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Un pregiudizio è che tutto ciò che si sviluppa nel periodo medievale sia sotto l’egida della
teologia (studiare filosofia medievale non è studiare la teologia cristiana)
è buona un’ottica in cui non esiste un medioevo: ne esistono almeno tre, uno latino
incentrato nell’Europa, uno greco bizantino, che si esprime in una lingua differente, ma
anche un medioevo arabo, che dal 622 è una presenza importante nel panorama culturale di
quei secoli (già da qua capiamo che è riduttivo parlare solo di medioevo cristiano,
essendocene stato anche uno musulmano)
Epoca in cui il pensiero si è sviluppato sulla spinta di istanze che affondano le loro radici
nella religione, non necessariamente però quella cristiana
Non è la prima volta che ciò accade, anche nell’epoca tardo antica c’era un’influenza della
sfera religiosa
bisogna prendere atto delle istanze religiose che sottostanno al pensiero di questi autori
senza che queste siano il fulcro centrale dell’indagine, le loro dottrine possono essere
sollecitate da riflessioni religiose ma non si può ridurre tutto a questa prospettiva, l’istanza
teologica fa parte di un insieme filosofico più ampio
spesso si riassume il tutto con due problemi principali (conflitto tra ragione e fede, filosofia
medievale sarebbe letta come tentativo artificioso di far andare d’accordo questi due aspetti,
e il problema degli universali)
perché gli autori sono cristiani? in quei secoli non c’è un’altra agenzia informativa e culturale,
l’unica istituzione che si premura di insegnare qualcosa è la Chiesa, questo vale fino almeno
alla nascita dei comuni, in cui sorge l’esigenza di avere delle scuole anche per saperi pratici
non va visto come un difetto, la Chiesa nella quotidianità sul territorio si occupa di insegnare
i rudimenti del sapere (fino ad arrivare poi all’apice, ovvero la teologia) e di alfabetizzare
idea di necessità di tramandare un patrimonio di cultura, sentita in quanto si pensava che la
verità fosse una sola
in Cristo si è data tutta la verità che Dio ha rivelato all’uomo: se tutta la verità si è
manifestata in quella persona e in quel momento, c’è una verità, e qualora si presenti sotto
altri aspetti, essa è sempre emanazione di quell’unica verità
il risultato storico di questa concezione è stata la possibilità per l’Europa di rinascere dopo i
barbari, la chiesa cristiana del Medioevo ha portato avanti la cultura europea
Non c’è un conflitto tra fede e ragione, o persone plagiate dalla chiesa che scoprono poi con
la filosofia un contrasto, ma persone che hanno imparato ad amare la cultura e la filosofia
all’interno di una prospettiva credente, una ragione che nasce all’interno di una fede
G.S.E Omelia sul quarto vangelo (è il più filosofico, in principio ricorda il libro della Genesi)
dopo resurrezione di Gesù, Pietro e Giovanni corrono al sepolcro
per Giovanni Scoto Eriugena c’è lettura allegorica:
- Giovanni l’evangelista rappresenta la ragione, la capacità dell’uomo di pensare e di
comprendere il reale
- Pietro è il simbolo della fede
entrambi corrono verso la stessa meta, lo stesso sepolcro, la resurrezione è la pienezza
della rivelazione della verità
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la ragione va più veloce ma si deve fermare, la fede arriva prima alla rivelazione della verità
se prima non avrete creduto, non potrete comprendere (Isaia): sintesi di fede cristiana e
ragione filosofica
la fede dà conoscenza più fondamentale della verità, ci dice in che direzione dirigerci verso
la verità, ma la ragione deve collaborare e verificare
la relazione tra fede e ragione non è conflittuale, la verità si dà in un dato che va creduto, e
credendo in quel dato è necessario pensarci
il dato di fede non è autoesplicativo, anzi è necessario rifletterci e che la ragione lo vagli
complementarietà dialettica, completarsi di due forme di sapere che non dicono sempre la
stessa cosa ma che tendono per loro natura nella medesima direzione- sancita da Agostino
di Ippona ne La vera religione: la vera filosofia è la vera religione, e reciprocamente la
vera religione è la vera filosofia
la fede ha bisogno della ragione per essere compresa e la ragione ha bisogno della fede per
funzionare bene e ricevere un orientamento ottimale
la vera filosofia accoglie il dato di verità con Gesù cristo, e la vera religione cerca una
spiegazione per quel dato di fede, questo accade perché la verità non è mai contraria alla
verità (Pietro Abelardo)
la fede rischia di rimanere inautentica se non è accompagnata da una comprensione delle
parole della Rivelazione con l’intervento della ragione, che però non deve pretendere di
fornire giudizi sulla veridicità
Agostino, Epistola a Consenzio, 410: ragione deve essere attivata sia prima dell’atto di fede,
per giustificarlo, sia dopo, per consolidarlo
medioevo filosofico inizia a finire quando la convinzione di questa consonanza tra dato di
fede e riflessione razionale si incrina: finisce idea portante, la ragione come necessario
complemento di fede religiosa
Le verità dissonanti, la filosofia alla fine del medioevo: libro di Luca Bianchi e Eugenio Randi
l’uomo è fatto per pensare, nella Bibbia si chiede innumerevoli volte di riflettere
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da Agostino in poi chiara idea di accogliere del pensiero antico ciò che meglio si armonizza
con la fede, e che può aiutare nella comprensione del dato rivelato
Girolamo sogna che Cristo lo rimprovera di essere più ciceroniano che cristiano
un’immagine adottata dai medievali per spiegare questa possibile appropriazione è quella
dell’ancella
nella Genesi: Abramo riceve da Dio una discendenza numerosa come le stelle del cielo, ma
la moglie Sara è anziana, quindi prende una schiava, Agar, per avere dei figli da lei (per i
greci era essenziale la discendenza, sopravvivere è avere dei figli)- Sara alla fine è gelosa,
Agar e figlio Ismaele costretti ad allontanarsi
dicono che pensiero pagano è come Agar, abbracciata da Abramo ma che rimane
sottomessa alla vera moglie, Sara- sapiente cristiano deve ricordarsi che questa verità è di
ordine inferiore, va trattata con prudenza
anche norma mosaica di radere capo e cambiare abiti alla schiava da sposare: purificare
scienza pagana da aspetti superflui
altra immagine citata è quella degli israeliti che rubano oro di egiziani: filosofo cristiano può
appropriarsi di sapienza antica ma non per farne un idolo, ma per continuare ad attingere
alle fonti della verità e della rivelazione e comprenderle
il rapporto di pensatori cristiani con sapere pagano è pacifico, atteggiamento che accoglie
molto ma prevede anche una cernita
nella sintesi tra sapienza cristiana e il meglio che si può ereditare dalla sapienza pagana si
costituisce la sana doctrina, che è l’insieme del dato rivelato, della sua interpretazione e di
tutto il meglio dall’antichità
la sana doctrina è tale in quanto una e indiscutibile, è compiuta in tutte le sue parti grazie
all’origine divina
lo stesso farà Severino Boezio (Consolatio Philosophiae), dice di aver incontrato la filosofia,
personificata, che ha un capo bellissimo ma con degli strappi in basso, causati dai piccoli
filosofi pagani che hanno tentato di tirarla dalla loro parte strappando dei lembi della sua
veste, senza cogliere la pienezza della verità che si dà solo nell’interezza della veste
per capire accoglienza e selezione del patrimonio antico è importante anche la figura di
Plotino: ha cercato di stabilire filosofia puramente razionale, la sua filosofia è
intellettualistica, non lascia spazio a religiosità, ma la posterità apre una breccia
nell’intellettualismo plotiniano con istanze religiose
Proclo ha elaborato la dottrina di diverse forme di conoscenza:
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- il senso, aisthesis
- la ragione dialettica, dianoia, è una ragione discorsiva, progredisce da premesse a
conclusioni
- intelletto, coglie verità con intuizione diretta, immediata e totale
per pensatori cristiani questo è un buon modello per spiegare una differenza fondamentale: i
filosofi pagani si sono limitati ad usare la ragione discorsiva, a produrre ragionamenti con la
pretesa che questi fossero perfetti come quelli raggiungibili invece solo con il nous, entrando
in sentieri che li hanno portati a contraddirsi gli uni con gli altri
filosofia può e deve contribuire alla verità e può ereditare dal patrimonio antico tutto ciò che
l’aiuta in questo percorso
rispetto ai neoplatonici, i cristiani possono spiegare la scelta di porre sapienza umana al di
sotto dell’intelligenza divina (accessibile a tutti grazie alla rivelazione scritturale) chiarendo
che in questo modo la ragione dianoetica non rischia più di contaminare la purezza
dell’intuizione superiore adeguandola alle proprie possibilità espressive
quindi sana doctrina è sapere che nasce dalla rivelazione, elaborato razionalmente e che si
nutre di acquisizioni dal patrimonio antico in una concezione estremamente sistematica: le
scuole filosofiche pagane medio e neoplatoniche si sono costituite su curriculum di studi
rigido e ben determinato (medioplatonismo studio ordinato e sequenziale di alcuni dialoghi
platonici, tradizione esegetica e interpretativa, leggere e commentare i dialoghi- in Platone
tutta la verità, stessa idea con i cristiani nei confronti di Cristo)
genere del commentario filosofico è stato genere tipico di secoli di filosofia, con il
neoplatonismo molti commenti anche ad Aristotele
ultimi secoli di filosofia pagana: tutta la verità è reperibile nei dialoghi platonici (un ruolo
importante è attribuito anche appunto ad Aristotele) e si esprime grazie ai commenti:
i cristiani traslano questo nella loro ottica, adattano alle loro esigenze un modo di fare
filosofia già codificato, fare filosofia diventa commentare la Bibbia, il testo che contiene tutta
la verità, non è approccio sterile ma desiderio di continuare a riferirsi continuamente a quella
verità commentando e comprendendo profondamente i testi in cui essa si manifesta
il sapere deve darsi in modo sistematico, Hegel ultimo frutto di concezione totalizzante e
sistematizzante della filosofia- tramite il medioevo questa concezione è arrivata alla
modernità
filosofia cristiana del medioevo si presenta come sapere compiuto e sistematico per
spiegare il reale, e porta con sè la possibilità di recuperare tutta la realtà in una
giustificazione globale dell’essere, visibile e invisibile
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in questo secolo ci sono eresie, ma anche già nel II con lo gnosticismo
appellarsi al principio di tradizione richiede di precisare che cosa faccia parte a pieno titolo
della stessa tradizione e in essa quali siano le figure autorevoli
per i pensatori cristiani tali figure sono i Padri della Chiesa, che dal II al V secolo hanno
iniziato ad indagare razionalmente la Rivelazione presentata nei Vangeli
con il tempo anche questa tradizione si frastaglia
il criterio che i pensatori cristiani assumono allora per testare la bontà e la genuinità di ciò
che giunge loro dal passato è l’universalità, l’essere catholicum: appartiene alla vera
tradizione ciò su cui tutti i testi e i padri della chiesa erano d’accordo
Vincenzo di Lèrins, Commonitorium, V secolo: è vero “tutto e soltanto ciò che è stato creduto
dovunque, sempre e da tutti”
i Padri della Chiesa dicono verum cum vero consonat, il vero è consonante con il vero: non
sempre è uno e univoco ma tutta la verità deve essere consonante, deve esserci un
consenso che mostra armonia tra concezione di testi e padri e dato tradizionale
principio del consensus unanimis Patrum:
ogni progresso speculativo accolto se in armonia con insegnamento dei Padri, che si
configura come le prima attendibile chiarificazione esplicativa della Rivelazione
principio del magisterium Ecclesiae:
ogni progresso speculativo accolto se in armonia con insegnamento della tradizione
ecclesiastica universale
l’unanimitas del mondo cristiano deve essere fondata su scrittura e tradizione
fine del medioevo filosofico, fine di idea portante che verità sia armonizzabile con verità
originaria attraverso la mediazione di una tradizione
una ragione per cui pensiero medievale è mal visto: Voltaire critica idea di tradizione, per lui
segno di povertà e acriticità di un sapere
da illuminismo in poi concetto di tradizione connotato negativamente
possiamo dire che pensiero di umanità è in gran parte tradizionale, costruiamo il nuovo su
un patrimonio già dato
il fatto che tutto ciò che non è tradizionale sia migliore è un pregiudizio altrettanto ingenuo
anche oggi ci basiamo su tradizione per capire cosa sia filosofico e cosa no, il dissenso può
nascere più facilmente in merito ai criteri con cui si stabilisce la linea della tradizione
idea di tradizione come asse portante per riflessione razionale è ancora essenziale nel modo
di fare filosofia, è il presupposto essenziale
riflessione razionale che si erge sul dato rivelato ha come prima fonte la Scrittura, e come
seconda fonte la tradizione
opere di filosofia medievale coese nel rimandare costantemente a un patrimonio di passi
biblici abbastanza limitato e circoscritto
la letteratura medievale è percorsa da continue citazioni (per reperire conferme e come
spunto argomentativo)
medioevo ha quantità di auctoritates non eccessivamente ampia
anche all’interno di letteratura di Padri della Chiesa i testi che vengono citati non sono così
numerosi
il pensiero medievale è un pensiero ostinatamente esegetico, espresso in libri che partono
da citazione di altri libri (non è una novità del medioevo, ma è ereditato dal modo di fare
filosofia del medio e neoplatonismo)
per assicurare l’autorevolezza dei Padri era stato redatto un canone (documento
erroneamente attribuito a papa Gelasio I del V sec, De libris recipiendis et non recipiendis,
con elenco di testi patristici necessari e adeguati)
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quando diciamo Bibbia diciamo l’Antico testamento nella traduzione latina di san Girolamo,
la Vulgata, e per noi oggi anche l’Antico Testamento tradotto in lingua greca della tradizione
dei Settanta- la Settanta è stata redatta prima della venuta di Cristo, la leggenda è che 72
traduttori incaricati di tradurre l’antico testamento lo fecero chiusi in 72 stanze diverse e al
termine per influsso divino le traduzioni erano perfettamente coincidenti: mostra idea di
verità che si impone e che sia unica, e che precede medioevo latino
tutto ciò richiede ai medievali di fare una riflessione sul linguaggio: incarnazione, morte e
resurrezione di cristo è espressa dal linguaggio:
come fa il linguaggio umano ad esprimere una verità divina?
per i medievali non può, l’imperfezione naturale della lingua degli uomini non permette di
rendere ragione pienamente dell’inesauribile portata della verità perfetta
risposta formulata da pseudo Dionigi Areopagita, nel trattato sui Nomi divini: esistono due
diverse teologie, poi superate e sintetizzate ad un ulteriore livello, basate su diverse
modalità di usare il linguaggio nella narrazione della Rivelazione divina:
- affermativa o catafatica, ovvero teologia che predica del divino tutto ciò che di esso è
dato a noi predicare- attributi riferibili a Dio sono quelli che ci sono nei libri sacri, ad
esempio il fatto che sia giusto, buono
- ma il nostro linguaggio è limitato mentre Dio è totalmente trascendente- nella
tradizione neoplatonica c’è tensione tra dicibile e indicibile, consapevolezza di
ineffabilità del primo principio metafisico, impossibilità di ridurlo alle nostre categorie
linguistiche
consapevoli di questa limitazione serve teologia apofatica, negativa (o del silenzio):
non predica di Dio determinazioni affermative, ma solo date per negazione: ad
esempio dicendo che dio non è corpo, ma anche che non è giusto (parabola del
figliol prodigo, Dio è più misericordioso che giusto), racconto di Matteo con giudizio
universale (è buono ma non è solo buono, perché poi i cattivi vengono mandati
all’inferno)
la teologia affermativa è nel giusto quando predica certe qualità di Dio, ma deve
considerare impossibilità del linguaggio umano di rendere ragione e esprimere
l’infinità del Dio, deve essere temperata dalla teologia negativa, che neghi di dio
quelle stessa qualità che la prima gli riferiva
Dionigi ricompone le due teologie nella teologia superlativa o mistica: Dio è super giusto-
uper- ovvero è giusto in un modo che supera totalmente le mie capacità di comprendere in
fondo che cosa significhi essere giusto, è buono in un modo che le mie capacità linguistiche
e di comprensione non sanno pienamente sondare
questa tripartizione ripropone in termini religiosi la moltiplicazione procliana dei piani
conoscitivi: sana doctrina è alimentata da una tensione ascensionale, dall’apice della verità
torna a calarsi sul piano dianoetico e si organizza in forme espressive
Padri, Scritture e tradizione veicolano la verità di Dio con un linguaggio del quale non
possiamo fare a meno, ma di cui non possiamo non riconoscere i limiti, quindi lo si usa
ricordando che il significato va un po’ trasformato quando è riferito al divino
sapere in cui il vero è consonante con il vero si riflette nel concetto medievale di
Christianitas: insieme di tutti coloro che nei secoli e nei diversi luoghi si riconoscono nell’idea
della rivelazione e resurrezione di cristo
monaco Ilduino compie prima traduzione latina dei testi pseudo dionisiani e fa coincidere
Dionigi areopagita con un vescovo di Parigi morto nel III secolo: consacra legame che
congiunge christianitas carolingia e radici apostoliche della religione, assicurandone
l’autenticità
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medioevo consegna visione coesa di verità, che porta con sè visione coesa del mondo
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proprio perché nella creazione c’è creatore, essa è destinata a rivolgersi nuovamente a lui
la dipendenza del creato da una libera scelta divina implica che la sua esistenza non sia nè
eterna nè necessitata, consente di ipotizzare dunque un ritorno universale di tutte le cose al
principio
il male non è spiegato da cristiani come Plotino, che in certi passi sembra legare il male alla
materia, anche se è questione che rimane aporetica: essa infatti fa parte della creazione, è
ciò che Dio mette nella realtà per farla essere creatura, in una tensione positiva con lui
stesso
il male non ha sussistenza reale ma sarebbe una riduzione della perfezione divina nei gradi
di derivazione dell’essere
si spiega così il loro ottimismo metafisico: il mondo creato è radicalmente buono, ragione
scritturistica: al termine di ognuno dei sei giorni dio vede che è cosa buona, procedendo nel
processo creativo la bontà pare addirittura aumentare
dato metafisico: realtà come creatura distinta da creatore per volontà libera del creatore
stesso, metafisica dell’ordine
perché ha creato? per realizzare nella creazione disegno di perfezionamento che culminava
con ritorno in dio stesso
è vero che ci sono state dottrine dualistiche, manichei catari e flagellanti, Pier Damiani in XI
secolo esprime con chiarezza idea di infinita miseria di tutto ciò che è materiale, ma sono
stati dei momenti
se tutto ciò che è, è buono, come gli autori cristiani concepiscono il male?
il male rimane dal punto di vista metafisico un’eccezione in un ordinamento del mondo che è
costitutivamente buono
oltre a scrittura e tradizione, altro binomio tipico di medioevo
binomio tra natura e scrittura
ricorda Galileo Galilei, che non a caso infatti aveva studiato dai gesuiti a Pisa, dice che dio
ha scritto il mondo in due libri, la scrittura e la natura
come Dio ha voluto rivelarsi nel linguaggio nella scrittura, così ha voluto rivelarsi nella
materia nella natura
il medioevo ereditando molto neoplatonismo eredita anche aspetti di pitagorismo (esempio
Giamblico vi era legato)
attenzione a numerologia: la natura riflette la divina dispositio
qual è il rapporto che filosofi medievali pongono tra dio e natura? commento al Timeo di
Platone di Calcidio, filosofo spagnolo che nel IV secolo scrive traduzione latina
si dice a buon diritto che nel medioevo il platonismo è dappertutto e Platone da nessuna
parte- effettivamente nel medioevo si è letta tradizione neoplatonica ma come testi di
platone solo timeo e parte di Fedone
cerca di cristianizzare dottrine di Platone presenti nel Timeo e i principi metafisici:
- il demiurgo come Dio padre che presiede alla creazione
- gli esemplari sono il logos, ovvero le idee presenti nella mente divina
- materia fatta coincidere con le creature, non più con ciò che preesiste
l’anima cosmica si traduce nella presenza universale e vivificante dello Spirito Santo
con Calcidio avviene slittamento fondamentale per filosofia medievale, le idee vengono
poste nella mente divina e sono ciò attraverso cui dio regge il mondo: egli conosce il mondo
perché ne possiede gli esemplari perfetti
nella tradizione medievale poi si parla di idee derivate, a partire da Bernardo di Chartres
chiamate forma native, ovvero forma generate e generanti insieme
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aporie del Parmenide: come fa idea a unificare il molteplice essendo separata dal mondo,
nel Sofista si cerca nuovo modo di presentare la mediazione con la dottrina dei generi
sommi
anche i medievali hanno problema di passaggio da idea in mente divina a realtà materiale: lo
fanno recuperando idea di cascata gerarchica dell’essere- pseudo-dionigi ma anche “albero
di Porfirio”- da idee divine a idee mediate, che non hanno materia ma sono predisposte ad
inverarsi e costituire realtà materiali
altra opera importante per inizio di elaborazione su struttura del cosmo è commento al
sogno di Scipione, parte finale VI e ultimo libro di De republica di Cicerone- riguarda
problema di reincarnazione delle anime- di Macrobio, un erudito pagano: vede nella vicenda
il paradigma della vicenda individuale dell’anima, che nasce con originaria perfezione
conoscitiva ed è destinata a ritornare a quella perfezione con percorso di ascesi purificatrice
apporti del neoplatonismo mediato dagli arabi (che conoscono Platone e Aristotele meglio e
prima di autori latini) da IX secolo con Avicenna visioni del mondo in cui il creato è discesa
gerarchica ordinata destinata a tornare al creatore
anche platonismo ebraico di Avicebron contribuisce ad arricchire questa descrizione del
cosmo (si è parlato di platonismi comunicanti)
la Bibbia si costituisce presto in un canone, i 73 libri sono il risultato di una selezione storica
c’è letteratura intertestamentaria, ovvero libri con temi affini ma che non sono entrati nel
canone delle Scritture- ad esempio racconto di ribellione di Lucifero si esprime nel libro di
Enoch, scritti durante ultime propaggini di stesura di antico testamento, e non rientrano
lettera di Giuda (non Iscariota) nel nuovo testamento entrata nel canone perché ci dice che
da molto tempo c’erano lettere paoline, anche se non ha grande contenuto teologico
didaske: padre nostro come preghiera fondamentale e testimonianza su comportamenti di
cristiani nel mondo
dottrina di ispirazione che cerca di dare ragione della presenza di alcuni testi nel canone
piuttosto che di altri
in ogni caso dal IV secolo Bibbia fissata in un canone definito e costituito da 73 libri
considerati come ispirati da Dio
autori medievali hanno avuto buona consapevolezza di presenza importante di aspetti umani
e storici nella bibbia, scritta da autori umani, sapevano che libri avevano periodi di
composizione diversi e che avevano storie redazionali
medioevo aveva consapevolezza di storicità della bibbia, anche se certamente medioevo
latino non aveva strumenti per indagare ciò
questa è differenza enorme con il Corano e modo di intendere il testo sacro da parte
dell’islam: arabi soprattutto nei primi secoli vedono corano dettato da dio
la Bibbia non è dettata ma ispirata da Dio
in che senso la Scrittura è littera divina? nel senso che è stata orientata da dio, scritta da
uomini per ispirazione, tutti gli altri testi sono privi di questa speciale assistenza, sono litterae
umanae
tendenza a coesione tra diversi ambiti del sapere e sistematicità si vedono anche nel modo
che i medievali hanno di impostare il loro rapporto con litterae umanae
Virgilio Grammatico (erudito vissuto tra VII e VIII): intellettuali cristiani devono disporre
documenti della loro sapienza in due diverse biblioteche, una per i testi di sapienza antica e
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l’altra per quelli cristiani, ovvero La Bibbia e gli scritti dei Padri (legato al binomio scrittura-
natura)
anche Cassiodoro nel VI secolo articola le sue Institutiones in due serie, sulle lettere divine e
su quelle umane-naturali
prima di lui Lattanzio aveva realizzato Divinae institutiones: manuale di sapienza teologica
Agostino divide il sapere umano in ambiti limitati e ben definiti, riprendendo Varrone (età
imperiale romana), 7 discipline, le arti dette liberales divise in due gruppi:
- trivio, incrocio a tre strade: logico linguistiche, grammatica, dialettica e retorica
- quadrivio, incrocio a quattro strade: matematiche, descrizione quantitativa: aritmetica
(numero in sè), geometria (numero esteso nello spazio), musica (numero in
riferimento al tempo, in senso pitagorico), astronomia (numero in riferimento allo
spazio e al tempo, moto circolare)
ambedue gli ambiti permettono di trovare principi formali così rigorosi da poter essere
considerati come l’esplicitazione nella mente umana della legge divina che regola la
dispositio universale
grammatica è il fondamento e insegna a usare correttamente lingua latina- grammatiche
tardo antiche di Donato e di Prisciano
dialettica qua sinonimo di logica, distingue discorso vero da falso e anche contenuto vero del
discorso da quello falso- Boezio e Aristotele
retorica insegna a favorire e suscitare negli ascoltatori consenso- Cicerone
ogni disciplina si costituisce sulla base di un manuale fondamentale, i medievali cercano
testi che facciano l’equivalente di quello che fa la bibbia rispetto alla creazione e Rivelazione
per la geometria Euclide
poi vengono redatti anche manuali più generali di arti liberali, ad esempio con Marziano
Capella, africano del V secolo, De nuptiis Philologiae et Mercurii: racconto allegorico che
comprende come una summa tutte le discipline (personificate e presentate come damigelle
di nozze) e le rispettive competenze; le nozze rimandano a unione tra intelletto divino,
responsabile dell’ordine del cosmo, e la mente umana che lo indaga
altro aspetto tipico di sapere medievale è la presenza delle summae, con sapere unitario
che si colloca in tradizione deriva creazione di grandi compendi e enciclopedie di tutto il
sapere esistente che miravano a mostrarne l’unità e la coesione
si è detto che summae sono come cattedrali gotiche, sintesi di visione del mondo
religiosamente fondata ma che si esplica poi in sapere umano, che con scrittura mostrano
legami con neoplatonismo
il sapere umano non si esaurisce nella bibbia, ma si costruisce su molto altro
altro aspetto fondamentale di sapere medievale: glossa
elaborate tecniche per interpretazione dei testi, è l’aggiunta di parola esplicativa al testo da
commentare, di solito posta sopra la riga, poi diventa glossa interlineare (gruppi di parole e
frasi tra testo) poi diventano glosse marginali: da qua esse diventano talmente ricche da
diventare un testo a parte, ovvero un commento letterale, che parola per parola spiega testo
oggetto di lezione- lezione deriva da lectio, ovvero lettura, modo normale di spiegare un
testo nel medioevo è quello di darne lettura ad alta voce
da commento letterale nasce modalità più complessa, ovvero il commento per questioni,
in cui commento letterale non c’è nemmeno più ma c’è discussione e risoluzione di problemi
desunti da testo commentato
in progressiva differenziazione del sapere umano nasce idea che ogni disciplina sia
autonoma rispetto alle altre, si manifesta nel fatto che ognuna abbia un proprio subiectum,
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ovvero un argomento peculiare e proprio in base ad esso si dota di un metodo e possiede
poi uno statuto epistemologico determinato
medioevo all’origine della nostra idea di specializzazione, pluralità di saperi riconducibili ad
unità ma differenziati in commenti e sezioni sempre più specialistiche
non a caso medioevo inventa l'università
sapere umano fondato sulla rivelazione divina ma rielaborato in termini umani e sotto certi
punti di vista da essi emancipato
le regole delle arti liberali essenziali per sapere teologico: consentono di comprendere il
linguaggio del testo biblico e aiutano intelligenza a risalire verso verità divina (Cassiodoro: 7
arti come colonne del tempio della Sapienza di Salomone)
Agostino: anima di avvicina a natura immutabile di verità per illuminazione, metafora della
luce divina che si accende nella conoscenza intrecciandosi con l’idea pseudo-dionisiana
dell’illuminazione come operazione gerarchica, traspone in termini cristiani la dottrina
platonica della reminiscenza, senza dover però ammettere una preesistenza dell’anima
rispetto al corpo
è sempre possibile anche illuminazione naturale: di nuovo capiamo come conoscenza
teologica sia una conoscenza razionale del dato rivelato (per questo importante sottoporre
ad analisi il patrimonio testuale)
dal XII secolo a tutti gli effetti pensati tecniche e procedimenti della riflessione teologica, da
allora chiamata theologia
la riflessione sulla Scrittura può darsi secondo diversi parametri, che possono coesistere e
confrontarsi
racconto torre di babele, 11 capitolo della genesi dedicato ancora ai primordi della civiltà
torre alta fino al cielo come sfida alla divinità, Dio li punisce facendo sì che non si possano
più capire tra di loro
vescovo del IV secolo, Filastrio di Brescia, redige catalogo di eresie in cui ricorda come
eretici coloro che interpretano questo passo della genesi pensando che prima della torre tutti
gli uomini parlassero una sola lingua: ai tempi di babele l’umanità doveva già essere
numerosissima e sparsa sulla terra per cui impensabile che si parlasse una sola e identica
lingua
quello di Filastrio è un buon ragionamento da storico, mostra come la fede nel dato rivelato
non escludesse che si potesse ragionare e discutere su di esso
per lui prima della torre quindi già lingue diverse ma gli uomini avevano la capacità di
comprendersi, quindi la punizione non sarebbe consistita nella pluralità di linguaggi,
esistente già prima, ma nell’incapacità di comprendere quelli diversi dal proprio
obbedisce anche ad intento teologico: disordine nella comprensione delle lingue avrebbe
trovato risanamento soltanto nella Pentecoste (è necessario che lo stato linguistico anteriore
al peccato fosse uguale a quello scaturito con la discesa dello Spirito Santo, altrimenti
compromessa idea di unità e coesione)
II capitolo di Atti degli apostoli, essi erano chiusi nel cenacolo per paura dopo la condanna di
Gesù Cristo, ma lì arriva un vento potente- dello spirito santo- e Pietro annuncia la
resurrezione, Luca evangelista scrive che gli astanti, nonostante provengano da varie
regioni e parlino lingue diverse, capiscono ciò che viene annunciato: attraverso la discesa
dello Spirito Santo si ricostituisce la capacità di comprendere diversi linguaggi
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capiamo che per medievali c’è il dato di realtà della pluralità di linguaggi (ad esempio anche
dal latino dopo invasioni barbariche si erano create le basi per nuovi linguaggi, quelli
dialettali e volgari, utilizzato ad esempio negli scritti pratici come gli atti notarili) ma anche
idea che tale molteplicità debba essere ricondotta ad unità, non di linguaggio ma di strutture
il cristiano deve trovare un ordine armonico nella pluralità di linguaggi
il ruolo della comunicazione è fondamentale nella società cristiana, fondata su una
Rivelazione divina della verità ma articolata in parole umane
l’unità linguistica consente la compartecipazione al progetto salvifico al di sopra delle lingue
particolari e locali (per questo traduzione solo nelle due lingue principali)
se tutto ciò che è vero deve essere ricondotto ad unità, e tutto il mondo è ordinato da dio, e
c’è un’unica christianitas, allora anche linguaggi disparati devono essere riuniti
questa linea di pensiero ha l’apice nel 1270 con grammatica speculativa: tentativo di cercare
le strutture sottostanti ad ogni linguaggio, possibilmente stabili ed unitarie, questa ricerca è
compiuta solamente sul latino, considerata la lingua per eccellenza (chi studia grammatica
studia quella latina, non quella volgare, che non esiste ancora)
[Non chonski ‘900]
per i medievali c’è un ordo verborum, ovvero un modo strutturato di darsi delle parole nelle
loro relazioni, una logica delle sintassi, una struttura alla base dei modi di combinare le
parole
l’ordo verborum è radicato profondamente in un ordo rerum, ovvero ordine delle cose
i medievali tendono ad essere realisti nell’ambito del linguaggio: una parola è posta a
determinare una determinata cosa perché c’è nella cosa stessa una radice ontologica
essenziale che giustifica che quella cosa sia chiamata proprio con quella parola- nella
Genesi è stato Adamo a dare il nome a tutte le piante e gli animali, quindi c’è un atto di
imposizione e scelta del nome che dipende dalla natura delle cose da nominare
cose e parole sono strettamente legate
queste due strutture sono a loro volta spiegabili con un riferimento all’ordo idearum, è
tramite le idee che Dio crea e governa la sua creazione
di conseguenza anche l’ordinamento delle parole in qualche modo riflette l’ordinamento delle
idee, c’è una circolarità
in sostanza i medievali sono ottimisti, la realtà ha un senso, nella loro struttura la realtà delle
cose e del linguaggio sono isomorfe e riconducibili a dio, ricordandoci che tali parole non
sono dio (teologia negativa)
idea molto forte di pregnanza gnoseologica e metafisica del linguaggio, circoscritta al latino
la bibbia è tradotta in volgare solo a partire dal 1500, prima nelle due lingue della cultura: in
greco la Settanta, in latino la vulgata di San Girolamo
gran parte di Antico testamento scritto in ebraico, alcuni libri a partire dalla diaspora sono già
scritti direttamente in greco, mentre il Nuovo testamento è interamente scritto in lingua greca
(quindi il nuovo testamento è tradotto solo in latino)
il medioevo latino è molto ignorante del greco
nel IX secolo Giovanni Scoto Eriugena traduce due volte il corpus di pseudo dionigi, c’è
stato momento in cui nella corte carolingia ci sono state persone con ottima conoscenza del
greco forse per la presenza di dotti provenienti dall’oriente
per avere una nuova e solida conoscenza del greco bisogna arrivare al XIII secolo
tutta la visione medievale della realtà tende dunque alla coesione e all’unità
Alcuino di York dedica a Carlo Magno il Categoriae decem
nel medioevo vengono anche posti i fondamenti della semiotica
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nella teologia cristiana esistono i sacramenti, che per la chiesa cattolica sono sette, per
quella luterana protestante solo due, ovvero battesimo e eucaristia
i sacramenti sono segni efficaci:
in un medioevo a livello popolare soprattutto analfabeta, c’era una bibbia dei poveri, biblia
pauperum, che mostrava delle immagini
le immagini della chiesa sono dei segni che rimandano a qualcosa di superiore, ma nella
chiesa ce ne sono tanti, ad esempio le candele e l’incenso
entrare in una chiesa è entrare in un mondo di segni
quindi i sacramenti non solo rimandano ad una realtà superiore ad essi, ma fanno anche ciò
che significano: che cosa fa l'acqua nel battesimo? è segno di purificazione, ci ricorda il fatto
che dio è capace di perdonare i peccati, ma è un sacramento perché quel segno non solo
ricorda il perdono dei peccati, ma a tutti gli effetti opera una purificazione, per questo è un
segno efficace
questa concezione ha portato i medievali a interrogarsi sulla significazione, perché per
capire che cosa è un segno efficace bisogna capire che cosa è un segno, e per capire che
cosa è un segno bisogna capire che cosa significa rimandare ad una realtà ulteriore
come si spiega che il sacramento non solo sia un segno ma sia efficace, che cosa è
razionalmente un segno? da convinzione legata alla fede si arriva a problema trattato
razionalmente
infatti Agostino scrive per primo che cosa è un segno: è qualcosa che introduce nel pensiero
una realtà diversa dall'aspetto corporeo del segno, quello efficace evidenzia la presenza di
una realtà spirituale nascosta
questo evidenzia il legame che sussiste tra creatore e creature, da un lato c’è un necessario
scarto ontologico, dall’altro però dio è sempre presente per cui una realtà spirituale si può
manifestare in una materiale, il loro rapporto è di significazione
dottrina del segno è importante nel discorso sul linguaggio: la parola è un segno che
significa una cosa, e questa significazione è ontologicamente ancorata perché dio è
presente, e la parola è stata attribuita alla cosa da Adamo sotto l’occhio vigile di dio
la regula sermonis (formula di Smaragdo di Saint-Mihiel), ciò che presiede all'ordinamento
del linguaggio, rimanda all’ordinamento della realtà, legato a una cascata neoplatonica e
triadica di essere da dio, che si può esprimere con linguaggio fatto di segni
parlare è una forma di insegnamento, consente di condividere l’apparire della verità: parlare
di Dio, equivale a parlare con Dio (un certo ignoto Ambrosiaster, commento a Epistole
