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PARAGRAFO 1- VERA FILOSOPHIA, LA SINTESI DI FEDE E RAGIONE

Un pregiudizio è che tutto ciò che si sviluppa nel periodo medievale sia sotto l’egida della
teologia (studiare filosofia medievale non è studiare la teologia cristiana)
è buona un’ottica in cui non esiste un medioevo: ne esistono almeno tre, uno latino
incentrato nell’Europa, uno greco bizantino, che si esprime in una lingua differente, ma
anche un medioevo arabo, che dal 622 è una presenza importante nel panorama culturale di
quei secoli (già da qua capiamo che è riduttivo parlare solo di medioevo cristiano,
essendocene stato anche uno musulmano)

Epoca in cui il pensiero si è sviluppato sulla spinta di istanze che affondano le loro radici
nella religione, non necessariamente però quella cristiana
Non è la prima volta che ciò accade, anche nell’epoca tardo antica c’era un’influenza della
sfera religiosa
bisogna prendere atto delle istanze religiose che sottostanno al pensiero di questi autori
senza che queste siano il fulcro centrale dell’indagine, le loro dottrine possono essere
sollecitate da riflessioni religiose ma non si può ridurre tutto a questa prospettiva, l’istanza
teologica fa parte di un insieme filosofico più ampio

spesso si riassume il tutto con due problemi principali (conflitto tra ragione e fede, filosofia
medievale sarebbe letta come tentativo artificioso di far andare d’accordo questi due aspetti,
e il problema degli universali)

perché gli autori sono cristiani? in quei secoli non c’è un’altra agenzia informativa e culturale,
l’unica istituzione che si premura di insegnare qualcosa è la Chiesa, questo vale fino almeno
alla nascita dei comuni, in cui sorge l’esigenza di avere delle scuole anche per saperi pratici
non va visto come un difetto, la Chiesa nella quotidianità sul territorio si occupa di insegnare
i rudimenti del sapere (fino ad arrivare poi all’apice, ovvero la teologia) e di alfabetizzare
idea di necessità di tramandare un patrimonio di cultura, sentita in quanto si pensava che la
verità fosse una sola
in Cristo si è data tutta la verità che Dio ha rivelato all’uomo: se tutta la verità si è
manifestata in quella persona e in quel momento, c’è una verità, e qualora si presenti sotto
altri aspetti, essa è sempre emanazione di quell’unica verità
il risultato storico di questa concezione è stata la possibilità per l’Europa di rinascere dopo i
barbari, la chiesa cristiana del Medioevo ha portato avanti la cultura europea
Non c’è un conflitto tra fede e ragione, o persone plagiate dalla chiesa che scoprono poi con
la filosofia un contrasto, ma persone che hanno imparato ad amare la cultura e la filosofia
all’interno di una prospettiva credente, una ragione che nasce all’interno di una fede

G.S.E Omelia sul quarto vangelo (è il più filosofico, in principio ricorda il libro della Genesi)
dopo resurrezione di Gesù, Pietro e Giovanni corrono al sepolcro
per Giovanni Scoto Eriugena c’è lettura allegorica:
- Giovanni l’evangelista rappresenta la ragione, la capacità dell’uomo di pensare e di
comprendere il reale
- Pietro è il simbolo della fede
entrambi corrono verso la stessa meta, lo stesso sepolcro, la resurrezione è la pienezza
della rivelazione della verità

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la ragione va più veloce ma si deve fermare, la fede arriva prima alla rivelazione della verità
se prima non avrete creduto, non potrete comprendere (Isaia): sintesi di fede cristiana e
ragione filosofica
la fede dà conoscenza più fondamentale della verità, ci dice in che direzione dirigerci verso
la verità, ma la ragione deve collaborare e verificare
la relazione tra fede e ragione non è conflittuale, la verità si dà in un dato che va creduto, e
credendo in quel dato è necessario pensarci
il dato di fede non è autoesplicativo, anzi è necessario rifletterci e che la ragione lo vagli
complementarietà dialettica, completarsi di due forme di sapere che non dicono sempre la
stessa cosa ma che tendono per loro natura nella medesima direzione- sancita da Agostino
di Ippona ne La vera religione: la vera filosofia è la vera religione, e reciprocamente la
vera religione è la vera filosofia
la fede ha bisogno della ragione per essere compresa e la ragione ha bisogno della fede per
funzionare bene e ricevere un orientamento ottimale
la vera filosofia accoglie il dato di verità con Gesù cristo, e la vera religione cerca una
spiegazione per quel dato di fede, questo accade perché la verità non è mai contraria alla
verità (Pietro Abelardo)
la fede rischia di rimanere inautentica se non è accompagnata da una comprensione delle
parole della Rivelazione con l’intervento della ragione, che però non deve pretendere di
fornire giudizi sulla veridicità
Agostino, Epistola a Consenzio, 410: ragione deve essere attivata sia prima dell’atto di fede,
per giustificarlo, sia dopo, per consolidarlo
medioevo filosofico inizia a finire quando la convinzione di questa consonanza tra dato di
fede e riflessione razionale si incrina: finisce idea portante, la ragione come necessario
complemento di fede religiosa
Le verità dissonanti, la filosofia alla fine del medioevo: libro di Luca Bianchi e Eugenio Randi
l’uomo è fatto per pensare, nella Bibbia si chiede innumerevoli volte di riflettere

PARAGRAFO 2- SANA DOCTRINA, L’ORO DEGLI EGIZIANI E LA MONETA DEL RE

rapporto con il pensiero pagano:


affonda le radici nelle origini stesse dell’inizio della predicazione cristiana
XVII capitolo di Atti degli apostoli: Paolo (è personaggio estremamente scaltro, lo ammette
egli stesso, è metamorfico, usa tecniche spregiudicate di persuasione pur di convincere
l’uditorio) arriva all’areopago di Atene e fa un discorso, tra i più furbi: sottolinea che hanno
un tempio dedicato al dio ignoto (i greci infatti per prudenza e per evitare di aver dimenticato
un qualche dio, istituirono un tempio al dio ignoto), e Paolo dice di saper dire chi è quel dio
ignoto (si è manifestato in Gesù, che è morto e poi risorto)- quando parla di resurrezione
molti lo deridono; Luca dice che ci furono alcuni che si convertirono, tra cui il filosofo Dionigi,
membro dell’areopago, ma in generale il discorso ad Atene fu fallimentare
già i Padri della Chiesa avevano iniziato opera di selezione di cosa potesse essere
trattenuto dal pensiero pagano (veridicità del loro lavoro data sia dall’origine rivelata che
dalla stabilità razionale)
punto importante è prologo del quarto vangelo: parla di logos (il Verbo), concetto di matrice
filosofica ereditato da Filone Giudeo, mediatore tra tradizione giudaica e cristiana, e utile per
il pensiero cristiano
i primi predicatori si impossessano di linguaggio filosofico per confrontarsi con membri di
scuole pagane

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da Agostino in poi chiara idea di accogliere del pensiero antico ciò che meglio si armonizza
con la fede, e che può aiutare nella comprensione del dato rivelato
Girolamo sogna che Cristo lo rimprovera di essere più ciceroniano che cristiano
un’immagine adottata dai medievali per spiegare questa possibile appropriazione è quella
dell’ancella
nella Genesi: Abramo riceve da Dio una discendenza numerosa come le stelle del cielo, ma
la moglie Sara è anziana, quindi prende una schiava, Agar, per avere dei figli da lei (per i
greci era essenziale la discendenza, sopravvivere è avere dei figli)- Sara alla fine è gelosa,
Agar e figlio Ismaele costretti ad allontanarsi
dicono che pensiero pagano è come Agar, abbracciata da Abramo ma che rimane
sottomessa alla vera moglie, Sara- sapiente cristiano deve ricordarsi che questa verità è di
ordine inferiore, va trattata con prudenza
anche norma mosaica di radere capo e cambiare abiti alla schiava da sposare: purificare
scienza pagana da aspetti superflui
altra immagine citata è quella degli israeliti che rubano oro di egiziani: filosofo cristiano può
appropriarsi di sapienza antica ma non per farne un idolo, ma per continuare ad attingere
alle fonti della verità e della rivelazione e comprenderle
il rapporto di pensatori cristiani con sapere pagano è pacifico, atteggiamento che accoglie
molto ma prevede anche una cernita
nella sintesi tra sapienza cristiana e il meglio che si può ereditare dalla sapienza pagana si
costituisce la sana doctrina, che è l’insieme del dato rivelato, della sua interpretazione e di
tutto il meglio dall’antichità
la sana doctrina è tale in quanto una e indiscutibile, è compiuta in tutte le sue parti grazie
all’origine divina

Pseudo Dionigi Areopagita


è tra i pagani che si convertono dopo il discorso di Paolo ad Atene
nel VI secolo compaiono scritti, corpus di quattro opere a suo nome, che acquistano
risonanza enorme per la tarda antichità cristiana, se è davvero lui l’autore sarebbero l’opera
più vicina alle sorgenti del pensiero cristiano e della rivelazione- Paolo inizia a scrivere le
sue lettere nel 52 d.C, quindi prima dei Vangeli (Vangelo di Marco minimo nel 70), lettere
paoline sono le prime opere autenticamente cristiane
le quattro opere (Nomi divini, Gerarchia ecclesiastica, Gerarchia celeste, Teologia mistica)
sarebbero monumento filosofico antichissimo e autorevole
in realtà corpus dionysianum è più tardo, quasi certamente V secolo- inizio del VI, risente del
lavoro di Proclo
dice che filosofi greci condividono con quelli cristiani la ricerca della verità, ma le tesi dei
primi sono sì vere, ma tuttavia imperfette: filosofia pagana ha portato a verità imparziali

lo stesso farà Severino Boezio (Consolatio Philosophiae), dice di aver incontrato la filosofia,
personificata, che ha un capo bellissimo ma con degli strappi in basso, causati dai piccoli
filosofi pagani che hanno tentato di tirarla dalla loro parte strappando dei lembi della sua
veste, senza cogliere la pienezza della verità che si dà solo nell’interezza della veste
per capire accoglienza e selezione del patrimonio antico è importante anche la figura di
Plotino: ha cercato di stabilire filosofia puramente razionale, la sua filosofia è
intellettualistica, non lascia spazio a religiosità, ma la posterità apre una breccia
nell’intellettualismo plotiniano con istanze religiose
Proclo ha elaborato la dottrina di diverse forme di conoscenza:

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- il senso, aisthesis
- la ragione dialettica, dianoia, è una ragione discorsiva, progredisce da premesse a
conclusioni
- intelletto, coglie verità con intuizione diretta, immediata e totale
per pensatori cristiani questo è un buon modello per spiegare una differenza fondamentale: i
filosofi pagani si sono limitati ad usare la ragione discorsiva, a produrre ragionamenti con la
pretesa che questi fossero perfetti come quelli raggiungibili invece solo con il nous, entrando
in sentieri che li hanno portati a contraddirsi gli uni con gli altri
filosofia può e deve contribuire alla verità e può ereditare dal patrimonio antico tutto ciò che
l’aiuta in questo percorso
rispetto ai neoplatonici, i cristiani possono spiegare la scelta di porre sapienza umana al di
sotto dell’intelligenza divina (accessibile a tutti grazie alla rivelazione scritturale) chiarendo
che in questo modo la ragione dianoetica non rischia più di contaminare la purezza
dell’intuizione superiore adeguandola alle proprie possibilità espressive
quindi sana doctrina è sapere che nasce dalla rivelazione, elaborato razionalmente e che si
nutre di acquisizioni dal patrimonio antico in una concezione estremamente sistematica: le
scuole filosofiche pagane medio e neoplatoniche si sono costituite su curriculum di studi
rigido e ben determinato (medioplatonismo studio ordinato e sequenziale di alcuni dialoghi
platonici, tradizione esegetica e interpretativa, leggere e commentare i dialoghi- in Platone
tutta la verità, stessa idea con i cristiani nei confronti di Cristo)
genere del commentario filosofico è stato genere tipico di secoli di filosofia, con il
neoplatonismo molti commenti anche ad Aristotele
ultimi secoli di filosofia pagana: tutta la verità è reperibile nei dialoghi platonici (un ruolo
importante è attribuito anche appunto ad Aristotele) e si esprime grazie ai commenti:
i cristiani traslano questo nella loro ottica, adattano alle loro esigenze un modo di fare
filosofia già codificato, fare filosofia diventa commentare la Bibbia, il testo che contiene tutta
la verità, non è approccio sterile ma desiderio di continuare a riferirsi continuamente a quella
verità commentando e comprendendo profondamente i testi in cui essa si manifesta
il sapere deve darsi in modo sistematico, Hegel ultimo frutto di concezione totalizzante e
sistematizzante della filosofia- tramite il medioevo questa concezione è arrivata alla
modernità
filosofia cristiana del medioevo si presenta come sapere compiuto e sistematico per
spiegare il reale, e porta con sè la possibilità di recuperare tutta la realtà in una
giustificazione globale dell’essere, visibile e invisibile

PARAGRAFO 3- SACRA ELOQUIA, PAROLA DI DIO E SAPERE UMANO


principio di tradizione:
sono attendibili le interpretazioni e gli ampliamenti del fondamento scritturale che si
armonizzano con l’insieme del patrimonio di conoscenze elaborato dai maestri ritenuti da
tutti autorevoli e fissato durante le assemblee conciliari
dato di partenza: la verità è una sola, credenza nella morte e resurrezione di Cristo, che è
morto ma il suo messaggio è arrivato anche alla posterità
ciò è avvenuto grazie al lavoro degli apostoli, 12 contando anche Giuda Iscariota (poi
aggiunto Mattia per ripristinare numero di 12), con i racconti orali, poi diventati degli scritti e
moltiplicati con varie chiese costituite al di fuori della Palestina
racconto di vicende terrene di Gesù Cristo
comunità che fino al III secolo hanno continuato a proclamare ciò che è contenuto nel
Vangelo, che letteralmente significa “buona notizia”

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in questo secolo ci sono eresie, ma anche già nel II con lo gnosticismo
appellarsi al principio di tradizione richiede di precisare che cosa faccia parte a pieno titolo
della stessa tradizione e in essa quali siano le figure autorevoli
per i pensatori cristiani tali figure sono i Padri della Chiesa, che dal II al V secolo hanno
iniziato ad indagare razionalmente la Rivelazione presentata nei Vangeli
con il tempo anche questa tradizione si frastaglia
il criterio che i pensatori cristiani assumono allora per testare la bontà e la genuinità di ciò
che giunge loro dal passato è l’universalità, l’essere catholicum: appartiene alla vera
tradizione ciò su cui tutti i testi e i padri della chiesa erano d’accordo
Vincenzo di Lèrins, Commonitorium, V secolo: è vero “tutto e soltanto ciò che è stato creduto
dovunque, sempre e da tutti”
i Padri della Chiesa dicono verum cum vero consonat, il vero è consonante con il vero: non
sempre è uno e univoco ma tutta la verità deve essere consonante, deve esserci un
consenso che mostra armonia tra concezione di testi e padri e dato tradizionale
principio del consensus unanimis Patrum:
ogni progresso speculativo accolto se in armonia con insegnamento dei Padri, che si
configura come le prima attendibile chiarificazione esplicativa della Rivelazione
principio del magisterium Ecclesiae:
ogni progresso speculativo accolto se in armonia con insegnamento della tradizione
ecclesiastica universale
l’unanimitas del mondo cristiano deve essere fondata su scrittura e tradizione
fine del medioevo filosofico, fine di idea portante che verità sia armonizzabile con verità
originaria attraverso la mediazione di una tradizione
una ragione per cui pensiero medievale è mal visto: Voltaire critica idea di tradizione, per lui
segno di povertà e acriticità di un sapere
da illuminismo in poi concetto di tradizione connotato negativamente
possiamo dire che pensiero di umanità è in gran parte tradizionale, costruiamo il nuovo su
un patrimonio già dato
il fatto che tutto ciò che non è tradizionale sia migliore è un pregiudizio altrettanto ingenuo
anche oggi ci basiamo su tradizione per capire cosa sia filosofico e cosa no, il dissenso può
nascere più facilmente in merito ai criteri con cui si stabilisce la linea della tradizione
idea di tradizione come asse portante per riflessione razionale è ancora essenziale nel modo
di fare filosofia, è il presupposto essenziale
riflessione razionale che si erge sul dato rivelato ha come prima fonte la Scrittura, e come
seconda fonte la tradizione
opere di filosofia medievale coese nel rimandare costantemente a un patrimonio di passi
biblici abbastanza limitato e circoscritto
la letteratura medievale è percorsa da continue citazioni (per reperire conferme e come
spunto argomentativo)
medioevo ha quantità di auctoritates non eccessivamente ampia
anche all’interno di letteratura di Padri della Chiesa i testi che vengono citati non sono così
numerosi
il pensiero medievale è un pensiero ostinatamente esegetico, espresso in libri che partono
da citazione di altri libri (non è una novità del medioevo, ma è ereditato dal modo di fare
filosofia del medio e neoplatonismo)
per assicurare l’autorevolezza dei Padri era stato redatto un canone (documento
erroneamente attribuito a papa Gelasio I del V sec, De libris recipiendis et non recipiendis,
con elenco di testi patristici necessari e adeguati)

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quando diciamo Bibbia diciamo l’Antico testamento nella traduzione latina di san Girolamo,
la Vulgata, e per noi oggi anche l’Antico Testamento tradotto in lingua greca della tradizione
dei Settanta- la Settanta è stata redatta prima della venuta di Cristo, la leggenda è che 72
traduttori incaricati di tradurre l’antico testamento lo fecero chiusi in 72 stanze diverse e al
termine per influsso divino le traduzioni erano perfettamente coincidenti: mostra idea di
verità che si impone e che sia unica, e che precede medioevo latino
tutto ciò richiede ai medievali di fare una riflessione sul linguaggio: incarnazione, morte e
resurrezione di cristo è espressa dal linguaggio:
come fa il linguaggio umano ad esprimere una verità divina?
per i medievali non può, l’imperfezione naturale della lingua degli uomini non permette di
rendere ragione pienamente dell’inesauribile portata della verità perfetta
risposta formulata da pseudo Dionigi Areopagita, nel trattato sui Nomi divini: esistono due
diverse teologie, poi superate e sintetizzate ad un ulteriore livello, basate su diverse
modalità di usare il linguaggio nella narrazione della Rivelazione divina:
- affermativa o catafatica, ovvero teologia che predica del divino tutto ciò che di esso è
dato a noi predicare- attributi riferibili a Dio sono quelli che ci sono nei libri sacri, ad
esempio il fatto che sia giusto, buono
- ma il nostro linguaggio è limitato mentre Dio è totalmente trascendente- nella
tradizione neoplatonica c’è tensione tra dicibile e indicibile, consapevolezza di
ineffabilità del primo principio metafisico, impossibilità di ridurlo alle nostre categorie
linguistiche
consapevoli di questa limitazione serve teologia apofatica, negativa (o del silenzio):
non predica di Dio determinazioni affermative, ma solo date per negazione: ad
esempio dicendo che dio non è corpo, ma anche che non è giusto (parabola del
figliol prodigo, Dio è più misericordioso che giusto), racconto di Matteo con giudizio
universale (è buono ma non è solo buono, perché poi i cattivi vengono mandati
all’inferno)
la teologia affermativa è nel giusto quando predica certe qualità di Dio, ma deve
considerare impossibilità del linguaggio umano di rendere ragione e esprimere
l’infinità del Dio, deve essere temperata dalla teologia negativa, che neghi di dio
quelle stessa qualità che la prima gli riferiva
Dionigi ricompone le due teologie nella teologia superlativa o mistica: Dio è super giusto-
uper- ovvero è giusto in un modo che supera totalmente le mie capacità di comprendere in
fondo che cosa significhi essere giusto, è buono in un modo che le mie capacità linguistiche
e di comprensione non sanno pienamente sondare
questa tripartizione ripropone in termini religiosi la moltiplicazione procliana dei piani
conoscitivi: sana doctrina è alimentata da una tensione ascensionale, dall’apice della verità
torna a calarsi sul piano dianoetico e si organizza in forme espressive
Padri, Scritture e tradizione veicolano la verità di Dio con un linguaggio del quale non
possiamo fare a meno, ma di cui non possiamo non riconoscere i limiti, quindi lo si usa
ricordando che il significato va un po’ trasformato quando è riferito al divino
sapere in cui il vero è consonante con il vero si riflette nel concetto medievale di
Christianitas: insieme di tutti coloro che nei secoli e nei diversi luoghi si riconoscono nell’idea
della rivelazione e resurrezione di cristo
monaco Ilduino compie prima traduzione latina dei testi pseudo dionisiani e fa coincidere
Dionigi areopagita con un vescovo di Parigi morto nel III secolo: consacra legame che
congiunge christianitas carolingia e radici apostoliche della religione, assicurandone
l’autenticità

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medioevo consegna visione coesa di verità, che porta con sè visione coesa del mondo

PARAGRAFO 4- DIVINA DISPOSITIO, L’ORDINE DEL CREATO: ESSENZE, IDEE,


NUMERI, INTELLIGENZE
Divina commedia mostra struttura cosmologica peculiare e struttura numerica intrinseca a
opera, visione del mondo ultraterreno è ordinata e numerologicamente strutturata
a partire da unicità del vero, non si poteva non proiettare ciò sul mondo
il mondo specchio di creazione di dio, il modo di rappresentare l’infinità divina è con numeri
Gli angeli sono divisi in nove schiere, gerarchicamente ordinate (distribuite in tre triadi:
Serafini, Cherubini, Troni- Dominazioni, Potenze, Potestà- Principati, Arcangeli, Angeli),che
trasmettono agli uomini la verità, recepite prima dai vescovi
in questo c’è rivelazione cristiana ma anche neoplatonismo
da Plotino in poi c’è moltiplicazione di strutture triadiche, da Proclo struttura triadica di tutto il
reale
cristiani ereditano idea che ci sia numerologia in base tre in grado di spiegare tutto ciò che
esiste
ogni gerarchia angelica effettua tre operazioni gerarchicamente ordinate:
- purificazione, liberazione dalla molteplicità
- illuminazione, aprirsi e orientarsi verso ciò che è ad un grado superiore
- perfezione dell’essere di ogni grado
ottica triadica numerologica ma dinamica, ogni gerarchia si differenzia da quella inferiore,
che è maggiormente molteplice e dispersa, tende a quella superiore, più illuminata da unità
divina, e in questa tensione trova il proprio essere
eredità medioplatonica e questa idea dello pseudo-Dionigi (Gerarchia celeste e
ecclesiastica) fa tutt'uno con concezione di trinità cristiana: dio è unico ma in tre persone:
- padre
- figlio
- spirito santo
uguali e distinte allo stesso tempo (di nuovo dialettica tra affermazione e limitazione), i testi
fanno sì che si possa concepire così la trinità
il dato scritturistico si sposa con il dato filosofico neoplatonico di una struttura triadica,
dinamica e in tensione verso l’alto di tutta la realtà (e che presenta anche il moto inverso di
discesa)
rispetto al neoplatonismo, il cristianesimo introduce l’idea della creazione dal nulla- per
Platone demiurgo plasma la materia che già c’è, un cristiano invece non ammette una
materia che preesiste
cosa c’era prima che Dio creasse? nulla, dio ha creato dal nulla- il nulla è concetto limite-
definire cosa sia esattamente questo nulla è questione molto complessa
ciò porta ad assoluta trascendenza del principio creatore rispetto alla realtà creata,
trascendenza che nel neoplatonismo consisteva nell'ineffabilità, mentre nella rivelazione è
sancita dalla distinzione tra creatore e creatura
Dio in qualche modo è presente nella sua creazione, come se mettesse il proprio sigillo
pensiero medievale nemico del panteismo (dottrina che identifica la divinità con la realtà che
si presenta ai nostri sensi)
per cristiani Dio conosce, presiede alla creazione ma non è la sua creazione, perché è
trascendente in quanto è creatore
da neoplatonismo dottrina di proodos e epistrofe, discesa e conversione da perfetta
immaterialità come fasi di processo universale

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proprio perché nella creazione c’è creatore, essa è destinata a rivolgersi nuovamente a lui
la dipendenza del creato da una libera scelta divina implica che la sua esistenza non sia nè
eterna nè necessitata, consente di ipotizzare dunque un ritorno universale di tutte le cose al
principio
il male non è spiegato da cristiani come Plotino, che in certi passi sembra legare il male alla
materia, anche se è questione che rimane aporetica: essa infatti fa parte della creazione, è
ciò che Dio mette nella realtà per farla essere creatura, in una tensione positiva con lui
stesso
il male non ha sussistenza reale ma sarebbe una riduzione della perfezione divina nei gradi
di derivazione dell’essere
si spiega così il loro ottimismo metafisico: il mondo creato è radicalmente buono, ragione
scritturistica: al termine di ognuno dei sei giorni dio vede che è cosa buona, procedendo nel
processo creativo la bontà pare addirittura aumentare
dato metafisico: realtà come creatura distinta da creatore per volontà libera del creatore
stesso, metafisica dell’ordine
perché ha creato? per realizzare nella creazione disegno di perfezionamento che culminava
con ritorno in dio stesso
è vero che ci sono state dottrine dualistiche, manichei catari e flagellanti, Pier Damiani in XI
secolo esprime con chiarezza idea di infinita miseria di tutto ciò che è materiale, ma sono
stati dei momenti
se tutto ciò che è, è buono, come gli autori cristiani concepiscono il male?
il male rimane dal punto di vista metafisico un’eccezione in un ordinamento del mondo che è
costitutivamente buono
oltre a scrittura e tradizione, altro binomio tipico di medioevo
binomio tra natura e scrittura
ricorda Galileo Galilei, che non a caso infatti aveva studiato dai gesuiti a Pisa, dice che dio
ha scritto il mondo in due libri, la scrittura e la natura
come Dio ha voluto rivelarsi nel linguaggio nella scrittura, così ha voluto rivelarsi nella
materia nella natura
il medioevo ereditando molto neoplatonismo eredita anche aspetti di pitagorismo (esempio
Giamblico vi era legato)
attenzione a numerologia: la natura riflette la divina dispositio
qual è il rapporto che filosofi medievali pongono tra dio e natura? commento al Timeo di
Platone di Calcidio, filosofo spagnolo che nel IV secolo scrive traduzione latina
si dice a buon diritto che nel medioevo il platonismo è dappertutto e Platone da nessuna
parte- effettivamente nel medioevo si è letta tradizione neoplatonica ma come testi di
platone solo timeo e parte di Fedone
cerca di cristianizzare dottrine di Platone presenti nel Timeo e i principi metafisici:
- il demiurgo come Dio padre che presiede alla creazione
- gli esemplari sono il logos, ovvero le idee presenti nella mente divina
- materia fatta coincidere con le creature, non più con ciò che preesiste
l’anima cosmica si traduce nella presenza universale e vivificante dello Spirito Santo
con Calcidio avviene slittamento fondamentale per filosofia medievale, le idee vengono
poste nella mente divina e sono ciò attraverso cui dio regge il mondo: egli conosce il mondo
perché ne possiede gli esemplari perfetti
nella tradizione medievale poi si parla di idee derivate, a partire da Bernardo di Chartres
chiamate forma native, ovvero forma generate e generanti insieme

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aporie del Parmenide: come fa idea a unificare il molteplice essendo separata dal mondo,
nel Sofista si cerca nuovo modo di presentare la mediazione con la dottrina dei generi
sommi
anche i medievali hanno problema di passaggio da idea in mente divina a realtà materiale: lo
fanno recuperando idea di cascata gerarchica dell’essere- pseudo-dionigi ma anche “albero
di Porfirio”- da idee divine a idee mediate, che non hanno materia ma sono predisposte ad
inverarsi e costituire realtà materiali
altra opera importante per inizio di elaborazione su struttura del cosmo è commento al
sogno di Scipione, parte finale VI e ultimo libro di De republica di Cicerone- riguarda
problema di reincarnazione delle anime- di Macrobio, un erudito pagano: vede nella vicenda
il paradigma della vicenda individuale dell’anima, che nasce con originaria perfezione
conoscitiva ed è destinata a ritornare a quella perfezione con percorso di ascesi purificatrice
apporti del neoplatonismo mediato dagli arabi (che conoscono Platone e Aristotele meglio e
prima di autori latini) da IX secolo con Avicenna visioni del mondo in cui il creato è discesa
gerarchica ordinata destinata a tornare al creatore
anche platonismo ebraico di Avicebron contribuisce ad arricchire questa descrizione del
cosmo (si è parlato di platonismi comunicanti)

PARAGRAFO 5- CHRISTIANA INSTITUTIO, LE DUE BIBLIOTECHE: LITTERAE


HUMANAE E LITTERAE DIVINAE

la Bibbia si costituisce presto in un canone, i 73 libri sono il risultato di una selezione storica
c’è letteratura intertestamentaria, ovvero libri con temi affini ma che non sono entrati nel
canone delle Scritture- ad esempio racconto di ribellione di Lucifero si esprime nel libro di
Enoch, scritti durante ultime propaggini di stesura di antico testamento, e non rientrano
lettera di Giuda (non Iscariota) nel nuovo testamento entrata nel canone perché ci dice che
da molto tempo c’erano lettere paoline, anche se non ha grande contenuto teologico
didaske: padre nostro come preghiera fondamentale e testimonianza su comportamenti di
cristiani nel mondo
dottrina di ispirazione che cerca di dare ragione della presenza di alcuni testi nel canone
piuttosto che di altri
in ogni caso dal IV secolo Bibbia fissata in un canone definito e costituito da 73 libri
considerati come ispirati da Dio
autori medievali hanno avuto buona consapevolezza di presenza importante di aspetti umani
e storici nella bibbia, scritta da autori umani, sapevano che libri avevano periodi di
composizione diversi e che avevano storie redazionali
medioevo aveva consapevolezza di storicità della bibbia, anche se certamente medioevo
latino non aveva strumenti per indagare ciò
questa è differenza enorme con il Corano e modo di intendere il testo sacro da parte
dell’islam: arabi soprattutto nei primi secoli vedono corano dettato da dio
la Bibbia non è dettata ma ispirata da Dio
in che senso la Scrittura è littera divina? nel senso che è stata orientata da dio, scritta da
uomini per ispirazione, tutti gli altri testi sono privi di questa speciale assistenza, sono litterae
umanae
tendenza a coesione tra diversi ambiti del sapere e sistematicità si vedono anche nel modo
che i medievali hanno di impostare il loro rapporto con litterae umanae
Virgilio Grammatico (erudito vissuto tra VII e VIII): intellettuali cristiani devono disporre
documenti della loro sapienza in due diverse biblioteche, una per i testi di sapienza antica e

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l’altra per quelli cristiani, ovvero La Bibbia e gli scritti dei Padri (legato al binomio scrittura-
natura)
anche Cassiodoro nel VI secolo articola le sue Institutiones in due serie, sulle lettere divine e
su quelle umane-naturali
prima di lui Lattanzio aveva realizzato Divinae institutiones: manuale di sapienza teologica
Agostino divide il sapere umano in ambiti limitati e ben definiti, riprendendo Varrone (età
imperiale romana), 7 discipline, le arti dette liberales divise in due gruppi:
- trivio, incrocio a tre strade: logico linguistiche, grammatica, dialettica e retorica
- quadrivio, incrocio a quattro strade: matematiche, descrizione quantitativa: aritmetica
(numero in sè), geometria (numero esteso nello spazio), musica (numero in
riferimento al tempo, in senso pitagorico), astronomia (numero in riferimento allo
spazio e al tempo, moto circolare)
ambedue gli ambiti permettono di trovare principi formali così rigorosi da poter essere
considerati come l’esplicitazione nella mente umana della legge divina che regola la
dispositio universale
grammatica è il fondamento e insegna a usare correttamente lingua latina- grammatiche
tardo antiche di Donato e di Prisciano
dialettica qua sinonimo di logica, distingue discorso vero da falso e anche contenuto vero del
discorso da quello falso- Boezio e Aristotele
retorica insegna a favorire e suscitare negli ascoltatori consenso- Cicerone
ogni disciplina si costituisce sulla base di un manuale fondamentale, i medievali cercano
testi che facciano l’equivalente di quello che fa la bibbia rispetto alla creazione e Rivelazione
per la geometria Euclide
poi vengono redatti anche manuali più generali di arti liberali, ad esempio con Marziano
Capella, africano del V secolo, De nuptiis Philologiae et Mercurii: racconto allegorico che
comprende come una summa tutte le discipline (personificate e presentate come damigelle
di nozze) e le rispettive competenze; le nozze rimandano a unione tra intelletto divino,
responsabile dell’ordine del cosmo, e la mente umana che lo indaga
altro aspetto tipico di sapere medievale è la presenza delle summae, con sapere unitario
che si colloca in tradizione deriva creazione di grandi compendi e enciclopedie di tutto il
sapere esistente che miravano a mostrarne l’unità e la coesione
si è detto che summae sono come cattedrali gotiche, sintesi di visione del mondo
religiosamente fondata ma che si esplica poi in sapere umano, che con scrittura mostrano
legami con neoplatonismo
il sapere umano non si esaurisce nella bibbia, ma si costruisce su molto altro
altro aspetto fondamentale di sapere medievale: glossa
elaborate tecniche per interpretazione dei testi, è l’aggiunta di parola esplicativa al testo da
commentare, di solito posta sopra la riga, poi diventa glossa interlineare (gruppi di parole e
frasi tra testo) poi diventano glosse marginali: da qua esse diventano talmente ricche da
diventare un testo a parte, ovvero un commento letterale, che parola per parola spiega testo
oggetto di lezione- lezione deriva da lectio, ovvero lettura, modo normale di spiegare un
testo nel medioevo è quello di darne lettura ad alta voce
da commento letterale nasce modalità più complessa, ovvero il commento per questioni,
in cui commento letterale non c’è nemmeno più ma c’è discussione e risoluzione di problemi
desunti da testo commentato
in progressiva differenziazione del sapere umano nasce idea che ogni disciplina sia
autonoma rispetto alle altre, si manifesta nel fatto che ognuna abbia un proprio subiectum,

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ovvero un argomento peculiare e proprio in base ad esso si dota di un metodo e possiede
poi uno statuto epistemologico determinato
medioevo all’origine della nostra idea di specializzazione, pluralità di saperi riconducibili ad
unità ma differenziati in commenti e sezioni sempre più specialistiche
non a caso medioevo inventa l'università
sapere umano fondato sulla rivelazione divina ma rielaborato in termini umani e sotto certi
punti di vista da essi emancipato
le regole delle arti liberali essenziali per sapere teologico: consentono di comprendere il
linguaggio del testo biblico e aiutano intelligenza a risalire verso verità divina (Cassiodoro: 7
arti come colonne del tempio della Sapienza di Salomone)
Agostino: anima di avvicina a natura immutabile di verità per illuminazione, metafora della
luce divina che si accende nella conoscenza intrecciandosi con l’idea pseudo-dionisiana
dell’illuminazione come operazione gerarchica, traspone in termini cristiani la dottrina
platonica della reminiscenza, senza dover però ammettere una preesistenza dell’anima
rispetto al corpo
è sempre possibile anche illuminazione naturale: di nuovo capiamo come conoscenza
teologica sia una conoscenza razionale del dato rivelato (per questo importante sottoporre
ad analisi il patrimonio testuale)
dal XII secolo a tutti gli effetti pensati tecniche e procedimenti della riflessione teologica, da
allora chiamata theologia
la riflessione sulla Scrittura può darsi secondo diversi parametri, che possono coesistere e
confrontarsi

PARAGRAFO 6- REGULA SERMONIS E LEX PULCHRITUDINIS, DAL MOLTEPLICE


ALL'UNITÀ’: FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO ED ESTETICA

racconto torre di babele, 11 capitolo della genesi dedicato ancora ai primordi della civiltà
torre alta fino al cielo come sfida alla divinità, Dio li punisce facendo sì che non si possano
più capire tra di loro
vescovo del IV secolo, Filastrio di Brescia, redige catalogo di eresie in cui ricorda come
eretici coloro che interpretano questo passo della genesi pensando che prima della torre tutti
gli uomini parlassero una sola lingua: ai tempi di babele l’umanità doveva già essere
numerosissima e sparsa sulla terra per cui impensabile che si parlasse una sola e identica
lingua
quello di Filastrio è un buon ragionamento da storico, mostra come la fede nel dato rivelato
non escludesse che si potesse ragionare e discutere su di esso
per lui prima della torre quindi già lingue diverse ma gli uomini avevano la capacità di
comprendersi, quindi la punizione non sarebbe consistita nella pluralità di linguaggi,
esistente già prima, ma nell’incapacità di comprendere quelli diversi dal proprio
obbedisce anche ad intento teologico: disordine nella comprensione delle lingue avrebbe
trovato risanamento soltanto nella Pentecoste (è necessario che lo stato linguistico anteriore
al peccato fosse uguale a quello scaturito con la discesa dello Spirito Santo, altrimenti
compromessa idea di unità e coesione)
II capitolo di Atti degli apostoli, essi erano chiusi nel cenacolo per paura dopo la condanna di
Gesù Cristo, ma lì arriva un vento potente- dello spirito santo- e Pietro annuncia la
resurrezione, Luca evangelista scrive che gli astanti, nonostante provengano da varie
regioni e parlino lingue diverse, capiscono ciò che viene annunciato: attraverso la discesa
dello Spirito Santo si ricostituisce la capacità di comprendere diversi linguaggi

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capiamo che per medievali c’è il dato di realtà della pluralità di linguaggi (ad esempio anche
dal latino dopo invasioni barbariche si erano create le basi per nuovi linguaggi, quelli
dialettali e volgari, utilizzato ad esempio negli scritti pratici come gli atti notarili) ma anche
idea che tale molteplicità debba essere ricondotta ad unità, non di linguaggio ma di strutture
il cristiano deve trovare un ordine armonico nella pluralità di linguaggi
il ruolo della comunicazione è fondamentale nella società cristiana, fondata su una
Rivelazione divina della verità ma articolata in parole umane
l’unità linguistica consente la compartecipazione al progetto salvifico al di sopra delle lingue
particolari e locali (per questo traduzione solo nelle due lingue principali)
se tutto ciò che è vero deve essere ricondotto ad unità, e tutto il mondo è ordinato da dio, e
c’è un’unica christianitas, allora anche linguaggi disparati devono essere riuniti
questa linea di pensiero ha l’apice nel 1270 con grammatica speculativa: tentativo di cercare
le strutture sottostanti ad ogni linguaggio, possibilmente stabili ed unitarie, questa ricerca è
compiuta solamente sul latino, considerata la lingua per eccellenza (chi studia grammatica
studia quella latina, non quella volgare, che non esiste ancora)
[Non chonski ‘900]
per i medievali c’è un ordo verborum, ovvero un modo strutturato di darsi delle parole nelle
loro relazioni, una logica delle sintassi, una struttura alla base dei modi di combinare le
parole
l’ordo verborum è radicato profondamente in un ordo rerum, ovvero ordine delle cose
i medievali tendono ad essere realisti nell’ambito del linguaggio: una parola è posta a
determinare una determinata cosa perché c’è nella cosa stessa una radice ontologica
essenziale che giustifica che quella cosa sia chiamata proprio con quella parola- nella
Genesi è stato Adamo a dare il nome a tutte le piante e gli animali, quindi c’è un atto di
imposizione e scelta del nome che dipende dalla natura delle cose da nominare
cose e parole sono strettamente legate
queste due strutture sono a loro volta spiegabili con un riferimento all’ordo idearum, è
tramite le idee che Dio crea e governa la sua creazione
di conseguenza anche l’ordinamento delle parole in qualche modo riflette l’ordinamento delle
idee, c’è una circolarità
in sostanza i medievali sono ottimisti, la realtà ha un senso, nella loro struttura la realtà delle
cose e del linguaggio sono isomorfe e riconducibili a dio, ricordandoci che tali parole non
sono dio (teologia negativa)
idea molto forte di pregnanza gnoseologica e metafisica del linguaggio, circoscritta al latino
la bibbia è tradotta in volgare solo a partire dal 1500, prima nelle due lingue della cultura: in
greco la Settanta, in latino la vulgata di San Girolamo
gran parte di Antico testamento scritto in ebraico, alcuni libri a partire dalla diaspora sono già
scritti direttamente in greco, mentre il Nuovo testamento è interamente scritto in lingua greca
(quindi il nuovo testamento è tradotto solo in latino)
il medioevo latino è molto ignorante del greco
nel IX secolo Giovanni Scoto Eriugena traduce due volte il corpus di pseudo dionigi, c’è
stato momento in cui nella corte carolingia ci sono state persone con ottima conoscenza del
greco forse per la presenza di dotti provenienti dall’oriente
per avere una nuova e solida conoscenza del greco bisogna arrivare al XIII secolo
tutta la visione medievale della realtà tende dunque alla coesione e all’unità
Alcuino di York dedica a Carlo Magno il Categoriae decem
nel medioevo vengono anche posti i fondamenti della semiotica

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nella teologia cristiana esistono i sacramenti, che per la chiesa cattolica sono sette, per
quella luterana protestante solo due, ovvero battesimo e eucaristia
i sacramenti sono segni efficaci:
in un medioevo a livello popolare soprattutto analfabeta, c’era una bibbia dei poveri, biblia
pauperum, che mostrava delle immagini
le immagini della chiesa sono dei segni che rimandano a qualcosa di superiore, ma nella
chiesa ce ne sono tanti, ad esempio le candele e l’incenso
entrare in una chiesa è entrare in un mondo di segni
quindi i sacramenti non solo rimandano ad una realtà superiore ad essi, ma fanno anche ciò
che significano: che cosa fa l'acqua nel battesimo? è segno di purificazione, ci ricorda il fatto
che dio è capace di perdonare i peccati, ma è un sacramento perché quel segno non solo
ricorda il perdono dei peccati, ma a tutti gli effetti opera una purificazione, per questo è un
segno efficace
questa concezione ha portato i medievali a interrogarsi sulla significazione, perché per
capire che cosa è un segno efficace bisogna capire che cosa è un segno, e per capire che
cosa è un segno bisogna capire che cosa significa rimandare ad una realtà ulteriore
come si spiega che il sacramento non solo sia un segno ma sia efficace, che cosa è
razionalmente un segno? da convinzione legata alla fede si arriva a problema trattato
razionalmente
infatti Agostino scrive per primo che cosa è un segno: è qualcosa che introduce nel pensiero
una realtà diversa dall'aspetto corporeo del segno, quello efficace evidenzia la presenza di
una realtà spirituale nascosta
questo evidenzia il legame che sussiste tra creatore e creature, da un lato c’è un necessario
scarto ontologico, dall’altro però dio è sempre presente per cui una realtà spirituale si può
manifestare in una materiale, il loro rapporto è di significazione
dottrina del segno è importante nel discorso sul linguaggio: la parola è un segno che
significa una cosa, e questa significazione è ontologicamente ancorata perché dio è
presente, e la parola è stata attribuita alla cosa da Adamo sotto l’occhio vigile di dio
la regula sermonis (formula di Smaragdo di Saint-Mihiel), ciò che presiede all'ordinamento
del linguaggio, rimanda all’ordinamento della realtà, legato a una cascata neoplatonica e
triadica di essere da dio, che si può esprimere con linguaggio fatto di segni
parlare è una forma di insegnamento, consente di condividere l’apparire della verità: parlare
di Dio, equivale a parlare con Dio (un certo ignoto Ambrosiaster, commento a Epistole
Paoline) e a conoscere il vero
tutta la realtà è segno, non solo le parole ma anche le cose: le cose infatti sono specchi
della creazione di Dio, riflettono la loro natura divina, sia in Genesi I che II è Dio che ha
creato ogni cosa
l’uomo è il signum più significante del cosmo creato
dalla semantica delle parole alla filosofia del bello
dunque per i medievali il mondo è bello: medievali hanno aperto la strada all’estetica
(possiamo considerare nella poetica di arist estetica riferita alla produzione dell’opera
letteraria, o in Platone una riflessione preliminare all’estetica nella concezione di idee come
modello) ma riflessione tematica sul bello inizia con il medioevo
per i medievali l’essere è unitario, quindi la bellezza è il modo in cui sia manifesta ai sensi
l’ordinamento che Dio ha posto nella realtà: la bellezza è l’organizzazione compiuta e
perfetta che Dio ha dato alla sua creazione
Alano di Lilla, erudito del XII secolo: ogni creatura è come un’immagine dipinta che
rappresenta quel qualcosa di eterno e di vero a cui corrisponde il suo essere particolare

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ai medievali sfugge aspetto individuale della percezione della bellezza, per loro in un cosmo
unitario e strutturato su progetto divino non c’è grande spazio per differenze individuali
bellezza è condizione intellettiva: cogliere una struttura, una numerologia significa cogliere
una bellezza, che è proporzione, si dà quando le parti sono armoniche
la prima bellezza è quella dell’anima, che si libera dalla molteplicità dello spazio e del tempo
e tende ad unirsi con ciò che è uno (cristianesimo che accoglie elementi platonici)- espresso
da Agostino nel De libero arbitrio
l’anima è la verità del corpo e trova la propria unità e bellezza separandosi dalla molteplicità
corporea
Ambrogio, Esamerone: “la vera bellezza è essere, sia nelle singole parti, sia nel tutto, ciò
che si deve essere”
allora ciò che è bello è anche giusto, perché entrambi lo sono in virtù del volere di dio
bellezza è armonia di proporzioni, che corrisponde al volere di Dio, quindi giustizia, è
rectitudo (essere retti, adeguati a ciò che Dio ha voluto)-Agostino
concezione di bellezza che richiede arte aulica, raffinata
arte medievale trova dentro alla regola la propria libertà, come la morale medievale cerca di
spiegare agli uomini come trovare dentro alla regola la propria libertà di azione
è riflessione vivissima e attenta, capace di sfaccettarsi
tentativo di spiegare l’ordine razionalmente
è una e sola la legge, principio universale della verità, che governa l’efficacia semantica
delle parole e l’armonia delle forme visibili, in un nesso tra capacità espressiva di
un’immagine appartenente a ordine armonicamente organizzato e quella di una parola in un
discorso significante

