381 pon aveva
potuto impedire la rapida ascesa della sede di Costantinopoli a
quel ruolo di primazia in oriente cui ella stessa aspirava, aveva a
temere soprattutto l’accordo fra la capitale d ’oriente ed Antio­
chia. Quando ciò era avvenuto, alla fine del IV secolo, in forza
dell’elezione dell’antiocheno Giovanni Crisostomo a patriarca di
Costantinopoli, Teofilo di Alessandria si era abilmente adoperato,
e con successo, alla rovina del rivale. Ora, intorno al 428, l’elezio­
ne alla sede imperiale del monaco antiocheno Nestorio ripropone
la stessa situazione, cosi che Cirillo, nipote di Teofilo ed erede
delle sue ambizioni e del suo modo di far politica, osserva attenta­
mente le mosse del neoeletto, in cerca di un valido pretesto per
poter aprire le ostilità ai suoi danni.
350 PARTE SESTA

L ’occasione gli viene offerta ben presto dall’eccessivo zelo di


Nestorio che esterna le sue perplessità circa l’opportunità di defi­
nire M aria Theotokos (cfr. il commento, p. 599 nota 5). Ma l’ap­
pellativo era di lunga data ed era ormai acquisito dalla devozione
popolare, così che l’iniziativa di Nestorio sollevò proteste. Cirillo,
subito informato, fu rapidissimo e abile nel cogliere il pretesto:
Nestorio fu messo sotto accusa, anche a Roma, come colui che
affermava due Cristi, e, soprattutto grazie all’appoggio dei mona­
ci, fu montata tutta una campagna di dicerie ostili all’antiocheno,
difeso con ritardo e inizialmente senza grande decisione dal suo
ambiente nativo. Il concilio di Efeso, il terzo ecumenico", si svolse
(431) nel modo più irregolare ed in modo ancor più irregolare si
concluse; ma fu solo Nestorio a farne le spese. Tolto di mezzo il
rivale e raggiunto così il fine della sua azione, Cirillo non ebbe
difficoltà ad accordarsi con gli antiocheni in materia dottrinale
con una formula di compromesso (433).
M a la soluzione era più formale che sostanziale, e i contrasti
dottrinali fra i due schieramenti furono soltanto frenati per qual­
che anno, grazie all’abilità e alla energia con cui Cirillo difese i
risultati della sua politica. Ma, lui morto (444), il contrasto si
rinnovò. Nella predicazione del vecchio e autorevole monaco
costantinopolitano Eutiche l’antiocheno Teodoreto ravvisò gli
estremi del monofisismo, che affermando in Cristo una sola natu­
ra avrebbe confuso in lui divinità e umanità. Eutiche fu condan­
nato (448) da Flaviano di Costantinopoli; ma tendenze di tipo più
o meno accesamente monofisita erano ormai molto diffuse in
E gitto, in Siria e altrove, in oriente. Dioscoro, il successore di
Cirillo, si fece interprete della reazione provocata dalla condanna
di Eutiche. Un nuovo concilio riunito ad E feso nel 449 rinnovò ai
danni di Flaviano, consenziente l’imperatore Teodosio II, l’azio­
ne di diciotto anni prima ai danni di Nestorio, nonostante che
questa volta il vescovo di Roma, Leone, avesse preso posizione in
modo energico contro Eutiche, e sembrò segnare il trionfo del
monofisismo e di Alessandria.
M a la morte repentina di Teodosio ribaltò la situazione. La
sorella Pulcheria, che gli successe, e Marciano, che ella volle per
marito, erano di tendenza difisita, così che la reazione degli scon­
fitti, spalleggiati da Roma, ebbe modo di svilupparsi con successo.
Solo due anni dopo, nel 451, a Calcedonia, un nuovo concilio
ecumenico sanzionò questo successo. Eutiche, che era stato riabi­
litato ad Efeso, fu nuovamente condannato, e con lui Dioscoro.
CRISTOLOGIA MONOFISITA E DIFISITA 351

Una nuova formula dottrinale, che ricalcava, ma con significative


precisazioni, la formula del 433, fissava una via mediana fra le
esigenze delle due opposte cristologie.
1. Cirillo, Seconda lettera a Nestorio

Già in testi anteriori all’insorgere della controversia con Nestorio


Cirillo aveva precisato i termini della sua cristologia in senso netta­
mente antiantiocheno (PG LX XV II 553 sgg.). Infatti, se egli facen­
do tesoro della condanna inflitta ad Apollinare è sempre preciso nel
puntualizzare che Cristo ha assunto un’umanità completa di corpo e
anima, è però anche altrettanto preciso nel respingere il divisionismo
antiocheno, che per lui ha il risultato di dividere Cristo in due. Nel­
la sua concezione l’anima di Cristo ha significato e valore soltanto
formali, ma non esercita nel composto teandrico alcuna specifica
funzione; o meglio, non si presenta affatto come un secondo centro
di vitalità e attività accanto al Logos, ch’era il rimprovero che Apol­
linare rivolgeva, non senza motivo, agli antiocheni. L ’umanità di
Cristo in Cirillo è, sì, completa, ma resta soltanto passivo e obbe­
diente strumento della divinità che di essa si serve per operare la sua
missione nel mondo. In sostanza l’impostazione della cristologia di
Cirillo resta quella di Apollinare: un solo soggetto, nel senso di una
sola fonte di volere e agire, ma con tutta l’attenzione nel precisare
che l’umanità non è mutilata, così da poter evitare l’accusa di apolli-
narismo.
A questo concetto così preciso, divinità e umanità integre e com­
plete unite in un solo soggetto, non corrisponde in Cirillo una termi­
nologia sempre coerente. Egli caratterizza l’unico soggetto con hypo­
stasis (rifiutando il prosopon di Teodoro e di Nestorio): si tratta ov­
viamente dell’ipostasi del Logos, nella quale si radica, per così dire,
l'umanità assunta, completa ma priva di una sua ipostasi. Più incerto
è invece Cirillo nella specificazione terminologica di umanità e divi­
nità. Fondamentalmente egli è monofisita, in quanto coerentemente
tende a far corrispondere alla sola ipostasi di Cristo una sola natura
risultante dall’unione di divinità e umanità, unite e complete ma
non confuse; e in effetti parlare di una natura umana priva di sua
SECONDA LETTERA A NESTORIO 353

ipostasi, cioè di sussistenza individuale, faceva pensare ad una natu­


ra astratta, non reale e concreta. In tal senso, già nella fase iniziale
della controversia, egli fa sua la formula distintiva di Apollinare, da
lui ritenuta atanasiana, «una sola natura del Dio Logos incarnata»
(ACO 1 1 , 6 , 32-3; PG LX XV I 60 sg.), che interpreta in modo da
non compromettere l’integrità dell’umanità di Cristo. Ma sia per
poca chiarezza di formulazione, sia per l’esigenza di difendersi dalle
accuse di apollinarismo, svariate volte, negli scritti anteriori al 431,
egli parla anche di due nature in Cristo, pur precisando che sono
due nature unite in un soggetto. Proprio queste oscillazioni di termi­
nologia avrebbero in seguito permesso ai difisiti di ritorcere l’autori­
tà di Cirillo contro i monofisiti, che in lui riconoscevano la somma
autorità in materia di cristologia.
La lettera a Nestorio che qui presentiamo, scritta nel febbraio
430, fa seguito ad una precedente breve generica richiesta di spiega­
zioni da parte dello stesso Cirillo e si presenta come un breve ma
completo trattato di cristologia alessandrina. L ’unità del soggetto,
cioè dell’ipostasi, è fortemente rilevata e in forza di questa unità,
mercé la communicatio idiomatum, sono riportati al Logos, ma con le
indispensabili precisazioni, anche i caratteri distintivi dell’umanità.
Questa poi e la divinità, non sappiamo se per opportunismo pruden­
ziale o soltanto per scarsa precisione di linguaggio, sono caratteriz­
zate da Cirillo come due physeis, cioè come due nature (cap. 3).
Proprio in forza di tale formulazione questo testo cirilliano sarebbe
stato approvato anche nel concilio di Calcedonia del 451, come rap­
presentativo della formula che si voleva definitiva della controver­
sia.
Per il testo di questa lettera di Cirillo seguiamo l’edizione di E.
Schwartz, in ACO I 1, 1, 25-8.

Cirillo, vescovo di Alessandria dal 412 all’ anno della morte (444), si distinse
per la decisione con cui osteggiò sia i pagani sia gli esponenti della cristologia
divisiva antiochena, soprattutto N estorio. Per qualche dettaglio si rimanda
alle introduzioni d ei singoli testi. Q ui aggiungiamo che egli fu anche esegeta
oltre che teologo. D el tanto che di lui ci è restato ricordiamo i Commentari a
Isaia, ai Profeti minori, a G iovam i; La santa e consustanziale Trinità; Contro
Nestorio in cinque libri; l’Apologià contro Giuliano l ’apostata-, gli Scolti su ll’in­
carnazione deWUnigenito.

Bibliografia: A . Kerrigan, St. Cyril of Alexandria, Interpreter of thè O ld Testa-


ment, Rom a 1952; A . Grillm eier, Gesù il Cristo nella fede della chiesa, Brescia
1982, pp. 860-81.
Τώ εύλαβεστάτω και θεοφιλεστάτω συλλειτουργώ Νεστο-
ρίω Κύριλλος έν κυρίω χαίρειν.
1 . Καταφλυαροΰσι μέν, ώς μανθάνω, τινές τής έμής ύπο-
λήψεως έπί τής σής θεοσεβείας, καί τοΰτο συχνώς, τάς τών έν
τέλει συνόδους καιροφυλακοΰντες μάλιστα, καί τάχα που καί
τέρπειν οΐόμενοι τήν σήν άκοήν καί άβουλήτους πέμπουσι
φωνάς, ήδικημενοι μέν ούδέν, έλεγχθέντες δέ, καί τοΰτο χρη-
στώς, δ μέν δτι τυφλούς ήδίκει κα'ι πένητας, δ δέ ώς μητρί
ξίφος έπανατείνας, δ δέ θεραπαίνη συγκεκλοφώς χρυσίον άλ-
λότριον καί τοιαυτην έσχηκώς άεί τήν ύπόληψιν, ήν ούκ άν
ευξαιτό τις συμβήναι τισίν κα'ι τών λίαν έχθρών. πλήν ού
πολύς τών τοιούτων ό λόγος έμοί, ΐνα μήτε υπέρ τόν δεσπότην
καί διδάσκαλον μήτε μήν ύπέρ τούς πατέρας τό τής ένούσης
έμοί βραχύτητος έκτείνοιμι μέτρον. ού γάρ ένδέχεται τάς
τών φαύλων διαδράναι σκαιότητας, ώς άν ελοιτό τις διαβιοΰν.
2 . Ά λ λ ’ έκεϊνοι μέν άρας καί πικρίας μεστόν εχοντες τό
στόμα τώ πάντων άπολογήσονται κριτή· τετράψομαι δέ πάλιν
έγώ πρός τό δτι μάλιστα πρέπον έμαυτώ καί ύπομνήσω καί
νΰν ώς άδελφόν έν Χριστώ τής διδασκαλίας τόν λόγον καί τό
έπί τή πίστει φρόνημα μετά πάσης άσφαλείας ποιεΐσθαι πρός
τούς λαούς έννοεϊν τε δτι τό σκανδαλίσαι καί μόνον ενα τών
μικρών τών πιστευόντων είς Χριστόν (Εν. Mattk. 18, 6) άφόρη-
Cirillo saluta nel Signore il reverendissimo e piissimo collega
Nestorio.
1. Vengo a sapere che alcuni1 sparlano a proposito del giudi­
zio che ho espresso sulla tua pietà, e fanno questo di frequente,
cogliendo soprattutto l’occasione di riunioni del clero, e forse
credendo anche di rallegrare le tue orecchie pronunciano parole
sconsiderate, essi che non hanno ricevuto alcun torto ma sono
stati convinti di errore, e ben a ragione, perché di essi uno fareb­
be del male a ciechi e poveri, un altro snuderebbe la spada quasi
anche contro la madre, un altro è capace di rubare, con l’aiuto di
una serva, denaro altrui e gode sempre di tale opinione che nes­
suno augurerebbe perfino a qualcuno dei suoi peggiori nemici.
M a non ho intenzione di parlare a lungo di costoro, per non
estendere la misura della mia piccolezza al di là del Signore e
maestro e neppure al di là dei nostri padri. Infatti non è possibi­
le sfuggire le scempiaggini degli sciocchi, qualsiasi modo di vita
si sia scelto.
2. M a costoro che hanno la bocca piena di imprecazioni e
cattiveria, si difenderanno davanti al giudice di tutti. Io invece
mi volgerò di nuovo a ciò che soprattutto è mio compito e ti
ricorderò anche ora, come a un fratello in Cristo, che bisogna
esporre al popolo il proprio insegnamento e la propria interpreta­
zione della fede nel modo più irreprensibile e ricordare che chi
scandalizza anche uno solo dei piccoli 2 che credono in Cristo
356 CIRJLLO

τον εχει τήν άγανάκτησιν. εί δέ δή πλήθος εΐη τοσαύτη τών


λελυπημένων, πώς ούχ άπάσης εύτεχνίας έν χρεία καθεστή-
καμεν πρός γ ε τό δεΐν έμφρόνως περιελεΐν τά σκάνδαλα καί
τόν ύγιά τής πίστεως κατευρΰναι λόγον τοΐς ζητοΰσι τό άληθές;
5 £σται δέ τοΰτο καί μάλα όρθώς, εί τοΐς τών άγίων πατέρων
περιτυγχάνοντες λόγοις περί πολλοΰ τε αυτούς ποιεΐσθαι
σπουδάζοιμεν καί δοκιμάζοντες έαυτους εί έσμέν έν τή πίστει
κατά τό γεγραμμένον, ταΐς έκείνων όρθαΐς καί άνεπιλήπτοις
δόξαις τάς έν ήμΐν έννοιας εύ μάλα συμπλάττοιμεν.
ίο 3. ’Έ φη τοίνυν ή άγία καί μεγάλη σύνοδος αύτόν τόν έκ
θεοΰ πατρός κατά φύσιν γεννηθέντα υίόν μονογενή, τόν έκ
θεοΰ άληθινοΰ θεόν άληθινόν, τό φώς τό έκ τοΰ φωτός, τόν
δ ι’ ού τα πάντα πεποίηκεν ό πατήρ, κατελθεΐν σαρκωθήναι έ-
νανθρωπήσαι παθεΐν άναστήναι τή τρίτη ήμέρςι καί άνελθεΐν
ΐ 5 είς ούρανούς. τούτοις καί ήμάς έ'πεσθαι δει καί τοΐς λόγοις καί
τοΐς δόγμασιν, έννοοΰντας τί τό σαρκωθήναι καί ένανθρωπή-
σαι δηλοΐ τόν έκ θεοΰ λόγον, ού γάρ φαμέν δτι ή τοΰ λόγου
φύσις μεταποιηθεΐσα γέγονε σάρξ, ά λλ’ ούδέ οτι είς δλον
άνθρωπον μετεβλήθη τόν έκ ψυχής καί σώματος, έκεΐνο δέ
za μάλλον οτι σάρκα έψυχωμένην ψυχή λογική ένώσας ό λόγος
έαυτώ καθ’ ύπόστασιν άφράστως τε καί άπερινοήτως γέγονεν
άνθρωπος καί κεχρημάτικεν υίός άνθρώπου, ού κατά θέλησιν
μόνην ή εύδοκίαν, ά λλ’ ούδέ ώς έν προσλήψει προσώπου
μόνου, καί δτι διάφοροι μέν αί πρός ένότητα τήν άληθινήν
2 J συνενεχθεΐσαι φύσεις, εις δέ έξ άμφοΐν Χριστός καί υίός, ούχ
ώς τής τών φύσεων διαφοράς άνηρημένης διά τήν ενωσιν, ά-
ποτελεσασών δέ μάλλον ήμΐν τόν ενα κύριον καί Χριστόν καί
υίόν θεότητός τε καί άνθρωπότητος διά τής άφράστου καί ά-
πορρήτου πρός ένότητα συνδρομής.
30 4 . Οΰτω τε λέγεται, καίτοι πρό αιώνων εχων τήν δπαρξιν
καί γεννηθείς έκ πατρός, γεννηθήναι καί κατά σάρκα έκ γυ-
ναικός, ούχ ώς τής θείας αύτοΰ φύσεως άρχήν τοΰ είναι λα-
βούσης έν τή άγία παρθένω οΰτε μήν δεηθείσης άναγκαίως δ ι’
SECONDA LETTERA A NESTORIO 357

(Ev. Matth. 18, 6 ), subirà un castigo intollerabile. Se poi è tanta


la moltitudine di quelli che sono in angustie, come non dovrei
far uso di ogni accorgimento per eliminare con accortezza ogni
scandalo e appianare la retta intelligenza della fede a quanti cer­
cano la verità? Faremo anche molto bene a tenere in gran conto
gli scritti dei santi padri che avremo potuto trovare, ed esami­
nandoci se siamo nella retta fede secondo quanto è scritto, ad
armonizzare in tutto le nostre opinioni con le giuste e irreprensi­
bili dottrine di quelli.
3. Il santo e grande concilio 3 ha definito che colui, che è
stato generato da Dio Padre per natura come Figlio unigenito,
che è Dio vero da D io vero e luce da luce, e per mezzo del quale
il Padre ha creato tutte le cose, proprio questi è disceso, si è
incarnato, si è fatto uomo, ha patito, è risorto il terzo giorno ed
è risalito in cielo. A tale definizione dobbiamo attenerci anche
noi nelle parole e nei concetti, quando consideriamo che cosa
significhi che il Logos nato da Dio si è incarnato e si è fatto
uomo. Non affermiamo infatti che la natura del Logos si è tra­
sformata ed è diventata carne4, e neppure che si è trasformata in
un uomo completo, composto di anima e corpo; ma piuttosto che
il Logos, avendo unita a sé secondo ripostasi in modo indicibile
e inconcepibile una carne animata da anima razionale’ , è diven­
tato uomo ed è stato chiamato figlio dell’uomo; e non per suo
solo volere e beneplacito e neppure per l’assunzione solo di un
prosopon. Affermiamo così che sono diverse le nature che si sono
unite in vera unità, ma da ambedue è risultato un solo Cristo e
Figlio, non perché a causa dell’unità sia stata eliminata la diffe­
renza delle nature4, ma piuttosto perché divinità e umanità, riu­
nite in unione indicibile e inenarrabile, hanno prodotto per noi il
solo Signore e Cristo e Figlio.
4 . Così, anche se egli ha l’esistenza ed è stato generato dal
Padre prima dei tempi, noi diciamo che è stato generato anche
secondo la carne da una donna7, non nel senso che la sua natura
divina ha cominciato ad esistere nella santa Vergine o ha avuto
358 CIRILLO

έαυτήν δευτέρας γεννήσεως μετά τήν έκ πατρός (ϊστιν γάρ


είκαΐόν τε όμοΰ καί άμαθες τόν υπάρχοντα πρό παντός
αίώνος καί συναΐδιον τω πατρί δεΐσθαι λέγειν αρχής της
εις τό είναι δευτέρας), επειδή δε δ ι’ ήμάς καί διά τήν
3 ήμετέραν σωτηρίαν ένώσας έαυτφ καθ’ ύπόστασιν τό άνθρώ-
πινον προήλθεν έκ γυναικός, ταύτη τοι λέγεται γεννηθήναι
σαρκικώς. ού γάρ πρώτον άνθρωπος έγεννήθη κοινός έκ της
άγιας παρθένου, ειθ’ ούτως καταπεφοίτηκεν έπ’ αυτόν ό λό­
γος, ά λλ’ έξ αύτής μήτρας ενωθείς ύπομεϊναι λέγεται γέννη-
ιο σιν σαρκικήν, ώς τής ιδίας σαρκός τήν γέννησιν οίκειούμενος.
5. Οδτω φαμέν αύτόν καί παθεΐν καί άναστήναι, ούχ ώς
τοΰ θεοΰ λόγου παθόντος είς Εδίαν φύσιν ή πληγάς ή διατρή­
σεις ήλων ή γοΰν τά ετερα τών τραυμάτων (άπαθές γάρ τό
θειον, δτι καί άσώματον), έπειδή δε τό γεγονός αύτοΰ ίδιον
ΐ 5 σώμα πέπονθεν ταΰτα, πάλιν αύτός λέγεται παθεΐν ύπερ
ήμών- ήν γάρ ό άπαθής έν τώ πάσχοντι σώματι. κατά τόν
ίσον δέ τρόπον καί έπί τοΰ τεθνάναι νοοΰμεν. άθάνατος μέν
γάρ κατά φύσιν καί άφθαρτος καί ζωή καί ζωοποιός έστιν ό
τοΰ θεοΰ λόγος* έπειδή δε πάλιν τό ίδιον αύτοΰ σώμα χάριτι
2ο θεοΰ, καθά φησιν ό Παΰλος, ύπερ παντός έγεύσατο θανάτου
(Ep. Hebr. 2, 9), λέγεται παθεΐν αύτός τόν ύπερ ήμών θάνατον,
ούχ ώς είς πείραν έλθών τοΰ θανάτου τό γε ήκον είς τήν
αύτοΰ φύσιν (άποπληξία γάρ τοΰτο λέγειν ή φρονεΐν), ά λλ’
δτι, καθάπερ εφην άρτίως, ή σάρξ αύτοΰ έγεύσατο θανάτου.
25 οϋτω καί έγηγερμένης αύτοΰ τής σαρκός, πάλιν ή άνάστασις
αύτοΰ λέγετα ι, ούχ ώς πεσόντος είς φθοράν, μή γένοιτο,
ά λλ’ δτι τό αύτοΰ πάλιν έγήγερται σώμα.
6 . Οδτω Χριστόν ενα και κύριον όμολογήσομεν, ούχ ώς