Paoline) e a conoscere il vero
tutta la realtà è segno, non solo le parole ma anche le cose: le cose infatti sono specchi
della creazione di Dio, riflettono la loro natura divina, sia in Genesi I che II è Dio che ha
creato ogni cosa
l’uomo è il signum più significante del cosmo creato
dalla semantica delle parole alla filosofia del bello
dunque per i medievali il mondo è bello: medievali hanno aperto la strada all’estetica
(possiamo considerare nella poetica di arist estetica riferita alla produzione dell’opera
letteraria, o in Platone una riflessione preliminare all’estetica nella concezione di idee come
modello) ma riflessione tematica sul bello inizia con il medioevo
per i medievali l’essere è unitario, quindi la bellezza è il modo in cui sia manifesta ai sensi
l’ordinamento che Dio ha posto nella realtà: la bellezza è l’organizzazione compiuta e
perfetta che Dio ha dato alla sua creazione
Alano di Lilla, erudito del XII secolo: ogni creatura è come un’immagine dipinta che
rappresenta quel qualcosa di eterno e di vero a cui corrisponde il suo essere particolare
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ai medievali sfugge aspetto individuale della percezione della bellezza, per loro in un cosmo
unitario e strutturato su progetto divino non c’è grande spazio per differenze individuali
bellezza è condizione intellettiva: cogliere una struttura, una numerologia significa cogliere
una bellezza, che è proporzione, si dà quando le parti sono armoniche
la prima bellezza è quella dell’anima, che si libera dalla molteplicità dello spazio e del tempo
e tende ad unirsi con ciò che è uno (cristianesimo che accoglie elementi platonici)- espresso
da Agostino nel De libero arbitrio
l’anima è la verità del corpo e trova la propria unità e bellezza separandosi dalla molteplicità
corporea
Ambrogio, Esamerone: “la vera bellezza è essere, sia nelle singole parti, sia nel tutto, ciò
che si deve essere”
allora ciò che è bello è anche giusto, perché entrambi lo sono in virtù del volere di dio
bellezza è armonia di proporzioni, che corrisponde al volere di Dio, quindi giustizia, è
rectitudo (essere retti, adeguati a ciò che Dio ha voluto)-Agostino
concezione di bellezza che richiede arte aulica, raffinata
arte medievale trova dentro alla regola la propria libertà, come la morale medievale cerca di
spiegare agli uomini come trovare dentro alla regola la propria libertà di azione
è riflessione vivissima e attenta, capace di sfaccettarsi
tentativo di spiegare l’ordine razionalmente
è una e sola la legge, principio universale della verità, che governa l’efficacia semantica
delle parole e l’armonia delle forme visibili, in un nesso tra capacità espressiva di
un’immagine appartenente a ordine armonicamente organizzato e quella di una parola in un
discorso significante
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come sul piano dell’adesione fideistica della mente alla verità dei dogmi, allo stesso modo su
quello morale la stabilità dei precetti etici richiede esercizio di razionalità critica che li renda
ancora più saldi
novità che trapelano soprattutto dal XII secolo:
- la relazione tra vita attiva e contemplativa è sbilanciata a favore della seconda in un
modo diverso da quello pensato da Aristotele (per lui è quella intellettiva, non
contemplativa, che ci porta in alto), realizzare parte più alta di noi è esercitare la
nostra anima per arrivare a Dio, slancio verso l’alto maggiore, operare bene vuol dire
giungere a contemplare dio (retaggi tradizione neoplatonica)
- rispetto al pensiero greco non c’è più un’idea orizzontale di eudamonia, di felicità
terrena come criterio ultimo di valutazione pratica, poichè superiore alla felicità c’è la
beatitudo, ovvero pienezza di vita felice che si può avere soltanto con la
contemplazione diretta di Dio- San Paolo: prima vediamo Dio come in uno specchio,
nella vita ultraterrena in modo diretto
ultimi quattro canti paradiso Dante con linguaggio ci dà idea di visione speciale
la beatitudo detta norma terrena
i due ordini etici, quello religioso e quello naturale, hanno obiettivo comune di
ricongiungimento all’unitarietà del comportamento dei singoli
normativa pratica si basa su traduzione di tutte le motivazioni individuali dell’agire in un
condiviso amore per la volontà divina
Filippo di Harvengt: conoscere sè stesso diviene conoscere ciò che DIo ha voluto per ogni
singolo uomo, ci sono leggi speciali e proprie di ogni condizione e funzione che ciascuno
riveste all’interno della società cristiana, ad esempio clero ha normative più ristrette, morale
ascendente
da rispetto di norme naturali dettato da razionalità filosofica a rispetto di volontà divina
esplicitata nelle scritture a perfezione dell’anima come desiderio costante di santità e
orientamento al bene
felicità terrena è quella collocata all’insegna di virtù cardinali, che nascono da schema
platonico ripreso e ampliato da Padri della Chiesa: sono prudenza, fortezza, temperanza e
giustizia, viste da autori latini come ciò che permetto di guidare l'anima alla contemplazione
di Dio lasciandoci alle spalle la materialità del nostro corpo
Girolamo le fa scaturire da altrettanti vizi
Ambrogio interpreta alla luce delle quattro virtù la vicenda del sacrificio di Isacco
Agostino, De musica: prudenza indica nell’unità una saldezza etica maggiore, la temperanza
sottrae dall’amore della bellezza carnale, la fortezza sconfigge paura, la giustizia ordina
anime al servizio di Dio
fine unico di umanità è aspirazione comune all’eterna stabilità del Bene sommo, c’è
superamento in chiave escatologica del modello dualistico della città dell’uomo contrapposta
alla città di Dio
predominante è l’incitamento all’amore per Dio e per il prossimo: charitas
la regola aurea dell’intera sapienza pratica medievale è proprio amare in Dio gli altri esseri
umani e negli altri esseri umani Dio
Pietro di Blois, XII-XIII secolo: la carità è la legge della vita
anche nel versante pratico c’è fusione di piani diversi, comprendere e credere non sono in
antitesi, ma modi diversi di tendere alla verità
cercare la felicità in terra orientando le nostre azioni alla rectitudo e cercare la
contemplazione di Dio in fondo sono la stessa cosa, sempre per il fatto che la creazione
rimanda al creatore
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a livello di elaborazione filosofica non c’è motivo per cui queste due dimensioni debbano
essere in conflitto
AGOSTINO DI IPPONA
inserito in periodo che precede filo latina-medievale, convenzionalmente iniziata con Boezio
all’inizio del VI secolo
354-430 d.C
nasce a Tagaste, in Numidia (attuale Algeria), molti pensatori di epoca patristica sono venuti
in occidente ma prima/dopo hanno vissuto in Africa
ha esercitato influenza enorme nel medioevo
le Confessioni, nei primi dieci libri autobiografia, è la prima autobiografia completa che
abbiamo di un filosofo- l’altro autore per il quale le vicende biografiche sono fondamentali
sarà Pietro Abelardo, ma grande maggioranza di autori latini medievali sono personalità di
cui abbiamo poche informazioni biografiche
autori medievali tendono ad essere molto impersonali
nasce da padre appartenente a nobiltà latina e madre cristiana, Monica, che ha avuto
importanza cruciale nella sua conversione
il padre lo manda a studiare e ottiene educazione letteraria e retorica a Madaura
nel 371, a 17 anni, si reca a Cartagine, forse in questo periodo muore il padre
racconta di essere stato un giovane dedito ai piaceri, che ricorda con pentimento, in età
giovanile si lega con una donna di cui non dice il nome, la chiama illa, ha da lei un figlio ma
quando si reca in Italia la ripudia e quindi non rivelare il nome è una forma di rispetto per non
sottoporla alla pubblica umiliazione
il figlio è Adeodato, letteralmente dato da dio, morto giovane, compare come interlocutore in
alcuni dialoghi di Agostino, nel De magistro addirittura è l’unico interlocutore
da giovane si tormenta per cercare verità che l’orienti nell’agire, riconosce di aver avuto
comportamenti che poi disapprova per questa sua tensione
trova la Bibbia povera e rozza, proprio dal punto di vista del linguaggio, ma dice di aver
trovato in un’opera ora perduta di Cicerone, l’Ortensio, che era di genere protrettico,
un’esortazione alla vita filosofica
a questo punto si avvicina a setta gnostica, il manicheismo: galassia di dottrine eterodosse
da II sec d.C poi ritenute eretiche, sono elaborazioni para filosofiche della Bibbia in cui
salvezza spirituale è data da una completa conoscenza intellettuale- Mani, dalla Persia, si
presenta come discepolo di Cristo
l’aspetto importante è quello del dualismo, per manichei ci sono due principi metafisici
equipotenti, quindi non per forza il bene vince sul male, in linea di principio il bene non è
ontologicamente superiore al male
dualismo si esprime in regno della luce e delle tenebre, i manichei con pratica ascetica
avrebbero dovuto preparare ascesa di regno della luce
per nove anni Agostino aderisce a questa setta, suscitando la disapprovazione della madre,
che percepiva ciò come una degenerazione della verità del cristianesimo
nel frattempo diventa insegnante di retorica a Cartagine
nel 380 scrive De pulchro et apto, Sul bello e sul conveniente, oggi perduta, che mostra
come si fosse volto a speculazione razionale
nel 382 decide di dare svolta a carriera di retore, trasferendosi a Roma, riscuote successo e
attira attenzione di Simmaco, prefetto di città
a Milano, sede allora di corte imperiale, viene scelto nel 384 come successore del defunto
oratore imperiale proprio Agostino
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a Milano scopre che un altro oratore in vista è Sant’Ambrogio, inizia per curiosità
professionale ad andare ad ascoltare le sue omelie, faceva parte di circolo neoplatonico
milanese che per vie ancora misteriose conosceva in traduzione latina parti di opere di
scuola neoplatonica di Atene e forse di Enneadi, questo permette ad Ambrogio di leggere le
scritture senza il problema di avere un dio legato alla corporeità
questo era invece un problema che Agostino aveva con i manichei, secondo i quali tutto ciò
che esiste è materia, è Ambrogio che spiega ad Agostino che possono esistere realtà
immateriali, e il supremo principio è tale proprio perché non è fatto di materia
questo porta Agostino a ritentare un approccio con la Bibbia
nel 385 congeda la madre di Adeodato e diventa catecumeno, legge libri platonicorum (testi
platonici probabilmente tradotti da Vittorino)
si ritira in una villa a Cassiciaco, sul lago di Garda, con amici e inizia a scrivere i dialoghi, su
scia platonica ma con chiari influssi ciceroniani, a cui si aggiungono temi cristiani
nel 387 si converte e si fa battezzare proprio da Sant’Ambrogio, in seguito decide di tornare
in Africa
sul viaggio di ritorno muore la madre Monica (Santa Monica e sant’Agostino messi in due
giorni consecutivi per indicare che senza la prima non potrebbe esserci stata la sua
conversione)
torna a Tagaste e fino al 390 vive con gruppo di adepti e amici, scrive altre opere di filosofia
e altri dialoghi, tra cui De musica, De magistro, il trattato De vera religione
filosofia come sforzo di comprensione di verità che ora riconosce come rivelata da Dio
si reca ad Ippona per fondare un monastero ma viene fatto prete per aiutare il vescovo della
città, Valerio
inizia a predicare, redige centinaia di sermoni
nel 396 alla morte di Valerio egli gli succede e diventa vescovo, si trova ad affrontare le varie
eresie che si sviluppano in Africa, tra cui quella pelagiana
continua a scrivere di filosofia
De doctrina cristiana, gigantesco progetto di enciclopedia che il cristiano deve conoscere
selezionando il sapere antico, rimane incompiuto
nel 397 inizia a comporre le Confessioni
grande trattato De trinitate, sul problema della trinità
altro grande evento che influenza sua vita è invasione dei Goti che nel 410 saccheggiano
Roma, ai cristiani viene imputato di aver indebolito la potenza romana e averla predisposta
all’invasione
La città di dio: articolata teoria della storia
altra opera da ricordare Retractationes, ripercorre tutta la sua produzione per dire che cosa
con il senno di poi gli paia sbagliato, scrupoloso lavoro di revisione e correzione di opere
redatte in arco temporale vasto, circa 45 anni, ci mostra Agostino preoccupato di
correggersi, è catalogo delle opere fatto dall’autore stesso, è molto importante
testimonia anche consapevolezza di diffusione delle proprie opere al di là della sua volontà,
nel senso che circolavano opere falsamente a suo nome o suoi sermoni contraffatti, caso
raro di autore che può intervenire sulla propria fortuna per correggere degli aspetti
alcuni temi particolarmente ricorrenti con una certa circolarità
problema del male
esperienza di anni di vita dissoluta lo portano ad interrogarsi su male, ma sono anche frutto
di irrequietezza e desiderio di bene
anche l’adesione al manicheismo è un tentativo di risolvere questo problema, dato che i
manichei forniscono una soluzione chiara: esiste principio ontologico del male
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andando dal maestro Fausto a volte ha polemiche
leggendo Cicerone capisce che verità può essere ricercata nella filosofia
non concepisce come ci possa essere un dio principio di bene se poi esso può essere
subordinato al male
non ha senso parlare di dio se non si parla di entità perfetta, in quanto tale immutabile
nella filosofia platonica ciò che è buono è anche incorporeo e intelligibile- affascinato da ciò
che sente da Sant’ambrogio
capisce che non ha senso pensare a due principi, me nemmeno al fatto che siano corporei
aderendo al cristianesimo gli resta comunque da spiegare da dove derivi il male
tutto proviene da Dio, che è il supremo essere, ma se il bene coincide con Dio allora
coincide anche con l’essere, mentre il male con il non essere
bisogna cogliere che nella realtà esiste gerarchia di essere che coincide con gerarchia di
bene, da essere in senso pieno e perfetto a cose sensibili, corruttibili perché mescolano
essere e non essere- se fossero solo essere sarebbero dio
dire che Dio è creatore significa dire che conferisce l’essere alle cose create, dato che
essere e bene coincidono, tutte le cose create sono buone sia singolarmente che nel
complesso
negli anni del ritiro a Cassiciaco: tra platonismo e cristianesimo, il male non è realmente
essere, è male ciò che è lontano da dio, ovvero dall’essere, non ha reale consistenza
ontologica, quindi il male in senso metafisico come esistenza di ciò che non è bene nella
realtà non corrisponde al un principio reale- è la più perfetta negazione del manicheismo
esempio della cecità: non è in sè qualche cosa, è una mancanza, quindi non c’è un essere
reale della cecità nell’occhio
la polvere che essere ha? esempio tratto da Platone, che si chiede se ci siano idee di cose
corrotte e spregevoli, ma ciò non vuol dire che la polvere non esista, ha degli effetti negativi
sulla realtà
come spiegare l’esistenza ed effettività del male?
si inizia a intravedere distinzione che si caratterizza nel medioevo più compiuto: ci sono tre
ordini di mali:
- metafisico, il fatto che l'essere nella realtà possa essere deprivato o insufficiente
- fisico, sofferenza o dolore, impostazione tipica della patristica: il male fisico è
conseguenza del peccato originale, da Adamo introdotta nel mondo la morte e il
male, tutti hanno assunto non la colpa ma la pena da scontare
- morale, azione cattiva o predisposizione ad essa, è da addebitarsi non a Dio ma alla
volontà umana, Dio non vuole il male infatti egli non lo fa, ma ha concesso all’uomo
la libertà, che può volgersi a scegliere ciò che è meno bene perché è meno essere
ma anche ciò che è male, ovvero la negazione dell’essere. una volontà che fa il male
non ama ciò che dovrebbe amare
De libero arbitrio: non potrebbe Dio impedire alla volontà umana di fare il male? ha una
responsabilità almeno indiretta, non impedendolo- risposta ha influssi sulla posizione
ottimistica medievale
se Dio lo impedisse, toglierebbe all’uomo la sua libertà
sceglie che la libertà umana sia maggiormente da preservare rispetto alla non esistenza del
male
male come effetto collaterale di un bene più grande
prospettiva che concede all’uomo un’altissima dignità
senza la libertà l'uomo non potrebbe essere buono, quindi senza libertà sarebbe privato
di un bene maggiore di quello che potrebbe fare di male
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con il peccato non si produce del male a Dio ma a sè stessi, chi commette una colpa ha già
in ciò la punizione, in quanto si priva del Sommo bene
altra questione: Dio non è onnisciente quindi pre-vidente? dovrebbe prevedere il peccato
(conseguenza sarebbe che se Dio sa che l’uomo peccherà allora è necessario che l’uomo
pecchi)
Agostino dice che Dio prevede la nostra azione, ma come libera, non come obbligata,
prevede la volontà come in nostro potere- questa risposta trova formulazione più compiuta in
Boezio, come conciliare onniscienza e quindi prescienza con la libertà umana
ricerca della verità e interiorità
ci mostra tendenza fondamentale: ricondurre problemi filosofici alla dimensione
dell’interiorità, la trattazione del male morale infatti si rifà alla volontà
la verità va ricercata nell’interiorità dell’uomo: in interiore homine stat veritas
siccome la verità che troviamo nell’interiorità è quella di Cristo, gli antichi filosofi se avessero
avuto la Rivelazione sarebbero stati Cristiani
Cristo è la verità riassuntiva di tutte le altre parziali
rivolgersi all’interiorità rischia di porci in un ambito solamente o prettamente soggettivo
c’è sensibilità psicologica straordinaria per il suo tempo
attenzione vibrante alle minime alterazioni dei propri pensieri, analisi acuta di tutto ciò che
passa per la sua mente
si tratta di trovare nell’interiorità un criterio assoluto di verità, nell'intelletto dobbiamo trovare
una verità incontrovertibilmente certa- e quindi valida per tutti
supponiamo che non esista nessuna verità, e che dunque si possa sbagliare riguardo a tutto
(confuta classica posizione scettica), trovo una cosa su cui non posso dubitare, la mia
esistenza
si fallor sum, se mi sbaglio esisto, è un vero di cui non si può dubitare, se si constata di poter
dubitare non si può dubitare dell’esistenza
originaria evidenza mostra che siamo capaci di verità, che dentro di noi non è legittimo un
dubbio totale
cercare verità nell'interiorità è cercare qualcosa che c’è
De vera religione, la verità è proprietà delle proposizioni
supponiamo che tutte le proposizioni siano false, ma allora è vero che tutte le proposizioni
sono false: rimane verità superiore, trascendente rispetto a tutte le proposizioni
se posso dubitare di tutto, allora è vero almeno che posso dubitare di tutto
dentro di me constato la presenza di una verità superiore al dubbio radicale, e ciò avviene in
quanto dentro di me risiede la fonte di verità che è Dio e in particolare Gesù Cristo
proprio perché la verità che troviamo in noi è eterna, dobbiamo constatare che la nostra
anima non è eterna, ospita germe di verità inattaccabile ma la nostra anima non è eterna,
incontrovertibile, e non ospita soltanto la verità
la verità non deriva all’anima dalla sensibilità, che ci conferisce elementi di conoscenza
sempre mutevoli, parziali ed effimeri (platonismo)
nocciolo di verità non può essere desunto da evidenza empirica, ma non deriva nemmeno
dall’anima stessa perché non è eterna
allora Agostino introduce concetto di illuminazione, che avrà influenza enorme nel
medioevo pur con delle sfumature diverse (diventa dottrina di stampo più occasionalistico), è
una presenza immediata di Dio alla nostra anima, che noi rileviamo con la nostra facoltà
conoscitiva: questa presenza immediata NON è responsabile di tutte le nostre conoscenze,
altre funzioni possono essere espletate autonomamente
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non c’è occasionalismo della conoscenza, per cui serve intervento divino per sorreggere
ogni nostra conoscenza (per cui ad esempio ogni volta che vedo qualcosa deve intervenire
dio perché io possa effettivamente compiere ciò)
Dio mette in grado di conoscere e comprendere quelle verità che l’anima non è in grado di
darsi da sè, partendo da percezione sensibile e lavorando con propri strumenti intellettivi
le regole eterne, i principi universali, i criteri di verità richiedono un’illuminazione da parte di
dio, che dunque garantisce la stessa possibilità di accordo e comunicazione tra gli uomini
ad esempio tra queste verità ci sono i supremi principi della matematica: non possiamo
ricavare dai sensi che due rette parallele non si incontrano mai, non siamo noi a darci
l’evidenza di questa verità
il risultato dell’illuminazione è dunque un’imposizione alla nostra mente di verità che
trascendono i sensi, sono eterne
all’inizio del soliloqui annuncia il suo programma di ricerca: solo accettando di conoscere Dio
posso conoscere la vera natura dell’anima, ma solo conoscendo l’anima e rivolgendomi
all’interiorità posso cogliere la verità di Dio
filosofia come ricerca di Dio nell’anima e attraverso l’anima
ecco perché l’irrequietezza, il bisogno di confessarsi
presenta il suo percorso spirituale come il modello di ciò che capita a tutti coloro che
ricercano la verità nella vita, le Confessioni mostrano come domanda filosofica e preghiera a
Dio siano legate indissolubilmente
il pensiero è un dialogo, dell’uomo con Dio, ma anche tra gli uomini, il rapporto individuale
con dio ma per la ricerca della verità non basta rapporto solipsistico con Dio
nel De beata vita, o la prima o seconda opera, sente la tentazione dello stoicismo, poi dice
che ha sbagliato perché ha presentato il cristiano come un qualcuno di autosufficiente:
Retractationes, serve un confronto
riflessione sul tempo
11 libro delle Confessioni, primo dopo la parte autobiografica
kant riconduce il tempo a dimensione gnoseologica, ma ciò non toglie che il tempo abbia
tasso di oggettività limitato (Bergson)
problema che Genesi racconta, una creazione dal nulla senza specificare chiaramente che
cosa ne sia del tempo
Dio c’era prima di creare?
per Agostino troppo presto per problematizzazione e risoluzione, usa battuta e dice che
prima di creare Dio faceva l’inferno per quelli troppo curiosi, modo per dire che domanda è
mal posta senza formulare risposta soddisfacente
quello del tempo è problema complesso, tutti sappiamo che cosa sia ma quando ci troviamo
a definirlo siamo in difficoltà
il concetto umano di tempo è inadeguato se riferito a Dio
chiedersi che cosa facesse Dio prima della creazione è fuorviante e sbagliato, perché
presuppone che anche Dio sia nel tempo, mentre il piano umano e divino sono
incommensurabili: tempo ed eternità sono due termini incompatibili, non ha senso nemmeno
parlare di “tempo eterno”
dice che creando la realtà dal nulla crea anche il tempo, che è una dimensione che si
applica dunque alla realtà creata
iniziamo dividendo il tempo nei suoi aspetti fondamentali, chiedendoci che cosa sia ognuno
di essi:
- passato, che è ciò che non è più, quindi effettivamente il passato non è (più)
- futuro, che non è (ancora)
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- presente, l’unica dimensione del tempo che è, ma non è assolutamente, se fosse
assolutamente sarebbe una perfetta e totale attualità, ovvero l’eternità- il presente è
in quanto trascolora continuamente nel passato e anticipa il futuro
l’istante presente non ha quantità determinabile, constatiamo che è ma non ha una
vera e propria estensione
[il presente è un fiore tra due abissi- detto da Liszt in riferimento a parte di Al Chiaro
di Luna di Beethoven]
per cogliere che cosa è il presente bisogna guardare, ancora una volta, alla propria
interiorità
il passato è un ricordo, la traccia che ciò che è avvenuto ha lasciato nella memoria
il futuro invece è l’attesa, timore, la tensione verso ciò che deve ancora venire
la traccia della memoria si dà nel presente, così come la protensione verso il futuro
guardando all’interiorità quindi non si vedono più le tre dimensioni del tempo, ma tre diversi
modi di darsi del presente:
- il presente del passato
- il presente del futuro
- il presente del presente, nel quale si presentificano il futuro e il passato, che è la vita
dell’anima, il mio presente è la mia anima
il tempo è la distensio animi, un distendersi della vita dell’anima, che vive e si protende
verso la memoria del passato e la tensione al futuro
è riflessione razionale, stringente
essendo che l’anima vive, non è sempre uguale e non coglie sempre il passato e il futuro nel
suo presente allo stesso modo
ecco che è l’unità dell’anima (che a sua volta rimanda all’unità divina) che conferisce
consistenza al tempo, se non ci fosse l’anima non ci sarebbe il tempo
domandarsi che cosa sia il tempo allora in fondo è chiedersi che cosa sia l’anima
c’è dato scritturistico di partenza (mondo creato da Dio), ma il resto è riflessione razionale
che opera a partire dall’uomo e dalle sue facoltà per poi tornare alle domande sollevate dal
primo capitolo della Genesi, nella cornice della Scrittura il quadro è filosofico
per capire cosa sia anima non possiamo scindere in modo netto riflessione razionale
sull’anima dal dato rivelato, siccome l’anima è posta in noi da Dio: la stretta fusione dei due
piani fa sì che indagando la natura dell'anima scopriamo alcuni aspetti dell’essere divino
l’anima e la Trinità:
l’argomento del male ci ha permesso di riconoscere dell’anima la volontà, noi ci pensiamo
come creature libere e, nella ricerca della verità, come esseri intelligenti
ci pensiamo come esseri dotati di volontà ma vogliamo essere intelligenti
cogliendo le due dimensioni, di volontà e intelligenza, ci si accorge che esse si implicano a
vicenda: io penso, e mi penso come essere che vuole, e tra le cose che voglio c’è il pensiero
la riflessione sul tempo mette in luce la memoria, perno fondamentale della costituzione
dell’individualità umana, come mi ricordo? mi ricordo di me come un essere intelligente, e mi
ricordo di quello che ho voluto e desiderato
tre facoltà:
- memoria- esistere
- intelligenza- sapere
- volontà- amare
sono tre dimensioni distinte ma circolarmente coimplicantesi, così come lo sono le tre
dimensioni a cui mettono capo queste tre facoltà
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l’intelligenza ci rende possibile sapere, la volontà ci permette di amare, la memoria ci
permette di riconoscerci come risultato del nostro passato
esisto come ente che sa e ama, so di esistere e di amare, amo esistere e sapere
possiamo dire di esistere, ma sappiamo di esistere e vogliamo esistere
noi esistiamo come entità che amano e conoscono
ciò è possibile perché la nostra anima è immagine della trinità divina
sono dimensioni dinamiche, anche se sono diverse non possono esistere separatamente e
in modo isolato, come il padre il figlio e lo spirito santo, la struttura della nostra anima ci
permette di capire che cosa sia la trinità
sono tre dimensioni ma insieme formano un’unica anima
l’uomo è immagine della trinità divina, e Dio nella sua creatura più alta, ovvero l’anima
umana, ha posto la parte più segreta e profonda, quella della circolarità delle sue tre
persone
questa analogia è creata, dunque parziale
in Dio sono una sola sostanza, nell’anima tre facoltà di una sostanza
l’immagine, platonicamente, non può essere perfetta come il modello
ecco in che senso l’indagine sull’anima umana ci permette di cogliere meglio la natura di Dio
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traducianesimo: anima di ogni uomo si forma nel momento del concepimento, passa
materialmente con il seme da padre in figlio e per il fatto di questa derivazione in tutta
l’umanità si è trasmesso il peccato originale, da cui è immune solo Cristo, essendo stato
generato da una vergine
accentua disprezzo per la sessualità, enfatizzazione della concupiscenza come origine del
male, esaspera ruolo di misericordia imperscrutabile
gli uomini sono una massa dannata a meno che non sia Cristo a salvarli con una
predestinazione imperscrutabile
la vera libertà, ovvero libertà dal peccato, non poter peccare, è prerogativa solo di coloro che
sono eletti dalla grazia divina, grazie a cui libertà diventa sottomissione al bene
la volontà che ha ricevuto la grazia, possiede l’amore, la caritas, che fa sì che l’anima
preferisca ciò che è migliore rispetto a un bene inferiore
la vita felice è allora un dono dato da Dio indipendentemente dai meriti dell’uomo
i toni della polemica con pelagiani si esasperano
fino a una decina di anni prima della morte ha scritto ancora pagine che consegnano
antropologia ottimistica
La città di Dio
opera fondamentale per filosofia della storia dei medievali
ventidue libri, scritta tra il 413 e il 427
si assume l’incarico di dimostrare superiorità del cristianesimo su istituzioni e forme di
cultura umane
concetto di provvidenza: è Dio che fa nascere e perire gli imperi, ha fatto perire quello
romano per favorire la diffusione del cristianesimo
la Chiesa è la realtà storica che è subentrata all’impero romano
vicende della storia dipendono da ordinamento voluto da Dio, anche ciò che in un momento
appare negativo può essere letto sotto una luce positiva
la storia è freccia orientata alla salvezza eterna (polemica contro stoici e idea di cicli
cosmici), la fine è vicina, prospettiva escatologica di un destino che supera la realtà terrena
è molto forte (ma lo era anche in san Paolo, diceva che la fine è imminente)
ci sono voluti parecchi secoli per verificare che questa imminenza tardava ad avverarsi
città di dio retta dall’amore di Dio stesso, costituita dagli uomini giusti, vivono secondo lo
spirito
città terrena retta dall’amore degli uomini per sè stessi, che vivono secondo la carne
questa divisione è iniziata con la vicenda di Adamo ma a livello individuale ognuno deve
scegliere a quale città appartenere, l’amore di Dio spinto fino al disprezzo di sè ci fa
appartenere alla città di dio
la percentuale di predestinazione non è troppo accentuata, Dio opera affinché alcuni
facciano parte della sua città ma c’è una fortissima responsabilità individuale
impero romano ha avuto un generale mancato riconoscimento di Dio e quindi rovina
è chiaro che la perfetta relazionalità umana rappresentata dall’essere nudi di Adamo ed Eva
nell’Eden è perduta
le relazioni sono relazioni di potere ma è anche necessario e lecito che ci sia un’autorità nel
mondo
ma nella chiesa l’orientamento è quello della città di Dio, nell’impero volgersi a far parte della
città terrena
facile volgere questo discorso verso una giustificazione del potere politico della Chiesa
sopra a quello imperiale- letture che hanno portato a teocrazia pontificia
23
dinamiche legate alla caduta dell’autorità e del dominio non sono evitabili e non si può dare
una soluzione perfetta del conflitto delle città se non con l’escatologia cristiana
prima dell’evento finale il membro della città di dio è un peregrinus, uno straniero in terra, e
solo allora raggiunge a tutti gli effetti la pace e la beatitudine
questa prospettiva escatologica esclude dunque l’identificazione del Regno di Dio con un
qualsiasi regno umano (ma anche con la Chiesa, che è comunque una realtà legata al
tempo e alla storia) ed è legata ad una concezione pessimistica dello stato (potere
coercitivo, compito del sovrano ridurre gli abusi)
BOEZIO
Torquato Manlio Anicio Severino Boezio
480-524/25 d.C
alto funzionario imperiale alla corte dei Goti di Teodorico, da cui viene fatto giustiziare in
quanto sospettato di aver congiurato alla vita del sovrano
progetto culturale di Boezio viene da lui annunciato nel secondo commento al De
Interpretatione aristotelico: vuole tradurre e commentare analiticamente opere di Platone e
Aristotele per mostrare la loro sostanziale concordia
può sembrare un progetto ambizioso e strano
la tradizione neoplatonica aveva propugnato spesso l’idea di una concordia tra queste due
grandi agende filosofiche
dietro ci può essere anche idea patristica di unica verità, oltre a retaggio neoplatonico
ideale enciclopedico di concordia filosofica per Boezio significa dare al mondo antico, di cui
egli constata la fine, il riferimento ad un sapere unitario e certo
è ideale di una sapienza che è cristiana e filosofica, un sapere che si è attuato pienamente
con la Rivelazione ma è anche un ideale filosofico: la filosofia antica in molti aspetti ha
anticipato e in qualche modo espresso questa idea di unitarietà della verità
prologo di La consolazione della filosofia: personificata, va a visitare Boezio in carcare,
vanno a visitarlo anche le Muse ma senza riuscire a consolarlo, la filosofia gli ricorda i tempi
in cui era suo discepolo, lo invita a dialogare con lei, ma questa è LA filosofia, quella vera,
una sapienza filosofica antica unitaria e indistruttibile, come unica è la sua veste nonostante
gli strappi causati dai falsi filosofi, che si vantano poi del loro misero bottino, e la polvere
dell’oblio umano che l’offusca
mettere a disposizione di un mondo radicalmente cambiato un vero e unico sapere che si
accordasse con quello cristiano
le prime due opere sono due manualetti, De institutione arithmetica e De institutione musica:
sono parafrasi di due trattati di Nicomaco di Gerasa, un neopitagorico, ci mostra quanto la
formazione boeziana sia coerente con lo spirito dei suoi tempi (scuole platoniche influssi
pitagorici)
ci mostrano già la consapevolezza di Boezio di una divisione degli ambiti di sapere, manuali
per discipline diverse, ognuna con rigore metodologico
le diverse discipline permettono nel loro insieme all’uomo di giungere all’unica verità, le
forme eterne e prime
le discipline del quadrivio sono molto importanti, come le matematiche lo erano per
l'Accademia
l’aritmetica e la musica riguardano le quantità discrete, considerate in sè dalla prima e in
relazione reciproca dalla seconda
la geometria e l’astronomia con le quantità continue, considerate in quanto immobili dalla
prima e in quanto mobili dalla seconda
24
sono quattro strade distinte ma convergenti nel loro esito, ovvero portarci a unica verità
del suo grande progetto ha portato a termine solo l’inizio, che ebbe un impatto fondamentale
per la tradizione successiva: ha tradotto le Categorie e il De interpretatione, ad esse vanno
aggiunte la traduzione all'Isagoge di Porfirio, che voleva dare un’introduzione alle Categorie
di Aristotele, e i commenti a queste opere
aggiunge a queste opere alcuni trattati originali, che risentono di elementi non solo
aristotelici ma anche di logica stoica: trattato Sui sillogismi categorici (parafrasi di Analitici
primi), e trattato Sui sillogismi ipotetici, importanti per gli stoici
nella sua sistematizzazione si compenetrano tutti gli strumenti formali (di cui ovviamente era
a conoscenza) elaborati fino a quel momento dalle varie scuole
queste opere sono molto importanti storicamente: hanno costituito quella che i latini
chiameranno la logica vetus- costituita quindi da opere di Boezio e da altri come dal trattato
delle Dieci categorie dello pseudo agostino, in realtà trattato di scuola stoica-, la logica
antica, che intorno alla metà del XII secolo si contrapporrà alla logica nova- ovvero quella
aristotelica
la logica che il medioevo ha avuto per tutta la sua prima parte era quella di Boezio, e anche
con l’arrivo di logica nova le traduzioni di Boezio hanno goduto di fama imperitura
nei suoi commenti comincia a trattare il problema degli universali
scritto pagine importanti per quella che poi i medievali con l’arrivo di opere di Aristotele
chiameranno metafisica, ma che in Boezio si sovrapponeva alla teologia: nella Consolazione
della filosofia non cita mai il Vangelo o i Padri della Chiesa, quindi ancora nell’800 c’erano
dubbi sulla fede cristiana di Boezio
poi nel IX secolo sono stati scoperti 5 opuscoli, ovvero piccoli scritti di argomento teologico
che trattano di problemi trinitari e cristologici, questo dubbio ha iniziato a vacillare
dove parla di filosofia mostra una almeno iniziale consapevolezza di stare facendo un lavoro
diverso, perché la filosofia procede senza toccare la verità teologica, che in qualche modo
presuppone senza però mai esplicitare: insolito per epoca che tendeva a citare sempre i
padri e vangeli
lui era fedele a impostazione che aveva assunto fin da giovane traducendo Nicomaco di
Gerasa: diverse discipline percorrono strade diverse, ma non ha ancora armamentario
concettuale e epistemologico efficace per esplicitare quale sia il carattere specifico della
metafisica tale da distinguerla dalla teologia
possiamo dire che in pratica distingue gli ambiti ma teoricamente non fa un discorso reale di
distinzione dei due ambiti
qualsiasi verità la mente umana sia in grado di cogliere è una verità divina
c’è Dio che si auto rivela nella tradizione religiosa e informa di sè ogni verità
nella pratica appunto opera una distinzione, fa il logico parlando di logica, il matematico
quando scrive di matematica, il filosofo dialogando con la Filosofia
questo armamentario si vede bene nel terzo degli Opuscula sacra, De hebdomadibus:
hebdomas in latino non esiste, abbiamo hebdomos come aggettivo in greco che significa
settima, non sappiamo cosa siano, dice: mi hai chiesto di chiarirti, riferendosi a interlocutore
immaginario, le dottrine che hai trovato nelle hebdomadi
nei testi medievali spesso ci sono problemi di decifrazione di termini
questo opuscolo vuole rispondere appunto ad una domanda: perché le cose buone sono
buone senza essere il bene? la domanda è di metafisica neoplatonica
qual è relazione tra il bene in sè e le cose buone?