PARAGRAFO 7- LEX VITAE, DISCIPLINA MORUM, LA FILOSOFIA PRATICA NEL


MEDIOEVO
la libertà nell’ordine
trovano nei vangeli precetti etici ben delineati, considerazioni morali sono molto presenti (ad
esempio nei racconti di David nel libro di Samuele)
comandamenti nel pentateuco, inizio di bibbia
Bibbia ricca di indicazioni etiche, sul bene e male nell’agire
anche per questo l’elaborazione di una morale razionale, una filosofia dell’azione è stata uno
degli ultimi sviluppi compiuti nel medioevo, i contributi di etica medievale meno numerosi di
quelli nella metafisica e nella logica, altra ragione è che etica nicomachea è giunta ai
medievali tardi rispetto ad altre opere, quindi possibilità di avere strumenti filosofici
aggiornati è tardiva
riflessioni nei libri penitenziali, ovvero quelli che i chierici usano per amministrare il
sacramento della confessione e nell’etica di Pietro Abelardo nel XII secolo
dopo arrivo di Et. Nic riflessioni importanti in tommaso d’aquino e in Giovanni dun scoto, che
muore nella prima decade del 300, che ha etica innovativa e interessante
dal punto di vista quantitativo riflessione etica medievale inferiore rispetto ad altri ambiti del
sapere
agire buono è agire che si conforma a ordine voluto da dio, la bontà è una forma di rectitudo,
conformarsi della nostra volontà e azione a quella di Dio
la differenza tra meriti e demeriti in ambito pratico è misurabile nelle capacità che hanno le
azioni di volgere l’anima verso le mete spirituali

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come sul piano dell’adesione fideistica della mente alla verità dei dogmi, allo stesso modo su
quello morale la stabilità dei precetti etici richiede esercizio di razionalità critica che li renda
ancora più saldi
novità che trapelano soprattutto dal XII secolo:
- la relazione tra vita attiva e contemplativa è sbilanciata a favore della seconda in un
modo diverso da quello pensato da Aristotele (per lui è quella intellettiva, non
contemplativa, che ci porta in alto), realizzare parte più alta di noi è esercitare la
nostra anima per arrivare a Dio, slancio verso l’alto maggiore, operare bene vuol dire
giungere a contemplare dio (retaggi tradizione neoplatonica)
- rispetto al pensiero greco non c’è più un’idea orizzontale di eudamonia, di felicità
terrena come criterio ultimo di valutazione pratica, poichè superiore alla felicità c’è la
beatitudo, ovvero pienezza di vita felice che si può avere soltanto con la
contemplazione diretta di Dio- San Paolo: prima vediamo Dio come in uno specchio,
nella vita ultraterrena in modo diretto
ultimi quattro canti paradiso Dante con linguaggio ci dà idea di visione speciale
la beatitudo detta norma terrena
i due ordini etici, quello religioso e quello naturale, hanno obiettivo comune di
ricongiungimento all’unitarietà del comportamento dei singoli
normativa pratica si basa su traduzione di tutte le motivazioni individuali dell’agire in un
condiviso amore per la volontà divina
Filippo di Harvengt: conoscere sè stesso diviene conoscere ciò che DIo ha voluto per ogni
singolo uomo, ci sono leggi speciali e proprie di ogni condizione e funzione che ciascuno
riveste all’interno della società cristiana, ad esempio clero ha normative più ristrette, morale
ascendente
da rispetto di norme naturali dettato da razionalità filosofica a rispetto di volontà divina
esplicitata nelle scritture a perfezione dell’anima come desiderio costante di santità e
orientamento al bene
felicità terrena è quella collocata all’insegna di virtù cardinali, che nascono da schema
platonico ripreso e ampliato da Padri della Chiesa: sono prudenza, fortezza, temperanza e
giustizia, viste da autori latini come ciò che permetto di guidare l'anima alla contemplazione
di Dio lasciandoci alle spalle la materialità del nostro corpo
Girolamo le fa scaturire da altrettanti vizi
Ambrogio interpreta alla luce delle quattro virtù la vicenda del sacrificio di Isacco
Agostino, De musica: prudenza indica nell’unità una saldezza etica maggiore, la temperanza
sottrae dall’amore della bellezza carnale, la fortezza sconfigge paura, la giustizia ordina
anime al servizio di Dio
fine unico di umanità è aspirazione comune all’eterna stabilità del Bene sommo, c’è
superamento in chiave escatologica del modello dualistico della città dell’uomo contrapposta
alla città di Dio
predominante è l’incitamento all’amore per Dio e per il prossimo: charitas
la regola aurea dell’intera sapienza pratica medievale è proprio amare in Dio gli altri esseri
umani e negli altri esseri umani Dio
Pietro di Blois, XII-XIII secolo: la carità è la legge della vita
anche nel versante pratico c’è fusione di piani diversi, comprendere e credere non sono in
antitesi, ma modi diversi di tendere alla verità
cercare la felicità in terra orientando le nostre azioni alla rectitudo e cercare la
contemplazione di Dio in fondo sono la stessa cosa, sempre per il fatto che la creazione
rimanda al creatore

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a livello di elaborazione filosofica non c’è motivo per cui queste due dimensioni debbano
essere in conflitto

AGOSTINO DI IPPONA
inserito in periodo che precede filo latina-medievale, convenzionalmente iniziata con Boezio
all’inizio del VI secolo
354-430 d.C
nasce a Tagaste, in Numidia (attuale Algeria), molti pensatori di epoca patristica sono venuti
in occidente ma prima/dopo hanno vissuto in Africa
ha esercitato influenza enorme nel medioevo
le Confessioni, nei primi dieci libri autobiografia, è la prima autobiografia completa che
abbiamo di un filosofo- l’altro autore per il quale le vicende biografiche sono fondamentali
sarà Pietro Abelardo, ma grande maggioranza di autori latini medievali sono personalità di
cui abbiamo poche informazioni biografiche
autori medievali tendono ad essere molto impersonali
nasce da padre appartenente a nobiltà latina e madre cristiana, Monica, che ha avuto
importanza cruciale nella sua conversione
il padre lo manda a studiare e ottiene educazione letteraria e retorica a Madaura
nel 371, a 17 anni, si reca a Cartagine, forse in questo periodo muore il padre
racconta di essere stato un giovane dedito ai piaceri, che ricorda con pentimento, in età
giovanile si lega con una donna di cui non dice il nome, la chiama illa, ha da lei un figlio ma
quando si reca in Italia la ripudia e quindi non rivelare il nome è una forma di rispetto per non
sottoporla alla pubblica umiliazione
il figlio è Adeodato, letteralmente dato da dio, morto giovane, compare come interlocutore in
alcuni dialoghi di Agostino, nel De magistro addirittura è l’unico interlocutore
da giovane si tormenta per cercare verità che l’orienti nell’agire, riconosce di aver avuto
comportamenti che poi disapprova per questa sua tensione
trova la Bibbia povera e rozza, proprio dal punto di vista del linguaggio, ma dice di aver
trovato in un’opera ora perduta di Cicerone, l’Ortensio, che era di genere protrettico,
un’esortazione alla vita filosofica
a questo punto si avvicina a setta gnostica, il manicheismo: galassia di dottrine eterodosse
da II sec d.C poi ritenute eretiche, sono elaborazioni para filosofiche della Bibbia in cui
salvezza spirituale è data da una completa conoscenza intellettuale- Mani, dalla Persia, si
presenta come discepolo di Cristo
l’aspetto importante è quello del dualismo, per manichei ci sono due principi metafisici
equipotenti, quindi non per forza il bene vince sul male, in linea di principio il bene non è
ontologicamente superiore al male
dualismo si esprime in regno della luce e delle tenebre, i manichei con pratica ascetica
avrebbero dovuto preparare ascesa di regno della luce
per nove anni Agostino aderisce a questa setta, suscitando la disapprovazione della madre,
che percepiva ciò come una degenerazione della verità del cristianesimo
nel frattempo diventa insegnante di retorica a Cartagine
nel 380 scrive De pulchro et apto, Sul bello e sul conveniente, oggi perduta, che mostra
come si fosse volto a speculazione razionale
nel 382 decide di dare svolta a carriera di retore, trasferendosi a Roma, riscuote successo e
attira attenzione di Simmaco, prefetto di città
a Milano, sede allora di corte imperiale, viene scelto nel 384 come successore del defunto
oratore imperiale proprio Agostino

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a Milano scopre che un altro oratore in vista è Sant’Ambrogio, inizia per curiosità
professionale ad andare ad ascoltare le sue omelie, faceva parte di circolo neoplatonico
milanese che per vie ancora misteriose conosceva in traduzione latina parti di opere di
scuola neoplatonica di Atene e forse di Enneadi, questo permette ad Ambrogio di leggere le
scritture senza il problema di avere un dio legato alla corporeità
questo era invece un problema che Agostino aveva con i manichei, secondo i quali tutto ciò
che esiste è materia, è Ambrogio che spiega ad Agostino che possono esistere realtà
immateriali, e il supremo principio è tale proprio perché non è fatto di materia
questo porta Agostino a ritentare un approccio con la Bibbia
nel 385 congeda la madre di Adeodato e diventa catecumeno, legge libri platonicorum (testi
platonici probabilmente tradotti da Vittorino)
si ritira in una villa a Cassiciaco, sul lago di Garda, con amici e inizia a scrivere i dialoghi, su
scia platonica ma con chiari influssi ciceroniani, a cui si aggiungono temi cristiani
nel 387 si converte e si fa battezzare proprio da Sant’Ambrogio, in seguito decide di tornare
in Africa
sul viaggio di ritorno muore la madre Monica (Santa Monica e sant’Agostino messi in due
giorni consecutivi per indicare che senza la prima non potrebbe esserci stata la sua
conversione)
torna a Tagaste e fino al 390 vive con gruppo di adepti e amici, scrive altre opere di filosofia
e altri dialoghi, tra cui De musica, De magistro, il trattato De vera religione
filosofia come sforzo di comprensione di verità che ora riconosce come rivelata da Dio
si reca ad Ippona per fondare un monastero ma viene fatto prete per aiutare il vescovo della
città, Valerio
inizia a predicare, redige centinaia di sermoni
nel 396 alla morte di Valerio egli gli succede e diventa vescovo, si trova ad affrontare le varie
eresie che si sviluppano in Africa, tra cui quella pelagiana
continua a scrivere di filosofia
De doctrina cristiana, gigantesco progetto di enciclopedia che il cristiano deve conoscere
selezionando il sapere antico, rimane incompiuto
nel 397 inizia a comporre le Confessioni
grande trattato De trinitate, sul problema della trinità
altro grande evento che influenza sua vita è invasione dei Goti che nel 410 saccheggiano
Roma, ai cristiani viene imputato di aver indebolito la potenza romana e averla predisposta
all’invasione
La città di dio: articolata teoria della storia
altra opera da ricordare Retractationes, ripercorre tutta la sua produzione per dire che cosa
con il senno di poi gli paia sbagliato, scrupoloso lavoro di revisione e correzione di opere
redatte in arco temporale vasto, circa 45 anni, ci mostra Agostino preoccupato di
correggersi, è catalogo delle opere fatto dall’autore stesso, è molto importante
testimonia anche consapevolezza di diffusione delle proprie opere al di là della sua volontà,
nel senso che circolavano opere falsamente a suo nome o suoi sermoni contraffatti, caso
raro di autore che può intervenire sulla propria fortuna per correggere degli aspetti
alcuni temi particolarmente ricorrenti con una certa circolarità
problema del male
esperienza di anni di vita dissoluta lo portano ad interrogarsi su male, ma sono anche frutto
di irrequietezza e desiderio di bene
anche l’adesione al manicheismo è un tentativo di risolvere questo problema, dato che i
manichei forniscono una soluzione chiara: esiste principio ontologico del male

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andando dal maestro Fausto a volte ha polemiche
leggendo Cicerone capisce che verità può essere ricercata nella filosofia
non concepisce come ci possa essere un dio principio di bene se poi esso può essere
subordinato al male
non ha senso parlare di dio se non si parla di entità perfetta, in quanto tale immutabile
nella filosofia platonica ciò che è buono è anche incorporeo e intelligibile- affascinato da ciò
che sente da Sant’ambrogio
capisce che non ha senso pensare a due principi, me nemmeno al fatto che siano corporei
aderendo al cristianesimo gli resta comunque da spiegare da dove derivi il male
tutto proviene da Dio, che è il supremo essere, ma se il bene coincide con Dio allora
coincide anche con l’essere, mentre il male con il non essere
bisogna cogliere che nella realtà esiste gerarchia di essere che coincide con gerarchia di
bene, da essere in senso pieno e perfetto a cose sensibili, corruttibili perché mescolano
essere e non essere- se fossero solo essere sarebbero dio
dire che Dio è creatore significa dire che conferisce l’essere alle cose create, dato che
essere e bene coincidono, tutte le cose create sono buone sia singolarmente che nel
complesso
negli anni del ritiro a Cassiciaco: tra platonismo e cristianesimo, il male non è realmente
essere, è male ciò che è lontano da dio, ovvero dall’essere, non ha reale consistenza
ontologica, quindi il male in senso metafisico come esistenza di ciò che non è bene nella
realtà non corrisponde al un principio reale- è la più perfetta negazione del manicheismo
esempio della cecità: non è in sè qualche cosa, è una mancanza, quindi non c’è un essere
reale della cecità nell’occhio
la polvere che essere ha? esempio tratto da Platone, che si chiede se ci siano idee di cose
corrotte e spregevoli, ma ciò non vuol dire che la polvere non esista, ha degli effetti negativi
sulla realtà
come spiegare l’esistenza ed effettività del male?
si inizia a intravedere distinzione che si caratterizza nel medioevo più compiuto: ci sono tre
ordini di mali:
- metafisico, il fatto che l'essere nella realtà possa essere deprivato o insufficiente
- fisico, sofferenza o dolore, impostazione tipica della patristica: il male fisico è
conseguenza del peccato originale, da Adamo introdotta nel mondo la morte e il
male, tutti hanno assunto non la colpa ma la pena da scontare
- morale, azione cattiva o predisposizione ad essa, è da addebitarsi non a Dio ma alla
volontà umana, Dio non vuole il male infatti egli non lo fa, ma ha concesso all’uomo
la libertà, che può volgersi a scegliere ciò che è meno bene perché è meno essere
ma anche ciò che è male, ovvero la negazione dell’essere. una volontà che fa il male
non ama ciò che dovrebbe amare
De libero arbitrio: non potrebbe Dio impedire alla volontà umana di fare il male? ha una
responsabilità almeno indiretta, non impedendolo- risposta ha influssi sulla posizione
ottimistica medievale
se Dio lo impedisse, toglierebbe all’uomo la sua libertà
sceglie che la libertà umana sia maggiormente da preservare rispetto alla non esistenza del
male
male come effetto collaterale di un bene più grande
prospettiva che concede all’uomo un’altissima dignità
senza la libertà l'uomo non potrebbe essere buono, quindi senza libertà sarebbe privato
di un bene maggiore di quello che potrebbe fare di male

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con il peccato non si produce del male a Dio ma a sè stessi, chi commette una colpa ha già
in ciò la punizione, in quanto si priva del Sommo bene
altra questione: Dio non è onnisciente quindi pre-vidente? dovrebbe prevedere il peccato
(conseguenza sarebbe che se Dio sa che l’uomo peccherà allora è necessario che l’uomo
pecchi)
Agostino dice che Dio prevede la nostra azione, ma come libera, non come obbligata,
prevede la volontà come in nostro potere- questa risposta trova formulazione più compiuta in
Boezio, come conciliare onniscienza e quindi prescienza con la libertà umana
ricerca della verità e interiorità
ci mostra tendenza fondamentale: ricondurre problemi filosofici alla dimensione
dell’interiorità, la trattazione del male morale infatti si rifà alla volontà
la verità va ricercata nell’interiorità dell’uomo: in interiore homine stat veritas
siccome la verità che troviamo nell’interiorità è quella di Cristo, gli antichi filosofi se avessero
avuto la Rivelazione sarebbero stati Cristiani
Cristo è la verità riassuntiva di tutte le altre parziali
rivolgersi all’interiorità rischia di porci in un ambito solamente o prettamente soggettivo
c’è sensibilità psicologica straordinaria per il suo tempo
attenzione vibrante alle minime alterazioni dei propri pensieri, analisi acuta di tutto ciò che
passa per la sua mente
si tratta di trovare nell’interiorità un criterio assoluto di verità, nell'intelletto dobbiamo trovare
una verità incontrovertibilmente certa- e quindi valida per tutti
supponiamo che non esista nessuna verità, e che dunque si possa sbagliare riguardo a tutto
(confuta classica posizione scettica), trovo una cosa su cui non posso dubitare, la mia
esistenza
si fallor sum, se mi sbaglio esisto, è un vero di cui non si può dubitare, se si constata di poter
dubitare non si può dubitare dell’esistenza
originaria evidenza mostra che siamo capaci di verità, che dentro di noi non è legittimo un
dubbio totale
cercare verità nell'interiorità è cercare qualcosa che c’è
De vera religione, la verità è proprietà delle proposizioni
supponiamo che tutte le proposizioni siano false, ma allora è vero che tutte le proposizioni
sono false: rimane verità superiore, trascendente rispetto a tutte le proposizioni
se posso dubitare di tutto, allora è vero almeno che posso dubitare di tutto
dentro di me constato la presenza di una verità superiore al dubbio radicale, e ciò avviene in
quanto dentro di me risiede la fonte di verità che è Dio e in particolare Gesù Cristo
proprio perché la verità che troviamo in noi è eterna, dobbiamo constatare che la nostra
anima non è eterna, ospita germe di verità inattaccabile ma la nostra anima non è eterna,
incontrovertibile, e non ospita soltanto la verità
la verità non deriva all’anima dalla sensibilità, che ci conferisce elementi di conoscenza
sempre mutevoli, parziali ed effimeri (platonismo)
nocciolo di verità non può essere desunto da evidenza empirica, ma non deriva nemmeno
dall’anima stessa perché non è eterna
allora Agostino introduce concetto di illuminazione, che avrà influenza enorme nel
medioevo pur con delle sfumature diverse (diventa dottrina di stampo più occasionalistico), è
una presenza immediata di Dio alla nostra anima, che noi rileviamo con la nostra facoltà
conoscitiva: questa presenza immediata NON è responsabile di tutte le nostre conoscenze,
altre funzioni possono essere espletate autonomamente

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non c’è occasionalismo della conoscenza, per cui serve intervento divino per sorreggere
ogni nostra conoscenza (per cui ad esempio ogni volta che vedo qualcosa deve intervenire
dio perché io possa effettivamente compiere ciò)
Dio mette in grado di conoscere e comprendere quelle verità che l’anima non è in grado di
darsi da sè, partendo da percezione sensibile e lavorando con propri strumenti intellettivi
le regole eterne, i principi universali, i criteri di verità richiedono un’illuminazione da parte di
dio, che dunque garantisce la stessa possibilità di accordo e comunicazione tra gli uomini
ad esempio tra queste verità ci sono i supremi principi della matematica: non possiamo
ricavare dai sensi che due rette parallele non si incontrano mai, non siamo noi a darci
l’evidenza di questa verità
il risultato dell’illuminazione è dunque un’imposizione alla nostra mente di verità che
trascendono i sensi, sono eterne
all’inizio del soliloqui annuncia il suo programma di ricerca: solo accettando di conoscere Dio
posso conoscere la vera natura dell’anima, ma solo conoscendo l’anima e rivolgendomi
all’interiorità posso cogliere la verità di Dio
filosofia come ricerca di Dio nell’anima e attraverso l’anima
ecco perché l’irrequietezza, il bisogno di confessarsi
presenta il suo percorso spirituale come il modello di ciò che capita a tutti coloro che
ricercano la verità nella vita, le Confessioni mostrano come domanda filosofica e preghiera a
Dio siano legate indissolubilmente
il pensiero è un dialogo, dell’uomo con Dio, ma anche tra gli uomini, il rapporto individuale
con dio ma per la ricerca della verità non basta rapporto solipsistico con Dio
nel De beata vita, o la prima o seconda opera, sente la tentazione dello stoicismo, poi dice
che ha sbagliato perché ha presentato il cristiano come un qualcuno di autosufficiente:
Retractationes, serve un confronto
riflessione sul tempo
11 libro delle Confessioni, primo dopo la parte autobiografica
kant riconduce il tempo a dimensione gnoseologica, ma ciò non toglie che il tempo abbia
tasso di oggettività limitato (Bergson)
problema che Genesi racconta, una creazione dal nulla senza specificare chiaramente che
cosa ne sia del tempo
Dio c’era prima di creare?
per Agostino troppo presto per problematizzazione e risoluzione, usa battuta e dice che
prima di creare Dio faceva l’inferno per quelli troppo curiosi, modo per dire che domanda è
mal posta senza formulare risposta soddisfacente
quello del tempo è problema complesso, tutti sappiamo che cosa sia ma quando ci troviamo
a definirlo siamo in difficoltà
il concetto umano di tempo è inadeguato se riferito a Dio
chiedersi che cosa facesse Dio prima della creazione è fuorviante e sbagliato, perché
presuppone che anche Dio sia nel tempo, mentre il piano umano e divino sono
incommensurabili: tempo ed eternità sono due termini incompatibili, non ha senso nemmeno
parlare di “tempo eterno”
dice che creando la realtà dal nulla crea anche il tempo, che è una dimensione che si
applica dunque alla realtà creata
iniziamo dividendo il tempo nei suoi aspetti fondamentali, chiedendoci che cosa sia ognuno
di essi:
- passato, che è ciò che non è più, quindi effettivamente il passato non è (più)
- futuro, che non è (ancora)

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- presente, l’unica dimensione del tempo che è, ma non è assolutamente, se fosse
assolutamente sarebbe una perfetta e totale attualità, ovvero l’eternità- il presente è
in quanto trascolora continuamente nel passato e anticipa il futuro
l’istante presente non ha quantità determinabile, constatiamo che è ma non ha una
vera e propria estensione
[il presente è un fiore tra due abissi- detto da Liszt in riferimento a parte di Al Chiaro
di Luna di Beethoven]
per cogliere che cosa è il presente bisogna guardare, ancora una volta, alla propria
interiorità
il passato è un ricordo, la traccia che ciò che è avvenuto ha lasciato nella memoria
il futuro invece è l’attesa, timore, la tensione verso ciò che deve ancora venire
la traccia della memoria si dà nel presente, così come la protensione verso il futuro
guardando all’interiorità quindi non si vedono più le tre dimensioni del tempo, ma tre diversi
modi di darsi del presente:
- il presente del passato
- il presente del futuro
- il presente del presente, nel quale si presentificano il futuro e il passato, che è la vita
dell’anima, il mio presente è la mia anima
il tempo è la distensio animi, un distendersi della vita dell’anima, che vive e si protende
verso la memoria del passato e la tensione al futuro
è riflessione razionale, stringente
essendo che l’anima vive, non è sempre uguale e non coglie sempre il passato e il futuro nel
suo presente allo stesso modo
ecco che è l’unità dell’anima (che a sua volta rimanda all’unità divina) che conferisce
consistenza al tempo, se non ci fosse l’anima non ci sarebbe il tempo
domandarsi che cosa sia il tempo allora in fondo è chiedersi che cosa sia l’anima
c’è dato scritturistico di partenza (mondo creato da Dio), ma il resto è riflessione razionale
che opera a partire dall’uomo e dalle sue facoltà per poi tornare alle domande sollevate dal
primo capitolo della Genesi, nella cornice della Scrittura il quadro è filosofico
per capire cosa sia anima non possiamo scindere in modo netto riflessione razionale
sull’anima dal dato rivelato, siccome l’anima è posta in noi da Dio: la stretta fusione dei due
piani fa sì che indagando la natura dell'anima scopriamo alcuni aspetti dell’essere divino
l’anima e la Trinità:
l’argomento del male ci ha permesso di riconoscere dell’anima la volontà, noi ci pensiamo
come creature libere e, nella ricerca della verità, come esseri intelligenti
ci pensiamo come esseri dotati di volontà ma vogliamo essere intelligenti
cogliendo le due dimensioni, di volontà e intelligenza, ci si accorge che esse si implicano a
vicenda: io penso, e mi penso come essere che vuole, e tra le cose che voglio c’è il pensiero
la riflessione sul tempo mette in luce la memoria, perno fondamentale della costituzione
dell’individualità umana, come mi ricordo? mi ricordo di me come un essere intelligente, e mi
ricordo di quello che ho voluto e desiderato
tre facoltà:
- memoria- esistere
- intelligenza- sapere
- volontà- amare
sono tre dimensioni distinte ma circolarmente coimplicantesi, così come lo sono le tre
dimensioni a cui mettono capo queste tre facoltà

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l’intelligenza ci rende possibile sapere, la volontà ci permette di amare, la memoria ci
permette di riconoscerci come risultato del nostro passato
esisto come ente che sa e ama, so di esistere e di amare, amo esistere e sapere
possiamo dire di esistere, ma sappiamo di esistere e vogliamo esistere
noi esistiamo come entità che amano e conoscono
ciò è possibile perché la nostra anima è immagine della trinità divina
sono dimensioni dinamiche, anche se sono diverse non possono esistere separatamente e
in modo isolato, come il padre il figlio e lo spirito santo, la struttura della nostra anima ci
permette di capire che cosa sia la trinità
sono tre dimensioni ma insieme formano un’unica anima
l’uomo è immagine della trinità divina, e Dio nella sua creatura più alta, ovvero l’anima
umana, ha posto la parte più segreta e profonda, quella della circolarità delle sue tre
persone
questa analogia è creata, dunque parziale
in Dio sono una sola sostanza, nell’anima tre facoltà di una sostanza
l’immagine, platonicamente, non può essere perfetta come il modello
ecco in che senso l’indagine sull’anima umana ci permette di cogliere meglio la natura di Dio

verso un’antropologia pessimistica


Lutero era un monaco agostiniano, a partire da riflessioni su grazia e libero arbitrio ha
costruito dottrina del sola fide: le opere sono inutili, la giustificazione è legata solamente alla
pura fede del credente, così antropologia pessimistica, non c’è bene che io sia in grado di
fare dato che esiste predestinazione, se io faccio un bene Dio la sapeva già quindi è
irrilevante per la salvezza
la produzione agostiniana si estende su arco di tempo lungo, non bisogna stupirsi che si
trovino dottrine in conflitto, sono contraddizioni di una persona che ha scritto opere da
appena convertito e altre da vescovo che combatte contro le eresie
c’è evoluzione di antropologia agostiniana in senso marcatamente pessimistico
i donatisti dicevano che nella Chiesa dovevano starci solo coloro che non erano peccatori,
comunità santa di eletti che non si deve mescolare
Agostino: la chiesa è comunità universale di coloro che riconoscono Cristo come mediatore
di salvezza, escludere dalla chiesa i peccatori non ci dà più criterio di chi possa stare nella
Chiesa, ma soprattutto tutti gli uomini sono peccatori perché tutti ereditano la pena di
Adamo, non essere più in una piena corrispondenza di immagine di Dio nell’uomo
nessuno è veramente santo
questa polemica lo porta a riflettere sul tema del peccato, accentuando il suo ruolo nella
comprensione della realtà umana
inizia a leggere san Paolo, che nella Lettera ai romani dice che è la fede a giustificarci (in
essa in realtà ci sono almeno due linee della dottrina della giustificazione), e fa dipendere
sempre di più la salvezza dell’uomo dalla grazia di Dio
è stata la polemica con Pelagio ad esasperare questo aspetto
egli sosteneva antropologia ottimistica ma ingenua: all’uomo naturalmente è stata data la
forza di operare bene, e il male essendo non essere non può intaccare la natura dell’uomo,
ma allora il peccato di Adamo non avrebbe dovuto intaccare la bontà dell’uomo e ognuno
sarebbe responsabile solo dei propri peccati: così bastano le opere buone per la salvezza e
risulta vana l’incarnazione di Cristo
per salvare il dogma di fede dell’incarnazione di Cristo Agostino esaspera il suo pessimismo
antropologico

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traducianesimo: anima di ogni uomo si forma nel momento del concepimento, passa
materialmente con il seme da padre in figlio e per il fatto di questa derivazione in tutta
l’umanità si è trasmesso il peccato originale, da cui è immune solo Cristo, essendo stato
generato da una vergine
accentua disprezzo per la sessualità, enfatizzazione della concupiscenza come origine del
male, esaspera ruolo di misericordia imperscrutabile
gli uomini sono una massa dannata a meno che non sia Cristo a salvarli con una
predestinazione imperscrutabile
la vera libertà, ovvero libertà dal peccato, non poter peccare, è prerogativa solo di coloro che
sono eletti dalla grazia divina, grazie a cui libertà diventa sottomissione al bene
la volontà che ha ricevuto la grazia, possiede l’amore, la caritas, che fa sì che l’anima
preferisca ciò che è migliore rispetto a un bene inferiore
la vita felice è allora un dono dato da Dio indipendentemente dai meriti dell’uomo
i toni della polemica con pelagiani si esasperano
fino a una decina di anni prima della morte ha scritto ancora pagine che consegnano
antropologia ottimistica

La città di Dio
opera fondamentale per filosofia della storia dei medievali
ventidue libri, scritta tra il 413 e il 427
si assume l’incarico di dimostrare superiorità del cristianesimo su istituzioni e forme di
cultura umane
concetto di provvidenza: è Dio che fa nascere e perire gli imperi, ha fatto perire quello
romano per favorire la diffusione del cristianesimo
la Chiesa è la realtà storica che è subentrata all’impero romano
vicende della storia dipendono da ordinamento voluto da Dio, anche ciò che in un momento
appare negativo può essere letto sotto una luce positiva
la storia è freccia orientata alla salvezza eterna (polemica contro stoici e idea di cicli
cosmici), la fine è vicina, prospettiva escatologica di un destino che supera la realtà terrena
è molto forte (ma lo era anche in san Paolo, diceva che la fine è imminente)
ci sono voluti parecchi secoli per verificare che questa imminenza tardava ad avverarsi
città di dio retta dall’amore di Dio stesso, costituita dagli uomini giusti, vivono secondo lo
spirito
città terrena retta dall’amore degli uomini per sè stessi, che vivono secondo la carne
questa divisione è iniziata con la vicenda di Adamo ma a livello individuale ognuno deve
scegliere a quale città appartenere, l’amore di Dio spinto fino al disprezzo di sè ci fa
appartenere alla città di dio
la percentuale di predestinazione non è troppo accentuata, Dio opera affinché alcuni
facciano parte della sua città ma c’è una fortissima responsabilità individuale
impero romano ha avuto un generale mancato riconoscimento di Dio e quindi rovina
è chiaro che la perfetta relazionalità umana rappresentata dall’essere nudi di Adamo ed Eva
nell’Eden è perduta
le relazioni sono relazioni di potere ma è anche necessario e lecito che ci sia un’autorità nel
mondo
ma nella chiesa l’orientamento è quello della città di Dio, nell’impero volgersi a far parte della
città terrena
facile volgere questo discorso verso una giustificazione del potere politico della Chiesa
sopra a quello imperiale- letture che hanno portato a teocrazia pontificia

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dinamiche legate alla caduta dell’autorità e del dominio non sono evitabili e non si può dare
una soluzione perfetta del conflitto delle città se non con l’escatologia cristiana
prima dell’evento finale il membro della città di dio è un peregrinus, uno straniero in terra, e
solo allora raggiunge a tutti gli effetti la pace e la beatitudine
questa prospettiva escatologica esclude dunque l’identificazione del Regno di Dio con un
qualsiasi regno umano (ma anche con la Chiesa, che è comunque una realtà legata al
tempo e alla storia) ed è legata ad una concezione pessimistica dello stato (potere
coercitivo, compito del sovrano ridurre gli abusi)

BOEZIO
Torquato Manlio Anicio Severino Boezio
480-524/25 d.C
alto funzionario imperiale alla corte dei Goti di Teodorico, da cui viene fatto giustiziare in
quanto sospettato di aver congiurato alla vita del sovrano
progetto culturale di Boezio viene da lui annunciato nel secondo commento al De
Interpretatione aristotelico: vuole tradurre e commentare analiticamente opere di Platone e
Aristotele per mostrare la loro sostanziale concordia
può sembrare un progetto ambizioso e strano
la tradizione neoplatonica aveva propugnato spesso l’idea di una concordia tra queste due
grandi agende filosofiche
dietro ci può essere anche idea patristica di unica verità, oltre a retaggio neoplatonico
ideale enciclopedico di concordia filosofica per Boezio significa dare al mondo antico, di cui
egli constata la fine, il riferimento ad un sapere unitario e certo
è ideale di una sapienza che è cristiana e filosofica, un sapere che si è attuato pienamente
con la Rivelazione ma è anche un ideale filosofico: la filosofia antica in molti aspetti ha
anticipato e in qualche modo espresso questa idea di unitarietà della verità
prologo di La consolazione della filosofia: personificata, va a visitare Boezio in carcare,
vanno a visitarlo anche le Muse ma senza riuscire a consolarlo, la filosofia gli ricorda i tempi
in cui era suo discepolo, lo invita a dialogare con lei, ma questa è LA filosofia, quella vera,
una sapienza filosofica antica unitaria e indistruttibile, come unica è la sua veste nonostante
gli strappi causati dai falsi filosofi, che si vantano poi del loro misero bottino, e la polvere
dell’oblio umano che l’offusca
mettere a disposizione di un mondo radicalmente cambiato un vero e unico sapere che si
accordasse con quello cristiano
le prime due opere sono due manualetti, De institutione arithmetica e De institutione musica:
sono parafrasi di due trattati di Nicomaco di Gerasa, un neopitagorico, ci mostra quanto la
formazione boeziana sia coerente con lo spirito dei suoi tempi (scuole platoniche influssi
pitagorici)
ci mostrano già la consapevolezza di Boezio di una divisione degli ambiti di sapere, manuali
per discipline diverse, ognuna con rigore metodologico
le diverse discipline permettono nel loro insieme all’uomo di giungere all’unica verità, le
forme eterne e prime
le discipline del quadrivio sono molto importanti, come le matematiche lo erano per
l'Accademia
l’aritmetica e la musica riguardano le quantità discrete, considerate in sè dalla prima e in
relazione reciproca dalla seconda
la geometria e l’astronomia con le quantità continue, considerate in quanto immobili dalla
prima e in quanto mobili dalla seconda

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sono quattro strade distinte ma convergenti nel loro esito, ovvero portarci a unica verità
del suo grande progetto ha portato a termine solo l’inizio, che ebbe un impatto fondamentale
per la tradizione successiva: ha tradotto le Categorie e il De interpretatione, ad esse vanno
aggiunte la traduzione all'Isagoge di Porfirio, che voleva dare un’introduzione alle Categorie
di Aristotele, e i commenti a queste opere
aggiunge a queste opere alcuni trattati originali, che risentono di elementi non solo
aristotelici ma anche di logica stoica: trattato Sui sillogismi categorici (parafrasi di Analitici
primi), e trattato Sui sillogismi ipotetici, importanti per gli stoici
nella sua sistematizzazione si compenetrano tutti gli strumenti formali (di cui ovviamente era
a conoscenza) elaborati fino a quel momento dalle varie scuole
queste opere sono molto importanti storicamente: hanno costituito quella che i latini
chiameranno la logica vetus- costituita quindi da opere di Boezio e da altri come dal trattato
delle Dieci categorie dello pseudo agostino, in realtà trattato di scuola stoica-, la logica
antica, che intorno alla metà del XII secolo si contrapporrà alla logica nova- ovvero quella
aristotelica
la logica che il medioevo ha avuto per tutta la sua prima parte era quella di Boezio, e anche
con l’arrivo di logica nova le traduzioni di Boezio hanno goduto di fama imperitura
nei suoi commenti comincia a trattare il problema degli universali
scritto pagine importanti per quella che poi i medievali con l’arrivo di opere di Aristotele
chiameranno metafisica, ma che in Boezio si sovrapponeva alla teologia: nella Consolazione
della filosofia non cita mai il Vangelo o i Padri della Chiesa, quindi ancora nell’800 c’erano
dubbi sulla fede cristiana di Boezio
poi nel IX secolo sono stati scoperti 5 opuscoli, ovvero piccoli scritti di argomento teologico
che trattano di problemi trinitari e cristologici, questo dubbio ha iniziato a vacillare
dove parla di filosofia mostra una almeno iniziale consapevolezza di stare facendo un lavoro
diverso, perché la filosofia procede senza toccare la verità teologica, che in qualche modo
presuppone senza però mai esplicitare: insolito per epoca che tendeva a citare sempre i
padri e vangeli
lui era fedele a impostazione che aveva assunto fin da giovane traducendo Nicomaco di
Gerasa: diverse discipline percorrono strade diverse, ma non ha ancora armamentario
concettuale e epistemologico efficace per esplicitare quale sia il carattere specifico della
metafisica tale da distinguerla dalla teologia
possiamo dire che in pratica distingue gli ambiti ma teoricamente non fa un discorso reale di
distinzione dei due ambiti
qualsiasi verità la mente umana sia in grado di cogliere è una verità divina
c’è Dio che si auto rivela nella tradizione religiosa e informa di sè ogni verità
nella pratica appunto opera una distinzione, fa il logico parlando di logica, il matematico
quando scrive di matematica, il filosofo dialogando con la Filosofia
questo armamentario si vede bene nel terzo degli Opuscula sacra, De hebdomadibus:
hebdomas in latino non esiste, abbiamo hebdomos come aggettivo in greco che significa
settima, non sappiamo cosa siano, dice: mi hai chiesto di chiarirti, riferendosi a interlocutore
immaginario, le dottrine che hai trovato nelle hebdomadi
nei testi medievali spesso ci sono problemi di decifrazione di termini
questo opuscolo vuole rispondere appunto ad una domanda: perché le cose buone sono
buone senza essere il bene? la domanda è di metafisica neoplatonica
qual è relazione tra il bene in sè e le cose buone?
la risposta di Boezio a questo problema si situa nell’alveo canonico della metafisica della
partecipazione sviluppata dal platonismo- le cose tanto più sono quanto più partecipano di

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realtà- aggiorna ponendo origine della partecipazione in Dio, le cose sono buone perché
partecipano di quella somma bontà che è Dio e ciò avviene per volontà di Dio stesso- altro
esempio del tipico ibrido di metafisica platonica e creazionismo cristiano, formato a partire
da Agostino
importante soprattutto perché è opera che vuole condurre con metodo assiomatico: idea che
altre discipline si possano conformare al procedere della geometria ideato da Euclide ne Gli
elementi: ci sono delle proposizioni particolari, i postulati, che sono immediatamente evidenti
e vanno a formare le premesse di altre proposizioni, vuol dire avere principi autoevidenti di
partenza da cui procedere deduttivamente per trarre le altre verità
enuncia prima i principi evidenti riguardo all’essere, ne pone 10
passa idea che sarebbe importante e bello costruire teologia in modo assiomatico, torna in
due autori medievali del XII secolo, Alano da Lilla, e fine del XIII Raimondo Lullo
Ethica ordine geometrico demonstrata di Spinoza è assiomatizzazione razionale dell’etica
assiomatizzazione del sapere filosofico ha avuto influsso non solo in epoca medievale
uno dei principi dice diversum est esse et id quod est: è cosa diversa l’essere e ciò che è
vuol dire che ciò che è (realmente, effettivamente, in un modo d’essere determinato) non è
l’essere tout court
l'essere è il principio che si manifesta in ogni cosa che è determinata, ogni id quod est
Gilberto di Poitiers del XII secolo ne fa il perno di dottrina metafisica fondamentale, ovvero
quella dell’analogia dell’essere: Boezio ha intuito che dicendo est posso dire cose diverse,
riferendosi a essere totalmente generale, ma anche una cosa specifica
polisemia non solo lessicale ma metafisica del verbo essere, declinata da Aristotele ed
espressa da Boezio in chiave neoplatonica
la teologia per lui ci permette di cogliere aspetti che la ragione naturale vedrebbe in modo
confuso
nel De trinitate, il primo opuscolo- questione giunta a definizione stabile con il concilio di
Nicea- dice che la nostra facoltà conoscitiva va tripartita:
- il sensus
- la ratio
- l’intellectus
umanamente cogliamo l’esistenza della sensibilità e della ragione, ed è la teologia che ci
introduce all’intelletto
la ragione è una facoltà discorsiva, che procede per passaggi e in modo mediato da
premesse a conclusioni
l’intellectus invece è una facoltà intuitiva, e in teologia il modo giusto di procedere è
intellectualiter, perché Dio è incommensurabilmente superiore alle capacità naturali della
ragione, si può cogliere solo con visione intuitiva, immediata e totalizzante
a un certo punto della Consolazione della filosofia, essa insegna questa distinzione facendo
un paragone tra divenire ed essere: la ratio rappresenta il divenire, un passaggio mediato,
mentre l’intelletto la perfetta fissità e intelligibilità dell’essere nel suo senso più generale
per la mente umana arrivare a tale visione significa assimilarsi a Dio nella misura in cui
all’uomo è possibile (tutto ciò che è oggetto di conoscenza viene conosciuto non secondo la
sua natura ma secondo le capacità del soggetto conoscente), per poi ridiscendere sul piano
della razionalità discorsiva e comunicare il contenuto della propria intuizione
è proprio tale processo di perfezionamento conoscitivo a realizzare la consolazione
dell’uomo promessa dalla Filosofia (ossia dalla sua scienza più alta, la teologia)
nel secondo libro dell’opera la filosofia spiega che i beni umani seguono una ruota, nel
senso che può andare bene o male, impronta stoica a livello morale

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nel terzo libro dice che governo del cosmo da parte del principio divino è assolutamente
buono
nel quarto e nel quinto libro la filosofia cerca di consolare Boezio facendogli vedere il mondo
da un punto di vista intellettuale, facendogli cercare di superare la propria particolare
situazione di sventura per innalzarsi a livello più divino
nel 5 libro tocca problema della libertà di agire umano collegata alla prescienza divina: i due
aspetti si possono conciliare, dà risposta filosoficamente serrata
per capire la soluzione dobbiamo vedere distinzione che fa tra due tipi di necessità:
- assoluta, quella caratteristica dell’essere per cui l’essere non può essere diverso da
come è
- conseguente, la necessità di ciò che segue da determinate cause
non sono sovrapponibili, si può dare una necessità conseguente senza una assoluta
il fatto che Socrate sia seduto non è necessario in senso assoluto, ma è la necessaria
conseguenza di determinate condizioni e premesse
questo introduce fin da subito, senza esplicitare, una distinzione fondamentale tra il piano
dell’essere delle creature e il piano dell’essere di Dio, che ricorda il diversum est esse et id
quod est: sul piano dell’essere totale di Dio ha senso parlare di necessità assoluta, mentre
su quello creato solo di necessità conseguente
due alternative possibili:
- se uomo è libero può fare o non fare in modo indifferente una determinata cosa
- se Dio prevede tutto dall’eternità, qualsiasi cosa l’uomo decida di fare e di non fare è
già stato visto da Dio, quindi la libertà sarebbe un'illusione, e ciò che pensa di fare e
non fare liberamente sarebbe frutto di un decreto divino già stabilito
Boezio usa l’immagine di chi si pone su un alto monte, da cui poter vedere tutto ciò che
succede in basso: costitui vedrà tutto, senza però necessitarlo, però Dio è perfettamente
trascendente, per questo è importante distinguere i livelli di necessità
può sembrare che la prescienza di Dio faccia diventare assolutamente necessario ciò che
nella nostra esperienza è necessario solo in modo conseguente
Dio non solo guarda ciò che gli uomini fanno, ma lo fa essere
come risolvere il problema? innalzarsi con intelletto e cogliendo che Dio è totalmente al di
fuori delle dimensioni del tempo, ha conoscenza perfetta di ciò che succede nella vita di tutti,
guarda ad essa in un eterno presente, che non ha distinzione tra passato e futuro, immobile
in sè
è un Dio infinito nel senso che è al di là del tempo, quindi vede tutto senza
necessitarlo perché ha posto la creazione nel tempo
non impone la necessità assoluta al piano della creazione, che è sottoposta a quella
conseguente in quanto Dio l’ha inserita nel tempo, che è il criterio di governo di tutta la
creazione
noi rimaniamo liberi perché siamo incommensurabilmente inferiori rispetto a colui che è
perfetto e onnisciente
medioevo maturo dirà che Dio non ci necessità perché per lui non valgono le categorie
umane

Boezio partecipa anche di polemiche teologiche del suo tempo


quinto opuscolo, Contro Eutiche e Nestorio, contro nestorio è diretto concilio di calcedonia
sono dottrine eretiche rispetto a natura umana e divina di Cristo, concili per chiarire la divina
umanità di Cristo

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Boezio pensa che vada definito in maniera rigorosa che cosa si intende con natura e
persona: natura è una differenza che consente di distinguere una realtà da un’altra dotata di
una forma specifica, quando diamo due definizioni diverse di qualcosa stiamo distinguendo
due nature diverse
chiaro che in Cristo ci sono due nature, essendoci in lui dio e uomo, contro il monofisismo di
Eutiche, che vedeva in Cristo solo la natura umana
che cos’è invece la persona? definisce termine che poi entra nel lessico della filosofia, non
importante solo all’interno di riflessione teologica
è una sostanza individuale dotata di una propria intelligenza e di una propria volontà
Cristo è stata una persona perché è stato individuo esistente che ha avuto intelletto e
volontà
allora possiamo sostenere che in Cristo vi furono due nature ma una sola persona
nel De trinitate cerca di capire relazione tra determinazioni divine e le categorie aristoteliche:
tutti i nomi teologici che tramanda la scrittura apparentemente rientrano nelle categorie,
buono o giusto qualità, creatore categoria dell’agire: ma non c’è tra queste determinazioni e
Dio lo stesso rapporto che c’è tra determinazioni di una sostanza e la sostanza stessa: le
determinazioni divine che sembrano categoriali in realtà sono sostanziali perché Dio è tutto
l’essere, nel quale non si danno queste differenziazioni
forse bisogna dire che Dio non è sostanza ma soprasostanza, ricorda teologia superlativa
di pseudo-dionigi: problema dell’uso del linguaggio, la risposta pesca nel pensiero
neoplatonico
anche la categoria di relazione sembra problematica: padre e figlio e spirito santo sono
quello che sono nelle loro relazioni: la categoria di relazione non introduce una molteplicità,
ma è un modo per definire la soprasostanziale unità di Dio
quarto opuscolo: esposizione discorsiva e sistematica di fondamenti dogmatici su cui poggia
la verità della religione cristiana
commistione di filosofia e teologia, avvertita come necessitante di una distinzione che
ancora non si riesce a formulare compiutamente