άνθρωπον συμπροσκυνοΰντες τώ λόγω, ΐνα μή τομής φαντασία


>0 παρεισκρίνηται διά τοΰ λέγειν τό « συν», ά λλ’ ώς ενα καί τόν
αύτόν προσκυνοΰντες, δτι μή άλλότριον τοΰ λόγου τό σώμα
SECONDA LETTERA A NESTORIO 359

necessariamente bisogno di una seconda nascita per mezzo di lei


dopo quella dal Padre (sarebbe infatti insieme sciocco e senza
senso affermare che ha bisogno di cominciare ad esistere per una
seconda volta colui che esiste prima di tutti i tempi ed è coeter­
no al Padre): ma dato che egli per noi e per la nostra salvezza ha
unito a sé secondo l’ipostasi l’elemento umano ed è nato da una
donna, in questo senso diciamo che è nato secondo la carne.
Infatti non fu generato prima come uomo comune dalla santa
Vergine e poi è disceso su di lui il Logos8, ma piuttosto affer­
miamo che questo si è unito e ha sopportato di nascere secondo
la carne dal ventre di lei, nel senso che ha fatto propria la nascita
della sua carne.
5. C osi affermiamo che egli ha anche patito ed è risorto9,
non nel senso che il Logos di Dio abbia patito nella propria natu­
ra o le percosse o i fori dei chiodi o le altre ferite (infatti ciò ch’è
divino è impassibile, in quanto è anche incorporeo): ma poiché
quello ch’è diventato il suo proprio corpo ha subito tali patimen­
ti, per questo diciamo che egli ha patito per noi. Infatti l’impas­
sibile era in un corpo passibile. Allo stesso modo pensiamo anche
riguardo al morire. Infatti il Logos di Dio è per natura immortale
c incorruttibile, è vita e datore di vita. M a poiché il suo corpo
per grazia di Dio - come dice Paolo - ha provato la morte per
tutti noi (Ep. Hebr. 2, 9), per questo diciamo che egli stesso ha
patito la morte per noi, non nel senso che egli abbia sperimenta­
to la morte per ciò che attiene alla sua propria natura (sarebbe
infatti follia dire o pensar questo), ma perché, come ho detto or
ora, la sua carne ha provato la morte. Analogamente, dato che la
sua carne si è anche ridestata, per questo parliamo della sua ri­
surrezione, non nel senso che egli sia caduto in preda alla corru­
zione - non sia mai! - , ma perché si è risvegliato il suo corpo.
6 . Perciò professeremo un solo Cristo e Signore, non nel sen­

so che adoriamo l’uomo insieme col Logos10, per non insinuare


l’idea della separazione col dire «insiem e», ma nel senso che
adoriamo uno solo e lo stesso, perché non è estraneo al Logos il
360 CIRILLO

αύτοΰ, μεθ’ ου καί αύτω συνεδρεύει τώ πατρί, ούχ ώς δύο


πάλιν συνεδρευόντων υιών, άλλ’ ώς ένός καθ’ ενωσιν μετά της
ιδίας σαρκός. έάν δέ τήν καθ’ ύπόστασιν ενωσιν ή ώς άνέ-
φικτον ή ώς άκαλλή παραιτώμεθα, έμπίπτομεν είς τό δύο
λέγειν υιούς· άνάγκη γάρ πάσα διορίσαι καί εΐπεΐν τόν μεν
άνθρωπον ίδικώς τή τοΰ υίοΰ κλήσει τετιμημένον, ίδικώς δέ
πάλιν τον έκ θεοΰ λόγον υίότητος δνομά τε καί χρήμα εχοντα
φυσικώς. ού διαιρετέον τοιγαροϋν είς υιούς δύο τόν ενα κύριον
Ίησοϋν Χριστόν.
7. Ό νήσει δέ κατ’ ούδένα τρόπον τόν ορθόν τής πίστε
λόγον είς τό ούτως εχειν, καν εί προσώπων ενωσιν έπιφη-
μίζωσι τινές. ού γάρ εϊρηκεν ή γραφή δτι ό λόγος άνθρώπου
πρόσωπον ήνωσεν έαυτώ, ά λλ’ δτι γέγονε σάρξ (Εν. Ιο. 1 , 14).
τό δέ σάρκα γενέσθαι τόν λόγον ούδέν ετερόν έστιν εΐ μή δτι
παραπλησίως ήμΐν μετέσχεν αίματος καί σαρκός ΐδιόν τε σώμα
τό ήμών έποιήσατο καί προήλθεν άνθρωπος έκ γυναικός,
ούκ άποβεβληκώς τό είναι θεός καί τό έκ θεοΰ γεννηθήναι
πατρός, άλλά κα'ι έν προσλήψει σαρκός μεμενηκώς δπερ ήν.
τοΰτο πρεσβεύει πανταχοΰ τής άκριβοΰς πίστεως ό λόγος*
οΰτως εύρήσομεν τούς αγίους πεφρονηκότας πατέρας· οΰτως
τεθαρσήκασι Θεοτόκον είπεΐν τήν αγίαν παρθένον, ούχ ώς τής
τοΰ λόγου φύσεως ήτοι τής θεότητος αύτοΰ τήν άρχήν του
είναι λαβούσης έκ τής άγίας παρθένου, ά λλ’ ώς γεννηθέντος
έξ αύτής τοΰ αγίου σώματος ψυχωθέντος λογικώς, ώ και
καθ’ ύπόστασιν ενωθείς ό λόγος γεγεννήσθαι λέγεται κατά
σάρκα, ταΰτα καί νΰν έξ άγάπης τής έν Χριστώ γράφω,
παρακαλών ώς άδελφόν κα'ι διαμαρτυρόμενος ένώπιον τοΰ
Χριστοΰ καί τών έκλεκτών αγγέλων ταΰτα μεθ’ ήμών καί
φρονεΐν καί διδάσκειν, Ϊνα σώζηται τών έκκλησιών ή ειρήνη
καί τής όμονοίας καί άγάπης ό σύνδεσμος άρραγής διαμένοι
τοΐς ίερεΰσι τοΰ θεοΰ.
Πρόσειπε τήν παρά σοί άδελφότητα. σέ ή συν ήμΐν έν Χ ρι­
στώ προσαγορεύει.
SECONDA LETTERA A NESTORIO 361

suo corpo, col quale siede anche accanto a suo Padre, non quasi
che gli seggano accanto due figli, bensì uno solo unito con la
propria carne. Se invece respingiamo l’unione secondo l’ipo­
stasi 11 come inconcepibile e ripugnante, cadiamo nell’afferma­
zione di due figli. Infatti è assolutamente inevitabile che si divi­
da e si affermi da una parte a sé l’uomo onorato con l’appellativo
di Figlio e dall’altra a sé il Logos nato da Dio che possiede per
natura il nome e la prerogativa di Figlio. Perciò non bisogna
dividere il solo signore Gesù Cristo in due figli.
7. Di contro, in nessun modo potrà giovare alla retta con
zione della fede, perché sia così, il fatto che alcuni affermano
l’unione dei prosopa12. Infatti la Scrittura non ha detto che il
Logos ha unito a sé un prosopon di uomo, ma che si è fatto carne
(Ev. Io. 1, 14)13. E il fatto che il Logos è diventato carne non
significa altro se non che egli ha partecipato come noi della carne
e del sangue e ha fatto suo corpo il nostro ed è nato come uomo
da una donna, senza perdere il suo esser D io ed essere stato
generato da Dio Padre, ma continuando ad essere ciò che era
anche nell’assunzione della carne. Questo annuncia dovunque la
dottrina della retta fede; così troveremo che hanno pensato i
santi padri14. Perciò hanno avuto il coraggio di definire Madre
di Dio la santa Vergine, non perché la natura del Logos, cioè la
sua divinità, abbia cominciato ad esistere dalla santa Vergine,
ma in quanto è stato generato da lei il santo corpo razionalmente
animato, unitosi al quale secondo l’ipostasi, diciamo che il Logos
è stato generato secondo la carne. Questo anche ora ti scrivo per
l’amore che ho in Cristo, esortandoti come fratello e scongiuran­
doti al cospetto di Cristo e degli angeli eletti a pensare e inse­
gnare come noi questa dottrina, perché sia preservata la pace
della chiesa e non sia infranto il vincolo della concordia e dell’a­
more fra i sacerdoti di Dio.
Saluta i fratelli che sono presso di te. T i salutano in Cristo
quelli che sono insieme con me.
2 . N estorio, Lettera a Cirillo

Alla lettera programmaticamente dottrinale di Cirillo, Nestorio ri­


spose subito con un testo altrettanto programmatico, vera e propria
esposizione di cristologia antiochena, presentata però con una certa
prudenza. Infatti Nestorio, sull’esempio di Cirillo, si rifà al simbolo
niceno e su tale base sta attento il più possibile ad evitare espressio­
ni che possano evocare in modo evidente lo spettro dei due soggetti.
Ma per il resto egli implicitamente o esplicitamente respinge o ac­
cantona i punti distintivi dell’esposizione dell’avversario e non ne
accoglie i suggerimenti. Preferisce tacere dell’unione kath'bypostasin
e continua a parlare di congiunzione del prosopon; e soprattutto ri­
fiuta le implicazioni fondamentali che Cirillo aveva ricavato dalla
communicatio idiomatum. Per questo egli sfrutta un’ampia documen­
tazione neotestamentaria, in cui sistematicamente in riferimento alle
proprietà umane si parla non di Logos o di Figlio di Dio ma di
Cristo, e perciò rifiuta di parlare di Figlio di Dio che nasce da Ma­
ria, muore in croce e risorge. II soggetto di tali azioni egli preferisce
chiamare Cristo, che in un solo prosopon congiunge le proprietà delle
nature divina e umana. Coerentemente egli ribadisce che è preferibi­
le definire Maria Madre di Cristo piuttosto che Madre di Dio.
La risposta di Nestorio è abile, perché in base ad essa nessuno Io
avrebbe potuto accusare di predicare due Cristi e due Figli. Ma agli
occhi di un alessandrino essa suonava per Io meno equivoca, soprat­
tutto perché, continuando a presentare l’unione in Cristo secondo il
prosopon e rifiutando di ammettere che il Logos si fosse «appropria­
to » dei caratteri distintivi dell’umanità, non faceva comprendere be­
ne in che cosa consistesse questo unico prosopon di Cristo e in che
modo in esso si congiungessero le note distintive delle due nature.
Il testo di Nestorio è qui presentato secondo l’edizione di E.
Schwartz, in ACO I 1, 1, 29-32.
LETTERA A CIRILLO 363

N estorio era rinomato monaco ad Antiochia quando, intorno al 428, fu elet­


to vescovo di Costantinopoli. La sua predicazione cristologica fu avversata
da Cirillo, per motivi politici oltre che teologici, e N estorio fu travolto
dall’azione del suo avversario, che sfruttò a suo vantaggio l’irregolare svolgi­
mento del concilio di E feso del 431 e le successive trattative con gli antio­
cheni. N estorio, che a seguito del concilio si era dimesso spontaneamente
dall’episcopato, fu esiliato in E gitto, nella Grande O asi, dove era vivo anco­
ra al tempo del concilio di Calcedonia (451). O ltre alcune lettere e prediche
composte nel contesto dei contrasti degli anni 430-1, ci è rimasto di N esto­
rio, in traduzione siriaca, il Libro di Eraclide, prolissa autodifesa scritta dopo
il 450.

Bibliografia: L .I. Scipioni, Nestorio e i l concilio di Efeso, Milano 1974.


Τ ώ εύλαβεστάτω καί θεοσεβεστάτω συλλειτουργώ Κυ-
ρίλλω Νεστόριος έν κυρίω χαίρειν.
1 . Τάς μέν καθ’ ήμών ύβρεις τών θαυμαστών σου γραμ­

μάτων άφ(ημι ώς μακροθυμίας άξίας ιατρικής καί της διά


τών πραγμάτων αύτών κατά καιρόν πρός αύτάς άποκρίσεως·
δ δέ γ ε σιωπής ούκ άνέχεται, ώς μέγαν φέρον, εί σιγηθείη,
τόν κίνδυνον, τούτου, καθώς αν οίός τε ώ, ού πρός μακρολο­
γίαν αποτεινόμενος, ποιήσασθαι πειράσομαι τήν διήγησιν σύν­
τομον, τόν τής σκοτεινής καί δυσπέπτου μακρηγορίας ναυτια-
σμόν φυλαττόμενος. αρξομαι δέ άπό τών πανσόφων τής σής
αγάπης φωνών, αύτάς αύτολεξεί παραθείς. τίνες τοίνυν αί
της θαυμαστής τών σών γραμμάτων διδασκαλίας φωναί;
« Ή αγία φησιν καί μεγάλη σύνοδος αύτόν τόν έκ θεοΰ
πατρός κατά φύσιν γεννηθέντα υίόν μονογενή, τόν έκ θεοΰ
άληθινοΰ θεόν άληθινόν, τό φώς τό έκ φωτός, τόν δ ι’ ου τά
πάντα πεποίηκεν ό πατήρ, κατελθεΐν σαρκωθήναι ένανθρω-
πήσαι παθεΐν άναστήναι. »
2. Ταΰτα τής σής θεοσεβείας τά βήματα καί γνωρίζεις ίσως
τά σά· άκουε δε καί τά παρ’ ήμών, άδελφικήν υπέρ εύσεβείας
παραίνεσιν καί ήν ό μέγας έκεΐνος Παΰλος τω φιλουμένω παρ’
αύτοΰ Τιμοθέω διεμαρτύρατο- «πρόσεχε τή άναγνώσει, τή
παρακλήσει, τή διδαχή, τοΰτο γάρ ποιών καί σεαυτόν σώσεις
καί τούς άκούοντάς σου» (1 Ep. Titn. 4, 13). τί δέ μοι τό
«πρόσεχε» βούλεται; δτι τήν τών άγιων έκείνων έξ έπι-
Nestorio saluta nel Signore il reverendissimo e piissimo colle­
ga Cirillo.
1 . Tralascio le ingiurie contro di me della tua singolare lette­

r a 1, meritevoli della pazienza di un medico e di una risposta che


a suo tempo verrà loro data dai fatti stessi; ma il fatto non può
essere passato sotto silenzio, perché ciò comporterebbe un gran­
de rischio. Perciò, per quanto ne sono capace, senza tirar la cosa
troppo in lungo cercherò di trattarne in modo sommario, rispar­
miandoti il senso di nausea che provoca una oscura e indigesta
chiacchierata. Comincerò dalle sapientissime parole del tuo af­
fetto, riportandole alla lettera. M a quali sono le parole del mira­
bile insegnamento contenuto nella tua lettera?
« I l santo e grande concilio (ha definito) che colui, che era
stato generato per natura da Dio Padre come Figlio unigenito,
che è Dio vero da Dio vero e luce da luce, e per mezzo del quale
il Padre ha creato tutte le cose, proprio questi è disceso, si è
incarnato, si è fatto uomo, ha patito, è risorto. »
2 . Certo riconosci che sono queste le parole della tua pietà.

M a ora ascolta anche quelle mie, una fraterna esortazione per la


retta fede, e quella con cui il grande Paolo scongiurava il suo
diletto Timoteo: « S t a ’ attento alla lettura, all’esortazione, all’in­
segnamento, perché facendo cosi salverai te stesso e quelli che ti
ascoltano» (1 Ep. Tim. 4, 13). Che vuol dire « sta ’ attento»? Che
tu, conoscendo solo superficialmente la tradizione di quei santi,
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368 NESTORIO

5. Πολλά λέγειν περί τούτου δυνάμενος καί πρώτον γ ε τό


μηδέ γεννήσεως έπί τής οικονομίας, ά λλ’ ένανθρωπήσεως
τούς άγιους έκείνους μνημονεϋσαι πατέρας, την τής βραχυλο­
γίας έν προοιμίοις ύπόσχεσιν χαλινοΰσαν τον λόγον αισθάνο­
μαι καί πρός τό δεύτερον της αης αγάπης κινούσαν κεφάλαιον.
6 . Έ ν ω την μέν τών φύσεων έπήνουν διαίρεσιν κατά τόν

τής άνθρωπότητος καί θεότητος λόγον καί τήν τούτων είς


ένός προσώπου συνάφειαν καί τό τόν θεόν λόγον δευτέρας έκ
γυναικός μή φάσκειν δεδεήσθαι γεννήσεως καί τό πάθους άδεκ·
τον όμολογεΐν τήν θεότητα, όρθόδοξα γάρ ώς άληθώς τά
τοιαΰτα καί ταΐς τών αιρέσεων πασών περί τάς δεσποτικάς φύ­
σεις έναντία κακοδοζίαις. τά λοιπά δέ εί μέν τινα σοφίαν κε-
κρυμμένην έπήγετο ταΐς τών άναγινωσκόντων άκοαϊς άκα-
τάληπτον, τής σής έστιν άκριβείας είδέναι* έμοί γοΰν τά
πρώτα καταστρέφειν έδόκει. τόν γάρ έν τοΐς πρώτοις άπαθή
κηρυχθέντα καί δευτέρας γεννήσεως άδεκτον πάλιν παθητόν καί
νεόκτιστον ούκ οίδ’ όπως είσήγεν, ώς τών κατά φύσιν τώ θεώ
λόγω προσόντων τή τοΰ ναοΰ συναφεία διεφθαρμένων ή μικροΰ
τίνος τοΐς άνθρώποις νομιζομένου τοΰ τόν άναμάρτητον ναόν
καί τής θείας άχώριστον φύσεως τήν ύπέρ αμαρτωλών γέννη-
σίν τε καί τελευτήν ύπομεΐναι ή πιστεύεσθαι τής δεσποτικής
ούκ όφειλούσης φωνής πρός Ιουδαίους βοώσης* «λύσατε τόν
ναόν τοΰτον, καί έν τρισίν ήμέραις έγερώ αύτόν» (Ευ. Ιο. 2,
19), ού· «λύσατέ μου τήν θεότητα καί έν τρισίν ήμέραις έγερ-
θήσεται».
7. Πάλιν πλατΰναι κάνταΰθα βουλόμενος, τή τής έπαγγε-
λίας άναστέλλομαι μνήμη· £ητέον δ’ οΰν ομως βραχυλογία
χρησάμενον.
Πανταχοΰ της θείας γραφής, ήνίκα αν μνήμην τής δεσπο­
τικής οικονομίας ποιήται, γέννησις ήμΐν καί πάθος ού τής
θεότητος, άλλά τής άνθρωπότητος τοΰ Χριστοΰ παραδίδοται,
ώς καλεΐσθαι κατά άκριβεστέραν προσηγορίαν τήν άγίαν παρ-
LETTERA A CIRILLO 369

5. Molto potrei aggiungere su questo argomento, e per prima


cosa che quei santi padri al fine dell’economia’ hanno ricordato
non la generazione ma l’incarnazione; ma ricordo di aver pro­
messo all’inizio che avrei frenato il discorso riassumendolo in
poche parole, sì che passo al secondo punto della tua dimostra­
zione d ’affetto.
6 . In essa io ho approvato la divisione delle nature sulla

base delle nozioni di umanità e divinità e la loro congiunzione in


un solo prosopon 6, e che non si dica che il Dio Logos ha bisogno
di una seconda nascita da donna7, e che si affermi che la divini­
tà non può subire passione. E difatti tali affermazioni sono vera­
mente ortodosse e tali da contrastare gli errori di tutte le eresie
riguardanti le nature del Signore. Invece la parte restante, se
propone una qualche sapienza nascosta, incomprensibile alle
orecchie degli ascoltatori, spetta alla tua solerzia di saperlo.
Quanto a me, mi sembra che essa sovverta le affermazioni inizia­
li. Infatti colui che inizialmente aveva proclamato impassibile e
che non può ricevere una seconda nascita, ora invece non so
come lo presenta passibile e creato da poco, così che le proprietà
inerenti per natura al Logos divino sarebbero state distrutte a
causa della congiunzione del tem pio8, e verrebbe tenuto in po­
co conto presso gli uomini il fatto che il tempio irreprensibile e
inseparabile dalla natura divina si è assoggettato a nascere e mo­
rire per i peccatori. Non si dovrebbe poi prestar fede alle parole
del Signore che dice ai giudei: «D isfate questo tempio, e in tre
giorni lo farò risorgere» (Ev. Io. 2, 19). Non ha detto infatti:
«D isfate la mia divinità e risorgerà in tre giorni».
7. Anche qui vorrei dilungarmi un po’, ma sono trattenuto
dal ricordo della promessa. Tuttavia, pur in breve, bisogna dire
qualcosa.
Dovunque nelle Sacre Scritture, quando si ricorda l’economia
del Signore, ci viene tramandata nascita e passione non della
divinità ma dell’umanità di Cristo, così che secondo una più pre­
cisa denominazione la santa Vergine dovrebbe essere chiamata
370 NESTORIO