la risposta di Boezio a questo problema si situa nell’alveo canonico della metafisica della
partecipazione sviluppata dal platonismo- le cose tanto più sono quanto più partecipano di
25
realtà- aggiorna ponendo origine della partecipazione in Dio, le cose sono buone perché
partecipano di quella somma bontà che è Dio e ciò avviene per volontà di Dio stesso- altro
esempio del tipico ibrido di metafisica platonica e creazionismo cristiano, formato a partire
da Agostino
importante soprattutto perché è opera che vuole condurre con metodo assiomatico: idea che
altre discipline si possano conformare al procedere della geometria ideato da Euclide ne Gli
elementi: ci sono delle proposizioni particolari, i postulati, che sono immediatamente evidenti
e vanno a formare le premesse di altre proposizioni, vuol dire avere principi autoevidenti di
partenza da cui procedere deduttivamente per trarre le altre verità
enuncia prima i principi evidenti riguardo all’essere, ne pone 10
passa idea che sarebbe importante e bello costruire teologia in modo assiomatico, torna in
due autori medievali del XII secolo, Alano da Lilla, e fine del XIII Raimondo Lullo
Ethica ordine geometrico demonstrata di Spinoza è assiomatizzazione razionale dell’etica
assiomatizzazione del sapere filosofico ha avuto influsso non solo in epoca medievale
uno dei principi dice diversum est esse et id quod est: è cosa diversa l’essere e ciò che è
vuol dire che ciò che è (realmente, effettivamente, in un modo d’essere determinato) non è
l’essere tout court
l'essere è il principio che si manifesta in ogni cosa che è determinata, ogni id quod est
Gilberto di Poitiers del XII secolo ne fa il perno di dottrina metafisica fondamentale, ovvero
quella dell’analogia dell’essere: Boezio ha intuito che dicendo est posso dire cose diverse,
riferendosi a essere totalmente generale, ma anche una cosa specifica
polisemia non solo lessicale ma metafisica del verbo essere, declinata da Aristotele ed
espressa da Boezio in chiave neoplatonica
la teologia per lui ci permette di cogliere aspetti che la ragione naturale vedrebbe in modo
confuso
nel De trinitate, il primo opuscolo- questione giunta a definizione stabile con il concilio di
Nicea- dice che la nostra facoltà conoscitiva va tripartita:
- il sensus
- la ratio
- l’intellectus
umanamente cogliamo l’esistenza della sensibilità e della ragione, ed è la teologia che ci
introduce all’intelletto
la ragione è una facoltà discorsiva, che procede per passaggi e in modo mediato da
premesse a conclusioni
l’intellectus invece è una facoltà intuitiva, e in teologia il modo giusto di procedere è
intellectualiter, perché Dio è incommensurabilmente superiore alle capacità naturali della
ragione, si può cogliere solo con visione intuitiva, immediata e totalizzante
a un certo punto della Consolazione della filosofia, essa insegna questa distinzione facendo
un paragone tra divenire ed essere: la ratio rappresenta il divenire, un passaggio mediato,
mentre l’intelletto la perfetta fissità e intelligibilità dell’essere nel suo senso più generale
per la mente umana arrivare a tale visione significa assimilarsi a Dio nella misura in cui
all’uomo è possibile (tutto ciò che è oggetto di conoscenza viene conosciuto non secondo la
sua natura ma secondo le capacità del soggetto conoscente), per poi ridiscendere sul piano
della razionalità discorsiva e comunicare il contenuto della propria intuizione
è proprio tale processo di perfezionamento conoscitivo a realizzare la consolazione
dell’uomo promessa dalla Filosofia (ossia dalla sua scienza più alta, la teologia)
nel secondo libro dell’opera la filosofia spiega che i beni umani seguono una ruota, nel
senso che può andare bene o male, impronta stoica a livello morale
26
nel terzo libro dice che governo del cosmo da parte del principio divino è assolutamente
buono
nel quarto e nel quinto libro la filosofia cerca di consolare Boezio facendogli vedere il mondo
da un punto di vista intellettuale, facendogli cercare di superare la propria particolare
situazione di sventura per innalzarsi a livello più divino
nel 5 libro tocca problema della libertà di agire umano collegata alla prescienza divina: i due
aspetti si possono conciliare, dà risposta filosoficamente serrata
per capire la soluzione dobbiamo vedere distinzione che fa tra due tipi di necessità:
- assoluta, quella caratteristica dell’essere per cui l’essere non può essere diverso da
come è
- conseguente, la necessità di ciò che segue da determinate cause
non sono sovrapponibili, si può dare una necessità conseguente senza una assoluta
il fatto che Socrate sia seduto non è necessario in senso assoluto, ma è la necessaria
conseguenza di determinate condizioni e premesse
questo introduce fin da subito, senza esplicitare, una distinzione fondamentale tra il piano
dell’essere delle creature e il piano dell’essere di Dio, che ricorda il diversum est esse et id
quod est: sul piano dell’essere totale di Dio ha senso parlare di necessità assoluta, mentre
su quello creato solo di necessità conseguente
due alternative possibili:
- se uomo è libero può fare o non fare in modo indifferente una determinata cosa
- se Dio prevede tutto dall’eternità, qualsiasi cosa l’uomo decida di fare e di non fare è
già stato visto da Dio, quindi la libertà sarebbe un'illusione, e ciò che pensa di fare e
non fare liberamente sarebbe frutto di un decreto divino già stabilito
Boezio usa l’immagine di chi si pone su un alto monte, da cui poter vedere tutto ciò che
succede in basso: costitui vedrà tutto, senza però necessitarlo, però Dio è perfettamente
trascendente, per questo è importante distinguere i livelli di necessità
può sembrare che la prescienza di Dio faccia diventare assolutamente necessario ciò che
nella nostra esperienza è necessario solo in modo conseguente
Dio non solo guarda ciò che gli uomini fanno, ma lo fa essere
come risolvere il problema? innalzarsi con intelletto e cogliendo che Dio è totalmente al di
fuori delle dimensioni del tempo, ha conoscenza perfetta di ciò che succede nella vita di tutti,
guarda ad essa in un eterno presente, che non ha distinzione tra passato e futuro, immobile
in sè
è un Dio infinito nel senso che è al di là del tempo, quindi vede tutto senza
necessitarlo perché ha posto la creazione nel tempo
non impone la necessità assoluta al piano della creazione, che è sottoposta a quella
conseguente in quanto Dio l’ha inserita nel tempo, che è il criterio di governo di tutta la
creazione
noi rimaniamo liberi perché siamo incommensurabilmente inferiori rispetto a colui che è
perfetto e onnisciente
medioevo maturo dirà che Dio non ci necessità perché per lui non valgono le categorie
umane
27
Boezio pensa che vada definito in maniera rigorosa che cosa si intende con natura e
persona: natura è una differenza che consente di distinguere una realtà da un’altra dotata di
una forma specifica, quando diamo due definizioni diverse di qualcosa stiamo distinguendo
due nature diverse
chiaro che in Cristo ci sono due nature, essendoci in lui dio e uomo, contro il monofisismo di
Eutiche, che vedeva in Cristo solo la natura umana
che cos’è invece la persona? definisce termine che poi entra nel lessico della filosofia, non
importante solo all’interno di riflessione teologica
è una sostanza individuale dotata di una propria intelligenza e di una propria volontà
Cristo è stata una persona perché è stato individuo esistente che ha avuto intelletto e
volontà
allora possiamo sostenere che in Cristo vi furono due nature ma una sola persona
nel De trinitate cerca di capire relazione tra determinazioni divine e le categorie aristoteliche:
tutti i nomi teologici che tramanda la scrittura apparentemente rientrano nelle categorie,
buono o giusto qualità, creatore categoria dell’agire: ma non c’è tra queste determinazioni e
Dio lo stesso rapporto che c’è tra determinazioni di una sostanza e la sostanza stessa: le
determinazioni divine che sembrano categoriali in realtà sono sostanziali perché Dio è tutto
l’essere, nel quale non si danno queste differenziazioni
forse bisogna dire che Dio non è sostanza ma soprasostanza, ricorda teologia superlativa
di pseudo-dionigi: problema dell’uso del linguaggio, la risposta pesca nel pensiero
neoplatonico
anche la categoria di relazione sembra problematica: padre e figlio e spirito santo sono
quello che sono nelle loro relazioni: la categoria di relazione non introduce una molteplicità,
ma è un modo per definire la soprasostanziale unità di Dio
quarto opuscolo: esposizione discorsiva e sistematica di fondamenti dogmatici su cui poggia
la verità della religione cristiana
commistione di filosofia e teologia, avvertita come necessitante di una distinzione che
ancora non si riesce a formulare compiutamente
GIOVANNI FILOPONO
pieno VI secolo- in molti autori del secolo si fondono elementi di diritto romano, religione
cristiana, filosofia greca classica
periodo in cui autori sono poco numerosi, non c’è tessuto culturale o istituzioni scolastiche
monachesimo benedettino inizia a fondare monasteri e abbazie che iniziano lavoro di
capitalizzazione della cultura dell’epoca
Alessandria è una grandissima città culturale in epoca medio e neoplatonica
chiusura del 529 della scuola di Atene non influenza alessandria, che ha avuto convivenza e
confronto tra speculazione pagana e cristiana- ad esempio in una scuola pagana studia
Enea, che in un suo trattato Teofrasto o dell’immortalità dell’anima unisce esigenze cristiane
e sincretismo di agende filosofiche (anima immortale con Platone e principio formale con
Aristotele)
Giovanni il grammatico, soprannominato filopono, che vuol dire amante della fatica per la
grande mole di scritti e estensione dei suoi commentari aristotelici
si inserisce in tradizione neoplatonica per quantità di commenti ad Aristotele, nello specifico
alle opere di logica e fisica
scrive due trattati sull’eternità del mondo, De aeternitate mundi
28
De opificio mundi, interpreta razionalmente la creazione basandosi sulle Omelie di Basilio di
Cesarea: nel medioevo interpretazioni filosofiche su racconto di primi sei giorni di creazione
era diventato un genere: letteratura esamerale
vuole reinterpretare in chiave cristiana l’insegnamento dei grandi filosofi del passato
tentativo di correggere Aristotele alla luce del cristianesimo ma non dall’esterno, con l’intento
di correggerlo utilizzando in alcuni casi alcune dottrine dello stesso Aristotele
ciò è reso possibile dal possesso di verità assoluta data da rivelazione cristiana
il possesso dell’unico vero gli serve per essere consapevole di ciò che Aristotele non poteva
sapere, mostra lacune del suo pensiero attraverso le dottrine dello stesso Aristotele
(pretesa sistematicità di enciclopedia aristotelica è costruzione superiore)
estremizza una pratica didattica tipica di scuola neoplatonica
la novità è che la usa alla luce della rivelazione
esempio, critica l'idea di eternità del mondo: quando Aristotele dice che il mondo è eterno
si contraddice con altre cose che ha detto, e questo mostra che la creazione è l’esito
razionalmente più convincente a cui portano le contraddizioni di aristotele: siccome le verità
della rivelazione mostrano la soluzione a tali contraddizioni, guardare ad esse rafforza il dato
rivelato
il mondo occupa tutto lo spazio effettivamente esistente, la spazialità coincide con
l’estensione del mondo, che però non è infinita: perché allora l’infinità dovrebbe valere per il
tempo? il tempo è la vita del mondo come la spazialità è la sua estensione
dire che il mondo occupa tutto il tempo vuol dire che occupa tutto lo spazio possibile, e
dovrebbe voler dire occupare un tempo finito
altra questione della fisica- giovanni buridano dottrina importante-
nella fisica aristotelica tra i vari principi fondamentali c’è principio per cui tutto ciò che si
muove è mosso da altro: problematico nel caso dei proiettili, finchè è attaccato alla leva si
muove per effetto del contatto con la leva, ma quando si stacca dalla leva per il principio
aristotelico dovrebbe cadere perché non ha più qualcosa da cui procede il movimento
(Aristotele diceva che in questi casi il corpo che si muove continua a ricevere movimento dal
mezzo in cui si muove, ad esempio l’aria)
Filopono dice: se valesse, dovrebbe valere il suo reciproco, ovvero muovendo l’aria dovrei
verificare che si muova il sasso, ma non avviene
la risposta di Filopono: il movimento del proiettile continua perché Dio ha posto nel creato
un’energia motoria universale che spiega i movimenti in cui non si vede contatto diretto con
motore
lo spazio è riempito da questa energia motrice- critica alla concezione aristotelica di spazio
nella metà del 1300 da Giovanni Buridano, che dice che leva della catapulta imprime al
proiettile un impetus, uno slancio, una proprietà che lo rende mobile anche dopo aver perso
il contatto con la catapulta
nel 1900 riscoperti scritti del 1300 si è parlato di anticipazione del principio di inerzia,
tentativi di retrodatare rivoluzione scientifica al 1300: medievali avevano iniziato ad avere
uno spirito osservativo più acuto, in realtà essi non stanno sovvertendo Aristotele ma stanno
tentando di salvarlo, introduce l’impetus per salvarlo, per lui è determinazione accidentale
nell'ambito della metafisica aristotelica, non in ambito sperimentale naturalistica
se Aristotele lo avesse detto, lo avrebbe espresso in questo modo
il medioevo è epoca feconda ma ciò non significa modernizzarlo
Nicolò Resm, allievo di Buridano, scrive in francese e in un commento al De coelo et mundo
di Aristotele scrive discussione sulla possibilità che la terra si muova: ma dice che è stato
detto tutto questo per amore della discussione, è palese che la terra sia immobile
29
erano filosofi convinti che Aristotele fosse un grandissimo filosofo, e che bastasse
aggiornarlo
spesso l’ermeneutica razionale del dato rivelato porta a conclusioni inconciliabili con la
tradizione ortodossa (ad esempio Giovanni è accusato di monofisismo in quanto dice che la
natura indica un genere universale e dunque ognuno può partecipare di una sola natura)
RINASCENZA CAROLINGIA
dopo queste personalità di genio in cui non ci sono istituzioni deputate a trasmissione di
cultura, il primo momento in cui si ricrea scolarizzazione è con la rinascenza carolingia
non bisogna pensare che sia stato un evento di portata paragonabile a quella del
rinascimento
rinascenza perché si è passato dal nulla di istituito per la trasmissione della cultura
all’istituzione di una schola palatina, di palazzo, per insegnare
nell’ideale carolingio di un sacro romano impero c’è idea di ripresa di istituzione politica,
organizzazione volta a governare il territorio
è con Carlo Magno che l’ideale della Christianitas si invera, popolo che si riconosce nella
rivelazione trova fisionomia e unità non solo spirituale ma anche da un punto di vista politico:
cristianità come collante politico
la rinascita dell’impero è legata a quella culturale e religiosa
nel 786 Carlo sottomette la Sassonia pagana e impone il battesimo: Alcuino celebra il
successo ma critica la durezza del regime : non è etico e nemmeno utile costringere alla
conversione, “l’uomo può essere costretto al battesimo, non alla fede”: servono nuove
scuole, così da persuadere la razionalità invitandola a riconoscere la verità della Rivelazione
questa idea è alla base della solidità organizzativa della società carolingia
egli aveva deciso di circondarsi di intellettuali (Rabano Mauro, Alcuino di York), persone forti
di preparazione letteraria e storica ma non intellettuali di valore assoluto, grande ma in
relazione all’epoca in cui hanno vissuto
spesso si sceglie come forma letteraria il dialogo, in cui spesso compare lo stesso Carlo
Magno nei panni di un brillante apprendista
c’è grammatica dell’epoca che biasima chi sbaglia regole del latino facendo due errori di
grammatica latina
fase di riedificazione di patrimonio antico altrimenti destinato a perdersi, tentativo di
recuperare la tradizione si intensifica- da sintetiche riduzioni enciclopediche si vuole risalire
ai testi originali da cui queste derivano (importanza superiore a opere di padri della chiesa)
si voleva che i preti professassero sacramenti in modo non sacrilego: il latino non si sapeva
più in modo talmente grave che in alcune messe si diceva nel nome del padre, della figlia
l’obiettivo non era creare circolo di intellettuali attorno a corte e al sovrano in modo tale che
questo fosse messo da loro in luce, ma lo scopo era che i preti non sbagliassero la messa,
avere esattori delle tasse capaci di contare e andare su un territorio: scolarizzazione nasce
da un’esigenza pratica, e limitata
su questo consolidamento delle conoscenze di base si è innestato il programma politico di
unificazione e integrazione di consuetudini e popoli diversi: il mondo colto carolingio nasce
dalla confluenza di molteplici tradizioni
per favorire la coesione: unificazione linguistica, unitarietà grafica, testo comune della Bibbia
diffuso, uniformità di usi liturgici
alla base si colloca l’idea dell’unanimitas: formare una comunità basata sulla concordia di
intenti politici, religiosi e morali, in una convergenza assoluta di fides e ratio
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il re filosofo è anche re sacerdote, che promuove nei sudditi la conoscenza della verità
diffondendo il dato rivelato
sono cambiamenti significativi come ponte verso l’XI secolo, in cui studi ripartono con nerbo
sufficiente a far ripartire discussione vitale tra intellettuali
unica grandissima personalità dell’epoca:
31
a) La natura e le sue divisioni
De divisione naturae, o Periphyseon
sulle nature, titolo scomodo in greco
dialogo in 5 libri tra nutritor, maestro, e alumnus, discepolo, che riprende tradizione
agostiniana ma anche carolingia, ad esempio anche Alcuino scrive dialoghi filosofici
volontà esplicitare tutta la verità presente nelle realtà visibili ed invisibili, c’è verità che si cela
nel creato, che non è solo quello che vediamo, perché esso è fatto di molteplici realtà
invisibili, che noi possiamo scovare con la ragione (il massimo risultato raggiunto in tale
ricerca è stato quello dei Padri)
vera filosofia come esplicitazione razionale della vera religione, una ragione ben usata
cercando la verità alla fine non può che concordare con il dato rivelato, ciò perché un punto
fondamentale della sua riflessione è che ogni realtà è una teofania, manifestazione di Dio
la teofania più alta è la sacra Scrittura, in essa Dio si manifesta compiutamente: allora
credere e intelligere non possono non andare d’accordo: bisogna credere alla Scrittura ma
allo stesso tempo anche interpretarla razionalmente, perché in linea di principio non c’è
verità rivelata che non sia razionalmente esplicabile, e non c’è verità razionalmente
esplicabile che non trovi un suo corrispettivo nella Rivelazione
in lui penultima manifestazione di un modo patristico di pensare la relazione tra ragione e
fede, un isomorfismo di principio che diventa isomorfismo di fatto, dopo di lui in Anselmo
d’Aosta, ma dalla fine dell’XI secolo l’isomorfismo di principio inizia a declinare di fatto in
situazioni più complesse
da Gilson è stata definita un’epopea metafisica
è opera accidentata, noi lo possediamo in un’edizione critica
quando in lui troviamo aspetti che sono preludio di riflessioni successive non dobbiamo
pensare che l’opera di Giovanni abbia avuto un impatto per i successori: la sua opera era
presto sparita dalla storia, solitamente i grandi capolavori venivano tramandati
abbondantemente
la tradizione manoscritta si era interrotta molto presto, il suo pensiero è grandioso ma non
ha avuto sviluppi
prima edizione critica della seconda metà del 1700
all’inizio del dialogo maestro chiede di trovare parola per indicare tutto ciò che è pensabile,
per riunire in un’unica concettualizzazione tutte le teofanie: si sceglie il termine natura, che
comprende tutte le cose che sono e che non sono
maestro fa notare che è il termine con il significato più generale di tutti, e dunque in sè non è
possibile definirlo: aristotelicamente, quando definiamo dobbiamo trovare un genere più
ampio dentro al quale si collochi il termine che si sta definendo
nel caso del termine natura non esiste un genere più ampio, quindi la natura va pensata
come il genere più ampio, che si divide in specie attraverso delle differenze
infatti non possiamo definire il termine natura ma possiamo comprenderne meglio il
significato esplicitando le divisioni interne (ecco perché il titolo latino)
per capire che natura si divide in specie bisogna ricorrere alla Rivelazione e sapere che la
natura è creata: il verbo creare fornisce l’elemento che permette di dividere la natura nelle
sue specie, nello specifico si può dividere in quattro nature:
- natura che crea e che non è creata: è la natura di Dio, causa di tutto ma non
causata da nulla
- natura che è creata e che crea: le idee eterne, create perché sono nell’intelletto di
Dio ma non uguali a Dio stesso e creano in quanto cause di effetti che si vedono nel
mondo
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- natura creata che non crea: individui
- natura che non è creata e non crea: più difficile da cogliere, sembra introdurla dal
punto di vista filosofico per ragioni di simmetria del ragionamento (come c’è realtà
creata e che crea c’è una non creata e che non crea) quest'ultima realtà ce la
suggerisce la Rivelazione: è qualcosa al di fuori del mondo creato, è il momento
escatologico del ritorno di tutto il cosmo creato a Dio, che non è creato e smette di
creare
questo quarto momento è meno evidente e va affrontato dopo i primi tre
era stata preceduta da altra divisione poi abbandonata nel corso dell’opera: cose che sono e
cose che non sono, a sua volta divisa in cinque modi interpretativi (sono le cose conoscibili-
sono le cose gerarchicamente inferiori rispetto a quelle che non sono- non sono le cause
primordiali e sono invece i loro effetti- sono le entità spirituali e non sono quelle corporee-
non sono gli uomini dopo il peccato originale)
sovrapposizione tra tre facoltà conoscitive introdotte da Boezio e la nostra capacità di
cogliere la creazione:
- al senso corrisponde la partitio, ovvero la divisione del tutto nelle parti, riguarda solo
realtà materiali
- ragione discorsiva può dividere il genere nelle specie (divisio), è divisione logica, che
porta all'albero di Porfirio che divide genere in specie per definirle
- intelletto, contemplazione intelligibile della totalità, comprende genere globalmente a
prescindere dalle sue divisioni
proprio l’intelletto all’inizio dell’opera ha consentito l’intuizione della verità del termine
natura, a cui è subentrata la ragione cercando di darne una formulazione attraverso
la bipartizione tra cose che sono e che non sono, e, con l’aiuto della fede e appunto
dell’intelletto, ha prodotto la divisione quadripartita
33
anche le categorie aristoteliche dunque non possono essere riferite a Dio: egli per certi versi
non ospita delle relazioni, ma nemmeno la sostanza è predicabile in modo direttamente
affermativo, rispetto a Dio la perfetta sapienza si configura come una divina ignoranza
Nicola Cusano dice la stessa cosa da frequentazione neoplatonica, non da Giovanni, questo
mostra come la personalità di G sia paragonabile ai grandi pensatori dei secoli successivi,
arrivati alle sue stesse conclusioni
categorie di spazio e tempo rispetto a Dio:
la nostra ragione si approccia alla realtà entro coordinate spazio temporali
spazio e tempo sono eminentemente il modo in cui la nostra capacità sensitiva è in grado di
conoscere
non sono realtà al di fuori dell'anima umana, sono le strutture dentro alle quali si dà la
possibilità della nostra conoscenza delle cose
la Scrittura dice che Dio è sempre: non vuol dire che è in un tempo reale ed infinito, ma che
è al di fuori del tempo
Dio è dappertutto: non vuol dire che riempie ogni frazione di spazio ma che non è in alcuno
spazio perché è dappertutto
queste categorie funzionano metaforicamente con Dio, per conoscere qualcosa di lui, le
categorie non sono le modalità proprie della realtà dell’oggetto ma le forme di
organizzazione della nostra capacità conoscitiva del soggetto
la sua natura ci sfugge ma Dio pone relazione tra il suo essere e la nostra capacità
conoscitiva, ama nascondersi ma non essere sconosciuto
Dio è buono e creatore e grande per sè, e metaforicamente anche per noi
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è nella mente di Dio che questi tre aspetti delle entità create trovano una loro piena e totale
presenza
peculiarità che conoscenza di Dio ha: può conoscere simultaneamente questi tre aspetti
invece la seconda natura (trattata nel secondo libro) sono le idee nella mente divina: non
sono solo dei modelli a cui Dio si ispira nella creazione, ma sono realtà a loro volta
produttrici, capaci di dare l’essere, è in esse che il Verbo crea tutta la realtà
Dio conosce sostanzialità, potenzialità e attualità nelle sue idee, si rispecchia nelle cose
create nel Verbo, nell’idea perfetta di ogni cosa che si trova nel suo intelletto: ogni cosa che
passa dalla seconda alla terza natura sarà una teofania decaduta, limitata, ma mantiene la
propria originaria connessione con l’idea nella mente divina
ecco in che senso ogni cosa è Dio: questo è altro problema, in alcuni passaggi Giovanni
dice che tutte le cose sono Dio, sembra ricadere in un panteismo (a volte dice che tutte le
cose sono Dio in quanto sono nella seconda natura)
panteismo uno dei rischi di incontro di matrice cristiana e riflessione greca
si può capire la difficoltà di ricezione, non c’era edizione critica, era testo difficilissimo
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conoscitiva)
c’è rottura globale della sintonia della creazione con Dio, dopo il peccato la creazione deve
ritornare a Dio, trovando una strada di ricongiungimento con il creatore
g) oltre la teologia
usa theologia per indicare la Sacra Scrittura, e theologi i profeti
l’unica sua opera che ha goduto di una certa diffusione dopo di lui è il commento al primo
trattato del corpus pseudo-dionisiano, ovvero le Expositiones in Hierarchiam coelestem
in essa illustra le gradazioni possibili di conoscenza del divino: dopo il peccato, lo strumento
teofanico sono le Scritture, che tuttavia si esprimono in vari modi, talvolta anche
analogicamente
al di sopra si colloca la comprensione che del divino si dà per gli angeli, che l’uomo
raggiunge solo rare volte
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tuttavia anche questa conoscenza teologica intellettuale è ancora imperfetta, essendo
comunque basata su teofanie
solo Giovanni l’Evangelista ha potuto avere una visione perfetta della realtà divina,
annunciando poi che “il Verbo si è fatto carne” e dischiudendo per tutti la possibilità di
raggiungere con la fede una conoscenza teologica superiore
una vera rinascita del pensiero si ha con l’anno mille, in concomitanza con una ripresa
sociale, economica e cittadina, lenta ma evidente
iniziano a circolare maggiormente anche le idee
negli autori si vede una maggiore attitudine al confronto, segno dei tempi nuovi
XI secolo:
- Anselmo d’Aosta
- disputa tra dialettici e antidialettici
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la differenza sta nel senso e nel ruolo che questi autori conferiscono all’indagine filosofica
all’interno di una cornice che per tutti è dettata dal dato scritturistico:
- per Berengario e Roscellino indagine filosofica inizia ad avere una curvatura di
distanza rispetto al dato rivelato e una maggiore autonomia
- Lanfranco e Damiani pensano che la riflessione razionale debba rimanere entro gli
argini che la tradizione aveva ad essa stabilito
la disputa è tra modelli diversi di rappresentare cosa è bene che il pensiero faccia all’interno
della rivelazione, per ora prevale il versante antidialettico
poi ci fu un progressivo allontanamento dal dato rivelato
c’è germe che ha portato alla fioritura delle grande riflessioni del XII secolo, fino a quando la
filosofia è diventata talmente autonoma da far prevalere la dissonanza tra filosofia e dato
rivelato, e quel punto si era fuori dal Medioevo
teologi moderni: modo significa di adesso, li chiamano così perché vedono che nei dialettici
c’è un modo nuovo di fare filosofia
la filosofia deve esplicare il dato rivelato con un margine di libertà mai visto fino ad allora
Berengario Di Tour
muore nel 1088
maestro di arti liberali
inserito all’interno di una disputa sull'eucaristia
parte da dottrina platonica del realismo delle essenze: nella realtà creata, nel darsi empirico
delle cose, nessuna trasformazione è possibile senza che divenga anche la sostanza: nel
divenire degli accidenti non può non mutare anche la sostanza
ma se così fosse allora il pane e il vino nella consacrazione eucaristica verrebbero meno:
avviene transustanziazione, ovvero cambiamento di sostanza sotto il permanere degli
accidenti quando il prete prende l’ostia
ma per Berengario se non cambiano gli accidenti vuol dire che non può cambiare la
sostanza:
spiritualismo eucaristico, dopo la consacrazione continuiamo a vedere il pane e il vino, vuol
dire che non sono il vero sangue e corpo di cristo, essi esistono solo nella loro essenza
trascendente a cui il pane e il vino alludono: il pane e il vino diventano dei simboli
problema è di ordine teologico: avviene trasformazione o essa è simbolica? cambia il senso
che si attribuisce alla celebrazione eucaristica
per la storia della filosofia: io posso ragionare su un miracolo in termini razionali? posso
usare concetto neoplatonico di realtà separata dell’essenza e unirla a riflessione aristotelica
giungendo a prodotto razionale che incide sul dato religioso?
Berengario non vuole negare che effettivamente il corpo e il sangue di cristo esistono, ma
pensa che indagando razionalmente non si può dire che si trovino sull’altare
ritrova poi nella biblioteca di Tours un manoscritto di un’opera De corpore et sanguine
domini scritta in realtà da un autore carolingio, Ratramno di Corbie, ma che o per errore di
attribuzione o per una sua interpretazione, egli pensa sia di Giovanni Scoto Eriugena: in
questo modo conferisce autorità alla sua tesi
contro ratramno aveva già scritto un’opera Pascasio Radberto, che aveva sostenuto il
realismo eucaristico (apprezzato per impatto devozionale nei fedeli e in quanto arma contro
immoralità dei sacerdoti- più grave toccare il vero sangue e corpo di Cristo)
Berengario dal 1049 al 1079 va incontro a innumerevoli condanne dottrinali, fino ad abiurare
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Lanfranco Di Pavia
morto nel 1079
è stato il maestro di Anselmo di Aosta, il quale non ha partecipato direttamente alla polemica
tra il maestro e Berengario
la realtà è quella che dice Gesù con le parole riportate dai Vangeli, ma evidentemente ci
sono modi diversi per intendere i testi rivelati
dobbiamo chiarire su cosa possono fare le arti liberali quando si dedicano al testo sacro
scrive De corpore et sanguine domini, con lo stesso titolo di opera trovata da Berengario, il
quale risponde con un Rescriptum contra Lanfrancum)
secondo lui il metodo di Berengario è esasperato, non in sè sbagliato, fa notare che lo
stesso san Paolo apostolo è stato un abile conoscitore della dialettica, un argomentatore:
essere cristiani non vuol dire essere ignoranti della retorica e dialettica, il problema di
Berengario non è di principio ma di metodo effettivo:
egli ha indagato prima con la pura razionalità il sacramento, e poi ha imposto i risultati al
dato rivelato: ricostruisce con notevole acutezza il percorso, Berengario opera esattamente
così, in discussione è la legittimità dell’operazione
per tutti i cristiani la presenza di Cristo nella Chiesa è un mistero, quindi partire da un
mistero significa partire da una limitazione alla capacità e alla possibilità di un’indagine
razionale
qual è il giusto metodo? stabilizzare la fede, accettare il mistero e poi usare la dialettica e la
logica per spiegare che cosa significa il dogma, non pretendere di capire come il mistero
avviene, ma al limite che cosa
come dice Gianfranco nel capitolo delle Nozze di cana: l'acqua diventa vino ma la ragione
non può capire come è avvenuto
la ragione deve esplorare il che cosa, non il come, altrimenti la nostra ragione sarebbe
onnipotente come quella di Dio
prima viene il dato rivelato che ha una percentuale di mistero e poi la ragione ad indagare
che cosa avviene
Lanfranco a questo punto passa al momento costruttivo e cerca di spiegare che cosa
avvenga, attinge a fonti indirette di tradizione aristotelica (come Categoriae decem pseudo-
agostiniano): non ci sono generazione o corruzione, non c’è traslazione nello spazio o
crescita-diminuzione nella quantità, ecco che si può dire che la trasformazione è
un’alterazione della realtà naturale, che altera appunto la realtà del pane e del vino: l’aspetto
soprannaturale è che il miracolo mantiene gli accidenti e fa mutare la sostanza
definito da Tommaso d’Aquino transustanziazione e imposta dal quarto concilio ecumenico
lateranense del 1215 e dal concilio di Trento del 1551
rapporto tra filosofia e teologia giunge a maturazione
per Berengario la riflessione razionale porta a delle conclusioni che devono avere
ripercussioni sul dato rivelato, che per Lanfranco è invece originario: derivando da Dio
contiene misteriosità che rimane insondabile
Pier Damiani
muore nel 1072
importante per la riforma religiosa del secolo, ha propugnato elementi di correzione morale e
del clero
produzione letteraria vasta, sermoni, numerosi trattati
De sancta simplicitate scientiae inflanti anteponenda: le ragioni della scienza gonfia
d’orgoglio non devono prevalere sulla simplicitas della fede
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Dominus vobiscum: chi si chiede che senso abbia che qualcuno che prega solitario pronunci
formule dialogiche lascia entrare dubbi di razionalità in questioni talmente semplici che non
saprà tenerla a bada in quelle più importanti: prima il credente deve accertare la propria
adesione alla rivelazione, poi può cercare una risposta (uso delle formule ad esempio
esplicita appartenenza spirituale a chiesa): l’errore è far dipendere la fede dalla razionalità,
non con essa incrementare la comprensione della verità rivelata
attitudine polemica nei confronti del sapere filosofico in alcune opere
raccomanda ai suoi monaci la sancta simplicitas, ovvero evitare studi
però scrive De divina omnipotentia, che lo mostra come sottile conoscitore delle arti liberali,
soprattutto della dialettica
per lui le arti liberali non vanno usate per spiegare i dogmi, poichè il lavoro dei Padri della
Chiesa è già sufficiente (posizione diversa anche rispetto a Lanfranco)
la sua preoccupazione è quella di marcare i limiti della conoscenza umana razionale: dentro
questa limitazione compie analisi acuta di cosa possa fare la filosofia
la verità divina è incomprensibile, non possiamo rivolgerci ad essa con atteggiamento di
curiositas, ma possiamo porre domande e cercare risposte razionali
cornice dell’opera è discussione che sarebbe avvenuta presso l'abbazia di Montecassino tra
Pier Damiani e l’abate Desiderio di Montecassino: durante la cena ascoltano sermone di san
Girolamo, che diceva che nemmeno Dio avrebbe potuto restaurare la verginità di una
ragazza caduta in peccato:
Pier Damiani dice che la possibilità del miracolo è una delle prerogative su cui non possiamo
dubitare, ma la questione è: se un fatto si è già verificato nel passato, Dio può cancellare, se
lo vuole, la realtà di tale evento? il problema è limitare o meno l’onnipotenza divina, dicendo
che può compiere miracoli in relazione al futuro ma non al passato
Pier Damiani dapprima non vuole partecipare alla discussione, poi il suo intento è mostrare
che la ragione umana non può porre i propri limiti a Dio, per mostrarlo compie analisi
razionale del rapporto tra onnipotenza e temporalità
generalizza ed estremizza la questione: Dio può volere nel presente che le cose accadute
nel passato non siano mai esistite? Dio può far sì che l'impero romano non sia mai esistito?
da un lato la fede sente di non avere motivo per negare questa possibilità, ma d’altra parte la
ragione ritrova delle leggi ordinate e coerenti nel reale, e sente di non poter dire che Dio lo
può fare
diventa un problema filosofico: il reale ha una sua autonomia ontologica una volta che Dio
l’ha creato? la dipendenza creaturale da Dio è sempre totale, oppure una volta creata ha un
suo essere che non viene più sovvertito da Dio?