GIOVANNI FILOPONO
pieno VI secolo- in molti autori del secolo si fondono elementi di diritto romano, religione
cristiana, filosofia greca classica
periodo in cui autori sono poco numerosi, non c’è tessuto culturale o istituzioni scolastiche
monachesimo benedettino inizia a fondare monasteri e abbazie che iniziano lavoro di
capitalizzazione della cultura dell’epoca
Alessandria è una grandissima città culturale in epoca medio e neoplatonica
chiusura del 529 della scuola di Atene non influenza alessandria, che ha avuto convivenza e
confronto tra speculazione pagana e cristiana- ad esempio in una scuola pagana studia
Enea, che in un suo trattato Teofrasto o dell’immortalità dell’anima unisce esigenze cristiane
e sincretismo di agende filosofiche (anima immortale con Platone e principio formale con
Aristotele)
Giovanni il grammatico, soprannominato filopono, che vuol dire amante della fatica per la
grande mole di scritti e estensione dei suoi commentari aristotelici
si inserisce in tradizione neoplatonica per quantità di commenti ad Aristotele, nello specifico
alle opere di logica e fisica
scrive due trattati sull’eternità del mondo, De aeternitate mundi

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De opificio mundi, interpreta razionalmente la creazione basandosi sulle Omelie di Basilio di
Cesarea: nel medioevo interpretazioni filosofiche su racconto di primi sei giorni di creazione
era diventato un genere: letteratura esamerale
vuole reinterpretare in chiave cristiana l’insegnamento dei grandi filosofi del passato
tentativo di correggere Aristotele alla luce del cristianesimo ma non dall’esterno, con l’intento
di correggerlo utilizzando in alcuni casi alcune dottrine dello stesso Aristotele
ciò è reso possibile dal possesso di verità assoluta data da rivelazione cristiana
il possesso dell’unico vero gli serve per essere consapevole di ciò che Aristotele non poteva
sapere, mostra lacune del suo pensiero attraverso le dottrine dello stesso Aristotele
(pretesa sistematicità di enciclopedia aristotelica è costruzione superiore)
estremizza una pratica didattica tipica di scuola neoplatonica
la novità è che la usa alla luce della rivelazione
esempio, critica l'idea di eternità del mondo: quando Aristotele dice che il mondo è eterno
si contraddice con altre cose che ha detto, e questo mostra che la creazione è l’esito
razionalmente più convincente a cui portano le contraddizioni di aristotele: siccome le verità
della rivelazione mostrano la soluzione a tali contraddizioni, guardare ad esse rafforza il dato
rivelato
il mondo occupa tutto lo spazio effettivamente esistente, la spazialità coincide con
l’estensione del mondo, che però non è infinita: perché allora l’infinità dovrebbe valere per il
tempo? il tempo è la vita del mondo come la spazialità è la sua estensione
dire che il mondo occupa tutto il tempo vuol dire che occupa tutto lo spazio possibile, e
dovrebbe voler dire occupare un tempo finito
altra questione della fisica- giovanni buridano dottrina importante-
nella fisica aristotelica tra i vari principi fondamentali c’è principio per cui tutto ciò che si
muove è mosso da altro: problematico nel caso dei proiettili, finchè è attaccato alla leva si
muove per effetto del contatto con la leva, ma quando si stacca dalla leva per il principio
aristotelico dovrebbe cadere perché non ha più qualcosa da cui procede il movimento
(Aristotele diceva che in questi casi il corpo che si muove continua a ricevere movimento dal
mezzo in cui si muove, ad esempio l’aria)
Filopono dice: se valesse, dovrebbe valere il suo reciproco, ovvero muovendo l’aria dovrei
verificare che si muova il sasso, ma non avviene
la risposta di Filopono: il movimento del proiettile continua perché Dio ha posto nel creato
un’energia motoria universale che spiega i movimenti in cui non si vede contatto diretto con
motore
lo spazio è riempito da questa energia motrice- critica alla concezione aristotelica di spazio
nella metà del 1300 da Giovanni Buridano, che dice che leva della catapulta imprime al
proiettile un impetus, uno slancio, una proprietà che lo rende mobile anche dopo aver perso
il contatto con la catapulta
nel 1900 riscoperti scritti del 1300 si è parlato di anticipazione del principio di inerzia,
tentativi di retrodatare rivoluzione scientifica al 1300: medievali avevano iniziato ad avere
uno spirito osservativo più acuto, in realtà essi non stanno sovvertendo Aristotele ma stanno
tentando di salvarlo, introduce l’impetus per salvarlo, per lui è determinazione accidentale
nell'ambito della metafisica aristotelica, non in ambito sperimentale naturalistica
se Aristotele lo avesse detto, lo avrebbe espresso in questo modo
il medioevo è epoca feconda ma ciò non significa modernizzarlo
Nicolò Resm, allievo di Buridano, scrive in francese e in un commento al De coelo et mundo
di Aristotele scrive discussione sulla possibilità che la terra si muova: ma dice che è stato
detto tutto questo per amore della discussione, è palese che la terra sia immobile

29
erano filosofi convinti che Aristotele fosse un grandissimo filosofo, e che bastasse
aggiornarlo
spesso l’ermeneutica razionale del dato rivelato porta a conclusioni inconciliabili con la
tradizione ortodossa (ad esempio Giovanni è accusato di monofisismo in quanto dice che la
natura indica un genere universale e dunque ognuno può partecipare di una sola natura)

RINASCENZA CAROLINGIA
dopo queste personalità di genio in cui non ci sono istituzioni deputate a trasmissione di
cultura, il primo momento in cui si ricrea scolarizzazione è con la rinascenza carolingia
non bisogna pensare che sia stato un evento di portata paragonabile a quella del
rinascimento
rinascenza perché si è passato dal nulla di istituito per la trasmissione della cultura
all’istituzione di una schola palatina, di palazzo, per insegnare
nell’ideale carolingio di un sacro romano impero c’è idea di ripresa di istituzione politica,
organizzazione volta a governare il territorio
è con Carlo Magno che l’ideale della Christianitas si invera, popolo che si riconosce nella
rivelazione trova fisionomia e unità non solo spirituale ma anche da un punto di vista politico:
cristianità come collante politico
la rinascita dell’impero è legata a quella culturale e religiosa
nel 786 Carlo sottomette la Sassonia pagana e impone il battesimo: Alcuino celebra il
successo ma critica la durezza del regime : non è etico e nemmeno utile costringere alla
conversione, “l’uomo può essere costretto al battesimo, non alla fede”: servono nuove
scuole, così da persuadere la razionalità invitandola a riconoscere la verità della Rivelazione
questa idea è alla base della solidità organizzativa della società carolingia
egli aveva deciso di circondarsi di intellettuali (Rabano Mauro, Alcuino di York), persone forti
di preparazione letteraria e storica ma non intellettuali di valore assoluto, grande ma in
relazione all’epoca in cui hanno vissuto
spesso si sceglie come forma letteraria il dialogo, in cui spesso compare lo stesso Carlo
Magno nei panni di un brillante apprendista
c’è grammatica dell’epoca che biasima chi sbaglia regole del latino facendo due errori di
grammatica latina
fase di riedificazione di patrimonio antico altrimenti destinato a perdersi, tentativo di
recuperare la tradizione si intensifica- da sintetiche riduzioni enciclopediche si vuole risalire
ai testi originali da cui queste derivano (importanza superiore a opere di padri della chiesa)
si voleva che i preti professassero sacramenti in modo non sacrilego: il latino non si sapeva
più in modo talmente grave che in alcune messe si diceva nel nome del padre, della figlia
l’obiettivo non era creare circolo di intellettuali attorno a corte e al sovrano in modo tale che
questo fosse messo da loro in luce, ma lo scopo era che i preti non sbagliassero la messa,
avere esattori delle tasse capaci di contare e andare su un territorio: scolarizzazione nasce
da un’esigenza pratica, e limitata
su questo consolidamento delle conoscenze di base si è innestato il programma politico di
unificazione e integrazione di consuetudini e popoli diversi: il mondo colto carolingio nasce
dalla confluenza di molteplici tradizioni
per favorire la coesione: unificazione linguistica, unitarietà grafica, testo comune della Bibbia
diffuso, uniformità di usi liturgici
alla base si colloca l’idea dell’unanimitas: formare una comunità basata sulla concordia di
intenti politici, religiosi e morali, in una convergenza assoluta di fides e ratio

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il re filosofo è anche re sacerdote, che promuove nei sudditi la conoscenza della verità
diffondendo il dato rivelato
sono cambiamenti significativi come ponte verso l’XI secolo, in cui studi ripartono con nerbo
sufficiente a far ripartire discussione vitale tra intellettuali
unica grandissima personalità dell’epoca:

GIOVANNI SCOTO ERIUGENA


viene dall’Irlanda, Scoto e Eriugena significano irlandese
ai nostri occhi straordinariamente isolato
non vive nel periodo di Carlo Magno, ma alla corte del figlio di lui, Carlo il Calvo, che gli
succede su territorio francese (scrive componimenti a lui dedicati)
non sappiamo quasi nulla di biografia
unica data certa: 851 d.C entra in una disputa sulla predestinazione
in Francia c’era stato un monaco, Godescalco di Orbet, che aveva introdotto una dottrina
della originaria e doppia predestinazione: dei buoni alla salvezza eterna, dei malvagi al
supplizio eterno
la novità non era sulla dottrina della predestinazione in sè, il problema è che venga fatto in
un impero che pone il cristianesimo come dottrina unificatrice
vescovi si preoccupano della diffusione di questa dottrina, chiedono intervento del brillante
Giovanni
la sua risposta non va incontro alle esigenze dei vescovi, egli dice che non vale una dottrina
della doppia predestinazione, perché Dio predestinerebbe alcuni al paradiso e altri
all’inferno, e ciò non va bene perché l’inferno non esiste
ci mostra pensatore difficilmente commensurabile alla sua epoca, spesso oggetto di
polemiche
alla corte di Carlo il Calvo è maestro di arti liberali
commento alle Nozze di Mercurio di Marziano Capella, annotazioni che rivelano erudito colto
nel De praedestinatione non mostra competenza del greco pari a quella successiva, al
massimo citava alcune parole
dopo inizia a tradurre in latino opere della tradizione neoplatonica importanti, vuol dire che
aveva acquisito conoscenza salda del greco, traduce il corpus di pseudo-dionigi ben due
volte (in tarda età revisione della prima traduzione che diviene una traduzione a sè stante) e
anche commentatore di lui, Massimo di Licopoli, di cui traduce gli Ambigua e Confessioni a
talassio, ma anche di Gregorio di Nissa, uno dei tre padri cappadoci del IV secolo, il De
opificio hominis
prima di lui pseudo areopagita tradotto da Ilduino, forse presso tale corte si era creato
circolo di intellettuali che conoscevano il greco, anche se non sappiamo con che dinamiche
prima di trovare altro filosofo latino tanto competente passano quasi 400 anni con Roberto
Grossatesta
familiare con tradizione neoplatonica in modo facilmente riscontrabile prima di lui e anche
dopo
cita omelie sull’esamerone di Basilio di Cesarea, del IV secolo, già state tradotte in latino da
Ambrogio
conosce Origene, in generale tutto ciò che dei Padri era stato tradotto in latino, ma lo usa in
modo consapevole, il Timeo commentato da Calcidio, i classici latini
si lancia in strade teoretiche geniali e spesso sospette di eresia per i suoi contemporanei
oltre al De praedestinatione e alle traduzioni scrive un’Omelia sul prologo del vangelo di
Giovanni

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a) La natura e le sue divisioni
De divisione naturae, o Periphyseon
sulle nature, titolo scomodo in greco
dialogo in 5 libri tra nutritor, maestro, e alumnus, discepolo, che riprende tradizione
agostiniana ma anche carolingia, ad esempio anche Alcuino scrive dialoghi filosofici
volontà esplicitare tutta la verità presente nelle realtà visibili ed invisibili, c’è verità che si cela
nel creato, che non è solo quello che vediamo, perché esso è fatto di molteplici realtà
invisibili, che noi possiamo scovare con la ragione (il massimo risultato raggiunto in tale
ricerca è stato quello dei Padri)
vera filosofia come esplicitazione razionale della vera religione, una ragione ben usata
cercando la verità alla fine non può che concordare con il dato rivelato, ciò perché un punto
fondamentale della sua riflessione è che ogni realtà è una teofania, manifestazione di Dio
la teofania più alta è la sacra Scrittura, in essa Dio si manifesta compiutamente: allora
credere e intelligere non possono non andare d’accordo: bisogna credere alla Scrittura ma
allo stesso tempo anche interpretarla razionalmente, perché in linea di principio non c’è
verità rivelata che non sia razionalmente esplicabile, e non c’è verità razionalmente
esplicabile che non trovi un suo corrispettivo nella Rivelazione
in lui penultima manifestazione di un modo patristico di pensare la relazione tra ragione e
fede, un isomorfismo di principio che diventa isomorfismo di fatto, dopo di lui in Anselmo
d’Aosta, ma dalla fine dell’XI secolo l’isomorfismo di principio inizia a declinare di fatto in
situazioni più complesse
da Gilson è stata definita un’epopea metafisica
è opera accidentata, noi lo possediamo in un’edizione critica
quando in lui troviamo aspetti che sono preludio di riflessioni successive non dobbiamo
pensare che l’opera di Giovanni abbia avuto un impatto per i successori: la sua opera era
presto sparita dalla storia, solitamente i grandi capolavori venivano tramandati
abbondantemente
la tradizione manoscritta si era interrotta molto presto, il suo pensiero è grandioso ma non
ha avuto sviluppi
prima edizione critica della seconda metà del 1700
all’inizio del dialogo maestro chiede di trovare parola per indicare tutto ciò che è pensabile,
per riunire in un’unica concettualizzazione tutte le teofanie: si sceglie il termine natura, che
comprende tutte le cose che sono e che non sono
maestro fa notare che è il termine con il significato più generale di tutti, e dunque in sè non è
possibile definirlo: aristotelicamente, quando definiamo dobbiamo trovare un genere più
ampio dentro al quale si collochi il termine che si sta definendo
nel caso del termine natura non esiste un genere più ampio, quindi la natura va pensata
come il genere più ampio, che si divide in specie attraverso delle differenze
infatti non possiamo definire il termine natura ma possiamo comprenderne meglio il
significato esplicitando le divisioni interne (ecco perché il titolo latino)
per capire che natura si divide in specie bisogna ricorrere alla Rivelazione e sapere che la
natura è creata: il verbo creare fornisce l’elemento che permette di dividere la natura nelle
sue specie, nello specifico si può dividere in quattro nature:
- natura che crea e che non è creata: è la natura di Dio, causa di tutto ma non
causata da nulla
- natura che è creata e che crea: le idee eterne, create perché sono nell’intelletto di
Dio ma non uguali a Dio stesso e creano in quanto cause di effetti che si vedono nel
mondo

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- natura creata che non crea: individui
- natura che non è creata e non crea: più difficile da cogliere, sembra introdurla dal
punto di vista filosofico per ragioni di simmetria del ragionamento (come c’è realtà
creata e che crea c’è una non creata e che non crea) quest'ultima realtà ce la
suggerisce la Rivelazione: è qualcosa al di fuori del mondo creato, è il momento
escatologico del ritorno di tutto il cosmo creato a Dio, che non è creato e smette di
creare
questo quarto momento è meno evidente e va affrontato dopo i primi tre
era stata preceduta da altra divisione poi abbandonata nel corso dell’opera: cose che sono e
cose che non sono, a sua volta divisa in cinque modi interpretativi (sono le cose conoscibili-
sono le cose gerarchicamente inferiori rispetto a quelle che non sono- non sono le cause
primordiali e sono invece i loro effetti- sono le entità spirituali e non sono quelle corporee-
non sono gli uomini dopo il peccato originale)
sovrapposizione tra tre facoltà conoscitive introdotte da Boezio e la nostra capacità di
cogliere la creazione:
- al senso corrisponde la partitio, ovvero la divisione del tutto nelle parti, riguarda solo
realtà materiali
- ragione discorsiva può dividere il genere nelle specie (divisio), è divisione logica, che
porta all'albero di Porfirio che divide genere in specie per definirle
- intelletto, contemplazione intelligibile della totalità, comprende genere globalmente a
prescindere dalle sue divisioni
proprio l’intelletto all’inizio dell’opera ha consentito l’intuizione della verità del termine
natura, a cui è subentrata la ragione cercando di darne una formulazione attraverso
la bipartizione tra cose che sono e che non sono, e, con l’aiuto della fede e appunto
dell’intelletto, ha prodotto la divisione quadripartita

b) conoscibilità e predicabilità di Dio


prima natura: Dio, ne parla nel primo libro, egli è eterno e immutabile, in lui non si dà nulla di
accidentale, è sommamente necessario poiché sommamente perfetto
per la nostra mente non è esattamente un sostanza, ci sono dei limiti della nostra facoltà
conoscitiva: noi non possiamo conoscere una sostanza se non a partire dai suoi accidenti,
ma Dio non ha determinazioni accidentali
rispetto a Dio non possiamo avere conoscenza affermativa, ma solo negativa (pseudo
dionigi): questo non vuol dire che non abbia senso fornire teologia positiva, se cogliamo che
è causa di tutte le cose e anche fine ultimo vuol dire che abbiamo degli elementi razionali
per formulare teologia affermativa, ma, e questa è una novità, essa può valere solo
metaforicamente- quella che dionigi areopagita chiama teologia superlativa
Dio non è essenza-non ha accidenti- ma non è nemmeno non essenza-sarebbe nulla- ma è
somma essenza, in senso traslato e metaforico
l’aggiunta di prefissi come plusquam o super sottolinea un significato proprio e nega possibili
riferimenti alle imperfezioni creaturali
filosofia è ancora povera di tecnicismi teologici, a volte finisce per dare affermazioni
paradossali
ad un punto dice che Dio è il nulla: vuole dire che non è alcun essere definito e definibile
dalla ragione, ha in comune con il nulla l’indefinibilità e il rapporto problematico dell’essere-
non tutti i suoi contemporanei conoscevano pseudo-dionigi, spesso il gioco che fa sul filo
della metafora ha determinato la sua sfortuna storica in quei secoli, sembravano cose quasi
eretiche

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anche le categorie aristoteliche dunque non possono essere riferite a Dio: egli per certi versi
non ospita delle relazioni, ma nemmeno la sostanza è predicabile in modo direttamente
affermativo, rispetto a Dio la perfetta sapienza si configura come una divina ignoranza
Nicola Cusano dice la stessa cosa da frequentazione neoplatonica, non da Giovanni, questo
mostra come la personalità di G sia paragonabile ai grandi pensatori dei secoli successivi,
arrivati alle sue stesse conclusioni
categorie di spazio e tempo rispetto a Dio:
la nostra ragione si approccia alla realtà entro coordinate spazio temporali
spazio e tempo sono eminentemente il modo in cui la nostra capacità sensitiva è in grado di
conoscere
non sono realtà al di fuori dell'anima umana, sono le strutture dentro alle quali si dà la
possibilità della nostra conoscenza delle cose
la Scrittura dice che Dio è sempre: non vuol dire che è in un tempo reale ed infinito, ma che
è al di fuori del tempo
Dio è dappertutto: non vuol dire che riempie ogni frazione di spazio ma che non è in alcuno
spazio perché è dappertutto
queste categorie funzionano metaforicamente con Dio, per conoscere qualcosa di lui, le
categorie non sono le modalità proprie della realtà dell’oggetto ma le forme di
organizzazione della nostra capacità conoscitiva del soggetto
la sua natura ci sfugge ma Dio pone relazione tra il suo essere e la nostra capacità
conoscitiva, ama nascondersi ma non essere sconosciuto
Dio è buono e creatore e grande per sè, e metaforicamente anche per noi

c) conoscibilità delle creature: la triade sostanziale


discorso sulla non sostanzialità di Dio lo sorregge teoreticamente quando passa a parlare
della terza natura, creata e che non crea
è chiaro che le realtà create siano sostanziali, tuttavia noi non cogliamo quella sostanza ma
solo le apparenze sensibili
indagine su terza natura è condotta all’insegna dell’idea di nostra incapacità di conoscere la
sostanza, concepibile solo nelle sue relazioni con l’esterno- la verità sostanziale delle cose
sussiste solo nella mente eterna di Dio
io conosco delle cose la mia phantasia, ovvero immagine mentale che la mia ratio crea sulla
base delle relazioni che ogni sostanza intrattiene con ciò che è esterno ad essa (che sono i
suoi accidenti)
noi non conosciamo nemmeno gli accidenti in sè, ma ciò che di essi si imprime nella nostra
facoltà conoscitiva
tre componenti che, sulla scorta dei padri greci, manifestano in ogni sostanza una struttura
trinitaria, identificata e denominata con tre termini greci:
- ousia, sostanza
- dynamis, potenza
- energeia, atto
si manifesta solo svolgendosi nel tempo, la sostanza sembra continuo passaggio da potenza
di realizzazione ad atto che la realizza solo parzialmente (consideriamo che lui non
conosceva la Fisica di Aristotele), l’atto è sempre imperfetto (aggiunta da ottica cristiana)
quindi la nostra incapacità di cogliere sostanza, potenza e atto nella loro triadicità, che
significa nella loro continua compresenza e pienezza, è il segno del fatto che non possiamo
cogliere la sostanza

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è nella mente di Dio che questi tre aspetti delle entità create trovano una loro piena e totale
presenza
peculiarità che conoscenza di Dio ha: può conoscere simultaneamente questi tre aspetti
invece la seconda natura (trattata nel secondo libro) sono le idee nella mente divina: non
sono solo dei modelli a cui Dio si ispira nella creazione, ma sono realtà a loro volta
produttrici, capaci di dare l’essere, è in esse che il Verbo crea tutta la realtà
Dio conosce sostanzialità, potenzialità e attualità nelle sue idee, si rispecchia nelle cose
create nel Verbo, nell’idea perfetta di ogni cosa che si trova nel suo intelletto: ogni cosa che
passa dalla seconda alla terza natura sarà una teofania decaduta, limitata, ma mantiene la
propria originaria connessione con l’idea nella mente divina
ecco in che senso ogni cosa è Dio: questo è altro problema, in alcuni passaggi Giovanni
dice che tutte le cose sono Dio, sembra ricadere in un panteismo (a volte dice che tutte le
cose sono Dio in quanto sono nella seconda natura)
panteismo uno dei rischi di incontro di matrice cristiana e riflessione greca
si può capire la difficoltà di ricezione, non c’era edizione critica, era testo difficilissimo

d) creazione e processio: l’Esamerone eriugeniano


la creazione da un punto di vista umano si può immaginare come discesa di cause
intelligibili verso realtà materiale, e dice che a ciò deve corrispondere un ritorno della
creazione a Dio (neoplatonismo): ecco la quarta natura
il terzo libro dell’opera è un saggio importante di letteratura esamerale, conosceva omelie
sull'esamerone di basilio: cerca di interpretare razionalmente i sei giorni della creazione, con
tratti desunti da Agostino, Basilio, altri personali, facendo uso di varie conoscenze dell’epoca
primo giorno, creazione della luce: discesa delle cause negli effetti
secondo giorno, firmamento posto tra acque: apparire dei quattro elementi
terzo giorno, emergere della terra: unione di forme e materia per generare individui
quarto giorno, delinea sistema geocentrico
quinto giorno, moltiplicarsi di specie corporee: apparire dell’accidentalità
sesto giorno, mostra che l’uomo ha straordinaria centralità, è la vera officina mundi- trae da
fonte patristica di Gregorio di Nissa che aveva tradotto- è nell’uomo che si realizza in
pienezza la somiglianza con Dio

e) il peccato originale e l’interruzione del processo creativo


con la collocazione di Adamo nel paradiso terrestre la Scrittura evidenzia il compito centrale
dell’uomo, ovvero risalire a Dio e alla perfetta conoscenza di esso e del mondo (nel settimo
giorno doveva esserci la pace data dalla contemplazione del vero unitario)
tuttavia l’uomo pecca (quarto libro dell’opera): di nuovo torna a Rivelazione per spiegare ciò
che ragione non saprebbe spiegare:
perché l'immagine somigliante a dio maggiormente poi si torva a peccare e finisce in stato di
dispersione? nel processo di discesa, l’uomo ha interrotto il processo creativo: patristica
greca, nel peccato di Adamo tutta la creazione è caduta
Adamo rappresenta intellectus, che però si fa coinvolgere da Eva nella perdita della
contemplazione intuitiva del vero
nella scoperta della nudità la creazione perde il legame originario con Dio: Dio dice ad
Adamo dove sei e egli dice che si nasconde perché è nudo, ma prima del peccato non si
accorgeva della propria nudità: fine di una immediata presenza e immediata confidenza con
Dio: a quel punto i figli nascono con dolore, il serpente è maledetto (striscia fino a quando
sarà schiacciato dal piede della donna: di nuovo orientare correttamente l’aspirazione

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conoscitiva)
c’è rottura globale della sintonia della creazione con Dio, dopo il peccato la creazione deve
ritornare a Dio, trovando una strada di ricongiungimento con il creatore

f) la redenzione del peccato e il reditus


il reditus comincia con l’incarnazione del Verbo, la realtà divina che ospitava in sè i modelli
eterni si è fatta officina mundi, riassume in sè non solo il genere umano ma tutta la
creazione
Gesù è il nuovo primo uomo, da cui tutto può ricominciare a prescindere dal peccato
originale per tornare alla sua natura originaria, che non è creata e non crea, a cui dedica il
libro quinto dell’opera
cinque libri strano soprattutto in opera che parla di quattro nature: forse quattro sarebbero
stati troppo lunghi, non conteneva il fluire dello scritto in soli quattro libri, ci mostra che
anche negli aspetti formali riesce a superare le convenzioni della sua epoca in nome
dell’esposizione di un messaggio dall’enorme potenza concettuale
in Cristo assunto in cielo tutta la creazione può risanare la frattura con Dio e risalire
Cristo risorge
distinzione tra immortalità dell’anima e resurrezione del corpo, che è mortale e risorgerà
nell’ultimo giorno
da morte corporale a resurrezione finale ciò che vive è solo l’anima
Dante: si stupisce che anime di inferno patiscano pur non avendo corpo, Virgilio dice che
con l’ultimo giorno patiranno di più perché a subire la pena anche il corpo
gli uomini hanno corpo spirituale che alla fine dei tempi si unisce con l’anima, quindi
nell’aldilà ci sarà una qualche sostanzialità dell'anima, come l’aria è assorbita dalla luce,
trionfo luminoso di dio che diventa tutto in tutte le creature redente, una ricomposizione
perfetta di potenza e atto
saranno redenti anche i peccatori, torna dottrina giovanile della non esistenza dell’inferno
per lui anime se fossero poi separate da Dio diventerebbero ancora più potenti di Dio stesso
in che cosa saranno puniti i peccatori? non nella loro sostanza, la loro ousia torna a Dio,
perché nessuna creatura può rimanere completamente non redenta, ma nella volontà:
tornano a Dio continuando a non voler essere uniti a lui e non vivranno la pienezza della
beatitudine
dentro a questo reditus generalis c’è un reditus specialis di quei prescelti che hanno meritato
di unirsi pienamente a Dio e vederlo non tramite la propria ousia
pensiero geniale, rischioso, imbevuto di Rivelazione e Patristica greca, usa fonti alla luce di
desiderio di mostrare come tutta la realtà sia una manifestazione di Dio razionalmente
interpretabile da una ragione retta che sappia tornare alla Scrittura là dove manchi di
capacità esplicativa

g) oltre la teologia
usa theologia per indicare la Sacra Scrittura, e theologi i profeti
l’unica sua opera che ha goduto di una certa diffusione dopo di lui è il commento al primo
trattato del corpus pseudo-dionisiano, ovvero le Expositiones in Hierarchiam coelestem
in essa illustra le gradazioni possibili di conoscenza del divino: dopo il peccato, lo strumento
teofanico sono le Scritture, che tuttavia si esprimono in vari modi, talvolta anche
analogicamente
al di sopra si colloca la comprensione che del divino si dà per gli angeli, che l’uomo
raggiunge solo rare volte

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tuttavia anche questa conoscenza teologica intellettuale è ancora imperfetta, essendo
comunque basata su teofanie
solo Giovanni l’Evangelista ha potuto avere una visione perfetta della realtà divina,
annunciando poi che “il Verbo si è fatto carne” e dischiudendo per tutti la possibilità di
raggiungere con la fede una conoscenza teologica superiore

IL CONFINE TRA ARTI LIBERALI E TEOLOGIA


X e XI secolo, in Italia settentrionale sviluppo di studi giuridici e retorici, maestri iniziano a
svincolare arti liberali da funzione di supporto alla conoscenza teologica
Anselmo di Besate, il Peripatetico, scrive Rhetorimachia: mostra dietro ironia la
consapevolezza di distinzione di ambiti e finalità delle diverse discipline, la retorica si occupa
di perfezionare capacità umana di parlare, la dialettica di distinguere discorso vero e falso
racconta di essere stato portato in sogno in paradiso e aver assistito a disputa tra anime che
lo volevano in paradiso e le arti del trivio, che volevano che tornasse nel mondo terreno
Adalberone vescovo di Laon, più che rivendicare diritto di espressione delle arti liberali, si
preoccupa di fissarne i limiti di indagine rispetto ai misteri della fede
De modo recte argumentandi, parla di inutilità della mula, la razionalità può giudicare sul
campo del naturale
Carmen ad Rotbertum regem, dialogo tra lui e il re: con retorica accentua orrori della realtà,
di cui è responsabile il re, per mostrargli non la realtà ma la verosimiglianza, ovvero che
cosa accadrebbe senza un intervento del re per regolare azioni umane
Summa fidei, se rispetta i limiti, la ragione può mettersi al servizio della conoscenza
teologica
dunque fa breccia nell’ottimismo platonizzante carolingio l’esitazione verso la pretesa della
ragione di ricostruire e padroneggiare le leggi con cui Dio governa la creazione
Notkero Labeone, in glossa alla traduzione della Consolatio boeziana, chi si occupa di fisica
ed etica usa razionalità discorsiva, mentre i teologi solo la superiore efficacia intuitiva

una vera rinascita del pensiero si ha con l’anno mille, in concomitanza con una ripresa
sociale, economica e cittadina, lenta ma evidente
iniziano a circolare maggiormente anche le idee
negli autori si vede una maggiore attitudine al confronto, segno dei tempi nuovi
XI secolo:
- Anselmo d’Aosta
- disputa tra dialettici e antidialettici

DISPUTA TRA DIALETTICI E ANTIDIALETTICI


alcuni autori dopo il 1000 si sono lasciati andare ad un entusiasmo per certi versi eccessivo
nei confronti delle ricerche filosofiche a scapito del sapere rivelato, tra cui Berengario di
Tours e Roscellino di Compeignes
antidialettici: ribadire la supremazia del dato rivelato sulla riflessione razionale, Lanfranco di
Pavia e Pier damiani
presupposto ormai superato è che indagine razionale e lettura del dato di fede siano in
conflitto nel Medioevo, altrimenti gli antidialettici sembrerebbero nemici della filosofia, mentre
ad esempio Pier Damiani scrive opera con elaborazione filosofica di prim’ordine, ha
posizioni di disprezzo di mondo e del corpo, raccomanda ai monaci di non studiare filosofia
allo stesso modo i dialettici non vogliono andare contro al dato di fede

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la differenza sta nel senso e nel ruolo che questi autori conferiscono all’indagine filosofica
all’interno di una cornice che per tutti è dettata dal dato scritturistico:
- per Berengario e Roscellino indagine filosofica inizia ad avere una curvatura di
distanza rispetto al dato rivelato e una maggiore autonomia
- Lanfranco e Damiani pensano che la riflessione razionale debba rimanere entro gli
argini che la tradizione aveva ad essa stabilito
la disputa è tra modelli diversi di rappresentare cosa è bene che il pensiero faccia all’interno
della rivelazione, per ora prevale il versante antidialettico
poi ci fu un progressivo allontanamento dal dato rivelato
c’è germe che ha portato alla fioritura delle grande riflessioni del XII secolo, fino a quando la
filosofia è diventata talmente autonoma da far prevalere la dissonanza tra filosofia e dato
rivelato, e quel punto si era fuori dal Medioevo
teologi moderni: modo significa di adesso, li chiamano così perché vedono che nei dialettici
c’è un modo nuovo di fare filosofia
la filosofia deve esplicare il dato rivelato con un margine di libertà mai visto fino ad allora

Berengario Di Tour
muore nel 1088
maestro di arti liberali
inserito all’interno di una disputa sull'eucaristia
parte da dottrina platonica del realismo delle essenze: nella realtà creata, nel darsi empirico
delle cose, nessuna trasformazione è possibile senza che divenga anche la sostanza: nel
divenire degli accidenti non può non mutare anche la sostanza
ma se così fosse allora il pane e il vino nella consacrazione eucaristica verrebbero meno:
avviene transustanziazione, ovvero cambiamento di sostanza sotto il permanere degli
accidenti quando il prete prende l’ostia
ma per Berengario se non cambiano gli accidenti vuol dire che non può cambiare la
sostanza:
spiritualismo eucaristico, dopo la consacrazione continuiamo a vedere il pane e il vino, vuol
dire che non sono il vero sangue e corpo di cristo, essi esistono solo nella loro essenza
trascendente a cui il pane e il vino alludono: il pane e il vino diventano dei simboli
problema è di ordine teologico: avviene trasformazione o essa è simbolica? cambia il senso
che si attribuisce alla celebrazione eucaristica
per la storia della filosofia: io posso ragionare su un miracolo in termini razionali? posso
usare concetto neoplatonico di realtà separata dell’essenza e unirla a riflessione aristotelica
giungendo a prodotto razionale che incide sul dato religioso?
Berengario non vuole negare che effettivamente il corpo e il sangue di cristo esistono, ma
pensa che indagando razionalmente non si può dire che si trovino sull’altare
ritrova poi nella biblioteca di Tours un manoscritto di un’opera De corpore et sanguine
domini scritta in realtà da un autore carolingio, Ratramno di Corbie, ma che o per errore di
attribuzione o per una sua interpretazione, egli pensa sia di Giovanni Scoto Eriugena: in
questo modo conferisce autorità alla sua tesi
contro ratramno aveva già scritto un’opera Pascasio Radberto, che aveva sostenuto il
realismo eucaristico (apprezzato per impatto devozionale nei fedeli e in quanto arma contro
immoralità dei sacerdoti- più grave toccare il vero sangue e corpo di Cristo)
Berengario dal 1049 al 1079 va incontro a innumerevoli condanne dottrinali, fino ad abiurare

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Lanfranco Di Pavia
morto nel 1079
è stato il maestro di Anselmo di Aosta, il quale non ha partecipato direttamente alla polemica
tra il maestro e Berengario
la realtà è quella che dice Gesù con le parole riportate dai Vangeli, ma evidentemente ci
sono modi diversi per intendere i testi rivelati
dobbiamo chiarire su cosa possono fare le arti liberali quando si dedicano al testo sacro
scrive De corpore et sanguine domini, con lo stesso titolo di opera trovata da Berengario, il
quale risponde con un Rescriptum contra Lanfrancum)
secondo lui il metodo di Berengario è esasperato, non in sè sbagliato, fa notare che lo
stesso san Paolo apostolo è stato un abile conoscitore della dialettica, un argomentatore:
essere cristiani non vuol dire essere ignoranti della retorica e dialettica, il problema di
Berengario non è di principio ma di metodo effettivo:
egli ha indagato prima con la pura razionalità il sacramento, e poi ha imposto i risultati al
dato rivelato: ricostruisce con notevole acutezza il percorso, Berengario opera esattamente
così, in discussione è la legittimità dell’operazione
per tutti i cristiani la presenza di Cristo nella Chiesa è un mistero, quindi partire da un
mistero significa partire da una limitazione alla capacità e alla possibilità di un’indagine
razionale
qual è il giusto metodo? stabilizzare la fede, accettare il mistero e poi usare la dialettica e la
logica per spiegare che cosa significa il dogma, non pretendere di capire come il mistero
avviene, ma al limite che cosa
come dice Gianfranco nel capitolo delle Nozze di cana: l'acqua diventa vino ma la ragione
non può capire come è avvenuto
la ragione deve esplorare il che cosa, non il come, altrimenti la nostra ragione sarebbe
onnipotente come quella di Dio
prima viene il dato rivelato che ha una percentuale di mistero e poi la ragione ad indagare
che cosa avviene
Lanfranco a questo punto passa al momento costruttivo e cerca di spiegare che cosa
avvenga, attinge a fonti indirette di tradizione aristotelica (come Categoriae decem pseudo-
agostiniano): non ci sono generazione o corruzione, non c’è traslazione nello spazio o
crescita-diminuzione nella quantità, ecco che si può dire che la trasformazione è
un’alterazione della realtà naturale, che altera appunto la realtà del pane e del vino: l’aspetto
soprannaturale è che il miracolo mantiene gli accidenti e fa mutare la sostanza
definito da Tommaso d’Aquino transustanziazione e imposta dal quarto concilio ecumenico
lateranense del 1215 e dal concilio di Trento del 1551
rapporto tra filosofia e teologia giunge a maturazione
per Berengario la riflessione razionale porta a delle conclusioni che devono avere
ripercussioni sul dato rivelato, che per Lanfranco è invece originario: derivando da Dio
contiene misteriosità che rimane insondabile

Pier Damiani
muore nel 1072
importante per la riforma religiosa del secolo, ha propugnato elementi di correzione morale e
del clero
produzione letteraria vasta, sermoni, numerosi trattati
De sancta simplicitate scientiae inflanti anteponenda: le ragioni della scienza gonfia
d’orgoglio non devono prevalere sulla simplicitas della fede

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Dominus vobiscum: chi si chiede che senso abbia che qualcuno che prega solitario pronunci
formule dialogiche lascia entrare dubbi di razionalità in questioni talmente semplici che non
saprà tenerla a bada in quelle più importanti: prima il credente deve accertare la propria
adesione alla rivelazione, poi può cercare una risposta (uso delle formule ad esempio
esplicita appartenenza spirituale a chiesa): l’errore è far dipendere la fede dalla razionalità,
non con essa incrementare la comprensione della verità rivelata
attitudine polemica nei confronti del sapere filosofico in alcune opere
raccomanda ai suoi monaci la sancta simplicitas, ovvero evitare studi
però scrive De divina omnipotentia, che lo mostra come sottile conoscitore delle arti liberali,
soprattutto della dialettica
per lui le arti liberali non vanno usate per spiegare i dogmi, poichè il lavoro dei Padri della
Chiesa è già sufficiente (posizione diversa anche rispetto a Lanfranco)
la sua preoccupazione è quella di marcare i limiti della conoscenza umana razionale: dentro
questa limitazione compie analisi acuta di cosa possa fare la filosofia
la verità divina è incomprensibile, non possiamo rivolgerci ad essa con atteggiamento di
curiositas, ma possiamo porre domande e cercare risposte razionali
cornice dell’opera è discussione che sarebbe avvenuta presso l'abbazia di Montecassino tra
Pier Damiani e l’abate Desiderio di Montecassino: durante la cena ascoltano sermone di san
Girolamo, che diceva che nemmeno Dio avrebbe potuto restaurare la verginità di una
ragazza caduta in peccato:
Pier Damiani dice che la possibilità del miracolo è una delle prerogative su cui non possiamo
dubitare, ma la questione è: se un fatto si è già verificato nel passato, Dio può cancellare, se
lo vuole, la realtà di tale evento? il problema è limitare o meno l’onnipotenza divina, dicendo
che può compiere miracoli in relazione al futuro ma non al passato
Pier Damiani dapprima non vuole partecipare alla discussione, poi il suo intento è mostrare
che la ragione umana non può porre i propri limiti a Dio, per mostrarlo compie analisi
razionale del rapporto tra onnipotenza e temporalità
generalizza ed estremizza la questione: Dio può volere nel presente che le cose accadute
nel passato non siano mai esistite? Dio può far sì che l'impero romano non sia mai esistito?
da un lato la fede sente di non avere motivo per negare questa possibilità, ma d’altra parte la
ragione ritrova delle leggi ordinate e coerenti nel reale, e sente di non poter dire che Dio lo
può fare
diventa un problema filosofico: il reale ha una sua autonomia ontologica una volta che Dio
l’ha creato? la dipendenza creaturale da Dio è sempre totale, oppure una volta creata ha un
suo essere che non viene più sovvertito da Dio?
onnipotenza di Dio e contraddittorietà di annullare il passato
risposta è sfumata: regole che la ragione trova nella realtà valgono entro la realtà, sia la
realtà creata che la ragione sono isomorfe e limitate, non si possono estendere i principi
della ragione al di fuori della realtà creata, quindi il principio di non contraddizione non può
essere vincolante anche per Dio, che ne sarebbe limitato
la logica umana non coincide con quella divina
noi non possiamo limitare l'onnipotenza divina, ma ciò non significa che essa non abbia un
limite, e che questo limite non sia razionalmente determinabile
principio di non contraddizione non è tale da dirci che Dio non può far sì che Roma non sia
mai esistita, ma è tale da dirci che Dio non può volere il male: la bibbia ci dice che Dio può
volere solo il bene, egli non può contraddirsi, se ha creato il mondo facendo sì che qualcosa
sia impossibile, allora esso rimane tale, con l’eccezione dei miracoli

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la domanda (Dio può far sì che Roma non sia mai esistita?) è dunque mal posta, pretende di
capire Dio alla luce di una logica che vale nella creazione, tuttavia questa analisi l’ha portato
a stabilire che in un certo modo il pdnc vale anche per Dio: può contraddirsi rispetto al nostro
modo di vedere le cose ma non può contraddire sè stesso
se Dio compisse il male ciò diventerebbe bene e sarebbe contraddittorio
Dio può far sì che il passato non sia mai esistito? da quello che ne capiamo no ma la cosa
certa è che la domanda impone a Dio una logica umana
il suo lavoro è molto raffinato
apre la strada a dottrine che riconoscono alla creazione un'autonomia che non era stata
esplicitata mai in precedenza: Dio pone nella creazione qualcosa che in essa ha un valore
assoluto, anche prima si diceva che la realtà ha un senso (ottimismo metafisico) ma la
concettualizzazione filosofica arriva con Pier Damiani
la sua opera inaugura un lungo dibattito nel medioevo, che attribuisce maggiore consistenza
ontologica al mondo creato, la realtà è un fondo solido ben strutturato e conoscibile
molte riflessioni sull’arbitrio divino: Duns Scoto distingue tra potenza assoluta (prima della
creazione avrebbe potuto fare tutto quello che avesse voluto) di Dio e potenza ordinata (la
potenza assoluta diventa ordinata perché Dio sceglie ordine da dare alla creazione, e una
volta che lo sceglie non vuol dire che tale ordine è vincolante per Dio, ma sarebbe
contraddittorio che egli lo sovvertisse continuamente)- pur nell’assolutezza dell’onnipotenza
c’è limitazione di ordine e di senso dettata dal fatto che ha scelto Dio il creato
costruzione dell’ordo verborum come percorso mai esaurito di avvicinamento all’ordo rerum
e idearum

Roscellino Di Compiègne
morto tra 1120-1125
noto per critiche a lui mosse da Anselmo d’Aosta e poi Pietro Abelardo, per un periodo suo
allievo
opere in cui si addensano le critiche sono andate perdute
accusato di radicale nominalismo sulla questione della natura degli universali (ovvero i
concetti generali, generi e specie che significano una pluralità di individui), per alcuni erano
reali, per altri frutto solo di azione intellettiva umana
per lui universali sono pure parole, nomina, flatus vocis, dicendo “uomo” emetto solo una
serie di fonemi, non vuol dire nulla se non il proprio suono
secondo gli accusatori se non si concepisce la realtà degli universali in alcun modo si giunge
ad un triteismo: come si può concepire che padre figlio e spirito santo siano tre persone in
una sostanza, se non si coglie nemmeno l’unità dei singoli uomini nella specie “uomo”? per
farlo si usano concetti universali
la posta in gioca dietro alla questione teologica della trinità: se è come dice Roscellino
decade la corrispondenza tra l’ordo verborum, l’organizzazione semantica e sintattica delle
parole nel latino, e l’ordo rerum, nell’organizzazione del reale, perché viene meno qualsiasi
collegamento tra ordo idearum e ordo verborum
concezione anarchica della realtà, se il linguaggio non ha senso allora si è rotta
un’organizzazione che regge dalla base il pensiero medievale
secondo Abelardo la conseguenza era l’impossibilità per il pensiero di corrispondere
oggettivamente alla realtà, riducendo così ogni forma di sapere a un’organizzazione pratica,
in quanto convenzionale e arbitraria
non potremmo capire che cosa significa lo spirito santo

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per Anselmo è una cattiva concezione della dialettica che porta Roscellino ad essere un
cattivo cristiano, non il contrario: ha concezione talmente sbagliata di logica che non può più
essere cristiano
il modo filosofico di concepire il linguaggio diventa ciò che dà conseguenze teologiche
inaccettabili: la filosofia ha acquisito un potere enorme, il ragionamento ha campo di azione
talmente vasto che idea che ragione bene usata non può che portare all’unico vero inizia a
vacillare
nell’unica epistola che abbiamo Roscellino dice di essere totalmente ortodosso, pensa che
la sua riflessione sia in accordo con il dato teologico, polemica si accende
secondo Roscellino se padre figlio e spirito santo avessero un significato reale, allora anche
il padre e lo spirito nell’unicità si sarebbero dovuti incarnare, proprio come Cristo
queste dottrine considerate eretiche, ma secondo lui erano implicate dalla tradizione
tradizionale