θένον Χριστοτόκον, ού Θεοτόκον, καί ακούε ταΰτα τών


ευαγγελίων βοώ ντω ν «Β ίβ λ ο ς , φησίν, γενέσεως Ίησοΰ Χ ρ ι­
στού υίοΰ Δαυίδ υίοΰ Α β ρ α ά μ » (Εν. Mattb. 1 , 1 ). δήλον δέ δτι
τοΰ Δαυίδ υιός ό θεός λόγος ούκ ήν. δέχου καί άλλην, εί
δοκεΐ, μαρτυρίαν· « Ια κ ώ β δέ έγέννησε τόν Ιω σήφ τον άνδρα
Μαρίας, έξ ής έγεννήθη Ίησοΰς ό λεγόμενος Χριστός» (Εν.
Matth. 1, 16). σκόπει πάλιν έτέραν ήμάς διαμαρτυρομένην φω­
νήν* «τοΰ δέ Ίησοΰ Χριστοΰ ή γέννησις οϋτως ήν. μνηστευθεί-
σης γάρ τής μητρός αύτοΰ Μαρίας τώ Ιω σήφ , εύρέθη έν γα-
στρί εχουσα έκ πνεύματος άγιου» (Εν. Matth. 1, 18). κτίσμα δέ
πνεύματος τίς άν τήν τοΰ μονογενούς ύπολάβοι θεότητα; τί δ ει
λέγειν καί τό «ή ν ή μήτηρ του Ίησοΰ έκ εΐ» (Εν. Ιο. 2 , 1 ), καί
πάλιν τό «συν Μαρία τή μητρί τοΰ Ίησοΰ» (Act. Αρ. 1, 14),
καί τό «τό έν αύτή γεννηθέν έκ πνεύματός έστιν άγίου»
(Εν. Matth. 1, 20), καί τό «λ ά βε τό παιδίον καί τήν μητέρα
αύτοΰ καί φεΰγε είς Αίγυπτον» (Εν. Matth. 2 , 13), καί τό
« περί τοΰ υίοΰ αύτοΰ τοΰ γενομένου έκ σπέρματος Δαυίδ
κατά σάρκα» (Ερ. Rom. 1, 3), καί περί τοΰ πάθους αύθις δτι «ό
θεός τόν έαυτοΰ υιόν πέμψας έν όμοιώματι σαρκός άμαρτίας
καί περί άμαρτίας, κατέκρινε τήν άμαρτίαν έν τή σαρκί» (Ερ.
Rom. 8 , 3), καί πάλιν «Χ ριστός άπέθανεν ύπέρ τών άμαρτιών
ή μ ώ ν» (1 Ερ. Cor. 15, 3), καί «Χριστού παθόντος σαρκ?» (1
Ερ. Pet. 4, 1 ), καί «τοϋτό έσ τιν», ούχ ή θεότης μου, άλλά
«τ ό σώμα τό ύπέρ υμών κλώμενον» (1 Ερ. Cor. 11, 24).
Κ αί άλλων μυρίων φωνών διαμαρτυρομένων τών άνθρώ­
πων τό γένος μή τήν τοΰ υίοΰ νομίζειν θεότητα πρόσφατον ή
πάθους σωματικού δεκτικήν, άλλά τήν συνημμένην τή φύσει
της θεότητος σάρκα (δθεν καί κύριον τοΰ Δαυίδ έαυτόν ό Χ ρ ι­
στός καί υιόν όνομάζει* « τ ί γάρ, φησιν, ύμΐν δοκεΐ περί τοΰ
Χριστού; τίνος υίός έστι; λέγουσιν αύτώ· τοΰ Δαυίδ, άπεκρίθη
Ιησούς καί εΐπεν αύτοΐς* πώς ούν Δαυίδ έν πνεύματι κύριον
αύτόν καλεΐ, λ έγ ω ν εΐπεν ό κύριος τώ κυρίω μου* κάθου έκ
δεξιών μου; » [Εν. Matth. 2 2 , 42-4; Ps. 109, 1], ώς υίός ών πάν­
τως τοΰ Δαυίδ κατά σάρκα, κατά δέ τήν θεότητα κύριος), είναι
LETTERA A CIRILLO 371

Madre di C risto’ , non Madre di Dio. Ascolta a tal proposito


queste parole degli evangelisti10: «L ibro della generazione di
Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di A bram o» (Ev. Matth. 1,
1). E chiaro che il Dio Logos non era figlio di D avide11. Ascolta,
se ti va, anche un’altra testimonianza: «G iacobbe generò G iu­
seppe, il marito di Maria, da cui nacque G esù, detto C risto»
(Ev. Matth. 1, 16). Osserva anche un altro passo che attesta:
«C o sì fu la nascita di Gesù Cristo. Maria, sua madre, essendo
promessa sposa a Giuseppe, si trovò incinta per opera dello Spi­
rito san to» (Ev. Matth. 1, 18). E chi potrebbe pensare che la
divinità dell’Unigenito è creazione dello Spirito? E che dire di
«L a madre di Gesù stava Q» (Ev. Io. 2, 1)? E ancora: «C on
Maria, la madre di G esù » (Ad. Ap. 1, 14); e «C iò ch’è nato in
lei deriva dallo Spirito san to» (Ev. Matth. 1, 20), e «Prendi il
bambino e sua madre e fuggi in E gitto» (Ev. Matth. 2 , 13), e
«C h e riguarda suo Figlio, quello nato dalla stirpe di Davide se­
condo la carne» (Ep. Rom. 1, 3 )12. E ancora, riguardo alla pas­
sione: «D io che ha inviato suo Figlio in una carne somigliante a
quella di peccato e per il peccato, ha condannato il peccato nella
carne» (Ep. Rom. 8 , 3), e ancora: «C risto è morto per i nostri
peccati» (1 Ep. Cor. 15, 3), e «Poiché Cristo ha patito nella
carne» (1 Ep. Pet. 4, 1), e «Q uesto è - non, la mia divinità, ma
- il mio corpo spezzato per v o i» (1 Ep. Cor. 11, 24).
E ci sono mille altri passi che ammoniscono gli uomini a rite­
nere recente e tale da subire passione corporea non la divinità
del Figlio bensì la carne che è unita alla natura della divinità,
così che Cristo definisce sé stesso signore e figlio di Davide:
« “ Che vi sembra” egli dice “ del Cristo? D i chi è figlio?” G li
dicono: “ di Davide” . E Gesù rispose loro: “ M a come mai Davi­
de in spirito lo chiama Signore, quando dice: H a detto il Signore
al mio Signore: Siedi alla mia destra?” » (Ev. Matth. 22, 42-4 =
Ps. 109, 1); certo in quanto è figlio di Davide secondo la carne,
ma suo signore secondo la divinità. Perciò è giusto e coerente
372 NESTORIO

μεν ούν τής τοΰ υίοΰ θεότητος τό σώμα ναόν καί ναόν κατ’
ακραν τινά καί θείαν ήνωμένην συνάφειαν, ώς οίκειοΰσθαι τά
τούτου τήν τής θεότητος φύσιν, όμολογεΐσθαι καλόν καί τών
εύαγγελικών παραδόσεων άξιον· τό δε δή τώ τής οίκειότητος
προστρίβειν όνόματι καί τάς τής συνημμένης σαρκός ιδιότη­
τας, γέννησιν λέγω καί πάθος καί νέκρωσιν, ή πλανωμένης έ-
στίν, άδελφέ, καθ’ 'Έ λληνας διανοίας ή τά τοΰ φρενοβλαβούς
Άπολιναρίου καί Άρείου καί τών άλλων νοσούσης αιρέσεων,
μάλλον δέ τ ι κάκείνων βαρύτερον. άνάγκη γάρ τώ τής οί­
κειότητος τούς τοιούτους παρασυρομένους όνόματι καί γαλακ­
τοτροφίας κοινωνόν διά τήν οικειότητα τόν θεόν λόγον ποιεΐν
καί τής κατά μικρόν αύξήσεως μέτοχον καί τής έν τώ τοΰ
πάθους καιρώ δειλίας καί βοήθειας αγγελικής ένδεά. καί
σιωπώ περιτομήν καί θυσίαν καί ιδρώτας καί πείναν, α τή σαρ-
κί μέν ώς δ ι’ ήμάς συμβάντα προσκυνητά προσαπτόμενα, έπί
δε τής θεότητος ταΰτα καί ψευδή λαμβανόμενα καί ήμΐν ώς
συκοφάνταις δικαίας κατακρίσεως αίτια.
8. Αυται τών αγίων πατέρων αί παραδόσεις· ταΰτα τώ
θείων γραφών τά παραγγέλματα· ουτω τις καί τά τής φιλανθρω­
πίας τής θείας καί τά τής αύθεντίας θεολογεί· «ταΰτα μελέ­
τα· έν τούτοις ’ισθι, ΐνα σοΰ ή προκοπή φανερά ή πάσιν» (1 Ερ.
Tim. 4, 15), ό Παΰλος πρός πάντας φησίν. τής δέ γε τών σκαν-
δαλιζομένων φροντίδος καλώς μέν ποιείς άντεχόμενος καί χά­
ρις τή τών θείων μεριμνητική σου ψυχή καί τών παρ’ ήμΐν
φροντιζουση- γίνωσκε δέ πεπλανημένον σαυτόν ύπό τών
ένταΰθα παρά τής άγίας συνόδου καθηρημένων, ώς τά Μανι-
χαίων φρονούντων, ή τών τής σής ίσως διαθέσεως κληρικών,
τά γάρ τής εκκλησίας καθ’ έκάστην προκόπτει καί τά τών
λαών έν έπιδόσει διά τήν τοΰ Χριστοΰ χάριν τοσαύτη, ώς τά
τοΰ προφήτου τούς βλέποντας τά πλήθη βοάν· «πλησθήσεται ή
γή τοΰ γνώναι τον κύριον ώς υδωρ πολύ κατακαλύψαι θαλάσ-
σας» (Is. 11, 9). τά τε τών βασιλέων έν ύπερβαλλούση χαρά
πεφωτισμένου τοΰ δόγματος, καί ϊνα συνελών έπιστείλω, έ-
κείνην έπί ταΐς θεομάχοις άπάσαις αίρέσεσιν καί τή τής έκκλη-
LETTERA A CIRILLO 373

con la tradizione evangelica riconoscere che il corpo è il tempio


della divinità del Figlio, tempio unito con congiunzione eccelsa e
divina, cosi che la natura della divinità fa sue le proprietà del
tem pio13. M a implicare col nome di appropriazione anche le
proprietà della carne congiunta, dico nascita, passione, morte,
questo, fratello, è proprio di una mente tratta in errore dall’in­
flusso dei pagani o infetta dalla follia di Apollinare e di A rio 14 e
di altre eresie, o qualcosa di più grave ancora. Inevitabilmente
infatti questi tali, che si fanno trascinare dal nome di appropria­
zione, in forza di tale appropriazione fanno il Dio Logos sogget­
to ad essere nutrito col latte, a crescere poco a poco, a provare la
paura al tempo della passione, e ad aver bisogno del soccorso
degli angeli. E taccio la circoncisione, il sacrificio, il sudore, la
fame, tutti accidenti connessi con la carne e degni di adorazione,
in quanto verificatisi per causa nostra, ma che, attribuiti alla
divinità, vengono interpretati falsamente e son causa di giusta
condanna per noi in quanto calunniatori.
8 . Sono queste le tradizioni dei santi padri15, queste le ist
zioni delle Sacre Scritture, in questo modo uno parla di ciò che
riguarda l’ amore e la maestà di Dio. « D i questo abbi cura, a
questo attieniti, perché il tuo progresso sia manifesto a tutti» (1
Ep. Tim. 4, 15) Paolo dice a noi tutti. Perciò farai bene a pren­
derti cura di quelli che hanno sofferto scandalo, mentre io ti
ringrazio perché ti dai tanta cura delle cose di Dio e di ciò che
succede presso di noi. Riconosci però di essere stato tratto in
errore da quelli che qui sono stati condannati dal sacro concilio
perché la pensano come i manichei16 o forse dai chierici della
tua giurisdizione. Infatti la situazione della chiesa migliora di
giorno in giorno e per grazia di Cristo il popolo aumenta a tal
punto che uno, osservandone la moltitudine, può esclamare col
profeta: « L a terra sarà piena della conoscenza del Signore, come
l’abbondanza di acqua ricopre i m ari» [Is. 11, 9). G l’imperatori
godono di un’ottima situazione, illuminati come sono dalla retta
dottrina, e per chiudere in breve, uno può accorgersi che presso
374 NESTORIO

σίας ορθοδοξία καθ’ έκάστην ευροι τις αν παρ’ ήμΐν τήν φω­
νήν πληρουμίνην· « ό οίκος Σαούλ έπορεύετο καί ήσθένει και
ό οΤκος Δαυίδ έπορεύετο καί έκραταιοΰτο» (2 Satn. 3, 1).
9. Ταΰτα τά παρ’ ήμών ώς άδελφών πρός άδελφόν συμ-
βουλεύματα· « ε ί δέ τις φιλονεικεΐ» κεκράξεται καί δ ι’ ήμών
πρός τόν τοιοΰτον ό Παΰλος* «ή μ εΐς τοιαύτην συνήθειαν ούκ
εχομεν ούδε αί έκκλησίαι τοΰ θεοΰ» (1 Ep. Cor. 11, 16).
πάσαν τήν συν σοί έν Χριστώ άδελφότητα έγώ τε καί οί συν
έμοί πλεΐστα προσαγορεύομεν. έρρωμένος ύπερευχόμενος
ήμών διατελοίης, δέσποτα τιμιώ τατε καί θεοσεβέστατε.
LETTERA A CIRILLO 375

di noi giorno per giorno si realizza quel detto che riguarda sia
tutte le eresie nemiche di Dio sia l’ortodossia della chiesa: « L a
casa di Saul procedeva e s’indeboliva, la casa di Davide procede­
va e si rinforzava» (2 Sam. 3, 1).
9. Tali i consigli da parte mia, come da fratello a fratello. «
poi qualcuno vuole suscitare contese » - anche per nostro tramite
Paolo gli griderà - «n oi non abbiamo tale abitudine e neppure le
chiese di D io » (1 Ep. Cor. 11, 16). Io e quelli che sono con me
salutiamo calorosamente tutti i fratelli in Cristo che sono con te.
Sta’ sempre bene e prega per noi, signore venerabilissimo e reli­
giosissimo.
3. Cirillo, I dodici anatematismi

Mentre attaccava Nestorio in modo diretto, Cirillo aveva anche


provveduto ad accusarlo presso il vescovo di Roma, Celestino. A
Roma il crescente prestigio della capitale dell’impero anche in ambi­
to religioso non era certo visto di buon occhio, e per di più Celesti­
no aveva da rimproverare a Nestorio un atteggiamento che egli con­
siderava troppo benevolo nei confronti di alcuni pelagiani che si era­
no rifugiati a Costantinopoli. Colse perciò subito l’occasione che gli
veniva offerta e, riunito nell’agosto del 430 a Roma un concilio loca­
le, con procedura quanto mai discutibile fece condannare Nestorio,
senza avergli dato modo di difendersi, e lo invitò a ritrattare le sue
proposizioni cristologiche in breve tempo. Per di più la condanna
non fu comunicata direttamente all’interessato ma trasmessa a Ciril­
lo con l’incarico di notificarla a Costantinopoli. Cirillo attese fino a
novembre per la notifica, e lo fece per mezzo di un’altra lettera
dottrinale, in cui i termini della cristologia alessandrina, che Nesto­
rio era perentoriamente invitato a sottoscrivere, erano esposti in
forma ben più radicale che nella lettera precedente. Per di più Ciril­
lo li sintetizzò, alla fine del testo, in 1 2 anatematismi, la cui forma
concisa rilevava al massimo grado il divario fra la cristologia antio­
chena, da condannare, e la cristologia alessandrina, da sottoscrivere.
Questi anatematismi, subito considerati a sé stanti come docu­
mento rappresentativo e ufficiale della teologia cirilliana, pesarono
come nessun altro sull’intero corso della lunghissima polemica, pro­
ducendo danni che si sarebbero rivelati insanabili. Considerandoli
assolutamente inaccettabili, Giovanni di Antiochia, leader degli
orientali, ne fece fare subito una dettagliata confutazione da Andrea
di Samosata, e un’altra a titolo personale ne aggiunse Teodoreto di
Ciro, costringendo Cirillo a scrivere, nel corso del 431, ben tre apo­
logie in sua difesa. In effetti era sufficiente questo solo testo per
impedire ogni possibile sincero riaccostamento delle due parti. In un
I DODICI ANATEMATISMI 377

secondo tempo gli anatematismi sarebbero diventati l’autorità mas­


sima su cui i monofisiti avrebbero poggiato la loro dottrina. Si spie­
ga perciò che a Calcedonia essi, insieme con la lettera relativa, non
fossero approvati dal concilio, che invece avrebbe ratificato la dot­
trina della seconda lettera di Cirillo a Nestorio. Successivamente
ancora Giustiniano ne avrebbe fatto il punto qualificante dell’impo­
stazione dottrinale tesa a cercare una via d’accordo fra difisiti e mo­
nofisiti.
Di per sé, gli anatematismi, come del resto l’intera lettera, non
presentano sostanziali novità rispetto alla lettera precedente: l’unica
vera novità è che qui Cirillo non parla mai di due nature di Cristo,
come invece aveva fatto in precedenza. È la forma che è più radica­
le, nel senso che l’unità del soggetto secondo l’ipostasi è rilevata al
massimo, con esclusione sia della terminologia antiochena relativa
all’unione (synapheia) sia di ogni accenno a ripartire le azioni di Cri­
sto fra il Dio e l’uomo, in quanto esse sono riportate nel modo più
perentorio all’unico soggetto. Parallelamente sono condannati tutti i
concetti e i termini più rappresentativi della cristologia divisiva de­
gli antiocheni. Cirillo è soprattutto attento ad escludere ogni espres­
sione che possa far pensare all’umanità di Cristo, all’uomo Gesù,
come soltanto associato dal Logos alle sue prerogative, in quanto è
il Logos che si appropria, cioè fa sue proprie, tutte le proprietà
dell'uomo.
Gli anatematismi sono presentati secondo l’edizione di E.
Schwartz, in ACO I 1, 1, 40-2.
1. Ε ϊ τις ούχ ομολογεί θεόν είναι κατά άλήθειαν τόν Ε μ ­
μανουήλ καί διά τοΰτο Θεοτόκον τήν αγίαν παρθένον (γεγεννη-
κε γάρ σαρκικώς σάρκα γεγονότα τόν έκ θεοΰ λόγον), άνάθε-
μα εστω.
2 . Ε ι τις ούχ ομολογεί σαρκί καθ’ ύπόστασιν ήνώσθαι τόν

έκ θεοΰ πατρός λόγον ενα τε είναι Χριστόν μετά τής ιδίας


σαρκός, τόν αύτόν δηλονότι θεόν τε όμοΰ καί άνθρωπον, ά-
νάθεμα εστω.
3. Ε ί τις έπί τοΰ ένός Χριστοΰ διαιρεί τάς ύποστάσεις μετά
τήν Ενωσιν, μόνη συνάπτων αύτάς συναφείς τή κατά τήν ά-
ξίαν ή γοΰν αυθεντίαν ή δυναστείαν καί ούχί δή μάλλον συ-
νόδω τή καθ’ ενωσιν φυσικήν, άνάθεμα εστω.
4 . Ε ϊ τις προσώποις δυσίν ή γοΰν ύποστάσεσιν τάς τε έν
τοΐς εύαγγελικοΤς καί άποστολικοΐς συγγράμμασι διανέμει
φωνάς ή έπί Χριστώ παρά τών αγίων λεγομένας ή παρ’ αύ­
τοΰ περί έαυτοΰ καί τάς μέν ώς άνθρώπω παρά τόν έκ θεοΰ
λόγον ίδικώς νοουμένω προσάπτει, τάς δε ώς θεοπρεπεΐς μόνω
τώ έκ θεοΰ πατρός λόγω , άνάθεμα εστω.
5. Ε ί τις τολμά λέγειν θεοφόρον άνθρωπον τόν Χριστόν καί
ούχί δή μάλλον θεόν είναι κατά άλήθειαν ώς υίόν ενα καί
φύσει, καθό γεγονε σαρξ ό λόγος καί κεκοινώνηκε παραπλη-
σίως ήμΐν αίματος καί σαρκός, άνάθεμα έστω.
6. Ε ί τις λ έγει θεόν ή δεσπότην είναι τοΰ Χριστοΰ τόν έκ
θεοΰ πατρός λόγον καί ούχί δή μάλλον τόν αύτόν ομολογεί
1 . Se uno non professa che I’Emmanuele 1 è realmente Dio e
perciò la santa Vergine è madre di Dio (infatti ha generato se­
condo la carne il Logos nato da Dio che si è fatto carne), sia
anatema.
2. Se uno non professa che il Logos nate da Dio Padre è
unito alla carne secondo l’ipostasi, e che uno solo è Cristo con la
propria carne, cioè lo stesso è insieme Dio e uomo, sia anatema.
3. Se uno 2 divide le ipostasi dell’unico Cristo dopo l’unio­
ne, e le unisce soltanto per congiunzione secondo dignità o mae­
stà o potenza e non piuttosto per congiungimento secondo l’u­
nione naturale, sia anatema.
4. Se uno divide in due prosopa 3 o ipostasi le parole che negli
scritti evangelici e apostolici o sono dette dai santi in riferimento
a Cristo o da lui sono riferite a sé stesso, e le applica alcune a
Cristo in quanto uomo, considerato indipendentemente dal Lo­
gos nato da Dio, e altre, in quanto degne di Dio, soltanto al
Logos nato da Dio Padre, sia anatema.
5. Se uno osa definire Cristo uomo portatore di Dio, e non
piuttosto che è realmente Dio, in quanto Figlio unico e per natu­
ra, dato che il Logos si è fatto carne ed ha partecipato, similmen­
te a noi, della carne e del sangue, sia anatema.
6 . Se uno dice che il Logos nato da Dio Padre è Dio o signore

di Cristo, e non professa invece che lo stesso è insieme Dio e


380 CIRILLO

θεόν τε όμοΰ καί άνθρωπον, ώς γεγονότος σαρκός τοΰ λόγου


κατά τάς γραφάς, άνάθεμα εστω.
7. Ε ϊ τίς φησιν ώς άνθρωπον ένηργήσθαι παρά τοΰ θεοΰ
λόγου τόν Ίησοΰν και τήν τοΰ μονογενούς εύδοξίαν περιήφθαι
5 ώς έτέρω παρ’ αύτόν ύπάρχοντι, άνάθεμα εστω.
8 . Ε ϊ τις τολμά λέγειν τόν άναληφθέντα άνθρωπον συμπρο-

σκυνεΤσθαι δεϊν τώ θεώ λόγω καί συνδοξάζεσθαι καί συγχρημα-


τίζειν θεόν ώς ετερον έτέρω (τό γάρ «σ ύν» άεί προστιθέμενον
τοΰτο νοεΐν άναγκάσει) καί ούχί δή μάλλον μια προσκυνήσει
ίο τιμώ τόν Ε μμα νουήλ καί μίαν αύτώ τήν δοξολογίαν άνάπτει,
καθό γέγονε σάρξ ό λόγος, άνάθεμα Ιστω.
9. Ε ϊ τίς φησιν τόν ενα κύριον Ίησοΰν Χριστόν δεδοξάσθαι
παρά τοΰ πνεύματος, ώς άλλοτρία δυνάμει τη δ ι’ αύτοΰ χρώ-
μενον καί παρ’ αύτοΰ λαβόντα τό ένεργεΤν δύνασθαι κατά
ι 5 πνευμάτων άκαθάρτων καί τό πληρούν είς άνθρώπους τάς
θεοσημείας, καί ούχί δή μάλλον ίδιον αύτοΰ τό πνεΰμά φησιν,
δι’ ού καί ένήργηκε τάς θεοσημείας, άνάθεμα εστω.
10 . Α ρχιερέα καί άπόστολον τής ομολογίας ήμών
γεγενήσθαι Χριστόν (Ερ. Hebr. 3, 1) ή θεία λέγει γραφή, προ-
20 σκεκόμικε δε ύπέρ ήμών έαυτόν εις όσμήν εύωδίας τώ θεώ
καί πατρί (Ερ. Eph. 5, 2). ε ϊ τις τοίνυν άρχιερέα καί άπόστο­
λον ήμών γεγενήσθαί φησιν ούκ αύτόν τόν έκ θεοΰ λόγον,
δτε γέγονε σάρξ καί καθ’ ήμάς άνθρωπος, ά λλ’ ώς ετερον
παρ’ αύτόν ίδικώς άνθρωπον έκ γυναικός, ή ει τις λέγει καί
25 ύπέρ έαυτοΰ προσενεγκεΐν αύτόν τήν προσφοράν καί ούχί δή
μάλλον ύπέρ μόνων ήμών (ού γάρ αν έδεήθη προσφοράς ό μή
είδώς αμαρτίαν), άνάθεμα £στω.
1 1 . Ε ι τις ούχ όμολογεϊ τήν τοΰ κυρίου σάρκα ζωοποιόν