onnipotenza di Dio e contraddittorietà di annullare il passato
risposta è sfumata: regole che la ragione trova nella realtà valgono entro la realtà, sia la
realtà creata che la ragione sono isomorfe e limitate, non si possono estendere i principi
della ragione al di fuori della realtà creata, quindi il principio di non contraddizione non può
essere vincolante anche per Dio, che ne sarebbe limitato
la logica umana non coincide con quella divina
noi non possiamo limitare l'onnipotenza divina, ma ciò non significa che essa non abbia un
limite, e che questo limite non sia razionalmente determinabile
principio di non contraddizione non è tale da dirci che Dio non può far sì che Roma non sia
mai esistita, ma è tale da dirci che Dio non può volere il male: la bibbia ci dice che Dio può
volere solo il bene, egli non può contraddirsi, se ha creato il mondo facendo sì che qualcosa
sia impossibile, allora esso rimane tale, con l’eccezione dei miracoli
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la domanda (Dio può far sì che Roma non sia mai esistita?) è dunque mal posta, pretende di
capire Dio alla luce di una logica che vale nella creazione, tuttavia questa analisi l’ha portato
a stabilire che in un certo modo il pdnc vale anche per Dio: può contraddirsi rispetto al nostro
modo di vedere le cose ma non può contraddire sè stesso
se Dio compisse il male ciò diventerebbe bene e sarebbe contraddittorio
Dio può far sì che il passato non sia mai esistito? da quello che ne capiamo no ma la cosa
certa è che la domanda impone a Dio una logica umana
il suo lavoro è molto raffinato
apre la strada a dottrine che riconoscono alla creazione un'autonomia che non era stata
esplicitata mai in precedenza: Dio pone nella creazione qualcosa che in essa ha un valore
assoluto, anche prima si diceva che la realtà ha un senso (ottimismo metafisico) ma la
concettualizzazione filosofica arriva con Pier Damiani
la sua opera inaugura un lungo dibattito nel medioevo, che attribuisce maggiore consistenza
ontologica al mondo creato, la realtà è un fondo solido ben strutturato e conoscibile
molte riflessioni sull’arbitrio divino: Duns Scoto distingue tra potenza assoluta (prima della
creazione avrebbe potuto fare tutto quello che avesse voluto) di Dio e potenza ordinata (la
potenza assoluta diventa ordinata perché Dio sceglie ordine da dare alla creazione, e una
volta che lo sceglie non vuol dire che tale ordine è vincolante per Dio, ma sarebbe
contraddittorio che egli lo sovvertisse continuamente)- pur nell’assolutezza dell’onnipotenza
c’è limitazione di ordine e di senso dettata dal fatto che ha scelto Dio il creato
costruzione dell’ordo verborum come percorso mai esaurito di avvicinamento all’ordo rerum
e idearum
Roscellino Di Compiègne
morto tra 1120-1125
noto per critiche a lui mosse da Anselmo d’Aosta e poi Pietro Abelardo, per un periodo suo
allievo
opere in cui si addensano le critiche sono andate perdute
accusato di radicale nominalismo sulla questione della natura degli universali (ovvero i
concetti generali, generi e specie che significano una pluralità di individui), per alcuni erano
reali, per altri frutto solo di azione intellettiva umana
per lui universali sono pure parole, nomina, flatus vocis, dicendo “uomo” emetto solo una
serie di fonemi, non vuol dire nulla se non il proprio suono
secondo gli accusatori se non si concepisce la realtà degli universali in alcun modo si giunge
ad un triteismo: come si può concepire che padre figlio e spirito santo siano tre persone in
una sostanza, se non si coglie nemmeno l’unità dei singoli uomini nella specie “uomo”? per
farlo si usano concetti universali
la posta in gioca dietro alla questione teologica della trinità: se è come dice Roscellino
decade la corrispondenza tra l’ordo verborum, l’organizzazione semantica e sintattica delle
parole nel latino, e l’ordo rerum, nell’organizzazione del reale, perché viene meno qualsiasi
collegamento tra ordo idearum e ordo verborum
concezione anarchica della realtà, se il linguaggio non ha senso allora si è rotta
un’organizzazione che regge dalla base il pensiero medievale
secondo Abelardo la conseguenza era l’impossibilità per il pensiero di corrispondere
oggettivamente alla realtà, riducendo così ogni forma di sapere a un’organizzazione pratica,
in quanto convenzionale e arbitraria
non potremmo capire che cosa significa lo spirito santo
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per Anselmo è una cattiva concezione della dialettica che porta Roscellino ad essere un
cattivo cristiano, non il contrario: ha concezione talmente sbagliata di logica che non può più
essere cristiano
il modo filosofico di concepire il linguaggio diventa ciò che dà conseguenze teologiche
inaccettabili: la filosofia ha acquisito un potere enorme, il ragionamento ha campo di azione
talmente vasto che idea che ragione bene usata non può che portare all’unico vero inizia a
vacillare
nell’unica epistola che abbiamo Roscellino dice di essere totalmente ortodosso, pensa che
la sua riflessione sia in accordo con il dato teologico, polemica si accende
secondo Roscellino se padre figlio e spirito santo avessero un significato reale, allora anche
il padre e lo spirito nell’unicità si sarebbero dovuti incarnare, proprio come Cristo
queste dottrine considerate eretiche, ma secondo lui erano implicate dalla tradizione
tradizionale
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ANSELMO D’AOSTA
Gilson: se in Pietro Abelardo si sente il pulsare della vita della città, in Anselmo si trova
ancora la calma del monastero
ultima istanza di un pensiero che rielabora genialmente i dati di una tradizione
fondamentalmente neoplatonica sulla base dell’isomorfismo tra pensiero umano e
rivelazione: ragione bene usata non può che confermare la verità della teologia, ma questa è
la sua ultima grande enunciazione
uno dei pochissimi autori medioevali che hanno interessato molto anche i moderni
nasce ad Aosta nel 1033 e muore nel 1109
nel 1076 manda al maestro Lanfranco di Pavia, che era stato priore in Normandia
all’abbazia del Bec, dove nel frattempo era arrivato Anselmo, e che era diventato nel
frattempo arcivescovo di Canterbury (poi lo sostituisce Anselmo, tanto che a volte lo si
chiama Anselmo di Canterbury), uno scritto Exemplum meditandi de ratione fidei, Modello di
meditazione sulle ragioni della fede
alcuni monaci del Bec si erano mostrati scettici per la riflessione, contenuta nello scritto, che
riguarda dato rivelato in quanto condotta in modo puramente razionale, senza citare mai
l’autorità delle Scritture o dei Padri
esordisce proclamando rispetto della rivelazione, ma poi procede usando solo la ragione: è
giusto che un pensatore cristiano abbia un pensiero così autonomo?
gli esiti sono sempre concordanti con la fede, ma il metodo creava preoccupazione
Lanfranco dice ad Anselmo che non trova nulla di eretico, ma di moderare
Anselmo: lo possiamo dare alle fiamme se trovi qualcosa contrario alle verità di fede, ma
siccome non c’è nessuna parola che vada contro le Scritture, i Padri e il De trinitate di
Agostino, io non la modifico, alla fine Lanfranco non ordina la distruzione dell’opuscolo
Anselmo non mitiga l’opera ma il suo titolo, diventa Monologion, neologismo su calco dal
greco, significa “colloquio solitario”
Fides quaerens intellectum, La fede che cerca l’intelletto, opera scritta poco dopo, diventa
Proslogion, ovvero “discorso a qualcun altro”, in realtà è discorso tra l’anima e Dio
c’è una ragione che, se bene usata, ci porta nello stesso posto della fede, e c’è una fede che
cerca una ragione che la sostenga, queste due opere dai titoli originali presentano una
circolarità
cerca di dare una sistemazione logica delle verità teologiche senza far dipendere la ragione
dalla fede, e tuttavia presupponendo la verità della fede
la sua produzione si colloca nell’arco temporale di venti anni
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la dialettica è la scienza che ci insegna a riconoscere la rectitudo non solo delle proposizioni,
ma anche delle cose, ci insegna a verificare la corrispondenza tra le cose, il pensiero e le
parole che lo esprimono
idea molto forte della circolarità tra cose-pensiero-parole (Guglielmo di Occam dirà tra cose-
linguaggio mentale-linguaggio verbale)
filosofia vera si ha quando le parole esprimono correttamente un pensiero modellato sulle
cose
è un ideale, il nostro intelletto è limitato, deve subordinarsi all’altissima verità che solo Dio
conosce, ma che egli stesso ha voluto rendere accessibile con la Rivelazione
Anselmo porta alla ultime conseguenze il credo ut intellegam- è Dio che ha donato la
ragione, perché essa funzioni bene non può prescindere dal piano del divino- et intelligo ut
credam- il pensiero e il dato rivelato sono perfettamente isomorfi, potere del pensiero può
argomentare in maniera vera tutto ciò che la rivelazione esprime nella Sacra Scrittura
compiuto l’atto di fede, la ragione può riconoscere la rectitudo dei suoi discorsi razionali su
Dio
il metodo della sola ratio consiste dunque nel procedere nella comprensione dei contenuti
della fede mettendo la fede tra parentesi
Monologion trova nel De veritate una sua spiegazione teorica, ci fa capire come mai scrive
l’opera in questo modo specifico
2. Monologion
si dice spesso che qui si trovano tre dimostrazioni della prova di Dio a posteriori, ovvero a
partire da ciò che viene dopo, ovvero dalla creazione, mentre da manuale il proslogion ha un
unico argomento a priori
D’Onofrio sostiene che nel Monologion ci siano in realtà quattro argomenti e che possano
essere considerati a priori, perché l’elemento cosmologico è vero che è presente, ma ciò da
cui si parte è una nozione del divino presente nella nostra mente, in qualche modo
presuppone che il credente sappia che c’è Dio
anche mettendo tra parentesi il dato di fede, considera presupponibile che Dio esista
anche un’intelligenza che ignora che cosa sia Dio, può essere condotta con la sola ratio alla
rappresentabilità di ciò che la fede intende parlando di Dio, e da qui alla necessità di
ammetterne l’esistenza
argomenti non considerano tanto la realtà creata quanto delle costanti e determinazioni
generali che si danno nella realtà creata, ma essa non è il punto di partenza teorico
Dio è la causa prima e ultima di tutto ciò che esiste, come facciamo a trovare nella realtà
elementi che ci testimoniano ciò?
primo argomento: constatiamo di desiderare delle cose, ma in tutto ciò che desideriamo non
desideriamo in sè delle cose, ma vogliamo il loro essere buone, ovvero le desideriamo
perché buone, quindi il bene che troviamo nelle cose e che le fa essere tali, e se troviamo
nelle cose del bene allora riconosciamo che sono bene in parte, in modo imperfetto: ma
allora deve esserci un bene in sè rispetto al quale noi misuriamo l’imperfezione del bene che
troviamo nelle cose (e che non necessita di altro per essere desiderato)
da una caratteristica nella realtà, la bontà, in cui si trova parzialmente, si dice che deve
esistere in maniera assoluta e totale
presupposto che gradi imperfetti di determinata perfezione si possono invenire e misurare
soltanto a partire dal grado assoluto di tale perfezione
secondo argomento: tutte le cose create hanno una determinata grandezza, hanno in sè
l’essere grandi, possiamo misurarlo relativizzandolo, che ci mostra necessità di avere una
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grandezza assoluta da cui partire, altrimenti non potremmo misurare quella relativa, questa
somma grandezza non può che coincidere con il sommo bene, è Dio
sulle cose del mondo possiamo formare delle proposizioni, che hanno la loro rectitudo, che
non potrebbe esistere se non ci fosse una suprema rectitudo in base a cui misurare quella
relativa che io constato
è un’impostazione platonica, trovare una caratteristica comune alle cose relative postula che
io possa risalire al livello assoluto, altrimenti non potrei sperimentare nemmeno il relativo
la mente è ascesa da una predicazione per aliud (predicazione di qualità e di quantità che
sono tali per il riferimento ad una qualità o quantità superiori) alla predicazione per se, che
coincide con Dio, per se ipsum
terzo argomento: si concentra su categoria della relazione, ogni cosa che la mente conosce
il qualche modo è- il nulla è problema filosofico, discusso molto in questi secoli, non solo per
la creazione dal nulla- ma cosa significa che una cosa è? una cosa è perché è in relazione a
qualche cosa che lo fa essere, tutte le cose del mondo sono relativamente, hanno un essere
limitato legato ad una causa che lo ha generato
oltre ad un essere che si dà in una relazione causale, ci può essere un essere in sè, che è
Dio, quindi la catena delle relazioni che fanno essere l’essere delle cose deve mettere capo
a Dio
quarto argomento: la relazione non si riferisce solo alle sostanze, ma anche alle
qualificazioni; nelle cose ci sono vari gradi di perfezione o dignità, che non può procedere
all’infinito, risalendo non posso che trovare una somma perfezione, che si dà al grado
assoluto, che necessariamente è la perfezione di Dio
seconda parte del Monologion: a partire da queste premesse si parla di altri caratteri di Dio:
è ingenerato (non può dipendere da causa preesistente), è essenza che può essere tutto
(infinita potenza) ed è anche tutto ciò che può essere (infinito atto), ogni causalità scaturisce
da lui in quanto creatore di tutto (creazione dal nulla: dicendolo sembra che nulla sai
qualcosa, ma prima delle cose c’era solo Dio, quindi le cose erano in Dio ma non erano Dio,
ovvero esistevano nel pensiero divino, nel Verbo, generato dal padre: Padre e Figlio non
sono in rapporto di subordinazione o alterità, perché sono uniti da un amore identico,
perfetto perchè l’amante, nell’amare l’amato, ama anche sè stesso)
formula via interessante e per alcuni aspetti alternativa rispetto alla teologia negativa
pur consapevole dei limiti, forse per lui la teologia metafisica doveva essere troppo
metaforica
fiducioso nelle capacità della ragione
è vero che Dio ha tutte le perfezioni, ma a loro volta le perfezioni non sono tutte di uguale
dignità, anche nelle creature ci sono delle perfezioni che è meglio predicare di Dio e altre
che è meglio non predicare, perché troppo legate alla finitezza o materialità
ad esempio il corpo ha vari gradi di perfezione, ma legati alla finitezza della creaturalità,
come l’essere animale è una perfezione rispetto all’essere pianta
vivere invece è una perfezione che non è vincolata alla finitezza e alla materialità
è meglio dire di Dio le perfezioni di grado superiore, legate alla possibilità dell’infinità
3. Proslogion
breve Prologo in cui ci racconta la vicenda dell’opera, scritta solo un anno dopo rispetto al
monologio, e spiega la difficoltà e lo sforzo intellettuale che aveva compiuto per reperire
l'argomento, che un giorno si è improvvisamente palesato [il biografo Eadmero racconta di
Anselmo che per due notti si sveglia e annota intuizione su tavoletta, ritrovata distrutta al
mattino, e poi la terza volta sveglia il copista e gli detta]
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era nel coro, dove monaci dicono orazioni del mattino, e gli si era palesato un unum
argomentum, un unico argomento assolutamente probante per dimostrare l’esistenza di Dio
c’è ancora bipartizione tra ratio e intellectus che si era generata in Boezio: c’è la ratio che
con la sua discorsività ci ha portato a quattro argomentazioni, ma sente la necessità di
ricondurle ad un’unica argomentazione che sia intuitiva, per cogliere Dio non con una
razionalità discorsiva, ma un ragionamento che si presenti in modo intuitivo e totalizzante
argomentum rimanda al tecnicismo topos, ovvero luogo intuitivo della mente
la dizione “argomento ontologico” è tarda, nasce da sistemazioni manualistiche: D’Onofrio
sottolinea che non si può definire tale, in quanto la mente non acquisisce da sola il concetto
totalizzante di Dio, ma si parte da riflessione che è comunicata dall’espressione della verità
della fede:
solo un credente potrebbe escogitare l’argomento, che è tuttavia razionale e avente
un’efficacia a prescindere dalla fede
vuole unificare le argomentazioni, anche per questo si può sostenere che anche gli altri sono
argomenti a priori, tutti partono dal concetto di Dio, semplicemente questo si propone come
argomento unificante e intuitivo
all’inizio l’anima, in una preghiera, viene invitata ad entrare nel silenzio della propria “cella”,
per rivolgersi al creatore
prende le mosse da versetto di Salmo 51: “in cuor suo l'insipiente dice che Dio non esiste”
citazione scritturistica: ci mostra come è davvero un credo ut intellegam, non c’è dubbio che
il Salmo dica la verità, la fede anche se non viene fatta giocare è sempre un presupposto
l’insipiens è una persona che non sa, che non si rende conto di quello che dice
in cuor suo: non ad alta voce
costui per dire questa proposizione e considerarla vera deve avere in sè un’idea di che cosa
sia Dio, deve avere concetto di Dio a cui riferire una non-esistenza
qual è questo contenuto significativo? Anselmo dice che ciò che l’insipiente intende quando
dice Dio è “ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore”, aliquid quo nihil maius cogitari
possit
è quella suprema infinita realtà della quale non è pensabile una maggiore, identità tra dio e
aliquid quo maius cogitari nequit
se ci fosse un’entità maggiore quella di prima non sarebbe Dio
se tale cosa non fosse esistente, in realtà allora non sarebbe davvero tale, ovvero non
sarebbe “ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore” perché potrei pensare un “ciò di cui
non si può pensare nulla di maggiore” con in aggiunta l’esistenza, siccome l’esistenza è una
perfezione
se da una parte ne posso pensare uno senza l'esistenza, allora dall’altra uno con l’esistenza
chi dice come l'insipiente in realtà si contraddice, perché il suo “ciò di cui non si può pensare
nulla di maggiore” non è davvero tale, perché uno così ma che esiste ha una perfezione
maggiore rispetto a quello che non esiste
dicendo che “ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore” non esiste, sta dicendo che
“ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore” non è “ciò di cui non si può pensare nulla di
maggiore” e si contraddice
dunque il fatto che io trovi in me la pensabilità di “ciò di cui non si può pensare nulla di
maggiore” implica che tale cosa esista
da ambito del pensiero a quello della realtà
pericoli di tale procedere si vedono nella polemica che lo stesso Anselmo aveva intrapreso
con un monaco, Gaunilone di Marmoutier, di cui sappiamo solo che in risposta all’opera
scrisse un Liber pro insipiente (a nome-per conto di), in cui sostiene che la nostra ragione
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non può arrivare a certezza sull’esistenza di Dio: non può sfuggire al dubbio perché un conto
è l’essere nell’intelletto, un conto è l’essere nelle cose
è un po’ un teologus modernus, non più totalmente persuaso della necessaria e insuperabile
coincidenza di ordo verborum e rerum, per lui la nostra intelligenza vale ma nell’ambito del
finito, dell'esistenza concreta (nella nostra mente ci sono parole e significati, non res): il
ragionamento di Anselmo presuppone una sovrapponibilità di piani su cui è lecito discutere
l’esempio di Gaunilone è quello di un’isola sperduta in cui ci sono tutte le ricchezze possibili
e le perfezioni: la posso immaginare e pensare ma questo non significa che esista, Dio è
entità individuale che la nostra mente non può cogliere
l’argomento di Anselmo si riduce ad una prescrizione di non pensabilità, non può
corrispondere a ciò che Dio è veramente (alla fine non solo Dio non è in re, ma nemmeno in
intellectu)
Anselmo ha voluto che la sua risposta fosse riportata alla fine del Proslogion
Kant, esempio dei cento talleri è fuoriluogo: probabilmente non leggeva il Proslogion ma le
trattazioni manualistiche che avevano a loro volta estrapolato informazioni e ridotto
l’argomento di Anselmo in modo poco raffinato
in un secondo aspetto la sua critica, come quella di Gaunilone, coglie più nel segno:
problema del rapporto tra piano intellettivo e il piano reale
Gaunilone ha colto che per mettersi sul piano di Anselmo bisogna rifarsi al concetto di
perfezione, usare gli stessi termini
mette in dubbio il fatto che così come io ne parlo le cose sono, che come penso rifletto una
struttura ordinata della realtà: questo è il presupposto fondamentale di Anselmo, che nella
sua risposta non fa che ribadire il suo presupposto, anche però rivelandosi un logico molto
acuto: esempio di isole beate non va bene, perché io non dico che Dio è l’ente più perfetto,
altrimenti presupporrei l’esistenza di Dio e farei petitio principii, ma io dico che Dio è l’ente di
cui non si può pensare nulla di maggiore, mentre con le isole si è sul piano di esistenza
empirica, io su piano di possibilità di pensare
effettivamente discorso di Gaunilone è inficiato da aspetto empirico di più rispetto al discorso
totalmente astratto di Anselmo
non a caso nella sua obiezione aveva espresso la formulazione anselmiana in modo
diverso, dicendo maius omnibus, la cosa più grande di tutte
è vero anche che poi Anselmo passa dalla pensabilità alla realtà, e questo implica che per
lui ci sia isomorfismo tra ordo verborum, idearum, rerum: se penso una cosa nella mente
non può essere contraddittoria, altrimenti avrei una contraddizione anche nella realtà, ma
non può essere essendo ordinata da Dio
l’argomento di Anselmo funziona ma solo per chi accetta il suo presupposto: inizia la
risposta dicendo: sei un monaco, mi stupisco che dici che dici che Dio non esiste
Gaunilone in realtà sta dicendo che razionalmente non possiamo eliminare il dubbio
sull’esistenza di Dio, per Anselmo questo sarebbe un problema perché ci sarebbe qualcosa
di reale non pensabile
da problema teologico a questione eminentemente filosofica, sui fondamenti del nostro
pensare: il concetto di Dio che troviamo nella mente è speciale e straordinario o come tutti
gli altri?
4. il sistema della verità cristiana
critica di Anselmo a Roscellino:gli rimprovera di essere ateo, errore simile a Gaunilone nel
non aver riconosciuto realtà oggettiva a ciò che è significato secondo verità dal pensiero
47
Anselmo non può pensare al linguaggio con ruolo solo strumentale, se tutte formulazioni di
cui diciamo che sono vere avessero scopo puramente pratico, non sarebbero mai adeguate
a verità più alta da cui derivano
pensiero di Anselmo è la testimonianza più alta dell’epoca agostiniana boeziana che con lui
termina
dopo queste due opere prosegue la verifica razionale della verità teologica, in
un’esposizione organica adeguata alla fonte da cui emana, dunque necessariamente
armonica e unitaria
il presupposto è l’efficacia teologica del linguaggio se regolamentato dalle leggi della
dialettica e orientato dalle direttive della fede
intreccio di razionalità dialettica e fede colloca il credente e la sua intelligenza in un ambito
definito di verità
De grammatico
riguarda problema dei termini paronimi, ovvero derivanti da radice comune
i termini logici con significato possono indicare sia realtà individuali che universali: uomo
indica sia un singolo che il genere, è la logica della proposizione che ci dice a che livello si
pone la significazione del termine in quella determinata proposizione
solo dentro alla proposizione si può capire cosa significa un termine: apre a logica
terministica, portata alle estreme conseguenze con Guglielmo di Occam
da Anselmo si apre considerazione del linguaggio che poi finisce per capovolgere le sue
stesse tesi
la Parola divina gode di una suprema rectitudo, quindi una corrispondenza con la realtà della
cose che dice, mentre le cose create possiedono una rectitudo nella misura in cui realizzano
in sè stesse ciò che per esse è stato stabilito nelle necessariae rationes, principi eterni della
verità
48
5. Il Cur Deus Homo?, dalla fede all’intelligenza del mysterium di Cristo
Cur deus homo, Perché dio si è fatto uomo?
ultima opera, 1098
il mistero dell’incarnazione è quello più alto
si può comprendere la necessità dell’incarnazione, non come avvenga (ricorda Lanfranco):
non posso capire come in Cristo divino e umano coesistono, ma posso capire la necessità
che ciò accada
nel medioevo è stata l'opera più famosa
l’uomo in Adamo è caduto, per sua scelta ha perso la sua rectitudo, quello che avrebbe
voluto dio per l’uomo
ha creato una rottura, nessun essere creato poteva riparare ad una simile rottura
doveva essere superata da entità che fosse sì umana, ovvero che avesse nella propria
natura la caduta e il peccato, ma non solo umana, serve uomo che sia anche Dio, per
chiedere a Dio stesso di ripristinare l’originaria armonia, che è un bene, dunque Dio non può
non volerla
la redenzione dell’umanità di sicuro è voluta da Dio, ma per averla non basta un uomo
Dio per realizzare la propria volontà non poteva che non mandare suo figlio a diventare
uomo
ma Dio non poteva volere che redenzione non si verificasse? Dio non è libero se fa ciò che
vuole, ma se fa ciò che si trova nelle sue idee eterne, se non redimesse l’umanità sarebbe
meno Dio, non perfetto, perché non realizzerebbe ciò che nell’eterno ha stabilito nella
propria sistemazione del reale
la redenzione dell’umanità, che non poteva non avvenire, non avrebbe potuto avvenire per
un’altra via
ma pur essendo necessaria, la scelta dell’incarnazione del proprio Figlio è stata
assolutamente libera da parte di Dio: la vera libertà di Dio è la realizzazione della sua
volontà (tutto ciò che è necessario è tale perché Dio lo vuole, e Dio può tutto tranne ciò che
non vuole)
la libertà di Dio è causa di sè medesima, la volontà di mantenere la rectitudo è adesione alla
sua volontà
strade tradizionali nella loro origine con acutezza argomentativa fuori dal comune
XII SECOLO
“il secolo delle scuole”, è il vero secolo della rinascita del pensiero medievale
c’è grande scuola di Chartres, Gilberto Porretano, Pietro Abelardo origina dispute
ripresa della vita cittadina sviluppa nascita di scuole che per dare rudimenti del sapere
estendono l’alfabetizzazione
Etien Gilson: tanto quanto in anselmo sentiamo silenzio di comunità monastica, dietro
abelardo rumore di vita cittadina
PIETRO ABELARDO
secondo autore che ci consegna una ricca biografia
estremamente innovativo e originale
nuova libertà nell’uso della ragione filosofica
è il primo ad esempio a codificare il termine teologia, di solito riflessione razionale su Dio
chiamata sana doctrina
un titolo di un’opera è Theologia, che nella seconda redazione diventa Theologia christiana
(designa definitivamente la comprensione intellettuale della verità rivelata da Dio, indica una
49
conoscenza di Dio in senso oggettivo fondata su una partecipazione dell’intelligenza
creaturale alla conoscenza che Dio ha di sè- notitia Dei in senso soggettivo)
Dialogo tra un Filosofo un Ebreo e un Cristiano, uno stesso oggetto si fa conoscere in modo
diversi a seconda delle facoltà conoscitive proprie del soggetto
conoscere Dio è possibile solo per chi si affida alla grazia della Rivelazione: questo dono per
dare frutto ha comunque bisogno dell’impegno dell’intelligenza, nello specifico della
dialettica: l’argomento dialettico è ratio che produce la fides in qualcosa che è ancora dubbio
ricorda anche invidie e persecuzioni che opera gli aveva suscitato: per lui indagine dialettica
e logica ha campo di azione maggiore di quanto si pensasse in precedenza
uso esteso e maturo di ragione dialettica nella sua ottica è al servizio del dato della fede e
funzionale a rendere la nostra riflessione su di esso più solida e radicata
un po’ come era accaduto a Lanfranco con Berengario di tours, due personaggi si
accanirono contro Abelardo fino a causare condanna dottrinale nel 1140
nella prima lettera di un epistolario che manda ad Eloisa conteniamo info biografiche,
Historia calamitatum mearum
nato 1079 a Le pallet in Bretagna, palazzo del francese moderno, per questo magister
palatinum, ovvero che viene dal palazzo
figlio di soldato che presiedeva la guarnigione di questa fortezza
dice che questa discendenza lo aveva portato ad essere un combattente in vita, con le armi
della logica e della filosofia
spesso aveva bisogno di avversario con cui esercitare dialettica
va a Parigi per studiare alla scuola cattedrale di Notre Dame, rinunciando a primogenitura,
voleva diventare maestro di logica
scuola monastica diventa scuola cittadina, o cattedrale se è scuola alle immediate
discendenze di ministri della chiesa e legata al duomo della città
qui segue lezioni di Guglielmo di Champeaux: è allievo brillante, tra i due i rapporti diventano
tesi
lascia Parigi, poco più di ventenne diventa maestro in paesi vicini
quando torna a Parigi ha già autorevolezza e fama che gli permette di tornare senza più
timore da allievo nei confronti del maestro, scopre che Guglielmo di champeaux si era ritirato
presso l'abbazia di san Vittore, aveva assunto abito religioso diventando chierico regolare, e
lì aveva aperto scuola di retorica- scuola di san vittore monastica ma aperta anche ad allievi
esterni, anselmo ad esempio non aveva allievi esterni al monastero: segno di apertura e di
una esigenza, mostra necessità e volontà di studenti esterni di andarci a studiare
inizia a discutere con Guglielmo sulla dottrina degli universali, ma G. per ben due volte
obbligato a riconoscere nella sua dottrina elementi di debolezza, questa polemica si protrae
per quasi una ventina di anni, ma si incrocia con altre sue vicende biografiche
anche quando diventa un chierico continua ad insegnare, prima la logica e poi la teologia:
per quanto ne sappiamo noi per la prima volta filosofo che è insegnante di mestiere, vive di
tali proventi economici
finchè sta a Parigi va a vivere presso la cattedrale di Notre Dame, conosce Fulberto, che si
occupa di mansioni di gestione, che gli presenta la propria nipote, Eloisa, giovane 15enne, di
cui probabilmente era il tutore- dalla corrispondenza tra lei e pietro si capisce che non vi
erano i genitori o comunque erano lontani- pare che fosse ragazza brillante, Fulberto gli
chiede di diventare insegnante privato di Eloisa
Eloisa rimane incinta e si ritira in un monastero
studioso di Abelardo mette insieme aspetti romanzati di lettere e documenti dell’epoca
50
Abelardo si propone di sposarla e lei dice di no, anche questo è molto strano- era giovane e
rifiuta, tra l’altro dal loro epistolario pare che lei fosse innamorata- gli studiosi ancora non
sanno se sia autentico oppure no, ci sono tinte appassionate
lui dice che non voleva che lei restasse incinta, non l’aveva considerato come scenario, colto
inaspettato, prova goffamente a giustificarsi
più avanti negli anni, se epistolario è autentico, lei gli dice che lo ha amato troppo per
sposarlo
quando Fulberto scopre perché Eloisa è andata via si infuria, e non crede a Abelardo
quando questo gli dice che è la giovane che ha declinato la proposta: in preda alla rabbia
assolda degli uomini affinché evirassero Abelardo, poi furono condannati a subire la stessa
mutilazione che avevano inflitto, Fulberto stesso dovette scontare una pena
il problema fu l’umiliazione terribile di un maestro di logica famoso
Eloisa partorisce e si fa monaca, lui continua a mantenere corrispondenza, a mantenere
rapporti con il monastero- che dopo chiude, Abelardo stesso dà la possibilità alle monache
di spostarsi in un edificio di una sua scuola
in ogni caso la scelta di entrare in un ordine religioso è stata sincera, sia da parte di Eloisa
che da parte poi di Abelardo, non solo per dare veste dignitosa a castità forzata ma anche
perché è veramente un cristiano sincero- confessio fidei universi ultima cosa che ha scritto
da malato, mentre sta andando a chiedere clemenza al papa ma non riesce a proseguire e
si ferma presso amico Pietro il Venerabile e dice di aver sempre voluto essere fedele alla
verità di cristo (per il professore sincerità)
lo spediscono in Bretagna in abbazia in cui i monaci erano estremamente dissoluti, avevano
provato ad avvelenare il priore, disgustato riesce a lasciare questo posto
forse il suo insegnamento della dialettica si stava un po’ esaurendo, inizia a scrivere di
teologia, si reca alla scuola di Anselmo di Laon, un teologo famoso dell’epoca che
commenta la bibbia leggendola ad alta voce nelle lezioni capra: Abelardo trova le letture
troppo superficiali, dice che gli studenti gli chiedono di spiegare il qoelet, che entusiasma
tutti gli studenti e Anselmo allora lo manda via-forse qua un po’ romanzato- ma in ogni caso
da allora inizia a insegnare teologia, anche in provincia, costruendo delle scuole
si fa cacciare dal suo priore nella disputa sul nome del sen deni
arriva a Parigi, gli si concede di abitare fuori dalla comunità, nel 1121 ha già avuto una
pesante condanna dottrinale al concilio di Chaussons per tesi su teologia trinitaria
negli ultimi anni violenta polemica con Bernardo di Chiaravalle, grande filosofo, causata da
mediazione di Guglielmo di Chenterri, sempre legata a tesi di teologia trinitaria-
Bernardo dice che non è stato papa ma avrebbe potuto esserlo, effettivamente è stato una
delle figure più importanti dell’epoca, ottiene che venga convocato ad un concilio a Seins-
prima tra i due c’erano stati dei rapporti e scambi cordiali-, in cui fa in modo di mettere in
grave difficoltà Abelardo, che fa una mossa consentita ma imprevista, ovvero si appella al
papa prima che il concilio sancisca la condanna, ma sulla strada per Roma si ferma da un
amico e per problemi di salute muore
straordinariamente vivo nel non saper governare la propria forza polemica, nel dare nelle
vicende biografiche una chiave di lettura a proprio favore, parla di tutti i suoi maestri eccetto
che di Roscellino, con grande rispetto, anche con coloro con cui ha litigato, si dimostra
intelligente e aperto nel modo in cui riconosce la validità degli avversari
due ambiti fondamentali: logica ed etica
è la logica a legittimare la pretesa creaturale di parlare con dio, nella preghiera, e di Dio, in
teologia
è accusato di aver offeso la religione introducendo argomentazioni dialettiche
51
egli replica che se la logica è una scientia, ha a che fare con la veritas, così come la fede:
due verità non possono essere contraddittorie, come non possono esserlo due scientiae, se
sono entrambe veridiche (una scienza non può essere mai falsa, anche se lo è il suo
oggetto, e nemmeno malvagia)
l’uso della dialettica in teologia è indispensabile, l'obiettivo comune è la conoscenza del vero
e del bene
52
questo potere di separare è quello che il medioevo maturo chiamerà astrazione: capacità
che ragione ha di considerare separatamente ciò che nella realtà è unito
Boezio direbbe che universali esistono uniti alla realtà materiale, in questo senso esistono
realmente, e non separati dagli individui, ma tramite l’astrazione sono conoscibili
indipendentemente dagli individui
Boezio, data la sua importanza, ci consegna già un’elaborazione compiuta e complessa di
questa idea degli universali
nei manuali posizioni su universali si dividono tra:
- realiste, ad esempio Anselmo d’Aosta più spinto: esistono universali reali nella mente
divina
- nominaliste, ad esempio Roscellino è radicale, che dice che gli universali altro non
sono se non emissioni di voce, il linguaggio ha funzione esclusivamente pratica
Boezio sarebbe un nominalismo moderato, che poi coincide con realismo moderato:
universali sono radicati nella realtà ma conoscibili a prescindere da essa
Abelardo dunque giunge su tema con storia e importanza, ascolta lezioni di Guglielmo di
Champeaux che dice che l’universale è una res, una cosa realmente presente negli individui
che si dicono con quell’universale: ma per Abelardo il suo realismo è autocontraddittorio
uomo e cavallo entrambi animali, condividono il riferimento al medesimo universale, se
avesse ragione Guglielmo, per cui nel cavallo c’è la res che è l’animale e nell'uomo c’è la
stessa res, ci troveremmo in una situazione contraddittoria, perché la stessa res-animalità-
sarebbe, allo stesso tempo e secondo lo stesso rispetto, razionale- nel caso dell’uomo- e
non razionale- nel caso del cavallo
il realismo ci porta a violare il pdnc
in una seconda fase allora Guglielmo dice che l’universale non è esattamente una res, ma è
il fatto che in cose diverse ci sono caratteri non differenti: cavallo e uomo entrambi animali
perché non differiscono in una serie di caratteri: non si dà a questa realtà un grado di essere
tale da violare il principio (universale è una resa caratterizzata dall’indifferentia rispetto agli
individui, che risultano dal moltiplicarsi delle differentiae)
per Abelardo, se la prima versione di realismo chiede troppo all’universale, la seconda gli
chiede troppo poco, perché sono indifferenti per certi aspetti anche un uomo e una pietra-
sono entrambi corpi- l’indifferenza è un criterio troppo generale per stabilire che cosa è
universale e cosa no
inizia una complessa trattazione degli universali:
aggiunge una domanda a quelle di Porfirio: l’universale continuerebbe a essere reale anche
se non esistessero più gli individui corrispondenti? s, l’universale è reale ma in un modo
diverso rispetto agli individui
l’universale non è una res, ma è un termine, l’universalità è il modo di significare di un
termine, che anziché riferirsi ad un individuo, si riferisce ad una pluralità di individui
ma non è un termine nel suo aspetto vocale e grafico, come per Roscellino, ma è un termine
che ha un significato, non è una vox ma è un sermo: un termine che mantiene un
ancoraggio alla realtà, vuole significare qualche cosa in modo non arbitrario
che cosa significa il termine universale? non i singoli individui (è Guglielmo di Occam che
dice che l’universale significa gli individui, ma lui si colloca alla fine del passaggio da
metafisica delle essenze a metafisica degli individui), ma una realtà più generale,
universale significa l’immagine confusa di molti singolari che si forma nella nostra
ratio dopo ripetute conoscenze sensibili
53
vedo tanti individui le cui peculiarità individuali si offuscano, e in questa confusione mi
rimane ciò che è comune
la verità è l’esito di una relazione tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto: l’universale
è la realtà di tale relazione quando essa è vera, quindi quando l’intellezione interiore
corrisponde alla condizione in cui esteriormente la res si trova (D’Onofrio)
dunque la verità ultima degli universali è quella delle idee divine, dato che per essere veri
devono riflettere la maniera vera d'essere delle cose, cioè le leggi che governano la
creazione
ma il discorso sulla significazione non serviva a salvare una parte di realismo?