Anselmo: Roscellino è un pessimo dialecticus modernus, un “eretico della dialettica”


(Abelardo lo chiama falso cristiano) anche perché gli oggetti della logica non possono che
essere individui: nella prima metà del 1300 Guglielmo di Occam dirà che l’unica cosa reale
sono gli individui
Anselmo ha ragione: l’ottica nominalista di Roscellino porta ad una realtà atomistica,
frantumata
la strada aperta da Roscellino è quella della storia, prevalente
altri autori lo ricordano come un riformatore del clero, perché pensava che la tradizione
monastica portasse con sè aspetti da non accettare, è un modernus in tanti sensi
Anselmo: va a finire che noi possiamo conoscere solo ciò che ricade nella nostra
esperienza, ovvero gli individui
sicuramente Roscellino è dialettico abile, promuove l’idea che regole delle discipline umane
abbiamo grande valore nell’ambito di una realtà organizzata su base individuale, non
universale, altrimenti si limita la potenza divina: Dio ha creato gli individui, non i generi e le
specie, quindi la nostra ragione deve essere atomistica, quindi paradossalmente dal suo
punto di vista vigeva ancora una corrispondenza tra ordo rerum e ordo verborum, il
problema era l’ordo idearum, inutile dato che se Dio crea individui pensa la realtà
individualmente
forse la sua idea era che spiegazioni dialettiche in ambito teologico hanno valore relativo, il
mistero non può essere sondato in quanto supera e trascende del tutto le nostre possibilità
linguistiche
polemica rimane incompiuta, non sappiamo cosa e se ha risposto Roscellino, di sicuro egli
viene condannato (concilio di Soissons del 1090 costretto a ritrattare, magari ha ritrattato
con facilità anche grazie alla concezione della labile convenzionalità della terminologia
umana)
in ogni caso iniziano a farsi avanti dati di pensiero filosofico che si faranno poi strada
Roscellino ripensa alla condizione ontologica, alla dialettica, dicendo che tutto ciò è
compatibile con l'ortodossia religiosa, ribadisce che possono esistere verità dissonanti
tra XI e XII via (impostazione speculativa e metodologia) degli antiqui: possibilità della
collaborazione tra ragione e fede si basa sul vincolo tra verità logica e ontologica
contrapposta a via dei moderni: difesa fede e dissolvimento di corrispondenza tra nimina e
res
logica in re (Oddone: nel peccato di Adamo pecca tutta l’umanità perché con loro peccò
l’universale uomo, un’essenza reale di cui ogni singolo partecipa)- logica in voce

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ANSELMO D’AOSTA
Gilson: se in Pietro Abelardo si sente il pulsare della vita della città, in Anselmo si trova
ancora la calma del monastero
ultima istanza di un pensiero che rielabora genialmente i dati di una tradizione
fondamentalmente neoplatonica sulla base dell’isomorfismo tra pensiero umano e
rivelazione: ragione bene usata non può che confermare la verità della teologia, ma questa è
la sua ultima grande enunciazione
uno dei pochissimi autori medioevali che hanno interessato molto anche i moderni
nasce ad Aosta nel 1033 e muore nel 1109
nel 1076 manda al maestro Lanfranco di Pavia, che era stato priore in Normandia
all’abbazia del Bec, dove nel frattempo era arrivato Anselmo, e che era diventato nel
frattempo arcivescovo di Canterbury (poi lo sostituisce Anselmo, tanto che a volte lo si
chiama Anselmo di Canterbury), uno scritto Exemplum meditandi de ratione fidei, Modello di
meditazione sulle ragioni della fede
alcuni monaci del Bec si erano mostrati scettici per la riflessione, contenuta nello scritto, che
riguarda dato rivelato in quanto condotta in modo puramente razionale, senza citare mai
l’autorità delle Scritture o dei Padri
esordisce proclamando rispetto della rivelazione, ma poi procede usando solo la ragione: è
giusto che un pensatore cristiano abbia un pensiero così autonomo?
gli esiti sono sempre concordanti con la fede, ma il metodo creava preoccupazione
Lanfranco dice ad Anselmo che non trova nulla di eretico, ma di moderare
Anselmo: lo possiamo dare alle fiamme se trovi qualcosa contrario alle verità di fede, ma
siccome non c’è nessuna parola che vada contro le Scritture, i Padri e il De trinitate di
Agostino, io non la modifico, alla fine Lanfranco non ordina la distruzione dell’opuscolo
Anselmo non mitiga l’opera ma il suo titolo, diventa Monologion, neologismo su calco dal
greco, significa “colloquio solitario”
Fides quaerens intellectum, La fede che cerca l’intelletto, opera scritta poco dopo, diventa
Proslogion, ovvero “discorso a qualcun altro”, in realtà è discorso tra l’anima e Dio
c’è una ragione che, se bene usata, ci porta nello stesso posto della fede, e c’è una fede che
cerca una ragione che la sostenga, queste due opere dai titoli originali presentano una
circolarità
cerca di dare una sistemazione logica delle verità teologiche senza far dipendere la ragione
dalla fede, e tuttavia presupponendo la verità della fede
la sua produzione si colloca nell’arco temporale di venti anni

1. La verità come rectitudo dell’intelligenza alla fede


De veritate, esigenza di ricostruire interezza e unità della verità, cristiana ma indagata con la
ragione
che cosa è il vero? ci sono vari modi per intendere la verità, uno logico che riguarda le
proposizioni e uno reale
tutti i significati possibili si riconducono al godere di una rectitudo: è vero ciò che è rectus, in
riferimento alla volontà divina, ovvero ciò che corrisponde perfettamente a ciò che Dio ha
stabilito: una proposizione è vera se coincide e rappresenta le cose del mondo ordinate da
Dio, una cosa è ontologicamente vera se coincide con l’idea che Dio ne ha
un vero uomo è come dio ha stabilito che debba essere
D’Onofrio usa rectitudo per introdurci al pensiero di Anselmo

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la dialettica è la scienza che ci insegna a riconoscere la rectitudo non solo delle proposizioni,
ma anche delle cose, ci insegna a verificare la corrispondenza tra le cose, il pensiero e le
parole che lo esprimono
idea molto forte della circolarità tra cose-pensiero-parole (Guglielmo di Occam dirà tra cose-
linguaggio mentale-linguaggio verbale)
filosofia vera si ha quando le parole esprimono correttamente un pensiero modellato sulle
cose
è un ideale, il nostro intelletto è limitato, deve subordinarsi all’altissima verità che solo Dio
conosce, ma che egli stesso ha voluto rendere accessibile con la Rivelazione
Anselmo porta alla ultime conseguenze il credo ut intellegam- è Dio che ha donato la
ragione, perché essa funzioni bene non può prescindere dal piano del divino- et intelligo ut
credam- il pensiero e il dato rivelato sono perfettamente isomorfi, potere del pensiero può
argomentare in maniera vera tutto ciò che la rivelazione esprime nella Sacra Scrittura
compiuto l’atto di fede, la ragione può riconoscere la rectitudo dei suoi discorsi razionali su
Dio
il metodo della sola ratio consiste dunque nel procedere nella comprensione dei contenuti
della fede mettendo la fede tra parentesi
Monologion trova nel De veritate una sua spiegazione teorica, ci fa capire come mai scrive
l’opera in questo modo specifico

2. Monologion
si dice spesso che qui si trovano tre dimostrazioni della prova di Dio a posteriori, ovvero a
partire da ciò che viene dopo, ovvero dalla creazione, mentre da manuale il proslogion ha un
unico argomento a priori
D’Onofrio sostiene che nel Monologion ci siano in realtà quattro argomenti e che possano
essere considerati a priori, perché l’elemento cosmologico è vero che è presente, ma ciò da
cui si parte è una nozione del divino presente nella nostra mente, in qualche modo
presuppone che il credente sappia che c’è Dio
anche mettendo tra parentesi il dato di fede, considera presupponibile che Dio esista
anche un’intelligenza che ignora che cosa sia Dio, può essere condotta con la sola ratio alla
rappresentabilità di ciò che la fede intende parlando di Dio, e da qui alla necessità di
ammetterne l’esistenza
argomenti non considerano tanto la realtà creata quanto delle costanti e determinazioni
generali che si danno nella realtà creata, ma essa non è il punto di partenza teorico
Dio è la causa prima e ultima di tutto ciò che esiste, come facciamo a trovare nella realtà
elementi che ci testimoniano ciò?
primo argomento: constatiamo di desiderare delle cose, ma in tutto ciò che desideriamo non
desideriamo in sè delle cose, ma vogliamo il loro essere buone, ovvero le desideriamo
perché buone, quindi il bene che troviamo nelle cose e che le fa essere tali, e se troviamo
nelle cose del bene allora riconosciamo che sono bene in parte, in modo imperfetto: ma
allora deve esserci un bene in sè rispetto al quale noi misuriamo l’imperfezione del bene che
troviamo nelle cose (e che non necessita di altro per essere desiderato)
da una caratteristica nella realtà, la bontà, in cui si trova parzialmente, si dice che deve
esistere in maniera assoluta e totale
presupposto che gradi imperfetti di determinata perfezione si possono invenire e misurare
soltanto a partire dal grado assoluto di tale perfezione
secondo argomento: tutte le cose create hanno una determinata grandezza, hanno in sè
l’essere grandi, possiamo misurarlo relativizzandolo, che ci mostra necessità di avere una

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grandezza assoluta da cui partire, altrimenti non potremmo misurare quella relativa, questa
somma grandezza non può che coincidere con il sommo bene, è Dio
sulle cose del mondo possiamo formare delle proposizioni, che hanno la loro rectitudo, che
non potrebbe esistere se non ci fosse una suprema rectitudo in base a cui misurare quella
relativa che io constato
è un’impostazione platonica, trovare una caratteristica comune alle cose relative postula che
io possa risalire al livello assoluto, altrimenti non potrei sperimentare nemmeno il relativo
la mente è ascesa da una predicazione per aliud (predicazione di qualità e di quantità che
sono tali per il riferimento ad una qualità o quantità superiori) alla predicazione per se, che
coincide con Dio, per se ipsum
terzo argomento: si concentra su categoria della relazione, ogni cosa che la mente conosce
il qualche modo è- il nulla è problema filosofico, discusso molto in questi secoli, non solo per
la creazione dal nulla- ma cosa significa che una cosa è? una cosa è perché è in relazione a
qualche cosa che lo fa essere, tutte le cose del mondo sono relativamente, hanno un essere
limitato legato ad una causa che lo ha generato
oltre ad un essere che si dà in una relazione causale, ci può essere un essere in sè, che è
Dio, quindi la catena delle relazioni che fanno essere l’essere delle cose deve mettere capo
a Dio
quarto argomento: la relazione non si riferisce solo alle sostanze, ma anche alle
qualificazioni; nelle cose ci sono vari gradi di perfezione o dignità, che non può procedere
all’infinito, risalendo non posso che trovare una somma perfezione, che si dà al grado
assoluto, che necessariamente è la perfezione di Dio
seconda parte del Monologion: a partire da queste premesse si parla di altri caratteri di Dio:
è ingenerato (non può dipendere da causa preesistente), è essenza che può essere tutto
(infinita potenza) ed è anche tutto ciò che può essere (infinito atto), ogni causalità scaturisce
da lui in quanto creatore di tutto (creazione dal nulla: dicendolo sembra che nulla sai
qualcosa, ma prima delle cose c’era solo Dio, quindi le cose erano in Dio ma non erano Dio,
ovvero esistevano nel pensiero divino, nel Verbo, generato dal padre: Padre e Figlio non
sono in rapporto di subordinazione o alterità, perché sono uniti da un amore identico,
perfetto perchè l’amante, nell’amare l’amato, ama anche sè stesso)
formula via interessante e per alcuni aspetti alternativa rispetto alla teologia negativa
pur consapevole dei limiti, forse per lui la teologia metafisica doveva essere troppo
metaforica
fiducioso nelle capacità della ragione
è vero che Dio ha tutte le perfezioni, ma a loro volta le perfezioni non sono tutte di uguale
dignità, anche nelle creature ci sono delle perfezioni che è meglio predicare di Dio e altre
che è meglio non predicare, perché troppo legate alla finitezza o materialità
ad esempio il corpo ha vari gradi di perfezione, ma legati alla finitezza della creaturalità,
come l’essere animale è una perfezione rispetto all’essere pianta
vivere invece è una perfezione che non è vincolata alla finitezza e alla materialità
è meglio dire di Dio le perfezioni di grado superiore, legate alla possibilità dell’infinità

3. Proslogion
breve Prologo in cui ci racconta la vicenda dell’opera, scritta solo un anno dopo rispetto al
monologio, e spiega la difficoltà e lo sforzo intellettuale che aveva compiuto per reperire
l'argomento, che un giorno si è improvvisamente palesato [il biografo Eadmero racconta di
Anselmo che per due notti si sveglia e annota intuizione su tavoletta, ritrovata distrutta al
mattino, e poi la terza volta sveglia il copista e gli detta]

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era nel coro, dove monaci dicono orazioni del mattino, e gli si era palesato un unum
argomentum, un unico argomento assolutamente probante per dimostrare l’esistenza di Dio
c’è ancora bipartizione tra ratio e intellectus che si era generata in Boezio: c’è la ratio che
con la sua discorsività ci ha portato a quattro argomentazioni, ma sente la necessità di
ricondurle ad un’unica argomentazione che sia intuitiva, per cogliere Dio non con una
razionalità discorsiva, ma un ragionamento che si presenti in modo intuitivo e totalizzante
argomentum rimanda al tecnicismo topos, ovvero luogo intuitivo della mente
la dizione “argomento ontologico” è tarda, nasce da sistemazioni manualistiche: D’Onofrio
sottolinea che non si può definire tale, in quanto la mente non acquisisce da sola il concetto
totalizzante di Dio, ma si parte da riflessione che è comunicata dall’espressione della verità
della fede:
solo un credente potrebbe escogitare l’argomento, che è tuttavia razionale e avente
un’efficacia a prescindere dalla fede
vuole unificare le argomentazioni, anche per questo si può sostenere che anche gli altri sono
argomenti a priori, tutti partono dal concetto di Dio, semplicemente questo si propone come
argomento unificante e intuitivo
all’inizio l’anima, in una preghiera, viene invitata ad entrare nel silenzio della propria “cella”,
per rivolgersi al creatore
prende le mosse da versetto di Salmo 51: “in cuor suo l'insipiente dice che Dio non esiste”
citazione scritturistica: ci mostra come è davvero un credo ut intellegam, non c’è dubbio che
il Salmo dica la verità, la fede anche se non viene fatta giocare è sempre un presupposto
l’insipiens è una persona che non sa, che non si rende conto di quello che dice
in cuor suo: non ad alta voce
costui per dire questa proposizione e considerarla vera deve avere in sè un’idea di che cosa
sia Dio, deve avere concetto di Dio a cui riferire una non-esistenza
qual è questo contenuto significativo? Anselmo dice che ciò che l’insipiente intende quando
dice Dio è “ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore”, aliquid quo nihil maius cogitari
possit
è quella suprema infinita realtà della quale non è pensabile una maggiore, identità tra dio e
aliquid quo maius cogitari nequit
se ci fosse un’entità maggiore quella di prima non sarebbe Dio
se tale cosa non fosse esistente, in realtà allora non sarebbe davvero tale, ovvero non
sarebbe “ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore” perché potrei pensare un “ciò di cui
non si può pensare nulla di maggiore” con in aggiunta l’esistenza, siccome l’esistenza è una
perfezione
se da una parte ne posso pensare uno senza l'esistenza, allora dall’altra uno con l’esistenza
chi dice come l'insipiente in realtà si contraddice, perché il suo “ciò di cui non si può pensare
nulla di maggiore” non è davvero tale, perché uno così ma che esiste ha una perfezione
maggiore rispetto a quello che non esiste
dicendo che “ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore” non esiste, sta dicendo che
“ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore” non è “ciò di cui non si può pensare nulla di
maggiore” e si contraddice
dunque il fatto che io trovi in me la pensabilità di “ciò di cui non si può pensare nulla di
maggiore” implica che tale cosa esista
da ambito del pensiero a quello della realtà
pericoli di tale procedere si vedono nella polemica che lo stesso Anselmo aveva intrapreso
con un monaco, Gaunilone di Marmoutier, di cui sappiamo solo che in risposta all’opera
scrisse un Liber pro insipiente (a nome-per conto di), in cui sostiene che la nostra ragione

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non può arrivare a certezza sull’esistenza di Dio: non può sfuggire al dubbio perché un conto
è l’essere nell’intelletto, un conto è l’essere nelle cose
è un po’ un teologus modernus, non più totalmente persuaso della necessaria e insuperabile
coincidenza di ordo verborum e rerum, per lui la nostra intelligenza vale ma nell’ambito del
finito, dell'esistenza concreta (nella nostra mente ci sono parole e significati, non res): il
ragionamento di Anselmo presuppone una sovrapponibilità di piani su cui è lecito discutere
l’esempio di Gaunilone è quello di un’isola sperduta in cui ci sono tutte le ricchezze possibili
e le perfezioni: la posso immaginare e pensare ma questo non significa che esista, Dio è
entità individuale che la nostra mente non può cogliere
l’argomento di Anselmo si riduce ad una prescrizione di non pensabilità, non può
corrispondere a ciò che Dio è veramente (alla fine non solo Dio non è in re, ma nemmeno in
intellectu)
Anselmo ha voluto che la sua risposta fosse riportata alla fine del Proslogion
Kant, esempio dei cento talleri è fuoriluogo: probabilmente non leggeva il Proslogion ma le
trattazioni manualistiche che avevano a loro volta estrapolato informazioni e ridotto
l’argomento di Anselmo in modo poco raffinato
in un secondo aspetto la sua critica, come quella di Gaunilone, coglie più nel segno:
problema del rapporto tra piano intellettivo e il piano reale
Gaunilone ha colto che per mettersi sul piano di Anselmo bisogna rifarsi al concetto di
perfezione, usare gli stessi termini
mette in dubbio il fatto che così come io ne parlo le cose sono, che come penso rifletto una
struttura ordinata della realtà: questo è il presupposto fondamentale di Anselmo, che nella
sua risposta non fa che ribadire il suo presupposto, anche però rivelandosi un logico molto
acuto: esempio di isole beate non va bene, perché io non dico che Dio è l’ente più perfetto,
altrimenti presupporrei l’esistenza di Dio e farei petitio principii, ma io dico che Dio è l’ente di
cui non si può pensare nulla di maggiore, mentre con le isole si è sul piano di esistenza
empirica, io su piano di possibilità di pensare
effettivamente discorso di Gaunilone è inficiato da aspetto empirico di più rispetto al discorso
totalmente astratto di Anselmo
non a caso nella sua obiezione aveva espresso la formulazione anselmiana in modo
diverso, dicendo maius omnibus, la cosa più grande di tutte
è vero anche che poi Anselmo passa dalla pensabilità alla realtà, e questo implica che per
lui ci sia isomorfismo tra ordo verborum, idearum, rerum: se penso una cosa nella mente
non può essere contraddittoria, altrimenti avrei una contraddizione anche nella realtà, ma
non può essere essendo ordinata da Dio
l’argomento di Anselmo funziona ma solo per chi accetta il suo presupposto: inizia la
risposta dicendo: sei un monaco, mi stupisco che dici che dici che Dio non esiste
Gaunilone in realtà sta dicendo che razionalmente non possiamo eliminare il dubbio
sull’esistenza di Dio, per Anselmo questo sarebbe un problema perché ci sarebbe qualcosa
di reale non pensabile
da problema teologico a questione eminentemente filosofica, sui fondamenti del nostro
pensare: il concetto di Dio che troviamo nella mente è speciale e straordinario o come tutti
gli altri?
4. il sistema della verità cristiana
critica di Anselmo a Roscellino:gli rimprovera di essere ateo, errore simile a Gaunilone nel
non aver riconosciuto realtà oggettiva a ciò che è significato secondo verità dal pensiero

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Anselmo non può pensare al linguaggio con ruolo solo strumentale, se tutte formulazioni di
cui diciamo che sono vere avessero scopo puramente pratico, non sarebbero mai adeguate
a verità più alta da cui derivano
pensiero di Anselmo è la testimonianza più alta dell’epoca agostiniana boeziana che con lui
termina
dopo queste due opere prosegue la verifica razionale della verità teologica, in
un’esposizione organica adeguata alla fonte da cui emana, dunque necessariamente
armonica e unitaria
il presupposto è l’efficacia teologica del linguaggio se regolamentato dalle leggi della
dialettica e orientato dalle direttive della fede
intreccio di razionalità dialettica e fede colloca il credente e la sua intelligenza in un ambito
definito di verità

De grammatico
riguarda problema dei termini paronimi, ovvero derivanti da radice comune
i termini logici con significato possono indicare sia realtà individuali che universali: uomo
indica sia un singolo che il genere, è la logica della proposizione che ci dice a che livello si
pone la significazione del termine in quella determinata proposizione
solo dentro alla proposizione si può capire cosa significa un termine: apre a logica
terministica, portata alle estreme conseguenze con Guglielmo di Occam
da Anselmo si apre considerazione del linguaggio che poi finisce per capovolgere le sue
stesse tesi
la Parola divina gode di una suprema rectitudo, quindi una corrispondenza con la realtà della
cose che dice, mentre le cose create possiedono una rectitudo nella misura in cui realizzano
in sè stesse ciò che per esse è stato stabilito nelle necessariae rationes, principi eterni della
verità

De casu diaboli, la caduta del diavolo


che posto ha il male, e l'entità che lo rappresenta? in una concezione per cui tutto ciò che si
può pensare è, e tutto ciò che è è voluto da Dio
capovolge argomento del Proslogion, il male non esiste proprio perché non è pensabile
non c’è in Dio nessuna idea eterna del male
il male non può assolutamente essere pensato come un bene, è ciò di cui si può sempre
pensare qualcosa di maggiore, è la negazione della rectitudo, dell’essere
male, nulla sono termini apparentemente positivi, ma in realtà non significano nulla, come
quando diciamo cecità non parliamo di qualche entità effettiva ma di una privazione
ripresa di Agostino in una prospettiva metafisica più ampia e articolata
neanche la caduta del diavolo e dell’uomo sono causa del male, che, non essendo una res,
non possiede una causa
il peccato è l'attuazione della non rectitudo di qualcosa (Dio vuole che noi siamo felici in
seguito ad una nostra libera adesione all’ordine divino)
nel pensiero divino l’ordine della realtà è eterno, mentre nella creazione è un ordine in
divenire
De libero arbitrio: la libertà non è solo possibilità di peccare o di non peccare, ma possibilità
di realizzare o meno le perfezioni previste dalle necessariae rationes, e questa possibilità,
anche in ambito etico così come in ambito logico in relazione alla possibilità che hanno il
pensiero e linguaggio di essere veri, si chiama rectitudo

48
5. Il Cur Deus Homo?, dalla fede all’intelligenza del mysterium di Cristo
Cur deus homo, Perché dio si è fatto uomo?
ultima opera, 1098
il mistero dell’incarnazione è quello più alto
si può comprendere la necessità dell’incarnazione, non come avvenga (ricorda Lanfranco):
non posso capire come in Cristo divino e umano coesistono, ma posso capire la necessità
che ciò accada
nel medioevo è stata l'opera più famosa
l’uomo in Adamo è caduto, per sua scelta ha perso la sua rectitudo, quello che avrebbe
voluto dio per l’uomo
ha creato una rottura, nessun essere creato poteva riparare ad una simile rottura
doveva essere superata da entità che fosse sì umana, ovvero che avesse nella propria
natura la caduta e il peccato, ma non solo umana, serve uomo che sia anche Dio, per
chiedere a Dio stesso di ripristinare l’originaria armonia, che è un bene, dunque Dio non può
non volerla
la redenzione dell’umanità di sicuro è voluta da Dio, ma per averla non basta un uomo
Dio per realizzare la propria volontà non poteva che non mandare suo figlio a diventare
uomo
ma Dio non poteva volere che redenzione non si verificasse? Dio non è libero se fa ciò che
vuole, ma se fa ciò che si trova nelle sue idee eterne, se non redimesse l’umanità sarebbe
meno Dio, non perfetto, perché non realizzerebbe ciò che nell’eterno ha stabilito nella
propria sistemazione del reale
la redenzione dell’umanità, che non poteva non avvenire, non avrebbe potuto avvenire per
un’altra via
ma pur essendo necessaria, la scelta dell’incarnazione del proprio Figlio è stata
assolutamente libera da parte di Dio: la vera libertà di Dio è la realizzazione della sua
volontà (tutto ciò che è necessario è tale perché Dio lo vuole, e Dio può tutto tranne ciò che
non vuole)
la libertà di Dio è causa di sè medesima, la volontà di mantenere la rectitudo è adesione alla
sua volontà
strade tradizionali nella loro origine con acutezza argomentativa fuori dal comune

XII SECOLO
“il secolo delle scuole”, è il vero secolo della rinascita del pensiero medievale
c’è grande scuola di Chartres, Gilberto Porretano, Pietro Abelardo origina dispute
ripresa della vita cittadina sviluppa nascita di scuole che per dare rudimenti del sapere
estendono l’alfabetizzazione
Etien Gilson: tanto quanto in anselmo sentiamo silenzio di comunità monastica, dietro
abelardo rumore di vita cittadina

PIETRO ABELARDO
secondo autore che ci consegna una ricca biografia
estremamente innovativo e originale
nuova libertà nell’uso della ragione filosofica
è il primo ad esempio a codificare il termine teologia, di solito riflessione razionale su Dio
chiamata sana doctrina
un titolo di un’opera è Theologia, che nella seconda redazione diventa Theologia christiana
(designa definitivamente la comprensione intellettuale della verità rivelata da Dio, indica una

49
conoscenza di Dio in senso oggettivo fondata su una partecipazione dell’intelligenza
creaturale alla conoscenza che Dio ha di sè- notitia Dei in senso soggettivo)
Dialogo tra un Filosofo un Ebreo e un Cristiano, uno stesso oggetto si fa conoscere in modo
diversi a seconda delle facoltà conoscitive proprie del soggetto
conoscere Dio è possibile solo per chi si affida alla grazia della Rivelazione: questo dono per
dare frutto ha comunque bisogno dell’impegno dell’intelligenza, nello specifico della
dialettica: l’argomento dialettico è ratio che produce la fides in qualcosa che è ancora dubbio
ricorda anche invidie e persecuzioni che opera gli aveva suscitato: per lui indagine dialettica
e logica ha campo di azione maggiore di quanto si pensasse in precedenza
uso esteso e maturo di ragione dialettica nella sua ottica è al servizio del dato della fede e
funzionale a rendere la nostra riflessione su di esso più solida e radicata
un po’ come era accaduto a Lanfranco con Berengario di tours, due personaggi si
accanirono contro Abelardo fino a causare condanna dottrinale nel 1140
nella prima lettera di un epistolario che manda ad Eloisa conteniamo info biografiche,
Historia calamitatum mearum
nato 1079 a Le pallet in Bretagna, palazzo del francese moderno, per questo magister
palatinum, ovvero che viene dal palazzo
figlio di soldato che presiedeva la guarnigione di questa fortezza
dice che questa discendenza lo aveva portato ad essere un combattente in vita, con le armi
della logica e della filosofia
spesso aveva bisogno di avversario con cui esercitare dialettica
va a Parigi per studiare alla scuola cattedrale di Notre Dame, rinunciando a primogenitura,
voleva diventare maestro di logica
scuola monastica diventa scuola cittadina, o cattedrale se è scuola alle immediate
discendenze di ministri della chiesa e legata al duomo della città
qui segue lezioni di Guglielmo di Champeaux: è allievo brillante, tra i due i rapporti diventano
tesi
lascia Parigi, poco più di ventenne diventa maestro in paesi vicini
quando torna a Parigi ha già autorevolezza e fama che gli permette di tornare senza più
timore da allievo nei confronti del maestro, scopre che Guglielmo di champeaux si era ritirato
presso l'abbazia di san Vittore, aveva assunto abito religioso diventando chierico regolare, e
lì aveva aperto scuola di retorica- scuola di san vittore monastica ma aperta anche ad allievi
esterni, anselmo ad esempio non aveva allievi esterni al monastero: segno di apertura e di
una esigenza, mostra necessità e volontà di studenti esterni di andarci a studiare
inizia a discutere con Guglielmo sulla dottrina degli universali, ma G. per ben due volte
obbligato a riconoscere nella sua dottrina elementi di debolezza, questa polemica si protrae
per quasi una ventina di anni, ma si incrocia con altre sue vicende biografiche
anche quando diventa un chierico continua ad insegnare, prima la logica e poi la teologia:
per quanto ne sappiamo noi per la prima volta filosofo che è insegnante di mestiere, vive di
tali proventi economici
finchè sta a Parigi va a vivere presso la cattedrale di Notre Dame, conosce Fulberto, che si
occupa di mansioni di gestione, che gli presenta la propria nipote, Eloisa, giovane 15enne, di
cui probabilmente era il tutore- dalla corrispondenza tra lei e pietro si capisce che non vi
erano i genitori o comunque erano lontani- pare che fosse ragazza brillante, Fulberto gli
chiede di diventare insegnante privato di Eloisa
Eloisa rimane incinta e si ritira in un monastero
studioso di Abelardo mette insieme aspetti romanzati di lettere e documenti dell’epoca

50
Abelardo si propone di sposarla e lei dice di no, anche questo è molto strano- era giovane e
rifiuta, tra l’altro dal loro epistolario pare che lei fosse innamorata- gli studiosi ancora non
sanno se sia autentico oppure no, ci sono tinte appassionate
lui dice che non voleva che lei restasse incinta, non l’aveva considerato come scenario, colto
inaspettato, prova goffamente a giustificarsi
più avanti negli anni, se epistolario è autentico, lei gli dice che lo ha amato troppo per
sposarlo
quando Fulberto scopre perché Eloisa è andata via si infuria, e non crede a Abelardo
quando questo gli dice che è la giovane che ha declinato la proposta: in preda alla rabbia
assolda degli uomini affinché evirassero Abelardo, poi furono condannati a subire la stessa
mutilazione che avevano inflitto, Fulberto stesso dovette scontare una pena
il problema fu l’umiliazione terribile di un maestro di logica famoso
Eloisa partorisce e si fa monaca, lui continua a mantenere corrispondenza, a mantenere
rapporti con il monastero- che dopo chiude, Abelardo stesso dà la possibilità alle monache
di spostarsi in un edificio di una sua scuola
in ogni caso la scelta di entrare in un ordine religioso è stata sincera, sia da parte di Eloisa
che da parte poi di Abelardo, non solo per dare veste dignitosa a castità forzata ma anche
perché è veramente un cristiano sincero- confessio fidei universi ultima cosa che ha scritto
da malato, mentre sta andando a chiedere clemenza al papa ma non riesce a proseguire e
si ferma presso amico Pietro il Venerabile e dice di aver sempre voluto essere fedele alla
verità di cristo (per il professore sincerità)
lo spediscono in Bretagna in abbazia in cui i monaci erano estremamente dissoluti, avevano
provato ad avvelenare il priore, disgustato riesce a lasciare questo posto
forse il suo insegnamento della dialettica si stava un po’ esaurendo, inizia a scrivere di
teologia, si reca alla scuola di Anselmo di Laon, un teologo famoso dell’epoca che
commenta la bibbia leggendola ad alta voce nelle lezioni capra: Abelardo trova le letture
troppo superficiali, dice che gli studenti gli chiedono di spiegare il qoelet, che entusiasma
tutti gli studenti e Anselmo allora lo manda via-forse qua un po’ romanzato- ma in ogni caso
da allora inizia a insegnare teologia, anche in provincia, costruendo delle scuole
si fa cacciare dal suo priore nella disputa sul nome del sen deni
arriva a Parigi, gli si concede di abitare fuori dalla comunità, nel 1121 ha già avuto una
pesante condanna dottrinale al concilio di Chaussons per tesi su teologia trinitaria
negli ultimi anni violenta polemica con Bernardo di Chiaravalle, grande filosofo, causata da
mediazione di Guglielmo di Chenterri, sempre legata a tesi di teologia trinitaria-
Bernardo dice che non è stato papa ma avrebbe potuto esserlo, effettivamente è stato una
delle figure più importanti dell’epoca, ottiene che venga convocato ad un concilio a Seins-
prima tra i due c’erano stati dei rapporti e scambi cordiali-, in cui fa in modo di mettere in
grave difficoltà Abelardo, che fa una mossa consentita ma imprevista, ovvero si appella al
papa prima che il concilio sancisca la condanna, ma sulla strada per Roma si ferma da un
amico e per problemi di salute muore
straordinariamente vivo nel non saper governare la propria forza polemica, nel dare nelle
vicende biografiche una chiave di lettura a proprio favore, parla di tutti i suoi maestri eccetto
che di Roscellino, con grande rispetto, anche con coloro con cui ha litigato, si dimostra
intelligente e aperto nel modo in cui riconosce la validità degli avversari
due ambiti fondamentali: logica ed etica
è la logica a legittimare la pretesa creaturale di parlare con dio, nella preghiera, e di Dio, in
teologia
è accusato di aver offeso la religione introducendo argomentazioni dialettiche

51
egli replica che se la logica è una scientia, ha a che fare con la veritas, così come la fede:
due verità non possono essere contraddittorie, come non possono esserlo due scientiae, se
sono entrambe veridiche (una scienza non può essere mai falsa, anche se lo è il suo
oggetto, e nemmeno malvagia)
l’uso della dialettica in teologia è indispensabile, l'obiettivo comune è la conoscenza del vero
e del bene

il problema degli universali


nasce dalla prima pagina dell’Isagoge di Porfirio, ovvero introduzione alle Categorie di
Aristotele, per capirle uno studente deve prima sapere che esistono cinque predicabili:
sostanza, genere, specie, proprio, accidente
sono ricavati dalla dottrina di Aristotele ma la specie e il proprio hanno declinazioni non più
esattamente aristoteliche nella trattazione
parlando di genere e specie si parla di concetti universali (universale è concetto che si può
dire con verità di una pluralità di soggetti)
rispetto a tali concetti dice che si possono porre tre domande:
- gli universali, ovvero generi e specie, esistono davvero?
- posto che questi universali esistano, esistono separatamente dagli individui a cui si
riferiscono?
- posto che siano separati da individui, sono conoscibili a prescindere da essi?
dice che queste domande sono troppo complesse per un’opera introduttiva, quindi passa
alla trattazione
viene tradotta da Boezio in latino, prima opera della logica vetus, ovvero quello che di logica
si poteva sapere
queste tre domande sono diventate molto importanti per il medioevo, anche se non hanno
ovviamente esaurito la riflessione medievale
per un neoplatonico gli universali sono idee, nel Parmenide il problema è proprio quello della
separazione, le idee sono unitarie, molteplici, come si possono conoscere? non c’è risposta,
nel sofista i generi sommi sono un tentativo di risolvere alcune difficoltà della sua dottrina
per un autore medievale la situazione si amplia, perché possiede le categorie di Aristotele,
pur non avendo la Metafisica si trova davanti ad un’ontologia dell'immanenza, in cui la forma
è nella sostanza come sinolo
ha ragione Platone o Aristotele? e siccome l’assunto di fondo era che bisognava che
avessero ragione entrambi- concordismo fondamentale, anche Boezio- la domanda diventa:
cosa c’è di vero nell'impostazione di Platone e nella dottrina Aristotelica desunta
dall’Organon?
i medievali dovevano trovare un accordo non solo tra i due, ma anche con la Rivelazione: la
verità è una sola
si può davvero essere convinti che ci sia una verità sola?
il primo che dà una risposta importante è Boezio, che ben conosceva Aristotele, nel suo
commento al De interpretatione: troviamo contraddizione con quello che scrive nel La
consolazione della filosofia, in cui fornisce una risposta platonica (idee esistono in mondo
superiore e separato)- qua invece fa esempio della linea: anche concetto della linea è
universale, la linea nella realtà empirica è il confine di un corpo, quindi in sè la linea è una
realtà che si trova nella materia, tuttavia la nostra ratio può considerare separatamente la
linea rispetto alla superficie e quindi alla materia in cui si trova, è separazione concettuale di
ciò che nella realtà è unito- sarebbe falso se affermassi che la linea nella realtà esiste
indipendentemente dalla materia

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questo potere di separare è quello che il medioevo maturo chiamerà astrazione: capacità
che ragione ha di considerare separatamente ciò che nella realtà è unito
Boezio direbbe che universali esistono uniti alla realtà materiale, in questo senso esistono
realmente, e non separati dagli individui, ma tramite l’astrazione sono conoscibili
indipendentemente dagli individui
Boezio, data la sua importanza, ci consegna già un’elaborazione compiuta e complessa di
questa idea degli universali
nei manuali posizioni su universali si dividono tra:
- realiste, ad esempio Anselmo d’Aosta più spinto: esistono universali reali nella mente
divina
- nominaliste, ad esempio Roscellino è radicale, che dice che gli universali altro non
sono se non emissioni di voce, il linguaggio ha funzione esclusivamente pratica
Boezio sarebbe un nominalismo moderato, che poi coincide con realismo moderato:
universali sono radicati nella realtà ma conoscibili a prescindere da essa

Abelardo dunque giunge su tema con storia e importanza, ascolta lezioni di Guglielmo di
Champeaux che dice che l’universale è una res, una cosa realmente presente negli individui
che si dicono con quell’universale: ma per Abelardo il suo realismo è autocontraddittorio
uomo e cavallo entrambi animali, condividono il riferimento al medesimo universale, se
avesse ragione Guglielmo, per cui nel cavallo c’è la res che è l’animale e nell'uomo c’è la
stessa res, ci troveremmo in una situazione contraddittoria, perché la stessa res-animalità-
sarebbe, allo stesso tempo e secondo lo stesso rispetto, razionale- nel caso dell’uomo- e
non razionale- nel caso del cavallo
il realismo ci porta a violare il pdnc
in una seconda fase allora Guglielmo dice che l’universale non è esattamente una res, ma è
il fatto che in cose diverse ci sono caratteri non differenti: cavallo e uomo entrambi animali
perché non differiscono in una serie di caratteri: non si dà a questa realtà un grado di essere
tale da violare il principio (universale è una resa caratterizzata dall’indifferentia rispetto agli
individui, che risultano dal moltiplicarsi delle differentiae)
per Abelardo, se la prima versione di realismo chiede troppo all’universale, la seconda gli
chiede troppo poco, perché sono indifferenti per certi aspetti anche un uomo e una pietra-
sono entrambi corpi- l’indifferenza è un criterio troppo generale per stabilire che cosa è
universale e cosa no
inizia una complessa trattazione degli universali:
aggiunge una domanda a quelle di Porfirio: l’universale continuerebbe a essere reale anche
se non esistessero più gli individui corrispondenti? s, l’universale è reale ma in un modo
diverso rispetto agli individui
l’universale non è una res, ma è un termine, l’universalità è il modo di significare di un
termine, che anziché riferirsi ad un individuo, si riferisce ad una pluralità di individui
ma non è un termine nel suo aspetto vocale e grafico, come per Roscellino, ma è un termine
che ha un significato, non è una vox ma è un sermo: un termine che mantiene un
ancoraggio alla realtà, vuole significare qualche cosa in modo non arbitrario
che cosa significa il termine universale? non i singoli individui (è Guglielmo di Occam che
dice che l’universale significa gli individui, ma lui si colloca alla fine del passaggio da
metafisica delle essenze a metafisica degli individui), ma una realtà più generale,
universale significa l’immagine confusa di molti singolari che si forma nella nostra
ratio dopo ripetute conoscenze sensibili

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vedo tanti individui le cui peculiarità individuali si offuscano, e in questa confusione mi
rimane ciò che è comune
la verità è l’esito di una relazione tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto: l’universale
è la realtà di tale relazione quando essa è vera, quindi quando l’intellezione interiore
corrisponde alla condizione in cui esteriormente la res si trova (D’Onofrio)
dunque la verità ultima degli universali è quella delle idee divine, dato che per essere veri
devono riflettere la maniera vera d'essere delle cose, cioè le leggi che governano la
creazione
ma il discorso sulla significazione non serviva a salvare una parte di realismo?
l’immagine confusa si forma da uno status, ovvero dal fatto che, ad esempio, tutti gli individui
che ho conosciuto condividono dei tratti ontologici da cui traggo la mia immagine confusa-
però così ricorda la tanto criticata indifferenza di Guglielmo, è risposta con debolezze
comunque ha spostato il discorso sugli universali su quello del significato dei termini, nel
medioevo fondamentale apertura a riflessione sul linguaggio

Etica
Ethica, 1139-40 ultima opera filosofica- c’è disputa, D’Onofrio invece dice che ultima opera è
Dialogo tra un filosofo, un giudeo e un cristiano (per il professore è invece questo degli anni
venti)
è incompiuta, doveva esserci primo libro sul vizio e poi uno sulla virtù, forse per problemi di
malattia e di questioni di concili
etica filosofica, tiene conto del dato rivelato ma da esso vuole riflessione razionale
alcuni parlano di etica dell’intenzione
ci sono vizi del corpo, che non hanno rilevanza morale, e vizi dell’animo
cos'è il vizio? è una inclinazione a peccare, infatti non tutti abbiamo nella stessa misura tutti i
vizi, c’è chi è più incline alla gola, chi alla pigrizia, chi alla lussuria eccetera, come tutte le
inclinazioni è individualmente molto variabile, in quanto legato ad aspetti che riguardano la
complessione del corpo, fa capire che il corpo ha influenza importante sulla mente
vizio in quanto inclinazione e in quanto legato a complessione somatopsichica non è
imputabile come una colpa
interessante questo in epoca che invece ha concezione del vizio come peccato, Abelardo è
molto umano e molto rivoluzionario
quando è allora che si fa un peccato? se vizio non ha valore morale non è un peccato,
facciamo il male quando assentiamo con la nostra volontà a questa nostra inclinazione
peccare vuol dire porre in sè stessi il fine delle proprie azioni e non in Dio
la libertà sta nel consentire oppure nel negare lo spazio all’inclinazione
il male sta nel consenso della volontà
due conseguenze di enorme portata:
- il bene e il male morale non stanno nelle azioni, perché le azioni possono essere
costrette, involontarie, consapevole ma non del loro portato morale, le azioni hanno
rilevanza giuridica ma non morale
- soltanto l’individuo e Dio possono sapere se una volontà ha assentito al male, e
quindi in realtà non è un’etica soggettiva, perché il criterio del bene e del male è
comunque fornito da Dio
è etica dell'intenzione perché solo l’assenso libero della volontà ospita il bene e il male, ma
questo assenso rimanda anche all’ordine oggettivo dato da Dio
quindi la bontà e cattiveria stanno nell’intenzione perché Dio non può essere offeso da
nessun gesto umano, mentre a Dio dispiace che liberamente l’individuo possa disprezzarlo-

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torna Agostino, in interiore stat veritas, nell’interiorità risiede Dio ed esso lì può trovare la
mancanza di rispetto
senza sacrificare l’oggettività valorizza estremamente la libertà e la discrezione dell’individuo
l’accento sull’intenzione come principio di valutazione morale è simmetrico a quello
dell’intellectus in ambito logico-conoscitivo (la verità di un enunciato dipende dal suo in-
tendere alla realtà oggettiva della sua verità); e come è sempre imperfetta la conoscenza
dell’uomo, così è sempre inadeguata la bontà delle sue azioni se confrontata con il Sommo
Bene (d’altra parte come nessuna azione buona può non tendere al bene, così nessuna
comprensione della veritas può non orientarsi verso l’unica e assoluta veritas in sè)
i veri logici sono sempre veramente filosofi e veramente teologi
il teologo, pur ammirando la bellezza del linguaggio della Rivelazione, può trovarsi in
difficoltà rispetto alla sovrapposizione di diversi significati scritturali
Sic et non, evidenzia le contraddizioni dei Padri su uno stesso argomento teologico, lo scopo
è invitare a un metodico superamento del contrasto, propone una procedura (esame
filologico deve considerare l’evoluzione del pensiero di un autore, il genere letterario, il
destinatario, l'equivocità intrinseca al nostro linguaggio, e se la contraddizione permane,
allora si può usare la ratio dialettica: con la sua oggettività la scelta sarà verso la più salda
manifestazione di verità)

la logica della Trinità


tentativo è spiegare ragionevolmente la compresenza di tre persone in Dio
non è un qualcosa di nuovo, molto dibattuto già dal III secolo, in risposta a molte eresie, lo
avevano fatto i Padri Cappadoci nel IV secolo, Agostino e Boezio avevano scritto un De
trinitate
ciò che è nuovo è l’autonomia che Abelardo rivendica al procedere della filosofia, che porta
poi alle condanne dottrinali
tema della Trinità continuamente ritoccato, ci sono tre pubblicazioni: Theologia Summi Boni,
Theologia Christiana; Theologia Scholarium
lui dice che già gli antichi filosofi cristiani avevano trovato che nella creazione si riflettesse la
trinità di Dio, nello specifico in tre aspetti dell’agire divino: potenza, sapienza e bontà
però insistere su queste tre cose in modo trasparente è modo per attenuare la distinzione
delle tre persone: sono tre determinazioni che stanno bene in un’unica sostanza, più
complesso è capire come sapienza, potenza e bontà possano essere tre persone distinte
il rischio nel caso di Abelardo è accentuare troppo l’unità a scapito della Trinità, ricadendo
nel modalismo
lui spiega che queste determinazioni non indicano di per sè delle relazioni, esistono anche
non in relazione reciproca (a differenza di Padre e Figlio), sono proprietà di sostanza
verbalmente sono tre voces, tre termini distinti, il cui significato va spiegato all’interno del
contesto semantico all’interno di cui vengono usate: tale contesto è quello dell’unica
sostanza:
riprende aspetto della sua logica e dice che sapienza, potenza e bontà sono tre status
dell’unica sostanza divina, nessuna indica un aspetto totalmente diverso di Dio, ma insiemi
di caratteristiche divine non abbastanza diversi da inficiare l’unità della sostanza ma
nemmeno troppo uguali da annullare la trinità
la sapienza non è la potenza e non è la bontà
corrispondono a tre status diversi di una sostanza, non a tre sostanze, ciascuna ha una
definizione propria ma ne esprime anche l’unitaria realtà