είναι καί ιδίαν αύτοΰ τοΰ έκ θεοΰ πατρός λόγου, ά λλ’ ώς


jo έτέρου τινός παρ’ αύτόν συνημμένου μέν αύτώ κατά τήν α­
ξίαν ή γοΰν ώς μόνην θείαν ένοίκησιν έσχηκότος, καί ούχί δή
μάλλον ζωοποιόν, ώς ίίφημεν, δτι γέγονεν ιδία τοΰ λόγου τοΰ
τά πάντα ζωογονεΐν ίσχύοντος, άνάθεμα εστω.
I DODICI ANATEMATISMI 381

uomo, in quanto il Logos si è fatto carne secondo le Scritture, sia


anatema.
7. Se uno dice che Gesù in quanto uomo è stato reso attivo dal
Dio Logos e che la gloria dell’Unigenito Io ha circondato come se
fosse un altro che esiste oltre a lui, sia anatema.
8 . Se uno osa dire che l’uomo assunto deve essere coadorato

insieme col Dio Logos e insieme conglorificato e chiamato Dio,


quasi che siano uno insieme con un altro (infatti il «con » impone
di pensare sempre a qualcosa che viene aggiunto)4, e non piuttosto
onora con una sola adorazione TEmmanuele e gli applica una sola
glorificazione, in quanto il Logos si è fatto carne, sia anatema.
9. Se uno dice che il solo signore Gesù Cristo è stato glorifica­
to dallo Spirito, quasi che per tramite di quello si sia servito di una
potenza estranea e da quello abbia ricevuto il potere di operare
contro gli spiriti immondi e di realizzare i miracoli in favore degli
uomini, e non dice piuttosto che è proprio suo lo Spirito per mez­
zo del quale ha anche operato i miracoli, sia anatema.
10. La Sacra Scrittura dice che Cristo è diventato sommo sa­
cerdote e apostolo della nostra professione di fede (Ep. Hebr. 3, 1)
ed ha offerto sé stesso per noi a Dio Padre in profumo di soavità
(Ep. Eph. 5, 2). Se perciò uno afferma che non proprio il Logos
nato da Dio è diventato sommo sacerdote e nostro apostolo,
quando si è fatto carne e uomo come noi, ma quasi un altro oltre
a questo, propriamente un uomo nato da donna, o se uno dice
che egli ha presentato l’offerta anche per sé e non invece soltanto
per noi (infatti non aveva bisogno di offerta colui che non cono­
sceva peccato), sia anatema5.
1 1 . Se uno non professa che la carne del Signore è vivificante e

propria dello stesso Logos nato da Dio Padre, quasi che sia di un
altro rispetto a questo, a lui unito secondo la dignità o che ha
ricevuto soltanto l’inabitazione divina, e non afferma piuttosto -
come abbiamo detto - che quella carne è vivificante perché è di­
ventata la carne propria del Logos che ha forza di vivificare tutto,
sia anatema.
382 CIRILLO

12 . Ε ϊ τις ούχ ομολογεί τόν τοΰ θεοΰ λόγον παθόντα σα


καί έσταυρωμένον σαρκί καί θανάτου γεοσάμενον σαρκί γεγο­
νότα τε πρωτότοκον έκ τών νεκρών, καθό ζωή τέ έστι καί
ζωοποιός ώς θεός, άνάθεμα εστω.
I DODICI ANATEMATISMI 383

12 . Se uno non professa che il Logos di Dio ha patito ne


carne, è stato crocifisso nella carne, ha provato la morte nella
carne e si è fatto primogenito dai morti, dato che in quanto Dio
è vita e vivificatore, sia anatema.
4. Form ula di unione del 433

Mentre Cirillo si adoperava cosi efficacemente alla rovina di Nesto­


rio, l’imperatore Teodosio II aveva deciso di riunire un concilio ecu­
menico per risolvere il contrasto in modo meno parziale e irregolare.
Il concilio fu indetto ad Efeso per la Pentecoste (7 giugno) del 431.
Cirillo, giunto ad Efeso per tempo e forte dell’appoggio di Memno­
ne di Efeso e Giovenale di Gerusalemme, sfruttando il ritardo degli
orientali ( = antiocheni) che si sapevano favorevoli a Nestorio, con­
tro il volere dei funzionari imperiali, il 2 1 giugno iniziò le operazioni
del concilio. Nello stesso giorno, lette le lettere sue e di Nestorio,
egli ottenne la condanna del rivale, che fu ratificata in seguito dai
delegati romani, giunti anch’essi in ritardo (11 luglio). Giunti final­
mente il 26 giugno, gli orientali, capitanati da Giovanni di Antio­
chia, non accettarono la condanna di Nestorio, si riunirono per loro
conto e condannarono Cirillo. Di fronte a questo cumulo di irregola­
rità, Teodosio sulle prime non volle approvare i risultati; ma non fu
possibile trovare una via d’accordo. Mentre Nestorio rinunciava vo­
lontariamente alla sua carica, Cirillo, sottrattosi alla custodia dei
funzionari imperiali, tornò da trionfatore ad Alessandria. Così il
concilio si poteva considerare completamente fallito.
In esso non erano state trattate questioni dottrinali, così che,
anche toltosi di mezzo Nestorio, il contrasto fra alessandrini e antio­
cheni perdurava. Ma era interesse di tutti trovare una soluzione;
auspici prima Acacio di Beroea e poi Paolo di Emesa, si giunse nel
433 all’accordo, sulla base di un compromesso politico-dottrinale.
Gli orientali abbandonavano al suo destino Nestorio, che fu esiliato
nel deserto egiziano, ove sopravvisse lungamente alla sua disgrazia
(era ancora vivo nel 451); Cirillo dal canto suo accantonò gli anate­
matismi e sottoscrisse una formula dottrinale che, intermedia fra le
posizioni antiochena e alessandrina, lo costrinse a concessioni onero­
se. II punto di vista alessandrino è salvaguardato soprattutto dalla
FORMULA DI UNIONE DEL 4 3 3 385

reiterata affermazione dell’unità del soggetto, il Logos incarnato.


Quello antiocheno emerge non solo nell’affermazione delle due na­
ture, unite senza confusione nell’incarnazione, ma anche e soprat­
tutto nell’affermazione di un solo prosopon (e non di una sola iposta­
si, come voleva Cirillo) dell’«Incarnato» e nella specificazione che,
se alcune delle espressioni evangeliche vanno riferite all’unico proso­
pon di Cristo, altre invece vanno ripartite fra le due nature, contra­
stando nel modo più diretto il quarto anatematismo. Comunque, il
testo afferma anche solennemente che Maria è Madre di Dio.
Per il testo della formula seguiamo Hahn, Bibliotek der Symbole
..., p p . 2 1 5 -6 .
Ό μολογοΰμεν τοιγαροΰν τόν κύριον ήμών Ίησοΰν Χριστόν,
τόν υίόν τοΰ θεοΰ, τόν μονογενή, θεόν τέλειον καί άνθρωπον
τέλειον έκ ψυχής λογικής καί σώματος- προ αιώνων μέν έκ
τοΰ πατρός γεννηθέντα κατά τήν θεότητα, έπ’ έσχατων δέ
τών ήμερών τον αύτόν δ ι’ ήμάς καί διά τήν ήμετέραν σωτη­
ρίαν έκ Μαρίας τής παρθένου κατά τήν άνθρωπότητα· όμοού­
σιον τώ πατρί τόν αύτόν κατά τήν θεότητα, καί όμοούσιον
ήμϊν κατά τήν άνθρωπότητα· δύο γάρ φύσεων Ινωσις γέγονε*
ενα Χριστόν, ενα υιόν, ενα κύριον όμολογοΰμεν. κατά ταύτην
τήν τής άσυγχύτου ένώσεως έννοιαν όμολογοΰμεν τήν άγίαν
παρθένον Θεοτόκον, διά τό τόν θεόν λόγον σαρκωθήναι καί έ-
νανθρωπήσαι, καί έξ αύτής της συλλήψεως ένώσαι έαυτώ τόν
έξ αύτής ληφθέντα ναόν. τάς δέ εύαγγελικάς καί άποστολι-
κάς περί τοΰ κυρίου φωνάς ϊσμεν τους θεολόγους άνδρας τάς
μεν κοινοποιοΰντας, ώς έφ’ ένός προσώπου, τάς δέ διαιροΰν-
τας, ώς έπί δύο φύσεων* καί τάς μέν θεοπρεπεΐς κατά τήν
θεότητα τοΰ Χριστοΰ, τάς δέ ταπεινάς κατά τήν άνθρωπότητα
αύτοΰ παραδιδόντας.
Professiamo perciò il signore nostro Gesù Cristo, il Figlio di
Dio, l ’Unigenito, Dio perfetto e uomo perfetto per anima razio­
nale e corpo, nato dal Padre prima dei tempi secondo la divinità,
e negli ultimi giorni egli stesso per noi e per la nostra salvezza
nato da Maria Vergine secondo l’umanità, consustanziale 1 al Pa­
dre secondo la divinità e consustanziale con noi secondo l’uma­
nità. Infatti è avvenuta l’unione di due nature2. Perciò profes­
siamo un solo Cristo, un solo Figlio, un solo Signore. Secondo
questo concetto dell’unione senza confusione, professiamo la
santa Vergine M adre di Dio, perché il Dio Logos si è incarnato e
si è fatto uomo e per questo concepimento ha unito a sé il tem­
pio che ha assunto da lei. Quanto alle espressioni che gli evange­
listi e gli apostoli riferiscono al Signore, sappiamo che quegli
uomini che parlavano di Dio alcune le hanno considerate in co­
mune, riferendole all’unico prosopon, altre invece le hanno divi­
se, riferendole alle due nature, e ci hanno trasmesso quelle degne
di Dio secondo la divinità di Cristo e quelle umili secondo la sua
umanità3.
5. Cirillo, Lettera 45 , a Succenso

L ’unione del 433 portò a livello episcopale una pace che, pur turbata
ancora da qualche screzio non trascurabile, si prolungò per circa
quindici anni. Ma il compromesso, come sempre succede, non aveva
contentato gli esponenti più radicali dei due schieramenti, che conti­
nuarono in vario modo ad agitarsi. Fra gli orientali non pochi parti­
giani di Nestorio non accettarono l’unione e diedero origine ad una
chiesa nestoriana scismatica, che ebbe qualche fortuna soprattutto
nelle regioni interne della Siria sottoposte ai persiani, dove i suoi
componenti erano al sicuro dai provvedimenti repressivi dell’impe­
ratore. Questa chiesa nestoriana, che conserva tuttora in Mesopota­
mia un minimo di consistenza, adottò per tempo la lingua siriaca e
radicalizzò la dottrina di Nestorio nell’affermazione di due nature e
due ipostasi in Cristo. Quindi non si ritenne soddisfatta neppure dai
decreti calcedonesi del 451 e continuò lo scisma.
Quanto poi a Cirillo, mentre gli esponenti antiocheni radicali
continuavano ad accusarlo di apollinarismo mascherato solo in su­
perficie, altre critiche gli vennero proprio da alcuni sostenitori estre­
misti della sua dottrina, i quali, ormai adusi a parlare di una sola
natura in Cristo, avevano visto come un tradimento l’affermazione
di due nature nella formula di unione. Le critiche che venivano da
ambedue le parti spinsero Cirillo a chiarire ancora e più volte il suo
pensiero in alcune lettere (nn. 40, 44, 45, 46), che sono da conside­
rare come l’espressione più matura della sua riflessione cristologica.
Dall’accusa di apollinarismo egli si difese agevolmente richiamando
la sua costante affermazione dell’umanità integrale di Cristo e della
sua distinzione rispetto alla divinità. La difesa era meno agevole
sull’altro fronte perché egli, se da una parte voleva dissipare ogni
sospetto nei suoi sostenitori, dall’altra doveva almeno formalmente
conservarsi fedele alla formula del 433. Cosi egli in questi testi, tra­
scurando la discussione su hypostasis/prosopon, su cui tanto aveva
LETTERA 4 5 , A SUCCENSO 389

insistito negli anatematismi, recupera pienamente la formula apolli-


narista «una sola natura del Dio Logos incarnata», che aveva propo­
sto all'inizio della controversia per poi subito accantonarla onde non
dare occasione alle accuse di apollinarismo (cfr. nella parte V l’intro­
duzione al testo η. 1 ). Cirillo passa così da un difisismo, accettato di
malavoglia e con forti remore solo per motivi contingenti, ad un
monofisismo più congeniale all’impostazione della sua cristologia
fondata sulla strenua difesa dell’unità del soggetto nel Cristo incar­
nato: posto infatti lo stretto rapporto allora comunemente ricono­
sciuto fra pbysis e hypostasis, era naturale che all’affermazione di una
sola ipostasi corrispondesse quella di una sola natura. Per poi conci­
liare questa decisa affermazione con l’osservanza letterale della for­
mula del 433, osserva che in Cristo è avvenuta l’unione delle due
nature ma che da questa unione è risultata una sola natura, così che,
osservando in teoria noi possiamo distinguere in lui due nature, ma
in re ne esiste una sola.
Tutto ciò è esposto chiaramente nella prima di due lettere (nn.
45 e 46), che Cirillo scrisse per rispondere ad obiezioni e richieste di
chiarimenti che gli erano state avanzate da Succenso, vescovo di
Diocesarea in Isauria. I due testi avrebbero avuto grande fortuna fra
i monofisiti, che li avrebbero considerati come formulazione defini­
tiva della riflessione cristologica di colui che essi consideravano la
loro massima autorità. Diamo qui per intero il primo dei due testi.
Il testo della lettera a Succenso è presentato secondo l’edizione
di E. Schwartz, in y4CO I 1, 6 , pp. 151-7.
'Υπομνηστικόν τοΰ θεοφιλεστάτου καί άγιωτάτου άρχιεπι-
σκόπου Κυρίλλου πρός τόν μακαριώτατον Σούκενσον έπίσκο-
πον τής Διοκαισαρέων κατά τήν Ίσαύρων έπαρχίαν.

1. Ένέτυχον μέν τώ ύπομνηστικώ τώ παρά τής σής όσιότη-


τος άποσταλέντι, ήσθην δέ άγαν δτι καίτοι δυνάμενος ήμας τε
καί έτέρους ώφελεΐν έκ πολλής φιλομαθείας προτρέπειν
άξιοΐς, α είς νοΰν εχομεν καί ευ εχειν ύπειλήφαμεν, ταΰτα καί
γράψαι. φρονοΰμεν τοίνυν περί τής τοΰ σωτήρος ήμών οικονο­
μίας α καί οί πρό ήμών άγιοι πατέρες· άναγνόντες γάρ τους
εκείνων πόνους τόν έαυτών νοΰν καταρυθμίζομεν, ώστε κατό­
πιν αύτών ίέναι καί μηδέν τή τών δογμάτων όρθότητι καινόν
έπεισφρήσαι. έπειδή δέ ή σή τελειότης διαπυνθάνεται πότερόν
ποτε χρή λέγειν έπί Χριστοΰ δύο φύσεις ή μή, δείν ώήθην
πρός τοΰτο είπεϊν.
2. Διόδωρός τις, πνευματομάχος ών κατά καιρούς, ώς φα-
σι, κεκοινώνηκε τή τών όρθοδόξων έκκλησία· ουτος άποθέ-
μενος, ώσπερ ούν ένόμισεν, τόν τής Μακεδονιανής αίρέσεως
σπίλον, είς έτέραν έμπέπτωκεν άρρωστίαν. πεφρόνηκε γάρ
καί γέγραφεν δτι ετερος μέν υίός κατ’ ιδίαν έστιν ό έκ σπέρ­
ματος Δαυίδ γεννηθείς έκ τής άγίας παρθένου, ετερος δέ πάλιν
ίδικώς υίός ό έκ θεοΰ πατρός λόγος, κωδίω δέ ώσπερ προβά­
του κατασκιάζων τόν λύκον, προσποιείται μέν Χριστόν ένα λ έ­
γειν, άναφέρων τό δνομα έπί μόνον τόν έκ θεοΰ πατρός λό-
Memoriale del carissimo a Dio e santissimo arcivescovo Ciril­
lo al beatissimo Succenso, vescovo di Diocesarea nella provincia
di Isauria.

1 . H o letto il memoriale che mi è stato inviato dalla tua san­

tità e mi sono molto rallegrato che, pur potendo tu essere utile a


noi e agli altri, invece per il grande desiderio di apprendere ritie­
ni opportuno esortarci perché ti scriviamo su quello che pensia­
mo e abbiamo appreso essere retta dottrina. Pensiamo infatti
riguardo all’incarnazione del nostro Salvatore ciò che prima di
noi hanno pensato anche i santi padri, perché avendo letto i loro
scritti regoliamo il nostro pensiero in modo da seguirli e da non
introdurre nulla di nuovo nella retta dottrina1. E poiché la tua
perfezione chiede se riguardo a Cristo si debba o no 2 parlare di
due nature, penso che su questo punto io ti debba rispondere.
2. Un tal D iodoro3, che a suo tempo era stato pneumatoma-
co, a quanto dicono, poi entrò in comunione con la chiesa catto­
lica. M a dopo aver deposto, come credette bene, la macchia del­
l’eresia di Macedonio, incorse in un’altra infermità. Infatti pen­
sò e scrisse che un figlio è di per sé quello della stirpe di Davide
nato dalla santa Vergine, e un altro figlio è propriamente il L o­
gos nato da Dio Padre4. E come per nascondere il lupo sotto la
pelle della pecora, finge di affermare un solo Cristo, attribuendo
il nome soltanto al Logos generato come Figlio unigenito da Dio
392 CIRILLO

γον γεννηθέντα υιόν μονογενή, ώς έν χάριτος δέ τάξει προσ-


νέμων αύτό, καθά φησιν αύτός, καί τώ έκ σπέρματος Δαυίδ
καί υιόν άποκαλεΐ, ώς ένωθέντα, φησίν, τω κατά άλήθειαν
υίω, ένωθέντα δέ ούχ ώσπερ ήμεΐς δοξάζομεν, άλλά κατά
5 μόνην τήν άξίαν καί κατά αυθεντίαν καί κατά ισοτιμίαν.
3. Τούτου γέγονεν μαθητής Νεστόριος καί έκ τών έκείνου
βιβλίω ν έσκοτισμένος προσποιείται μέν Χριστόν έ'να καί υίόν
καί κύριον όμολογεΐν, μερίζει δέ καί αύτός είς δύο τόν ενα καί
άμέριστον, άνθρωπον συνήφθαι λέγων τω θεώ λόγω τή όμω-
ίο νυμία, τή ισοτιμία, τή άξίςι. καί γοΰν τάς φωνάς τάς έν τοΐς
εύαγγελικοΐς καί άποστολικοΐς κηρύγμασιν περί Χρίστου κει-
μένας διορίζει καί φησιν τάς μέν έφαρμόζεσθαι δεΐν τώ άν-
θρώπω, δηλονότι τάς άνθρωπίνας, τάς δέ πρέπειν κατά μόνας
τω θεώ λόγω, δηλονότι τάς θεοπρεπεΐς. καί έπειδή διίστησι
ΐ5 πολλαχώς καί άνά μέρος τίθησιν ώς άνθρωπον ίδικώς τόν έκ
τής άγιας παρθένου γεγεννημένον καί όμοίως Ιδικώς καί άνά
μέρος υιόν τόν έκ θεοΰ πατρός λόγον, διά τοΰτο τήν αγίαν
παρθένον ού Θεοτόκον εϊναί φησιν, άνθρωποτόκον δέ μάλλον.
4. Ή μεΐς δέ ούχ ούτως ταΰτ’ ?χειν διακείμεθα, άλλ’ έδι-
20 δάχθημεν παρά τής θείας γραφής καί τών αγίων πατέρων £να
υίόν καί Χριστόν καί κύριον όμολογεΐν, τουτέστιν τόν έκ θεοΰ
πατρός λόγον, γεννηθέντα μέν έξ αύτοΰ πρό αιώνων θεο-
πρεπώς καί άρρήτως, έν έσχάτοις δέ τοΰ αίώνος καιροΐς τόν
αύτόν δ ι’ ήμάς γεννηθέντα κατά σάρκα έκ τής αγίας παρθέ-
23 νου, καί έπειδή θεόν ένανθρωπήσαντα καί σαρκωθέντα γεγέν-
νηκεν, διά τοΰτο καί όνομάζομεν Θεοτόκον αύτήν. εις ούν έ-
στιν υίός, εις κύριος Ίησοΰς Χριστός καί πρό τής σαρκώσεως
καί μετά τήν σάρκωσιν. ού γάρ ετερος ήν υίός ό έκ θεοΰ πα­
τρός λόγος, ετερος δέ πάλιν ό έκ τής αγίας παρθένου' ά λλ’
30 αύτός έκεΐνος ό προαιώνιος καί κατά σάρκα έκ γυναικός γε-
γεννήσθαι πιστεύεται, ούχ ώς τής θεότητος αύτοΰ λαβούσης
αρχήν είς τό είναι ή γοΰν είς άρχήν ύπάρξεως κεκλημένης
διά τής άγίας παρθένου, ά λλ’ οτι μάλλον, ώς εφην, προαιώ-
LETTERA 4 5, A SUCCENSO 393