l’immagine confusa si forma da uno status, ovvero dal fatto che, ad esempio, tutti gli individui
che ho conosciuto condividono dei tratti ontologici da cui traggo la mia immagine confusa-
però così ricorda la tanto criticata indifferenza di Guglielmo, è risposta con debolezze
comunque ha spostato il discorso sugli universali su quello del significato dei termini, nel
medioevo fondamentale apertura a riflessione sul linguaggio
Etica
Ethica, 1139-40 ultima opera filosofica- c’è disputa, D’Onofrio invece dice che ultima opera è
Dialogo tra un filosofo, un giudeo e un cristiano (per il professore è invece questo degli anni
venti)
è incompiuta, doveva esserci primo libro sul vizio e poi uno sulla virtù, forse per problemi di
malattia e di questioni di concili
etica filosofica, tiene conto del dato rivelato ma da esso vuole riflessione razionale
alcuni parlano di etica dell’intenzione
ci sono vizi del corpo, che non hanno rilevanza morale, e vizi dell’animo
cos'è il vizio? è una inclinazione a peccare, infatti non tutti abbiamo nella stessa misura tutti i
vizi, c’è chi è più incline alla gola, chi alla pigrizia, chi alla lussuria eccetera, come tutte le
inclinazioni è individualmente molto variabile, in quanto legato ad aspetti che riguardano la
complessione del corpo, fa capire che il corpo ha influenza importante sulla mente
vizio in quanto inclinazione e in quanto legato a complessione somatopsichica non è
imputabile come una colpa
interessante questo in epoca che invece ha concezione del vizio come peccato, Abelardo è
molto umano e molto rivoluzionario
quando è allora che si fa un peccato? se vizio non ha valore morale non è un peccato,
facciamo il male quando assentiamo con la nostra volontà a questa nostra inclinazione
peccare vuol dire porre in sè stessi il fine delle proprie azioni e non in Dio
la libertà sta nel consentire oppure nel negare lo spazio all’inclinazione
il male sta nel consenso della volontà
due conseguenze di enorme portata:
- il bene e il male morale non stanno nelle azioni, perché le azioni possono essere
costrette, involontarie, consapevole ma non del loro portato morale, le azioni hanno
rilevanza giuridica ma non morale
- soltanto l’individuo e Dio possono sapere se una volontà ha assentito al male, e
quindi in realtà non è un’etica soggettiva, perché il criterio del bene e del male è
comunque fornito da Dio
è etica dell'intenzione perché solo l’assenso libero della volontà ospita il bene e il male, ma
questo assenso rimanda anche all’ordine oggettivo dato da Dio
quindi la bontà e cattiveria stanno nell’intenzione perché Dio non può essere offeso da
nessun gesto umano, mentre a Dio dispiace che liberamente l’individuo possa disprezzarlo-
54
torna Agostino, in interiore stat veritas, nell’interiorità risiede Dio ed esso lì può trovare la
mancanza di rispetto
senza sacrificare l’oggettività valorizza estremamente la libertà e la discrezione dell’individuo
l’accento sull’intenzione come principio di valutazione morale è simmetrico a quello
dell’intellectus in ambito logico-conoscitivo (la verità di un enunciato dipende dal suo in-
tendere alla realtà oggettiva della sua verità); e come è sempre imperfetta la conoscenza
dell’uomo, così è sempre inadeguata la bontà delle sue azioni se confrontata con il Sommo
Bene (d’altra parte come nessuna azione buona può non tendere al bene, così nessuna
comprensione della veritas può non orientarsi verso l’unica e assoluta veritas in sè)
i veri logici sono sempre veramente filosofi e veramente teologi
il teologo, pur ammirando la bellezza del linguaggio della Rivelazione, può trovarsi in
difficoltà rispetto alla sovrapposizione di diversi significati scritturali
Sic et non, evidenzia le contraddizioni dei Padri su uno stesso argomento teologico, lo scopo
è invitare a un metodico superamento del contrasto, propone una procedura (esame
filologico deve considerare l’evoluzione del pensiero di un autore, il genere letterario, il
destinatario, l'equivocità intrinseca al nostro linguaggio, e se la contraddizione permane,
allora si può usare la ratio dialettica: con la sua oggettività la scelta sarà verso la più salda
manifestazione di verità)
55
siccome ci sono tre status, ci possono essere tre intellectus e costruire tre concetti senza
inficiare l’unità di Dio
ha spostato la valenza del problema del piano della logica del termine al piano della logica
proposizionale: affermazioni come “il Padre è il Figlio” non vanno bene perché l’ambito
semantico di “ciò che è il padre/Figlio” è quello della identica sostanza, mentre quello di
Padre e “Figlio” è quello delle proprietà distinte da diverse definizioni in quanto
corrispondenti ciascuna a un diverso status
usa la metafora del sigillo di bronzo, che ha tre status: l’essere bronzo, l’essere capace di
sigillare, l’essere sigillante
l’anima del mondo è vista come espressiva delle relazioni trinitarie, e anche della relazione
di Dio con il creato
è un’elaborazione ostentatamente filosofica con i termini
56
queste quattro discipline comprendono sette articolazioni interne, in modo parallelo alle arti
liberali
tutte le scienze profane, sia teoriche che pratiche, sono propedeutiche alla conoscenza
teologica, sono gradini di un processo verso la pienezza di un sapere che Dio mette nel
mondo
uomo è sacramentum intermediario nella creazione, esalta ruolo di immaginazione, che per
lui è autocoscienza, consapevolezza di sè, in cui si trova illuminazione di Dio che porta
l’uomo a risalire a lui e poi dare ordine al mondo secondo la volontà di Dio (l’autocoscienza è
la prima forma della conoscenza teologica naturale)
la creazione appare come una realtà in continuo perfezionamento, dipendente
ontologicamente dall’originaria causalità divina
l’esegesi è pensata come un elemento costitutivo del sapere teologico (capiamo perché in
questa scuola è fondamentale la lectio biblica)
altro aspetto importante che compare anche in altre opere:
la lettura del testo su cui si fa lezione ha tre livelli diversi, dottrina molto ripresa:
- littera, ovvero esplicazione grammaticale, comprendere che cosa il testo voglia dire
- sensus, spiegazione del significato, del pensiero espresso nel suo insieme
- sententia, comprensione globale, importo teorico della lettura, con riflessioni che
vanno anche al di là del testo
Ugo ha segnato un cambiamento nella concezione del sapere, tutto si può studiare e non
solo le discipline del trivio portano a Dio
Andrea di San Vittore (morto 1175) sostiene che si possono accettare molteplici soluzioni
esegetiche anche relative al solo piano di lettura storico-letterale, in questo modo si possono
superare delle disparità tra distinte letture reperibili negli scritti dei Padri- ricorda Abelardo
57
Beniamin maior, ascesa dell’anima alla contemplazione del divino, con i tre momenti di
immaginazione, ragione e intelligenza
Beniamin minor, commento delle figure dei dodici figli di Giacobbe, ciascuno dei quali
simboleggia una virtù: la ratio muore nel dare alla luce la contemplatio, perché la capacità
umana di comprendere e definire viene meno nel momento super-conoscitivo dell’accesso
finale al divino
altri maestri vittorini su queste basi hanno approfondito la classificazione delle facoltà
dell’anima:
Acardo di San Vittore, De discretione animae, spiritus et mentis, tripartizione in anima,
spirito, mente della sostanza interiore dell’anima, unitaria nonostante le diverse funzioni
conoscitive
Goffredo: bisogna liberarsi del pregiudizio negativo nei confronti della sensibilità
GILBERTO DI POITIERS
58
spiegando frase di Boezio introduce una tecnica, necessaria per compiere un’operazione
che eviti errori o divagazioni, che forse era già tipica della scuola, ovvero quella della
quaestio disputata (trinità era una questione già dibattuta):
si ha questione quando va risolta una contraddizione tra due tesi opposte, che hanno
entrambe ragioni valide e sembrano poter appoggiarsi sulla scrittura, si tratta di portare
argomenti pro e contro per ognuna delle alternative
ad esempio, utrum anima sit mortalis vel immortalis
a questo punto maestro fa la sua determinatio, con le proprie argomentazioni spiega quale
sia quella buona, attraverso una distinctio (evidenziare l’appartenenza delle due tesi, e
quindi dei termini in esse presenti, a generi o ordini semantici diversi) , ovvero, seguendo
l’esempio, in che senso l’anima sia immortale
il presupposto è che due tesi contraddittorie non possano essere entrambe vere, e che
dunque sia necessario smascherare un’ambiguità semantica presente in una di esse
poi deve rispondere analiticamente a tutte le argomentazioni della tesi che ha confutato
tecnica scolastica scaltrita che rende le raccolte di questioni disputate molto ardue da
leggere
[porterà ad approccio molto pedante criticato da Petrarca, che è contro fossilizzazioni su
singoli cavilli]
tuttavia ha dato alla ragione umana un grado di tecnicità e scaltrezza senza i quali la filosofia
moderna sarebbe impensabile: radici di intelligenza filosofica con abilità dialettica e capacità
di sottigliezza prima sconosciute, tecnica dell’argomentazione filosofica specifica nata con la
quaestio disputata
ci mostra come i contenuti di fede possano aprirsi all’approfondimento razionale purché
rapportati da una strumentazione corretta
importante per il chiarimento di scritti boeziani
59
da teologia come semplice riflesso nella mente della verità del discorso della fede a teologia
come precisazione degli strumenti adeguati per una percezione corretta di tale verità grazie
ad un discorso sulla fede
la specializzazione del sapere inizia a produrre esiti nell’uso del linguaggio
ci sono dei concetti che hanno efficacia solo in un preciso ambito, o fisico o matematico o
teologico (tripartizione delle scienze nel primo opuscolo di Boezio), ma spesso la teologia
non possiede un repertorio sufficiente e il significato ordinario del termine mutuato dalle
scienze inferiori deve essere quindi transumptum
60
fisica: individui corporei
matematica: forme native in quanto universali, come se fossero astratte
teologia: essere semplice di Dio e delle forme esemplari nel suo Verbo
d) la distinctio trinitaria
Dio è una singolarità assolutamente semplice, identica al quo est che lo fa essere Dio
distinzione tra Dio e deità: Dio è Dio perché l’essere Dio- deità- lo fa essere tale
Bernardo contesta l’uso del termine deità, rischia di introdurre la composizione nell’essere
divino
tuttavia nell’ottica di Gilberto tali distinzioni appartengono a una necessità funzionale del
nostro imperfetto modo di parlare e di comprendere Dio, non corrispondono ad un’effettiva
distinzione nel modo d’essere divino
c’è una distanza nella concezione della coerenza tra il linguaggio umano e la realtà dei suoi
oggetti
non è come per Roscellino, per cui il discorso teologico è variabile e opzionale, in quanto
comunque le formule teologiche godono di un grado di necessità e rigore, per quanto
inadeguate
per la logica umana, dire che Dio è, equivale a dire che Dio è per la sua essenza, ovvero per
la deità, altrimenti non potrebbe applicare nessun altra qualificazione
senza la possibilità di distinguere Dio dalla deitas, non sarebbe possibile garantire l’unità
delle tre persone e nemmeno capirla: Pater est Deus deitate (il Padre è Dio per la deità),
Filius est Deus deitate, Spiritus est deus deitate: solo in teologia l’id quod este ed il quo est
coincidono e designano la medesima cosa
dal piano frammentario della necessaria distinctio logica si può comunque risalire a quello
superiore della semplicità grazie all’ascesa della mente dal livello discorsivo a quello intuitivo
LA SCUOLA DI CHARTRES
se San Vittore esalta l‘aspetto umanistico, culturale onnicomprensivo, questa rappresenta il
primo momento in cui trova un notevole incremento la riflessione sulla natura
idea che natura sia l’altro libro in cui Dio si esprime, accanto alla scrittura ma con uguale
dignità: enunciazione non solo teorica, trova una trasposizione pratica, il legame tra ordo
rerum e idearum viene indagato in modo diretto guardando alle relazioni fra le cose fisiche,
riflesso della volontà divina
lo specifico della scuola sono le arti del quadrivio (per San Vittore erano trivio e
meccaniche), che aiutano la comprensione del mondo naturale
tra le fonti citate maggiormente c’è il commento al Timeo di Calcidio (esempio di intuizione
pagana su qualcosa della vera natura divina), il commento di Macrobio al Sogno di scipione,
il Boezio della Consolatio, ma anche poeti del mondo latino con interessi naturalistici
obiettivo: rimuovere involucro sulla natura per scoprire sostanza intelligibile, decifrare gli
aspetti immutabili della realtà sotto il velo delle apparenze sensibili
lo stesso accade con la Bibbia, dove al di sotto dell’espressione letterale si cela il senso
allegorico e spirituale
Bernardo di Chartres
morto 1124
già dal 1020 cattedrale a Chartres, a cui poi si è aggiunta la scuola vescovile, forse il primo
maestro fu Ivo, che si preoccupa di cercare maestri importanti che dessero prestigio
61
di Bernardo non abbiamo scritti, testimonianza arriva da Giovanni di Salisbury (scrive molto
sui maestri dell’epoca)
ci dice che si era concentrato molto sul problema delle idee, che considerava come entità
reali
sarebbe stato il primo ad introdurre in modo esplicito nel medioevo il termine “forme native”
tratto da Calcidio, che operava con Gilberto sotto un’altra terminologia, il primo a insegnare
esistenza di forme intermedie tra le idee e i singolari
le forme native sono intermedie tra le idee in quanto divine, ovvero increate ed eterne, e
l’elemento materiale
un’altra riflessione importante è quella della paronimia (anche anselmo nel De grammatico),
termini diversi con unica radice: in bianchezza si esprime capacità della sostanza di avere
una qualità, bianca o biancheggia indica l'inizio della presenza della qualità nella sostanza e
bianco il compimento del processo: mescolanza tra grammatica e metafisica, manifesta
tipica tendenza a cercare nelle parole l’ordine delle cose
distinzione metafisica tra potenza ed atto, corrispondenti alla perfezione ideale (la potenza)
e alla contaminazione con la materia (atto)
il divenire naturale è un processo di attuazione nella particolarità della potenzialità originaria
della forma
tre diversi tipi di ingegno umano:
- advolans, inquieto e vivace, impara in fretta ma in fretta dimentica
- infimum, pigro
- mediocre, indaga nella natura la realtà non visibile
Bernardo è ricordato anche per immagine famosa: gli intellettuali moderni sono come nani
sulle spalle dei giganti, ci dice la grande ammirazione che nutriva per gli autori antichi e
anche la grande prospettiva e orizzonte che deve aver dato alla scuola, aspirazione a voler
giungere lontano non tanto per i propri meriti quanto per l’altezza delle spalle su cui ci si
poteva issare
umanesimo degli chartriani: giungere con lo sguardo a guardare più in profondità rispetto ai
maestri del passato, ma proprio grazie al loro contributo
Guglielmo di Conches
morto dopo il 1154
maestro famoso, cerca continuità tra dottrina cristiana e autori antichi pagani
tre trattati importanti: Philosophia mundi, il Dragmaticon philosophiae, il Moralium dogma
philosophorum- ripresa dell’etica del XII secolo
ha scritto anche commenti a opere di Boezio, al commento al Somnium di Macrobio, al
Timeo
consapevole che la tradizione platonica ha dato spiegazione della natura favolosa
ma bisogna alzare questo velo e mostrare ordine divino, dare una spiegazione scientifica
dell’origine del cosmo accordandola con la Genesi
introduce concetto di causa secunda, in realtà è trasposizione naturalistica delle forme
native di Bernardo e del dividuum di Gilberto, inizia ad esserci distinzione tra causa prima,
ovvero Dio, e le cause seconde, create comunque da Dio e che influiscono sulla creazione e
con il proprio intervento mediano tra Dio e mondo: non è Dio che agisce effettivamente sul
mondo sensibile (nei vangeli viene ribadita l’autonomia del mondo creato con le parabole)
qua la filosofia attribuisce alla natura una consistenza ontologica mai vista prima, essa
dipende da Dio ma mediatamente
Dio ha creato il mondo e poi esso procede
62
riflessione filosofica non contraddice il dato rivelato, ma lo spiega
altra dottrina è ricavata dal Timeo: anima del mondo
probabilmente identifica anima del mondo con lo spirito santo, è la presenza di Dio nella
creazione, poi però sa che il rischio del panteismo non si deve correre: per accentuare
separazione riprende distinzione boeziona tra Dio che è fuori dal tempo e la creazione che è
nel tempo: nel mondo il tempo si articola come perpetuitas, le cause seconde sono
perpetue, mentre Dio è fuori dal tempo, esiste prescindendo dal tempo (aeternitas)
i principi naturali hanno una diretta efficacia causativa, ma non per questo viene sminuita la
potenza divina
tiene natura in contatto con il creatore ma ci tiene a distinguerla
ancora convinto, da eredità anselmiana, della confluenza tra intelligere e credere
arriva a quadripartizione della causalità analoga a quella aristotelica- ma non conosce fisica
di Aristotele
- causa efficiente: Dio in quanto padre
- causa formale dell’universo, il Verbo in quanto presiede alla creazione
- causa finale, Spirito Santo, ciò a cui tende il creato, rende efficaci le forme native
- causa materiale, con i quattro elementi, per cui il mondo non è la trinità, che però in
esso si riflette
Guglielmo ha acquisizioni della filosofia armonizzandole dalla Scrittura con tratti di novità
che gli derivano dalla sua ostinata riflessione sulla natura
la scienza umana può soltanto chiarire e mai contraddire la verità della fede, perché essa ha
un altro ordine di verità rispetto a quello della scienza
la sapienza antica supporta la chiarificazione del dogma, e la fede illumina e consolida i
processi razionali dei filosofi
Teodorico di Chartres
morto dopo il 1156
un epitaffio anonimo lo definisce “il più degno successore di Aristotele”
compito di succedere a Gilberto Porretano, poi diventa monaco, la sua fortuna è affidata non
a lunga carriera didattica ma alle opere
Eptateuco, sette arti liberali, e Esamerone, commento razionale a sei giorni della creazione
in chiave di razionalismo naturalistico
specifica attenzione per le discipline del quadrivio
la filosofia della natura è l'unico strumento corretto per comprendere rapporto di Dio con la
creazione
recupera Varrone, Plinio il Vecchio, Gerberto di Aurillac del 1000, conosce testi attribuiti al
famoso Ermete Trismegisto
utilizzo ampio e spregiudicato di autorità antiche anche non cristiane pur di giungere a
comprensione piena della natura
anzi, la sapienza è alla base anche per accedere al significato scientifico della Rivelazione
meno acuto di Gilberto di Poitiers
c’è unica verità, che è Dio, che ci deve orientare in un comune processo argomentativo, in
cui ci sono due strade (valide dunque in tutti i campi del sapere):
- processo ascensivo, la compositio, ricondurre il molteplice ad unità
- processo discensivo, la resolutio, segue discesa della creazione di Dio a partire da
Dio stesso
non ci sono discipline metodologicamente distinte, ma un unico percorso scientifico che
collega l’essere causa di Dio alla sua creazione: ci sono gradi diversi della creazione e della
63
manifestazione della verità eterna, uno materiale che determina l’oggetto della fisica, uno
quantitativo e immateriale della matematica, uno privo di quantità e materia che è proprio
della teologia
non potendo raggiungere con la mente fino al principio divino, l’obiettivo ultimo sono le
rationes primordiali
nell’Heptateuchon parle dell’unitarietà metodologica e dice che le arti del trivio assicurano la
correttezza e la coerenza del linguaggio, quelle del quadrivio la ricomposizione della
molteplicità nell’unità
Dio è la forma veritatis di ogni conoscenza in quanto è la forma essendi di tutto ciò che ha
creato
una conoscenza coerente del Creatore serve per avviare la mente a una corretta
comprensione della creazione
nell’Esamerone cerca di spiegare meccanicisticamente come Dio possa aver condotto la
sua creazione del mondo e fornisce una dimostrazione di impianto matematico
dell’esistenza di Dio (ogni esistenza rinvia a principio immutabile, l’Uno, infinito in quanto tale
infinito, onnipotente e dunque necessariamente esistente)
tutte le cose sono in Dio ma in quanto unità: idee possono stare in Dio senza compromettere
la semplicità perché l’unità moltiplicata per l'unità produce sempre l’unità:
l’unità identica a sè stessa è il Padre, la molteplicità nell’unità è il Figlio, l’unità nella
molteplicità è lo Spirito Santo, identificato con l’anima del mondo
il racconto dei sei giorni va affrontato con una lettura fisica, storico-letterale, dato che gli
aspetti allegorici sono già stati affrontati dai Padri della Chiesa (il “principio” è l’avvio della
creazione, che ha inizio in modo vero e proprio con l’introduzione della causa materiale,
momento in cui si è fermata l’operatività diretta di Dio, le potenzialità insite nei principi
seminali portano ad atto nella molteplicità l’efficacia della Causa prima)
con Teodorico, seppur in una cornice metodologica più ingenua rispetto a quella di Gilberto,
abbiamo nuovamente una conferma di una dettagliata spiegazione naturale
è tra colore che accusano Gilberto di aver distinto Deus e deitas: nella sua semplicità non si
può distinguere tra formato e formante, buono e bontà, dio e divinità; l’esistere di Dio vede
un’identità assoluta tra esse e id quod est
solo tra 1200 e 1300 in ambito anglosassone c’è ripresa di ricerca naturalistica e si inizia a
cogliere che un passo ulteriore va fatto con la matematica
BERNARDO DI CHIARAVALLE
morto 1153
rovente e lunga polemica con Abelardo, anche con Gilberto di Poitiers
è stato un cistercense, ordine più rigorista, promotore della seconda crociata
uomo di grandissimo valore ecclesiastico
papa Eugenio III, eletto nel 1145, è stato suo allievo, e Bernardo per complimentarsi gli dice
“qua si dice che sia io, non voi, il papa”
autore ammirato anche dai suoi avversari
Giovanni di Salisbury ne ammira la profonda penetrazione della scrittura e la capacità
oratoria
cultura molto raffinata, il suo latino è molto bello
alcune opere: De moribus et officio episcoporum, De laude novae militiae, De gratia et libero
arbitrio
raccolta Sermones super Cantica canticorum: fede come tensione disinteressata e pura per
il divino, non si dà senza amore per l'oggetto del credere
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la pietà religiosa è l’unico tramite tra l’uomo e la verità, mentre ciò che conduce a verità
intermedie e parziali non serve per la salvezza
il vero sapere è quello che si dà della Rivelazione, tutto ciò che non conduce a Cristo viene
guardato con sospetto
la ragione non deve indagare ma solo chiarire ciò che nella Rivelazione è non evidente: la
ratio teologica ha già raggiunto l’apice con i Padri della Chiesa (se trova discordanza tra essi
preferisce non prendere posizione)
“non cerchiamo contese di parole”, capiamo avversione per Abelardo e Gilberto
lo sviluppo di una filosofia mano a mano più autonoma non gli piaceva, ha rappresentato
tendenza che diventava conservatrice
interesse per la mariologia, Maria come modello perfetto di vita monastica, partecipazione
totale all’amore del figlio, da lei ricambiato in un modo così sincero che è il risultato di un
concentrato di contraddizioni (verginità e maternità, amore e dolore, compassione e gioia)
nella storia della filosofia con Bernardo facciamo nascere la mistica speculativa:
mistica: teoria della possibilità di una comunicazione immediata con il divino, di tipo
sovrarazionale
mistica speculativa sembra un ossimoro, ma si intende una riflessione razionale e filosofica
sull’intuizione mistica
la conoscenza teologica è una contemplazione mistica della verità che solamente la fede fa
comprendere e rivivere nell’anima del credente
delinea tappe che secondo lui la salita a Dio deve comportare per ripristinare somiglianza
dell’uomo con Dio, si è spezzata con il peccato di Adamo
tornare misticamente a Dio significa ripristinare la similitudo Dei, teorizza dodici gradi
necessari di perfezionamento interiore, che corrispondono alle virtù monastiche
alla fine si ha l’unione tra l’amore che guida la libertà della creatura e quello della
distribuzione della grazia divina, e l’anima può fondersi con il creatore
GIOVANNI DI SALISBURY
all’inizio di una tradizione inglese all’interno della filosofia medievale che si radicherà poi tra
Oxford e Cambridge: intellettuali qua formati diversi da quelli europei, difficilmente
sovrapponibili
in territorio inglese prevale la tendenza alla conciliazione, all’equilibrio tra fede e razionalità
muore nel 1180
si sposta dall’Inghilterra a Parigi in quanto incuriosito da Abelardo, poi a Chartres (allievo di
Guglielmo d Conches e Teodorico), poi torna a Parigi, poi in Inghilterra, assunto come
segretario dell’arcivescovo Thomas Becket
viaggiatore per studi, molto colto
ruoli di prestigio anche nella chiesa
Metalogicon, “libro in difesa della logica” (difenderla significa assicurare l’efficacia del
linguaggio e la sua corrispondenza alle res), tratta temi fondamentali di logica in cui fa ampi
riferimenti alla situazione di studio del suo tempo, per noi testimonianza fondamentale
è propedeutico alle altre forme di sapere, la logica trae la sua forza nel riconoscimento dei
suoi stessi limiti, essa ha un’utilità pratica e deve mirare al perfezionamento morale e alla
pacificazione dell’umanità
ha iniziato nel medioevo un filone di pensiero poco diffuso e circolante, quello dello
scetticismo
65
negli ultimi anni delle ricerche hanno evidenziato come nel medioevo ci fossero stati dei
versanti e delle sfumature scettiche, in un contesto che, come di solito viene rappresentato,
propone un saldo possesso di un’unica verità
la sua filosofia è probabilistica, nasce dal fatto che sia un autore che predilige il versante
etico della filosofia (da Cicerone ha mutuato sia l’interesse per l’etica sia lo stile elegante e
ricercato)
Policratico, “l’uomo che ha il potere politico”, dedicato a Becket nel 1159
Entheticus, “colui che metabolizza” la sapienza antica
questa sua passione per il mondo antico, declinata in questi termini, lo ha portato ad un
dubbio sulla certezza assoluta della logica e della metafisica
la prima limitazione della logica le deriva dall’esigenza della filosofia pratica: non ha senso
imparare a ragionare bene in astratto, lo scopo della logica è al di fuori di essa, è mirare al
perfezionamento dell’uomo, farlo agire bene, e alla pacificazione di tutta l'umanità, ed
essendo il suo uno scopo pratico non può portarci ad una certezza assoluta, dovendo
rapportarsi con l'infinita variabilità delle situazioni concrete:
ecco che al più può portare ad una probabilitas, verosimiglianza delle proprie
conclusioni
non per questo Giovanni aveva sfiducia sulle possibilità umane
polemica con i Cornificientes, gruppo di studenti che sosteneva l’inutilità dello studio della
logica, volevano alleggerimento del curriculum per un sapere pratico e subito spendibile,
finivano per considerare importanti domande sciocche, come: se uno porta maiale al
mercato per venderlo, lo sta portando l’uomo o la corda?
per Giovanni la cultura ha comunque un valore altissimo, dobbiamo evitare queste derive
scettiche
bisogna invece limitare le pretese eccessive di una razionalità che allontanandosi dal reale
miri una certezza assoluta: la filosofia deve condurci nella ricerca di una verità, non deve
farci dimenticare che nelle cose però la verità assoluta non si può dare
uno dei primi ad aver conosciuto gli Analitici secondi di Aristotele
nelle sue opere trova la distinzione tra scienza della dimostrazione probabile (dialettica),
scienza della dimostrazione necessaria (apodittica), scienza della dimostrazione imperfetta
(sofistica)
Giovanni chiama la prima probabilis, e la suddivide in retorica e dialettica, che è
argomentazione probabile che tende al vero, senza poterlo raggiungere in forma definitiva
l’apodittica è chiamata demonstrativa, che ha vigore nelle analisi matematiche, dove c’è una
necessaria corrispondenza delle definizioni alle res
nella realtà il massimo che si può fare è dare dimostrazioni probabili, con la dialettica, una
logica quindi che si misuri con la realtà delle cose, con la consapevolezza che il vero totale e
definitivo non è totalmente nelle possibilità umane
la dialettica assicura veridicità all’argomentazione proprio nella misura in cui vieta di
spingerla fino a una determinazione totale della conoscibilità dell’oggetto
la scienza del reale è sempre scienza della probabilità
non è un vero filosofo chi pensa di poter esprimere giudizi necessari su qualcosa la cui
necessità è nota solo a Dio
riduce molto rispetto alla tradizione il novero dei problemi intorno ai quali è sensato
accapigliarsi
il probabilismo è anche efficace nel limitare le dispute, ad esempio dice che la questione
degli universali è un falso problema
al massimo possiamo arrivare ad una opinio, non una scientia
66
la conoscenza teologica trae dalla Rivelazione la propria certezza (e com la fede si può
giungere ad una suprema forza spirituale e una contemplazione), ma se la consideriamo in
quanto scienza umana basata sulla logica non possiamo guardarla con totale certezza
la conoscenza teologica che scaturisce dalla fede è intermedia tra la probabile scienza
umana e la perfetta scienza divina
529 d.C, Giustiniano chiude la scuola neoplatonica di Atene, per cui i successori di Proclo,
Simplicio e Damascio, devono andarsene e si recano ad Alessandria, per poi andare nella
città mesopotamica di Harran, aprono un centro di studi in cui portano tutti i testi di Aristotele
e Platone, costruiscono scuole basate su modello di quelle neoplatoniche (discussione e
commento di maggiori dialoghi di uno e trattati dell’altro)
da Maometto sorge il Corano, gli arabi nel VII secolo conquistano la Siria e la Persia e i
nuovi fedeli vengono in contatto con questo patrimonio filosofico e si accorgono dell’enorme
grandezza speculativa di tali testi
mano a mano che quello musulmano si costituisce come un impero, è fondamentale non
essere estranei a questa cultura per riuscire ad avere un potere solido su territori
ellenizzanti, dovevano maneggiare la loro cultura (anche per eventualmente affermare in
modo serio la superiorità della loro)
tra l’VIII e il X secolo inizia un movimento di traduzione dal greco in arabo di Aristotele, di
Platone, ma anche di trattati astronomici, scientifici, medici
questo patrimonio resta riservato ad un élite (tra l’altro i teologi tradizionalisti sono diffidenti)
finanziano scuole di traduttori (ad esempio a Bagdad, con anche una grande biblioteca), a
volte, vista la collocazione persiana di queste scuole, le opere erano state già tradotte in
siriaco o in persiano: gli arabi fanno lo stesso ragionamento dei latini, ovvero qualora sia
reperibile la fonte diretta dal greco è meglio tradurre a partire da tale testo
spesso quindi le opere di Aristotele tradotte in arabo comunque derivano da traduzioni in
siriaco e persiano: ovviamente il testo è stato molto compromesso, tra l’altro è un autore che
usa un greco molto complicato
spesso l’Aristotele degli arabi era potentemente influenzato da immagini platoniche (ad
esempio motore immobile come dio, provvidente), sono mescolate insieme istanze diverse
traducono in modo massiccio anche Alessandro di Afrodisia
67
tutto ciò arriva in occidente in quanto nel 1122 gli arabi conquistano Toledo, in Spagna, in
cui portano via via il loro patrimonio culturale, e imparano anche il volgare spagnolo: arabi
che imparano lo spagnolo diventano capaci di parlare con i dotti latini, che nella vita
quotidiana parlavano spagnolo: nascono centri di traduzione a Toledo, per cui l’arabo
prende la sua traduzione e la traspone in spagnolo, e l’intellettuale spagnolo la in latino-
spesso era una terza traduzione
poi quasi sempre gli intellettuali latini hanno ritradotto le opere, di molte ci sono sia
traduzioni arabo-latine che greco-latine
dal 1250 in poi i latini hanno posseduto un Aristotele spesso fallace, mediamente buono e
completo da poter tornare a lui in modo criticamente filosofico e, ad esempio, distinguere
opere non autentiche o discernere traduzioni migliori di uno stesso testo
quindi i medievali latini sono riusciti a passare da un Aristotele influenzato dal mondo arabo
a quello più “affidabile” che noi oggi conosciamo
68
al-Ash’ari, Chiarimento dei principi della religione, cerca di mediare tra le posizioni
al-Baqillani: dottrina atomista usata per spiegare l’efficacia e libertà dell’onnipotenza divina
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Aristotele (quando in realtà era una raccolta di posizioni della tradizione medio e
neoplatonica), e anche gli autori latini lo hanno attribuito ad Aristotele: nel 1260 Tommaso
d’Aquino smentisce la falsa attribuzione
circolo di al-kindi ha creato delle sintesi di metafisica neoplatonica poi tradotte in latino e
passate sotto il nome di Aristotele
al-Kindi scrive la Filosofia prima, che vuole elaborare delle conseguenze ragionevoli della
fede coranica, con un’apologia della falsafa che vuole mostrarne la natura unitaria e
l’orientamento alla conoscenza della verità soprasensibile
acquisisce degli aspetti di Alessandro di Afrodisia nel correggere Aristotele, per cui la causa
prima è il principio di movimento nel senso che è causa efficiente ma è anche sostanziale,
ovvero fa passare le cose dal non essere all’essere in atto, per cui il principio è uno ma è
anche creatore
gli essere causati e creati sono molteplici, dal primo principio derivano modelli intelligibili
passa agli autori successivi una prima ibridazione di corano, neoplatonismo e brandelli di
aristotelismo, che rimane una cosa tipica del pensiero arabo medievale
Al-Farabi, prima metà del X secolo
viaggia molto, ci testimonia sviluppo di scuole arabe, chiamato “il secondo Maestro”,
inferiore solo ad Aristotele
Sull’accordo delle opinioni dei due sapienti: anche qua sincretismo
per occidente latino è l’unicità della verità rivelata in Cristo a orientare questo processo
(cercare la concordia), per gli arabi medievali è una motivazione storica, ovvero il fato che le
due filosofie sono giunte contemporaneamente e già ibridate da tradizione medioplatonica
parte dal Timeo per cui il mondo inizia nel tempo, creato da un principio intelligente, ma sa
che Arist dice che il mondo è eterno: Arist voleva dire che in realtà il mondo è stato creato
nel tempo, tempo e mondo hanno avuto inizio insieme
l’idea che la filosofia greca abbia tramandato un sapere unitario gli consente di iniziare una
filosofia anch’essa unitaria e coesa
Le Opinioni degli abitanti della città perfetta, rilettura della Repubblica adattata al contesto
del Corano, società organizzata su distribuzione di funzioni produttive, in armonia con
dettame religioso, linee guida date dai filosofi che sono anche teologi e conoscono bene la
volontà di Dio
ideale politico con istanze teoriche interessanti, fonde principio intelligente di Aristotele con
l’Uno di Plotino, pensiero perfetto e unitario che pensa sé stesso e illumina tutto il resto, Dio
è sommo essere
è proprio la derivazione del molteplice a giustificare la semplicità e l’autosufficienza del
principio, in quanto tali caratteri necessariamente coincidono con un’inesauribile capacità
produttiva
gli esseri derivati esistono in atto solo realizzando in modo sempre incompiuto la loro
essenza: prima enunciazione della distinzione tra essenza ed esistenza
al-Kindi concepisce il muoversi del creato come un ricevere conoscenza da Dio e un tendere
a lui
ogni intelligenza inferiore a Dio pensa sè stessa ma nel farlo pensa a Dio: in quanto pensa
Dio, il suo pensiero diventa principio di emanazione e dà origine a un’altra intelligenza, in
una serie di perfezioni decrescenti che termina con il grado ultimo della materia, che non
possiede capacità conoscitiva o forza creatrice
scrive lettere De intellectu et intellecto: rilegge De anima interpretato da Ale di Afrodisia, ci
trova un intelletto possibile, inteso come disponibilità dell’anima a conoscere, un intelletto in
atto che opera quando acquisiamo nuove conoscenze, e un intelletto acquisito, che traduce
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tutta la conoscenza in rappresentazioni e la affida alla memoria, ma tutto è sottoposto ad
azione di intelletto attivo e separato
un grande problema che la filosofia araba medievale lascia alla latinità è quello dell’intelletto
questo ha origine aristotelica, parta di intelletto nel De anima: diviso in tre libri, il primo
riguarda la funzione vegetativa, il secondo quella sensitiva, il terzo quella razionale
il libro sull’intelletto è complesso: egli pone che pensare, ovvero usare l’intelletto, genera un
cambiamento, e ogni cambiamento è un passaggio dalla potenza all’atto
dai capitoli 3 a 5 dice che c’è intelletto passivo in cui ci sono materiali di intellezione che non
sono ancora oggetto di intellezione attuale, e intelletto attivo, che però è separato
Alessandro di Afrodisia aveva distinto intelletti diversi e radicalizzato la dicotomia
in Avicenna e Averroè questo si mescola con il neoplatonismo e anche con la diversa
teologia nello sfondo
AVICENNA
Ibn Sina, muore nel 1037
Il Libro della guarigione, conosciuto dai latini come Metafisica di Avicenna, è la sua opera
maggiore
la versione dell’aristotelismo data da Avicenna ha potentemente influenzato il pensiero
medievale
si presenta come una grande enciclopedia del sapere articolata in quattro parti: logica, fisica,
matematica e filosofia prima, ricalcata sulle opere di Aristotele e ne rappresenta una sorta di
parafrasi, con un ricorso ovviamente a interpretazioni personali
ha introdotto nel mondo latino l’idea di un commento parafrastico, che sarà di fatto realizzato
da molti autori, il più importante sarà Alberto Magno
chi invece li vorrà commentare parola per parola trova il suo modello in Averroè, chi fonde i
testi di Aristotele in una parafrasi autonoma per certi aspetti dal testo trova il suo modello in
Avicenna
Avicenna dichiara il proprio debito ad Al-Farabi
esposizione chiara e sistematica:
- qual è l’oggetto della metafisica?