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siccome ci sono tre status, ci possono essere tre intellectus e costruire tre concetti senza
inficiare l’unità di Dio
ha spostato la valenza del problema del piano della logica del termine al piano della logica
proposizionale: affermazioni come “il Padre è il Figlio” non vanno bene perché l’ambito
semantico di “ciò che è il padre/Figlio” è quello della identica sostanza, mentre quello di
Padre e “Figlio” è quello delle proprietà distinte da diverse definizioni in quanto
corrispondenti ciascuna a un diverso status
usa la metafora del sigillo di bronzo, che ha tre status: l’essere bronzo, l’essere capace di
sigillare, l’essere sigillante
l’anima del mondo è vista come espressiva delle relazioni trinitarie, e anche della relazione
di Dio con il creato
è un’elaborazione ostentatamente filosofica con i termini

epoca delle scuole


Abelardo maestro molto ascoltato

SCUOLA DI SAN VITTORE


fuori dalle mura di Parigi, fondata da Guglielmo di Champeaux nel 1108
aveva portato comunità che aveva aspetti sia canonici (come se fosse ordine monastico)
che regolari (con attività esterna alla comunità)
apriva il proprio insegnamento anche ad un pubblico esterno, questo fa sì che ci fosse
grande apertura del sapere umanistico oltre alle discipline del trivio e del quadrivio
prodotte opere di grande apertura, in cui si percepisce valorizzazione degli studi e anche di
tutti i prodotti del sapere umano
il più famoso maestro per noi Ugo di San Vittore, per loro Riccardo

Ugo di San Vittore


muore nel 1141, detto alter augustinus, tanto lo spirito e la modalità umana della filosofia
emana
aspetto che lo accomuna con Abelardo è l’ammirazione per la filosofia dell’antichità
opera più famosa e celebre è Didascalicon, de studio legendi, Manuale, sulla fatica di
leggere
cerca di raccogliere elementi di un’agostiniana dottrina cristiana, di un sapere spiegato
secondo direttrici basate sulla Rivelazione con un’attenzione metodologica però singolare
progetta gradini di un’organica educazione intellettuale di un chierico, bisogna avere un
procedere progressivo
spirito enciclopedico ed umanistico
“omnia disce, impara ogni cosa, e un giorno ti accorgerai che nulla sarà stato superfluo”
tutta la sapienza cristiana è immagine e riflesso di Dio, e studiando in qualche modo
restauriamo nell’uomo l’immagine di Dio perduta con la caduta di Adamo ( ha perduto tre
doni, ovvero l’essere immagine di Dio, sua similitudine e dotato di immortalità): Dio lo ha
dotato della filosofia per consentirgli il ritorno alla condizione originaria
classificazione di ambiti disciplinari e del sapere, ognuno è essenziale per questo processo
teoretica, arte di conoscere il vero- pratica, arte del buon comportamento- logica, che
assicura la metodologia corretta a tutte le acquisizioni umane di conoscenza
ma c’è quatro ambito per lui importante: meccanica, strumenti pratici per supplire e
compensare la debolezza della natura umana

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queste quattro discipline comprendono sette articolazioni interne, in modo parallelo alle arti
liberali
tutte le scienze profane, sia teoriche che pratiche, sono propedeutiche alla conoscenza
teologica, sono gradini di un processo verso la pienezza di un sapere che Dio mette nel
mondo
uomo è sacramentum intermediario nella creazione, esalta ruolo di immaginazione, che per
lui è autocoscienza, consapevolezza di sè, in cui si trova illuminazione di Dio che porta
l’uomo a risalire a lui e poi dare ordine al mondo secondo la volontà di Dio (l’autocoscienza è
la prima forma della conoscenza teologica naturale)
la creazione appare come una realtà in continuo perfezionamento, dipendente
ontologicamente dall’originaria causalità divina
l’esegesi è pensata come un elemento costitutivo del sapere teologico (capiamo perché in
questa scuola è fondamentale la lectio biblica)
altro aspetto importante che compare anche in altre opere:
la lettura del testo su cui si fa lezione ha tre livelli diversi, dottrina molto ripresa:
- littera, ovvero esplicazione grammaticale, comprendere che cosa il testo voglia dire
- sensus, spiegazione del significato, del pensiero espresso nel suo insieme
- sententia, comprensione globale, importo teorico della lettura, con riflessioni che
vanno anche al di là del testo
Ugo ha segnato un cambiamento nella concezione del sapere, tutto si può studiare e non
solo le discipline del trivio portano a Dio

Andrea di San Vittore (morto 1175) sostiene che si possono accettare molteplici soluzioni
esegetiche anche relative al solo piano di lettura storico-letterale, in questo modo si possono
superare delle disparità tra distinte letture reperibili negli scritti dei Padri- ricorda Abelardo

Riccardo di San Vittore


morto nel 1173
il più letto e citato nel medioevo, è allievo di Ugo
opere esegetiche molto ricche
predilige la lettura allegorico-spirituale, senza gli eccessi immaginifici
De trinitate, si inserisce in un genere letterario importante, inaugura vere e proprie
dimostrazioni di Dio
teoria ascensiva della conoscenza
argomenti anselmiani sono modi per argomentare una fede che però deve essere già
presente e presupposta in chi argomenta, non sono vere e proprie dimostrazioni
Riccardo vuole imporre a una ragione che non ammette l’esistenza di Dio che essa è
necessaria partendo da considerazioni razionali
ad esempio una dimostrazione parte dalla distinzione di un essere non eterno e non derivato
da sè (creazione)- eterno e non derivato da sè (idee)- essere eterno e derivato da sè
(postulando la realtà delle prime due forme, necessariamente derivate da altro, segue la
necessità della terza)
anche tentativo di dimostrare razionalmente Trinità: se Dio esiste possiede ciò che di meglio
si trova nelle creature, ovvero l’anima, la quale ha tra le massime virtù l’amore: Dio deve
amare, ma amare è sempre amare altro e amarlo quanto sè stesso: serve una trinità di
persone per giustificare questi due aspetti
teoria della concezione gnoseologica umana

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Beniamin maior, ascesa dell’anima alla contemplazione del divino, con i tre momenti di
immaginazione, ragione e intelligenza
Beniamin minor, commento delle figure dei dodici figli di Giacobbe, ciascuno dei quali
simboleggia una virtù: la ratio muore nel dare alla luce la contemplatio, perché la capacità
umana di comprendere e definire viene meno nel momento super-conoscitivo dell’accesso
finale al divino
altri maestri vittorini su queste basi hanno approfondito la classificazione delle facoltà
dell’anima:
Acardo di San Vittore, De discretione animae, spiritus et mentis, tripartizione in anima,
spirito, mente della sostanza interiore dell’anima, unitaria nonostante le diverse funzioni
conoscitive
Goffredo: bisogna liberarsi del pregiudizio negativo nei confronti della sensibilità

GILBERTO DI POITIERS

a) un commento dialettico alla teologia boeziana


più grande metafisico del XII secolo
acutezza e ricchezza di idee importanti per medievali successivi
detto anche Porreta, il Porretano
1080 nato, frequenta scuole di Laon (forse ancora metafisicamente ingenuo, convinto della
realtà delle idee nella mente divina), e anche di Chartres (contribuisce a potenziare la sua
attenzione al naturalismo della tradizione platonica e lo mette in contatto con opere di
Boezio, gli permette di conoscere la logica), in cui è anche stato maestro
maestro di Giovanni di Salisbury, che ne parla in modo entusiasta, insiste sul grande eco
che ebbero le sue dottrine dopo la sua morte avvenuta nel 1154 (tutti ripetevano facilmente
dottrine che, dette per la prima volta da Gilberto, suonavano inaudite)
anche lui suscita sospetti per il linguaggio filosofico tecnico e oscuro, nel 1148 dovette
ritrattare quattro proposizioni tratte dai suoi scritti, le sue idee teologiche non poterono più
essere insegnate
il problema principale sta nel Commento ai 5 Opuscula sacra di Boezio: si propone di fare
opera di teologo nel commento, ha concezione molto alta della teologia, che ha compito di
rendere intelligibile il mistero divino, è chiaro che la razionalità umana non lo può mettere
totalmente in luce
secondo lui però Boezio ha fatto un’opera attenta e precisa di definizione razionale e
dottrinale del mistero divino, l’esplicazione intelligibile del dato rivelato è vista come uno dei
grandi lasciti di boezio, ha insegnato che per rendere comprensibile la fede bisogna farsi a
un tempo competenti e ignoranti, applicando regole del linguaggio scientifico ma
riconoscendo i limiti dinanzi alla superiore (non) dicibilità del divino
lo definisce auctor, ovvero pensatore a cui bisogna riconoscere autorevolezza, subito
inferiore a quella della scrittura
di sè dice di essere un lector, che prova ad esplicitare intenti e parti oscure di Boezio, e
quindi interpres, in grado di approfondire ma anche dunque aggiungere considerazioni con
un certo margine di libertà: questa qualifica è molto interessante perché mostra una
specializzazione didattica che sta rapidamente avanzando, interpres mostra come il maestro
di filosofia fosse diventato maestro con una riconosciuta autonomia e professionalità, al
punto da suscitare il sospetto dei teologi
il problema nuovo è dunque quello di ridisegnare confini tra i due ambiti, che non poteva più
risiedere nell’isomorfismo anselmiano

58
spiegando frase di Boezio introduce una tecnica, necessaria per compiere un’operazione
che eviti errori o divagazioni, che forse era già tipica della scuola, ovvero quella della
quaestio disputata (trinità era una questione già dibattuta):
si ha questione quando va risolta una contraddizione tra due tesi opposte, che hanno
entrambe ragioni valide e sembrano poter appoggiarsi sulla scrittura, si tratta di portare
argomenti pro e contro per ognuna delle alternative
ad esempio, utrum anima sit mortalis vel immortalis
a questo punto maestro fa la sua determinatio, con le proprie argomentazioni spiega quale
sia quella buona, attraverso una distinctio (evidenziare l’appartenenza delle due tesi, e
quindi dei termini in esse presenti, a generi o ordini semantici diversi) , ovvero, seguendo
l’esempio, in che senso l’anima sia immortale
il presupposto è che due tesi contraddittorie non possano essere entrambe vere, e che
dunque sia necessario smascherare un’ambiguità semantica presente in una di esse
poi deve rispondere analiticamente a tutte le argomentazioni della tesi che ha confutato
tecnica scolastica scaltrita che rende le raccolte di questioni disputate molto ardue da
leggere
[porterà ad approccio molto pedante criticato da Petrarca, che è contro fossilizzazioni su
singoli cavilli]
tuttavia ha dato alla ragione umana un grado di tecnicità e scaltrezza senza i quali la filosofia
moderna sarebbe impensabile: radici di intelligenza filosofica con abilità dialettica e capacità
di sottigliezza prima sconosciute, tecnica dell’argomentazione filosofica specifica nata con la
quaestio disputata
ci mostra come i contenuti di fede possano aprirsi all’approfondimento razionale purché
rapportati da una strumentazione corretta
importante per il chiarimento di scritti boeziani

b) il metodo della transumptio teologica


dottrina della transumptio: riguarda metodologia della teologia nella sua relazione con la
filosofia, problema della teologia negativa, percepita come insoddisfacente
Giovanni scoto aveva notato che era metaforica, ma per lui non era un problema
cosa vuol dire che Dio è super giusto? si salva predicabilità di dio ma senza sapere alla fine
che cosa si stia dicendo
sente esigenza di dottrina che meglio chiarisca l’uso che si può fare del linguaggio umano
quando si parla di Dio
dottrina del trasporto del significato: le norme della logica e del linguaggio si trasformano
quando sono applicate alle realtà divine, dice una cosa un po’ diversa dal significato di
partenza, che tenga conto che ci si riferisce a un livello superiore rispetto a quello naturale
fa esempio con persona: nel linguaggio ordinario ha una sussistenza individuale, ma in
ambito teologico indica anche le tre persone nella trinità: le tre persone divine non hanno
sussistenza individuale, bisogna operare una distinctio
viene usato il termine “persona” perché tra quelli che abbiamo è quello meno impreciso,
mette in rilievo la parziale autonomia di Padre, Figlio e Spirito Santo, ma il teologo e il logico
non si riferiscono allora alla stessa cosa dicendo persona
dobbiamo indagare razionalmente il divino, ma ricordandoci che esistono piani diversi del
significato, se li chiariamo possiamo essere buoni filosofi e teologi, evitando errori e
incomprensioni, bisogna considerare le alterazioni che subiscono le altre metodologie
quando sono applicate alle realtà divine

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da teologia come semplice riflesso nella mente della verità del discorso della fede a teologia
come precisazione degli strumenti adeguati per una percezione corretta di tale verità grazie
ad un discorso sulla fede
la specializzazione del sapere inizia a produrre esiti nell’uso del linguaggio
ci sono dei concetti che hanno efficacia solo in un preciso ambito, o fisico o matematico o
teologico (tripartizione delle scienze nel primo opuscolo di Boezio), ma spesso la teologia
non possiede un repertorio sufficiente e il significato ordinario del termine mutuato dalle
scienze inferiori deve essere quindi transumptum

c) la realtà del singolare e la composizione ontologica


è necessario vedere il campo di indagine di ciascuna delle tre scienze: gli individui, gli
universali e la sostanza suprema: universale allora non è una modalità di conoscenza del
soggetto ma un modo di essere di qualcosa di reale
dottrina fondamentale è quella della composizione ontologica del singolare
mette a fuoco alcuni problemi di tradizione platonica, di nuovo problema degli universali, ma
a differenza di Abelardo il focus non è logico (come possiamo con verità pronunciare
proposizioni il cui predicato sia universale), ma ontologico (qual è il modo di essere
dell'universale e qual è il suo rapporto con l’individuale?)
per Gilberto gli universali hanno un qualche grado di realtà, tuttavia c’è anche un tentativo
interessante di spiegare uno dei problemi del platonismo: se esistono realmente, come
fanno ad essere presenti o comunque correlarsi all’individuale?
tutto ciò che esiste nella realtà concreta è singolare, quindi lo sono non solo gli individui ma
anche gli universali: ho un universale uomo, un universale cavallo, e così via
ogni individuo è singolare, ma non ogni singolare è individuo, perché anche gli universali in
sè lo sono e anche Dio è singolare
importanza ontologica della singolarità è il dirci che la tradizionale metafisica delle essenze
comincia a lasciare degli spazi perché anche l’individuo abbia una sua dignità ontologica
Dio crea gli individui, quindi il pensiero cristiano deve essere portato ad una loro
valorizzazione, ma qua si valorizza non nella sua irripetibile singolarità, ma nella sua
contrapposizione all’universale, rispetto a cui non è peggiore, ha un sua consistenza
ontologica
c’è gerarchia delle sostanze:
- sostanza semplice, Dio
- dividuum, il divisibile, il partecipabile, la sostanza universale che è la mediazione tra
Dio e gli individui singolari, è ciò che determina l’id quod est ad esistere in un certo
modo, orienta la materia ad assumere una certa forma, è il quo est, ciò per cui la
realtà individuale è, orienta l’incontro tra materia e forma (la peculiarità è la
conformità- ad altro, ovvero a tutti gli individui che informa)
- individuum, ciò che esiste in modo determinato e irripetibile, id quod est di Boezio, è
l'essere nel suo darsi concreto (la non-conformità appartiene all’insieme di caratteri
che sono propri di un individuo e di nessun altro)
dottrina sofisticata per l’epoca, sente esigenza di richiamarsi ad auctoritas, che è quella di
Calcidio con le formae nativae, ovvero modelli dell’essere creato, che però non sono le idee
nel Verbo, sono universali pronti a formare in qualche modo gli individui, presi non nella
totale perfezione e astrazione nella mente divina, ma idee universali predisposte ad
orientare formazione di sostanze individuali
è una spiegazione razionale del venire all’essere delle sostanze individuali, che incrocia
elementi di Boezio e di Calcidio

60
fisica: individui corporei
matematica: forme native in quanto universali, come se fossero astratte
teologia: essere semplice di Dio e delle forme esemplari nel suo Verbo

d) la distinctio trinitaria
Dio è una singolarità assolutamente semplice, identica al quo est che lo fa essere Dio
distinzione tra Dio e deità: Dio è Dio perché l’essere Dio- deità- lo fa essere tale
Bernardo contesta l’uso del termine deità, rischia di introdurre la composizione nell’essere
divino
tuttavia nell’ottica di Gilberto tali distinzioni appartengono a una necessità funzionale del
nostro imperfetto modo di parlare e di comprendere Dio, non corrispondono ad un’effettiva
distinzione nel modo d’essere divino
c’è una distanza nella concezione della coerenza tra il linguaggio umano e la realtà dei suoi
oggetti
non è come per Roscellino, per cui il discorso teologico è variabile e opzionale, in quanto
comunque le formule teologiche godono di un grado di necessità e rigore, per quanto
inadeguate
per la logica umana, dire che Dio è, equivale a dire che Dio è per la sua essenza, ovvero per
la deità, altrimenti non potrebbe applicare nessun altra qualificazione
senza la possibilità di distinguere Dio dalla deitas, non sarebbe possibile garantire l’unità
delle tre persone e nemmeno capirla: Pater est Deus deitate (il Padre è Dio per la deità),
Filius est Deus deitate, Spiritus est deus deitate: solo in teologia l’id quod este ed il quo est
coincidono e designano la medesima cosa
dal piano frammentario della necessaria distinctio logica si può comunque risalire a quello
superiore della semplicità grazie all’ascesa della mente dal livello discorsivo a quello intuitivo

LA SCUOLA DI CHARTRES
se San Vittore esalta l‘aspetto umanistico, culturale onnicomprensivo, questa rappresenta il
primo momento in cui trova un notevole incremento la riflessione sulla natura
idea che natura sia l’altro libro in cui Dio si esprime, accanto alla scrittura ma con uguale
dignità: enunciazione non solo teorica, trova una trasposizione pratica, il legame tra ordo
rerum e idearum viene indagato in modo diretto guardando alle relazioni fra le cose fisiche,
riflesso della volontà divina
lo specifico della scuola sono le arti del quadrivio (per San Vittore erano trivio e
meccaniche), che aiutano la comprensione del mondo naturale
tra le fonti citate maggiormente c’è il commento al Timeo di Calcidio (esempio di intuizione
pagana su qualcosa della vera natura divina), il commento di Macrobio al Sogno di scipione,
il Boezio della Consolatio, ma anche poeti del mondo latino con interessi naturalistici
obiettivo: rimuovere involucro sulla natura per scoprire sostanza intelligibile, decifrare gli
aspetti immutabili della realtà sotto il velo delle apparenze sensibili
lo stesso accade con la Bibbia, dove al di sotto dell’espressione letterale si cela il senso
allegorico e spirituale

Bernardo di Chartres
morto 1124
già dal 1020 cattedrale a Chartres, a cui poi si è aggiunta la scuola vescovile, forse il primo
maestro fu Ivo, che si preoccupa di cercare maestri importanti che dessero prestigio

61
di Bernardo non abbiamo scritti, testimonianza arriva da Giovanni di Salisbury (scrive molto
sui maestri dell’epoca)
ci dice che si era concentrato molto sul problema delle idee, che considerava come entità
reali
sarebbe stato il primo ad introdurre in modo esplicito nel medioevo il termine “forme native”
tratto da Calcidio, che operava con Gilberto sotto un’altra terminologia, il primo a insegnare
esistenza di forme intermedie tra le idee e i singolari
le forme native sono intermedie tra le idee in quanto divine, ovvero increate ed eterne, e
l’elemento materiale
un’altra riflessione importante è quella della paronimia (anche anselmo nel De grammatico),
termini diversi con unica radice: in bianchezza si esprime capacità della sostanza di avere
una qualità, bianca o biancheggia indica l'inizio della presenza della qualità nella sostanza e
bianco il compimento del processo: mescolanza tra grammatica e metafisica, manifesta
tipica tendenza a cercare nelle parole l’ordine delle cose
distinzione metafisica tra potenza ed atto, corrispondenti alla perfezione ideale (la potenza)
e alla contaminazione con la materia (atto)
il divenire naturale è un processo di attuazione nella particolarità della potenzialità originaria
della forma
tre diversi tipi di ingegno umano:
- advolans, inquieto e vivace, impara in fretta ma in fretta dimentica
- infimum, pigro
- mediocre, indaga nella natura la realtà non visibile
Bernardo è ricordato anche per immagine famosa: gli intellettuali moderni sono come nani
sulle spalle dei giganti, ci dice la grande ammirazione che nutriva per gli autori antichi e
anche la grande prospettiva e orizzonte che deve aver dato alla scuola, aspirazione a voler
giungere lontano non tanto per i propri meriti quanto per l’altezza delle spalle su cui ci si
poteva issare
umanesimo degli chartriani: giungere con lo sguardo a guardare più in profondità rispetto ai
maestri del passato, ma proprio grazie al loro contributo

Guglielmo di Conches
morto dopo il 1154
maestro famoso, cerca continuità tra dottrina cristiana e autori antichi pagani
tre trattati importanti: Philosophia mundi, il Dragmaticon philosophiae, il Moralium dogma
philosophorum- ripresa dell’etica del XII secolo
ha scritto anche commenti a opere di Boezio, al commento al Somnium di Macrobio, al
Timeo
consapevole che la tradizione platonica ha dato spiegazione della natura favolosa
ma bisogna alzare questo velo e mostrare ordine divino, dare una spiegazione scientifica
dell’origine del cosmo accordandola con la Genesi
introduce concetto di causa secunda, in realtà è trasposizione naturalistica delle forme
native di Bernardo e del dividuum di Gilberto, inizia ad esserci distinzione tra causa prima,
ovvero Dio, e le cause seconde, create comunque da Dio e che influiscono sulla creazione e
con il proprio intervento mediano tra Dio e mondo: non è Dio che agisce effettivamente sul
mondo sensibile (nei vangeli viene ribadita l’autonomia del mondo creato con le parabole)
qua la filosofia attribuisce alla natura una consistenza ontologica mai vista prima, essa
dipende da Dio ma mediatamente
Dio ha creato il mondo e poi esso procede

62
riflessione filosofica non contraddice il dato rivelato, ma lo spiega
altra dottrina è ricavata dal Timeo: anima del mondo
probabilmente identifica anima del mondo con lo spirito santo, è la presenza di Dio nella
creazione, poi però sa che il rischio del panteismo non si deve correre: per accentuare
separazione riprende distinzione boeziona tra Dio che è fuori dal tempo e la creazione che è
nel tempo: nel mondo il tempo si articola come perpetuitas, le cause seconde sono
perpetue, mentre Dio è fuori dal tempo, esiste prescindendo dal tempo (aeternitas)
i principi naturali hanno una diretta efficacia causativa, ma non per questo viene sminuita la
potenza divina
tiene natura in contatto con il creatore ma ci tiene a distinguerla
ancora convinto, da eredità anselmiana, della confluenza tra intelligere e credere
arriva a quadripartizione della causalità analoga a quella aristotelica- ma non conosce fisica
di Aristotele
- causa efficiente: Dio in quanto padre
- causa formale dell’universo, il Verbo in quanto presiede alla creazione
- causa finale, Spirito Santo, ciò a cui tende il creato, rende efficaci le forme native
- causa materiale, con i quattro elementi, per cui il mondo non è la trinità, che però in
esso si riflette
Guglielmo ha acquisizioni della filosofia armonizzandole dalla Scrittura con tratti di novità
che gli derivano dalla sua ostinata riflessione sulla natura
la scienza umana può soltanto chiarire e mai contraddire la verità della fede, perché essa ha
un altro ordine di verità rispetto a quello della scienza
la sapienza antica supporta la chiarificazione del dogma, e la fede illumina e consolida i
processi razionali dei filosofi

Teodorico di Chartres
morto dopo il 1156
un epitaffio anonimo lo definisce “il più degno successore di Aristotele”
compito di succedere a Gilberto Porretano, poi diventa monaco, la sua fortuna è affidata non
a lunga carriera didattica ma alle opere
Eptateuco, sette arti liberali, e Esamerone, commento razionale a sei giorni della creazione
in chiave di razionalismo naturalistico
specifica attenzione per le discipline del quadrivio
la filosofia della natura è l'unico strumento corretto per comprendere rapporto di Dio con la
creazione
recupera Varrone, Plinio il Vecchio, Gerberto di Aurillac del 1000, conosce testi attribuiti al
famoso Ermete Trismegisto
utilizzo ampio e spregiudicato di autorità antiche anche non cristiane pur di giungere a
comprensione piena della natura
anzi, la sapienza è alla base anche per accedere al significato scientifico della Rivelazione
meno acuto di Gilberto di Poitiers
c’è unica verità, che è Dio, che ci deve orientare in un comune processo argomentativo, in
cui ci sono due strade (valide dunque in tutti i campi del sapere):
- processo ascensivo, la compositio, ricondurre il molteplice ad unità
- processo discensivo, la resolutio, segue discesa della creazione di Dio a partire da
Dio stesso
non ci sono discipline metodologicamente distinte, ma un unico percorso scientifico che
collega l’essere causa di Dio alla sua creazione: ci sono gradi diversi della creazione e della

63
manifestazione della verità eterna, uno materiale che determina l’oggetto della fisica, uno
quantitativo e immateriale della matematica, uno privo di quantità e materia che è proprio
della teologia
non potendo raggiungere con la mente fino al principio divino, l’obiettivo ultimo sono le
rationes primordiali
nell’Heptateuchon parle dell’unitarietà metodologica e dice che le arti del trivio assicurano la
correttezza e la coerenza del linguaggio, quelle del quadrivio la ricomposizione della
molteplicità nell’unità
Dio è la forma veritatis di ogni conoscenza in quanto è la forma essendi di tutto ciò che ha
creato
una conoscenza coerente del Creatore serve per avviare la mente a una corretta
comprensione della creazione
nell’Esamerone cerca di spiegare meccanicisticamente come Dio possa aver condotto la
sua creazione del mondo e fornisce una dimostrazione di impianto matematico
dell’esistenza di Dio (ogni esistenza rinvia a principio immutabile, l’Uno, infinito in quanto tale
infinito, onnipotente e dunque necessariamente esistente)
tutte le cose sono in Dio ma in quanto unità: idee possono stare in Dio senza compromettere
la semplicità perché l’unità moltiplicata per l'unità produce sempre l’unità:
l’unità identica a sè stessa è il Padre, la molteplicità nell’unità è il Figlio, l’unità nella
molteplicità è lo Spirito Santo, identificato con l’anima del mondo
il racconto dei sei giorni va affrontato con una lettura fisica, storico-letterale, dato che gli
aspetti allegorici sono già stati affrontati dai Padri della Chiesa (il “principio” è l’avvio della
creazione, che ha inizio in modo vero e proprio con l’introduzione della causa materiale,
momento in cui si è fermata l’operatività diretta di Dio, le potenzialità insite nei principi
seminali portano ad atto nella molteplicità l’efficacia della Causa prima)
con Teodorico, seppur in una cornice metodologica più ingenua rispetto a quella di Gilberto,
abbiamo nuovamente una conferma di una dettagliata spiegazione naturale
è tra colore che accusano Gilberto di aver distinto Deus e deitas: nella sua semplicità non si
può distinguere tra formato e formante, buono e bontà, dio e divinità; l’esistere di Dio vede
un’identità assoluta tra esse e id quod est
solo tra 1200 e 1300 in ambito anglosassone c’è ripresa di ricerca naturalistica e si inizia a
cogliere che un passo ulteriore va fatto con la matematica

BERNARDO DI CHIARAVALLE
morto 1153
rovente e lunga polemica con Abelardo, anche con Gilberto di Poitiers
è stato un cistercense, ordine più rigorista, promotore della seconda crociata
uomo di grandissimo valore ecclesiastico
papa Eugenio III, eletto nel 1145, è stato suo allievo, e Bernardo per complimentarsi gli dice
“qua si dice che sia io, non voi, il papa”
autore ammirato anche dai suoi avversari
Giovanni di Salisbury ne ammira la profonda penetrazione della scrittura e la capacità
oratoria
cultura molto raffinata, il suo latino è molto bello
alcune opere: De moribus et officio episcoporum, De laude novae militiae, De gratia et libero
arbitrio
raccolta Sermones super Cantica canticorum: fede come tensione disinteressata e pura per
il divino, non si dà senza amore per l'oggetto del credere

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la pietà religiosa è l’unico tramite tra l’uomo e la verità, mentre ciò che conduce a verità
intermedie e parziali non serve per la salvezza
il vero sapere è quello che si dà della Rivelazione, tutto ciò che non conduce a Cristo viene
guardato con sospetto
la ragione non deve indagare ma solo chiarire ciò che nella Rivelazione è non evidente: la
ratio teologica ha già raggiunto l’apice con i Padri della Chiesa (se trova discordanza tra essi
preferisce non prendere posizione)
“non cerchiamo contese di parole”, capiamo avversione per Abelardo e Gilberto
lo sviluppo di una filosofia mano a mano più autonoma non gli piaceva, ha rappresentato
tendenza che diventava conservatrice
interesse per la mariologia, Maria come modello perfetto di vita monastica, partecipazione
totale all’amore del figlio, da lei ricambiato in un modo così sincero che è il risultato di un
concentrato di contraddizioni (verginità e maternità, amore e dolore, compassione e gioia)
nella storia della filosofia con Bernardo facciamo nascere la mistica speculativa:
mistica: teoria della possibilità di una comunicazione immediata con il divino, di tipo
sovrarazionale
mistica speculativa sembra un ossimoro, ma si intende una riflessione razionale e filosofica
sull’intuizione mistica
la conoscenza teologica è una contemplazione mistica della verità che solamente la fede fa
comprendere e rivivere nell’anima del credente
delinea tappe che secondo lui la salita a Dio deve comportare per ripristinare somiglianza
dell’uomo con Dio, si è spezzata con il peccato di Adamo
tornare misticamente a Dio significa ripristinare la similitudo Dei, teorizza dodici gradi
necessari di perfezionamento interiore, che corrispondono alle virtù monastiche
alla fine si ha l’unione tra l’amore che guida la libertà della creatura e quello della
distribuzione della grazia divina, e l’anima può fondersi con il creatore

GIOVANNI DI SALISBURY
all’inizio di una tradizione inglese all’interno della filosofia medievale che si radicherà poi tra
Oxford e Cambridge: intellettuali qua formati diversi da quelli europei, difficilmente
sovrapponibili
in territorio inglese prevale la tendenza alla conciliazione, all’equilibrio tra fede e razionalità
muore nel 1180
si sposta dall’Inghilterra a Parigi in quanto incuriosito da Abelardo, poi a Chartres (allievo di
Guglielmo d Conches e Teodorico), poi torna a Parigi, poi in Inghilterra, assunto come
segretario dell’arcivescovo Thomas Becket
viaggiatore per studi, molto colto
ruoli di prestigio anche nella chiesa
Metalogicon, “libro in difesa della logica” (difenderla significa assicurare l’efficacia del
linguaggio e la sua corrispondenza alle res), tratta temi fondamentali di logica in cui fa ampi
riferimenti alla situazione di studio del suo tempo, per noi testimonianza fondamentale
è propedeutico alle altre forme di sapere, la logica trae la sua forza nel riconoscimento dei
suoi stessi limiti, essa ha un’utilità pratica e deve mirare al perfezionamento morale e alla
pacificazione dell’umanità
ha iniziato nel medioevo un filone di pensiero poco diffuso e circolante, quello dello
scetticismo

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negli ultimi anni delle ricerche hanno evidenziato come nel medioevo ci fossero stati dei
versanti e delle sfumature scettiche, in un contesto che, come di solito viene rappresentato,
propone un saldo possesso di un’unica verità
la sua filosofia è probabilistica, nasce dal fatto che sia un autore che predilige il versante
etico della filosofia (da Cicerone ha mutuato sia l’interesse per l’etica sia lo stile elegante e
ricercato)
Policratico, “l’uomo che ha il potere politico”, dedicato a Becket nel 1159
Entheticus, “colui che metabolizza” la sapienza antica
questa sua passione per il mondo antico, declinata in questi termini, lo ha portato ad un
dubbio sulla certezza assoluta della logica e della metafisica
la prima limitazione della logica le deriva dall’esigenza della filosofia pratica: non ha senso
imparare a ragionare bene in astratto, lo scopo della logica è al di fuori di essa, è mirare al
perfezionamento dell’uomo, farlo agire bene, e alla pacificazione di tutta l'umanità, ed
essendo il suo uno scopo pratico non può portarci ad una certezza assoluta, dovendo
rapportarsi con l'infinita variabilità delle situazioni concrete:
ecco che al più può portare ad una probabilitas, verosimiglianza delle proprie
conclusioni
non per questo Giovanni aveva sfiducia sulle possibilità umane
polemica con i Cornificientes, gruppo di studenti che sosteneva l’inutilità dello studio della
logica, volevano alleggerimento del curriculum per un sapere pratico e subito spendibile,
finivano per considerare importanti domande sciocche, come: se uno porta maiale al
mercato per venderlo, lo sta portando l’uomo o la corda?
per Giovanni la cultura ha comunque un valore altissimo, dobbiamo evitare queste derive
scettiche
bisogna invece limitare le pretese eccessive di una razionalità che allontanandosi dal reale
miri una certezza assoluta: la filosofia deve condurci nella ricerca di una verità, non deve
farci dimenticare che nelle cose però la verità assoluta non si può dare
uno dei primi ad aver conosciuto gli Analitici secondi di Aristotele
nelle sue opere trova la distinzione tra scienza della dimostrazione probabile (dialettica),
scienza della dimostrazione necessaria (apodittica), scienza della dimostrazione imperfetta
(sofistica)
Giovanni chiama la prima probabilis, e la suddivide in retorica e dialettica, che è
argomentazione probabile che tende al vero, senza poterlo raggiungere in forma definitiva
l’apodittica è chiamata demonstrativa, che ha vigore nelle analisi matematiche, dove c’è una
necessaria corrispondenza delle definizioni alle res
nella realtà il massimo che si può fare è dare dimostrazioni probabili, con la dialettica, una
logica quindi che si misuri con la realtà delle cose, con la consapevolezza che il vero totale e
definitivo non è totalmente nelle possibilità umane
la dialettica assicura veridicità all’argomentazione proprio nella misura in cui vieta di
spingerla fino a una determinazione totale della conoscibilità dell’oggetto
la scienza del reale è sempre scienza della probabilità
non è un vero filosofo chi pensa di poter esprimere giudizi necessari su qualcosa la cui
necessità è nota solo a Dio
riduce molto rispetto alla tradizione il novero dei problemi intorno ai quali è sensato
accapigliarsi
il probabilismo è anche efficace nel limitare le dispute, ad esempio dice che la questione
degli universali è un falso problema
al massimo possiamo arrivare ad una opinio, non una scientia

66
la conoscenza teologica trae dalla Rivelazione la propria certezza (e com la fede si può
giungere ad una suprema forza spirituale e una contemplazione), ma se la consideriamo in
quanto scienza umana basata sulla logica non possiamo guardarla con totale certezza
la conoscenza teologica che scaturisce dalla fede è intermedia tra la probabile scienza
umana e la perfetta scienza divina

PENSIERO ARABO MEDIEVALE


la grandiosa rinascita e diffusione della cultura avvenuta nel XIII secolo è il frutto
dell’intrecciarsi di vari percorsi storici, di translationes studiorum
la grande novità nel XIII secolo è la riscoperta di Aristotele
nel medioevo latino il greco non si conosceva, in epoca carolingia c’erano stati degli autori
che lo conoscevano abbastanza bene da poter tradurre dal greco, ma non sono stati
personaggi abbastanza numerosi o organizzati istituzionalmente da dare luogo a un corpus
completo di traduzioni
le traduzioni di Aristotele dal greco sono nate come effetto collaterale di quelle dall’arabo
comunque non è vero che il medioevo latino ha conosciuto Aristotele prevalentemente
dall’arabo, il movimento di traduzione, che inizia più o meno verso il 1125-30 e che
possiamo considerare finito nel 1280, se lo consideriamo nel suo insieme mostra che le
traduzioni fatte dal greco sono più numerose di quelle fatte a partire da un testo arabo
il movimento è partito con le traduzioni arabe, poi ha influenzato l’occidente latino, in cui
tutte le volte in cui è stato possibile ovviamente si è preferito partire dai testi greci
è vero che comunque sono stati gli arabi i primi

529 d.C, Giustiniano chiude la scuola neoplatonica di Atene, per cui i successori di Proclo,
Simplicio e Damascio, devono andarsene e si recano ad Alessandria, per poi andare nella
città mesopotamica di Harran, aprono un centro di studi in cui portano tutti i testi di Aristotele
e Platone, costruiscono scuole basate su modello di quelle neoplatoniche (discussione e
commento di maggiori dialoghi di uno e trattati dell’altro)
da Maometto sorge il Corano, gli arabi nel VII secolo conquistano la Siria e la Persia e i
nuovi fedeli vengono in contatto con questo patrimonio filosofico e si accorgono dell’enorme
grandezza speculativa di tali testi
mano a mano che quello musulmano si costituisce come un impero, è fondamentale non
essere estranei a questa cultura per riuscire ad avere un potere solido su territori
ellenizzanti, dovevano maneggiare la loro cultura (anche per eventualmente affermare in
modo serio la superiorità della loro)
tra l’VIII e il X secolo inizia un movimento di traduzione dal greco in arabo di Aristotele, di
Platone, ma anche di trattati astronomici, scientifici, medici
questo patrimonio resta riservato ad un élite (tra l’altro i teologi tradizionalisti sono diffidenti)
finanziano scuole di traduttori (ad esempio a Bagdad, con anche una grande biblioteca), a
volte, vista la collocazione persiana di queste scuole, le opere erano state già tradotte in
siriaco o in persiano: gli arabi fanno lo stesso ragionamento dei latini, ovvero qualora sia
reperibile la fonte diretta dal greco è meglio tradurre a partire da tale testo
spesso quindi le opere di Aristotele tradotte in arabo comunque derivano da traduzioni in
siriaco e persiano: ovviamente il testo è stato molto compromesso, tra l’altro è un autore che
usa un greco molto complicato
spesso l’Aristotele degli arabi era potentemente influenzato da immagini platoniche (ad
esempio motore immobile come dio, provvidente), sono mescolate insieme istanze diverse
traducono in modo massiccio anche Alessandro di Afrodisia

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tutto ciò arriva in occidente in quanto nel 1122 gli arabi conquistano Toledo, in Spagna, in
cui portano via via il loro patrimonio culturale, e imparano anche il volgare spagnolo: arabi
che imparano lo spagnolo diventano capaci di parlare con i dotti latini, che nella vita
quotidiana parlavano spagnolo: nascono centri di traduzione a Toledo, per cui l’arabo
prende la sua traduzione e la traspone in spagnolo, e l’intellettuale spagnolo la in latino-
spesso era una terza traduzione
poi quasi sempre gli intellettuali latini hanno ritradotto le opere, di molte ci sono sia
traduzioni arabo-latine che greco-latine
dal 1250 in poi i latini hanno posseduto un Aristotele spesso fallace, mediamente buono e
completo da poter tornare a lui in modo criticamente filosofico e, ad esempio, distinguere
opere non autentiche o discernere traduzioni migliori di uno stesso testo
quindi i medievali latini sono riusciti a passare da un Aristotele influenzato dal mondo arabo
a quello più “affidabile” che noi oggi conosciamo

La teologia islamica o kalam


nel XIII secolo con Aristotele si conoscono anche tutti gli autori arabi che hanno scritto
trattati di filosofia, che spesso sono il passaggio che gli autori latini hanno per arrivare ad
Aristotele
cosa è stata la filosofia araba a partire dall’VIII secolo?
[Massimo di Giovanni]
gli autori arabi medievali non hanno avuto una teologia filosofica i cristiani, perché il Corano
non si presenta necessitante di una comprensione razionale al pari della Bibbia, essendo un
testo dettato direttamente da Dio ad un uomo eletto (non ispirato e scritto da uomini),
accessibile a tutti
islam non è una fede misterica
il kalam, ovvero il sapere teologico islamico, è un’esposizione della verità rivelata nel
Corano, che non dovrebbe dare luogo a dimostrazioni
il fulcro è la pura comprensione dell’unità divina (principio chiamato tawhid)
è legato al totalitarismo politico, in cui il regime temporale non è distinto dalla guida spirituale
la guerra santa è il dovere del credente di estendere la vera religione al mondo intero, ma
favorendo le condizioni politiche e sociali per una conversione, non con la forza:
questo favorisce un atteggiamento di tolleranza, i cristiani e gli ebrei che si trovavano sui
territori sottomessi dagli arabi generalmente hanno potuto godere di atteggiamento di
tolleranza religiosa e disponibilità, che in ogni caso doveva accompagnarsi con il
riconoscimento della sudditanza politica ed economica
all’inizio in realtà la sudditanza era molto pesante, aveva portato a situazioni di conversioni
di massa, ma in seguito non ci sono stati fenomeni del genere (Giovanni Damasceno opera
su territori arabi)
mano a mano che conoscevano popolazioni cristiane (l’incontro si intensifica tra VII e VIII
secolo quando la capitale viene trasferita a Damasco) ed ebraiche, hanno iniziato a rendersi
conto che per portare la loro fede musulmana era necessario saperla argomentare
(soprattutto quando nucleo del califfato spostato a Bagdad, apertura filosofica)
si percepisce l'esigenza di trovare giustificazioni della fede
alcuni cultori del kalam fanno dunque propri gli strumenti intellettuali che sembrano loro utili,
e vengono poi chiamati Mu’taziliti, spesso critici di una semplice e tradizionale letture dei dati
di fede
nel IX secolo il kalam inizia a strutturarsi come sapere organizzato in nucleo di verità
indiscutibili (nità e trascendenza di Dio)

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al-Ash’ari, Chiarimento dei principi della religione, cerca di mediare tra le posizioni
al-Baqillani: dottrina atomista usata per spiegare l’efficacia e libertà dell’onnipotenza divina

Al Ghazali (morto nel 1111) è un autore molto importante in questo processo


nato a Tus, Persia orientale, docente e pellegrino
la conoscenza, rispetto alla rivelazione data da Maometto e alla fede, non è sufficiente per la
salvezza, ma la conoscenza del dato rivelato serve in modo relativo:
la riflessione razionale non serve ai semplici credenti, e nemmeno agli eretici, ma ai credenti
buoni ai quali vengono dei dubbi, che rischiano di incorrere in dottrine eretiche: servono
strumenti di tipo persuasivo e razionale per convincere della verità del kalam
Libro della moderazione nella credenza
La vivificazione delle scienze della religione
rimane critico feroce della filosofia troppo autonoma dalla rivelazione, secondo lui genera
solamente dibattiti sterili e lunghi, a volte parla addirittura con disprezzo della ragione umana
(nei confronti della quali ha atteggiamenti diversi)
L’autodistruzione (o incoerenza) dei filosofi: critica varie posizioni di filosofi litigiosi, divide in
venti questioni ripartite secondo i tre grandi problemi metafisici (anima, mondo, Dio)
il suo scopo è polemico: il dissenso tra posizioni diverse mostra che si è in presenza di
qualcosa di errato, di umano e non di divino, il linguaggio umano poi è inadeguato per
parlare di questioni divine, che non possono essere giudicate basandosi sul metro valutativo
che si applica agli effetti creati
è da biasimare la filosofia che è pensata non come strumento ma come autonoma
conoscenza di verità
poi scrive Le intenzioni dei filosofi, che ha voluto far circolare come premessa
all’Autodistruzione, in cui sintetizza posizioni che poi avrebbe confutato
forse l’altra opera era per dotti, per questo scrive la sintesi, che nel 1145 viene tradotta in
latino ma staccata dall'opera successiva: i latini dunque hanno conosciuto la sintesi de Le
intenzioni dei filosofi, ma non l’intera confutazione e polemica, quindi pensarono che egli
fosse d’accordo con dottrine che in realtà confutava, caso famoso di equivoci
i latini non hanno capito, e non potevano senza l’opera, che quello che leggevano era
destinato ad essere confutato

La formazione della falsafa, da al-Kindi ad al-Farabi


altri autori importanti per ricezione di occidente latino
i falasifa (cultori della filosofia) elaborano una lettura sincretistica di molteplici fonti greche
antiche (prolungamento del principio della concordia neoplatonico)
molte opere neoplatoniche, con il commento di Alessandro al De anima la psicologia
aristotelica si innesta all’interno della concezione platonica della gerarchia di intelligenze
(intelletto agente diventa l’ultima emanazione)
Al-Kindi, primo filosofo arabo morto nel 865 circa
mostra prima fase di ricezione dei califfi abbasidi del sapere greco
in quest’epoca a Bagdad nascono compilazioni di metafisica platonica che nel movimento di
traduzione per errore sono state attribuite dai latini ad Aristotele
ad esempio la cosiddetta Theologia Aristotelis, scritta nel IX secolo nel circolo di Al Kindi, è
una parafrasi abbreviata di 4,5,6 delle enneadi di Plotino, ma i latini hanno spesso pensato
che quelle traduzioni fossero di Aristotele
Liber de causis, altra compilazione araba, probabilmente in questo caso il fraintendimento è
già degli arabi, dato che circolava sotto un titolo che pareva attribuire il contenuto ad