Padre, e applicandolo - come dice egli stesso - al discendente


dalla stirpe di Davide solo in ordine alla grazia, e lo chiama Fi­
glio, in quanto - come dice - si è unito a quello ch’è realmente
Figlio; ma si è unito non come riteniamo noi, bensì soltanto se­
condo dignità, maestà e uguaglianza di onore.
3. Suo discepolo è stato N estorio5, e ottenebrato dai suoi
scritti finge di professare un solo Cristo e Figlio e Signore, ma
anch’egli divide in due l’unico e indivisibile, affermando che
l’uomo è congiunto al Dio Logos per omonimia, uguaglianza di
onore e dignità. Perciò divide anche le espressioni che nella pre­
dicazione evangelica ed apostolica sono riferite a Cristo e dice
che bisogna riferirne alcune all’uomo, cioè quelle di carattere
umano, mentre altre si addicono soltanto al Dio Logos, cioè
quelle degne di Dio. E poiché lo divide in molti modi e mette da
una parte quello ch’è nato dalla santa Vergine, in quanto pro­
priamente uomo, e ugualmente dall’altra il Logos nato da Dio
Padre, in quanto propriamente Figlio, per questo sostiene che la
santa Vergine non è Madre di Dio, ma piuttosto Madre dell’uo­
mo4.
4. Noi però siamo d’avviso che la cosa non stia così, ma dalle
Sacre Scritture e dai santi padri abbiamo appreso a professare un
solo Figlio Cristo Signore, e cioè che il Logos di Dio Padre, da
questo generato prima dei tempi in modo divino e indicibile,
questo stesso negli ultimi giorni per noi è nato secondo la carne
dalla santa Vergine, e poiché essa ha generato Dio che si è fatto
uomo e si è incarnato, per questo anche la diciamo M adre di
Dio. Perciò uno solo è il Figlio, uno solo il signore Gesù Cristo,
sia prima dell’mcarnazione sia dopo l’incarnazione. Infatti non
era un Figlio il Logos nato da Dio Padre, e un altro quello nato
dalla santa Vergine; ma crediamo che proprio colui che è prima
dei tempi è nato anche secondo la carne da una donna, non nel
senso che la sua divinità abbia cominciato ad essere e sia stata
chiamata all’inizio dell’esistenza per mezzo della santa Vergine,
ma piuttosto perché - come ho già detto - diciamo che quello
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396 CIRILLO

όρώμεν δτι δύο φύσεις συνήλθον άλλήλαις χαθ’ ενωσιν άδιά-


σπαστον άσυγχύτως καί άτρέπτως· ή γάρ σαρξ σάρξ έστιν
καί ού θεότης, εί καί γέγονεν θεοΰ σάρξ, όμοίως δέ καί ό
λόγος θεός έστιν καί ού σάρξ, εί καί ίδιαν έποιήσατο τήν
σάρκα οίκονομικώς. δταν οΰν έννοώμεν τοΰτο, ούδεν
άδικοΰμεν τήν εις ενότητα συνδρομήν έκ δύο φύσεων
γεγενήσθαι λέγοντες· μετά μέντοι τήν ενωσιν ού διαιροΰμεν
τάς φύσεις άπ’ άλλήλων ούδέ είς δύο τέμνομεν υιούς τόν
Ινα καί άμέριστον, ά λλ’ ενα φαμέν υιόν καί, ώς οί πατέρες
είρήκασιν, μίαν φύσιν τοΰ λόγου σεσαρκωμένην.
7. Ούκοΰν δσον μεν ήκεν είς έννοιαν καί είς μόνον τό
όράν τοΐς τής ψυχής δμμασιν τίνα τρόπον ένηνθρώπησεν ό μο­
νογενής, δύο τάς φύσεις είναι φαμέν τάς ένωθείσας, £να δέ Χ ρ ι­
στόν καί υίόν καί κύριον, τόν τοΰ θεοΰ λόγον ένανθρωπήσαντα
καί σεσαρκωμένον. καί εί δοκεΐ, δεξώμεθα πρός παράδειγμα
τήν καθ’ ήμάς αύτους συνθεσιν καθ’ ην έσμέν άνθρωποι, συν-
τεθείμεθα γάρ έκ ψυχής καί σώματος καί όρώμεν δύο φύσεις,
έτέραν μέν τήν τοΰ σώματος, έτέραν δέ τήν τής ψυχής· ά λλ’
εις έξ άμφοΐν καθ’ ενωσιν άνθρωπος καί ούχί τό έκ δύο
συντεθεΐσθαι φύσεων άνθρώπους δύο τόν Ενα παρασκευάζει,
ά λ λ ’ ενα τόν άνθρωπον κατά συνθεσιν, ώς £φην, τόν έκ ψυχής
καί σώματος, έάν γάρ άνέλωμεν τό δτι έκ δύο καί διαφόρων
φύσεων ό εις καί μόνος έστί Χριστός, άδιάσπαστος ών μετά
τήν ενωσιν, έροΰσιν οί τή όρθή δόξη μαχόμενοι· « ε ί μία
φύσις τό δλον, πώς ένηνθρώπησεν ή ποίαν ιδίαν έποιήσατο
σάρκα;».
8 . Έ π ειδ ή δέ ευρον έν τώ ύπομνηστικώ εμφασίν τινα λόγου
τοιαύτην δτι μετά τήν άνάστασιν τό άγιον σώμα τοΰ πάντων
ήμών σωτήρος Χρίστου είς θεότητος φύσιν μετακεχώρηκεν, ώς
είναι τό δλον θεότητα μόνην, δεΐν ώήθην καί πρός γε τοΰτο
είπεΐν. ό μακάριος γράφει Παΰλος, τής ένανθρωπησεως τοΰ
μονογενοΰς υίοΰ τοΰ θεοΰ τάς αιτίας ήμΐν έξηγούμενος, ποτε
μέν δτι «τ ό γάρ άδύνατον τοΰ νόμου έν ώ ήσθένει διά τής
σαρκός, ό θεός τόν έαυτοΰ υίόν πέμψας έν όμοιώματι σαρκός
LETTERA 4 5 , A SUCCENSO 397

mo che due nature si sono unite fra loro in unione inseparabile


senza confusione e mutamento. Infatti la carne è carne e non
divinità, anche se è diventata carne di Dio, e similmente anche il
Logos è Dio e non carne, anche se ha fatta propria la carne in
vista dell’economia. Quando consideriamo questo, non facciamo
male ad affermare che da due nature c’è stato concorso in
unità9; ma dopo l’unione non dividiamo le nature l’una dall’al­
tra né dividiamo in due figli l’unico e indivisibile, ma affermia­
mo un solo Figlio e - come hanno detto i padri - una sola natura
del Logos incarnata10.
7. Perciò, per quanto attiene al pensiero e al solo vedere con
gli occhi dell’anima in che modo l’Unigenito si è fatto uomo,
diciamo che due sono le nature che si sono unite, ma uno solo è
Cristo Figlio e Signore, il Logos di Dio che si è fatto uomo e si è
incarnato. E , se ti pare, prendiamo ad esempio la composizione
che avviene proprio in noi, per cui siamo uom ini11. Infatti siamo
composti da anima e corpo e vediamo due nature, una del corpo
e l ’altra dell’ anima. Ma in forza dell’unione da ambedue risulta
un solo uomo, e il fatto di essere composto da due nature non fa
di uno solo due uomini, ma fa un solo uomo, come ho detto, per
composizione, formato di anima e di corpo12. Se infatti elimi­
niamo il fatto che deriva da due nature diverse l’unico e solo
Cristo che è indivisibile dopo l ’unione, i nemici della retta fede
ci obietteranno: « S e il tutto è una sola natura, come si è fatto
uomo e quale carne ha fatto propria?».
8 . Poiché nel tuo memoriale ho trovato una spiegazione di
questo concetto per cui dopo la risurrezione il santo corpo di
Cristo, salvatore di noi tutti, si sarebbe trasformato nella natura
della divinità, così che il tutto sarebbe soltanto divinità13, ho
ritenuto di dover trattare anche questo punto. Il beato Paolo,
spiegandoci i motivi dell’incarnazione dell’unigenito Figlio di
Dio, scrive in un punto: «C iò che infatti era impossibile alla
Legge, perché era debole a causa della carne, Dio inviando il
proprio Figlio in una carne somigliante a quella del peccato e per
398 CIRILLO

αμαρτίας καί περί αμαρτίας, κατέκρινεν τήν αμαρτίαν έν τή


σαρκί, ΐνα τό δικαίωμα τοΰ νόμου πληρώ θή έν ήμΤν τοΐς μή
κατά σάρκα περιπατοΰσιν, άλλά κατά πνεΰμα » (Ep, Rom. δ,
3-4)* ποτέ δέ π ά λ ιν «έπειδή γάρ τά παιδία κεκοινώνηκεν αΐ-
; ματος καί σαρκός, καί αύτός παραπλησίως μετέσχεν τών
αύτών, ινα διά τοΰ θανάτου καταργήση τόν τό κράτος εχοντα
τοΰ θανάτου, τουτέστιν τόν διάβολον, καί άπαλλάξη τούτους
οσοι φόβω θανάτου διά παντός τοΰ ζην ένοχοι ήσαν δουλείας,
ού γάρ δήπου άγγέλων έπιλαμβάνεται, άλλά σπέρματος
ίο 'Αβραάμ έπιλαμβάνεται- δθεν ώφειλεν κατά πάντα τοΐς ά-
δελφοΐς όμοιωθηναι » (Ep. Hebr. 2, 14-7).
9. Φαμέν οΰν δτι έκ τής παραβάσεως τής έν ’Αδά
άνθρωπίνης «ρύσεως παθούσης τήν φθοράν καί τυραννουμένης
τής έν ήμΐν διανοίας έκ τών τής σαρκός ήδονών ήτοι κινη-
ΐ5 μάτων έμφύτων, άναγκαΐον γέγονεν εις σωτηρίαν ήμΐν τοΐς
έπί τής γης τό ένανθρωπήσαι τόν τοΰ θεοΰ λόγον, ΐνα τήν
σάρκα τήν άνθρωπίνην ύπενηνεγμένην τή φθορά καί νοσήσασαν
τό φιλήδονον ιδίαν ποιήσηται καί έπειδήπερ έστίν ζωή καί
ζωοποιός, καταργήση μέν τήν έν αύτή φθοράν, έπιτιμήση δέ
20 καί τοΐς έμφύτοις κινήμασιν, τοΐς είς φιληδονίαν δηλαδή, ήν
γάρ ούτως νεκρωθήναι τήν αμαρτίαν έν αύτή- μεμνήμεθα δέ
καί τοΰ μακαρίου Παύλου νόμον αμαρτίας καλέσαντος τό έν
ήμΐν έμφυτον κίνημα (Ep. Rom. 7, 23-5). ούκοΰν έπειδήπερ ή
άνθρωπίνη σάρξ γέγονεν ιδία τοΰ λόγου, πέπαυται μέν τοΰ
25 ύποφέρεσθαι τή φθορά, καί έπειδή αμαρτίαν ούκ οίδεν ώς
θεός ό οίκειωσάμενος αύτήν καί ιδίαν άποφήνας, ώς εφην,
πέπαυται καί τοΰ νοσεΐν τό φιλήδονον. καί ούχ έαυτώ τοΰτο
κατώρθωκεν ό μονογενής του θεοΰ λόγος (εστι γάρ ο έστιν,
ά εί), ά λλ’ ήμΐν δηλονότι, εί γάρ ύπενηνεγμεθα τοΐς έκ πα-
30 ραβάσεως τής έν ’Αδάμ κακοΐς, ήξει πάντως έφ’ ήμάς καί τά
έν Χ ριστώ , τουτέστιν ή αφθαρσία καί τής άμαρτίας ή νέκρω-
σις. ούκοΰν γέγονεν άνθρωπος, ούκ άνθρωπον άνέλαβεν, ώς
Νεστορίω δοκεΐ, καί ΐνα πιστευθή γεγονώς άνθρωπος, καίτοι
μεμενηκώς δπερ ήν, δήλον δέ δτι θεός κατά φύσιν, ταύτη τοι
LETTERA 4 5 , A SUCCENSO 399

il peccato, ha vinto il peccato nella carne, perché la giustificazio­


ne della Legge si realizzasse in noi, che camminiamo non secon­
do la carne ma secondo lo spirito» (Ep. Rom. 8, 3-4), e in un
filtro pisso: «Poiché infatti i figli partecipavano del sangue e del­
la carne, anch’egli ne ha partecipato come loro, per debellare per
mezzo della morte colui che possedeva il potere della morte, cioè
il diavolo, e per liberare tutti quelli che per il timore della morte
erano soggetti alla schiavitù per tutta la vita. Infatti egli non si
prende cura degli angeli, ma si prende cura della stirpe di A bra­
mo. Per questo si è dovuto rendere simile in tutto ai fratelli»
(Ep. Hebr. 2, 14-7).
9. Diciamo perciò che a causa della prevaricazione di Ada
la natura umana era soggetta alla corruzione e la nostra intelli­
genza era dominata dai piaceri della carne e dagli impulsi insiti
in questa. Perciò si rese necessario per la salvezza di noi terrestri
che si facesse uomo il Logos di Dio per far propria la carne uma­
na soggetta alla corruzione e inferma per l’attaccamento ai piace­
ri, e per debellare, in quanto vita e vivificatore, la corruzione
che era in essa e imporsi anche agli impulsi innati, cioè quelli che
spingono al piacere14. Così infatti era possibile uccidere il pecca­
to nella carne, e ricordiamo che anche il beato Paolo definisce
legge del peccato l’impulso innato che è in noi (Ep. Rom. 7,
23-5). Così, poiché la carne umana è diventata propria del Lo­
gos, ha cessato di essere soggetta alla corruzione, e poiché in
quanto Dio non conosceva peccato colui che se ne era appropria­
to e l’aveva fatta diventare sua propria, come ho detto, ha cessa­
to anche di essere inferma a causa dell’attaccamento ai piaceri. E
l’unigenito Logos di Dio non ha realizzato tutto ciò per sé stesso
(infatti ciò che è egli lo è sempre), ma evidentemente per noi. Se
infatti eravamo soggetti ai mali provocati dalla trasgressione di
Adamo, certamente sarebbero venuti a noi anche i beni che sono
in Cristo, cioè l’incorruttibilità e la morte del peccato. Perciò
egli si è fatto uomo, non ha assunto l’uomo, come crede N esto­
rio, e perché si credesse che si era fatto uomo, pur rimanendo ciò
400 CIRILLO

καί πεινήσαι λέγεται καί καμεΐν έξ οδοιπορίας, άνασχέσθαι δέ


καί ΰπνου καί ταραχής και λύπης καί τών άλλων ανθρωπίνων
καί άδιαβλήτων παθών, ΐνα δέ πάλιν πληροφορή τούς όρώντας
αύτόν δτι μετά του είναι άνθρωπος καί θεός έστιν αληθινός,
είργάζετο τάς θεοσημείας, θαλάσσαις επίτιμων, νεκρούς έ-
γείρων καί τά ετερα παράδοξα κατορθών. ύπέμεινεν δέ καί
σταυρόν, ΐνα σαρκί παθών τόν θάνατον καί ού φύσει θεότητος
γένηται πρωτότοκος έκ νεκρών (Ep. Col. 1 , 18) καί όδοποιήση
τή άνθρώπου φύσει τήν είς άφθαρσίαν οδόν καί σκυλεύσας
τόν ςίδην τάς αύτόθι καθειργμένας έλεήση ψυχάς.
10 . Μ ετά δέ γ ε τήν άνάστασιν ήν μέν αυτό τό σώμα
πεπονθός, πλήν ούκέτι τάς άνθρωπίνας άσθενείας έ'χον έν
έαυτώ. ού γάρ ετι πείνης ή κόπου ή ετέρου τινός τών τοιούτων
δεκτικόν είναι φαμέν αύτό, άλλά λοιπόν αφθαρτον καί ούχί
τοΰτο μόνον, άλλα γάρ καί ζωοποιόν· ζωής γάρ σώμά έστιν,
τουτέστιν τοΰ μονογενοΰς, κατελαμπρύνθη δέ καί δόξη τή θεο-
πρεπεστάτη καί νοείται θεοΰ σώμα. τοιγάρτοι καν ε ΐ τις αύτό
λέγοι θειον, ώσπερ άμέλει τοΰ άνθρώπου [τό] άνθρώπινον,
ούκ άν άμάρτοι τοΰ πρέποντος λογισμοΰ· δθεν οίμαι καί τον
σοφώτατον Παΰλον είπεΤν « ε ί καί έγνώκαμεν κατά σάρκα
Χριστόν, άλλα νΰν ούκέτι γινώσκομεν» (2 Ep. Cor. 5, 16).
θεοΰ γάρ, ώς εφην, ίδιον σώμα ύπάρχον, ύπερέβη πάντα τά
άνθρώπινα, μεταβολήν δέ τήν είς τήν τής θεότητος φύσιν ούκ
ένδέχεται παθεΐν σώμα τό άπό γής· άμήχανον γάρ, έπεί
καταγορεύσομεν τής θεότητος ώς γενητής καί ώς προσλαβούσης
τ ι έν έαυτή δ μή έστιν κατά φύσιν ίδιον αύτής. Γσον γάρ
έστιν είς άτοπίας λόγον τό είπεΤν δτι μετεβλήθη τό σώμα
είς θεότητος φύσιν, καί μήν κάκεϊνο δτι μετεβλήθη ό λόγος
είς τήν τής σαρκός φύσιν. ώσπερ γάρ τοΰτο άμήχανον
(ατρεπτος γάρ καί άναλλοίωτός έστιν), ούτως καί τό Ετερον*
ού γάρ έστιν τών έφικτών είς θεότητος ούσίαν ήτοι φύσιν
μεταχωρήσαί τ ι δύνασθαι τών κτισμάτω ν κτίσμα δέ και ή
LETTERA 4 5 , A SUCCENSO 4O I

che era, cioè Dio per natura, per questo si dice che ha provato
fame e fatica per i viaggi, e che ha sopportato sonno, turbamen­
to, dolore e le altre passioni umane immuni da peccato. M a d ’al­
tra parte, per convincere quelli che vedevano che insieme con
l’essere uomo era anche Dio vero, ha operato i miracoli, coman­
dando alle acque, ridestando i morti e realizzando gli altri prodi­
gi. Si è assoggettato anche alla croce, perché sopportando la
morte nella carne e non nella natura della divinità, diventasse il
primogenito dai morti {Ep. Col. 1, 18), aprisse alla natura umana
la via all’incorruttibilità e, spogliato l’inferno, manifestasse la
sua compassione alle anime là trattenute.
10. Dopo la risurrezione era lo stesso il corpo che aveva p
to, tranne che non aveva più in sé le debolezze um ane15. Dicia­
mo infatti che non poteva provare né fame né stanchezza né
altra cosa del genere e pertanto era incorruttibile, e non solo
questo, perché era anche vivificante: infatti è corpo della vita,
cioè dell’Unigenito, e fu anche illuminato da gloria eccelsa ed è
considerato corpo di Dio. Perciò, se anche uno lo definisce divi­
no, come per certo è umano il corpo dell’uomo, non devia dal
retto giudizio, per cui credo che anche il sapientissimo Paolo
abbia detto: « S e anche abbiamo conosciuto Cristo secondo la
carne, ma ora non lo conosciamo p iù » (2 Ep. Cor. 5, 16). Essen­
do infatti, come ho detto, il corpo proprio di Dio, ha trasceso
tutte le limitazioni umane; d ’altra parte, un corpo proveniente
dalla terra non è in grado di trasformarsi nella natura della divi­
nità. È infatti impossibile, perché altrimenti potremmo rinfac­
ciare alla divinità di essere creata e di accogliere in sé qualcosa
che non le è proprio per natura. E infatti ugualmente assurdo
dire che il corpo si è trasformato nella natura della divinità e dire
che il Logos si è trasformato nella natura della carne. Come in­
fatti questo è impossibile, perché il Logos è immutabile e inalte­
rabile, così lo è anche quello, perché non è fra le cose realizzabili
che una delle creature possa trasformarsi nella sostanza o natura
della divinità. E anche la carne è una creatura. Diciamo perciò
402 CIRILLO

σάρξ. ούκοΰν θειον μέν είναι φαμέν τό σώμα Χρίστου, έπειδή


καί θεοΰ σώμά έστιν, καί άρρήτω δόξτ] κατηγλαισμένον,
αφθαρτον άγιον ζωοποιόν· δτι δέ είς φύσιν θεότητος μετεβλή­
θη, οΰτε τών πατέρων τις τών αγίων ή πεφρόνηκεν ή εΐρηκεν
? οΰτε ημείς οΰτω διακείμεθα.
1 1 . Μ ή άγνοείτω δέ κάκεΐνο ή σή όσιότης οτι ό τής μακα-

ρίας μνήμης ό πατήρ ήμών Αθανάσιος ό γενόμενος κατά και­


ρούς τής Άλεξανδρέων έπίσκοπος, κεκινημένων τινών κατ’
έκείνο καιροΰ, γέγραφεν έπιστολήν πρός Έ πίκτητον έπίσκο-
ιο πον τής Κορίνθου πάσης όρθοδοξίας μεστήν· έπειδή δέ ήλέγ-
χετο καί έξ αύτής Νεστόριος καί οΐ τή όρθή πίστει συναγο-
ρεύοντες ταύτην άναγινώσκοντες έξεδυσώπουν τούς τά αύτά
φρονεΐν έθελοντας, άπειρηκότες πρός τούς έντεΰθεν έλέγ-
χους έμηχανήσαντό τι πικρόν καί αιρετικής δυσσεβείας άξιον.
ι 5 παραφθείραντες γάρ τήν έπιστολήν καί τά μέν ύφελόντες, τά
δε προσθέντες έκδεδώκασιν, ώς δοκεΐν καί τόν αοίδιμον
έκεΐνον συνωδά φρονεΐν Νεστορίω καί τοΐς άμφ’ αύτόν. ήν
ουν άναγκαΐον υπέρ τοΰ μή κάκεΐσέ τινας παρεφθαρμένην
αύτήν έπιδεικνύειν έκ τών παρ’ ήμΐν άντιγράφων τό ίσον
20 λαβόντας άποστεΐλαι τή σή θεοσεβείς, καί γάρ ό ευλαβέστα­
τος καί θεοσεβέστατος ό τής Έμεσηνών έπίσκοπος Παΰλος
έλθών έν ’ Αλεξανδρεία κεκίνηκε περί τούτου λόγους καί εύ-
ρέθη μέν εχων τό ίσον τής έπιστολής παρεφθαρμένον δέ καί
παραποιηθέν παρά τών αιρετικών, ώστε καί ήξίωσεν έκ τών
25 παρ’ ήμΐν άντιγράφων τό ίσον τοΐς κατά τήν Α ντιόχειαν έκ-
πεμφθήναι* καί δή πεπόμφαμεν.
1 2 . Άκολουθοΰντες δέ πανταχή ταΐς τών αγίων πατέρων