- dottrina della sostanza
- dottrina della causalità
l’esistere di una causa prima è il punto di arrivo della trattazione, bisogna evitare un
regresso all’infinito altrimenti non potremmo dare un principio ontologico al mondo
se è chiaro che debba esserci una causa prima, la dottrina cosmologica islamica pone un
problema di conciliazione: la causa prima ha iniziato a causare ad un certo punto, se il
mondo non è eterno: come è possibile che Dio abbia cominciato ad essere?
la risposta si basa su dicotomia aristotelica tra potenzialità e attualità sottolineando la
modalità della necessità: Dio è il principio dell’essere in quanto è l’essere necessario, non
può non essere e per questo può diventare l’essere di tutto ciò che è, in quanto causa prima
è necessariamente in atto, mentre la creatura non lo è
se Dio è l’essere necessario allora il creato è l’essere possibile, portato all’atto da Dio e
nell’essere creato diventa necessario
aiuta pensiero latino medievale a riflettere su diade necessità-possibilità
in accordo con il medioplatonismo la dicotomia si capovolge rispetto a quello che il
medioevo latino più fare
sia Avicenna che gli autori latini dicono che Dio è necessario e il creato è possibile, ma:
71
- per Avicenna la creazione è possibile di per sè, la sua essenza è la possibilità
stessa, ma quando passa all’esistenza reale diventa necessaria, condivide la
necessità dell’essere che emana dalla causa prima: essenza possibile e esistenza
necessaria
- nell’occidente latino invece si vuole salvaguardare la libertà dell’atto creativo, quindi
la dicotomia viene interpretata nel senso opposto: l’essenza delle creature è
necessaria, è la rectitudo anselmiana, mentre l’esistenza è solo possibile, rimane
appesa alla libera volontà divina (vedremo questa tensione in Enrico di Gand)
in ogni caso ha contribuito a far leggere distinzione tra esse e id quod est di Boezio come
distinzione tra essenza ed esistenza, la realtà concreta
Dio essendo perfettamente necessario e atto puro è anche semplice, quindi non può essere
definito, perché la definizione implica molteplicità: è impredicabile, ha statuto ontologico
particolarissimo perché in lui l’essenza coincide con l’esistenza in quanto la implica: non può
essere senza esistere
nelle creature invece non c’è coincidenza tra essenza ed esistenza, e tramite questa
distinzione possiamo dire qualcosa indirettamente di Dio
Dio è anche atto di pensiero, intelletto puro che pensa sè stesso: questo non comporta
molteplicità
il principio primo di Avicenna, a differenza dell’Uno di Plotino e del motore immobile,
siccome deve conciliarsi con il Corano, conosce le cose che egli stesso crea nella propria
necessità, Dio le conosce come necessarie, ovvero nella loro generalità, non conosce
l’individuo nella sua particolarità ma nel suo appartenere alla specie, nel suo aspetto per cui
partecipa alla necessità di Dio:
il Dio è provvidente solo a livello della specie, non degli individui
come deriva l’essere creato da Dio? non decide di creare (eteronomia dei fini implicherebbe
una molteplicità), non è in questo senso nè libero nè necessitato (non c’è nulla che lo
obblighi), ma il suo essere è necessario, e tutto da lui scaturisce per diffusione inevitabile,
egli è consapevole del suo creare ma è difficile da concepire in termini umani
non c’è distinzione tra il suo creare, il suo pensare alla creazione, ed il suo volerlo
Dio crea perché è Dio, in lui non si danno l’opposizione tra libertà-necessità, conoscenza-
non conoscenza, volontà-costrizione perché non si dà in lui nessuna distinzione creaturale
Dio non può impedire all’essere di uscire da lui ma accoglie ciò volentieri
non c’è inconsapevolezza ma nemmeno volontà libera
le cause seconde (Guglielmo di Conches) sono fatte essere da Dio, che scende attraverso
la molteplicità ipostatica di intelletti, che da lui derivano secondo un modello di emanazione
neoplatonico, per cui da lui deriva un intelletto primo separato dalla materia, che guardando
a Dio si conosce come necessario e nel conoscersi genera un secondo intelletto, a lui
inferiore, che guardando al primo intelletto trova il suo essere necessario e guardando sè
stesso come creato (ossia come possibile) emana l’entità inferiore: da uno sguardo verso ciò
che precede e verso di sè, si crea moto discensivo
ogni intelligenza, conoscendosi prima come necessaria e poi come possibile genera
dapprima un’intelligenza inferiore, poi un'anima e un corpo celeste de assa animato, ossia
un cielo
l’ultima intelligenza emanata (che governa il cielo della Luna) è l’intelletto attivo separato,
ovvero quello unico per tutta la specie umana teorizzato da Alessandro di Afrodisia: essendo
privo di materia, è separato da individui, mentre i singoli hanno il proprio intelletto passivo
tentativo di far funzionare lettura del De anima, con Dio che non arriva fino agli individui,
modernamente ci si chiede come allora funzionino i pensieri
72
pensiero avicenniano oggetto di polemica teologica sferrata da al-Ghazali:
i falasifa si preoccupano di ritagliarsi uno spazio di indagine distinto da quello della fede, con
lo scopo di dimostrare poi la concordia tra ragione e religione
proprio a causa dell’autorevolezza di al-Ghazali nei territori islamici, questa evoluzione
emerge negli scritti di autori iberici (ad esempio Avempace e Abubacer, Epistola di Hayy)
AVERROÉ
Ibn Rushd, muore nel 1198
vive in Spagna, a Cordova
come Avicenna, fu un medico
è rimasto legato ad una pessima fama, basti pensare alla posizione che gli spetta
nell’Inferno dantesco
spesso nel medioevo latino è dipinto come padre degli errori della filosofia eretica (in realtà è
deformazione storica)
Trattato decisivo sull’accordo della religione e della filosofia, è d’accordo con il fatto che la
filosofia possa conciliarsi con la religione, nel suo caso musulmana
i suoi trattati di argomento filosofico furono conosciuti e tradotti molto tardi, così come una
replica che aveva scritto ad al-Ghazali, chiamata provocatoriamente L’autodistruzione
dell’autodistruzione
quello che i latini hanno conosciuto sono i suoi commentari aristotelici, che sono commenti
letterali, parola per parola, importanti per i latini nel loro tentativo di capire il testo di un
filosofo complesso (alcune testimonianze dicono che avesse ricevuto l’incarico dal califfo
Abu Ya’qub)
per ogni opera aristotelica scrive più di un commento, in alcuni casi (Metafisica, Fisica, De
coelo, De anima, Analitici secondi) tutti e tre i tipi:
- commenti brevi, parafrasi veloci
- commenti medi, ovvero commenti letterari veri e propri, meno espliciti nel distinguere
il pensiero dell’autore da quello del commentatore
- commenti lunghi, aggiungono al testo problematizzazioni e riflessioni
per autori latini era il Commentator
più di un secolo dopo rispetto ad Avicenna, nel mezzo c’è stato al-Ghazali, che aveva
criticato pesantemente il valore della filosofia
per Averroè i dissensi tra filosofi, gli asti verso la dottrina islamica, nascono da una
confusione tra Platone e Aristotele: coglie che quello che è stato fatto passare per Aristotele
spesso non lo era, la critica comprende anche Avicenna, che mescola tradizioni diverse (e
secondo Averroè non ha compreso la reciproca limitazione tra filosofia e teologia)
vuole ritornare ad una lettura di Aristotele che sia fedele, priva di “contaminazioni”
neoplatoniche
questo non significa mettere Aristotele in contrasto con il Corano: per capire il Corano è
necessaria una lettura razionale della realtà, bisogna capire che ragione e fede possono
concordare ma, perché ciò sia possibile, anche chiarire bene i confini
i ragionamenti umani non hanno possibilità e competenze per comprendere le vie per la
salvezza, il senso profondo del tawhid
concordismo metodologico così ferrato a noi suona simile a quello di Giovanni Porretano
gli autori latini hanno riconosciuto in lui una dottrina della doppia verità, ovvero gli hanno
imputato il contrario di quello che egli voleva fare
73
doppia verità: si possono trovare contrapposte la verità di fede e di ragione sullo stesso
piano, in modo inconciliabile
esempio fatto da Averroè: il corano e la bibbia parlano di creazione del mondo, mentre
Aristotele sostiene che il mondo è eterno (Porretano direbbe perpetuo): se riconosciamo che
Aristotele ha avuto delle ottime ragioni per dirlo, allora ci troviamo senza strumenti per
decidere, abbiamo due verità contraddittorie (sono le antinomie della ragion pura di Kant, tra
cui c’è proprio quella tra mondo creato ed eterno, Kant usa questo esempio per dire che la
filosofia non può dire nulla di certo in merito a ciò che non ricade sotto forme a priori di
spazio e tempo)
Averroè voleva mostrare concordismo, ritiene che Aristotele sia stato il più grande filosofo, e
nei commentari dice che le sue argomentazioni sono efficaci e stringenti
l’altra grande affermazione di Aristotele che crea problema è la mortalità dell'anima
(spiegata da Averroè-a livello filosofico- con il fatto che l’intelletto passivo è mortale e
un’anima separata dal corpo rientra nella purezza dell’intelligibile e non può più essere
un’individualità)
nel suo spiegare Aristotele egli lo riporta alla sua verità
ma in realtà non ha storicamente sostenuto una dottrina della doppia verità: ha precisato che
non c’è un solo modo per dire una verità, non ci sono solo uomini filosofi o argomentazioni
filosofiche
riprende la distinzione degli uomini in tre classi (fedeli, teologi e filosofi) unendola a quello
che dice Aristotele nei Topici, ci sono tre tipi di argomentazioni:
- retoriche, servono a convincere gli uomini che non sono filosofi di professione,
persone comuni che possono essere persuase
- dialettiche, sono probabili, hanno struttura logica per cui poste delle premesse
derivano delle conseguenze, ma il fatto che le premesse siano vere dipende
dall’opinione, gli uomini dialettici sono i teologi: argomentano bene ma prendono per
vere le parole del Corano, che non hanno una verità intrinseca, sono argomentazioni
valide ma non certe (vere in sè per la fede ma non dal punto di vista della logica, in
quanto non dimostrate dalla ragione in modo necessario)
- apodittiche, quelle dei filosofi di professione, che trovano dentro l’oggetto del loro
ragionamento la necessità di quello che dicono, le loro argomentazioni sono sempre
necessarie perché partono da premesse consolidate, o da precedenti dimostrazioni,
o da verità prime e indimostrabili
ecco che quando egli dice che Aristotele ha ragione e argomenta bene non lo dice per i
teologi, ma per i filosofi di professione: non vuole contrapporre filosofia e teologia, i teologi
non devono leggere quello che ha detto Aristotele ma il Corano, mentre i filosofi devono
attenersi alle parole di Aristotele
il fine di Dio nel comunicare all’uomo la sua Parole è condurlo al rispetto della sua volontà,
non abolire le indagini della sua razionalità
i teologi credono e presumono di poter comprendere in quanto credono, spesso usano
esegesi allegorica in modo eccessivo e sbagliato: risultato è opinabilità del vero fonte di lotte
e fanatismi
i filosofi devono portare la ragione alle conclusioni necessarie, patrimonio di conoscenza
scientifica e base della convivenza umana
è un percorso che farà diventare le verità dissonanti
in un gioco di traduzioni poco fedeli, il commento al De anima di averroè viene tradotto in
modo da fargli sostenere che non solo gli esseri umani hanno l’intelletto unico separato ma
anche l’intelletto possibile non legato ad un corpo: se Averroè avesse detto questo non solo
74
avrebbe sostenuto che noi non pensiamo in proprio per l’intelletto attivo separato, ma che
nemmeno più le rappresentazioni sensibili sono nostre, che il pensiero ci è totalmente
estraneo: non ha detto questo, la traduzione ha lasciato intendere questo, dando origine a
successive dispute sull’eventuale unicità dell’intelletto possibile, che per gli autori latini
medievali avrebbe voluto dire la non retribuibilità dei premi e delle pene:
non mi è più imputabile il fatto che io decida a tutti gli effetti di fare il bene o il male
oltre al problema della doppia verità, avrebbe sostenuto dunque dottrina che avrebbe
sconvolto l’escatologia cristiana
Alla base dunque c’è in realtà l’idea che la verità in fondo sia nota solo a Dio, e per questo
possono contrastare le verità scientifiche e la rivelazione (sia le verità di ragione che quelle
pratiche della fede sono relative al modo di conoscere umano)
dove la ragione non arriva, può e deve avere vigore la fede, ad esempio con i miracoli:
proprio perché è definito impossibile dalla prima, può essere riconosciuto in quanto miracolo
ed essere accolto dalla fede
AVICEBRON
Shelomoh ibn Gabirol, vissuto nell’ XI secolo (morto 1058)
ha successo un suo dialogo, il Libro della fonte della vita
in latino tradotto come Fons vitae, in 5 libri, poco amato in ambiti ebraici perché è privo di
citazioni bibliche, si presenta come una grande epopea metafisica, che cerca di ricostruire
razionalmente la struttura del reale
testimonianza del platonismo teologico ebraico
vuole essere una celebrazione di Dio ma in modo razionale
gli autori latini hanno percepito la dottrina dell’ilemorfismo universale, che ha due
caratteristiche fondamentali:
- tutto ciò che esiste è costituito insieme da materia e da forma, eccetto Dio, anche le
entità immateriali sono costituite da una materia spirituale (traduzione latina ha
distorto la comprensione successiva), non esistono sostanze semplici eccetto Dio
75
- ogni entità non ha una sola forma ma una pluralità di forme- aristotelicamente non ha
senso-l’individuo è formato dalla sovrapposizione di più principi determinanti il suo
essere (come se per ognuno servisse la forma della sensibilità, la forma dell'intelletto
ecc)
secondo un modello emanazionista, le prime due creature vicino a Dio sono la forma e la
materia universali, dalla cui unione discendono tutte le realtà composte: Intelletto, Anima,
Natura, sostanze spirituali e sostanze corporee
l’anima dell’uomo deve risalire questa scala attraverso la conoscenza, per arrivare, solo
grazie ad un dono divino, alla ricongiunzione con la volontà di Dio
implicazioni psicologiche: ognuno ha una molteplicità di anime che presiedono a diverse
forme di conoscenza
autori francescani del 1200 e del 1300 cercano di adattare Aristotele a questo, ad esempio
dicendo che c’è forma dell’anima e forma del corpo, per cristiani utile dato che il corpo
muore e l’anima no
la dottrina di Avicebron non nasce dalla lettura di Aristotele, ma viene forzata all’interno di
una griglia aristotelica dalla traduzione latina con materia e forma
MOSÈ MAIMONIDE
muore nel 1204
opera a Cordoba, poi si sposta in Egitto e Marocco
medico e giurista
La guida dei perplessi, (dux neutrorum), la sua fortuna è data dall’interesse nei suoi
confronti da parte di Tommaso d’Aquino
i perplessi sono coloro che hanno letto le Scritture, ma conoscono anche la filosofia e sono
incerti, o troppo vicini a testo sacro, o troppo distanti, oscillano tra incredulità ed eccessivo
letteralismo
serve sintesi della filosofia che permetta ai credenti di orientarsi
il suo pensiero è una sintesi di tradizionalismo degli ambiti ebraici e riflessione filosofica
greco-araba
elaborazione interessante del tema della profezia: è l’unico possibile contatto tra la
conoscenza della verità divina ed umana, il punto di arrivo della convergenza tra ragione e
fede
per recepire il dono della profezia il possesso della sapienza è necessario ma non
sufficiente, serve la conoscenza della Legge
Mosè è stato il più grande profeta e filosofo: in quanto profeta è stato più che filosofo, ha
abbandonato le sue capacità conoscitive e ha intuito la verità dell’uomo
la premessa fondamentale è che la Torah sia un dono libero e assoluto di Dio, e il vero
pensatore riesce a far scaturire la filosofia dalla Rivelazione
la razionalità scientifica ha autonomia finché si rivolge al creato (“Aristotele non si è
ingannato per tutto ciò che esiste al di sotto del cielo della Luna”), ma deve usare la verità
biblica come conferma dei suoi passi
momento ermeneutico (deve interpretare correttamente la Scrittura) e momento critico (deve
riconoscere i propri limiti)
teologia negativa: rafforza idea che di Dio sia meglio parlare per negazione
è troppo superiore rispetto alle nostre limitate capacità linguistiche, con l’intelletto non
penetriamo nelle profondità di Dio
la filosofia può arrivare ad intuire l’esistenza dell’Essere primo, ma poi è la fede a dispiegarsi
nella realizzazione di una vita virtuosa
76
introduce dimostrazione dell’esistenza di Dio ripresa in una delle cinque vie di Tommaso
negli ultimi secoli del medioevo il mondo ebraico, ma anche quello cristiano latino, ha subito
il fascino della tradizione mistico-esoterica della Cabbala, ovvero una dottrina nata da un
confluire di insegnamenti mistici e che ha al centro le singole lettere e parole della Scrittura
il modello classico è forse quello documentato dallo Zohar, ossia Libro dello splendore, un
commento mistico del Pentateuco, si concentra sul simbolismo del Nome divino, sui misteri
delle Sefirot, anche sull’uomo e le prescrizioni della Legge
77
- quello del maestro diventa ufficialmente un mestiere, università sono private ma
garantiscono stabilità all'insegnante, in realtà sono ancora soprattutto i chierici a farlo
(quindi non persone che vivono esclusivamente di tali proventi) ma in ogni caso si
riconosce il valore di quel lavoro
- il sapere è arrivato ad un grado di estensione di fatto, e di maturità epistemologica di
principio, tali da permettere la distinzione del sapere in ambiti, le facultates
alla base c’è la Facoltà delle arti, che è quella comune e propedeutica, ovvero le arti del
trivio e del quadrivio (manuali, programmi di esame)- si finisce più o meno ai venti anni-
anche dal punto dell'insegnamento era meno prestigioso
non est senescendum in artibus: non è bene invecchiare nelle arti, per cui gli insegnanti
dopo un po’ passavano ad insegnare nei gradi superiori, ovvero:
Facoltà di Diritto: civile (Corpus iuris di Giustiniano) e canonico (Decretum di Graziano)
Facoltà di medicina: corpus di Ippocrate
Facoltà di teologia
(la filosofia si è sviluppata nel passaggio tra arti e teologia)
soltanto nel tardo medioevo ci sono maestri delle arti molto prestigiosi che non vogliono
cambiare insegnamento, un caso è quello di Giovanni Buridano
Guglielmo di Occam è “venerabile iniziatore” perché non è mai passato alla teologia, rimasto
all’inizio
maestro delle arti (che aveva superato la prova di licentia docendi), o baccelliere se aveva
solo il titolo e non insegnava
andando a teologia faceva di solito due anni di lettura e commento della Bibbia, poi
diventava baccelliere biblico e poteva passare allo studio dell’elaborazione teologica,
basandosi su un manuale, Le sentenze di Pietro Lombardo (del XII secolo), che aveva
scritto compilazione di Padri della chiesa divisa per temi (diventa manuale in tutta Europa
fino anche al 1500 inoltrato); diventava baccelliere sentenziario, da due a quattro anni
sentiva lezioni sulle sentenze, e poi per un periodo era aiutante di un maestro di teologia
nelle disputazioni: era baccelliere formato, dopo degli esami diventa baccelliere in sacra
pagina (non si diventa maestri di teologia prima dei trent’anni)
il culmine del percorso si aveva con la licentia ubique docendi, ovvero l’autorizzazione ad
insegnare in ogni Università del mondo cristiano
il baccelliere biblico comunque aiutava il maestro a leggere la bibbia, quello sentenziario a
leggere le sentenze, quello formato con le disputazioni
forma tipica di insegnamento rimane la lectio, lettura e commento di testi
in alcuni momenti si affrontano delle questioni ordinarie o problemi specifici, ad esempio
qua il baccelliere poteva raccogliere gli argomenti a favore e contro
in due momenti dell’anno, durante l’avvento e la quaresima, l’attività didattica veniva
sospesa, e si sostenevano le questioni quodlibetali (quodlibet=qualsiasi cosa): sono le
questioni de quodlibet, sono gli studenti a proporre gli argomenti, non il maestro, come in
quelli ordinarie, erano il banco di prova della bravura dei maestri
sono questioni generalmente molto più ampie, entrano anche nel vivo di polemiche
filosofiche, spesso attraverso di esse conosciamo i pensieri dei maestri
spesso commenti biblici e alle sentenze sono frutto di lavori di baccellieri biblici, raccolte di
questioni sia ordinarie che quodlibetali
man mano si dividono gli studenti per nazioni (la prima e più consistente organizzazione di
questi gruppi avviene a Bologna), la lingua ufficiale per la didattica è il latino
78
molti testi dei maestri li abbiamo nelle reportationes degli studenti, che, se poi venivano
pubblicate, di solito erano rilette dai maestri
organizzazioni di copiatura, testi dovevano essere copiati per metterli a disposizione degli
studenti
l’università è l'istituzione in cui si sviluppa la filosofia
è fortemente comunitaria, ha un’organizzazione capillare (Cancelliere è autorità principale,
deve tutelare lo svolgimento regolare della didattica, poi c’è il COnsiglio dei Maestri, quelli
delle singole Facoltà, presieduti dai rispettivi Rettori)
ormai i due fattori di cambiamento (arrivo di Aristotele e la sua assimilazione e lo sviluppo
delle università) portano a crescita della filosofia
Philosophi e theologi
scontro sugli spazi di intervento tra facoltà delle Arti e Teologia
spesso gli artistae si ritengono autorizzati a imporre le regole fondamentali ad ogni altra
disciplina, a dedicarsi non solo all’ambito della natura, ma anche a quello soprannaturale
si riapre in termini nuovi il problema della conciliazione di ragione e fede
i teologi accusano soprattutto il modo in cui i colleghi delle arti usan la filosofia, nello
specifico quella aristotelica
nel 1210 a Parigi si proibisce l’uso dei libri di filosofia naturale di Aristotele
nel 1215 il cardinale Roberto a Parigi vieta l’uso anche della Metafisica, lasciando libertà
solo in ambito delle arti liberali e dell’etica (dunque si leggeva Etica Nicomachea: astio non
era verso Aristotele ma verso l’uso che ne si faceva!)
queste censure, non relative alla lettura personale, non frenarono la diffusione di questi testi
la problematicità del confronto tra ragione e fede è accresciuta dal fatto che, essendo la
facoltà delle arti propedeutica a teologia, i maestri di teologia sono quasi tutti familiari con le
questioni filosofiche
1228 Gregorio IX inveisce contro i maestri di teologia, li chiama theophantes, ciarlatani
1229 a Parigi si interrompe la didattica a causa di episodi di violenza tra studenti e cittadini
Uni di Tolosa: pubblicizza possibilità di leggere tutto Aristotele
Gregorio IX a Parigi emana la Parens scientiarum: si possono usare questi libri ma dopo
averne rimosso gli errori
chiaro come questi ambiti disciplinari avessero assunti ormai un’autonomia propria
per alcuni tale distinzione significava subordinazione delle discipline alla teologia
in ongi caso, di fronte ad una chiarificazione di ambiti, confini, metodi delle discipline
scientifiche (messa a punto da greci-arabi), era essenziale formulare un’altrettanto rigorosa
precisazione per la conoscenza teologica
i maestri di teologia is impegnano in una rielaborazione di strumenti e orientamenti della
christiana doctrina (unendo insegnamenti porretani, abelardiani e altri): la sacra doctrina si
identifica con la verità della sacra scriptura esposta in forma didattica, organizzata in moduli
metodologicamente consolidati
79
guardando allora alle opere dei teologi possiamo vedere l’inserirsi della speculazione
filosofica-scientifica nel complesso progetto formativo universitario, presentato come
percorso di conoscenza finalizzato al possesso di un sapere unitario e sistematico
i maestri secolari di Teologia sono i primi ad essere pienamente consci della peculiarità e
della portata della trasformazione culturale in corso (improvvisa evoluzione del materiale
didattico e inattesa complessità di organizzazione disciplinare):
cercano coerenza nel loro insegnamento, in una sintesi di fede e ragione
prime generazioni del Duecento mostra continuità di propositi con intellettuali come Alano da
Lilla e Simone da Tournai
ad esempio Guglielmo di Auxerre riprende Simone, che diceva che se in filosofia la ragione
produce fede nei confronti di ciò che è dubbio, in teologia la conoscenza si basa su una
“fede che genera razionalità”:
G. dice che l’inversione dei termini rappresenta il metodo specifico del discorso teologico
merito dei secolari parigini: portato concezione antica della ragione al servizio della fede
sotto la luce delle recenti precisazioni metodologiche e speculative; esporre le problematiche
del pensiero cristiano in base all’apporto dato dall’acquisizione di strumenti filosofici
80
l’inizio della nostra riflessione sulla bellezza nel medioevo si ha con la tesi di laurea di
Umberto Eco, Il problema estetico in Tommaso d’Aquino
ROBERTO GROSSATESTA
morto nel 1253
notevole levatura intellettuale
opera in Inghilterra, tra Oxford e Cambridge
si pone su linea inglese inaugurata da Giovanni di Salisbury, indagine logica volta a chiarire
in maniera meticolosa i limiti della ragione e per altri versi stabilirne le reali possibilità,
attenta al mondo della natura e all’idea che il sapere debba avere una qualche svolta pratica
ha una certa autonomia rispetto ad altre direttrici europee
notevole attualità di alcuni aspetti del suo pensiero naturalistico
la condanna dottrinale è sicuramente presente all’interno del contesto medievale ma non si
deve pensare che le sanzioni normative fossero così efficaci e cruenti
il fatto che il XIII secolo a Parigi vedesse il reiterarsi di divieti dello studio di Aristotele è
significativo che i divieti non fossero così efficaci: dal 1210 uni di Parigi proibisce
insegnamento di Fisica di Arist, problema era l’eternità del mondo e mortalità anima, poi nel
1215 condanna ripetuta e aggiunta anche la Metafisica, e ribadita nel 1231 con il proposito
di istituire una commissione censoria che purgasse gli scritti di Arist dalle tesi erronee: la
commissione non si riunì mai di fatto, ormai Aristotele veniva studiato e raccontato, usato in
profondità
queste condanne a Parigi valgono a Parigi, l’università è una società con diritto privato, gli
atti da parte della chiesa dal punto di vista normativo valgono solo per quella specifica
diocesi
in Inghilterra la proibizione non vale e non se ne percepisce nemmeno l’influenza (vicino a
Parigi c’erano comunque delle ripercussioni)
Roberto conosceva il greco molto bene, prima traduzione in latino completa dell’Etica
Nicomachea
assimila non solo la sua Fisica ma anche gli Analitici secondi (sillogismo scientifico, porta a
verità e conclusioni necessarie, determinazione delle condizioni entro le quali un sapere si
può definire “scientifico”: si parte da dati sperimentali con sensi, assicurato dalla
comprensibilità di dati universali, articolato per via deduttiva, conoscenza per causas)
verso il 1230 scrive il primo commento latino completo agli Analitici secondi, è il primo
che ne conosce in modo approfondito il testo, così permette di rendere il testo accessibile
agli autori dopo di lui, ne dà una lettura chiara e comprensibile (la prima traduzione era
conosciuta già da Giovanni di Salisbury ma nessuno aveva ancora fatto un commento)
il commento non è frutto solo della libertà inglese ma anche della sua statura intellettuale
nel commento tuttavia mostra una mescolanza di tradizioni aristoteliche e tendenze
neoplatoniche che rimane un unicum del periodo: riesce ad unirli senza creare stridori
incredibili, ma ci sono comunque delle tensioni:
gli universali si dispongono su diversi livelli:
- gli universali nella mente divina- impostazione divina alla Anselmo- da cui derivano le
cause primordiali che fanno essere le cose- naturalismo chartriano di cause seconde
- scendendo verso la materialità si fanno forme delle cose e sono immanenti ad esse
81
ma c’è la componente di astrazione perché l’universale che è la forma nel singolo individuo
si può conoscere passando dai sensi, prendendo i dati empirici e astraendo, considerando
separatamente, come aveva detto Boezio, i caratteri a loro comuni: non è nè realista nè
nominalista
conosciamo gli universali un po’ con l’illuminazione perché sono realtà separate, un po’ per
astrazione perché sono componenti metafisiche degli individui concreti
filosofia che ha entrambi i versanti, ultima sintesi che presenta aristotelismo e neoplatonismo
allo stato puro, altre sintesi successive saranno sbilanciate decisamente verso Aristotele
è necessario che nella mente umana le nozioni provenienti dall’esperienza sensibile siano
ricondotte, grazie all’astrazione, a termini universali, privati della contingenza e della
particolarità:
per garantire l’oggettività del processo i filosofi avevano introdotto l’intelletto agente, che
astrae in modo univoco per tutti, ma la prospettiva cristiana è più semplice e vera: dato che
la certezza può venire dall’illuminazione divina, ad essa deve essere subordinata
l’astrazione
come è possibile la produzione degli universali nella mente umana? serve un tramite
conoscitivo tra la verità degli esemplari e l’esperienza sensibile, che confermi la
partecipazione della conoscenza umana ad entrambi, salvaguardando rispettivamente la
necessità e la capacità informativa di essi:
la matematica è la disciplina che deve fungere da modello della conoscenza umana (idea di
lontana tradizione pitagorica: la matematica è l’idea che la realtà abbia una struttura
organizzata in maniera quantitativa, solo la matematica permette di indagare la realtà
sapendo che è ordinata):
cerchiamo nella natura ordine e regole quantitative che ci permettono di creare delle
previsioni e formulare dei criteri di comportamento della natura
82
la matematica rappresenta quindi un sapere che nasce nel punto esatto di incontro tra
l’illuminazione informativa dall’esperienza e quella formativa dall’alto
la conoscenza certa che si ha nella dimostrazione, si ha sommamente nelle matematiche
solo la matematica rispetta pienamente il principio aristotelico del conoscere per causas
processo di riunificazione del molteplice a cui corrisponde un perfezionamento dell’intelletto:
sensus, imaginatio, ratio, intelligentia, potentia superscientialis (recepisce nel modo più
diretto l’illuminazione)
la certezza e la necessità di ogni conoscenza scientifica sono garantite dalla formulazione
matematica a cui essa deve essere ricondotta
si vede molto nell’ottica, che è applicazione della geometria ai raggi di luce, funziona con
leggi di propagazione, i medievali possono contare su Ottica di Tolomeo, da riccardo la
considerano come basata su nozioni matematiche salde
altra opera Tractatus de luce, si colloca all’interno della letteratura esamerale ma si ferma
al primo giorno, si concentra sulla creazione del primo punto luminoso creato al fiat lux di
Dio, indaga a partire dai principi dell’ottica e della matematica la creazione del mondo da
quell’unico punto luminoso iniziale (prima di tutto Dio crea la luce):
nella semplicità dell’atto luminoso si distinguono tre momenti, lux-splendor-fervor, il punto
luminoso si rarefà in forma sferica (teoria corpuscolare della luce, dice che la luce è la stoffa
di cui è fatta la materia del mondo, la materia prima della concretezza del mondo, una
specie di sostrato precedente la materia)
espandendosi arriva al massimo della rarefazione e costituisce la sfera delle stelle fisse, che
riflettono la luce al centro del mondo, che tende a condensarsi e si riverbera nuovamente
all’esterno, il movimento di andata e ritorno crea pianeti e sfere, poi diventa materiale e
precipita i quattro elementi
ci mostra la compenetrazione di matematica e teologia, richiesta dalla duplice natura stessa
della luce: interna alla creazione in quanto prima creatura e esterna in quanto proveniente
da Dio
opera basata anche su numerologia chiara e interessante, riflessione astratta sulla
matematica che ci dice come il medioevo sia pronto ad un salto di qualità sull’indagine della
natura
importante incontro con Pseudo-Dionigi: tutte le creature conoscono riconoscendo la
presenza della luce nel creato e Dio lascia una traccia in ciò che crea, quindi Dio è
conoscibile come luce
invertendo il processo di discesa, ci possiamo accostare alla natura divina ed al mistero
trinitario, nell’analogia del movimento di lux-splendor-fervor
ALBERTO MAGNO
di Colonia
papa leone XII nel 1... pubblica enciclica dal titolo Aeternis Patris, segna nascita del
pensiero neoscolastico
83
in epoca moderna e positivistica, di crisi della sensatezza di un pensiero non positivo, non
utile a migliorare la vita dell’uomo, non matematizzabile, come la teologia, la chiesa ha un
moto di reazione, la tradizione teologica ha diritto di stare al passo con la filosofia, prova ne
sia che con Tommaso d’Aquino la filosofia cristiana basata sulla teologia medievale è
arrivata a punto di splendore insuperabile (è idea storicamente infondata, non ultimo grande
filosofo della storia): nasce il neotomismo, idea che Tommaso a fine 1800 possa dare
strumenti per una rilettura del presente
porta a vedere in Tommaso il più grande filosofo della filosofia medievale: è sicuramente
autore di genio e ha avuto storia degli effetti particolarmente significativa però ormai non si
pensa che in lui si esaurisca XIII secolo e dopo non ci sia più nulla
per i suoi contemporanei nè adorato incontestabilmente nè adorato come grandissimo
filosofo
pensiero geniale e estremamente personale
84
possa stare accanto alla rivelazione cristiana, far finire le censure e assimilarlo nel pensiero
cristiano
il pregio più grande di Aristotele era la sua sistematicità
non vi era più un’alternativa teorica reale per fare filosofia
questo non vuol dire che sia un aristotelico rigido e ortodosso, nel suo pensiero ci sono
aspetti neoplatonici forti ed è il primo a commentare le opere dello pseudo-dionigi areopagita
doctor universalis, sapiente di tutto il sapere possibile: chiamato così per la sua tendenza
enciclopedica (elabora un sistema articolato in diversi ambiti disciplinari, scrivendo trattati
circa molti argomenti diversi)
risente di influssi di Avicenna: non si può capire e assimilare Aristotele senza abbinargli la
tradizione neoplatonica, si fa sentire anche nella scrittura del commento
inoltre quando trovava che nelle opere di Aristotele mancassero delle parti ha composto dei
trattati autonomi
difficile capire che cosa voglia dire come idea sua, cosa riprenda da fonti a noi poco note, e
come mai l’opera Omnia sia lontano dall’essere rivista del tutto
edizione della sua opera del 1890 ha tantissimi errori nella lettura dei manoscritti, a volte la
difficoltà è legata anche a questo
rivalutazione del sapere naturale si esprime anche nelle decisioni della commissione di
studiosi domenicani (riunita nel 1259 e di cui A. faceva parte): Aristotele, nonché la filosofia,
è propedeutica alla ricerca teologica
85
non ha ragione Avicebron nel dire che Dio è radicalmente libero, perché l’ordine naturale
che egli pone nel mondo è l’ordine naturale, che non può più essere sovvertito (da Pier
Damiani a Occam)
c’è sistema di cause seconde che Dio ha posto nel mondo e operano in modo regolare e
prevedibile
ma soprattutto sbaglia in quanto l’ilemorfismo universale va rigettato perché ha un rischio
forte di panteismo (conosceva condanna di Davide di Dinant) accusato di panteismo
dire che c’è una materia spirituale anche nella creature spirituali finisce per annullare la
distinzione tra materiale e immateriale e avvicinare troppo il mondo a Dio
leggendo il Liber de causis, del circolo di al-kindi, ma considerato aristotelico, concepisce
Dio come la causa somma in cui l’essere si identifica con il quod est, che trasmette causalità
ad un sistema di cause seconde che a cascata discendono nell’universo:
è un Dio neoplatonico di un universo aristotelico (bisogna aspettare Tommaso perché le
cose si scindano un po’)
le cause seconde sono assolutamente immateriali e sono mediatrici in quanto trasmettono
degli influssi puramente formali
dottrina dell’incoatio formae (l’incominciamento della forma, disponibilità alla forma): le entità
causate ricevono la loro forma da questo sistema di cause gerarchicamente ordinate, ma
com'è che una determinata materia riceve proprio e solo quella determinata forma? la
materia ha in sè una specie di sigillo che la predispone a ricevere una certa forma piuttosto
che un'altra, la natura già nella struttura materiale è orientata ad avere determinate forme e
potenzialità, la realtà creata tende a realizzarsi per una tensione già iscritta nella materia:
l’universo non è sganciato da Dio, è una serie di emanazioni discensive che non sono Dio a
livello della creatura perché la materia è imperfetta e, nonostante la forma trovi il suo spunto
nella materia, ciò avviene in modo imprevedibile e contingente, mai necessario
la realtà non è deterministicamente pensata da Dio
gli influssi formali infatti sono in sè necessari, ma la diversa disponibilità delle imperfezioni
materiali li recepisce e li rende efficaci in maniera imprevedibile
Dio è Intelligenza pura che contiene le forme esemplari, ad essa tendono quelle particolari,
per il tramite dell’attrazione esercitata dalle cause superiori
questo intreccio universale di cause si può chiamare fatum
86
per Alberto ci possono essere delle buone ragioni per sostenere che l’intelletto agente sia
unico e separato, ma anche chi sostiene che sia proprio del singolo ha buone ragioni, e il
cristiano deve optare per la seconda opzione (ognuno pensa in proprio ed è responsabile di
quello che sceglie)
non solo spiega la compresenza nella conoscenza di dati universali (intelletto agente
sollecita nell’anima la disponibilità a ricevere le forme e attuarle in atti intellettivi particolari) e
operazioni particolari, ma ha un importante risvolto etico:
etica umana è tentativo di liberare dalla corporeità l’intelletto passivo e volgersi alla vita
teoretica, c’è un’ascesa che porta al potenziamento dell’intelletto, si può salire fino alla
contemplazione dell’intelletto divino
nel delineare questo processo si colloca alle origini della corrente della mistica renana, che
cerca di comprendere razionalmente l’ascesa fino all’intelletto divino, che comporta
l’annullamento di intelletto umano in quanto separato da Dio
l’obiettivo ultimo di cui parla Alberto è una copulatio dell’anima con Dio, un’unione profonda
in cui essa, se sviluppa al massimo la capacità conoscitiva, può arrivare alla somma verità
la perfezione aristotelica della vita teoretica si coniuga con il platonismo in teologia, e quindi
si ha una risalita contemplativa verso Dio che lo coglie intuitivamente
87
conoscenza della fede è conoscenza del Logos, i credenti sono veri theologi, ovvero
possessori della dottrina il cui fine è congiungere il logos umano con quello divino
ma se Dio è il vero subiectum, la teologia non può che essere un sapere pratico, perché non
basta conoscere Dio ma anche amarlo: da qua domanda, teologia è scienza teorica o
pratica?