69
Aristotele (quando in realtà era una raccolta di posizioni della tradizione medio e
neoplatonica), e anche gli autori latini lo hanno attribuito ad Aristotele: nel 1260 Tommaso
d’Aquino smentisce la falsa attribuzione
circolo di al-kindi ha creato delle sintesi di metafisica neoplatonica poi tradotte in latino e
passate sotto il nome di Aristotele
al-Kindi scrive la Filosofia prima, che vuole elaborare delle conseguenze ragionevoli della
fede coranica, con un’apologia della falsafa che vuole mostrarne la natura unitaria e
l’orientamento alla conoscenza della verità soprasensibile
acquisisce degli aspetti di Alessandro di Afrodisia nel correggere Aristotele, per cui la causa
prima è il principio di movimento nel senso che è causa efficiente ma è anche sostanziale,
ovvero fa passare le cose dal non essere all’essere in atto, per cui il principio è uno ma è
anche creatore
gli essere causati e creati sono molteplici, dal primo principio derivano modelli intelligibili
passa agli autori successivi una prima ibridazione di corano, neoplatonismo e brandelli di
aristotelismo, che rimane una cosa tipica del pensiero arabo medievale
Al-Farabi, prima metà del X secolo
viaggia molto, ci testimonia sviluppo di scuole arabe, chiamato “il secondo Maestro”,
inferiore solo ad Aristotele
Sull’accordo delle opinioni dei due sapienti: anche qua sincretismo
per occidente latino è l’unicità della verità rivelata in Cristo a orientare questo processo
(cercare la concordia), per gli arabi medievali è una motivazione storica, ovvero il fato che le
due filosofie sono giunte contemporaneamente e già ibridate da tradizione medioplatonica
parte dal Timeo per cui il mondo inizia nel tempo, creato da un principio intelligente, ma sa
che Arist dice che il mondo è eterno: Arist voleva dire che in realtà il mondo è stato creato
nel tempo, tempo e mondo hanno avuto inizio insieme
l’idea che la filosofia greca abbia tramandato un sapere unitario gli consente di iniziare una
filosofia anch’essa unitaria e coesa
Le Opinioni degli abitanti della città perfetta, rilettura della Repubblica adattata al contesto
del Corano, società organizzata su distribuzione di funzioni produttive, in armonia con
dettame religioso, linee guida date dai filosofi che sono anche teologi e conoscono bene la
volontà di Dio
ideale politico con istanze teoriche interessanti, fonde principio intelligente di Aristotele con
l’Uno di Plotino, pensiero perfetto e unitario che pensa sé stesso e illumina tutto il resto, Dio
è sommo essere
è proprio la derivazione del molteplice a giustificare la semplicità e l’autosufficienza del
principio, in quanto tali caratteri necessariamente coincidono con un’inesauribile capacità
produttiva
gli esseri derivati esistono in atto solo realizzando in modo sempre incompiuto la loro
essenza: prima enunciazione della distinzione tra essenza ed esistenza
al-Kindi concepisce il muoversi del creato come un ricevere conoscenza da Dio e un tendere
a lui
ogni intelligenza inferiore a Dio pensa sè stessa ma nel farlo pensa a Dio: in quanto pensa
Dio, il suo pensiero diventa principio di emanazione e dà origine a un’altra intelligenza, in
una serie di perfezioni decrescenti che termina con il grado ultimo della materia, che non
possiede capacità conoscitiva o forza creatrice
scrive lettere De intellectu et intellecto: rilegge De anima interpretato da Ale di Afrodisia, ci
trova un intelletto possibile, inteso come disponibilità dell’anima a conoscere, un intelletto in
atto che opera quando acquisiamo nuove conoscenze, e un intelletto acquisito, che traduce

70
tutta la conoscenza in rappresentazioni e la affida alla memoria, ma tutto è sottoposto ad
azione di intelletto attivo e separato
un grande problema che la filosofia araba medievale lascia alla latinità è quello dell’intelletto

questo ha origine aristotelica, parta di intelletto nel De anima: diviso in tre libri, il primo
riguarda la funzione vegetativa, il secondo quella sensitiva, il terzo quella razionale
il libro sull’intelletto è complesso: egli pone che pensare, ovvero usare l’intelletto, genera un
cambiamento, e ogni cambiamento è un passaggio dalla potenza all’atto
dai capitoli 3 a 5 dice che c’è intelletto passivo in cui ci sono materiali di intellezione che non
sono ancora oggetto di intellezione attuale, e intelletto attivo, che però è separato
Alessandro di Afrodisia aveva distinto intelletti diversi e radicalizzato la dicotomia
in Avicenna e Averroè questo si mescola con il neoplatonismo e anche con la diversa
teologia nello sfondo

AVICENNA
Ibn Sina, muore nel 1037
Il Libro della guarigione, conosciuto dai latini come Metafisica di Avicenna, è la sua opera
maggiore
la versione dell’aristotelismo data da Avicenna ha potentemente influenzato il pensiero
medievale
si presenta come una grande enciclopedia del sapere articolata in quattro parti: logica, fisica,
matematica e filosofia prima, ricalcata sulle opere di Aristotele e ne rappresenta una sorta di
parafrasi, con un ricorso ovviamente a interpretazioni personali
ha introdotto nel mondo latino l’idea di un commento parafrastico, che sarà di fatto realizzato
da molti autori, il più importante sarà Alberto Magno
chi invece li vorrà commentare parola per parola trova il suo modello in Averroè, chi fonde i
testi di Aristotele in una parafrasi autonoma per certi aspetti dal testo trova il suo modello in
Avicenna
Avicenna dichiara il proprio debito ad Al-Farabi
esposizione chiara e sistematica:
- qual è l’oggetto della metafisica?
- dottrina della sostanza
- dottrina della causalità
l’esistere di una causa prima è il punto di arrivo della trattazione, bisogna evitare un
regresso all’infinito altrimenti non potremmo dare un principio ontologico al mondo
se è chiaro che debba esserci una causa prima, la dottrina cosmologica islamica pone un
problema di conciliazione: la causa prima ha iniziato a causare ad un certo punto, se il
mondo non è eterno: come è possibile che Dio abbia cominciato ad essere?
la risposta si basa su dicotomia aristotelica tra potenzialità e attualità sottolineando la
modalità della necessità: Dio è il principio dell’essere in quanto è l’essere necessario, non
può non essere e per questo può diventare l’essere di tutto ciò che è, in quanto causa prima
è necessariamente in atto, mentre la creatura non lo è
se Dio è l’essere necessario allora il creato è l’essere possibile, portato all’atto da Dio e
nell’essere creato diventa necessario
aiuta pensiero latino medievale a riflettere su diade necessità-possibilità
in accordo con il medioplatonismo la dicotomia si capovolge rispetto a quello che il
medioevo latino più fare
sia Avicenna che gli autori latini dicono che Dio è necessario e il creato è possibile, ma:

71
- per Avicenna la creazione è possibile di per sè, la sua essenza è la possibilità
stessa, ma quando passa all’esistenza reale diventa necessaria, condivide la
necessità dell’essere che emana dalla causa prima: essenza possibile e esistenza
necessaria
- nell’occidente latino invece si vuole salvaguardare la libertà dell’atto creativo, quindi
la dicotomia viene interpretata nel senso opposto: l’essenza delle creature è
necessaria, è la rectitudo anselmiana, mentre l’esistenza è solo possibile, rimane
appesa alla libera volontà divina (vedremo questa tensione in Enrico di Gand)
in ogni caso ha contribuito a far leggere distinzione tra esse e id quod est di Boezio come
distinzione tra essenza ed esistenza, la realtà concreta
Dio essendo perfettamente necessario e atto puro è anche semplice, quindi non può essere
definito, perché la definizione implica molteplicità: è impredicabile, ha statuto ontologico
particolarissimo perché in lui l’essenza coincide con l’esistenza in quanto la implica: non può
essere senza esistere
nelle creature invece non c’è coincidenza tra essenza ed esistenza, e tramite questa
distinzione possiamo dire qualcosa indirettamente di Dio
Dio è anche atto di pensiero, intelletto puro che pensa sè stesso: questo non comporta
molteplicità
il principio primo di Avicenna, a differenza dell’Uno di Plotino e del motore immobile,
siccome deve conciliarsi con il Corano, conosce le cose che egli stesso crea nella propria
necessità, Dio le conosce come necessarie, ovvero nella loro generalità, non conosce
l’individuo nella sua particolarità ma nel suo appartenere alla specie, nel suo aspetto per cui
partecipa alla necessità di Dio:
il Dio è provvidente solo a livello della specie, non degli individui
come deriva l’essere creato da Dio? non decide di creare (eteronomia dei fini implicherebbe
una molteplicità), non è in questo senso nè libero nè necessitato (non c’è nulla che lo
obblighi), ma il suo essere è necessario, e tutto da lui scaturisce per diffusione inevitabile,
egli è consapevole del suo creare ma è difficile da concepire in termini umani
non c’è distinzione tra il suo creare, il suo pensare alla creazione, ed il suo volerlo
Dio crea perché è Dio, in lui non si danno l’opposizione tra libertà-necessità, conoscenza-
non conoscenza, volontà-costrizione perché non si dà in lui nessuna distinzione creaturale
Dio non può impedire all’essere di uscire da lui ma accoglie ciò volentieri
non c’è inconsapevolezza ma nemmeno volontà libera
le cause seconde (Guglielmo di Conches) sono fatte essere da Dio, che scende attraverso
la molteplicità ipostatica di intelletti, che da lui derivano secondo un modello di emanazione
neoplatonico, per cui da lui deriva un intelletto primo separato dalla materia, che guardando
a Dio si conosce come necessario e nel conoscersi genera un secondo intelletto, a lui
inferiore, che guardando al primo intelletto trova il suo essere necessario e guardando sè
stesso come creato (ossia come possibile) emana l’entità inferiore: da uno sguardo verso ciò
che precede e verso di sè, si crea moto discensivo
ogni intelligenza, conoscendosi prima come necessaria e poi come possibile genera
dapprima un’intelligenza inferiore, poi un'anima e un corpo celeste de assa animato, ossia
un cielo
l’ultima intelligenza emanata (che governa il cielo della Luna) è l’intelletto attivo separato,
ovvero quello unico per tutta la specie umana teorizzato da Alessandro di Afrodisia: essendo
privo di materia, è separato da individui, mentre i singoli hanno il proprio intelletto passivo
tentativo di far funzionare lettura del De anima, con Dio che non arriva fino agli individui,
modernamente ci si chiede come allora funzionino i pensieri

72
pensiero avicenniano oggetto di polemica teologica sferrata da al-Ghazali:
i falasifa si preoccupano di ritagliarsi uno spazio di indagine distinto da quello della fede, con
lo scopo di dimostrare poi la concordia tra ragione e religione
proprio a causa dell’autorevolezza di al-Ghazali nei territori islamici, questa evoluzione
emerge negli scritti di autori iberici (ad esempio Avempace e Abubacer, Epistola di Hayy)

AVERROÉ
Ibn Rushd, muore nel 1198
vive in Spagna, a Cordova
come Avicenna, fu un medico
è rimasto legato ad una pessima fama, basti pensare alla posizione che gli spetta
nell’Inferno dantesco
spesso nel medioevo latino è dipinto come padre degli errori della filosofia eretica (in realtà è
deformazione storica)
Trattato decisivo sull’accordo della religione e della filosofia, è d’accordo con il fatto che la
filosofia possa conciliarsi con la religione, nel suo caso musulmana
i suoi trattati di argomento filosofico furono conosciuti e tradotti molto tardi, così come una
replica che aveva scritto ad al-Ghazali, chiamata provocatoriamente L’autodistruzione
dell’autodistruzione
quello che i latini hanno conosciuto sono i suoi commentari aristotelici, che sono commenti
letterali, parola per parola, importanti per i latini nel loro tentativo di capire il testo di un
filosofo complesso (alcune testimonianze dicono che avesse ricevuto l’incarico dal califfo
Abu Ya’qub)
per ogni opera aristotelica scrive più di un commento, in alcuni casi (Metafisica, Fisica, De
coelo, De anima, Analitici secondi) tutti e tre i tipi:
- commenti brevi, parafrasi veloci
- commenti medi, ovvero commenti letterari veri e propri, meno espliciti nel distinguere
il pensiero dell’autore da quello del commentatore
- commenti lunghi, aggiungono al testo problematizzazioni e riflessioni
per autori latini era il Commentator
più di un secolo dopo rispetto ad Avicenna, nel mezzo c’è stato al-Ghazali, che aveva
criticato pesantemente il valore della filosofia
per Averroè i dissensi tra filosofi, gli asti verso la dottrina islamica, nascono da una
confusione tra Platone e Aristotele: coglie che quello che è stato fatto passare per Aristotele
spesso non lo era, la critica comprende anche Avicenna, che mescola tradizioni diverse (e
secondo Averroè non ha compreso la reciproca limitazione tra filosofia e teologia)
vuole ritornare ad una lettura di Aristotele che sia fedele, priva di “contaminazioni”
neoplatoniche
questo non significa mettere Aristotele in contrasto con il Corano: per capire il Corano è
necessaria una lettura razionale della realtà, bisogna capire che ragione e fede possono
concordare ma, perché ciò sia possibile, anche chiarire bene i confini
i ragionamenti umani non hanno possibilità e competenze per comprendere le vie per la
salvezza, il senso profondo del tawhid
concordismo metodologico così ferrato a noi suona simile a quello di Giovanni Porretano
gli autori latini hanno riconosciuto in lui una dottrina della doppia verità, ovvero gli hanno
imputato il contrario di quello che egli voleva fare

73
doppia verità: si possono trovare contrapposte la verità di fede e di ragione sullo stesso
piano, in modo inconciliabile
esempio fatto da Averroè: il corano e la bibbia parlano di creazione del mondo, mentre
Aristotele sostiene che il mondo è eterno (Porretano direbbe perpetuo): se riconosciamo che
Aristotele ha avuto delle ottime ragioni per dirlo, allora ci troviamo senza strumenti per
decidere, abbiamo due verità contraddittorie (sono le antinomie della ragion pura di Kant, tra
cui c’è proprio quella tra mondo creato ed eterno, Kant usa questo esempio per dire che la
filosofia non può dire nulla di certo in merito a ciò che non ricade sotto forme a priori di
spazio e tempo)
Averroè voleva mostrare concordismo, ritiene che Aristotele sia stato il più grande filosofo, e
nei commentari dice che le sue argomentazioni sono efficaci e stringenti
l’altra grande affermazione di Aristotele che crea problema è la mortalità dell'anima
(spiegata da Averroè-a livello filosofico- con il fatto che l’intelletto passivo è mortale e
un’anima separata dal corpo rientra nella purezza dell’intelligibile e non può più essere
un’individualità)
nel suo spiegare Aristotele egli lo riporta alla sua verità
ma in realtà non ha storicamente sostenuto una dottrina della doppia verità: ha precisato che
non c’è un solo modo per dire una verità, non ci sono solo uomini filosofi o argomentazioni
filosofiche
riprende la distinzione degli uomini in tre classi (fedeli, teologi e filosofi) unendola a quello
che dice Aristotele nei Topici, ci sono tre tipi di argomentazioni:
- retoriche, servono a convincere gli uomini che non sono filosofi di professione,
persone comuni che possono essere persuase
- dialettiche, sono probabili, hanno struttura logica per cui poste delle premesse
derivano delle conseguenze, ma il fatto che le premesse siano vere dipende
dall’opinione, gli uomini dialettici sono i teologi: argomentano bene ma prendono per
vere le parole del Corano, che non hanno una verità intrinseca, sono argomentazioni
valide ma non certe (vere in sè per la fede ma non dal punto di vista della logica, in
quanto non dimostrate dalla ragione in modo necessario)
- apodittiche, quelle dei filosofi di professione, che trovano dentro l’oggetto del loro
ragionamento la necessità di quello che dicono, le loro argomentazioni sono sempre
necessarie perché partono da premesse consolidate, o da precedenti dimostrazioni,
o da verità prime e indimostrabili
ecco che quando egli dice che Aristotele ha ragione e argomenta bene non lo dice per i
teologi, ma per i filosofi di professione: non vuole contrapporre filosofia e teologia, i teologi
non devono leggere quello che ha detto Aristotele ma il Corano, mentre i filosofi devono
attenersi alle parole di Aristotele
il fine di Dio nel comunicare all’uomo la sua Parole è condurlo al rispetto della sua volontà,
non abolire le indagini della sua razionalità
i teologi credono e presumono di poter comprendere in quanto credono, spesso usano
esegesi allegorica in modo eccessivo e sbagliato: risultato è opinabilità del vero fonte di lotte
e fanatismi
i filosofi devono portare la ragione alle conclusioni necessarie, patrimonio di conoscenza
scientifica e base della convivenza umana
è un percorso che farà diventare le verità dissonanti
in un gioco di traduzioni poco fedeli, il commento al De anima di averroè viene tradotto in
modo da fargli sostenere che non solo gli esseri umani hanno l’intelletto unico separato ma
anche l’intelletto possibile non legato ad un corpo: se Averroè avesse detto questo non solo

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avrebbe sostenuto che noi non pensiamo in proprio per l’intelletto attivo separato, ma che
nemmeno più le rappresentazioni sensibili sono nostre, che il pensiero ci è totalmente
estraneo: non ha detto questo, la traduzione ha lasciato intendere questo, dando origine a
successive dispute sull’eventuale unicità dell’intelletto possibile, che per gli autori latini
medievali avrebbe voluto dire la non retribuibilità dei premi e delle pene:
non mi è più imputabile il fatto che io decida a tutti gli effetti di fare il bene o il male
oltre al problema della doppia verità, avrebbe sostenuto dunque dottrina che avrebbe
sconvolto l’escatologia cristiana
Alla base dunque c’è in realtà l’idea che la verità in fondo sia nota solo a Dio, e per questo
possono contrastare le verità scientifiche e la rivelazione (sia le verità di ragione che quelle
pratiche della fede sono relative al modo di conoscere umano)
dove la ragione non arriva, può e deve avere vigore la fede, ad esempio con i miracoli:
proprio perché è definito impossibile dalla prima, può essere riconosciuto in quanto miracolo
ed essere accolto dalla fede

PENSIERO EBRAICO MEDIEVALE


due autori di fede ebraica con impatto importante per pensiero medievale
discorso su filosofia nella fede giudaica è molto complesso
importante opera di mediazione nella translatio studiorum è svolta dalle comunità ebraiche a
partire dalla seconda metà del XII secolo
teologia ebraica medievale:
basata su trasmissione della Torah, Legge, nasce dall’intreccio di varie tradizioni
ermeneutiche nei vari posti della diaspora
punto di coesione: testo del Talmud, un’illustrazione articolata della Torah e disponibile dal
III d.C, a cui fa riferimento spesso tutta la produzione teologica ebraica medievale
Libro della creazione, breve opuscolo che descrive le 32 Vie della sapienza (22 lettere
alfabeto + 10 Sefirot, numeri primi mistici) , ovvero principi formali che traducono in efficacia
operativa il libero atto creatore divino, garantiscono organizzazione del cosmo
è primo segno di volontà di armonizzare processi razionali volti alla realtà creata e i misteri
della Rivelazione
il contributo della razionalità diventa indispensabile nella difesa dalle ortodossie nate
dall’incontro con l’Islam e la mancata comunicazione tra le comunità ebraiche
un esempio: Isacco Giudea, coniuga idee plotiniane e universo biblico

AVICEBRON
Shelomoh ibn Gabirol, vissuto nell’ XI secolo (morto 1058)
ha successo un suo dialogo, il Libro della fonte della vita
in latino tradotto come Fons vitae, in 5 libri, poco amato in ambiti ebraici perché è privo di
citazioni bibliche, si presenta come una grande epopea metafisica, che cerca di ricostruire
razionalmente la struttura del reale
testimonianza del platonismo teologico ebraico
vuole essere una celebrazione di Dio ma in modo razionale
gli autori latini hanno percepito la dottrina dell’ilemorfismo universale, che ha due
caratteristiche fondamentali:
- tutto ciò che esiste è costituito insieme da materia e da forma, eccetto Dio, anche le
entità immateriali sono costituite da una materia spirituale (traduzione latina ha
distorto la comprensione successiva), non esistono sostanze semplici eccetto Dio

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- ogni entità non ha una sola forma ma una pluralità di forme- aristotelicamente non ha
senso-l’individuo è formato dalla sovrapposizione di più principi determinanti il suo
essere (come se per ognuno servisse la forma della sensibilità, la forma dell'intelletto
ecc)
secondo un modello emanazionista, le prime due creature vicino a Dio sono la forma e la
materia universali, dalla cui unione discendono tutte le realtà composte: Intelletto, Anima,
Natura, sostanze spirituali e sostanze corporee
l’anima dell’uomo deve risalire questa scala attraverso la conoscenza, per arrivare, solo
grazie ad un dono divino, alla ricongiunzione con la volontà di Dio
implicazioni psicologiche: ognuno ha una molteplicità di anime che presiedono a diverse
forme di conoscenza
autori francescani del 1200 e del 1300 cercano di adattare Aristotele a questo, ad esempio
dicendo che c’è forma dell’anima e forma del corpo, per cristiani utile dato che il corpo
muore e l’anima no
la dottrina di Avicebron non nasce dalla lettura di Aristotele, ma viene forzata all’interno di
una griglia aristotelica dalla traduzione latina con materia e forma

MOSÈ MAIMONIDE
muore nel 1204
opera a Cordoba, poi si sposta in Egitto e Marocco
medico e giurista
La guida dei perplessi, (dux neutrorum), la sua fortuna è data dall’interesse nei suoi
confronti da parte di Tommaso d’Aquino
i perplessi sono coloro che hanno letto le Scritture, ma conoscono anche la filosofia e sono
incerti, o troppo vicini a testo sacro, o troppo distanti, oscillano tra incredulità ed eccessivo
letteralismo
serve sintesi della filosofia che permetta ai credenti di orientarsi
il suo pensiero è una sintesi di tradizionalismo degli ambiti ebraici e riflessione filosofica
greco-araba
elaborazione interessante del tema della profezia: è l’unico possibile contatto tra la
conoscenza della verità divina ed umana, il punto di arrivo della convergenza tra ragione e
fede
per recepire il dono della profezia il possesso della sapienza è necessario ma non
sufficiente, serve la conoscenza della Legge
Mosè è stato il più grande profeta e filosofo: in quanto profeta è stato più che filosofo, ha
abbandonato le sue capacità conoscitive e ha intuito la verità dell’uomo
la premessa fondamentale è che la Torah sia un dono libero e assoluto di Dio, e il vero
pensatore riesce a far scaturire la filosofia dalla Rivelazione
la razionalità scientifica ha autonomia finché si rivolge al creato (“Aristotele non si è
ingannato per tutto ciò che esiste al di sotto del cielo della Luna”), ma deve usare la verità
biblica come conferma dei suoi passi
momento ermeneutico (deve interpretare correttamente la Scrittura) e momento critico (deve
riconoscere i propri limiti)
teologia negativa: rafforza idea che di Dio sia meglio parlare per negazione
è troppo superiore rispetto alle nostre limitate capacità linguistiche, con l’intelletto non
penetriamo nelle profondità di Dio
la filosofia può arrivare ad intuire l’esistenza dell’Essere primo, ma poi è la fede a dispiegarsi
nella realizzazione di una vita virtuosa

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introduce dimostrazione dell’esistenza di Dio ripresa in una delle cinque vie di Tommaso

è stato anche criticato, ad esempio da Gersonide, Le guerre del Signore (recupero di


teologia affermativa ispirata ad Aristotele) e da Hasdai Crescas, La luce del Signore
(contesta eccessivo ricorso alla scienza dei filosofi nell’interpretazione scritturale)

negli ultimi secoli del medioevo il mondo ebraico, ma anche quello cristiano latino, ha subito
il fascino della tradizione mistico-esoterica della Cabbala, ovvero una dottrina nata da un
confluire di insegnamenti mistici e che ha al centro le singole lettere e parole della Scrittura
il modello classico è forse quello documentato dallo Zohar, ossia Libro dello splendore, un
commento mistico del Pentateuco, si concentra sul simbolismo del Nome divino, sui misteri
delle Sefirot, anche sull’uomo e le prescrizioni della Legge

L’introduzione del pensiero greco e arabo-ebraico in Occidente: le traduzioni latine


crescita dell’aristotelismo è un complesso intreccio di contatti, trasmissioni attraverso i libri,
attraversando confini politici e religiosi
scuole di traduttori, dalla metà del XII secolo fino a tutto il XIII, soprattutto in Italia
meridionale, Spagna e Francia meridionale
ampliamento e rinnovamento del patrimonio intellettuale dell’Occidente porta ad un
mutamento profondo di mentalità e parametri speculativi del pensiero latino medievale,
concezione della conoscenza orientata in modo nuovo
Toledo luogo privilegiato di divulgazione di islamici ellenizzanti, ad esempio Domenico
Gundisalvi traduce Avicenna, il Fons Vitae, scrive due trattati di cosmologia teologica
da qui escono molti trattati anonimi di psicologia e cosmologia teologica
sempre a Toledo, verso il 1160, Gerardo da Cremona ha portato a compimento la
disponibilità dell’Organon con la traduzione degli Analitici secondi
corte di Federico II, nel XIII secolo, Michele Scoto traduce in modo massiccio Averroè
si intensificano viaggi a Costantinopoli alla ricerca di testi originali
prima metà del XIII secolo inizia revisione delle traduzioni dall’arabo, con nuove versioni
fondate sugli originali greci

XIII SECOLO E UNIVERSITÀ


tutte queste acquisizioni del pensiero arabo-ebraico e di Aristotele determinano cambiamenti
fondamentali
altro cambiamento fondamentale a livello istituzionale è la nascita delle università
universitas significa totalità, è la totalità dei maestri e degli allievi
l’esigenza di istruzione che abbiamo visto nascere nelle scuole, nelle polemiche tra maestri
o allievi e maestri, fa sì che ci siano maestri e allievi che si organizzano in corporazioni in cui
gli allievi pagano le lezioni di un maestro
vera e propria città scolastica, unico organismo giuridico
questo fenomeno diventa talmente ampio e organizzato che nel 1200 c’è, con Filippo il
Bello, l’atto di nascita dell’universitas di Parigi (riconosce a maestri e studenti il diritto di
essere giudicati solo dal vescovo e dalle autorità universitarie)
Altri centri nascono ad Oxford, Cambridge, Padova, Napoli (prima uni ad essere fondata dal
potere civile, su iniziativa di Federico II), Montpellier

molte conseguenze importanti:

77
- quello del maestro diventa ufficialmente un mestiere, università sono private ma
garantiscono stabilità all'insegnante, in realtà sono ancora soprattutto i chierici a farlo
(quindi non persone che vivono esclusivamente di tali proventi) ma in ogni caso si
riconosce il valore di quel lavoro
- il sapere è arrivato ad un grado di estensione di fatto, e di maturità epistemologica di
principio, tali da permettere la distinzione del sapere in ambiti, le facultates

alla base c’è la Facoltà delle arti, che è quella comune e propedeutica, ovvero le arti del
trivio e del quadrivio (manuali, programmi di esame)- si finisce più o meno ai venti anni-
anche dal punto dell'insegnamento era meno prestigioso
non est senescendum in artibus: non è bene invecchiare nelle arti, per cui gli insegnanti
dopo un po’ passavano ad insegnare nei gradi superiori, ovvero:
Facoltà di Diritto: civile (Corpus iuris di Giustiniano) e canonico (Decretum di Graziano)
Facoltà di medicina: corpus di Ippocrate
Facoltà di teologia
(la filosofia si è sviluppata nel passaggio tra arti e teologia)
soltanto nel tardo medioevo ci sono maestri delle arti molto prestigiosi che non vogliono
cambiare insegnamento, un caso è quello di Giovanni Buridano
Guglielmo di Occam è “venerabile iniziatore” perché non è mai passato alla teologia, rimasto
all’inizio
maestro delle arti (che aveva superato la prova di licentia docendi), o baccelliere se aveva
solo il titolo e non insegnava
andando a teologia faceva di solito due anni di lettura e commento della Bibbia, poi
diventava baccelliere biblico e poteva passare allo studio dell’elaborazione teologica,
basandosi su un manuale, Le sentenze di Pietro Lombardo (del XII secolo), che aveva
scritto compilazione di Padri della chiesa divisa per temi (diventa manuale in tutta Europa
fino anche al 1500 inoltrato); diventava baccelliere sentenziario, da due a quattro anni
sentiva lezioni sulle sentenze, e poi per un periodo era aiutante di un maestro di teologia
nelle disputazioni: era baccelliere formato, dopo degli esami diventa baccelliere in sacra
pagina (non si diventa maestri di teologia prima dei trent’anni)
il culmine del percorso si aveva con la licentia ubique docendi, ovvero l’autorizzazione ad
insegnare in ogni Università del mondo cristiano
il baccelliere biblico comunque aiutava il maestro a leggere la bibbia, quello sentenziario a
leggere le sentenze, quello formato con le disputazioni
forma tipica di insegnamento rimane la lectio, lettura e commento di testi
in alcuni momenti si affrontano delle questioni ordinarie o problemi specifici, ad esempio
qua il baccelliere poteva raccogliere gli argomenti a favore e contro
in due momenti dell’anno, durante l’avvento e la quaresima, l’attività didattica veniva
sospesa, e si sostenevano le questioni quodlibetali (quodlibet=qualsiasi cosa): sono le
questioni de quodlibet, sono gli studenti a proporre gli argomenti, non il maestro, come in
quelli ordinarie, erano il banco di prova della bravura dei maestri
sono questioni generalmente molto più ampie, entrano anche nel vivo di polemiche
filosofiche, spesso attraverso di esse conosciamo i pensieri dei maestri
spesso commenti biblici e alle sentenze sono frutto di lavori di baccellieri biblici, raccolte di
questioni sia ordinarie che quodlibetali
man mano si dividono gli studenti per nazioni (la prima e più consistente organizzazione di
questi gruppi avviene a Bologna), la lingua ufficiale per la didattica è il latino

78
molti testi dei maestri li abbiamo nelle reportationes degli studenti, che, se poi venivano
pubblicate, di solito erano rilette dai maestri
organizzazioni di copiatura, testi dovevano essere copiati per metterli a disposizione degli
studenti
l’università è l'istituzione in cui si sviluppa la filosofia
è fortemente comunitaria, ha un’organizzazione capillare (Cancelliere è autorità principale,
deve tutelare lo svolgimento regolare della didattica, poi c’è il COnsiglio dei Maestri, quelli
delle singole Facoltà, presieduti dai rispettivi Rettori)
ormai i due fattori di cambiamento (arrivo di Aristotele e la sua assimilazione e lo sviluppo
delle università) portano a crescita della filosofia

Philosophi e theologi
scontro sugli spazi di intervento tra facoltà delle Arti e Teologia
spesso gli artistae si ritengono autorizzati a imporre le regole fondamentali ad ogni altra
disciplina, a dedicarsi non solo all’ambito della natura, ma anche a quello soprannaturale
si riapre in termini nuovi il problema della conciliazione di ragione e fede
i teologi accusano soprattutto il modo in cui i colleghi delle arti usan la filosofia, nello
specifico quella aristotelica
nel 1210 a Parigi si proibisce l’uso dei libri di filosofia naturale di Aristotele
nel 1215 il cardinale Roberto a Parigi vieta l’uso anche della Metafisica, lasciando libertà
solo in ambito delle arti liberali e dell’etica (dunque si leggeva Etica Nicomachea: astio non
era verso Aristotele ma verso l’uso che ne si faceva!)
queste censure, non relative alla lettura personale, non frenarono la diffusione di questi testi
la problematicità del confronto tra ragione e fede è accresciuta dal fatto che, essendo la
facoltà delle arti propedeutica a teologia, i maestri di teologia sono quasi tutti familiari con le
questioni filosofiche
1228 Gregorio IX inveisce contro i maestri di teologia, li chiama theophantes, ciarlatani
1229 a Parigi si interrompe la didattica a causa di episodi di violenza tra studenti e cittadini
Uni di Tolosa: pubblicizza possibilità di leggere tutto Aristotele
Gregorio IX a Parigi emana la Parens scientiarum: si possono usare questi libri ma dopo
averne rimosso gli errori
chiaro come questi ambiti disciplinari avessero assunti ormai un’autonomia propria
per alcuni tale distinzione significava subordinazione delle discipline alla teologia
in ongi caso, di fronte ad una chiarificazione di ambiti, confini, metodi delle discipline
scientifiche (messa a punto da greci-arabi), era essenziale formulare un’altrettanto rigorosa
precisazione per la conoscenza teologica
i maestri di teologia is impegnano in una rielaborazione di strumenti e orientamenti della
christiana doctrina (unendo insegnamenti porretani, abelardiani e altri): la sacra doctrina si
identifica con la verità della sacra scriptura esposta in forma didattica, organizzata in moduli
metodologicamente consolidati

I primi maestri secolari


distanza ideologica tra vocazione istituzionale all’insegnamento di chierici secolari e
l’aspirazione dei maestri Mendicanti
intellettuali universitari più dediti all’approfondimento speculativo sono quasi sempre orientati
al percorso per essere maestri di Teologia

79
guardando allora alle opere dei teologi possiamo vedere l’inserirsi della speculazione
filosofica-scientifica nel complesso progetto formativo universitario, presentato come
percorso di conoscenza finalizzato al possesso di un sapere unitario e sistematico
i maestri secolari di Teologia sono i primi ad essere pienamente consci della peculiarità e
della portata della trasformazione culturale in corso (improvvisa evoluzione del materiale
didattico e inattesa complessità di organizzazione disciplinare):
cercano coerenza nel loro insegnamento, in una sintesi di fede e ragione
prime generazioni del Duecento mostra continuità di propositi con intellettuali come Alano da
Lilla e Simone da Tournai
ad esempio Guglielmo di Auxerre riprende Simone, che diceva che se in filosofia la ragione
produce fede nei confronti di ciò che è dubbio, in teologia la conoscenza si basa su una
“fede che genera razionalità”:
G. dice che l’inversione dei termini rappresenta il metodo specifico del discorso teologico
merito dei secolari parigini: portato concezione antica della ragione al servizio della fede
sotto la luce delle recenti precisazioni metodologiche e speculative; esporre le problematiche
del pensiero cristiano in base all’apporto dato dall’acquisizione di strumenti filosofici

La teoria dei trascendentali


formulata da due maestri, Rolando da Cremona e Filippo il Cancelliere negli anni venti del
XIII secolo
enuncia alcune determinazioni generalissime dell’essere, il termine trascendentale non è
quello che usano gli autori medievali
termine trascendentalia compare per la prima volta qualche anno dopo, nella Summa di
Rolando da Cremona
conditiones concomitantes esse (definite così da Filippo nella Summa de bono):
determinazioni che si trovano ovunque ci sia l’essere, ogni volta che si trova o pensa
l’essere, viene pensato con alcune caratterizzazioni strutturalmente inerenti, sono delle
nozioni prime che si configurano come la nostra porta di accesso per accogliere l’essere: se
capiamo queste possiamo cogliere cosa sia l’essere, che nella sua totalità e generalità ci
sfugge
sono trascendentalia perché non si può andare oltre con la conoscenza, al di là di esse c’è
solo il trascendente, l’inconoscibile
altro modo per superare la teologia negativa: se l’essere perfetto è costitutivamente
inaccessibile, ci sono delle sue determinazioni che sono accessibili e presenti ogni volta che
troviamo l’essere (non hanno in mente Anselmo ma capiamo la portata anticipatrice di quello
che egli dice nel Monologion)
queste nozioni sono per Filippo uno, vero e buono: con l’essere si dà sempre unità (lezione
neoplatonica), verità (Agostino), e bontà (sempre Agostino)
Guglielmo di Auxerre: non si può non pensare l’essere puro come uno, dunque si deve dire
anche che è autosufficiente, per cui in sè buono; ma il fatto che l’uno e il buono siano identici
mostra che tale identità è vera, quindi anche il vero è una condizione di pensabilità del divino
i maestri secolari mostrano che i trascendentali sono presupposti da qualsiasi verità
riguardante la fede, e al tempo stesso servono per spiegare l’essere di ciò che è creato (ogni
cosa è un ente e un quid bonum e un quid verum)
hanno discusso sul fatto che anche il pulchrum possa essere un cosiddetto trascendentale
(tesi sostenuta da Guglielmo di Alvernia): se la bellezza è inerente all’ordine che ha posto
Dio nel mondo allora si riscontra nel creato

80
l’inizio della nostra riflessione sulla bellezza nel medioevo si ha con la tesi di laurea di
Umberto Eco, Il problema estetico in Tommaso d’Aquino

ROBERTO GROSSATESTA
morto nel 1253
notevole levatura intellettuale
opera in Inghilterra, tra Oxford e Cambridge
si pone su linea inglese inaugurata da Giovanni di Salisbury, indagine logica volta a chiarire
in maniera meticolosa i limiti della ragione e per altri versi stabilirne le reali possibilità,
attenta al mondo della natura e all’idea che il sapere debba avere una qualche svolta pratica
ha una certa autonomia rispetto ad altre direttrici europee
notevole attualità di alcuni aspetti del suo pensiero naturalistico
la condanna dottrinale è sicuramente presente all’interno del contesto medievale ma non si
deve pensare che le sanzioni normative fossero così efficaci e cruenti
il fatto che il XIII secolo a Parigi vedesse il reiterarsi di divieti dello studio di Aristotele è
significativo che i divieti non fossero così efficaci: dal 1210 uni di Parigi proibisce
insegnamento di Fisica di Arist, problema era l’eternità del mondo e mortalità anima, poi nel
1215 condanna ripetuta e aggiunta anche la Metafisica, e ribadita nel 1231 con il proposito
di istituire una commissione censoria che purgasse gli scritti di Arist dalle tesi erronee: la
commissione non si riunì mai di fatto, ormai Aristotele veniva studiato e raccontato, usato in
profondità
queste condanne a Parigi valgono a Parigi, l’università è una società con diritto privato, gli
atti da parte della chiesa dal punto di vista normativo valgono solo per quella specifica
diocesi
in Inghilterra la proibizione non vale e non se ne percepisce nemmeno l’influenza (vicino a
Parigi c’erano comunque delle ripercussioni)
Roberto conosceva il greco molto bene, prima traduzione in latino completa dell’Etica
Nicomachea
assimila non solo la sua Fisica ma anche gli Analitici secondi (sillogismo scientifico, porta a
verità e conclusioni necessarie, determinazione delle condizioni entro le quali un sapere si
può definire “scientifico”: si parte da dati sperimentali con sensi, assicurato dalla
comprensibilità di dati universali, articolato per via deduttiva, conoscenza per causas)
verso il 1230 scrive il primo commento latino completo agli Analitici secondi, è il primo
che ne conosce in modo approfondito il testo, così permette di rendere il testo accessibile
agli autori dopo di lui, ne dà una lettura chiara e comprensibile (la prima traduzione era
conosciuta già da Giovanni di Salisbury ma nessuno aveva ancora fatto un commento)
il commento non è frutto solo della libertà inglese ma anche della sua statura intellettuale
nel commento tuttavia mostra una mescolanza di tradizioni aristoteliche e tendenze
neoplatoniche che rimane un unicum del periodo: riesce ad unirli senza creare stridori
incredibili, ma ci sono comunque delle tensioni:
gli universali si dispongono su diversi livelli:
- gli universali nella mente divina- impostazione divina alla Anselmo- da cui derivano le
cause primordiali che fanno essere le cose- naturalismo chartriano di cause seconde
- scendendo verso la materialità si fanno forme delle cose e sono immanenti ad esse

dal punto di vista gnoseologico mescola dottrina dell’illuminazione (Agostino e


neoplatonismo) e dell'astrazione (Aristotele): la nostra conoscenza ha la fonte che deriva
dall’alto, ovvero da Dio, che dà alla mente la possibilità di essere una capacità conoscitiva,

81
ma c’è la componente di astrazione perché l’universale che è la forma nel singolo individuo
si può conoscere passando dai sensi, prendendo i dati empirici e astraendo, considerando
separatamente, come aveva detto Boezio, i caratteri a loro comuni: non è nè realista nè
nominalista
conosciamo gli universali un po’ con l’illuminazione perché sono realtà separate, un po’ per
astrazione perché sono componenti metafisiche degli individui concreti
filosofia che ha entrambi i versanti, ultima sintesi che presenta aristotelismo e neoplatonismo
allo stato puro, altre sintesi successive saranno sbilanciate decisamente verso Aristotele
è necessario che nella mente umana le nozioni provenienti dall’esperienza sensibile siano
ricondotte, grazie all’astrazione, a termini universali, privati della contingenza e della
particolarità:
per garantire l’oggettività del processo i filosofi avevano introdotto l’intelletto agente, che
astrae in modo univoco per tutti, ma la prospettiva cristiana è più semplice e vera: dato che
la certezza può venire dall’illuminazione divina, ad essa deve essere subordinata
l’astrazione

sempre nel commento ha un testo che è diventato famosissimo:


negli anni ‘60 Crombie vi ha trovato l’anticipazione della rivoluzione scientifica, anche se
questa è una tesi storiografica da dismettere
dice che c’è una metodologia di indagine da seguire nelle discipline scientifiche: prima volta
che autore medioevale scrivendo di filosofia mostra una conoscenza così chiara degli
Analitici Secondi da dirci che le discipline che hanno a che fare con la natura devono avere
metodo preciso
egli fa l’esempio della scammonea, probabilmente il rabarbaro, erba curativa che porta
all’espulsione di una bile di colore rosso: nella medicina possiamo stabilire che se ingerisco
scammonea succede questo, ma tale principio va trovato per via induttiva (questo detto già
da Aristotele: le regole del principio scientifico vanno tratte dalla sensazione)
ma come fare questa induzione? delinea passaggi: prima di tutto bisogna ripetere varie volte
la somministrazione di scammonea, fare delle esperienze (experimenta) ripetute e
controllate, ma anche eliminare le altre cause di espulsione di bile rossa (un evento può
avere più cause ma ci serve nesso causale unico)
è teologo cristiano che comunque pensa a sapere che debba salvare l’anima
ma mostra come si sia affacciata idea di metodologia basata sulle esperienze e
sull’esclusione delle cause concomitanti
autori successivi che pure hanno letto il suo commento, non hanno ripetuto più e tramandato
questo aspetto, forse era troppo pionieristico rispetto alla sensibilità dei suoi decenni

come è possibile la produzione degli universali nella mente umana? serve un tramite
conoscitivo tra la verità degli esemplari e l’esperienza sensibile, che confermi la
partecipazione della conoscenza umana ad entrambi, salvaguardando rispettivamente la
necessità e la capacità informativa di essi:
la matematica è la disciplina che deve fungere da modello della conoscenza umana (idea di
lontana tradizione pitagorica: la matematica è l’idea che la realtà abbia una struttura
organizzata in maniera quantitativa, solo la matematica permette di indagare la realtà
sapendo che è ordinata):
cerchiamo nella natura ordine e regole quantitative che ci permettono di creare delle
previsioni e formulare dei criteri di comportamento della natura

82
la matematica rappresenta quindi un sapere che nasce nel punto esatto di incontro tra
l’illuminazione informativa dall’esperienza e quella formativa dall’alto
la conoscenza certa che si ha nella dimostrazione, si ha sommamente nelle matematiche
solo la matematica rispetta pienamente il principio aristotelico del conoscere per causas
processo di riunificazione del molteplice a cui corrisponde un perfezionamento dell’intelletto:
sensus, imaginatio, ratio, intelligentia, potentia superscientialis (recepisce nel modo più
diretto l’illuminazione)
la certezza e la necessità di ogni conoscenza scientifica sono garantite dalla formulazione
matematica a cui essa deve essere ricondotta
si vede molto nell’ottica, che è applicazione della geometria ai raggi di luce, funziona con
leggi di propagazione, i medievali possono contare su Ottica di Tolomeo, da riccardo la
considerano come basata su nozioni matematiche salde

altra opera Tractatus de luce, si colloca all’interno della letteratura esamerale ma si ferma
al primo giorno, si concentra sulla creazione del primo punto luminoso creato al fiat lux di
Dio, indaga a partire dai principi dell’ottica e della matematica la creazione del mondo da
quell’unico punto luminoso iniziale (prima di tutto Dio crea la luce):
nella semplicità dell’atto luminoso si distinguono tre momenti, lux-splendor-fervor, il punto
luminoso si rarefà in forma sferica (teoria corpuscolare della luce, dice che la luce è la stoffa
di cui è fatta la materia del mondo, la materia prima della concretezza del mondo, una
specie di sostrato precedente la materia)
espandendosi arriva al massimo della rarefazione e costituisce la sfera delle stelle fisse, che
riflettono la luce al centro del mondo, che tende a condensarsi e si riverbera nuovamente
all’esterno, il movimento di andata e ritorno crea pianeti e sfere, poi diventa materiale e
precipita i quattro elementi
ci mostra la compenetrazione di matematica e teologia, richiesta dalla duplice natura stessa
della luce: interna alla creazione in quanto prima creatura e esterna in quanto proveniente
da Dio
opera basata anche su numerologia chiara e interessante, riflessione astratta sulla
matematica che ci dice come il medioevo sia pronto ad un salto di qualità sull’indagine della
natura
importante incontro con Pseudo-Dionigi: tutte le creature conoscono riconoscendo la
presenza della luce nel creato e Dio lascia una traccia in ciò che crea, quindi Dio è
conoscibile come luce
invertendo il processo di discesa, ci possiamo accostare alla natura divina ed al mistero
trinitario, nell’analogia del movimento di lux-splendor-fervor

influenza di Anselmo si vede nel De cessatione legalium: la fede è fonte diretta di


esperienza della verità, la Rivelazione informa riguardo all’Incarnazione, accettata dalla fede
come vera, la scienza teologica va più a fondo e comprende l’incarnazione come
predestinata dalla volontà di Dio (voleva unirsi all’uomo da quando lo ha creato)

ALBERTO MAGNO
di Colonia
papa leone XII nel 1... pubblica enciclica dal titolo Aeternis Patris, segna nascita del
pensiero neoscolastico