όρθοδοξίαις, κατά τών Νεστορίου δογμάτων συγγεγράφαμεν


βιβλίον, καί ετερον δέ διαβεβληκότων τινών τών κεφαλαίων
3ο την δύναμιν, καί ταΰτα άπέστειλα τή σή θεοσεβεία, ιν’ ει τινες
εΐεν ετεροι τών όμοπίστων τε καί ομοψύχων ήμών άδελφών
ταΐς τινων φλυαρίαις συνηρπασμένοι καί νομίζοντες δτι μετέ-
γνωμεν έπί τοΐς κατά Νεστορίου λεχθεΐσιν, έλεγχθεΐεν έκ
τής άναγνώσεως καί μάθωσιν δτι καλώς καί όρθώς έπετιμή-
LETTERA 4 5 , A SUCCENSO 403

che il corpo di Cristo è divino, in quanto è corpo di Dio, e


risplendente di gloria indicibile, incorruttibile santo vivificante.
M a che si sia trasformato nella natura della divinità, questo nes­
suno dei santi padri lo ha mai pensato e detto, e neppure noi
siamo di questo avviso.
1 1 . La tua santità non deve neppure ignorare che il padre

nostro di beata memoria Atanasio, che fu a suo tempo vescovo


di Alessandria, poiché allora alcuni erano turbati, scrisse ad
Epitteto vescovo di Corinto una lettera dal contenuto perfetta­
mente ortodosso16. Ma poiché essa confutava anche Nestorio, e
i sostenitori della retta fede leggendola confondevano quelli che
la pensavano come lui, costoro, respingendo le confutazioni che
di lì venivano, escogitarono una trovata malvagia e degna del­
l’empietà degli eretici. Infatti, dopo aver corrotto il testo della
lettera togliendo qualcosa e aggiungendo qualche altra, la pubbli­
carono in forma tale che quell’uomo rinomato sembrasse essere
in perfetta consonanza con le idee di Nestorio e dei suoi. Perciò,
al fine di evitare che anche costì qualcuno esibisca il testo cor­
rotto, si è reso necessario trascrivere un esemplare dalla copia
ch’è presso di noi e inviarla alla tua santità. Infatti anche il piis­
simo e religiosissimo Paolo vescovo di E m esa17, quando venne
ad Alessandria, mosse questa questione e si trovò che aveva un
esemplare della lettera corrotto e alterato dagli eretici, così che
egli chiese che venisse inviato agli antiocheni un esemplare tra­
scritto dalla nostra copia. E noi l’inviammo.
1 2 . Seguendo in tutto la retta dottrina dei santi padri, ho

scritto un libro contro le idee di N estorio 18 e un altro contro


alcuni che calunniano il significato degli anatematismi, e invio
anche questi alla tua pietà. Così, se ci sono anche altri dei fratelli
che credono e la pensano come noi, i quali si fanno trascinare
dalle chiacchiere di certuni e credono che io ho cambiato opinio­
ne circa ciò che ho detto contro Nestorio, siano convinti dalla
lettura di queste opere e apprendano che, come bene e rettamen-
404 CIRILLO

σαμεν ώς πεπλανημένω καί νΰν ούδέν ήττον έγκείμεθα παν-


ταχοΰ μαχόμενοι ταϊς αύτοΰ δυσφημίαις.
Ή δέ σή τελειότης τά ετι μείζω νοεΐν δυναμένη καί ήμάς
ωφελήσει καί γράφουσα καί προσευχομένη.
LETTERA 4 5 , A SUCCENSO 4O5

te l’ho convinto di errore, cosi anche ora resto dello stesso avvi­
so, contrastando dovunque le sue maldicenze.
La tua perfezione, ch’è in grado di approfondire ancora di
più questi argomenti, sarà d ’aiuto anche a noi con lo scritto e
con la preghiera.
6 . T eodoreto di C iro, I l mendicante pp. 61-2; 226-9 Ettlinger

Gli anni dal 433 al 447 furono di pace relativa sul fronte delle con­
troversie cristologiche. Nel 435, su richiesta giuntagli dall’Armenia,
Proclo di Costantinopoli, nel Tomus ad Armenios, aveva attaccato
Teodoro di Mopsuestia come ispiratore di Nestorio e di lì si svilup­
pò negli ambienti monofisiti una serie di critiche postume contro
Teodoro e Diodoro di Tarso, cui sulle prime si unì anche Cirillo. Ma
di fronte alla presa di posizione degli antiocheni in favore dei loro
auctores già da tempo defunti, l'alessandrino preferì desistere dalla
nuova polemica e salvaguardare invece quella pace che appariva sem­
pre più fragile. Se infatti ufficialmente ci si atteneva alla formula del
433, in ambedue gli schieramenti ferveva l’attività tesa a precisare e
sviluppare le tesi in contrasto. Già abbiamo avuto occasione di ac­
cennare sia allo scisma nestoriano sia alla varietà di esiti cui si giun­
geva nel fronte monofisita da parte di chi, poco curandosi del difisi-
smo della formula d ’unione, continuava ad elaborare il tema dell’u­
nica natura di Cristo, uniformandosi del resto ai testi dell'ultimo
Cirillo. Finché questi visse, riuscì ad infrenare i suoi riottosi parti­
giani. Ma dopo la sua morte (444) mancò chi, pur con oscillazioni
rilevanti in ambito terminologico, era riuscito a conciliare l’afferma­
zione di una sola natura del Cristo incarnato con i postulati tradizio­
nali relativi all’integrità dell’uomo Gesù.
Solo tre anni dopo, nel 447, Teodoreto di Ciro, l’ideologo uffi­
ciale degli orientali, che molto a malincuore aveva sottoscritto la
condanna di Nestorio e la formula di unione, pur da lui stesso ispira­
ta, denunciava il proliferare di nuove idee in campo monofisita. Il
suo dialogo in tre libri, Il mendicante (sul significato del titolo ved. il
testo proposto qui di seguito), prudentemente non assegna a nomi
specifici la paternità delle nuove idee; e la struttura in forma di
dialogo, dove ovviamente il monofisita è destinato a soccombere,
favorisce una presentazione frammentaria e in definitiva poco chia-
IL MENDICANTE 4 °7

ra, sotto l’aspetto storico, della nuova dottrina. Anzi, forse sarebbe
meglio dire delle nuove dottrine, perché questo monofisismo poste­
riore a Cirillo si manifestò con una varietà di esiti, di cui il memo­
riale di Succenso a Cirillo (cfr. commento, p. 613 nota 13) ci forni­
sce una prima testimonianza. Se qualcosa questi monofisiti misero
allora per iscritto non è giunto a noi, e l’informazione che ci deriva
dai loro avversari è, come abbiamo accennato, troppo generica per
mancanza soprattutto di dettagli storici, oltre che - dobbiamo pen­
sare - probabilmente anche un po’ tendenziosa. Gli studiosi moder­
ni tendono a puntualizzare in Eutiche, di cui ci occuperemo fra bre­
ve, il bersaglio di Teodoreto. Ma non si può escludere che egli abbia
già sotto gli occhi una certa varietà di esiti derivanti dalla comune
matrice monofisita. Solo col passare del tempo l’ispessirsi della do­
cumentazione ci permette di distinguere una pluralità d’indirizzi in
questo schieramento. Per limitarci per il momento alla testimonianza
di Teodoreto, il monofisismo da lui denunciato sembra distinguersi
da quello cirilliano perché non riconosceva integra e completa l’uma­
nità di Cristo.
Il carattere dialogico di II mendicante rende difficile la selezione
di passi che ci restituiscano in forma organica e coerente la dottrina
confutata da Teodoreto. Riportiamo perciò buona parte del prologo,
in cui è contenuto un abbozzo di tale presentazione, e vi aggiungia­
mo un passo della parte finale della discussione, indicativo più della
dottrina di Teodoreto che di quella del suo avversario. Vi rileviamo
una concezione della communicatio idiomatum molto più impegnati­
va di quanto non abbiamo osservato in Nestorio, e un fondamentale
attenersi allo spirito della formula del 433, che già anticipa la formu­
la calcedonese.
Per il testo di Teodoreto seguiamo l’edizione di G .H . Ettlinger,
Oxford 1975, pp. 61-2; 226-9.

Teodoreto, vescovo di Ciro, in Siria, dal 423 al 466 circa, fu esponente di


prim’ordine della scuola di Antiochia sia in esegesi sia in teologia. Fu perciò
dalla parte di N estorio nella controversia contro Cirillo e fu poi coinvolto a
fondo nella crisi monofisita. D eposto nel concilio di E feso del 449, fu riabili­
tato in quello di Calcedonia (451). O ltre vari Commentari a libri del Vecchio
Testam ento e a Paolo e l’Eranistes (Mendicante), ricordiamo di lui la Storia
ecclesiastica, la Storia religiosa, che raccoglie vite di monaci, il Compendio
delle favole degli eretici, e un copioso e importante epistolario.

Bibliografia: Y . Azém a, Théodoret de Cyr d'apris sa correspondance, Paris


1952. Per la teologia di Teodoreto sono im portanti alcuni studi di M . R i­
chard ora riuniti in Opera minora II, Leuven 1977.
Ε ΐσ ί τινες, οΐ τήν έκ γένους ή παιδεύσεως ή κατορθω­
μάτων άξιέπαινον ούκ εχοντες περιφάνειαν, έκ πονηρών έ-
πιτηδευμάτων έπίσημοι γενέσθαι φιλονεικοΰσι. τοιοϋτος ήν έ­
κεΐνος Αλέξανδρος ό χαλκεύς, δς ούδέν εχων περίβλεπτον,
ού λαμπρότητα γένους, ού δεινότητα λόγων, ού δημαγω­
γίαν, ού στρατηγίαν, ού τάς έν πολέμοις άνδραγαθίας, μό­
νον δέ βάναυσον τέχνην μεταχειρίζων, έκ μόνης της κατά τοΰ
θειοτάτου Παύλου μανίας έγένετο γνώριμος ( 2 Ep. Tìm. 4, 14).
καί Σ εμ εεί δέ πάλιν, αφανής άνθρωπος πάμπαν καί άνδραπο-
δώδης, έκ της κατά τοΰ θεσπεσίου Δαβίδ θρασύτητος όνομα-
στότατος γέγονε (2 Sam. 16, 5-8). φασί δέ καί τόν της
Μανιχαϊκής αΐρέσεως εύρετήν μαστιγίαν οίκέτην γενέσθαι, καί
φιλοτιμίας ερωτι τήν μυσαράν έκείνην συγγράψασθαι θρη­
σκείαν.
Τοΰτο καί νΰν δρώσί τινες, καί τό άξιέραστον τής άρετής
κλέος διά τους ταύτης ήγουμένους άποδράσαντες πόνους, τήν
δυσκλεεστάτην καί τρισαθλίαν σφίσιν αύτοΐς έπορίσαντο περι-
φάνειαν. καινών γάρ δογμάτων προστάται γενέσθαι ποθήσαν-
τες, έκ πολλών αιρέσεων ήρανίσαντο τήν άσέβειαν καί τήν
όλέθριον ταύτην συνέθηκαν αΐρεσιν. έγώ δέ αύτοΐς βραχέα
διαλεχθήναι πειράσομαι, καί τής αύτών χάριν θεραπείας καί
τής τών ύγιαινόντων ενεκα προμηθείας. δνομα δέ τω συγγράμ-
ματι Έρανιστής ή Πολύμορφος, έκ πολλών γάρ άνοσίων άν-
θρώπων έρανισάμενοι τά δύστηνα δόγματα, τό ποικίλον
C i sono alcuni che, non avendo rinomanza lodevole né per
stirpe né per educazione né per buone opere, cercano di mettersi
in vista con cattive azioni. Tale fu quel fabbro di nome Alessan­
dro, che nulla avendo di insigne, né nobiltà di famiglia né abilità
di parola né capacità politica né abilità militare né valore in
guerra, ma esercitando soltanto un’arte ignobile è diventato ben
noto soltanto per la sua pazzia contro il divino Paolo (2 Ep. Tim.
4, 14). E anche Semei, uomo del tutto oscuro e dappoco, è di­
ventato famosissimo per la tracotanza verso il divino Davide (2
Sani. 16, 5-8). E dicono che anche l’iniziatore dell’eresia mani­
chea sia stato uno schiavo da frusta, che per brama di rinomanza
ha messo per iscritto quell’abominevole dottrina.
Anche ora alcuni si comportano così, e avendo sfuggito l’am­
bita gloria della virtù a causa delle fatiche che ad essa conduco­
no, si sono procacciati la rinomanza più ignobile e sciagurata.
Desiderando infatti proporre nuove dottrine, hanno raccolto qua
e là l’empietà da diverse eresie e così hanno messo insieme que­
sta funesta eresia1. Perciò io cercherò di discutere un po’ con
costoro per recar loro rimedio e prevenire quelli che son sani. Ho
intitolato il mio scritto II mendicante o II multiforme. Infatti
avendo mendicato sciagurate dottrine da molti uomini empi
espongono ora questi pensieri variopinti e multiformi. Affermare
4 io TEODORETO DI CIRO

τοΰτο καί πολύμορφον προφέρουσι φρόνημα, τό μέν γάρ θεόν


μόνον όνομάζειν τόν δεσπότην Χριστόν, Σίμωνός έστι καί
Κέρδωνος καί Μαρκίωνος καί τών άλλων, οσοι τοΰ μυσαροΰ
τούτου μετέχουσι γειτονήματος. τό δέ τήν έκ παρθένου μέν
γέννησιν όμολογεΐν, παροδικήν δέ ταύτην γενέσθαι λέγειν, καί
μηδέν έκ τής παρθένου τον θεόν λόγον λαβεΐν, έκ τής Βαλεν­
τίνου καί Βαρδησάνου καί τών τούτοις άγχιθύρων τερατολο­
γίας έσύλησαν. τό δέ γε μίαν φύσιν άποκαλεΐν τήν θεότητα
τοΰ δεσπότου Χριστοΰ καί τήν άνθρωπότητα έκ τών Ά πολι-
ναρίου φληνάφων ύφείλοντο. πάλιν δ ’ αΰ τό τή θεότητι τοΰ
δεσπότου Χριστοΰ προσάπτειν τό πάθος έκ τής Άρείου καί
Εύνομίου βλασφημίας κεκλόφασιν, ώς έοικέναι τήνδε τήν αΐ-
ρεσιν άτεχνώς τοΐς υπό τών προσαιτών έκ διαφόρων ^ακίων
συρραπτομένοις έσθήμασιν. ου δή χάριν Έρανιστήν ή Πολύ­
μορφον τόδε προσαγορεύω τό σύγγραμμα.

Ε Ρ Α Ν . Έ γ ώ πείθομαι τώ άποστόλω κύριον τής δόξης τόν


έσταυρωμένον προσαγορεύοντι (1 Ep. Cor. 2, 8 ).
Ο Ρ Θ . Κ αί έγώ γε πείθομαι καί πιστεύω κύριον είναι
δόξης* ού γάρ άνθρώπου τινός κοινοΰ, άλλά τοΰ κυρίου τής
δόξης σώμα ήν τό τω ξύλω προσηλωθέν. χρή μέντοι είδέναι
ώς ή ενωσις κοινά ποιεί τά όνόματα. σκόπησον δέ ούτωσί. τήν
σάρκα τοΰ κυρίου έκ τών ούρανών κατεληλυθέναι λέγεις;
Ε Ρ Α Ν . Ού δήτα.
Ο Ρ Θ . Ά λ λ ’ έν τή μήτρςι τής παρθένου διαπλασθήναι;
Ε Ρ Α Ν . Ουτω φημί.
Ο Ρ Θ . Πώς οΰν ό κύριος λ έγ ει- «έάν ούν ΐδητε τόν υίόν
τοΰ άνθρώπου άναβαίνοντα οπου ήν τό πρότερον; » {Εν. Ιο. 6,

62), καί πάλιν* « ούδείς άναβέβηκεν είς τόν ουρανόν, εΐ μή


ό έκ τοΰ ούρανοΰ καταβάς, ό υίός τοΰ άνθρώπου, ό ών έν
τφ ούρανώ» (Εν. Ιο. 3, 13);
Ε Ρ Α Ν . Ού περί τής σαρκός, άλλά περί τής θεότητος λ έ­
γ ει.
IL MENDICANTE 4 II

infatti che il signore Cristo è solo Dio è di Simone, Cerdone,


Marcione e di quanti altri sciagurati sono loro vicini. Ammettere
poi la nascita dalla Vergine ma affermare che questo è stato solo
un passaggio e che il Dio Logos nulla ha preso dalla Vergine,
questo l’hanno tratto via dalle invenzioni di Valentino e di Bar­
desane e dei loro vicini di casa. Il definire poi come una sola
natura la divinità e l’umanità del signore Cristo, l’hanno sottrat­
to alle chiacchiere di Apollinare. Ancora, l’attribuire la passione
alla divinità del signore Cristo, l’hanno rubato alle bestemmie di
Ario e di Eunomio. Perciò veramente questa eresia assomiglia
alle vesti raffazzonate dai mendicanti con stracci di diversa pro­
venienza, e per tal motivo intitolo questo mio scritto II mendi­
cante o II multiforme.

Mendicante. Io credo all’Apostolo, il quale definisce Signore


della gloria il crocifisso (1 Ep. Cor. 2, 8 ).
Ortodosso. Anche io credo e ho fede che è Signore della glo­
ria. Infatti il corpo ch’è stato appeso al legno non era di un uomo
qualsiasi ma del Signore della gloria. Ma è necessario sapere che
l’unione rende comuni gli appellativi2. Perciò stai attento. Dici
che la carne del Signore è discesa dal cielo?
M. Certamente no.
O. Allora è stata plasmata nel ventre della Vergine?
M. Questo lo affermo.
O. M a allora in che senso il Signore dice: «M a allora che sarà
dunque se vedrete il Figlio dell’uomo salire dove era prim a?»
(Ev. Io. 6 , 62), e ancora: «N essuno è salito in cielo, se non colui
ch’è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo che è in cielo» (Ev. Io.
3, 13)?3
M. Dice non della carne ma della divinità.
412 TEODORETO DI CIRO

Ο Ρ Θ . Ά λ λ ’ ή θεότης έκ τοΰ θεοΰ καί πατρός. πώς ούν


αύτόν υίόν άνθρώπου καλεΐ;
Ε Ρ Α Ν . Κοινά τοΰ προσώπου γέγονε τά τών φύσεων ίδια. ό
γάρ αύτός διά τήν ενωσιν καί υίός άνθρώπου καί υιός θεοΰ,
καί αιώνιος καί πρόσφατος, καί υιός Δαβίδ καί κύριος Δ αβίδ,
καί τ ’ αλλα τά τοιάδε όμοίως.
Ο Ρ Θ . Μάλα όρθώς. είδεναι μέντοι κάκεϊνο χρή, ώς ού
σύγχυσιν είργάσατο τών φύσεων ή κοινότης τών όνομάτων.
διά γάρ τοι τοΰτο καί διαγνώναι ζητοΰμεν πώς μέν υίός θεοΰ,
πώς δέ πάλιν ό αύτός υίός άνθρώπου, καί πώς ό αύτός χθές
καί σήμερον καί είς τούς αιώνας (Ep. Hebr. 13, 8 )· καί τή
εύσεβεΐ διακρίσει τοΰ λόγου σύμφωνα τάναντία εύρίσκομεν.
Ε Ρ Α Ν . Ό ρθώς ειρηκας.
Ο Ρ Θ . "Ωσπερ τοίνυν καταβεβηκέναι μέν έκ τών ούρανών
τήν θείαν έ'φησθα φύσιν, υίόν δέ γε άνθρώπου κληθήναι αύτήν
διά τήν ενωσιν ειρηκας, οΰ'τω προσηλωθήναι μέν τώ ξύλω τήν
σάρκα προσήκει λέγειν, άχώριστον δέ ταύτης είναι τήν θείαν
φύσιν όμολογεΐν, κάν τώ σταυρώ, κάν τω τάφω, πάθος
έκεΐθεν ού δεχομενην, έπειδή πάσχειν ού πέφυκεν ούδέ γε
θνήσκειν, ά λλ ’ άθάνατον εχει καί άπαθή τήν ούσίαν. ταύτη
τοι καί κύριον της δόξης τόν έσταυρωμένον ώνόμασε, τό τής
άπαθοΰς φύσεως δνομα τή παθητή προσνείμας, έπειδήπερ
αύτής έχρημάτισε σώμα. προσεξετάσωμεν δέ καί τοΰτο. ό
θείος εΐπεν άπόστολος· « ε ί γάρ εγνωσαν, ούκ αν τόν κύριον
τής δόξης έσταύρωσαν» (1 Ep. Cor. 2, 8 ). έσταύρωσαν τοίνυν
ήν Εγνωσαν φύσιν, ούχ ήν πάμπαν ήγνόησαν. εί δέ εγνωσαν
ήν ήγνόησαν, ούκ άν έσταύρωσαν ήνπερ εγνωσαν. έπειδή δέ
τήν θείαν ήγνόησαν, τήν άνθρωπείαν έσταύρωσαν. ή ούκ
άκήκοας αύτών λεγόντω ν «π ερ ί καλοΰ έργου ού λιθάζομέν
σε, άλλά περί βλασφημίας, δτι άνθρωπος ών ποιείς σεαυτόν
θεόν» (Ευ. Ιο. 10, 33); διά δέ τούτων δηλοΰσιν ώς ήν μέν
έώρων έπεγίνωσκον φύσιν, τήν δέ γ ε άόρατον παντάπασιν ήγ-
νόουν. εί δέ κάκείνην έπέγνωσαν, ούκ άν τόν κύριον τής
δόξης έσταύρωσαν.
IL MENDICANTE 4 13