per Alberto è pratica (non ha un oggetto conoscibile in quanto tale ma piuttosto un fine), ci
insegna ad amare Dio e ad agire in maniera conforme a questo amore, è scientia affectiva,
porta a perfezione anche la parte sensitiva della nostra anima
il finale congiungimento con Dio coinvolge sia l’intelletto che la volontà del credente, Dio
nella visione beata è conoscibile non come essenza in sè, ma come fine dell’orientamento
dell’affetto di ogni creatura, essenza come bontà attraente
può mantenere lo statuto di scienza speculativa solo affermando il suo essere una scienza
pratica:
c’è ovviamente un aspetto speculativo della teologia, ma è subordinato
BONAVENTURA DA BAGNOREGIO
muore nel 1274
frate francescano
ha retto l'ordine dei frati minori quando ormai era ampio, aveva bisogno di guida autorevole
che reggesse la controversia tra conventuali e spirituali
questo è stato il denominatore anche della sua produzione
da quando diventa maestro in teologia a Parigi deve per un anno e mezzo aspettare perchè i
frati degli ordini mendicanti non possono accedere alla cattedra, e dopo un semestre viene
chiamato dai francescani per essere ministro dell’ordine
torna a Parigi come ospite e pronuncia discorsi ma non insegna più
è stato baccelliere sentenziario e per diventare maestro ha scritto anche questioni disputate
ma il resto delle sue opere non sono il frutto di un maestro, si vede il filosofo ma certo il
focus della sua vita si è spostato
rispetto agli altri autori del XIII secolo lo spirito è diverso
non si può parlare della filosofia di Bonaventura scindendo ciò dal suo essere frate
Breviloquium, trattazione di indole compendiosa di fondamentali temi della teologia, parla
dello statuto epistemologico della teologia, scritta nell’epoca del passaggio
dall’insegnamento all’ordine
la teologia è un discorso su Dio, che ha Dio come subiectum
in questo senso è una dottrina, sacra doctrina, un insegnamento su Dio, non una scienza
argomentativa
però è anche un discorso sul primo principio di tutte le cose, e in quanto tale si configura
anche come metafisica, disciplina teoretica nel quadro delle scienze aristoteliche
però non è esattamente appiattibile sulla metafisica, che, giunta al primo principio, non
procede oltre: la teologia deve mostrare che tale principio e sommo essere è Dio
quindi la teologia comprende in sè la metafisica, e le fornisce il suo vero scopo
mentre per Alberto Magno la metafisica si può fare loquendi ut naturalis, ha una sua piena
autonomia, in Bonaventura ha un’autonomia subordinata:
inaugura corrente che è stata molto fiorente nella seconda metà del XIII secolo
in quanto scientia metafisica, la teologia può esprimere un giudizio razionale sull'essere, e
nel fare questo spiega razionalmente che cosa è possibile del Dio creduto dalla fede
però non potrà mai farlo senza risolvere e ricondurre queste argomentazioni razionali a quel
supremo principio di verità, che è Dio, e che si manifesta nella Scrittura
88
La riconduzione delle arti alla teologia, il sapere umano ha un’utilità, ma senza teologia
illuminata dalla Scrittura non ha un senso pieno
non c’è verità umana che non sia riconducibile alla verità in Dio
a Dio si riconducono le quattro cause di matrice aristotelica: la teologia ha Dio come origine,
esprime la natura di Dio, è regolata dalla verità di Dio e ha Dio come fine ultimo
la teologia può essere allora detta scientia divina (è più divina che scienza), è scienza di
Dio in entrambi i sensi del genitivo “scientia dei”:
- riguarda Dio
- promana e deriva da Dio
la teologia è una, ovvero unitaria e una sola, perché uno è Dio
che cos’è la verità per un cristiano? è Dio:
la teologia in quanto scienza di Dio è scienza della verità (la suprema rispetto a tutte le
altre; le altre scienze sono scienze della verità di qualcosa)
carattere fondamentale è l’agostinismo
ha atteggiamento aperto nei confronti della filosofia, cita moltissimo, anche Aristotele
quando l’aristotelismo assume caratteri radicali dal 1260 con i cosiddetti averroisti latini- o
aristotelici radicali- si radicalizzeranno anche le critiche di Bonaventura all’aristotelismo
(vede un capovolgimento del senso della realtà che Dio ha dato)
non è autore che non apprezza le novità filosofiche del tempo suo, ma tiene saldo un
impianto di pensiero che deriva da Agostino: la verità è Dio e la possiede la teologia, il
sapere umano può arrivare ad una verità ma il cui senso pieno si dà solo relativamente alla
teologia
il compito del teologo è aiutare coloro che hanno fatto della fede la ragione della propria vita
a godere del premio di questa fede già in vita, partecipando della sapienza di Cristo
89
2) La teologia come determinatio distrahens
la meta nel rapportarsi alla Scrittura è la scientia Christi, ovvero la scienza che si ha di Cristo
come riflesso nella mente umana della scienza che ha Cristo stesso: tale scienza è la vera
teologia
nelle Postillae (note esegetiche scritte durante il magistero teologico) scrive che la
manifestazione del Verbo guida il teologo nella via dalla conoscenza umana a quella divina
il termine credibile è importante nel momento in cui Bonaventura cerca di spiegare il
rapporto tra Scrittura e teologia:
la teologia è un insegnamento fondato sulla scrittura, ma dal punto di vista epistemologico
che cos’è la teologia? la teologia rispetto alla scrittura è una determinatio quodam modo
distrahens, ovvero determinazione che in un certo modo porta da un’altra parte: prende il
credibile della Scrittura e lo trasforma in un intelligibile, prende il dato rivelato e sforzandosi
di comprenderlo lo fa diventare intelligibile, palese con il caso della trinità (compare nei
vangeli ma devono diventare intelligibili per essere oggetto della volontà)
distrahens quindi non vuol dire confusione, ma condurre altrove, perché appunto quello
dell’intelligibile è un dominio conoscitivo diverso dal credibile
la teologia è posteriore alla Scrittura, epistemologicamente questa è la base, ma la teologia
razionalizza il contenuto
questa natura distraente della teologia si ha con l’intervento della ragione nella Rivelazione,
come conferma e supporto alla fede
90
siccome il sapere ha un’unità di fondo che si riscontra in Cristo, solo nell’illuminazione
possiamo cogliere le regole fondamentali e universali che poi ci permettono di comprendere
i dati particolari, i fondamenti della nostra capacità astrattiva risiedono in essa
l’illuminazione garantisce la verità e l’oggettività della nostra conoscenza, e riguarda sia
l’intelletto agente che quello possibile (lui non aderisce a gnoseologia aristotelica), intelletto
possibile non è puramente passivo (perché riesce ad applicare le forme astratte che riceve
alle informazioni che provengono dall’esperienza sensibile) e quello agente non puramente
attivo (altrimenti non potrebbe ricevere l’illuminazione)
riprende tradizionale dottrina delle idee nella mente divina come modelli della creazione e
anche di ciò che noi possiamo sapere (esemplarismo)
la filosofia porta alla verità nella misura in cui accetta di aver bisogno della teologia per
riunire la verità
la dottrina del pluralismo epistemologico non va per nulla accettata (gli aristotelici averroisti
negano l’univocità del vero), è la negazione della sapienza cristiana che lui vuole fondare:
ogni vero è tale soltanto in subordine a una verità più alta, ovvero quella della Rivelazione
la filosofia abbandonata a sè stessa è dunque causa di errore
“l’anima vorrebbe descrivere tutto il mondo entro di sè” ma senza l’illuminazione non pò
cogliere la verità neanche di una cosa
Platone ha colto infinità della verità trascendente (sermo sapientiae), Aristotele ha ristabilito
il sermo scientiae, e lo Spirito Santo dà i due linguaggi come una cosa sola
4) la teologia speculativa
ma quindi cosa si fa lui della filosofia?
Quaestiones disputatae de mysterio Trinitatis, mostrano razionalità applicata alla
conoscenza della fede; la convergenza di conoscenza nella certezza razionale e
conoscenza nella fede è scandita in ogni quaestio dal confronto di due successivi articuli
secondo Bonaventura non possiamo cercare di dimostrare una verità (conoscono cosa vuol
dire dimostrare per Aristotele), ma la ragione deve mostrare la necessità degli argomenti che
sostengono- non dimostrano- il dogma trinitario: in questo si percepisce Anselmo
ripercorre l'unum argumentum anselmiano e lo riduce alla sua forma minimale: se Dio è
Dio, allora esiste, per lui è una evidenza assoluta
Dio è una realtà evidente (idea del francescano che si guarda attorno e vede dio)
il dogma trinitario, assunto come credibile, diventa intelligibile perché Dio si mostra come
causa unitaria e unificante di tutto ciò che deriva da lui
seconda questione: unità di Dio (il principio primo non può non essere uno, poi si mostra
compatibilità di unità e trinità)
terza: semplicità in Dio; quarta: infinità; quinta: eternità; sesta: immutabilità; settima:
necessità
nell’ottava questione ribadisce che ragione e fede sono in un circolo intelligibile, perché nel
credere e nell’intelligere si manifesta lo stesso principio divino (presenza conoscibile
nell’universo del medesimo divino che si rivela nel credere): pensare la fede è conoscerla, e
conoscere la fede non si può fare senza la fede
razionalmente possiamo dire che Dio è una primitas:
primalità di Dio=esistenza dell’essere che non si può pensare che non sai ciò che è
come si è esplicata in una trinitas? il suo essere primo si è articolato in un essere, che poi
diventa un essere qualcosa: In Dio essere ed essere qualcosa sono unitari (Avicenna:
essenza ed esistenza coincidono), e poi si presenta all’anima: oltre ad essere principio di
essere è anche principio di intelligenza, quindi la sua primitas è anche capacità produttiva
91
tale produzione si attua nella perfezione della conoscenza del produrre in cui si riflette
l’amore per il produrre
conoscere Dio necessariamente è anche amarlo (francescano)
nella primalità divina si giustificano anche la altre proprietà divine (che compaiono nelle varie
questioni)
per il credente al libro della natura e a quello della scrittura si aggiunge il liber vitae, che è la
sintesi di perfezione di intelletto e perfezione di volontà, di intelletto e fede, rappresentata
dalla contemplazione affettiva promessa ai beati, ma che può realizzarsi già nel corso della
vita (vita francescana ha come scopo la realizzazione di questa vita veramente cristiana)
TOMMASO D’AQUINO
D’Onofrio: posizione di Tommaso si può misurare in relazione alla domanda circa che cosa
sia la verità, e se equivalga sempre e solo alla conoscenza di Dio (l’anima in relazione a
certi aspetti coglie la verità senza necessitare del lume divino)
92
il vero è sempre in relazione a qualcosa, consiste in una adaequatio rei et intellectus
(l’essere è nella cosa in modo tale da poter essere riconosciuto dall’intelletto), nessuna res è
in sè falsa
anche la teologia è vera se consente all’uomo di vedere con l’intelletto la cosa che è oggetto
della sue affermazioni
1) Magister in sacra pagina
il suo impianto teorico nasce dall’assimilazione dell’aristotelismo, che però è un aristotelismo
estremamente rigoroso, è l’autore che lo conosce meglio (dice che il Liber de causis non è di
Aristotele)
è convinto che al suo tempo non si possa essere filosofi autorevoli e autentici se non si è
assimilato l’aristotelismo
non si accontenta delle traduzioni latine, cerca sempre la più aggiornata
solo la continua ricerca di un miglior testo aristotelico permette alla filosofia di stare al passo
con i tempi:
percepito dai contemporanei come novus, originale nel senso di stravagante, non ha
accezione positiva
scrive molto bene, è chiaro e limpido, su molti temi non ha cambiato idea lungo il corso del
suo pensiero; questo lo rende anche facile da citare
per alcuni rappresenta il culmine dell'aristotelismo medievale
è stato un pensiero che ha suscitato enormi discussioni:
tre anni dopo la sua morte tre sue proposizioni sono oggetto di condanna dottrinale; il suo
non retrocedere di fronte alle difficoltà che l’aristotelismo poteva suscitare nella dottrina
cristiana ha creato problemi
i francescani accusano errori, inizia letteratura dei Correctoria, poi dei Corruptorium
correctoria (correzioni delle correzioni dai domenicani)
Nasce nel 1224/25 nel Lazio meridionale, a Roccasecca, presso una famiglia di conti, morto
per motivi di salute il 7 marzo 1274 all’abbazia di Fossanova
studia a Montecassino da oblato, ovvero da ragazzo proveniente da fuori
a 14 anni studia all'università di Napoli, inizia a leggere libri naturali
vuole diventare frate domenicano, i genitori non erano d’accordo, dopo essere stato riportato
a casa a forza, lì legge la Bibbia e le Sentenze
nel 1245 entra nel convento domenicano di Napoli, ma subito viene spedito a Parigi nello
studium domenicano (con il crescere delle istituzioni universitarie e dei vari ordini religiosi,
essi danno vita a scuole interne all’ordine, ovvero gli studia, che ricalcano l'ordinamento
universitario e si mettono anche in concorrenza con università della città): i domenicani
avevano percepito la sua intelligenza
gli viene consentito di studiare per tre anni le arti sia all'università sia a Saint-Jacques,
trattato come ragazzo prodigio a cui viene concessa l'abbreviazione degli studi
tra il 1248 e il 1252 ascolta Alberto Magno, lo segue anche a Colonia, inizia a redigere una
Tabula sull’Etica di Aristotele, ovvero un resoconto dei termini e delle parole importanti
i biografi dicono che un giorno a lezione Tommaso aveva posto una domanda penetrante e
Alberto aveva detto agli studenti: voi lo deridete e chiamate bue muto, ma presto il suo
muggito risuonerà ovunque
comincia a scrivere dei commenti e postille alla Bibbia (Geremia, Lamentazioni) di cui
abbiamo ancora gli autografi, i domenicani sono riusciti a salvare alcune opere autografe
la natura essenziale di tali annotazioni indica che forse si tratta di appunti per le lezioni
93
quando invece nel 1256-57 diventa maestro, allora commenta la Bibbia più analiticamente,
tra cui il commento sul libro di Giobbe, che tratta il problema del male del mondo: Giobbe è il
giusto ingiustamente punito da Dio
commento ai Salmi, a Matteo, a Giovanni, alle Epistole paoline, una glossa continua sui
Vangeli (in cui propone selezione di brani dei Padri e di autori greci e latini, nota come
Catena aurea)
fin da questi primi lavori si mostra attento all’esegesi letterale (una solida conoscenza della
Scrittura è alla base della sua produzione, la lectio biblica è il fondamento della speculazione
teologica)
da subito si radica in un testo, tralasciando letture allegoriche e possibili sovrasensi:
il senso letterale è quello fondamentale, la Scrittura illumina l’intelligenza e orienta l’uomo
ma va letta per quella che è
nel Prologo del commento ai Salmi c’è l’applicazione dello schema aristotelico delle quattro
cause alla Scrittura: la materia della Scrittura è l’opera di salvezza di Cristo che viene
raccontata e poi trascritta, la causa efficiente è Dio, che ha ispirato la Bibbia, la causa finale
è l’elevazione dell’anima a Dio e la forma è quello che fa la differenza tra la Rivelazione e il
discorso teologico (la scrittura ha molti modi, esortativo, deprecativo ecc, mentre la scienza
teologica deve assumere un modo argomentativo)
ha già forte personalità
nel 1252 il padre generale dei domenicani chiede ad Alberto Magno se ha uno studente che
possa essere nominato baccelliere sentenziario a Parigi, egli nomina Tommaso, che però
all’epoca era troppo giovane ma la sua brillantezza supera le regole: inizia rapidamente la
carriera parigina, nel 1256 diventa maestro in sacra pagina, l’insegnamento rimane un
aspetto fondamentale
2) Sancti e philosophi
dal 1252 al 1256 per obblighi didattici scrive il Commento alle Sentenze: in esso già
compaiono molti elementi del suo pensiero, esplicita i fondamenti che poi non rivede ma
sviluppa (è anche vero che è morto solo 18 anni dopo)
colpisce la sistematicità e l’organicità della trattazione, e anche l’uso ampio di citazioni
filosofiche, cita Aristotele il doppio rispetto ad Agostino
cita anche i filosofi contemporanei, non per nome (scrive “quidam”), ma riusciamo a
ricostruire i riferimenti
reticolo di cultura e di sapere antico e nuovo, dialogo produttivo tra dottrina cristiana e
filosofia greca ed arabo-ebraica
organicità si radica nella ricostruzione che fa del senso globale che attribuisce alle sentenze
diviso in quattro libri: Dio, creazione, redenzione, sacramenti
per lui importante la connessione tra produzione trinitaria e opera redentrice e creatrice
divina: creazione delle creature come effetto generazione del Verbo, ritorno delle creature
come esito della processione dello Spirito
possiamo rileggere questa struttura alla luce dell’organizzazione neoplatonica: da principio
primo c’è discesa-creazione- e poi risalita con la redenzione e i sacramenti
sovrapposizione di dinamica di discensio e reditus ai quattro libri: conosce bene Avicenna,
per lui rimane una fonte importantissima
ampiezza di fonti filosofiche che va al di là anche del mondo latino
la ricerca della verità teologica non può prescindere dall’uso massiccio della filosofia, e da
una visione di essa come pensiero organico
i philosophi sono dunque una fonte legittimata di pensiero accanto ai sancti
94
la filosofia ha una dignità di ricerca, e l’appropriazione di essa da parte della teologia non
deve ridursi ad un semplice uso episodico: questo perché la verità è organica, unitaria
nuova fondazione della metafisica: verità ricercate con la sola ragione naturale ma radicate
nell’accordo con l’altra verità; amando la verità la si cerca ovunque, ma bisogna accogliere
solo le manifestazioni oggettive ed universali
per essere autenticamente teologo, Tommaso pensa sia necessario essere autenticamente
metafisico
si contrappone a Bonaventura
95
nell'essenza delle sostanze composte quindi deve esserci un riferimento non solo alla
materia intesa come principio metafisico di indeterminazione ma anche alla materia
determinata nella quantità
questo fa sì che l’essenza di Socrate sia essenza di qualcosa che è in atto
le sostanze semplici sono costituite soltanto da forma:
punto che non muoverà più, ovvero la critica all’ilemorfismo universale di Avicebron, non ha
senso pensare ad una materia spirituale
se le intelligenze separate (e anche l’anima) avessero una componente materiale, esse
sarebbero incapaci di cogliere l’universale-il connotato fondamentale nonchè il loro modo di
essere è la capacità intellettiva, che non può essere affetta da materia (come noi possiamo
coglierlo solo in seconda battuta, lo stesso accadrebbe a loro)
questo è un punto che vedrà sempre in contraddizione i domenicani con i francescani
sorge però un problema: sono semplici le intelligenze, ma è privo di materia e semplice
anche Dio, quindi escludere la presenza di materia spirituale ci impedisce di porre una
differenza tra esse e Dio, ma nel creazionismo cristiano le sostanze semplici non sono Dio,
sono sue creature (per Aristotele il problema non si dava, il MI è un'intelligenza,
sovraordinata rispetto alle altre)
sforzo di non contraddire la rivelazione ma nemmeno adottare una soluzione come quella di
Bonaventura
sostanze semplici sono tali rispetto alla materia, ma non in assoluto: l’unica assolutamente
semplice è quella di Dio
esse presentano una composizione, ovvero quella di essenza e di essere:
intelligenze angeliche ricevono comunque il loro essere (il fatto di esistere) da Dio e anche la
loro essenza è frutto di una creazione divina, mentre Dio ha il proprio essere per essenza,
non c’è una distinzione (è essere che realizza tutta la sua essenza in atto)
esse sono ciò che sono, hanno un’essenza, ed esistono, quindi hanno un essere effettivo:
queste due dimensioni sono distinte e date da Dio
lo stesso vale per l’anima, composta di essentia ed esse, che però, a differenza delle
intelligenze è individuata perché il suo atto di essere è predisposto a realizzare l’essenza
solo in unione con un corpo individuale (unione di anima e corpo individua non l’anima, ma
l’uomo)
ma se il principio di individuazione è la materia signata quantitate, com’è che possiamo
individuare gli angeli e distinguerli tra di loro? le intelligenze angeliche non si distinguono
come individui, ma come specie: ogni intelligenza angelica fa specie a sè, ogni specie di
angelo comprende uno e un solo individuo:
si determinano varie specie di intelligenze angeliche, che non sono individui perché non
hanno una materia che le determini
come far quadrare questo con la dottrina della Chiesa che venera i santi? dopo la sua morte
è un tema molto dibattuto
la dottrina di Tommaso vuole conciliare Aristotele con il cristianesimo, ma non fa quadrare il
cristianesimo con sè stesso, se non a patto di operare una sofisticazione concettuale
notevolissima
un altro problema di Tommaso riguarda l’anima umana: è una sostanza semplice, nel senso
di essere priva di materia, però si unisce ad un corpo
si limita a dire che l’individuazione dell’anima sta nella sua predisposizione ad andare ad
informare un determinato corpo
quando approfondisce il discorso psicologico, il mancato riconoscimento di un principio di
determinazione costituito dalla materia per quanto riguarda l’anima porta a complicanze
96
quindi l’essenza si dà di ogni ente, e ci sono sostanze semplici e composte
oltre alle sostanze nella realtà esistono anche gli accidenti:
anche l’accidente si definisce e deve avere dunque un’essenza
siccome l’accidente non si dà mai se non in unione con una sostanza, anche la sua essenza
deve comprendere un riferimento alla sostanza a cui esso inerisce
non ha un’essenza completa, ma incompleta, perché deve riferirsi a quella della sostanza,
che ne è il fondamento ontologico
composizione di sostanza e accidente come attualizzazioni diverse dell’essenza (possibilità
di essere) nell’esistenza (atto di essere), l’una compiuta e pienamente definibile- la
sostanza- l’altra imperfetta- l’accidente
due anni dopo, 1261, è ad Orvieto, in cui i domenicani avevano istituito uno studium (papa
urbano IV aveva posto temporaneamente lì la curia)
lì inizia a scrivere la Summa contra gentiles: sono i pagani, lo scopo è in linea di principio
apologetico, che di fatto scompare un po’ nella trama dell’opera
convincere chi appartiene ad altre confessioni religiose e consolidare chi già è cristiano (già
nel commento al De trinitate boeziano)
è costruita in modo da mostrare filosoficamente la necessità del dato rivelato
bisogna mostrare come la rivelazione sia necessaria secondo un ideale di sapere che è
quello aristotelico
97
nella teologia la filosofia è importantissima e si può usare in tre modi:
- può mostrare i preambula fidei (anticipazioni della fede), ovvero la razionalità di
nozioni preliminari della teologia, ad esempio l’esistenza di Dio, che secondo lui si
può dare con le ragioni naturali (è un preambulum fidei, per credere in Dio prima
dobbiamo sapere che esiste, e lo dobbiamo sapere con ragionamenti di ordine
metafisico e di stampo aristotelico, perché quello è l’ideale di scientificità) questi
preambula sono il terreno sicuro su cui costruire la teologia
- può rendere note con similitudini le verità di fede, ad esempio le analogie trinitarie
che Agostino fa nel suo De trinitate, usare immagini analizzabili razionalmente
- mostrare che è falso ciò che viene detto contro la fede
che quadro emerge? ambito di ciò che è proprio della fede è distinto da quello della filosofia
la metafisica è la base su cui la teologia si può e deve costruire
la filosofia acquisisce una dignità ed un valore prima sconosciuti, è il modello a cui la
teologia si deve conformare, innanzitutto nel mostrare il corretto metodo di argomentazione
d’altronde essa è più limitata della teologia, che rimane sovraordinata
le conoscenze sensibili sono preamboli a quelle intelligibile, come la natura lo è alla grazia
perché la precede come condizione necessaria ma non sufficiente
le verità teologiche conoscibili con la filosofia sono precorritrici rispetto alla fede, e quindi
condivisibili da ogni intelletto umano, al di là del credo religioso
la grazia (sapere rivelato) non elimina la natura (sapere naturale), ma la perfeziona: è nella
teologia che la metafisica viene portata ai suoi esiti più alti
l’avvio dato dalla filosofia rende conto delle autentiche finalità della teologia, dato che la
perfezione non può compiersi se non su una imperfezione di partenza
la metafisica ha l’obbligo di dimostrare l’esistenza di Dio perché c’è la Rivelazione che dice
cosa bisogna cercare, ma è la filosofia che dice alla teologia come il risultato vada
argomentato
solo nel loro connubio la filosofia e la teologia danno il meglio di sè: solo con la teologia la
filosofia sa qual è l’altissimo compito che le spetta, e solo con la filosofia la teologia sa qual
è il rigorosissimo metodo che deve seguire
punto di equilibrio straordinario nello scambio di importanza
il sapiens nominato nelle prime pagine dell’opera è colui che indaga le cause prime della
verità, quindi il metafisico ed il teologo, ma anche il cristiano
la verità delle cose divine è duplice (non in sè, cioè ex parte Dei) nel modo in cui gli uomini
possono recepirla- ex parte cognitionis nostrae: c’è la verità dimostrata razionalmente e
quella a cui si giunge solo con la fede
nell’ultimo libro dell’opera la ragione cede il posto alla fede (per affrontare i misteri della
Rivelazione)
teologia che nasce dal miglior uso della filosofia è l’attività più perfetta, più sublime, più utile,
più gioconda
98
per Tommaso l’analogia è una modalità di darsi dell’essere che si rifà a distinzione
aristotelica: ci sono termini univoci o sinonimi, che vogliono dire la stessa cosa; ci sono
termini equivoci, ovvero lo stesso termine vuole dire cose totalmente diverse
A. fa esempio del cane: è un animale ma è anche una costellazione
nel mezzo ci sono i termini analoghi, che come dice Aristotele hanno significazioni
parzialmente diverse ma che si riconducono ad unità-predico di cose distinte uno stesso
nome per motivi diversi ma riconducibili ad un fine semantico comune (fa l’esempio con
“sano”: è sano un cibo, è sana l’urina ed è sano un individuo: sono sani in modi diversi ma si
può ricondurre ad una stessa cosa: è sano ciò che genera salute)
Tommaso riprende la distinzione in ambito ontologico, legandola alla distinzione tra
sostanze semplici e composte
l’essere di Dio, l’essere delle sostanze semplici ma create e l’essere delle sostanze
composte, è essere non esattamente nello stesso senso: sono in un senso analogo,
parzialmente sovrapponibile e parzialmente differente
una delle grandi critiche che Duns Scoto muove a Tommaso
tutto il discorso sull’analogia tra denominazione divina e creaturale è uno strumento potente
dal punto di vista argomentativo: consente di usare termini per parlare di Dio in modo più
agevole
99
il carattere formale dipende dalla sua natura intellettiva, non dalla sua capacità di formare un
corpo (che non è causa ma conseguenza del suo essere forma)
perché ha bisogno di unirsi ad un corpo? proprio per il problema dell’individuazione
gli angeli non possono essere individuati, ma le anime sono anime individuali se si devono
salvare: e come possono essere individuali se non si uniscono ad una materia signate
quantitate?
non c’è un intelletto unico e separato per tutti, l’anima è separata e ha una funzione
intellettiva che prescinde dal corpo, ma si individua solo con le determinazioni materiali
poichè la conoscenza intellettuale è ciò che rende l’uomo uomo, se il principio intellettuale
fosse comune a tutti allora ci sarebbe un solo uomo
se l’uomo è individuo per il corpo, allora il principio deve risiedere in ogni individuo
la sua spiegazione sofisticata richiede la certezza che Aristotele sia lo standard migliore e
insuperabile a cui confermarsi
un’altra istanza molto forte (presente anche nell’io penso di Kant, quando parla di
appercezione trascendentale: io mi sento non come un pensiero al quale capita di usare un
corpo, ma come un individuo in cui funzione intellettiva e somatica fanno un tutt’uno):
unità del composto individuale umano
da un lato bisogna salvare la funzione intellettuale dell’anima, rendendola simile alle
intelligenze angeliche, ma anche il fatto che gli individui sono unici, coesi e unitari
lo si fa dicendo quello che aveva detto Aristotele: l’anima è l’unica forma sostanziale del
composto umano, ovvero non c’è un corpo che ha una forma a cui si aggiunge l’anima, che
è a sua volta una forma (questo viene detto dalla scuola francescana)
pensando diverse forme inerenti ad un’unica materia si cadrebbe il una contraddittoria
moltiplicazione di individualità in una sola sostanza individuale
le diverse facoltà dell’anima sono potenze di un’unica forma
per Aristotele la funzione intellettiva era corporea, ma per entrambi l’anima è unitaria nello
svolgere funzioni diverse (anima intellettiva comprende in sè quella vegetativa e sensitiva)
l’anima è tutta insieme tutta la forma di cui ha bisogno il corpo per avere un intelletto che
costituisce l’individuo
l’unione di anima e corpo avviene nel momento stesso del concepimento nel ventre materno
avendo esaltato l’immaterialità dell’anima, è difficile capire come possa fare un’unità con il
corpo
in un’impostazione del genere è chiaro che l’anima risorge, ma per un cristiano anche il
corpo deve risorgere
più innalziamo l’anima verso le sostanze angeliche, più ci è difficile spiegare che deve
risorgere anche il corpo
tensione tra istanza che porta l'anima a essere separata e istanza che deve dare al corpo
dignità per risorgere (la linea che dice che l’anima arriva in un corpo che ha la propria forma
semplifica in questo caso la questione)
l’immortalità dell’anima individuale è spiegabile partendo dalla capacità dell’intelligenza di
conoscere le forme astratte indipendentemente dalla rappresentazione corporea (quando si
separa dal corpo continua a conoscere traendo direttamente le species dal mondo
intelligibile)
ma dato che la perfezione dell’anima comprende anche la capacità di formare il corpo, allora
la separazione di anima e corpo è una condizione innaturale e non definitiva: antropologia
tomista raggiunge il vertice della coniugabilità di fede e ragione, dimostrando razionalmente
la necessità della resurrezione del corpo
100
altra cosa importante: non c’è atto di volontà che non sia preceduto da un atto di
conoscenza
la volontà non è subordinata all’intelligenza, deve agire in modo conforme ad essa:
intelletto indica all’anima che cosa è bene, la volontà sceglie liberamente (può anche
scegliere qualcosa che l’intelletto non suggerisce)
la volontà è buona se nella sua libertà si conforma a quello che dice l’intelletto
non è un intellettualismo deterministico perché, anche se è l’intelletto l’ultima istanza per
valutare ciò che è bene, la volontà rimane libera (sarebbe assolutamente determinata nella
scelta solo se l’intelletto fosse in grado di presentarle il Sommo bene: nella vita eterna si
contempla oggetto perfettamente buono, che non si può non desiderare)
101
Corbini sottolinea due aspetti importanti:
- argomentazioni a posteriori: partono da constatazione di ordine, finalità, movimento
nel mondo e risalgono alla causa di dati di realtà a partire dal postulato aristotelico
per cui non può esistere l’infinito in atto (infinito in potenza sono i numeri), quindi non
infinite cause attuali ma deve esserci una prima causa
- le 5 vie non hanno l’obiettivo di convincere: sono preambula fidei, non è con il
ragionamento che noi arriviamo a credere, lui mostra che pensare all’esistenza di Dio
per un'intelligenza informata dalla fede (la grazia) e costruita in modo aristotelico
(natura), non è contraddittorio
con la ragione mostra che è lecito pensare che Dio esiste, poi la fede non è un preambolo
Prima via: manifestior, la più evidente: via del motus
ogni cosa che si muove non può muoversi da sè, ma da qualcosa che è in atto (nulla,
riguardo a uno stesso divenire, può essere sia mosso che motore): serve un primo motore in
atto e mai in potenza
Seconda via: dalla ratio della causa efficiente
nessuna cosa può essere causa efficiente per sè stessa, altrimenti sarebbe anteriore a sè
stessa (impossibile): serve una causa efficiente prima- no infinito altrimenti non ci sarebbe
nè causa media nè causa ultima congiunta all’effetto
Terza via: dal possibile e dal necessario
se tutte le cose fossero possibili, allora ci può essere momento in cui non c’è nulla, ma
l’essere non nasce dal nulla, c’è qualcosa di necessario: deve essere necessario per sè e
non grazie ad altro (sennò regresso all’infinito), causa di necessità e possibilità di tutto il
resto
Quarta via: dai gradi delle cose
più e meno implicano un grado massimo
ciò che è massimo è causa dell’appartenere a un tale genere delle cose che vi
appartengono: l’ente massimo è causa dell’essere, come di ogni altra perfezione delle cose
Quinta via: dal governo delle cose
ogni cosa agisce in vista di un fine, nulla di casuale nell’universo, cose senza conoscenza
tendono ad un fine solo perché qualcuno intelligente le orienta a ciò
Dio primo è una potenza assoluta, motrice, ordinatrice di tutta la realtà
è sommamente semplice, è sempre
il presupposto è sempre che ogni discorso su Dio è di tipo analogico
nessun concetto formabile da ciò che è visibile può pretendere di esprimere in modo
esauriente ciò che è invisibile
si giunge alla cosiddetta “teologia dell’Esodo” tommasiana, in relazione al nome che si
attribuisce Dio stesso: “ego sum qui sum”
un essere puramente in atto non è una realizzazione di un’essenza distinta dall’essere, di
una divinità diversa dall’essere Dio: è un assoluto est
Qui est è il massimo nome di Dio:
- per il significato: indica l’essere stesso, e l’essere di Dio è la sua stessa essenza
- per la sua universalità: tutto ciò che è in Dio è in questo nome, gli altri nomi
aggiungono qualcosa rispetto al puro significato di Dio, delle determinazioni (è anche
commune, ovvero tra il nome e Dio non c’è alcuna differenza)
- esprime anche l’essere nel presente, e Dio non conosce nè passato nè futuro
102
è possibile una scienza del credibile? la sacra doctrina possiede le qualità che
caratterizzano un sapere scientifico?