83
in epoca moderna e positivistica, di crisi della sensatezza di un pensiero non positivo, non
utile a migliorare la vita dell’uomo, non matematizzabile, come la teologia, la chiesa ha un
moto di reazione, la tradizione teologica ha diritto di stare al passo con la filosofia, prova ne
sia che con Tommaso d’Aquino la filosofia cristiana basata sulla teologia medievale è
arrivata a punto di splendore insuperabile (è idea storicamente infondata, non ultimo grande
filosofo della storia): nasce il neotomismo, idea che Tommaso a fine 1800 possa dare
strumenti per una rilettura del presente
porta a vedere in Tommaso il più grande filosofo della filosofia medievale: è sicuramente
autore di genio e ha avuto storia degli effetti particolarmente significativa però ormai non si
pensa che in lui si esaurisca XIII secolo e dopo non ci sia più nulla
per i suoi contemporanei nè adorato incontestabilmente nè adorato come grandissimo
filosofo
pensiero geniale e estremamente personale

a) Filosofia aristotelica e teologia cristiana


per la maggioranza il grandissimo filosofo era Alberto Magno, per quattro anni era stato
maestro di Tommaso
quando insegnava a Parigi era il maestro il cui insegnamento apriva prospettive nuove, non
ha suscitato discussioni polemiche, aveva una fama grandissima e rimasta fino ad oggi
indiscussa
il percorso di Alberto, che è un domenicano e fa parte dell’ordo predicatorum, si divide in
due fasi:
- parigina, di insegnamento
- nel 1252 nominato provinciale di provincia di Teutonia e inizia a girare per l’Europa
come provinciale dell’ordine, ha incarichi di insegnamento ma in scuole interne
all’ordine
la fama si fonda sul periodo parigino
cronisti domenicani ci raccontano che quando arrivava in un monastero nuovo si sapeva che
la luce della biblioteca di notte sarebbe stata accesa perché lui ricopiava opere
stile torrenziale, a volte torbido, cita moltissime cose che non capiamo da dove derivino
interessante notare un’inversione rispetto all’andamento ufficiale degli studi: teologo già
rinomato, giunto a Colonia si dedica allo studio della filosofia (senza mai smettere di vedere
la teologia come punto di arrivo ultimo di ogni riflessione umana)
non a caso tra queste due fasi della sua vita tiene delle lezioni sullo pseudo-dionigi (prima
volta che accade ciò), ovvero l’ultimo grande filosofo pagano convertito da Paolo al
cristianesimo
Omnia, è un colosso, è commentatore aristotelico fecondissimo, inizia lavoro nel 1250 (data
spartiacque!), con l’Etica Nicomachea
ma è nel commento del proemio alla Fisica, scritto nello stesso periodo, che enuncia il suo
programma filosofico, è testo che rimane sintomatico di un’epoca: in esso scrive che è ora di
rendere Aristotele intelligibile ai latini: affermazione interessante
percorso che porta assimilazione di Aristotele può ritenersi concluso con il 1280 con la
traduzione della Poetica
prima allora cosa succedeva? veniva letto e commentato in modo frammentario, ognuno
aveva preso l’opera che gli serviva ma senza inserire Aristotele nell’insieme del suo
pensiero:
questo ci mostra una grandissima sensibilità di Alberto dal punto di vista storico e filosofico,
bisogna rendere tutto Aristotele comprensibile ai latini, finalmente mostrare come Aristotele

84
possa stare accanto alla rivelazione cristiana, far finire le censure e assimilarlo nel pensiero
cristiano
il pregio più grande di Aristotele era la sua sistematicità
non vi era più un’alternativa teorica reale per fare filosofia
questo non vuol dire che sia un aristotelico rigido e ortodosso, nel suo pensiero ci sono
aspetti neoplatonici forti ed è il primo a commentare le opere dello pseudo-dionigi areopagita
doctor universalis, sapiente di tutto il sapere possibile: chiamato così per la sua tendenza
enciclopedica (elabora un sistema articolato in diversi ambiti disciplinari, scrivendo trattati
circa molti argomenti diversi)
risente di influssi di Avicenna: non si può capire e assimilare Aristotele senza abbinargli la
tradizione neoplatonica, si fa sentire anche nella scrittura del commento
inoltre quando trovava che nelle opere di Aristotele mancassero delle parti ha composto dei
trattati autonomi
difficile capire che cosa voglia dire come idea sua, cosa riprenda da fonti a noi poco note, e
come mai l’opera Omnia sia lontano dall’essere rivista del tutto
edizione della sua opera del 1890 ha tantissimi errori nella lettura dei manoscritti, a volte la
difficoltà è legata anche a questo
rivalutazione del sapere naturale si esprime anche nelle decisioni della commissione di
studiosi domenicani (riunita nel 1259 e di cui A. faceva parte): Aristotele, nonché la filosofia,
è propedeutica alla ricerca teologica

b) Il sistema filosofico della realtà


aspetti del suo pensiero:
la metafisica ha un forte parallelismo con la logica: entrambe sono discipline che indagano i
principi primi, ma la logica li indaga in quanto premesse formali del ragionamento, mentre la
metafisica li considera come leggi immutabili e fondamentali della natura, che sono mostrate
come cause naturali
la filosofia ha un suo ambito definito rispetto alla teologia, questa è una grande eredità
lasciata da Alberto:
il filosofo deve loqui ut naturalis, deve parlare da essere naturale, o da filosofo naturale
enuncia con chiarezza la distinzione epistemologica tra metafisica e teologia, tra filosofia
della natura e dato della natura espresso dalla Rivelazione, che avrà delle risonanze
dirompenti e dopo di lui non potrà più essere abbandonata
la metafisica è una disciplina autonoma
tratta Averroè come colui che ha detto varie eresie ma gli riconosce il fatto che sia stato il
primo ad aver impostato un’esigenza culturale e filosofica di interpretazione di Aristotele
secondo Aristotele, e non secondo altri modi di pensare
Alberto dice che a ragionare da filosofo naturale Aristotele dice che il mondo è eterno, non
abbiamo argomento filosofico per confutarlo, i movimento non ha origine e non ha fine,
nonostante la fede
ma Dio può interrompere momentaneamente l’ordine naturale con i miracoli: è possibile
un’indagine autonoma e razionale del mondo creato, e la filosofia può godere di libertà di
giudizio, ma proprio in quanto, riconoscendo i proprio limiti, ammette che una forza esterna
alla natura, ovvero la volontà divina, possa creare e interrompere l’universo
(il contrasto con la prospettiva teologica non è così acuto da creare problema enorme, ma
dopo di lui non sarà così)
la trasposizione della filosofia antica nell’ottica cristiana consente, secondo A, un
perfezionamento dei suoi stessi risultati

85
non ha ragione Avicebron nel dire che Dio è radicalmente libero, perché l’ordine naturale
che egli pone nel mondo è l’ordine naturale, che non può più essere sovvertito (da Pier
Damiani a Occam)
c’è sistema di cause seconde che Dio ha posto nel mondo e operano in modo regolare e
prevedibile
ma soprattutto sbaglia in quanto l’ilemorfismo universale va rigettato perché ha un rischio
forte di panteismo (conosceva condanna di Davide di Dinant) accusato di panteismo
dire che c’è una materia spirituale anche nella creature spirituali finisce per annullare la
distinzione tra materiale e immateriale e avvicinare troppo il mondo a Dio
leggendo il Liber de causis, del circolo di al-kindi, ma considerato aristotelico, concepisce
Dio come la causa somma in cui l’essere si identifica con il quod est, che trasmette causalità
ad un sistema di cause seconde che a cascata discendono nell’universo:
è un Dio neoplatonico di un universo aristotelico (bisogna aspettare Tommaso perché le
cose si scindano un po’)
le cause seconde sono assolutamente immateriali e sono mediatrici in quanto trasmettono
degli influssi puramente formali
dottrina dell’incoatio formae (l’incominciamento della forma, disponibilità alla forma): le entità
causate ricevono la loro forma da questo sistema di cause gerarchicamente ordinate, ma
com'è che una determinata materia riceve proprio e solo quella determinata forma? la
materia ha in sè una specie di sigillo che la predispone a ricevere una certa forma piuttosto
che un'altra, la natura già nella struttura materiale è orientata ad avere determinate forme e
potenzialità, la realtà creata tende a realizzarsi per una tensione già iscritta nella materia:
l’universo non è sganciato da Dio, è una serie di emanazioni discensive che non sono Dio a
livello della creatura perché la materia è imperfetta e, nonostante la forma trovi il suo spunto
nella materia, ciò avviene in modo imprevedibile e contingente, mai necessario
la realtà non è deterministicamente pensata da Dio
gli influssi formali infatti sono in sè necessari, ma la diversa disponibilità delle imperfezioni
materiali li recepisce e li rende efficaci in maniera imprevedibile
Dio è Intelligenza pura che contiene le forme esemplari, ad essa tendono quelle particolari,
per il tramite dell’attrazione esercitata dalle cause superiori
questo intreccio universale di cause si può chiamare fatum

c) L’antropologia e l’ascesa della conoscenza


come si forma l’anima a partire dalla materia?
l’anima vegetativa è in potenza nella capacità del seme paterno (la donna è solo ricevente)
quando essa si sviluppa dà luogo alla potenzialità dell’anima sensitiva, in cui la funzione
intellettiva è presente potenzialmente, ma da cui non deriva meccanicisticamente:
la funzione intellettiva dipende da una particolare azione da parte dell’intelletto divino
quindi l’anima umana è realizzata materialisticamente dall’interno per quanto riguarda
l’aspetto vegetativo e sensitivo, mentre dall’esterno per quanto riguarda quello intellettivo
(originata in parte ab extrinseco, in parte ab intrinseco, collocata “sulla linea dell’orizzonte
che separa l’eternità e il tempo”)
l’anima è quel luogo in cui Aristotele si incontra con la Rivelazione
con lui prima discussione chiara sull’intelletto che risente dell’influsso del pensiero arabo
si colloca su una posizione per certi versi più vicina a quella di Avicenna
sia per Avicenna che Averroè l’intelletto agente è uno e separato per tutta la specie umana,
ma per Avicenna l’intelletto possibile è proprio dei singoli individui, per Averroè anche quello
possibile è separato dai singoli

86
per Alberto ci possono essere delle buone ragioni per sostenere che l’intelletto agente sia
unico e separato, ma anche chi sostiene che sia proprio del singolo ha buone ragioni, e il
cristiano deve optare per la seconda opzione (ognuno pensa in proprio ed è responsabile di
quello che sceglie)
non solo spiega la compresenza nella conoscenza di dati universali (intelletto agente
sollecita nell’anima la disponibilità a ricevere le forme e attuarle in atti intellettivi particolari) e
operazioni particolari, ma ha un importante risvolto etico:
etica umana è tentativo di liberare dalla corporeità l’intelletto passivo e volgersi alla vita
teoretica, c’è un’ascesa che porta al potenziamento dell’intelletto, si può salire fino alla
contemplazione dell’intelletto divino
nel delineare questo processo si colloca alle origini della corrente della mistica renana, che
cerca di comprendere razionalmente l’ascesa fino all’intelletto divino, che comporta
l’annullamento di intelletto umano in quanto separato da Dio
l’obiettivo ultimo di cui parla Alberto è una copulatio dell’anima con Dio, un’unione profonda
in cui essa, se sviluppa al massimo la capacità conoscitiva, può arrivare alla somma verità
la perfezione aristotelica della vita teoretica si coniuga con il platonismo in teologia, e quindi
si ha una risalita contemplativa verso Dio che lo coglie intuitivamente

d) Il sistema della verità teologica


rapporto tra filosofia e teologia:
la teologia cerca di comprendere quanto la ragione sia in grado di indagare di Dio: è
custode della Rivelazione ma anche presidente del sapere filosofico
è una scienza, un sapere certo, diverso dalle altre
cita frase di pseudo-dionigi “la fede è il fondamento unico dei credenti, che colloca essi nella
verità e la verità in essi” e la precisazione fatta dal commentatore (Giovanni Scoto) “come in
un immutabile principio della somma verità”
per Alberto importante “immutabile principio”: la fede non solo è accolta, ma è posta come
principio regolativo della conoscenza teologica
domanda sulla compatibilità tra la normativa epistemologica elaborata dai filosofi e la
particolarità della teologia che pone il proprio principio a priori nella natura trascendente e
non verificabile della Rivelazione
ne parla sia nel Commento alle Sentenze, sia nella Summa theologiae (ultima opera e
incompiuta: la sua idea della scienza teologica era rimasta invariata nel tempo)
le scienze si distinguono in base ai loro subiectum, argomenti fondamentali, che
determinano la natura delle deduzioni che ognuna è chiamata a fare
la teologia, avendo come soggetto primo (subiectum speciale) Dio, richiede l'apporto della
fede
poi come subiectum specialiter c’è tutto ciò che è oggetto del credere, ovvero gli articoli di
fede
e infine si rivolge a tutti i segni che nella realtà creata si rifanno a Dio: ecco che in un senso
generale il subiectum della teologia è la Scrittura
nonostante il moltiplicarsi dei contenuti, la scienza teologica si riferisce sempre ad un’unica
realtà, in quanto Dio è causa unica, ed è quindi una scienza unica
intende Dio sia come causa efficiente, sia come causa finale: questo dualismo tra principio e
fine della teologia si riflette, senza compromettere l’unità, sui contenuti: Dio come creatore e
Dio come termine del ritorno universale
questa circolarità del vero è la causa della sua sistematicità

87
conoscenza della fede è conoscenza del Logos, i credenti sono veri theologi, ovvero
possessori della dottrina il cui fine è congiungere il logos umano con quello divino
ma se Dio è il vero subiectum, la teologia non può che essere un sapere pratico, perché non
basta conoscere Dio ma anche amarlo: da qua domanda, teologia è scienza teorica o
pratica?
per Alberto è pratica (non ha un oggetto conoscibile in quanto tale ma piuttosto un fine), ci
insegna ad amare Dio e ad agire in maniera conforme a questo amore, è scientia affectiva,
porta a perfezione anche la parte sensitiva della nostra anima
il finale congiungimento con Dio coinvolge sia l’intelletto che la volontà del credente, Dio
nella visione beata è conoscibile non come essenza in sè, ma come fine dell’orientamento
dell’affetto di ogni creatura, essenza come bontà attraente
può mantenere lo statuto di scienza speculativa solo affermando il suo essere una scienza
pratica:
c’è ovviamente un aspetto speculativo della teologia, ma è subordinato

BONAVENTURA DA BAGNOREGIO
muore nel 1274
frate francescano
ha retto l'ordine dei frati minori quando ormai era ampio, aveva bisogno di guida autorevole
che reggesse la controversia tra conventuali e spirituali
questo è stato il denominatore anche della sua produzione
da quando diventa maestro in teologia a Parigi deve per un anno e mezzo aspettare perchè i
frati degli ordini mendicanti non possono accedere alla cattedra, e dopo un semestre viene
chiamato dai francescani per essere ministro dell’ordine
torna a Parigi come ospite e pronuncia discorsi ma non insegna più
è stato baccelliere sentenziario e per diventare maestro ha scritto anche questioni disputate
ma il resto delle sue opere non sono il frutto di un maestro, si vede il filosofo ma certo il
focus della sua vita si è spostato
rispetto agli altri autori del XIII secolo lo spirito è diverso
non si può parlare della filosofia di Bonaventura scindendo ciò dal suo essere frate
Breviloquium, trattazione di indole compendiosa di fondamentali temi della teologia, parla
dello statuto epistemologico della teologia, scritta nell’epoca del passaggio
dall’insegnamento all’ordine
la teologia è un discorso su Dio, che ha Dio come subiectum
in questo senso è una dottrina, sacra doctrina, un insegnamento su Dio, non una scienza
argomentativa
però è anche un discorso sul primo principio di tutte le cose, e in quanto tale si configura
anche come metafisica, disciplina teoretica nel quadro delle scienze aristoteliche
però non è esattamente appiattibile sulla metafisica, che, giunta al primo principio, non
procede oltre: la teologia deve mostrare che tale principio e sommo essere è Dio
quindi la teologia comprende in sè la metafisica, e le fornisce il suo vero scopo
mentre per Alberto Magno la metafisica si può fare loquendi ut naturalis, ha una sua piena
autonomia, in Bonaventura ha un’autonomia subordinata:
inaugura corrente che è stata molto fiorente nella seconda metà del XIII secolo
in quanto scientia metafisica, la teologia può esprimere un giudizio razionale sull'essere, e
nel fare questo spiega razionalmente che cosa è possibile del Dio creduto dalla fede
però non potrà mai farlo senza risolvere e ricondurre queste argomentazioni razionali a quel
supremo principio di verità, che è Dio, e che si manifesta nella Scrittura

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La riconduzione delle arti alla teologia, il sapere umano ha un’utilità, ma senza teologia
illuminata dalla Scrittura non ha un senso pieno
non c’è verità umana che non sia riconducibile alla verità in Dio
a Dio si riconducono le quattro cause di matrice aristotelica: la teologia ha Dio come origine,
esprime la natura di Dio, è regolata dalla verità di Dio e ha Dio come fine ultimo
la teologia può essere allora detta scientia divina (è più divina che scienza), è scienza di
Dio in entrambi i sensi del genitivo “scientia dei”:
- riguarda Dio
- promana e deriva da Dio
la teologia è una, ovvero unitaria e una sola, perché uno è Dio
che cos’è la verità per un cristiano? è Dio:
la teologia in quanto scienza di Dio è scienza della verità (la suprema rispetto a tutte le
altre; le altre scienze sono scienze della verità di qualcosa)
carattere fondamentale è l’agostinismo
ha atteggiamento aperto nei confronti della filosofia, cita moltissimo, anche Aristotele
quando l’aristotelismo assume caratteri radicali dal 1260 con i cosiddetti averroisti latini- o
aristotelici radicali- si radicalizzeranno anche le critiche di Bonaventura all’aristotelismo
(vede un capovolgimento del senso della realtà che Dio ha dato)
non è autore che non apprezza le novità filosofiche del tempo suo, ma tiene saldo un
impianto di pensiero che deriva da Agostino: la verità è Dio e la possiede la teologia, il
sapere umano può arrivare ad una verità ma il cui senso pieno si dà solo relativamente alla
teologia
il compito del teologo è aiutare coloro che hanno fatto della fede la ragione della propria vita
a godere del premio di questa fede già in vita, partecipando della sapienza di Cristo

1) La scienza teologica come reductio ad unum e il suo fondamento scritturale


fin dal prologo del Commento alle sentenze (giovanile, è appunto uno dei passaggi per
essere maestri) è preoccupato che il dissenso che alberga nella filosofia pagana contagi il
suo tempo: se oggi la mundana sapientia ha la meglio, torniamo a litigare sulle opinioni,
invece la teologia ha il compito di ricondurre a unità le diverse opinioni, che per avere
davvero senso devono rifarsi alla verità unitaria che è Cristo
Collationes sull’esamerone, incompiuto perché poi è morto, ancora vuole ripristinare una
sapienza cristiana, un sistema di verità pacificante e unificante fondato su Cristo: una verità
va accolta come tale solo se ha una conferma nella verità di Cristo, espressa dai Padri e da
Agostino
anche Anselmo era su questa linea, pensava alla perfetta sovrapponibilità di vera filosofia e
vera teologia
san Paolo: la Scrittura racchiude tutto l’universo secondo le quattro dimensioni della croce;
larghezza della verità è la Bibbia composta dai due testamenti, lunghezza è la storia sacra,
altezza sono le gerarchie (ecclesiastica, celeste e sopraceleste), la profondità sono i sensi
della scrittura (letterale, allegorico, morale, anagogico)
quando si interroga sul senso letterale della scrittura (c’erano state tantissime letture
allegoriche) lo spiega alla luce di un’interpretazione trinitaria che trae spunto da pseudo
dionigi: ogni cosa creata è una trinità di sostanza potenza e atto, e anche Dio è trinità: è
Padre secondo la sua sostanza, Cristo secondo la sua potenza- perché la creazione è fatta
nel Verbo- e Cristo redime l’umanità con la sua operazione:
in Dio sostanza potenza e atto sono unitarie, Dio è inteso come credibile, ovvero come
possibile oggetto di fede

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2) La teologia come determinatio distrahens
la meta nel rapportarsi alla Scrittura è la scientia Christi, ovvero la scienza che si ha di Cristo
come riflesso nella mente umana della scienza che ha Cristo stesso: tale scienza è la vera
teologia
nelle Postillae (note esegetiche scritte durante il magistero teologico) scrive che la
manifestazione del Verbo guida il teologo nella via dalla conoscenza umana a quella divina
il termine credibile è importante nel momento in cui Bonaventura cerca di spiegare il
rapporto tra Scrittura e teologia:
la teologia è un insegnamento fondato sulla scrittura, ma dal punto di vista epistemologico
che cos’è la teologia? la teologia rispetto alla scrittura è una determinatio quodam modo
distrahens, ovvero determinazione che in un certo modo porta da un’altra parte: prende il
credibile della Scrittura e lo trasforma in un intelligibile, prende il dato rivelato e sforzandosi
di comprenderlo lo fa diventare intelligibile, palese con il caso della trinità (compare nei
vangeli ma devono diventare intelligibili per essere oggetto della volontà)
distrahens quindi non vuol dire confusione, ma condurre altrove, perché appunto quello
dell’intelligibile è un dominio conoscitivo diverso dal credibile
la teologia è posteriore alla Scrittura, epistemologicamente questa è la base, ma la teologia
razionalizza il contenuto
questa natura distraente della teologia si ha con l’intervento della ragione nella Rivelazione,
come conferma e supporto alla fede

3) dalla scientia alla sapientia


solo la scienza di Cristo si può definire a tutti gli effetti sapientia, una perfetta sintesi tra
intelligenza ed azione, che porta ad esaudire pienamente il desiderio di felicità
le scienze umane introducono nel sapere una differenziazione di obiettivi, dunque
un’imperfezione dei loro risultati
il fatto che la scienza dei filosofi sia incompleta ha la spiegazione nella caduta di Adamo:
con il peccato la deiformitas è diventata una deformitas: nella caduta tutta la verità si è
frammentata, non c’è più somiglianza con Dio e vicinanza, la conoscenza è diventata
parziale e irrisolta, bisogna tornare alla deiformitas, dal libro della natura bisogna tornare a
quello della scrittura, devono accettare che la filosofia venga corretta dalla fede (per
rinforzare poi la fede con la filosofia)
Questioni disputate sulla scienza di Cristo, seguita da un sermone introduttivo al magistero:
Cristo il solo maestro di tutti: esplicita, all’inizio del suo insegnamento, che l’unico che ha
senso è quello che mostra la verità del Verbo
ritorna il tema vent’anni dopo nelle Collationes in Hexaemeron: senza la teologia, la filosofia
non coglierebbe mai l’unità del vero
collatio: in origine indica la ripresa serale del sermone del mattino, qua indica la redazione
formale, frutto spesso di una reportatio, di prediche ufficiali dei maestri
la facoltà di teologia è la casa della sapienza, i teologi possono comunque servirsi degli
strumenti delle nuove elaborazioni filosofiche
inserisce tutte le dispute in quadro desunto da dottrina agostiniana dell’illuminazione, che
con lui diventa onnipervasiva- per Agostino sostiene la conoscenza umana ma solo per
conoscere immutabilità di alcune verità- un comune denominatore necessario per poi riunire
tutte le conoscenze

90
siccome il sapere ha un’unità di fondo che si riscontra in Cristo, solo nell’illuminazione
possiamo cogliere le regole fondamentali e universali che poi ci permettono di comprendere
i dati particolari, i fondamenti della nostra capacità astrattiva risiedono in essa
l’illuminazione garantisce la verità e l’oggettività della nostra conoscenza, e riguarda sia
l’intelletto agente che quello possibile (lui non aderisce a gnoseologia aristotelica), intelletto
possibile non è puramente passivo (perché riesce ad applicare le forme astratte che riceve
alle informazioni che provengono dall’esperienza sensibile) e quello agente non puramente
attivo (altrimenti non potrebbe ricevere l’illuminazione)
riprende tradizionale dottrina delle idee nella mente divina come modelli della creazione e
anche di ciò che noi possiamo sapere (esemplarismo)
la filosofia porta alla verità nella misura in cui accetta di aver bisogno della teologia per
riunire la verità
la dottrina del pluralismo epistemologico non va per nulla accettata (gli aristotelici averroisti
negano l’univocità del vero), è la negazione della sapienza cristiana che lui vuole fondare:
ogni vero è tale soltanto in subordine a una verità più alta, ovvero quella della Rivelazione
la filosofia abbandonata a sè stessa è dunque causa di errore
“l’anima vorrebbe descrivere tutto il mondo entro di sè” ma senza l’illuminazione non pò
cogliere la verità neanche di una cosa
Platone ha colto infinità della verità trascendente (sermo sapientiae), Aristotele ha ristabilito
il sermo scientiae, e lo Spirito Santo dà i due linguaggi come una cosa sola

4) la teologia speculativa
ma quindi cosa si fa lui della filosofia?
Quaestiones disputatae de mysterio Trinitatis, mostrano razionalità applicata alla
conoscenza della fede; la convergenza di conoscenza nella certezza razionale e
conoscenza nella fede è scandita in ogni quaestio dal confronto di due successivi articuli
secondo Bonaventura non possiamo cercare di dimostrare una verità (conoscono cosa vuol
dire dimostrare per Aristotele), ma la ragione deve mostrare la necessità degli argomenti che
sostengono- non dimostrano- il dogma trinitario: in questo si percepisce Anselmo
ripercorre l'unum argumentum anselmiano e lo riduce alla sua forma minimale: se Dio è
Dio, allora esiste, per lui è una evidenza assoluta
Dio è una realtà evidente (idea del francescano che si guarda attorno e vede dio)
il dogma trinitario, assunto come credibile, diventa intelligibile perché Dio si mostra come
causa unitaria e unificante di tutto ciò che deriva da lui
seconda questione: unità di Dio (il principio primo non può non essere uno, poi si mostra
compatibilità di unità e trinità)
terza: semplicità in Dio; quarta: infinità; quinta: eternità; sesta: immutabilità; settima:
necessità
nell’ottava questione ribadisce che ragione e fede sono in un circolo intelligibile, perché nel
credere e nell’intelligere si manifesta lo stesso principio divino (presenza conoscibile
nell’universo del medesimo divino che si rivela nel credere): pensare la fede è conoscerla, e
conoscere la fede non si può fare senza la fede
razionalmente possiamo dire che Dio è una primitas:
primalità di Dio=esistenza dell’essere che non si può pensare che non sai ciò che è
come si è esplicata in una trinitas? il suo essere primo si è articolato in un essere, che poi
diventa un essere qualcosa: In Dio essere ed essere qualcosa sono unitari (Avicenna:
essenza ed esistenza coincidono), e poi si presenta all’anima: oltre ad essere principio di
essere è anche principio di intelligenza, quindi la sua primitas è anche capacità produttiva

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tale produzione si attua nella perfezione della conoscenza del produrre in cui si riflette
l’amore per il produrre
conoscere Dio necessariamente è anche amarlo (francescano)
nella primalità divina si giustificano anche la altre proprietà divine (che compaiono nelle varie
questioni)
per il credente al libro della natura e a quello della scrittura si aggiunge il liber vitae, che è la
sintesi di perfezione di intelletto e perfezione di volontà, di intelletto e fede, rappresentata
dalla contemplazione affettiva promessa ai beati, ma che può realizzarsi già nel corso della
vita (vita francescana ha come scopo la realizzazione di questa vita veramente cristiana)

5) La reductio teologica della filosofia e l’itinerarium della teologia


ha modo di classificare in elenchi secondo numerologia
in un sermone per la festa dell’Epifania descrive novi gradini di risalita del sapere umano,
che corrispondono a nove scienze particolari, raggruppate in naturalis (fisica, meccanica,
matematica), rationalis (grammatica, logica, retorica), e moralis (politica, monastica ed
economica) (nelle Collationes accorpati in triadi secondo la divisione corrispondente in res,
signa, actiones)
sono schemi che mostrano come il sapere umano debba risalire verso la teologia, la filosofia
è il regno della dispersione, chi rimane in essa cade nelle tenebre
La riconduzione della arti alla teologia:
(re-ducere non è appunto ridurre ma ricondurre) ricondurre sapere umano a fonte di Cristo,
al suo fondamento, a quella luce che ci porta a conoscere
le scienze sono molte perché la luce divina diffondendosi produce vari riflessi nel
moltiplicarsi delle condizioni particolari in cui le creature la possono cogliere: ma tutte queste
luci provengono dalla stessa fonte, a cui deve risalire l’intelligenza dell’uomo
in questo percorso è supportato dalla manifestazione di tale Verità, prima nella natura e poi
nella scrittura
abbiamo una luce esteriore (studio arti meccaniche, per soddisfare i bisogni), poi luce
inferiore, quella dei cinque sensi (ci fa conoscere i corpi ma per comprenderli), poi quella
interiore della filosofia, poi quella superiore che approda alla verità della Scrittura
lo stesso cammino si trova ne L’itinerario della mente in Dio, dice di aver scritto dopo 33 anni
dall’illuminazione di san Francesco, di aver provato il transitus come momentaneo uscire
fuori di sè e provare un godimento contemplativo nella pace della verità
percorso in sei gradi, divisi in tre coppie, che corrispondono a tre livelli di conoscenza
corrispondenti a tre manifestazioni della luce (esteriore, interiore, superiore, viste dentro e
fuori di noi):
nel primo livello: primo grado è sensus, secondo grado imaginatio (Dio conosciuto come
vestigium, considerato extra nos)
nel secondo livello: terzo grado è ratio, quarto grado è l’intellectus (conoscenza di Dio come
imago, considerato intra nos)
nel terzo livello: quinto grado è intelligentia, sesto grado si dipana la visione della Trinità
(conoscenza di Dio come similitudo, considerato supra nos)
il settimo e ultimo grado è quello dell’eccesso mistico, un’estasi totale

TOMMASO D’AQUINO
D’Onofrio: posizione di Tommaso si può misurare in relazione alla domanda circa che cosa
sia la verità, e se equivalga sempre e solo alla conoscenza di Dio (l’anima in relazione a
certi aspetti coglie la verità senza necessitare del lume divino)

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il vero è sempre in relazione a qualcosa, consiste in una adaequatio rei et intellectus
(l’essere è nella cosa in modo tale da poter essere riconosciuto dall’intelletto), nessuna res è
in sè falsa
anche la teologia è vera se consente all’uomo di vedere con l’intelletto la cosa che è oggetto
della sue affermazioni
1) Magister in sacra pagina
il suo impianto teorico nasce dall’assimilazione dell’aristotelismo, che però è un aristotelismo
estremamente rigoroso, è l’autore che lo conosce meglio (dice che il Liber de causis non è di
Aristotele)
è convinto che al suo tempo non si possa essere filosofi autorevoli e autentici se non si è
assimilato l’aristotelismo
non si accontenta delle traduzioni latine, cerca sempre la più aggiornata
solo la continua ricerca di un miglior testo aristotelico permette alla filosofia di stare al passo
con i tempi:
percepito dai contemporanei come novus, originale nel senso di stravagante, non ha
accezione positiva
scrive molto bene, è chiaro e limpido, su molti temi non ha cambiato idea lungo il corso del
suo pensiero; questo lo rende anche facile da citare
per alcuni rappresenta il culmine dell'aristotelismo medievale
è stato un pensiero che ha suscitato enormi discussioni:
tre anni dopo la sua morte tre sue proposizioni sono oggetto di condanna dottrinale; il suo
non retrocedere di fronte alle difficoltà che l’aristotelismo poteva suscitare nella dottrina
cristiana ha creato problemi
i francescani accusano errori, inizia letteratura dei Correctoria, poi dei Corruptorium
correctoria (correzioni delle correzioni dai domenicani)

Nasce nel 1224/25 nel Lazio meridionale, a Roccasecca, presso una famiglia di conti, morto
per motivi di salute il 7 marzo 1274 all’abbazia di Fossanova
studia a Montecassino da oblato, ovvero da ragazzo proveniente da fuori
a 14 anni studia all'università di Napoli, inizia a leggere libri naturali
vuole diventare frate domenicano, i genitori non erano d’accordo, dopo essere stato riportato
a casa a forza, lì legge la Bibbia e le Sentenze
nel 1245 entra nel convento domenicano di Napoli, ma subito viene spedito a Parigi nello
studium domenicano (con il crescere delle istituzioni universitarie e dei vari ordini religiosi,
essi danno vita a scuole interne all’ordine, ovvero gli studia, che ricalcano l'ordinamento
universitario e si mettono anche in concorrenza con università della città): i domenicani
avevano percepito la sua intelligenza
gli viene consentito di studiare per tre anni le arti sia all'università sia a Saint-Jacques,
trattato come ragazzo prodigio a cui viene concessa l'abbreviazione degli studi
tra il 1248 e il 1252 ascolta Alberto Magno, lo segue anche a Colonia, inizia a redigere una
Tabula sull’Etica di Aristotele, ovvero un resoconto dei termini e delle parole importanti
i biografi dicono che un giorno a lezione Tommaso aveva posto una domanda penetrante e
Alberto aveva detto agli studenti: voi lo deridete e chiamate bue muto, ma presto il suo
muggito risuonerà ovunque
comincia a scrivere dei commenti e postille alla Bibbia (Geremia, Lamentazioni) di cui
abbiamo ancora gli autografi, i domenicani sono riusciti a salvare alcune opere autografe
la natura essenziale di tali annotazioni indica che forse si tratta di appunti per le lezioni

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quando invece nel 1256-57 diventa maestro, allora commenta la Bibbia più analiticamente,
tra cui il commento sul libro di Giobbe, che tratta il problema del male del mondo: Giobbe è il
giusto ingiustamente punito da Dio
commento ai Salmi, a Matteo, a Giovanni, alle Epistole paoline, una glossa continua sui
Vangeli (in cui propone selezione di brani dei Padri e di autori greci e latini, nota come
Catena aurea)
fin da questi primi lavori si mostra attento all’esegesi letterale (una solida conoscenza della
Scrittura è alla base della sua produzione, la lectio biblica è il fondamento della speculazione
teologica)
da subito si radica in un testo, tralasciando letture allegoriche e possibili sovrasensi:
il senso letterale è quello fondamentale, la Scrittura illumina l’intelligenza e orienta l’uomo
ma va letta per quella che è
nel Prologo del commento ai Salmi c’è l’applicazione dello schema aristotelico delle quattro
cause alla Scrittura: la materia della Scrittura è l’opera di salvezza di Cristo che viene
raccontata e poi trascritta, la causa efficiente è Dio, che ha ispirato la Bibbia, la causa finale
è l’elevazione dell’anima a Dio e la forma è quello che fa la differenza tra la Rivelazione e il
discorso teologico (la scrittura ha molti modi, esortativo, deprecativo ecc, mentre la scienza
teologica deve assumere un modo argomentativo)
ha già forte personalità
nel 1252 il padre generale dei domenicani chiede ad Alberto Magno se ha uno studente che
possa essere nominato baccelliere sentenziario a Parigi, egli nomina Tommaso, che però
all’epoca era troppo giovane ma la sua brillantezza supera le regole: inizia rapidamente la
carriera parigina, nel 1256 diventa maestro in sacra pagina, l’insegnamento rimane un
aspetto fondamentale
2) Sancti e philosophi
dal 1252 al 1256 per obblighi didattici scrive il Commento alle Sentenze: in esso già
compaiono molti elementi del suo pensiero, esplicita i fondamenti che poi non rivede ma
sviluppa (è anche vero che è morto solo 18 anni dopo)
colpisce la sistematicità e l’organicità della trattazione, e anche l’uso ampio di citazioni
filosofiche, cita Aristotele il doppio rispetto ad Agostino
cita anche i filosofi contemporanei, non per nome (scrive “quidam”), ma riusciamo a
ricostruire i riferimenti
reticolo di cultura e di sapere antico e nuovo, dialogo produttivo tra dottrina cristiana e
filosofia greca ed arabo-ebraica
organicità si radica nella ricostruzione che fa del senso globale che attribuisce alle sentenze
diviso in quattro libri: Dio, creazione, redenzione, sacramenti
per lui importante la connessione tra produzione trinitaria e opera redentrice e creatrice
divina: creazione delle creature come effetto generazione del Verbo, ritorno delle creature
come esito della processione dello Spirito
possiamo rileggere questa struttura alla luce dell’organizzazione neoplatonica: da principio
primo c’è discesa-creazione- e poi risalita con la redenzione e i sacramenti
sovrapposizione di dinamica di discensio e reditus ai quattro libri: conosce bene Avicenna,
per lui rimane una fonte importantissima
ampiezza di fonti filosofiche che va al di là anche del mondo latino
la ricerca della verità teologica non può prescindere dall’uso massiccio della filosofia, e da
una visione di essa come pensiero organico
i philosophi sono dunque una fonte legittimata di pensiero accanto ai sancti

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la filosofia ha una dignità di ricerca, e l’appropriazione di essa da parte della teologia non
deve ridursi ad un semplice uso episodico: questo perché la verità è organica, unitaria
nuova fondazione della metafisica: verità ricercate con la sola ragione naturale ma radicate
nell’accordo con l’altra verità; amando la verità la si cerca ovunque, ma bisogna accogliere
solo le manifestazioni oggettive ed universali
per essere autenticamente teologo, Tommaso pensa sia necessario essere autenticamente
metafisico
si contrappone a Bonaventura

3) I principi della metafisica: essere ed essenza


inizia produzione di trattati filosofici, mentre commenta le Sentenze scrive due opuscoli che
costituiscono un dittico
il primo è De principiis naturae:
rilettura di principi aristotelici in un lessico filosofico aggiornato: vuole spiegare ai suoi
contemporanei i fondamenti della fisica di Aristotele (esponendo punti fondamentali come
coppie materia-forma, atto-potenza, sostanza-accidente, i principi, le quattro cause per
ricondurre tutto all’efficacia del principio primissimo)
De ente et essentia
vuole spiegare i fondamenti della metafisica di Aristotele, aggiornati da un autore che cerca
di armonizzare ciò con l’impostazione cristiana e alla luce della metafisica aristotelica
il termine essenza in quel periodo (1252-54) è una specie di neologismo filosofico
esse significa essere
essentia è l’essità, il fatto di essere
lui si propone di spiegare che cosa vada inteso con questo termine
l’essentia è la verità di ciò che è, un sinonimo è anche natura in senso ontologico
che cos'è l’essenza di una cosa? è ciò che spiega la sua natura ontologica più vera; ciò che
si esprime nella definizione
da un lato c’è l’ente, dall’altro l’espressione definitoria che chiarisce i costituenti fondamentali
di quell’ente
un altro modo per chiamare l’essenza è quidditas, da quid, che cosa
dobbiamo ricordarci che l’essenza si dice di ciò che è, quindi di un ente (ente è ciò di cui si
predica con verità l’atto di essere, ossia che esiste ed è qualcosa), quindi dobbiamo
ricordarci che ci sono tanti modi in cui si dà l’essenza quanti sono i tipi di ente:
il modo fondamentale in cui si dà ciò che c’è è la sostanza, ma bisogna incominciare
distinguendo sostanze semplici e sostanze composte
le sostanze composte sono quelle costituite da una forma e da una materia, nel loro caso
l’essenza (spiegazione di ciò che è l’essere di quel sinolo), deve comprendere un riferimento
non solo alla forma, ma anche alla materia di tale sostanza
vecchio problema tipico di essenzialismo aristotelico: è metafisica del concreto ma la
spiegazione del tode ti non può prescindere dall’universale, c’è un forte versante
essenzialistico: com’è che ontologicamente dalla forma dell’uomo derivano individui singoli
tutti diversi gli uni dagli altri? è il problema del principio di individuazione
una risposta di Aristotele fornita in maniera aporetica è che il principio di determinazione è la
materia (la ragione per cui gli esseri umani sono differenti sta nella materia)
Tommaso compie un deciso avanzamento: il principio di individuazione è la materia signata
quantitate, la materia determinata nella quantità:
la materia che entra a costituire i singoli possiede diverse determinazioni quantitative,
empiricamente constatabili (non entra la materia come principio di indeterminazione)

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nell'essenza delle sostanze composte quindi deve esserci un riferimento non solo alla
materia intesa come principio metafisico di indeterminazione ma anche alla materia
determinata nella quantità
questo fa sì che l’essenza di Socrate sia essenza di qualcosa che è in atto
le sostanze semplici sono costituite soltanto da forma:
punto che non muoverà più, ovvero la critica all’ilemorfismo universale di Avicebron, non ha
senso pensare ad una materia spirituale
se le intelligenze separate (e anche l’anima) avessero una componente materiale, esse
sarebbero incapaci di cogliere l’universale-il connotato fondamentale nonchè il loro modo di
essere è la capacità intellettiva, che non può essere affetta da materia (come noi possiamo
coglierlo solo in seconda battuta, lo stesso accadrebbe a loro)
questo è un punto che vedrà sempre in contraddizione i domenicani con i francescani
sorge però un problema: sono semplici le intelligenze, ma è privo di materia e semplice
anche Dio, quindi escludere la presenza di materia spirituale ci impedisce di porre una
differenza tra esse e Dio, ma nel creazionismo cristiano le sostanze semplici non sono Dio,
sono sue creature (per Aristotele il problema non si dava, il MI è un'intelligenza,
sovraordinata rispetto alle altre)
sforzo di non contraddire la rivelazione ma nemmeno adottare una soluzione come quella di
Bonaventura
sostanze semplici sono tali rispetto alla materia, ma non in assoluto: l’unica assolutamente
semplice è quella di Dio
esse presentano una composizione, ovvero quella di essenza e di essere:
intelligenze angeliche ricevono comunque il loro essere (il fatto di esistere) da Dio e anche la
loro essenza è frutto di una creazione divina, mentre Dio ha il proprio essere per essenza,
non c’è una distinzione (è essere che realizza tutta la sua essenza in atto)
esse sono ciò che sono, hanno un’essenza, ed esistono, quindi hanno un essere effettivo:
queste due dimensioni sono distinte e date da Dio
lo stesso vale per l’anima, composta di essentia ed esse, che però, a differenza delle
intelligenze è individuata perché il suo atto di essere è predisposto a realizzare l’essenza
solo in unione con un corpo individuale (unione di anima e corpo individua non l’anima, ma
l’uomo)
ma se il principio di individuazione è la materia signata quantitate, com’è che possiamo
individuare gli angeli e distinguerli tra di loro? le intelligenze angeliche non si distinguono
come individui, ma come specie: ogni intelligenza angelica fa specie a sè, ogni specie di
angelo comprende uno e un solo individuo:
si determinano varie specie di intelligenze angeliche, che non sono individui perché non
hanno una materia che le determini
come far quadrare questo con la dottrina della Chiesa che venera i santi? dopo la sua morte
è un tema molto dibattuto
la dottrina di Tommaso vuole conciliare Aristotele con il cristianesimo, ma non fa quadrare il
cristianesimo con sè stesso, se non a patto di operare una sofisticazione concettuale
notevolissima
un altro problema di Tommaso riguarda l’anima umana: è una sostanza semplice, nel senso
di essere priva di materia, però si unisce ad un corpo
si limita a dire che l’individuazione dell’anima sta nella sua predisposizione ad andare ad
informare un determinato corpo
quando approfondisce il discorso psicologico, il mancato riconoscimento di un principio di
determinazione costituito dalla materia per quanto riguarda l’anima porta a complicanze

96
quindi l’essenza si dà di ogni ente, e ci sono sostanze semplici e composte
oltre alle sostanze nella realtà esistono anche gli accidenti:
anche l’accidente si definisce e deve avere dunque un’essenza
siccome l’accidente non si dà mai se non in unione con una sostanza, anche la sua essenza
deve comprendere un riferimento alla sostanza a cui esso inerisce
non ha un’essenza completa, ma incompleta, perché deve riferirsi a quella della sostanza,
che ne è il fondamento ontologico
composizione di sostanza e accidente come attualizzazioni diverse dell’essenza (possibilità
di essere) nell’esistenza (atto di essere), l’una compiuta e pienamente definibile- la
sostanza- l’altra imperfetta- l’accidente

4) Filosofia e teologia: dai commenti a Boezio alla Summa contra Gentiles


una svolta nella sua vita sono anni 1256-59: primo periodo di magistero parigino, scrive
opere molto importanti
si concentra nel commento di due degli Opuscula sacra di Boezio
nel commento al De trinitate un punto fondamentale riguarda lo statuto ontologico della
metafisica:
distingue, per la prima volta in modo così chiaro nel pensiero occidentale, la metafisica,
chiamata da Aristotele anche filosofia prima o theologia, dalla teologia più propriamente
detta (chiamata spesso sacra pagina o sacra doctrina, quindi un insegnamento che aderisce
alla Rivelazione):
distinte anche nella denominazione, la filosofia prima è competenza del filosofo, ha un suo
subiectum specifico che, come diceva Avicenna, è l’ente in quanto ente: tratta non Dio di per
sè (che come essere semplicissimo le sfugge, è inconoscibile alla filosofia aristotelica un
ente assolutamente semplice), ma può cogliere gli effetti del supremo principio della realtà,
ovvero gli enti creati, e indagandoli può cogliere la loro dipendenza dal principio primo
ha come oggetto ciò che deriva da Dio e questo rapporto di derivazione (studia le res
divinae come principio del suo subiectum, mentre la teologia cristiana ha come subiectum il
divino in sè): ecco perché la filosofia prima è aristotelicamente un sapere certo, indaga ciò
che è alla portata di un intelletto creato
Tommaso sta facendo un capovolgimento: la teologia può essere una scienza? si, non
perché è fondata sulla fede ma nonostante sia fondata sulla fede
è talmente aristotelico che a teologia sarà scienza nella misura in cui le è possibile
adeguarsi ai requisiti posti da Aristotele perché un sapere sia certo
da qui in avanti non c’è alcun dubbio: vuole costruire una teologia che si adegui allo
standard epistemologico della metafisica aristotelica, che certamente è una scienza: questo
è un elemento dirompente rispetto al suo tempo, sancisce la fine dell’impostazione
bonaventuriana (la teologia come determinatio distrahens però rende intelligibile il credibile)

due anni dopo, 1261, è ad Orvieto, in cui i domenicani avevano istituito uno studium (papa
urbano IV aveva posto temporaneamente lì la curia)
lì inizia a scrivere la Summa contra gentiles: sono i pagani, lo scopo è in linea di principio
apologetico, che di fatto scompare un po’ nella trama dell’opera
convincere chi appartiene ad altre confessioni religiose e consolidare chi già è cristiano (già
nel commento al De trinitate boeziano)
è costruita in modo da mostrare filosoficamente la necessità del dato rivelato
bisogna mostrare come la rivelazione sia necessaria secondo un ideale di sapere che è
quello aristotelico