O. M a la divinità gli deriva da Dio Padre. Come mai allora lo


definisce Figlio dell’uomo?
M. Perché le proprietà caratteristiche delle nature appartengo­
no in comune alla persona4: il medesimo in forza dell’unione è
Figlio dell’uomo e Figlio di Dio, eterno e venuto da poco, figlio di
Davide e signore di Davide, e cosi per gli altri simili appellativi.
O. M olto bene. Ma bisogna sapere anche questo, che la comu­
nanza dei nomi non ha provocato la confusione delle nature. In­
fatti per questo cerchiamo anche di distinguere in che senso lo
stesso è sia Figlio di Dio sia Figlio dell’uomo, e in che senso lo
stesso esiste ieri oggi e nei secoli (Ep. Hebr. 13, 8 ); e con una retta
distinzione delle parole troveremo che i contrari si accordano.
M. H ai detto bene.
O. Come dunque hai detto che è discesa dal cielo la natura
divina, ma che essa è chiamata Figlio dell’uomo in forza dell’unio­
ne, così conviene dire che è stata appesa al legno la carne e però
riconoscere che la natura divina è da essa inseparabile, sia sulla cro­
ce sia nel sepolcro, senza subire di qui passione, poiché non può
patire né morire, ma ha la sostanza impassibile e immortale. In
questo senso l’apostolo ha definito il crocifisso Signore della glo­
ria, attribuendo il nome della natura impassibile a quella passibile,
perché il corpo era considerato suo. M a esaminiamo anche questo.
Il beato apostolo ha detto: « S e infatti l’avessero conosciuto, non
avrebbero crocifisso il Signore della gloria» (1 Ep. Cor. 2 , 8 ) 5.
Perciò hanno crocifisso la natura che conoscevano, non quella che
del tutto ignoravano. Se avessero conosciuto quella che ignorava­
no, non avrebbero crocifisso quella che conoscevano. Dato perciò
che ignoravano la natura divina, hanno crocifisso quella umana. O
non li hai uditi che dicevano: «N on ti lapidiamo per nessuna ope­
ra buona, ma per la bestemmia, perché essendo uomo ti fai D io»
(Ev. Io. 10, 33)? E così fanno capire che conoscevano la natura
che vedevano, ma ignoravano del tutto quella invisibile. Perché,
se avessero conosciuto anche quella, non avrebbero crocifisso il
Signore della gloria.
4 14 TEODORETO DI CIRO

Ε Ρ Α Ν . Ταΰτα μέν άμηγέπη τό είκός εχ ει. ή 8ε τών πα­


τέρων τών έν Ν ικαί^ συνεληλυθότων διδασκαλία τής πίστεως
αύτόν τόν μονογενή, τόν άληθινόν θεόν, τόν όμοούσιον τώ
πατρί, παθεΐν καί σταυρωθήναί φησι.
Ο Ρ Θ . Τ ώ ν πολλάκις όμολογηθέντων ώς εοικεν έπιλέλησαι.
Ε Ρ Α Ν . Ποίων;
Ο Ρ Θ . "Ο τ ι μετά τήν Ινωσιν τώ ένί προσώπω καί τα υψηλά
καί τά ταπεινά προσάπτει ή θεία γραφή. Γσως δε κάκεΐνο ήγ-
νόησας, ώς είρηκότες πρότερον οί πανεύφημοι πατέρες σαρ-
κωθέντα, ένανθρωπήσαντα, τότε έπήγαγον παθόντα, σταυρω-
θέντα, καί τήν δεκτικήν τοΰ πάθους προδείξαντες φύσιν, οΰτω
τό πάθος τοΐς λόγοις προσέθεσαν.
Ε Ρ Α Ν . Ο ί πατέρες τόν υίόν του θεοΰ, τό έκ τοΰ φωτός
φώς, τόν έκ της ούσίας του πατρός, εφασαν παθεΐν τε καί
σταυρωθήναί.
Ο Ρ Θ . Πολλάκις £φην ώς καί τά θεία καί τά άνθρώπεια τό
εν δέχεται πρόσωπον. διάτοι τοΰτο καί οί τρισμακάριοι πατέ­
ρες, οπως δ ει πιστεύειν είς τόν πατέρα διδάξαντες, καί είς τό
τοΰ υίοΰ πρόσωπον μεταβάντες, ούκ είπον ευθύς· καί είς τόν
υίόν τοΰ θεοΰ* καίτοι λίαν άκόλουθον ήν, τά περί τοΰ θεοΰ καί
πατρός είρηκότας, ευθύς καί τήν τοΰ υίοΰ θεΐναι προσηγορίαν·
ά λλ’ ήβουλήθησαν όμοΰ καί τόν τής θεολογίας καί τόν τής
οικονομίας ήμΐν παραδουναι λόγον, ΐνα μή αλλο μέν τό τής
θεότητος, άλλο δέ τό τής άνθρωπότητος πρόσωπον νομισθή.
τούτου δή χάριν τοΐς περί τοΰ πατρός είρημένοις έπήγαγον ώς
χρή πιστεύειν καί είς τόν κύριον ήμών Ίησοΰν Χριστόν, τόν
υίόν τοΰ θεοΰ. Χριστός δέ μετά τήν ένανθρώπησιν ό θεός λό­
γος έκλήθη. Τοΰτο τοίνυν τό δνομα πάντα δέχεται, καί δσα
τής θεότητος καί δσα τής άνθρωπότητος ίδια . έπιγινώσκομεν
δέ δμως τίνα μέν ταύτης, τίνα δε έκείνης τής φύσεως· καί
τοΰτο καί έξ αύτοΰ τοΰ συμβόλου τής πίστεως καταμαθεΐν
εύπετές. τίνι γάρ, είπέ μοι, προσαρμόττεις τό «έ κ τής ού­
σίας τοΰ πατρός»; τή θεότητι ή τή έκ σπέρματος Δαβίδ δια­
πλασθείση φύσει;
IL MENDICANTE 4 15

Λί. Ciò che dici sembra in qualche modo probabile. Ma l’in­


segnamento della fede dato dai padri che si sono riuniti a Nicea
dice che proprio l’Unigenito, il Dio vero, consustanziale al Pa­
dre, ha patito ed è stato crocifisso6.
O. M i sembra che tu ti sia dimenticato ciò che più volte
abbiamo ammesso.
M. Che cosa?
O. Che dopo l’unione la Sacra Scrittura attribuisce all’unica
persona sia ciò ch’è elevato sia ciò ch’è umile. E forse tu ignori
anche questo, che i gloriosi padri prima hanno detto che s’è incar­
nato e che è diventato uomo e dopo hanno aggiunto che ha patito
ed è stato crocifisso, e cosi prima hanno sottolineato la natura
capace di patire e poi hanno aggiunto al loro discorso la passione.
Μ. I padri hanno detto che il Figlio di Dio, la luce da luce,
colui che ha tratto origine dalla sostanza del Padre, ha patito ed
è stato crocifisso.
O. Più volte ho detto che l’unica persona accoglie le proprie­
tà divine e umane. Per questo anche i beati padri, dopo aver
insegnato come si debba credere nel Padre, passati alla persona
del Figlio non hanno detto subito: «Crediam o nel Figlio di
D io » 7. Eppure sarebbe stato del tutto conseguente che dopo
aver parlato di Dio Padre, subito dopo aggiungessero la menzio­
ne del Figlio. Invece hanno voluto tramandarci insieme il con­
cetto della divinità e dell’incarnazione, perché non credessimo
che una era la persona della divinità e un’altra quella dell’umani-
tà. Perciò a quello che avevano detto del Padre aggiunsero che
bisogna credere anche nel nostro signore Gesù Cristo, il Figlio di
Dio. E il Dio Logos è stato chiamato Cristo dopo ch’è diventato
uomo. Perciò questo nome comprende tutto, sia le proprietà del­
la divinità sia quelle dell’umanità. Conosciamo tuttavia quali sia­
no di questa, quali di quella natura. E d è facile apprendere que­
sto proprio dalla professione di fede. A chi infatti riferisci -
dimmelo - l’espressione «dalla sostanza del Padre»? Alla divinità
o alla natura creata dal seme di Davide?
416 TEODORETO DI CIRO

E P A N . Δήλον ώς τή θεότητι.
Ο Ρ Θ . Τό δέ «θεόν άληθινόν έκ θεοΰ αληθινού», τίνος
ίδιον είναι φής; τής θεότητος ή τής άνθρωπότητος;
Ε Ρ Α Ν . Τ ής θεότητος.
Ο Ρ Θ . Ούκοΰν καί τώ πατρί όμοούσιος ούχ ή σάρξ, ούδέ
γ ε ή ψυχή· κτισταί γάρ αΰται· ά λλ’ ή θεότης, ή τά πάντα
τεκτηναμένη;
Ε Ρ Α Ν . Α ληθές.
Ο Ρ Θ . Ουτω δή ούν χρή πάθος άκούοντας καί σταυρόν έ-
πιγινώσκειν τήν φύσιν τήν δεξαμένην τό πάθος, καί μή τή ά-
παθεΤ προσάπτειν, ά λλ’ εκείνη, ή τούτου γ ε ένεκα προσελήφ-
θη. δτι γάρ καί οί άξιάγαστοι πατέρες άπαθή τήν θείαν
ώμολόγησαν φύσιν, τή δέ σαρκί τό πάθος προσήρμοσαν, μαρτυ­
ρεί τό τής πίστεως τέλος, εχει δέ οΰτως· « τούς δε λέγοντας· ήν
ποτε δτε ούκ ήν, καί πριν γεννηθήναι ούκ ήν, καί δτι έξ ούκ
δντων έγένετο, ή έξ έτέρας τινός ύποστάσεως ή ούσίας φά-
σκοντας είναι ή τρεπτόν ή άλλοιωτόν τόν υιόν τοΰ θεοΰ, τού­
τους άναθεματίζει ή αγία καθολική καί άποστολική έκκλη­
σ ία ». δρα δέ οΰν όποιαν ήπείλησαν τιμωρίαν τοΐς τό πάθος τή
φύσει τή θεία προσάπτουσιν.
ΕΡΑΝ . Π ερί τροπής αύτοΐς ό λόγος ένταΰθα καί άλ-
λοιώσεως.
Ο Ρ Θ . Τ ό δέ πάθος τ ί ετερόν έστι ή τροπή καί άλλοίωσις;
εί γάρ άπαθής πρό τής σαρκώσεως ών μετά τήν σάρκωσιν
επαθε, τροπήν δήπουθεν ύπομείνας επαθε· καί εί άθάνατος
πρό τής ένανθρωπήσεως ών έγεύσατο θανάτου (Ερ. Hebr. 2,
9), κατά τόν ύμέτερον λόγον, μετά τήν ένανθρώπησιν ήλλοιώ-
θη πάντως θνητός έξ άθανάτου γενόμενος. άλλά τούς
τοιούσδε λόγους καί μήν δή καί τούς τούτων πατέρας τών
ιερών οί πανεύφημοι πατέρες έξελαύνουσι περιβόλων, καί ώς
σεσηπότα μέλη τοΰ ύγιαίνοντος άποκόπτουσι σώματος, οΰ δή
χάριν σε παρακαλοΰμεν δεΐσαι τήν τιμωρίαν καί μισήσαι τήν
βλασφημίαν.
IL MENDICANTE 4 17

M. È chiaro, alla divinità.


Ο. E «D io vero da Dio vero» di chi dici che sia proprio?
Della divinità o dell’umanità?
M. Della divinità.
O. Perciò consustanziale al Padre non era la carne, e nepp
l’anima - infatti sono state create - ma la divinità, che ha creato
tutte le cose?
M. E vero.
O. Perciò, a sentire la passione e la croce, bisogna conosc
la natura ch’è in grado di accogliere la passione, e non attribuirla
a quella impassibile bensì all’altra, che proprio per questo è stata
assunta. Che infatti anche gli ammirevoli padri abbiano dichiara­
to impassibile la natura divina e abbiano attribuito la passione
alla carne, lo testimonia anche la fine della professione di fede.
Dice infatti così: «Q uelli che dicono: “ C ’è stato un tempo in cui
non esisteva” e “ Non esisteva prima di essere stato creato” , e
“ È stato creato dal nulla” o affermano ch’egli deriva da altra
ipostasi o sostanza o che il Figlio di Dio è mutevole o alterabile,
tutti costoro condanna la chiesa cattolica e apostolica»8. G uar­
da dunque quale punizione hanno minacciato a quanti attribui­
scono la passione alla natura divina.
Ai. Qui hanno parlato di mutamento e alterazione.
Ο. E la passione che altro è se non mutamento e alterazione?
Se infatti, mentre era impassibile prima dell’incarnazione, dopo
di essa ha patito, ha patito subendo in qualche modo un muta­
mento. E se, immortale prima di diventare uomo, ha provato la
morte (Ep. Hebr. 2, 9), come voi ammettete, dopo esser diventa­
to uomo ha subito alterazione perché da immortale è diventato
del tutto mortale. M a tali affermazioni e i loro autori i gloriosi
padri espellono dai sacri recinti e come membra putride tagliano
via dal corpo sano. T i esorto perciò a temere la pena e odiare la
bestemmia.
7. Leone, Lettera dogmatica a Flaviano

Teodoreto era stato generico nella sua accusa. Ma ben presto essa si
concretizzò a Costantinopoli a danno di Eutiche, un vecchio monaco
molto influente, accanito partigiano di Cirillo. Accusato da Eusebio
di Dorileo, che anni prima, ancora laico, aveva denunciato anche
Nestorio, fu giudicato da una sinodo locale presieduta dal vescovo
della capitale, Flaviano, e condannato il 22 novembre 448. Egli so­
steneva che Cristo prima dell’unione era stato di due nature, ma
dopo l’unione gli si doveva riconoscere una sola natura, ripetendo in
sostanza la formula cirilliana. Sembra che abbia anche affermato che
la carne di Cristo non è consustanziale con la nostra, e qui egli si
allontanava da Cirillo. Nella risposta Flaviano affermava che Cristo
non solo deriva da due nature ma è di due nature, unite in una sola
ipostasi e in un solo prosopon. Ma Eutiche aveva molte aderenze
anche a corte, e la sua cristologia era largamente condivisa in orien­
te. Alla condanna perciò seguì una violenta reazione, di cui si mise a
capo Dioscoro, il successore di Cirillo ad Alessandria, altrettanto
privo di scrupoli, ma meno accorto politicamente e dottrinalmente.
Di fronte a questa levata di scudi e alle conseguenti polemiche Teo­
dosio convocò, in data 30 marzo 449, un concilio ecumenico da te­
nere ancora ad Efeso e che si sarebbe dovuto aprire il 1 agosto.
Fra i vari vescovi d’oriente e anche d ’occidente, presso i quali
Eutiche aveva protestato per la condanna inflittagli, c’era anche
Leone, il vescovo di Roma. Prudentemente questi si astenne dal
prendere posizione prima di essere stato informato esaurientemente
anche da Flaviano, e infine, realizzate le contrastanti posizioni dot­
trinali, si schierò decisamente dalla parte di Flaviano, al quale, a
seguito della convocazione del concilio, indirizzò in data 13 giugno
449 una lettera di contenuto dottrinale destinata ad essere letta al
concilio, il cosiddetto Tomus ad, Flavianum, un testo teologico fon­
damentale, destinato a diventare, entro breve tempo, espressione
LETTERA DOGMATICA A FLAVIANO 4 19

ufficiale e rappresentativa della cristologia difisita calcedonese.


La tradizione teologica occidentale, che ora per la prima volta
interviene da protagonista nella controversia cristologica, era stata
sempre attenta, già con Tertulliano, e soprattutto con Agostino, a
distinguere in modo preciso le due nature presenti in Cristo, e a
questa tradizione si rifà ora Leone con una presentazione attentissi­
ma e perfettamente calibrata della tensione unità/dualità in Cristo,
in modo che ogni affermazione in un senso trovi il preciso corri­
spondente nell’altro. I concetti sono in sostanza quelli che abbiamo
rilevato in Teodoreto: due nature unite in un solo soggetto, per indi­
care il quale Leone non ha remore ad adoperare il termine persona,
già tradizionale in occidente in questo senso cristologico. Le due
nature sono unite ma non confuse, e in forza della distinzione delle
proprietà dell’una e dell’altra le azioni del Cristo incarnato si riparti­
scono in due serie, quelle che pertengono alla divinità e quelle che
Invece sono specifiche dell’umanità; in forza del principio della com­
municatio idiomatum ciò ch’è della divinità si può predicare dell’u­
manità e viceversa. E ovvio che, in questo contesto, sia ben rilevata,
contro Eutiche, l’integrità dell’umanità di Cristo, sulla base di una
serie nutritissima di testimonianze scritturistiche.
La decisione con cui Leone esclude la formula cirilliana, secondo
cui Cristo deriva da due nature ma dopo l’unione è di una sola natu­
ra, e la precisione con cui, nell’unità del soggetto, ripartisce i detti
evangelici che riguardano Cristo, fra divinità e umanità, fecero sì
che su questo testo si appuntassero in modo particolare le critiche
dei monofisiti. In effetti il Tomus di Leone venne a significare, da
parte difisita, il preciso corrispondente di quello che significavano,
per i monofisiti, gli anatematismi di Cirillo e le lettere a Succenso.
Per il Tomus leoniano seguiamo Hahn, Bibliotek der Symbole...,
pp. 321-30.

Di papa Leone, il cui episcopato (440-61) fu di importanza decisiva nella


storia del papato e del primato romano, ricordiamo qui l’azione svolta in
senso antim onofisita culminata nel concilio di Calcedonia. C i restano di lui
lettere e prediche, molte delle quali importanti sotto l’aspetto o liturgico o
storico. 11 Tomus ad Flavianum fu l ’unico testo latino che abbia veramente
influenzato la teologia orientale.

Bibliografia: T . Jalland, The Life and Times of St. Leo thè Great, London
1941; A. Grillmeier, Gesù il Cristo nella fede della Chiesa..., pp. 933-52.
D ilectissim o fratri Flaviano Leo.
1. L ectis dilectionis tuae litteris, quas m iramur fuisse tam
seras, et gestorum episcopalium ordine recensito, tandem quid
apud vos scandali contra integritatem fidei exortum fuisset,
agnovim us; et quae prius videbantur occulta, nunc nobis rese­
rata patuerunt. Q uibus Eutyches, qui presbyterii nomine ho­
norabilis videbatur, multum im prudens et nimis im peritus
ostenditur, ut etiam de ipso dictum sit a. propheta: «N o lu it
intellegere, ut bene ageret, iniquitatem m editatus est in cubili
su o » (Ps. 3 5, 4). Q uid autem iniquius, quam im pia sapere et
sapientioribus doctioribusque non cedere? Sed in hanc insi­
pientiam cadunt, qui cum ad cognoscendam veritatem aliquo
im pediuntur obscuro, non ad propheticas voces, non ad apo-
stolicas litteras nec ad evangelicas auctoritates, sed ad seme-
tipsos recurrunt; et ideo m agistri erroris existunt, quia verita­
tis discipuli non fuere. Q uam enim eruditionem de sacris novi
et veteris testam enti paginis acquisivit, qui ne ipsius quidem
Sym boli in itia com prehendit? E t quod per totum mundum
om nium regenerandorum voce deprom itur, istius adhuc senis
corde non capitur.
2 . N esciens igitur quid deberet de V erbi D ei incarnatione
Leone saluta ram atissim o fratello Flaviano.
1. Avendo letto la lettera del tuo affetto, che mi stupisco
essermi stata inviata tanto tard i1, ed esaminato il complesso di
ciò che i vescovi hanno fatto, finalmente sono venuto a sapere
quale scandalo contro l’integrità della fede sia sorto presso di
voi; e ciò che prima mi appariva oscuro, ora mi si è manifestato
in piena luce. A causa di tali fatti Eutiche, che sembrava persona
degna di onore per la dignità presbiteriale, si rivela molto impru­
dente e fin troppo inesperto, così che anche a lui si applica ciò
che ha detto il profeta; «N on ha voluto comprendere per bene
operare, e nel suo letto ha meditato l’iniquità» (Ps. 35, 4). Che
c’è infatti di più iniquo che intendere cose empie e non cedere di
fronte a chi è più dotto e sapiente? M a cadono in tale stoltezza
quelli che, impediti per qualche oscurità dal conoscere la verità,
ricorrono non alle parole dei profeti, non alle lettere degli apo­
stoli, non all’autorità dei Vangeli, bensì a sé stessi; così diventa­
no maestri dell’errore quelli che non sono stati discepoli della
verità. Che conoscenza infatti ha ricavato dalle pagine del N uo­
vo e Vecchio Testamento uno che non ha compreso neppure l’i­
nizio del Simbolo ? 2 E le parole che vengono pronunciate in
tutto il mondo dalla voce di tutti coloro che stanno per essere
rigenerati dal battesimo, non sono ancora comprese dalla mente
di questo vecchio.
2. Se infatti non sapeva che cosa pensare dell’incarnazione
422 LEONE

sentire, nec volens ad prom erendum intellegentiae lumen in


sanctarum scripturarum latitudine laborare, illam saltem com ­
munem et indiscretam confessionem sollicito recepisset audi­
tu, qua fidelium universitas profitetur «cred ere se Deum pa-
5 trem om nipotentem et in Iesum Christum filium eius unicum,
D om inum nostrum , qui natus est de Spiritu sancto et M aria
virgine». Q uibus tribus sententiis om nium fere haereticorum
machinae destruuntur. Cum enim D eus et om nipotens et p a­
ter creditur, consem piternus eidem Filius dem onstratur, in
io nullo a Patre differen s, quia de D eo D eus, de om nipotente
om nipotens, de aeterno natus est coaeternus, non posterior
tem pore, non inferior potestate, non dissim ilis gloria, non d i­
visus essentia; idem vero sem piterni genitoris unigenitus sem ­
piternus natus est de Spiritu sancto et M aria virgine. Q uae
15 nativitas tem poralis illi nativitati divinae et sem piternae nihil
m inuit, nihil contulit, sed totam se reparando homini, qui erat
deceptus, im pendit, ut et mortem vinceret et diabolum , qui
m ortis h abebat im perium , sua virtute destrueret. Non enim
superare possem us peccati et m ortis auctorem , nisi naturam
20 nostram ille susciperet et suam faceret, quem nec peccatum
contam inare nec m ors potuit detinere. Conceptus quippe est
de Spiritu sancto intra uterum m atris virginis, quae illum ita
salva virginitate edidit, quem adm odum salva virginitate con­
cepit.
25 Sed si de hoc christianae fidei fonte purissim o sincerum
intellectum haurire non poterat, quia splendorem perspicuae
veritatis obcaecatione sibi propria tenebrarat, doctrinae se
evangelicae subdidisset. E t dicente M atthaeo: «L ib e r genera­
tionis Iesu C hristi filii D avid, filii A b rah am » (Ev. Matth. 1,
30 1 ), apostolicae quoque praedicationis exp etisset instructum.
E t legens in epistola ad R om anos: «P au lu s, servus Iesu C hri­
sti, vocatus apostolus, segregatus in evangelium D ei, quod an­
te prom iserat per prophetas suos in scripturis sanctis de Filio
LETTERA DOGMATICA A FLAVIANO 423

ilei Logos di Dio e non voleva affaticarsi alle prese con l’ampiez­
za delle Sacre Scritture per procurarsi lumi d ’intelligenza, alme­
no avrebbe dovuto accogliere con sollecito ascolto quella comune
c indivisa professione di fede3, per cui tutti i fedeli affermano di
credere in Dio Padre onnipotente e in G esù Cristo, suo unico
Figlio, nostro Signore, che è nato dallo Spirito santo e da Maria
Vergine. Queste tre proposizioni distruggono le macchinazioni
di quasi tutti gli eretici. Quando infatti si crede che Dio è onni­
potente e padre, si dimostra che il Figlio gli è coeterno e in nulla
diverso dal Padre, perché è nato Dio da Dio, onnipotente da
onnipotente, coeterno da eterno, non posteriore per tempo, non
inferiore per potenza, non dissimile per gloria, non diviso per
essenza. Questo unigenito e sempiterno Figlio del sempiterno
Padre è nato dallo Spirito santo e da Maria Vergine. Questa
nascita temporale nulla ha tolto e nulla ha dato a quella nascita
divina e sempiterna, ma tutta ha mirato a restaurare l’uomo che
era stato ingannato, per vincere la morte e distruggere con la sua
efficacia il diavolo che aveva il regno della morte. Infatti noi non
avremmo potuto vincere l’autore del peccato e della morte se
non avesse assunto e fatta sua la natura umana colui che né il
peccato potè contaminare né la morte imprigionare. Perciò fu
concepito dallo Spirito santo nel seno della madre vergine, che
lo ha generato restando integra la sua verginità, così come era
restata integra quando lo aveva concepito.
Se poi non poteva attingere da questa purissima fonte della
fede cristiana una schietta comprensione, perché col proprio ac­
cecamento aveva reso oscuro a sé stesso lo splendore della mani­
festa verità, si sarebbe dovuto sottomettere alla dottrina del
Vangelo4. E dato che M atteo dice: «L ibro della generazione di
Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di A bram o» (Ev. Matth. 1,
1 ), avrebbe dovuto cercare anche i testi della predicazione apo­

stolica. E leggendo nella lettera ai Romani: «Paolo, servo di G e ­


sù Cristo, chiamato apostolo, messo a parte per il vangelo di
Dio, che aveva prima promesso per mezzo dei profeti nelle Sacre
424 LEONE

suo, qui factus est ei ex semine D av id secundum carnem » (Ep.