già dal commento al De trinitate: la teologia è una scienza nella misura in cui si adegua ai
requisiti che Aristotele pone come propri di una scienza negli Analitici Secondi:
un sapere è scientifico se concerne verità universali, se può fondarsi su principi
immediatamente evidenti, e da questi costruisce i sillogismi apodittici
la teologia non ha principi immediatamente evidenti e per sè noti
nel suo indicare l’aristotelismo come modello supremo di sapere certo ha un problema
(per Alberto ha statuto scientifico, per Bonaventura è scienza affettiva)
sotto la prospettiva della scienza teologica, gli articoli di fede sono principi primi: la fede
produce proposizioni per sè note, anche se sono rese tali non da un’evidenza intrinseca
indotta dall’intelletto agente ma da un’evidenza estrinseca indotta dal lume divino
Aristotele parla di scienze subalternate o subalternate
teoria della subalternazione: subalterne sono le proposizioni che hanno il principio della
propria veridicità in proposizioni ad esse superiori
scienza in senso proprio è l’aritmetica, perfettamente deduttiva, si basa su principi evidenti e
certi
la musica no: si basa sui principi dell’aritmetica per applicarli ai suoni, posso dire che è certa
perché utilizza i principi evidenti dell’altra scienza, ma subordinata perché la sua certezza è
di secondo grado
ciò consente a Tommaso di dare una risposta al problema: la teologia può essere scientifica
non perché ha in sè dei principi evidenti, ma perché si riferisce a principi resi noti dalla luce
di una scienza superiore, che sono evidenti in un altro ambito del sapere, ovvero la scienza
che di Dio hanno gli angeli e i santi (che si trasmette agli uomini con la Rivelazione)
certezza di secondo grado ma in ogni caso affidabile
i non credenti rispetto al sapere teologico sono come gli ignoranti rispetto alle altre forme di
sapere
quello della teologia è un metodo artificialis, ossia adatto alla sua materia, ha procedimenti
peculiari, come le stratificazioni dei sensi scritturali
altra peculiarità: sembra trattare delle verità singolari, e sarebbe quindi in contrasto con la
scientificità che prevede un focus sull’universale: ma i dati singolari di cui tratta non sono
considerati in quanto tali, bensì come dati esemplari (gli esempi hanno valore universale)
è una scienza pratica, perché influisce sull’orientamento etico dell’uomo; ma è anche
speculativa, interessata alle realtà divine
è pratica e teoretica insieme, senza che ne venga compromessa l'unità, garantita tra l’altro
dal fatto che sia la sola a fondarsi sulla Rivelazione e ad avere come oggetto proprio tutto
ciò che è fondato sulla Rivelazione
di nuovo chiara la distinzione tra teologia cristiana e filosofica: hanno lo stesso subiectum,
ovvero Dio, ma si differenziano per la ratio formalis del rispettivo obiectum, ovvero i risultati
a cui pervengono di fatto nel corso della ricerca
il corpus delle dottrine elaborate dai teologi cristiani si può considerare l’obiectum della
teologia, progressive acquisizioni che non si esauriscono mai
la teologia mentre apprezza i propri traguardi riconosce i propri limiti, mentre percepisce
l’infinità del suo compito, ne ammette l’inesauribilità
deve essere disposta ad accettare le alterazioni delle leggi di natura: non deve dire come
possa accadere il miracolo, ma cosa accade (esempio con transustanziazione)
103
la teologia nel confronto con la filosofia trova i criteri adatti per essere riconosciuta una
scienza; la filosofia nel confronto con la teologia vede chiariti i propri diritti, ma anche i propri
limiti di fronte ad una realtà superiore che non può essere fissata in modo definitorio
104
Tommaso: nelle sostanze semplici c’è composizione di essenza e di essere, è una
distinzione reale, cioè davvero per le sostanze spirituali un conto è esistere, un conto è
avere la natura che hanno (non è solo un nostro modo di vedere tali enti): lui la intendeva
come la distinzione tra due atti dell’agire divino che convergevano nel creare una singola
creatura, ma è invece intesa come quella tra due res all’interno di ogni sostanza semplice
anche Enrico interpreta Tommaso in questo modo e lo critica
intende la sua distinzione, troppo influenzata da Avicenna, come giustapposizione di due
res, una necessaria in sè, l’essenza, e l’altra possibile e derivata dall’essenza
se l’essenza è necessaria, Dio, che è somma essenza, allora è somma necessità, dunque il
mondo si ricondurrebbe ad un’assoluta necessità che si emana da Dio, e che priverebbe Dio
stesso di libertà nell’atto creativo
Tommaso cadrebbe dunque nel necessitarismo deterministico, che compromette sia la
libertà divina, sia la realtà delle res finite come tali, che hanno invece una loro dignità
ontologica
[porterebbe il mondo ad essere necessario: l’esistenza sarebbe possibile, l’essenza sarebbe
necessaria (in questa interpretazione di Enrico c’è l’esatto capovolgimento di quello che
aveva detto Avicenna, per il quale l’esistenza era necessaria e l'essenza possibile)]
al massimo si deve porre una distinzione intenzionale, ovvero concettuale: noi nel
pensiero possiamo distinguere due modi di essere, entrambi pieni ed autentici: l'essere di
Dio, che è in quanto è l’essere in sè, e l'essere delle creature, che è ciò che è in quanto Dio
ritiene giusto e conveniente che sia
le creature sono limitate ma in quanto creature il loro essere è pieno, sono ciò che Dio ha
voluto che quella creatura fosse: quindi non c’è l’essere necessario in Dio da cui derivano
esseri contingenti
la distinzione è posta dalla nostra mente
come cogliamo l’idea di Dio? è l’idea di qualcosa che esiste per il solo fatto di essere (deriva
da Anselmo)
la creatura invece è ciò cui l’essere conviene, è donato da Dio
l’essere non è univoco, aveva ragione Tommaso a distinguere diversi livelli di essere (in sè
di Dio, e quello dato a creature nel modo in cui a loro conviene):
le creature sono in virtù del creatore ma ciò non vuol dire che abbiano una composizione
reale, come, secondo Enrico, Tommaso avrebbe voluto dire
Dio infatti crea un ente indiviso, autonomo e distinto da tutto il resto per una “doppia
negazione” (di ogni differenza in sè stesso e di ogni identità con altro)
anche nella mente divina essenza ed esistenza sono due intentiones distinte (ammettere
esemplarismo vuol dire ammettere che Dio prima pensa all’essenza, poi porta ad atto
l’esistenza)
ridurre la distinzione di Tommaso a un modo di considerare l’atto creativo di Dio che dà
luogo a creatura indivisa e ad un suo essere derivato, ma non per questo incompiuto e
imperfetto
105
per certi versi è vero che il nostro pensiero richiede la presenza di una verità superiore per
cogliere la verità, ma non si tratta della dottrina dell’illuminazione che, originata da Agostino
e ripresa da Bonaventura, era diventata tipica della corrente francescana
è una capacità veritativa che Dio pone nella nostra facoltà conoscitiva, un orientamento a
priori che c’è nel nostro sapere, orientato appunto al vero e dunque al bene nell’agire (ciò è
concesso da Dio perché egli vuole il bene dell’uomo)
quindi non si riduce il sapere ai sensi e alla concretezza delle sostanze prime, ma nemmeno
si postula un’illuminazione divina di ogni nostro singolo atto conoscitivo
questa dottrina assicura la convergenza della nozione relativa alla cosa esistente,
proveniente dai sensi, e della nozione della sua essenza, proveniente da Dio: in altre parole
la coerenza tra le verità proposte dalle scienze e la legge eterna degli universali divini
Egidio Romano
nato nel 1243/47 e morto nel 1316
è autore prolifico e importante nella comunità universitaria parigina, da cui ad un certo punto
viene anche allontanato
molto noto all’epoca
106
da giovane entra nell’ordine degli Agostiniani, a due anni dalla sua fondazione, poi si reca a
Parigi e diventa il primo maestro di teologia dell’Ordine
alcuni interpretano il suo pensiero o come molto dipendente da Tommaso, o come in netta
contrapposizione con esso:
non tengono conto della originalità del suo pensiero
progetto culturale di Egidio: ritornare ad Agostino
bisogna moderare gli eccessi dell’aristotelismo a lui contemporaneo recuperando delle
istanze agostiniane, ma rese solide dall’apporto della ragione filosofica
innanzitutto bisogna tornare all’originaria convergenza di credere e pensare, l’aristotelismo
ha divaricato questi due ambiti, ma senza rinchiudersi nell’aspetto spirituale della teologia
per evitare di affrontare problemi filosofici rilevanti
la sua filosofia è un crocevia di:
- aristotelismo del suo tempo
- agostinismo
- neoplatonismo di Proclo con l’Elementatio theologica e del Liber de causis
107
metafisica e teologia hanno per oggetto Dio (per la prima come causa universale, per la
senda come principio di salvezza e restaurazione dell’umanità), ma nessuna lo può
conoscere a pieno
la teologia non può avere come oggetto Dio, se egli è inconoscibile (mette in crisi tutto
l’impianto aristotelico della teologia secondo Tommaso)
anche i beati non possono cogliere la perfezione divina in tutti i suoi aspetti, a maggior
ragione non può farlo la conoscenza teologica
Dio è il fine irraggiungibile di un impulso di conoscenza e del desiderio della nostra anima
la teologia guida tale impulso:
è una disciplina affettiva, ovvero il suo scopo è un pensiero (parte speculativa) che
produce un’azione, entrambi orientati alla dilectio, all’amore di Dio
questo colloca la teologia ad un livello superiore rispetto alle altre scienze
anche se con l’intelletto possiamo cogliere Dio solo con le nostre possibilità, con l’amore alla
fine possiamo unirci a lui come pienamente
a) Il dibattito e le condanne
dalla seconda metà del 1260 si moltiplicano gli interventi polemici contro i maestri delle arti
parigini che promuovevano teorie incompatibili con la Rivelazione
prime segnalazioni con lezioni sull’Etica Nicomachea con Alberto Magno nel 1250, poi
sempre con lui nel De unitate intellectus, fino a Tommaso e Bonaventura
il De unitate intellectus tommassiano forse aveva di mira le Quaestiones sul terzo libro del
de anima di Sigieri di Brabante (all’Università di Parigi sotto la nazione piccarda)
il vescovo di Parigi Stefano di Tampier, già maestro di teologia, nel 1270 condanna 13
proposizioni, ovvero ne proibisce l’insegnamento, chi lo fa è scomunicato perché insegna un
errore
queste 13 tesi sono organizzate in tre punti fondamentali:
- unicità dell’intelletto possibile per tutta la specie umana
- eternità del mondo
- possibilità di conseguire la perfetta felicità nella vita terrena (problema perché
esclude che dopo ci sia la beatitudine)
sono tesi di evidente matrice aristotelica
la prima è la dottrina che Alberto Magno attribuisce ad Averroè, per questo è diventato
tradizionale identificare gli autori che professano queste tesi come averroisti latini
la condanna risponde all’esigenza di porre un freno sia all'espansione delle prerogative della
filosofia, sia ai teologi che erano troppo concilianti (in più anche a risolvere altre questioni
aperte da tempo riguardanti la vita universitaria e l’autonomia dei docenti)
nel 1271 Sigieri è coinvolto in un tumulto: la nazione normanna lo propone come candidato
al posto dell’eletto Rettore Alberico di Reims: mostra volontà degli artistae di avere
autonomia
1272-73 Sigieri pubblica De anima intellectiva, modera le proprie posizioni
1276 proibite le lezioni in luoghi privati
le condanne sono ripetute da Stefano, su invito del papa Giovanni XXI, nel 1277 ma le tesi
condannate sono 219:
questo numero ci dice che il primo divieto era inefficace, e che la proliferazione di dottrine
considerate eterodosse era enorme; movimento di pensiero a Parigi che unisce Tommaso
108
con istanze aristoteliche del tempo pareva pericoloso (Stefano vuole che gli artisti
ricomincino a fare gli insegnanti di logica, ma ormai non si poteva più tornare a tale
situazione)
Stefano aveva istituito una commissione di 16 teologi (tra cui anche Enrico di Gand, non
sono necessariamente dei conservatori, ma dei teologi che vedevano nell’esasperazione
dell’aristotelismo una minaccia per teologia) che raccolgiessele le cedule, ovvero delle
schedine: le dottrine sbagliare o sospette erano state annotate e consegnate al vescovo, poi
trascritte in modo molto frettoloso, in un inventario disorganico privo di ordine interno
la condanna dichiarava come l’errore maggiore fosse quello di chi affermava la verità delle
dottrine secondo la filosofia, e la falsità secondo la fede, come se potessero esserci due
verità contraddittorie
la maggior parte delle tesi condannate si rifanno all’averroismo, altre esplicitamente anti
teologiche, altre aristoteliche (Dio non può fare più mondi), altre contrarie alla stessa
razionalità filosofica (più motori primi)
109
l’anima è forma del corpo, ma il livello più alto che può raggiungere è quello della facoltà
vegetativa-sensitiva: l’anima intellettiva è l’ultima intelligenza separata e comprende intelletto
attivo e passivo
ammette poi che funzione intellettiva sia personale e individuale
Boezio di Dacia, esponente della corrente dei modistae, i grammatici speculativi (studiano
relazione tra leggi della metafisica e leggi della logica), in alcuni opuscoli teologici ci sono
elementi che finiscono nella condanna
Sigieri dice esplicitamente di non essere in contrasto con la teologia cristiana: nella
questione sull’eternità del mondo, e anche nel De anima intellectiva, dice che si spinge fino
a dove arriva l’indagine razionale, procedendo secondo la via dei filosofi, ma il credente
ammette con la fede che il mondo ha avuto un inizio e che le anime intellettive sono tante
quante gli individui
110
per essere in contraddizione, due affermazioni distinte devono appartenere al medesimo
ambito disciplinare:
non c’è una doppia verità, ma il riconoscimento di diversi ordini di verità
c’è una verità simpliciter, che è quella della Rivelazione, ma quando il filosofo ragiona
correttamente non arriva ad una verità contraria a quella della Rivelazione, si situa su un
piano diverso
per il filosofo il mondo è eterno, in esso si dà solo generazione da qualcosa di preesistente;
rispetto al suo oggetto ed alla metodologia questa è una verità, ma non vale in assoluto
perché vi è una verità che supera la natura:questo mostra con più chiarezza come Dio ha
fatto ciò che non siamo in grado di comprendere
è proprio da bravi filosofi che comprendiamo pienamente la grandezza di Dio
“nella fede molte cose non possono essere dimostrare razionalmente, e chi non crede in
esse è un eretico, chi cerca di conoscerle per vie razionali è uno sciocco”
il fedele deve concedere che le cause naturali vengano comprese per quello che sono,
proprio perché le verità della fede sono superiori alla necessità naturale, altrimenti non
dovrebbero essere oggetto del credere ma del scire: ma è evidente che la fede non è
scienza
vediamo come non sia assolutamente un promotore della doppia verità, ma anzi è la più
scaltrita affermazione del solito concordismo del medioevo
non è con gli aristotelici radicali che arriviamo alle verità dissonanti, al massimo si giunge a
verità che si danno in contemporanea
da epistemologia aristotelica il tradizionale concordismo si applica a una tematica infuocata
nell’attualità
tesi storiografica molto forte (anche in testi autorevoli): condanne del 1277 hanno contribuito
alla nascita della rivoluzione scientifica:
per andare contro al necessitarismo si condannano tesi secondo le quali Dio non avrebbe
potuto operare senza l'ausilio delle cause seconde (si insegnava dottrina in cui pareva che
cause seconde fossero necessarie per Dio ma in questo modo egli veniva limitato)
condanne del 1277: Dio può operare senza cause seconde perché è del tutto onnipotente
questo porta a proliferazione di esperimenti mentali:
cosa potrebbe fare Dio? (si pensa pure a come sarebbe mondo se dio non ci fosse)
Luca Bianchi studi importanti: un conto è fare esperimenti mentali, un conto è andare a
mettere in crisi l'aristotelismo: questo non lo fa nessuno, l’impianto tolemaico sottostà a tutte
queste produzioni letterarie un po’ bizzarre
condanne del 1277 non hanno fatto nascere la rivoluzione scientifica, che prima deve
vedere la morte della cosmologia aristotelica
tra l'altro qual era il peso della condanna di un vescovo? ovviamente era moralmente
rilevante, ma di fatto a livello giuridico investiva solamente la singola diocesi a cui era
applicata
qual è la vera posta in gioco delle condanne? la possibilità che si dia un pluralismo delle
verità, in Boezio di Dacia ancora subordinato alla verità assoluta della Rivelazione, altri
autori soluzioni ancora più eversive
RUGGERO BACONE
1214-1292
maestro delle arti a Parigi
111
francescano inglese, vi entra in età matura, simpatizza con la corrente degli spirituali, in
accordo con il carattere riformatore della sua filosofia:
dopo aver criticato radicalmente gli assunti fondamentali del sapere del suo tempo si può
passare a riformarlo
per un periodo ha l’appoggio di papa Clemente IV, nel 1266 lo esorta a comporre l’opera che
doveva essere l’espressione di questo suo progetto, lo Scriptum principale
rimane incompiuto, ne possediamo delle parti (Opus maius, Opus minus, Opus tertium)
entrando con i francescani è deluso dalla teologia scolastica che si trova a studiare, è un
sapere accademico, litigioso e capzioso
confrontando ciò che la conoscenza teologica dovrebbe essere con ciò che è, dà vita alla
famosa denuncia di sette errori capitali commessi dalla teologia del tuo tempo:
1. invasione del metodo aristotelico propugnato dai maestri delle Arti, che snatura la
teologia, affidandole dei problemi e criteri che semplicemente non le devono appartenere
2. la teologia ignora le Scritture e quello che serve a capirle, i teologi non conoscono più
l’ebraico ed il greco, le discipline matematiche e fisiche utili per capire molte cose: come
fanno ad arrivare ad un sapere che sia logicamente funzionante e vero?
3. ignoranza, limitatezza di conoscenze di maestri presuntuosi di teologia, la colpa è dei
grandi maestri (come Alessandro di Hales per i francescani e Alberto Magno da parte
domenicana), che hanno contribuito a snaturare il sapere teologico
4. non conoscendo più bene nè la natura nè la Scrittura, i teologi si limitano a leggere le
Sentenze del Lombardo, e non la bibbia
5. la Bibbia è stata tramandata in modo sbagliato, corrotto, e nessuno interviene perché
nessuno ne ha le competenze per farlo
6. nel leggere una Bibbia corrotta si confondono senso letterale e spirituale, in un’esegesi
sbagliata
7. la teologia è noiosa, non ha eloquenza e capacità espositiva che spieghi perché sarebbe
una disciplina importante
non sono gli unici errori, ci sono anche quelli della filosofia, su cui la teologia pensa di
potersi appoggiare:
1.dando troppo valore ad Aristotele, dà troppo peso all’astrazione, a quelle generalità che
non lasciano spazio alla realtà del particolare, bisogna volgersi al dato sensibile (precorre
esigenza della filosofia di conoscere la realtà su cui operare)
2. supposizione ingiustificata dell’esistenza degli universali di cui non possiamo sapere nulla,
gli esseri creati sono atomi unici e irripetibili, anche se non sviluppa una vera e propria
ontologia, dice che la realtà è composta da singolari
tutto ciò si accompagna a cattive abitudini filosofiche, come i tre principali offendicula
sapientiae (ostacoli per l’acquisizione del vero):
- falso principio di auctoritas, che serve a nascondere l’ignoranza
- comoda regola della traditio, legame troppo stretto con i grandi autori del passato,
che non permette ai filosofi di cercare soluzioni nuove ed alternative, indirizzandoli
invece verso la comodità del richiamo alle fonti autorevoli
- adesione ingenua alla communis opinio
una grande pars destruens, molto agguerrita
il pensiero medievale era arrivato ad un punto in cui effettivamente era difficile cogliere la
reale portata filosofica delle tesi che andasse al di là di una sterile polemica
problema ereditato dalla tradizione deve poter diventare molto meno rilevante solo già dal
fatto che la realtà del nostro modo di pensare smentisce l’importanza del problema stesso
112
(possiamo davvero pensare a intelletto separato unico guardando al nostro modo di
pensare?)
ottica che va alle cose stesse, sa la filosofia non lo fa non serve più
ammirazione per Roberto Grossatesta e quella che lui chiama scientia experimentalis,
ovvero basata sull’osservazione diretta:
il vero sapere deve basarsi sull’esperienza
la novità del concetto baconiano è che la filosofia deve servire ad operare sulla natura, sulla
realtà, per renderla migliore per l’uomo
quali sono le prerogative che la filosofia deve avere per diventare la scienza sperimentale
che ancora non è?
- deve essere intuitiva: partire da contestazione di stati di cose empiricamente
verificabili, non da leggi generali e postulati, dalla intuizione immediata di ciò che ho
davanti
- da qua procedimento induttivo (non deduttivo come quello aristotelico) con cui
arrivare a principi primi validi per tutta la natura
- essere autonoma dalle altre scienze, avendo in sè stessa i fondamenti della propria
verificabilità
il medioevo non recepisce molto questo
questo ideale di filosofia viene rintracciato da Bacone nella Epistola sul magnetismo di un
certo Pietro di Maricourt: è per lui un filosofo ideale, osserva trazione magnetica e scrive un
testo in cui la descrive e la traduce in capacità tecnica
Bacone nell’Epistola de secretis operibus artis profetizza utili strumenti per l'uomo
(immagina di poter costruire delle macchine per rendere il lavoro più leggero, o per viaggiare
negli abissi marini)
la realizzabilità pratica degli effetti della conoscenza è per lui segno della sua attendibilità e
anche il fine che giustifica gli sforzi compiuto per acquisirla: se una conoscenza è vera, ossia
basata sui principi della scientia experimentalis, allora aiuta a migliorare la vita dell’uomo
(avviando anche a salute eterna)
il metodo sperimentale (non nel senso galileiano!) deve appartenere in massimo grado
anche alla teologia, perché essa si deve basare sulla lettura della Scrittura, in ebraico ed in
greco
la teologia deve essere un sapere che spieghi la Scrittura, indichi al credente cosa ha voluto
dire Dio
dunque l’essere scienza sperimentale si applica a tutte le discipline, in quanto significa
partire dal concreto; poi certo con l’indagine naturale serve l’applicazione di strumenti
matematici
a partire dalla matematica si susseguono poi successive elaborazioni disciplinari della
conoscenza, a partire dall’ottica, ancor più degna di interesse per lui che per Grossatesta, in
cui si usano principi matematici per interpretare fenomeni naturali
unico a dare grande rilievo all’alchimia
rimanendo all’interno della distinzione aristotelica la scienza più alta non è la filosofia prima
ma l’etica, che ha un fine pratico, che è quello fondamentale, ci dice come fare per operare il
bene
questo si unisce con il discorso sulla teologia, perché un’etica onesta ci dice che non
possiamo essere felici senza redenzione, senza Dio, solo giungendo a lui abbiamo il culmine
del sapere
Dio ha reso sè stesso alla portata dell’uomo tramite la Rivelazione
113
la conoscenza che Dio ha del vero è la più intuitiva e diretta possibile, e la teologia, che con
la Rivelazione di radica su questa conoscenza divina, è allora la più compiuta forma di
scientia experimentalis
la fede, nella visione più fluida del sapere di Bacone, sostituisce la conoscenza sperimentale
quando questa è impossibile
in fondo ammira Anselmo, la fede come un’esperienza del vero, guardare alla verità rivelata
per coglierne la totalità in un unico atto immediato
è corretto chiamare la teologia sapientia (racchiude natura teologica-rivelata, e matematica,
in quanto esatta e perfettamente informativa del suo oggetto)
storia percorsa dal sapere antico: da Adamo Dio l’ha comunicata solo si Patriarchi, con
Mosè per iscritto, corrotta da filosofi come Ermete, poi rivelata di nuovo a Salomone e di
nuovo snaturata dai filosofi greci, latini e arabi, ed infine rivelazione cristiana
nella scrittura ricompreso tutto lo scibile umano, punto di partenza per la nuova sapienza
umana riformata
visione molto aperta e fluida del sapere legata all’esigenza di un rinnovamento radicale
non è un dismettere il sapere umanistico (la filologia è per lui fondamentale, progetta di
rivedere tutta la vulgata di San Girolamo)
114
- teologia in se, che per noi non ha una realtà effettiva, dato che è il sapere che Dio
ha di sè stesso, tuttavia ne abbiamo bisogno perché è ciò a cui deve tendere la
nostra teologia- la forma più alta di teologia è il sapere che Dio ha di sè
- teologia in nobis, è la conoscenza limitata che di Dio possiamo avere noi
siccome la nostra teologia è limitata, il suo subiectum non può essere la deitas sub ratione
deitatis, ma sarà il concetto finito che il nostro intelletto è in grado di formarsi sull’infinità di
Dio, che massimamente esprime la sua perfezione:tale è il concetto di ens infinitum, ente
infinito
noi possiamo pensare realmente di Dio che egli è inconoscibile in quanto infinito, allora il
concetto di ente infinito è valido per noi, è quello che nella sua limitatezza si avvicina di più
Dio
l’infinità è una modalità di essere che noi riconosciamo come propria in modo esclusivo della
divinità
tutto ciò che la nostra ragione nella teologia relativamente a noi può pensare di Dio deve
essere riconducibile al concetto di infinito:
tutto ciò che va compreso nel concetto dell’infinità deve essere perfetto, perché ogni
determinazione imperfetta comprometterebbe l'infinità di Dio, l’assolutezza del concetto di
ente infinito
allora se pensiamo come subiectum l’ente infinito, e questo come l’ente che contiene tutte le
perfezioni, allora possiamo costruire la teologia per noi, della cui verità siamo sicuri pur
consapevoli della sua limitatezza: esprime delle verità necessarie rispetto al divino
accetta argomento di Anselmo, il movimento ontologico è lo stesso
ma siccome noi non siamo Dio, dobbiamo distinguere le modalità in cui Dio è conoscibile per
noi e per sè
Dio conosce sè stesso in modo intuitivo, immediato e dunque certo
noi invece di Dio possiamo avere una conoscenza indiretta, ovvero astrattiva, che si basa su
ragionamenti fatti su qualcosa che non è immediatamente presente
per il credente la massima estensione della pensabilità dell’essere infinito si è realizzata
nella Sacra Scrittura
che rapporto c’è tra la teologia per noi e la fede? la fede si basa sulla Rivelazione, mentre la
teologia funziona per argomentazioni, dimostrazioni, è necessariamente vera e non può
contraddire il dato rivelato
b) Teologia e filosofia
che rapporto c’è tra la teologia per noi e la filosofia? che per lui diventa tra la teologia per noi
e la metafisica? (unico ambito di cui, per quello che sappiamo, si era occupato)
dice che è una controversia importante (l’opinione diffusa le considera scienze diverse per
condizioni conoscitive ma orientate al medesimo oggetto)
la metafisica indaga l’essere utilizzando i principi fondamentali della logica, immettendo in
esso dei rapporti necessari di causa ed effetto, considerando l’essere come tutto ciò che si
dà, la determinazione più generale di un ordine di realtà considerato come chiuso ed
assoluto
indaga quindi l’essere come suo unico orizzonte di realtà (come se Dio non ci fosse, guarda
a ciò che noi possiamo conoscere)
la teologia considera l’essere naturale come effetto di un essere superiore, sa che questa
origine, e allo stesso tempo fine, dell’essere creato è fuori dal mondo (un fine interno al
creato sarebbe esso stesso finito e rimanderebbe a fini ulteriori):
115
la metafisica considera l’essere come avente in sè il suo fine, la teologia considera l’essere
come avente fuori di sè il suo fine
il teologo deve conoscere la metafisica ma non arrestarsi ad essa, deve considerare il
rapporto con il creatore, sa che può comprendere per davvero lo stesso essere a cui si
rivolge il filosofo ma solo partendo dalla Rivelazione
la teologia per noi presuppone la Rivelazione come punto fondamentale
la Rivelazione è un’apertura che il nostro pensiero ha all’accettazione che tutto quello che
c’è nella realtà creata non è autonomo:
potentia oboedientialis, la capacità che abbiamo di obbedire al fatto che il creato può
essere indagato come se Dio non ci fosse, ma in noi possiamo capire che tale essere c’è
perché Dio l’ha creato
accettazione che c’è un livello superiore di realtà e di sapere
allora la teologia non è una scienza: si può parlare di scienza se c’è un progresso, ma in
teologia non si passa da un’ignoranza ad una conoscenza, bensì si parte da tutto quello che
si sa e lo si analizza; e poi il chiarimento non sempre è di tipo sillogistico e deduttivo
la teologia in nobis non può essere una scienza nel senso degli Analitici secondi, però lo può
essere seguendo l’Etica Nicomachea, della virtù dianoetica:
sapere vero e certo contrapposto all’opinione, e comprendente le verità contingenti (non
logicamente necessarie, riguardanti la relazione tra Dio e le creature), come quelle della
Rivelazione
parte da principi contingenti, non necessari
allora meglio chiamarla sapienza
teologia aristotelica è un controsenso, non c’è proprio un motivo per costruirla, e non c’è
nessuna subalternazione o ruolo ancillare della metafisica, perché da nessuna verità
teologica si può far venir fuori una verità metafisica, ed allo stesso modo nessuna verità che
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non sia di origine rivelata può incidere sulla verità della teologia; sono proprio due livelli
diversi (da una parte scientificità dell’ordine naturale, dall’altra la compiutezza
dell’acquisizione di verità legata alla realtà soprannaturale presentata dalla Rivelazione)
(poi è vero che a volte da cristiano la teologia orienta la metafisica)
nella teologia gli enunciati teorici hanno sempre un immediato corrispettivo pratico, dicono
sempre qualcosa sul nostro operare o sul nostro amore per Dio
la nostra teologia, che è conoscenza del fine ultimo a cui tende l’uomo, e quindi al sommo
bene, non ha una distinzione tra significato teorico e pratico degli enunciati: nel momento in
cui esprime la verità del bene, orienta verso di esso
anche in quanto ha come esito la salvezza risulta più sapienziale che scientifica
da qui inizia una teologia sempre meno filosofica e una filosofia sempre meno teologica: il
concordismo del medioevo inizia a vacillare
irriducibile autonomia di modi di considerare l’essere: impostazione che ha come
conseguenza un allontanamento da posizioni di Tommaso
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di essere ce n’è uno solo: non significa che l’essere di Dio e l’essere della creatura siano
uguali (questo lo so con la Rivelazione), ma la mia capacità intellettiva non può andare oltre
a quell’unico concetto di essere (io con l’intelletto posso pensare Dio con l’unico concetto di
essere che ho, l’ente è univoco, quindi anche se dicessi che è analogo non capirei davvero
quello che sto dicendo perché solo Dio conosce il suo essere)
lui confina nell’ambito del rivelato il fatto che dio abbia un essere diverso dalle creature:
apre una nuova luce alla filosofia ma chiude al medioevo, per cui uno dei postulati
fondamentali era che l’essere di Dio fosse per noi conoscibile
l’essere univoco è dunque il concetto primo dell’intelletto, precede qualsiasi determinazione
che assume in quanto esistente, quindi qualsiasi differenziazione dei propri modi di
attuazione
e) L’essere infinito
nell’ambito di questo essere univoco è possibile mostrare la necessità del concetto di ente
infinito, che è il modo con cui noi concepiamo Dio (il modo che troviamo in noi per chiamare
il primo principio metafisico, ma non è un dato evidente)
si tratta di mostrare realmente che questo essere infinito esiste (se fosse una verità evidente
sarebbe indimostrabile)
delle dimostrazioni a posteriori starebbero al massimo nell’ambito fisico, e arriverebbero al
massimo ad una causa prima (che non per forza è infinita e coincide con il concetto che
abbiamo di Dio)
accetta l’idea anselmiana dell’esistenza come perfezione del contenuto dell’essere infinito
ma deve mostrare che l’ente infinito è pensabile senza contraddizione, allora è possibile, e
considerando razionalmente la sua possibilità vediamo la sua necessità
si tratta di una riarticolazione razionalistica dello stesso movimento di pensiero di Anselmo
nel Monologion
riproposto in varie opere con tre passaggi:
- l’essere infinito è pensabile: significa che è non contraddittorio, ovvero dall'infinità
derivano una serie di predicazioni positive (come l’immutabilità, l’essere eterno, non
avere confini, essere dappertutto), questo perché l’infinità implica tutte le perfezioni,
che si implicano a vicenda, e nel loro insieme ci dicono anche che l’ente infinito deve
essere intelligibile, immateriale
- se è pensabile, allora può esistere: possiamo pensare un essere infinito con questo
contenuto di pensiero come causa efficiente di tutto ciò che è (un oggetto finito è
pensabile come producibile, ma un processo causale inesauribile potrebbe non
risolversi nella sua esistenza), ma anche come fine di tutto ciò che c’è, e in terzo
luogo come somma perfezione di tutto ciò che è (esistenza di fini particolari-gradi di
perfezioni rimanda ad un fine ultimo-perfezione somma): come somma causa,
sommo fine, somma perfezione è possibile che esista
- visto che può esistere, deve necessariamente esistere: bisogna seguire una via
eminentiae; nell’intelletto troviamo determinazioni intelligibili che progressivamente
possiamo attribuire fino al massimo livello di astrazione; se questi intelligibili sono
pensati, arriviamo a quell’intelligibile che non solo possiamo pensare, ma che anche
è necessario: si arriva alla perfezione insuperabile che comprende in sè tutte le altre,
tra cui anche l’esistenza
non è del tutto una dimostrazione dell’esistenza di Dio
è la dimostrazione che la cosa più razionale che si può fare in ambito metafisico sia pensare
che Dio esiste
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è saldamente radicato in Anselmo (precisazione che il quo maius cogitari nequit esiste se
può essere pensato senza contraddizione)
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intenzionale dei fenomeni, il cui oggetto sono le relazioni di compossibilità tra le cose,
espresse con proposizioni complesse sostenute nell’evidenza dall’intuizione
con la materia entrano in composizione tutte le forme possibili, per realizzare l’immediata
intuibilità della cosa singolare
tra gli elementi costitutivi di ogni cosa non c’è una distinzione reale, ma nemmeno solo
concettuale: c’è una distinzione formale
GUGLIELMO DI OCKHAM
riprende molte intuizioni di Scoto portandole alle estreme conseguenze ma con una
chiarezza espositiva enorme (per questo spesso si dice che il medioevo finisce con lui e non
con Scoto, è più piacevole, comprensibile)
anche molte dottrine logiche, che sono raccontate come una novità, in realtà non lo sono (la
dottrina della suppositio era stata elaborata a metà del XII secolo da un gruppo di logici
chiamati terministi, lui la riprende ma la mette in una forma così chiara e persuasiva da far
iniziare una discussione su tale dottrina riferendosi ad Ockham)
la logica è lo strumento fecondissimo di tutte le arti, consolidandone i principi si può tornare
ad argomentare correttamente, restituire libertà alla mente: alla base della sua lettura c’è
l’idea della singolarità e semplicità del reale
è anche un filosofo originale, ma in ogni caso ha avuto la capacità di raccontare le novità
della filosofia in una maniera talmente limpida e lineare che pensavano le avesse inventate
lui
a) Il “Venerabilis inceptor”
nato nel 1280 a Ockham
venerabilis inceptor, venerabile iniziatore: della teologia: non è mai diventato maestro di
teologia
finisce di scrivere le opere filosofiche tra 1300-1320
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commenti all’Organon, alla Fisica, Commento alle Sentenze (il primo libro è composto da lui
e chiamato Ordinatio, per distinguerlo dal resto, Reportatio, frutto degli appunti degli
studenti), sette Quodlibeta
Giovanni Lutterell, secolare tomista, denuncia delle dottrine pericolose (come la pretesa di
ricondurre il vero alla concretezza esistenziale delle cose, che compromette gli strumenti
interpretativi di alcuni dogmi, come per la transustanziazione)
una commissione indaga ben 56 articoli dai suoi scritti, G. scrive in sua difesa la Summa
logicae
ad Avignone incontra Michele da Cesena e altri esponenti della corrente degli Spirituali, si
converte alla causa della povertà apostolica
critica la presunzione della plenitudo potestatis del pontefice
fugge e si ritira a Pisa
muore nel 1347
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apprendo degli incomplexa (dati semplici, non sufficienti, da soli, a documentare l’esistenza
della res da essi significata), delle realtà, e posso formulare dei complexa, delle
proposizioni, che non richiedono soltanto apprensione:
ai complexa si rivolge il nostro assenso (posso chiedermi se sia vero o meno)
una conoscenza proposizionale è vera solo se è confermata dal riconoscimento intuitivo
della sua corrispondenza con la realtà esterna
sono vere:
- le proposizioni singolari necessarie, direttamente evidenti
- le proposizioni universali necessarie, che derivano da dati evidenti, come quelle
matematiche (partono da numeri)
- le proposizioni singolari contingenti (davanti a me c’è un computer)
le proposizioni universali contingenti, ovvero universali e non necessarie, non sappiamo se
siano vere: possiamo fare delle congetture senza pretendere che sia certo
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- semplice: il nome significa qualcosa di comune a ciò che è indicato dalla
supposizione personale (“scatola è un oggetto che contiene delle cose”, “tutti gli
animali con la proboscide sono mammiferi”, “l’uomo è una specie”), termine indica
caratteristiche comuni
- personale: per medievali il linguaggio ha avuto un’origine storica (Genesi: Adamo ha
dato i nomi), originario atto di impositio (fino a epoca carolingia tradizione
naturalistica maggiormente seguita, poi si pensa di più che sia atto arbitrario)
assumo un termine in supposizione personale quando lo uso per significare ciò che
si intendeva in quell’originario atto di imposizione
ci sono anche termini che hanno originariamente avuto un atto che li ha posti ad
indicare una generalità, come “animale”: se dico “animale è un essere vivente” sto
usando “animale” in supposizione personale
la metafisica tende a usare termini in supposizione semplice, per indicare delle generalità
quando il termine svolge una suppositio personalis (l’uomo è un animale), a esso
corrisponde qualcosa di reale, mentre quando svolge una suppositio simplex (l’uomo è una
specie), ad esso corrisponde sì qualcosa, ma mai una res, bensì semper un puro prodotto
del pensiero
l’universale è tale soltanto nell’anima, non corrisponde mai ad una realtà extramentale
esistente, ma quando, con la supposizione personale, si usa per indicare qualcosa fuori
dall’anima allora indica tutti gli individui concreti che rientrano nel significato del termine in
questione
per l’intelletto è evidente solo il singolare
il nominalismo, l’analisi dei termini e dei loro significati, è l’affermazione del primato
dell’individuo, si radica in un'ontologia del singolare, ma anche tale ontologia è supportata
da una concezione in cui il linguaggio è fatto di termini che significano e non di realtà
la novità è fondare una metafisica sulla struttura del linguaggio, una realtà singolare che si
esprime in linguaggio fatto di termini con un significato originale
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la scienza è la formulazione di un discorso sulla verità delle proposizioni
che cos'è la verità? la verità è una proposizione vera, una proposizione che mi dice come
stanno le cose, dipende dalla relazione tra essa e lo stato di cose descritto in essa
la scienza non ha più statuto epistemologico diverso dalle altre forme di sapere, tutte
riguardano gli individui, semplicemente li guarda non solo come mutevoli ma come dotati di
relazioni tra di essi: è una scienza vera quando descrive le relazioni in modo corrispondente
allo stato di cose
la proposizione di cui si ha scienza riguarda solo i singolari e il loro effettuale modo di
essere: cosa rimane dell’epistemologia aristotelica?
Ockham vuole mantenere l’esigenza che ha portato A. a negare che si possa dare scienza
del particolare, e conferma che la scienza non concerne i singolari in quanto mutevoli, ma le
intenzioni dell’anima che suppongono per essi, ovvero gli universali che suppongono per i
particolari
in ogni caso è già chiaro che gli universali rimangono privi di consistenza ontologica,
intenzioni dell’anima la cui verità è riconducibile alle cose stesse
distingue tra scienze reali (come la fisica, basate su termini che suppongono per realtà
extramentali), e scienze mentali (come la logica, suppongono per concetti e altre intenzioni
della mente)
filosofia come una grande appendice della logica
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questo incremento ulteriore rispetto alla Rivelazione mostra che il sapere teologico è
composito, nasce dall’unione di molteplici forme di acquisizione di verità relative a Dio
il subiectum non è univoco: da un lato è Dio stesso, dall’altro un concetto che dice qualcosa
su Dio
ma la verità di tale sapienza è unitaria, la pluralità di attributi di Dio esprime la sua unica
essenza, e l’essenza divina esprima la indistinguibilità delle sue perfezioni (perfezione che
non è in Dio o di Dio, ma è Dio)
la più evidente delle verità teologiche è che Dio non è conoscibile
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