Rom. 1, 1), ad propheticas paginas piam sollicitudinem contu­
lisset. E t inveniens prom issionem D ei ad A braham dicentis:
« I n sem ine tuo benedicentur om nes g en tes» (Gen. 12, 3; 2 2 ,
3 18), ne de huius sem inis proprietate dubitaret, secutus fuisset
apostolum dicentem : «A b rah ae dictae sunt prom issiones et
sem ini e iu s». N o n dicit: « e t sem inibus», quasi in m ultis, sed
quasi in uno: « e t sem ini tu o », quod est C hristus (Ep. Gai. 3,
16). Isaiae quoque praedicationem interiore apprehendisset
10 auditu dicentis: « E c c e virgo in utero accipiet et pariet filium ,
et vocabunt nom en eius E m m an u el» (Is. 7, 14), quod est in­
terpretatum : «n obiscum D e u s». E iusdem prophetae fideliter
verba legisset: «P u e r natus est nobis, filius datus est nobis,
cuius potestas super humerum eius, et vocabunt nomen eius:
15 M agni consilii angelus, A dm irabilis, C onsiliarius, D eus fortis,
Princeps pacis, Pater futuri saecu li» (Is. 9, 6 ). N ec fru strato­
rie loquens ita Verbum diceret carnem factum , ut editus ute­
ro virginis C hristus haberet form am hom inis et non haberet
m aterni corporis veritatem . A n forte ideo putavit Dom inum
20 nostrum Iesum Christum non nostrae esse naturae, quia m is­
sus ad beatam M ariam sem per virginem angelus ait: «S p iritu s
sanctus superveniet in te, et virtus A ltissim i obum brabit tibi;
ideoque et quod nascetur ex te sanctum vocabitur Filius D ei »
(Ev. Lue. 1, 35)?, ut, quia conceptus virginis divini fuit ope-
25 ris, non de natura concipientis fuerit caro concepti. Sed non
ita intellegenda est illa generatio singulariter m irabilis et mi­
rabiliter singularis, ut per novitatem creationis proprietas re­
m ota sit generis. Fecunditatem enim virgini Spiritus sanctus
d edit, veritas autem corporis sum pta d e corpore est; et aedifi-
30 cante sibi sapientia dom um (Prov. 9, 1): «V erb um caro fac­
tum est, et habitavit in n o b is» (Ev. Io. 1, 14), hoc est in ea
LETTERA DOGMATICA A FLAVIANO 425

Scritture riguardo al Figlio suo, che gli è stato generato dalla


stirpe di Davide secondo la carne» (Ep. Rom. 1, 1), con pia sol­
lecitudine si sarebbe dovuto volgere ai libri dei profeti. E trova­
ta la promessa di Dio che dice ad Abramo: «N ella tua stirpe
saranno benedette tutte le genti» (Gen. 12, 3; 22, 18), per non
avere incertezze sul carattere di tale stirpe, avrebbe dovuto se­
guire l'apostolo che dice: «L e promesse sono state fatte ad Àbra­
mo e alla sua stirpe». Non dice: «alle stirpi», quasi che si trat­
tasse di molte, ma: « e alla tua stirpe», cioè una sola, che è Cristo
(Ep. Gal. 3, 16). E con l ’udito interiore avrebbe dovuto prestare
ascolto all’annuncio di Isaia che dice: «E cco, una vergine conce­
pirà e partorirà un figlio, e lo chiameranno Em manuele» (Is. 7,
14), che significa «D io con noi». Avrebbe dovuto leggere atten­
tamente queste parole dello stesso profeta: « C i è nato un bimbo,
ci è stato dato un figlio, il cui potere è sulle sue spalle, e lo
chiameranno Angelo del gran consiglio, Ammirevole, Consiglie­
re, Dio forte, Principe della pace, Padre del tempo futuro» (Is. 9,
6 ).Né, parlando in modo ingannevole, avrebbe dovuto dire che
il Logos è diventato carne in modo tale che, nato dal seno della
Vergine, Cristo avesse forma di uomo ma non la realtà del corpo
materno. O forse egli ha creduto che il signore nostro Gesù Cri­
sto non è della nostra natura, perché l ’angelo inviato alla beata
Maria sempre vergine le ha detto: « L o Spirito santo verrà su di
te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà; perciò ciò che santo
nascerà da te sarà chiamato Figlio di D io » (Ev. Lue. 1, 35)?’ ,
quasi che, essendo stata opera divina la concezione della Vergi­
ne, la carne di colui ch’è stato concepito non è stata della natura
di colei che lo aveva concepito. M a non bisogna intendere quella
generazione singolarmente mirabile e mirabilmente singolare in
modo tale che la novità della creazione avrebbe rimosso la pro­
prietà caratteristica del genere. Infatti lo Spirito santo ha dato
alla Vergine la fecondità, ma la realtà del corpo fu tratta dal
corpo; e poiché la Sapienza si costruiva una casa (Prov. 9, 1), «il
Logos si è fatto carne ed ha abitato fra n o i» (Ev. Io. 1, 14), cioè
426 LEONE

carne, quam assum psit ex homine, et quam spiritu vitae ra­


tionalis anim avit.
3. Salva igitur proprietate utriusque naturae et sub
tiae, et in unam coèunte personam , suscepta est a m aiestate
5 hum ilitas, a virtute infirm itas, ab aeternitate m ortalitas; et ad
resolvendum conditionis nostrae debitum natura inviolabilis
naturae est unita passibili, ut, quod nostris rem ediis congrue­
bat, unus atque idem m ediator D ei et hominum (1 Ep. Tim.
2, 5), hom o Iesus Christus, et mori posset ex uno et mori non
10 posset ex altero. In integra ergo veri hom inis perfectaque
natura verus natus est D eus, totus in suis, totus in nostris.
N o stra autem dicim us, quae in nobis ab initio creator condi­
dit et quae reparanda suscepit. N am illa, quae deceptor intu­
lit et homo deceptus adm isit, nullum habuerunt in salvatore
15 vestigium . N ec quia communionem hum anarum subiit infir­
m itatum , ideo nostrorum fuit particeps delictorum . A ssum ­
psit form am servi sine sorde peccati, hum ana augens, divina
non m inuens, quia exinanitio illa, qua se invisibilis visibilem
praebuit et creator ac dom inus omnium rerum unus voluit
20 esse m ortalium , inclinatio fu it m iserationis, non defectio po­
testatis.
Proinde qui m anens in form a D ei fecit hominem, idem in
form a servi factus est homo. T enet enim sine defectu pro-
prietàtem suam utraque natura; et sicut form am servi D ei
25 form a non adim it, ita form am D ei servi form a non minuit.
N am quia gloriabatur diabolus hominem sua fraude deceptum
divitiis caruisse m uneribus, et im m ortalitatis dote nudatum
duram m ortis subiisse sententiam , seque in malis suis quod­
dam de praevaricatoris consortio invenisse solatium; Deum
30 quoque, iustitiae exigente ratione, erga hom inem, quem in
tanto honore condiderat, propriam m utasse sententiam , opus
LETTERA DOGMATICA A FLAVIANO 427

in questa carne che ha assunto dall’uomo ed ha animato col sof­


fio della vita razionale.
3. Poiché dunque restano integre le proprietà di ambedue
nature e sostanze e confluiscono in una sola persona6, dalla mae­
stà è stata assunta l’umiltà, dalla forza la debolezza, dall’eternità
la mortalità; e per pagare il debito della nostra condizione umana
la natura inviolabile si è unita alla natura passibile, sì che - come
era conveniente per il nostro risanamento - l’unico e stesso me­
diatore fra D io e gli uomini7, l’uomo Gesù Cristo (1 Ep. Tim. 2,
5), potesse morire secondo una condizione e non potesse morire
secondo l’altra. Perciò nell’integra e perfetta natura di un vero
uomo è nato il vero Dio, completo nelle sue proprietà e completo
nelle nostre. M a diciamo nostre quelle che dall’inizio il Creatore
ha creato in noi e che ha assunto per restaurarle®, perché quelle
che vi ha immesso l’ingannatore e che l’uomo ingannato ha ac­
colto, non hanno avuto alcun posto nel Salvatore. N é per il fatto
di essersi assoggettato a partecipare delle nostre debolezze, per
questo è stato partecipe dei nostri peccati. H a assunto la forma
dello schiavo senza macchia di peccato, accrescendo le facoltà
umane senza diminuire quelle divine, perché l’annientamento
per cui l’invisibile si è reso visibile e il creatore e signore di tutte
le cose ha voluto essere uno dei mortali, è stato abbassamento
dovuto alla sua misericordia, non perdita della sua potestà.
Perciò chi, essendo nella form a di Dio, ha creato l’uomo,
questo stesso si è fatto uomo nella forma di schiavo. Infatti l’una
c l’altra natura mantengono senza difetto la loro proprietà, e
come la forma di Dio non toglie via la forma di schiavo, così la
forma di schiavo non diminuisce la forma di Dio. Infatti il dia­
volo si vantava che l’uomo ingannato dalla sua frode era stato
privato dei doni divini e, privato dell’immortalità, era stato as­
soggettato alla dura sentenza della morte, così che egli nei suoi
mali aveva provato un certo sollievo per la comunanza di destino
dell’uomo peccatore; e da parte sua Dio, in forza della giustizia
che esigeva riparazione, aveva mutato la propria sentenza nei
428 LEONE

fuit secreti dispensatione consilii ut incomm utabilis D eus,


cuius voluntas non potest sua benignitate privari, prim am er­
ga nos pietatis suae dispositionem sacram ento occultiore com ­
pleret, et homo diabolicae iniquitatis versutia actus in culpam
contra D e i propositum non periret.
4. Ingreditur ergo haec m undi infim a Filius D ei, de cae
sti sede descendens et a paterna gloria non recedens, novo
ordine, nova nativitate generatus. N ovo ordine, quia invisibi­
lis in suis visibilis factus est in nostris, incomprehensibilis vo ­
luit com prehendi, ante tem pora manens esse coepit ex tem ­
pore, universitatis dom inus servilem form am obum brata
m aiestatis suae im m ensitate suscepit, im passibilis D eus non
dedignatus est hom o esse passibilis et im m ortalis mortis legi­
bus subiacere. N o v a autem nativitate generatus, quia inviola­
ta virginitas concupiscentiam nescivit, carnis m ateriam m ini­
stravit. A ssum pta est de m atre Dom ini natura, non culpa; nec
in D om ino Iesu C hristo ex utero virginis genito, quia nativi­
tas est m irabilis, ideo nostri est natura dissim ilis. Q ui enim
verus est D eus, idem verus est homo; et nullum est in hac
unitate m endacium , dum invicem sunt et hum ilitas hominis
et altitudo d eitatis. Sicut enim D eus non m utatur m iseratio­
ne, ita homo non consum itur dignitate. A git enim utraque
form a cum alterius communione quod proprium est, Verbo
scilicet operante quod V erbi est, et carne exequente quod
carnis est. Unum horum coruscat m iraculis, aliud succumbit
iniuriis. E t sicut Verbum ab aequalitate paternae gloriae non
recedit, ita caro naturam nostri generis non relinquit.
U nus enim idem que est, quod saepe dicendum est, vere
D ei filius et vere hom inis filius. D eus per id quod « in princi-
LETTERA DOGMATICA A FLAVIANO 429

confronti dell’uomo, che aveva creato in così onorifica condizio­


ne. Perciò per l’economia del nascosto consiglio divino si è reso
necessario che Dio immutabile, la cui volontà non può essere
priva della sua bontà, realizzasse il primitivo disegno della sua
benevolenza nei nostri confronti con mistero ancora più nasco­
sto, perché l’uomo, spinto alla colpa dall’astuzia malvagia del
diavolo, non perisse contro la volontà di Dio.
4. Viene perciò in questa infima parte del mondo il Figlio
Dio, discendendo dalla sede celeste ma senza allontanarsi dalla
gloria del Padre, generato in modo nuovo e con nascita nuova.
In modo nuovo, perché invisibile nelle sue proprietà si è reso
visibile nelle nostre, inconoscibile si è fatto conoscere, esistendo
da prima dei tempi ha cominciato ad esistere nel tempo, signore
di tutto ha ricevuto la forma di schiavo mettendo in ombra l’im­
mensità della sua maestà, Dio impassibile non ha disdegnato di
essere uomo passibile e di assoggettarsi, egli immortale, alle leggi
della morte. È stato generato con nuova nascita, perché la vergi­
nità inviolata non ha conosciuto la concupiscenza, ma ha fornito
solo la materia della carne. Dalla madre il Signore ha assunto la
natura, non la colpa9, e nel signore Gesù Cristo nato dal seno
della Vergine, non perché la nascita è mirabile, per questo la
natura è dissimile dalla nostra. Infatti chi è vero Dio, questo
stesso è vero uomo, e nulla di falso c’è in questa unità, perché
sono in reciproco rapporto la bassezza dell’uomo e l’altezza della
divinità. Come infatti Dio non cambia per misericordia, così
l’uomo non viene annullato dalla dignità divina. Infatti entram­
be le forme, una con la partecipazione dell’altra, operano ciò che
è proprio di ognuna, in quanto, cioè, il Logos opera ciò che è del
Logos e la carne fa ciò che è della carne. Uno dei due risplende
di miracoli, l ’altra soccombe alle ingiurie. £ come il Logos non
perde l’uguaglianza della gloria paterna, così la carne non abban­
dona la natura del nostro genere10.
Infatti, come dobbiamo spesso ripetere, uno solo e lo stesso è
realmente Figlio di Dio e realmente Figlio dell’uomo. Dio, in
430 LEONE

pio erat Verbum , et Verbum erat apud D eum , et Deus erat


V erb u m » (Ev. Io. 1, 1); homo per id quod «V erbum caro
factum est, et habitavit in n o b is» (Ev. Io. 1, 14). Deus per id
quod «o m n ia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est
5 n ih il» (Ev. Io. 1 , 3), homo per id quod «fa ctu s est ex muliere,
factus sub leg e» (Ep. Gai. 4, 4). N ativitas carnis m anifestatio
est hum anae naturae; partus virginis divinae est virtutis indi­
cium. Infantia parvuli ostenditur hum ilitate cunarum; m agni­
tudo A ltissim i declaratur vocibus angelorum. Sim ilis est rudi-
io m entis hominum, quem H erodes im pie m olitur occidere; sed
Dom inus est omnium, quem M agi gaudent suppliciter adora­
re. Iam cum ad praecursoris sui Iohannis baptism um venit, ne
lateret quod carnis velam ine divinitas tegeretur, vox Patris de
coelo intonans d ixit: « H ic est filius meus dilectus, in quo
15 mihi bene com placui» (Ev. Mattb. 3, 17).
Q uem itaque sicut hominem diabolica tentat astutia, ei­
dem sicut D eo angelica fam ulantur officia. Esurire, sitire, las­
sescere atque dorm ire evidenter hum anum est. Sed quinque
panibus m ilia hom inum satiare et largiri Sam aritanae aquam
2o vivam , cuius haustus bibenti praestet ne ultra iam sitiat, su­
pra dorsum m aris plantis non desidentibus am bulare et elatio­
nes fluctuum increpata tem pestate consternere, sine am bigui­
tate divinum est. Sicut ergo, ut multa praeteream , non eius­
dem naturae est flere m iserationis affectu amicum mortuum,
25 et eundem rem oto quatriduanae aggere sepulturae ad vocis
im perium excitare redivivum ; aut in ligno pendere, et in noc­
tem luce conversa om nia elem enta trem efacere; aut clavis
transfixum esse, et paradisi portas fidei latronis aperire; ita
non eiusdem naturae est dicere: « E g o et Pater unum sum us»
30 (Ev. Io. 10, 30), et dicere: «P a te r m aior me e s t» (Ev. Io. 14,
28). Q uam vis enim in Dom ino Iesu C hristo D ei et hominis
LETTERA DOGMATICA A FLAVIANO 431

quanto «in principio era il Logos, e il Logos era presso Dio e il


Logos era D io » (Ev. Io. 1, 1); uomo, in quanto «il Logos si è
fatto carne ed ha abitato fra n o i» (Ev. Io. 1, 14). Dio, in quanto
«tu tto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato
fa tto » (Ev. Io. 1, 3); uomo, in quanto « è nato da donna, nato
sotto la L egge» (Ep. Gal. 4, 4). La nascita della carne è manife­
stazione della natura umana, ma il parto di una vergine è segno
di potenza divina. L ’infanzia del piccolo è manifestata dall’umil­
tà della culla, ma la grandezza dell’Altissimo è dichiarata dalle
voci degli angeli. E simile agli uomini che sono alle prime prove
colui che Erode empiamente cerca di uccidere, ma è Signore di
tutti colui che i Magi godono di adorare supplichevolmente. Già
quando viene al battesimo di Giovanni, il suo precursore, perché
non restasse nascosto che dal velo della carne era ricoperta la
divinità, tonando dal cielo la voce del Padre disse: «Q uesto è il
mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto» (Ev. Matth.
3, 17).
Colui che come uomo è tentato dall’astuzia del diavolo, come
Dio è servito dall’assistenza degli angeli. Aver fame e sete, esse­
re stanco e dormire evidentemente è umano. M a saziare migliaia
di uomini con cinque pani e dare alla Samaritana l’acqua viva i
cui sorsi fanno sì che chi beve non abbia più sete, camminare
sulla superficie dell’acqua senza che i piedi sprofondino e far
abbassare i flutti altissimi rimproverando la tempesta, tutto ciò
senza alcun dubbio è divino. Perciò, per tacere molti altri esem­
pi, non è della medesima natura piangere con compassionevole
affetto l’amico morto e risuscitarlo al comando della voce rimuo­
vendo il peso di una sepoltura di quattro giorni, o essere appeso
al legno e far tremare tutti gli elementi cambiando la luce in
tenebra, o essere trafitto dai chiodi e aprire alla fede del ladrone
le porte del paradiso. Allo stesso modo non è della medesima
natura dire: « Io e il Padre siamo una cosa so la» (Ev. Io. 10, 30),
e dire: « I l Padre è maggiore di m e» (Ev. Io. 14, 28). Benché
infatti nel signore Gesù Cristo una sola è la persona del Dio e
432 LEONE

una persona sit, aliud tam en est unde in utroque communis


est contum elia, aliud unde com munis est gloria. D e nostro
enim illi est m inor Patre hum anitas; de Patre illi est aequalis
cum Patre divinitas.
5. Propter hanc ergo unitatem personae in utraque nat
intellegendam et filius hom inis legitur descendisse de caelo,
cum Filius D ei carnem de ea virgine, de qua est natus, as­
sum pserit, et rursus Filius D ei crucifixus dicitur ac sepultus,
cum haec non in divinitate ipsa, qua U nigenitus consempiter-
nus et consubstantialis est P atri, sed in naturae humanae sit
infirm itate perpessus. Unde unigenitum Filium D ei crucifi­
xum et sepultum om nes etiam in Sym bolo confitem ur secun­
dum illud apostoli: « S i enim cognovissent, numquam D om i­
num m aiestatis cru cifixiss