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nella teologia la filosofia è importantissima e si può usare in tre modi:
- può mostrare i preambula fidei (anticipazioni della fede), ovvero la razionalità di
nozioni preliminari della teologia, ad esempio l’esistenza di Dio, che secondo lui si
può dare con le ragioni naturali (è un preambulum fidei, per credere in Dio prima
dobbiamo sapere che esiste, e lo dobbiamo sapere con ragionamenti di ordine
metafisico e di stampo aristotelico, perché quello è l’ideale di scientificità) questi
preambula sono il terreno sicuro su cui costruire la teologia
- può rendere note con similitudini le verità di fede, ad esempio le analogie trinitarie
che Agostino fa nel suo De trinitate, usare immagini analizzabili razionalmente
- mostrare che è falso ciò che viene detto contro la fede
che quadro emerge? ambito di ciò che è proprio della fede è distinto da quello della filosofia
la metafisica è la base su cui la teologia si può e deve costruire
la filosofia acquisisce una dignità ed un valore prima sconosciuti, è il modello a cui la
teologia si deve conformare, innanzitutto nel mostrare il corretto metodo di argomentazione
d’altronde essa è più limitata della teologia, che rimane sovraordinata
le conoscenze sensibili sono preamboli a quelle intelligibile, come la natura lo è alla grazia
perché la precede come condizione necessaria ma non sufficiente
le verità teologiche conoscibili con la filosofia sono precorritrici rispetto alla fede, e quindi
condivisibili da ogni intelletto umano, al di là del credo religioso
la grazia (sapere rivelato) non elimina la natura (sapere naturale), ma la perfeziona: è nella
teologia che la metafisica viene portata ai suoi esiti più alti
l’avvio dato dalla filosofia rende conto delle autentiche finalità della teologia, dato che la
perfezione non può compiersi se non su una imperfezione di partenza
la metafisica ha l’obbligo di dimostrare l’esistenza di Dio perché c’è la Rivelazione che dice
cosa bisogna cercare, ma è la filosofia che dice alla teologia come il risultato vada
argomentato
solo nel loro connubio la filosofia e la teologia danno il meglio di sè: solo con la teologia la
filosofia sa qual è l’altissimo compito che le spetta, e solo con la filosofia la teologia sa qual
è il rigorosissimo metodo che deve seguire
punto di equilibrio straordinario nello scambio di importanza
il sapiens nominato nelle prime pagine dell’opera è colui che indaga le cause prime della
verità, quindi il metafisico ed il teologo, ma anche il cristiano
la verità delle cose divine è duplice (non in sè, cioè ex parte Dei) nel modo in cui gli uomini
possono recepirla- ex parte cognitionis nostrae: c’è la verità dimostrata razionalmente e
quella a cui si giunge solo con la fede
nell’ultimo libro dell’opera la ragione cede il posto alla fede (per affrontare i misteri della
Rivelazione)
teologia che nasce dal miglior uso della filosofia è l’attività più perfetta, più sublime, più utile,
più gioconda

la dimostrazione dell’esistenza di Dio è appunto la prima verità dimostrabile razionalmente


(anticipa le 5 vie della Summa theologiae)
da questo in una catena dimostrativa derivano le altre condizioni della conoscibilità di Dio
il discorso rivelato e quello teologico possono parlare di Dio solo considerando una radicale
alterazione del valore semantico originario dei termini:
la predicazione teologica non può essere nè univoca nè equivoca, ma è sempre analogica
dottrina dell’analogia dell’essere

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per Tommaso l’analogia è una modalità di darsi dell’essere che si rifà a distinzione
aristotelica: ci sono termini univoci o sinonimi, che vogliono dire la stessa cosa; ci sono
termini equivoci, ovvero lo stesso termine vuole dire cose totalmente diverse
A. fa esempio del cane: è un animale ma è anche una costellazione
nel mezzo ci sono i termini analoghi, che come dice Aristotele hanno significazioni
parzialmente diverse ma che si riconducono ad unità-predico di cose distinte uno stesso
nome per motivi diversi ma riconducibili ad un fine semantico comune (fa l’esempio con
“sano”: è sano un cibo, è sana l’urina ed è sano un individuo: sono sani in modi diversi ma si
può ricondurre ad una stessa cosa: è sano ciò che genera salute)
Tommaso riprende la distinzione in ambito ontologico, legandola alla distinzione tra
sostanze semplici e composte
l’essere di Dio, l’essere delle sostanze semplici ma create e l’essere delle sostanze
composte, è essere non esattamente nello stesso senso: sono in un senso analogo,
parzialmente sovrapponibile e parzialmente differente
una delle grandi critiche che Duns Scoto muove a Tommaso
tutto il discorso sull’analogia tra denominazione divina e creaturale è uno strumento potente
dal punto di vista argomentativo: consente di usare termini per parlare di Dio in modo più
agevole

5) Tra Roma e Parigi, aristotelismo contro l’averroismo: angelologia e antropologia


nel 1265 va da Orvieto a Roma, presso un nuovo studium, scrive molte questioni disputate e
inizia un’opera estesa di commenti ad Aristotele
il teologo Tommaso sente l’esigenza di fondare tutte le assunzioni di principio, basate su
impostazione di pensiero di Aristotele, sulla conoscenza dettagliata di tutti i suoi testi
il D’Onofrio si concentra su quello al De anima, l’antropologia è stata la parte più discussa
dai suoi immediati successori
nel 1268 per un triennio si reca nuovamente a Parigi, dove conosce gli averroisti latini
(intelletto umano unico e separato, vanifica escatologia cristiana)
De unitate intellectus, 1270, critica tale posizione
queste riflessioni lo obbligano ad aggiornare quello che aveva detto nel De ente et essentia
l’anima umana è essenzialmente intelligente, ovvero è caratterizzata dalla funzione
intellettiva (Aristotele)
insiste nel dire che tale funzione è la funzione di un’anima che si serve di un corpo, anche
questo è molto aristotelico (anima è atto di un corpo che ha vita in potenza): l’anima si serve
di un corpo ma non è una funzione corporea
tra l’altro ci sono delle sostanze intelligenti prive di corpo, come gli angeli, appunto privi di
materia- se appaiono con forme corporee è solo per un’affezione della capacità
immaginativa degli uomini (ulteriore riprova che funzione intellettiva si esercita non nel corpo
ma tramite il corpo)
l’anima non ha bisogno del corpo per pensare (come non è corporeo l’universale, oggetto
delle operazioni intellettive)
quindi il fatto di essere un’anima intelligente risiede nella forma
il pensiero è una funzione formale dell’anima
l’anima, sostanza separata, pensa come sostanza incorporea, quindi è una forma
sussistente
il fatto che l’anima informi un corpo è un dato secondario, di per sè è una forma sussistente,
totalmente intellettiva ed incorruttibile, composta di essenza ed esistenza

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il carattere formale dipende dalla sua natura intellettiva, non dalla sua capacità di formare un
corpo (che non è causa ma conseguenza del suo essere forma)
perché ha bisogno di unirsi ad un corpo? proprio per il problema dell’individuazione
gli angeli non possono essere individuati, ma le anime sono anime individuali se si devono
salvare: e come possono essere individuali se non si uniscono ad una materia signate
quantitate?
non c’è un intelletto unico e separato per tutti, l’anima è separata e ha una funzione
intellettiva che prescinde dal corpo, ma si individua solo con le determinazioni materiali
poichè la conoscenza intellettuale è ciò che rende l’uomo uomo, se il principio intellettuale
fosse comune a tutti allora ci sarebbe un solo uomo
se l’uomo è individuo per il corpo, allora il principio deve risiedere in ogni individuo
la sua spiegazione sofisticata richiede la certezza che Aristotele sia lo standard migliore e
insuperabile a cui confermarsi
un’altra istanza molto forte (presente anche nell’io penso di Kant, quando parla di
appercezione trascendentale: io mi sento non come un pensiero al quale capita di usare un
corpo, ma come un individuo in cui funzione intellettiva e somatica fanno un tutt’uno):
unità del composto individuale umano
da un lato bisogna salvare la funzione intellettuale dell’anima, rendendola simile alle
intelligenze angeliche, ma anche il fatto che gli individui sono unici, coesi e unitari
lo si fa dicendo quello che aveva detto Aristotele: l’anima è l’unica forma sostanziale del
composto umano, ovvero non c’è un corpo che ha una forma a cui si aggiunge l’anima, che
è a sua volta una forma (questo viene detto dalla scuola francescana)
pensando diverse forme inerenti ad un’unica materia si cadrebbe il una contraddittoria
moltiplicazione di individualità in una sola sostanza individuale
le diverse facoltà dell’anima sono potenze di un’unica forma
per Aristotele la funzione intellettiva era corporea, ma per entrambi l’anima è unitaria nello
svolgere funzioni diverse (anima intellettiva comprende in sè quella vegetativa e sensitiva)
l’anima è tutta insieme tutta la forma di cui ha bisogno il corpo per avere un intelletto che
costituisce l’individuo
l’unione di anima e corpo avviene nel momento stesso del concepimento nel ventre materno
avendo esaltato l’immaterialità dell’anima, è difficile capire come possa fare un’unità con il
corpo
in un’impostazione del genere è chiaro che l’anima risorge, ma per un cristiano anche il
corpo deve risorgere
più innalziamo l’anima verso le sostanze angeliche, più ci è difficile spiegare che deve
risorgere anche il corpo
tensione tra istanza che porta l'anima a essere separata e istanza che deve dare al corpo
dignità per risorgere (la linea che dice che l’anima arriva in un corpo che ha la propria forma
semplifica in questo caso la questione)
l’immortalità dell’anima individuale è spiegabile partendo dalla capacità dell’intelligenza di
conoscere le forme astratte indipendentemente dalla rappresentazione corporea (quando si
separa dal corpo continua a conoscere traendo direttamente le species dal mondo
intelligibile)
ma dato che la perfezione dell’anima comprende anche la capacità di formare il corpo, allora
la separazione di anima e corpo è una condizione innaturale e non definitiva: antropologia
tomista raggiunge il vertice della coniugabilità di fede e ragione, dimostrando razionalmente
la necessità della resurrezione del corpo

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altra cosa importante: non c’è atto di volontà che non sia preceduto da un atto di
conoscenza
la volontà non è subordinata all’intelligenza, deve agire in modo conforme ad essa:
intelletto indica all’anima che cosa è bene, la volontà sceglie liberamente (può anche
scegliere qualcosa che l’intelletto non suggerisce)
la volontà è buona se nella sua libertà si conforma a quello che dice l’intelletto
non è un intellettualismo deterministico perché, anche se è l’intelletto l’ultima istanza per
valutare ciò che è bene, la volontà rimane libera (sarebbe assolutamente determinata nella
scelta solo se l’intelletto fosse in grado di presentarle il Sommo bene: nella vita eterna si
contempla oggetto perfettamente buono, che non si può non desiderare)

6) La Summa theologiae e la “teologia dell’Esodo”


l’accostamento dell’intelligenza alla fede non è privo di limiti: si vede bene con il caso limite
della creazione
nel 1271, contemporaneamente alla stesura della Summa theologiae, scrive il De aeternitate
mundi, opuscolo breve in cui porta alle estreme conseguenze la sua rivalutazione del
pensiero aristotelico
filosoficamente, cioè aristotelicamente parlando, per lui non abbiamo delle argomentazioni
che ci portino a credere che il mondo sia creato dal nulla ed eterno:
quello che vediamo nel mondo è che tutto ciò che viene all’essere deriva da qualcosa, quindi
la ragione naturale potrebbe dire il contrario (e se il movimento avesse avuto un inizio,
questo comporterebbe un inizio anche nel motore, che subirebbe un’alterazione nella sua
perfetta immutabilità)
ce lo dice la Rivelazione, e si tiene per certo il dato rivelato, ma non è dimostrabile
razionalmente
per i contemporanei non era accettabile che Aristotele diventasse un possibile alter ego
della rivelazione
Tommaso non vuole questo, per lui la grazia perfeziona la natura
più ribadisce quello che la filosofia può/non può fare, più, nella sua ottica, esalta il sapere
teologico di cui essa necessita, però dalle sue pagine questo fa fatica a trasparire
nella tensione tra il detto e il non detto si inserisce la confusione dopo la sua morte circa il
suo pensiero
secondo lui questo caso limite rinforza, non indebolisce, la sintesi di ragione e fede, perché
assicura ad entrambe distinzione e autonomia, la filosofia può esprimersi liberamente sul
suo ambito, ma non può negare affermazioni contrarie ai suoi risultati che scaturiscono dalla
fede
la verifica della convergenza tra fede e ragione significativa nella determinazione dei
preambula fidei, primo su tutti l’esistenza di Dio: tema delle prime quaestiones della Summa
iniziata nel 1265-64, nel periodo romano ha scritto la Prima pars, nel secondo periodo
parigino la Secunda (relazione tra creature e Dio, beatitudine, a Napoli la Tertia pars
(redenzione e grazia), rimasta incompiuta alla novantesima questione, poi completata
seguendo il progetto originale da discepoli e amici
risponde del tutto al programma indicato dal termine summa: esposizione completa,
esaustiva ma sintetica, dell’ambito di studio considerato
lo stile segue il procedimento della disputatio: pone quaestio, verifica obiezioni, formula la
responsio e replica punto per punto le obiezioni
esposizione sistematico-enciclopedica
nella seconda questione espone le cinque viae

101
Corbini sottolinea due aspetti importanti:
- argomentazioni a posteriori: partono da constatazione di ordine, finalità, movimento
nel mondo e risalgono alla causa di dati di realtà a partire dal postulato aristotelico
per cui non può esistere l’infinito in atto (infinito in potenza sono i numeri), quindi non
infinite cause attuali ma deve esserci una prima causa
- le 5 vie non hanno l’obiettivo di convincere: sono preambula fidei, non è con il
ragionamento che noi arriviamo a credere, lui mostra che pensare all’esistenza di Dio
per un'intelligenza informata dalla fede (la grazia) e costruita in modo aristotelico
(natura), non è contraddittorio
con la ragione mostra che è lecito pensare che Dio esiste, poi la fede non è un preambolo
Prima via: manifestior, la più evidente: via del motus
ogni cosa che si muove non può muoversi da sè, ma da qualcosa che è in atto (nulla,
riguardo a uno stesso divenire, può essere sia mosso che motore): serve un primo motore in
atto e mai in potenza
Seconda via: dalla ratio della causa efficiente
nessuna cosa può essere causa efficiente per sè stessa, altrimenti sarebbe anteriore a sè
stessa (impossibile): serve una causa efficiente prima- no infinito altrimenti non ci sarebbe
nè causa media nè causa ultima congiunta all’effetto
Terza via: dal possibile e dal necessario
se tutte le cose fossero possibili, allora ci può essere momento in cui non c’è nulla, ma
l’essere non nasce dal nulla, c’è qualcosa di necessario: deve essere necessario per sè e
non grazie ad altro (sennò regresso all’infinito), causa di necessità e possibilità di tutto il
resto
Quarta via: dai gradi delle cose
più e meno implicano un grado massimo
ciò che è massimo è causa dell’appartenere a un tale genere delle cose che vi
appartengono: l’ente massimo è causa dell’essere, come di ogni altra perfezione delle cose
Quinta via: dal governo delle cose
ogni cosa agisce in vista di un fine, nulla di casuale nell’universo, cose senza conoscenza
tendono ad un fine solo perché qualcuno intelligente le orienta a ciò
Dio primo è una potenza assoluta, motrice, ordinatrice di tutta la realtà
è sommamente semplice, è sempre
il presupposto è sempre che ogni discorso su Dio è di tipo analogico
nessun concetto formabile da ciò che è visibile può pretendere di esprimere in modo
esauriente ciò che è invisibile
si giunge alla cosiddetta “teologia dell’Esodo” tommasiana, in relazione al nome che si
attribuisce Dio stesso: “ego sum qui sum”
un essere puramente in atto non è una realizzazione di un’essenza distinta dall’essere, di
una divinità diversa dall’essere Dio: è un assoluto est
Qui est è il massimo nome di Dio:
- per il significato: indica l’essere stesso, e l’essere di Dio è la sua stessa essenza
- per la sua universalità: tutto ciò che è in Dio è in questo nome, gli altri nomi
aggiungono qualcosa rispetto al puro significato di Dio, delle determinazioni (è anche
commune, ovvero tra il nome e Dio non c’è alcuna differenza)
- esprime anche l’essere nel presente, e Dio non conosce nè passato nè futuro

7) La teologia come scienza


problema dello statuto scientifico della teologia

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è possibile una scienza del credibile? la sacra doctrina possiede le qualità che
caratterizzano un sapere scientifico?
già dal commento al De trinitate: la teologia è una scienza nella misura in cui si adegua ai
requisiti che Aristotele pone come propri di una scienza negli Analitici Secondi:
un sapere è scientifico se concerne verità universali, se può fondarsi su principi
immediatamente evidenti, e da questi costruisce i sillogismi apodittici
la teologia non ha principi immediatamente evidenti e per sè noti
nel suo indicare l’aristotelismo come modello supremo di sapere certo ha un problema
(per Alberto ha statuto scientifico, per Bonaventura è scienza affettiva)
sotto la prospettiva della scienza teologica, gli articoli di fede sono principi primi: la fede
produce proposizioni per sè note, anche se sono rese tali non da un’evidenza intrinseca
indotta dall’intelletto agente ma da un’evidenza estrinseca indotta dal lume divino
Aristotele parla di scienze subalternate o subalternate
teoria della subalternazione: subalterne sono le proposizioni che hanno il principio della
propria veridicità in proposizioni ad esse superiori
scienza in senso proprio è l’aritmetica, perfettamente deduttiva, si basa su principi evidenti e
certi
la musica no: si basa sui principi dell’aritmetica per applicarli ai suoni, posso dire che è certa
perché utilizza i principi evidenti dell’altra scienza, ma subordinata perché la sua certezza è
di secondo grado
ciò consente a Tommaso di dare una risposta al problema: la teologia può essere scientifica
non perché ha in sè dei principi evidenti, ma perché si riferisce a principi resi noti dalla luce
di una scienza superiore, che sono evidenti in un altro ambito del sapere, ovvero la scienza
che di Dio hanno gli angeli e i santi (che si trasmette agli uomini con la Rivelazione)
certezza di secondo grado ma in ogni caso affidabile
i non credenti rispetto al sapere teologico sono come gli ignoranti rispetto alle altre forme di
sapere
quello della teologia è un metodo artificialis, ossia adatto alla sua materia, ha procedimenti
peculiari, come le stratificazioni dei sensi scritturali
altra peculiarità: sembra trattare delle verità singolari, e sarebbe quindi in contrasto con la
scientificità che prevede un focus sull’universale: ma i dati singolari di cui tratta non sono
considerati in quanto tali, bensì come dati esemplari (gli esempi hanno valore universale)
è una scienza pratica, perché influisce sull’orientamento etico dell’uomo; ma è anche
speculativa, interessata alle realtà divine
è pratica e teoretica insieme, senza che ne venga compromessa l'unità, garantita tra l’altro
dal fatto che sia la sola a fondarsi sulla Rivelazione e ad avere come oggetto proprio tutto
ciò che è fondato sulla Rivelazione
di nuovo chiara la distinzione tra teologia cristiana e filosofica: hanno lo stesso subiectum,
ovvero Dio, ma si differenziano per la ratio formalis del rispettivo obiectum, ovvero i risultati
a cui pervengono di fatto nel corso della ricerca
il corpus delle dottrine elaborate dai teologi cristiani si può considerare l’obiectum della
teologia, progressive acquisizioni che non si esauriscono mai
la teologia mentre apprezza i propri traguardi riconosce i propri limiti, mentre percepisce
l’infinità del suo compito, ne ammette l’inesauribilità
deve essere disposta ad accettare le alterazioni delle leggi di natura: non deve dire come
possa accadere il miracolo, ma cosa accade (esempio con transustanziazione)

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la teologia nel confronto con la filosofia trova i criteri adatti per essere riconosciuta una
scienza; la filosofia nel confronto con la teologia vede chiariti i propri diritti, ma anche i propri
limiti di fronte ad una realtà superiore che non può essere fissata in modo definitorio

riepilogo dei punti molto discussi dopo di lui:


- totale negazione di ilemorfismo universale
- struttura e statuto ontologico dell’anima umana
- problema dell’aristotelismo come riferimento assoluto
- problemi relativi a rapporti tra metafisica e teologia
- problema della creazione nel tempo
la sintesi che compie tra Aristotele e la creazione ha un equilibrio che funziona
perfettamente per lui, ma al di fuori è molto discussa
il prosieguo del pensiero medievale può essere letto guardando alla ricezione della
discussione di queste raffinate e controverse dottrine di Tommaso

ENRICO DI GAND e i maestri secolari


anonimo sermone per l’Epifania: maestri secolari paragonati alle stelle, non dovrebbero
scontrarsi tra di loro
dalle polemiche in materia di predicazione e confessione ci si sposta anche su questioni
dottrinali
a) I fondamenti teologici del pensiero di Enrico di Gand
l’aristotelismo radicale si nutre della difficoltà di armonizzare una filosofia aristotelica sempre
meglio conosciuta con il dato rivelato
cogliamo, così come in Egidio Romano, il clima in cui si vuole ritrovare un’immediata
concordia tra i due ambiti
maestro secolare parigino morto nel 1293
alla base della sua elaborazione filosofica c’è il desiderio di mostrare ai suoi contemporanei
l’esistenza di un ordine epistemologico, su cui fondare la scientificità della teologia, diverso
da quello di Aristotele
poter avere un sapere solido, certo, aggiornato e consapevole dell’aristotelismo e delle
esigenze metodologiche che questo portava con sè, ma capace di coniugarsi in modo più
armonioso e semplice con il dato rivelato
si contrappone alla teoria tommasiana della teologia come scienza subalterna, e anche a
quella francescana della teologia come una sapientia contrapposta all’ambito scientifico
naturale
le deduzioni teologiche non hanno bisogno di formalismi argomentativi per essere certe:
l’attendibilità si fonda sulla loro appartenenza, evidente agli occhi del credente, ad un
pensiero che trova in sè stesso la propria giustificazione, perché è il pensiero con cui Dio
conosce se stesso e che ha comunicato all’uomo
in questo senso Dio è soggetto e oggetto della teologia: è Dio che sa e fa sapere ciò che di
lui deve essere conosciuto
vuole rendere la teologia più accessibile agli uomini, portare, con la Rivelazione, la
conoscenza che Dio ha di sè ad essere praticabile dalla mente umana

b) La composizione “intenzionale” dell’essere


deve chiarire la natura delle cose oggetto di scienza
grosso tema è quello sulla distinzione di essenza e di essere

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Tommaso: nelle sostanze semplici c’è composizione di essenza e di essere, è una
distinzione reale, cioè davvero per le sostanze spirituali un conto è esistere, un conto è
avere la natura che hanno (non è solo un nostro modo di vedere tali enti): lui la intendeva
come la distinzione tra due atti dell’agire divino che convergevano nel creare una singola
creatura, ma è invece intesa come quella tra due res all’interno di ogni sostanza semplice
anche Enrico interpreta Tommaso in questo modo e lo critica
intende la sua distinzione, troppo influenzata da Avicenna, come giustapposizione di due
res, una necessaria in sè, l’essenza, e l’altra possibile e derivata dall’essenza
se l’essenza è necessaria, Dio, che è somma essenza, allora è somma necessità, dunque il
mondo si ricondurrebbe ad un’assoluta necessità che si emana da Dio, e che priverebbe Dio
stesso di libertà nell’atto creativo
Tommaso cadrebbe dunque nel necessitarismo deterministico, che compromette sia la
libertà divina, sia la realtà delle res finite come tali, che hanno invece una loro dignità
ontologica
[porterebbe il mondo ad essere necessario: l’esistenza sarebbe possibile, l’essenza sarebbe
necessaria (in questa interpretazione di Enrico c’è l’esatto capovolgimento di quello che
aveva detto Avicenna, per il quale l’esistenza era necessaria e l'essenza possibile)]

al massimo si deve porre una distinzione intenzionale, ovvero concettuale: noi nel
pensiero possiamo distinguere due modi di essere, entrambi pieni ed autentici: l'essere di
Dio, che è in quanto è l’essere in sè, e l'essere delle creature, che è ciò che è in quanto Dio
ritiene giusto e conveniente che sia
le creature sono limitate ma in quanto creature il loro essere è pieno, sono ciò che Dio ha
voluto che quella creatura fosse: quindi non c’è l’essere necessario in Dio da cui derivano
esseri contingenti
la distinzione è posta dalla nostra mente
come cogliamo l’idea di Dio? è l’idea di qualcosa che esiste per il solo fatto di essere (deriva
da Anselmo)
la creatura invece è ciò cui l’essere conviene, è donato da Dio
l’essere non è univoco, aveva ragione Tommaso a distinguere diversi livelli di essere (in sè
di Dio, e quello dato a creature nel modo in cui a loro conviene):
le creature sono in virtù del creatore ma ciò non vuol dire che abbiano una composizione
reale, come, secondo Enrico, Tommaso avrebbe voluto dire
Dio infatti crea un ente indiviso, autonomo e distinto da tutto il resto per una “doppia
negazione” (di ogni differenza in sè stesso e di ogni identità con altro)
anche nella mente divina essenza ed esistenza sono due intentiones distinte (ammettere
esemplarismo vuol dire ammettere che Dio prima pensa all’essenza, poi porta ad atto
l’esistenza)
ridurre la distinzione di Tommaso a un modo di considerare l’atto creativo di Dio che dà
luogo a creatura indivisa e ad un suo essere derivato, ma non per questo incompiuto e
imperfetto

c) La dottrina della conoscenza e la illustratio specialis


il principio divino non è solo ratio essendi, ma anche ratio cognoscendi o intelligendi
dottrina della della illustratio specialis (idea che venga data una luce)
l’intelletto umano deve cogliere la verità delle cose, ma per giungere ad essa deve attingere
a nozioni non derivate dalla sensazione:

105
per certi versi è vero che il nostro pensiero richiede la presenza di una verità superiore per
cogliere la verità, ma non si tratta della dottrina dell’illuminazione che, originata da Agostino
e ripresa da Bonaventura, era diventata tipica della corrente francescana
è una capacità veritativa che Dio pone nella nostra facoltà conoscitiva, un orientamento a
priori che c’è nel nostro sapere, orientato appunto al vero e dunque al bene nell’agire (ciò è
concesso da Dio perché egli vuole il bene dell’uomo)
quindi non si riduce il sapere ai sensi e alla concretezza delle sostanze prime, ma nemmeno
si postula un’illuminazione divina di ogni nostro singolo atto conoscitivo
questa dottrina assicura la convergenza della nozione relativa alla cosa esistente,
proveniente dai sensi, e della nozione della sua essenza, proveniente da Dio: in altre parole
la coerenza tra le verità proposte dalle scienze e la legge eterna degli universali divini

d) La scienza teologica e la nuova epistemologia cristiana


tentativo di superare la subalternazione tommasiana si vede sull’idea della scientificità della
teologia di Enrico
noi siamo aperti ad una capacità di verità, questo ci spiega come mai possiamo indagare
anche Dio, che è superiore alle forze del nostro intelletto
lo specifico del sapere teologico è di poter indagare Dio perché Dio stesso ci orienta alla
possibilità di conoscerlo, grazie alla Rivelazione (sulla fede in essa si basa l’articolazione del
sapere teologico)
facendo convergere il dato scritturale acquisibile a posteriori con un elemento a priori della
nostra capacità di pensare, nel caso della teologia l’illustratio specialis ci mostra come
ragionando noi troviamo conferma della verità della Rivelazione
allora per Enrico non si tratta di distinguere la teologia come scienza e la teologia come
sapienza
la teologia è una scienza che ripercorre la via con cui Dio si è reso manifesto nel testo sacro
è una disciplina speculativa la cui perfezione non risiede nel rispetto dei canoni posti da
Aristotele, ma nella capacità che Dio pone in noi di cogliere la sua verità anche nel nostro
ragionare su di lui
nel caso della teologia la coerenza tra l’acquisizione nella mente umana e l’esemplarità della
mente divina è assolutamente certa
basata su questa superiorità, la teologia regola la inferiori acquisizioni di conoscenza
scientifica; ed è anche superiore alla fede stessa (con l’illustratio arricchisce il credere con
l'intelligere)
vale anche il percorso inverso: dalle altre scienze e dalla fede c’è la predisposizione a
risalire:
al vertice c’è la scienza di cui gode Dio, che dà verità al sapere umano, prima di tutto alla
teologia e, attraverso di essa, alla fede e alle altre scienze

Egidio Romano
nato nel 1243/47 e morto nel 1316
è autore prolifico e importante nella comunità universitaria parigina, da cui ad un certo punto
viene anche allontanato
molto noto all’epoca

106
da giovane entra nell’ordine degli Agostiniani, a due anni dalla sua fondazione, poi si reca a
Parigi e diventa il primo maestro di teologia dell’Ordine
alcuni interpretano il suo pensiero o come molto dipendente da Tommaso, o come in netta
contrapposizione con esso:
non tengono conto della originalità del suo pensiero
progetto culturale di Egidio: ritornare ad Agostino
bisogna moderare gli eccessi dell’aristotelismo a lui contemporaneo recuperando delle
istanze agostiniane, ma rese solide dall’apporto della ragione filosofica
innanzitutto bisogna tornare all’originaria convergenza di credere e pensare, l’aristotelismo
ha divaricato questi due ambiti, ma senza rinchiudersi nell’aspetto spirituale della teologia
per evitare di affrontare problemi filosofici rilevanti
la sua filosofia è un crocevia di:
- aristotelismo del suo tempo
- agostinismo
- neoplatonismo di Proclo con l’Elementatio theologica e del Liber de causis

accentua in senso realistico, verso un radicale ontologismo, la distinzione tommasiana di


essenza ed esistenza: è reale, sono due res, effetto entrambe della creazione, la cui unione
non produce un’effettiva unità, bensì una congiunzione per accidens
Dio nel creare connette l’esistenza alle essenze (Proclo: prima tra le cose create è l’essere)
accentua idea di essenza come potenzialità ed esistenza come attuazione di essa, ma
senza implicare che la prima sia autosufficiente, dunque necessaria
la conoscenza vera è l’espressione di un giudizio sulla composizione reale di essenza ed
esistenza in ogni essere: solo Dio conosce pienamente tale composizione, l’effettivo esistere
dell’essenza
l’uomo non coglie dunque la composizione effettiva, ma può coglierne diversi gradi di
manifestazione, corrispondenti alla pluralità di livelli di approccio cognitivo
è agostiniano nel considerare l’anima, ma media con Aristotele:
è articolata in molte facoltà, conosce dottrina di Avicenna dei sensi interni per spiegare come
dalla sensazione si possa giungere all’universale (Aristotele: giungo da varie esperienze
sensoriali al concetto universale, Avicenna aveva articolato la nostra sensazione in cinque
gradini di progressivo allontanamento dalla particolarità e dalle coordinate spazio temporali
dei singoli dati empirici)
le tre facoltà principali sono: vegetativa, sensitiva (senso comune, immaginazione, fantasia,
estimativa, memoria, virtù motiva), intellettiva (intelletto passivo e attivo, entrambi individuali)
l'anima è forma del corpo: la sua capacità conoscitiva è una sola, con gradi distinti, ogni
oggetto si dà uno e solo con la mia conoscenza, ma entrando in contatto con la mia anima
intellettiva si attualizza in aspetti diversi, considerati singolarmente
non serve un’illuminazione dall’alto, basta che l’oggetto entri in contatto con l’anima
l’anima colloca le forme diverse con cui l’oggetto si presenta in livelli diversi di chiarezza e
conoscenza: mediazione tra gnoseologia aristotelica e di agostino
la conoscenza è l’esito del riflettersi scalare nell’anima di diversi modi di essere dell’oggetto,
ogni atto conoscitivo ha a che fare con la stessa realtà, ma ne coglie diversi modi con cui
l’essenza si dà nell’esistenza
nè si arriva alla verità della cosa esistente nè ci sono presupposti aprioristici come per
Enrico

107
metafisica e teologia hanno per oggetto Dio (per la prima come causa universale, per la
senda come principio di salvezza e restaurazione dell’umanità), ma nessuna lo può
conoscere a pieno
la teologia non può avere come oggetto Dio, se egli è inconoscibile (mette in crisi tutto
l’impianto aristotelico della teologia secondo Tommaso)
anche i beati non possono cogliere la perfezione divina in tutti i suoi aspetti, a maggior
ragione non può farlo la conoscenza teologica
Dio è il fine irraggiungibile di un impulso di conoscenza e del desiderio della nostra anima
la teologia guida tale impulso:
è una disciplina affettiva, ovvero il suo scopo è un pensiero (parte speculativa) che
produce un’azione, entrambi orientati alla dilectio, all’amore di Dio
questo colloca la teologia ad un livello superiore rispetto alle altre scienze
anche se con l’intelletto possiamo cogliere Dio solo con le nostre possibilità, con l’amore alla
fine possiamo unirci a lui come pienamente

L’aristotelismo degli artistae e la condanna del 1277

a) Il dibattito e le condanne
dalla seconda metà del 1260 si moltiplicano gli interventi polemici contro i maestri delle arti
parigini che promuovevano teorie incompatibili con la Rivelazione
prime segnalazioni con lezioni sull’Etica Nicomachea con Alberto Magno nel 1250, poi
sempre con lui nel De unitate intellectus, fino a Tommaso e Bonaventura
il De unitate intellectus tommassiano forse aveva di mira le Quaestiones sul terzo libro del
de anima di Sigieri di Brabante (all’Università di Parigi sotto la nazione piccarda)
il vescovo di Parigi Stefano di Tampier, già maestro di teologia, nel 1270 condanna 13
proposizioni, ovvero ne proibisce l’insegnamento, chi lo fa è scomunicato perché insegna un
errore
queste 13 tesi sono organizzate in tre punti fondamentali:
- unicità dell’intelletto possibile per tutta la specie umana
- eternità del mondo
- possibilità di conseguire la perfetta felicità nella vita terrena (problema perché
esclude che dopo ci sia la beatitudine)
sono tesi di evidente matrice aristotelica
la prima è la dottrina che Alberto Magno attribuisce ad Averroè, per questo è diventato
tradizionale identificare gli autori che professano queste tesi come averroisti latini
la condanna risponde all’esigenza di porre un freno sia all'espansione delle prerogative della
filosofia, sia ai teologi che erano troppo concilianti (in più anche a risolvere altre questioni
aperte da tempo riguardanti la vita universitaria e l’autonomia dei docenti)
nel 1271 Sigieri è coinvolto in un tumulto: la nazione normanna lo propone come candidato
al posto dell’eletto Rettore Alberico di Reims: mostra volontà degli artistae di avere
autonomia
1272-73 Sigieri pubblica De anima intellectiva, modera le proprie posizioni
1276 proibite le lezioni in luoghi privati
le condanne sono ripetute da Stefano, su invito del papa Giovanni XXI, nel 1277 ma le tesi
condannate sono 219:
questo numero ci dice che il primo divieto era inefficace, e che la proliferazione di dottrine
considerate eterodosse era enorme; movimento di pensiero a Parigi che unisce Tommaso

108
con istanze aristoteliche del tempo pareva pericoloso (Stefano vuole che gli artisti
ricomincino a fare gli insegnanti di logica, ma ormai non si poteva più tornare a tale
situazione)
Stefano aveva istituito una commissione di 16 teologi (tra cui anche Enrico di Gand, non
sono necessariamente dei conservatori, ma dei teologi che vedevano nell’esasperazione
dell’aristotelismo una minaccia per teologia) che raccolgiessele le cedule, ovvero delle
schedine: le dottrine sbagliare o sospette erano state annotate e consegnate al vescovo, poi
trascritte in modo molto frettoloso, in un inventario disorganico privo di ordine interno
la condanna dichiarava come l’errore maggiore fosse quello di chi affermava la verità delle
dottrine secondo la filosofia, e la falsità secondo la fede, come se potessero esserci due
verità contraddittorie
la maggior parte delle tesi condannate si rifanno all’averroismo, altre esplicitamente anti
teologiche, altre aristoteliche (Dio non può fare più mondi), altre contrarie alla stessa
razionalità filosofica (più motori primi)

b) Il sistema di pensiero degli Aristotelici delle Arti


per quanto riguarda Sigieri e Boezio di Dacia (Danimarca), la condanna è stata efficace: il
primo fugge da Parigi, ad Orvieto viene ucciso da un clerico impazzito; opere sparite e
recuperate solo in epoca moderna
per quanto riguarda Tommaso, il suo coinvolgimento nelle condanne ha dato vita a
polemiche tra sostenitori, tendenzialmente domenicani, e detrattori, francescani (1343 punto
alla faccenda): impulso comunque era stato quello di superare Tommaso, non di prenderlo
come oro colato
è da Alberto Magno che abbiamo la prima chiara distinzione di ambiti tra filosofo e teologo,
ma con Tommaso la situazione diventa poco gestibile, e anche con la polemica che questo
aveva affrontato con Sigieri
Sigieri si concentra su terzo libro del De anima (insolito perché di norma si trattava tutto il
libro), parla dell’intelletto
l’intelletto non ha materia, dunque non ha individuazione: è unico per tutta la specie umana
Tommaso lo critica: il fatto che sia privo di materia non vuol dire che sia unico, è fatto per
essere individuale, altrimenti tutti penseremmo sempre la stessa cosa, sono tesi insostenibili
a livello gnoseologico
paradosso per cui Tommaso propone aristotelismo che viene recepito come pericoloso per
la Rivelazione e finisce nella condanna contro gli aristotelici radicali, ma molto più radicale di
lui all’inizio è Sigieri
poi egli, sensibile alle critiche di Tommaso, cerca di rimodulare la propria dottrina
cosa dice Sigieri?
Dio è causa prima, la cui unicità è garantita dall’unicità del suo effetto immediato, che è un
principio intelligibile, necessario, ovvero l’intelligenza inferiore
Dio infatti comunica la propria potenza alle cause seconde, che a loro volta comunicano il
movimento ad altre cause (ascendenza avicenniana) e tutte le intelligenze sono individuali
(immateriali e uniche nella loro specie) ma senza la composizione ontologica di cui parla
Tommaso
solo Dio è pura attualità, tutti gli altri esseri sono composti di potenza e atto
tutto ciò che accade nell’universo creato è un effetto necessario ma legato anche alla
contingenza, che nasce dei limiti della materia nel ricevere efficacemente le forme
anche la volontà umana è libera per la debolezza della capacità di giudizio proprie della
razionalità

109
l’anima è forma del corpo, ma il livello più alto che può raggiungere è quello della facoltà
vegetativa-sensitiva: l’anima intellettiva è l’ultima intelligenza separata e comprende intelletto
attivo e passivo
ammette poi che funzione intellettiva sia personale e individuale
Boezio di Dacia, esponente della corrente dei modistae, i grammatici speculativi (studiano
relazione tra leggi della metafisica e leggi della logica), in alcuni opuscoli teologici ci sono
elementi che finiscono nella condanna

c) la “doppia verità” e le distinzioni epistemologiche degli artistae


oggi definiamo Sigieri e Boezio come due aristotelici radicali:
- sappiamo che Averroè non ha detto che tutta la specie umana ha intelletto uguale
- ad averroismo latino si è associata la dottrina della doppia verità
questi due autori avrebbero sostenuto che in alcuni casi la Rivelazione dice la sua verità, e
che sia contraddittoria con quella della filosofia: piano di indagine razionale e quello del
discorso teologico a volte creano contraddizioni irrisolvibili (antinomie della ragion pura di
Kant):non è stato così, c’erano stati fraintendimenti
parlare di averroismo latino è riduttivo, di doppia verità proprio sbagliato
in nessuna pagina essi hanno affermato una coesistenza di verità contraddittorie, ovvero tesi
contrapposte su un medesimo tema asserite dalla fede (vere perché rivelate) e dalla ragione
(vere perché dimostrate); al massimo hanno rivendicato il diritto di seguire la indagini
razionali senza subordinare i risultati a criteri esterni alla scienza in questione

Sigieri dice esplicitamente di non essere in contrasto con la teologia cristiana: nella
questione sull’eternità del mondo, e anche nel De anima intellectiva, dice che si spinge fino
a dove arriva l’indagine razionale, procedendo secondo la via dei filosofi, ma il credente
ammette con la fede che il mondo ha avuto un inizio e che le anime intellettive sono tante
quante gli individui

Boezio, De aeternitate mundi:


parallelo tra l’errore “ereticale” di chi spinge la razionalità in temi che spettano solo alla fede,
e l’errore “filosofico” di chi non vuole accogliere dimostrazioni vere su cose indagate
legittimamente dalla ragione
vuole mostrare la concordia tra la fede e la ragione: diversa dal concordismo di Alberto e
Tommaso, qua si intende un’armonia tra diverse forme di conoscenza, sulla base di una
chiarificazione della distinzione degli ambiti di studio
insegna una cosa essenziale, riprendendo la distinzione che Aristotele introduce nell’elenco
di argomenti sofisitici tra verità simpliciter e verità secundum quid:
simpliciter significa assolutamente, senza dubbio, riguarda verità indiscutibili
secundum quid: in relazione a qualche cosa, verità vere in un certo ambito e dunque
discutibili
Aristotele, Analitici secondi: ogni disciplina si costituisce su due elementi, il subiectum e i
principi a partire da cui essa compie le sue deduzioni
le conclusioni di ogni scienza devono essere relative solo alla natura dell’oggetto che le è
peculiare, in quanto tale natura determina il metodo che essa segue
ogni disciplina essendo determinata da questi due elementi, è entro il suo ambito di sapere
assolutamente certa e porta a delle verità: ma è vero relativamente appunto a tale scienza
cambiando subiectum e principi ottengo un’altra verità, che non è per forza contraddittoria
con l'altra: nessuno deve pretendere di dire una verità assoluta

110
per essere in contraddizione, due affermazioni distinte devono appartenere al medesimo
ambito disciplinare:
non c’è una doppia verità, ma il riconoscimento di diversi ordini di verità
c’è una verità simpliciter, che è quella della Rivelazione, ma quando il filosofo ragiona
correttamente non arriva ad una verità contraria a quella della Rivelazione, si situa su un
piano diverso
per il filosofo il mondo è eterno, in esso si dà solo generazione da qualcosa di preesistente;
rispetto al suo oggetto ed alla metodologia questa è una verità, ma non vale in assoluto
perché vi è una verità che supera la natura:questo mostra con più chiarezza come Dio ha
fatto ciò che non siamo in grado di comprendere
è proprio da bravi filosofi che comprendiamo pienamente la grandezza di Dio
“nella fede molte cose non possono essere dimostrare razionalmente, e chi non crede in
esse è un eretico, chi cerca di conoscerle per vie razionali è uno sciocco”
il fedele deve concedere che le cause naturali vengano comprese per quello che sono,
proprio perché le verità della fede sono superiori alla necessità naturale, altrimenti non
dovrebbero essere oggetto del credere ma del scire: ma è evidente che la fede non è
scienza
vediamo come non sia assolutamente un promotore della doppia verità, ma anzi è la più
scaltrita affermazione del solito concordismo del medioevo
non è con gli aristotelici radicali che arriviamo alle verità dissonanti, al massimo si giunge a
verità che si danno in contemporanea
da epistemologia aristotelica il tradizionale concordismo si applica a una tematica infuocata
nell’attualità

tesi storiografica molto forte (anche in testi autorevoli): condanne del 1277 hanno contribuito
alla nascita della rivoluzione scientifica:
per andare contro al necessitarismo si condannano tesi secondo le quali Dio non avrebbe
potuto operare senza l'ausilio delle cause seconde (si insegnava dottrina in cui pareva che
cause seconde fossero necessarie per Dio ma in questo modo egli veniva limitato)
condanne del 1277: Dio può operare senza cause seconde perché è del tutto onnipotente
questo porta a proliferazione di esperimenti mentali:
cosa potrebbe fare Dio? (si pensa pure a come sarebbe mondo se dio non ci fosse)
Luca Bianchi studi importanti: un conto è fare esperimenti mentali, un conto è andare a
mettere in crisi l'aristotelismo: questo non lo fa nessuno, l’impianto tolemaico sottostà a tutte
queste produzioni letterarie un po’ bizzarre
condanne del 1277 non hanno fatto nascere la rivoluzione scientifica, che prima deve
vedere la morte della cosmologia aristotelica
tra l'altro qual era il peso della condanna di un vescovo? ovviamente era moralmente
rilevante, ma di fatto a livello giuridico investiva solamente la singola diocesi a cui era
applicata
qual è la vera posta in gioco delle condanne? la possibilità che si dia un pluralismo delle
verità, in Boezio di Dacia ancora subordinato alla verità assoluta della Rivelazione, altri
autori soluzioni ancora più eversive

RUGGERO BACONE
1214-1292
maestro delle arti a Parigi

111
francescano inglese, vi entra in età matura, simpatizza con la corrente degli spirituali, in
accordo con il carattere riformatore della sua filosofia:
dopo aver criticato radicalmente gli assunti fondamentali del sapere del suo tempo si può
passare a riformarlo
per un periodo ha l’appoggio di papa Clemente IV, nel 1266 lo esorta a comporre l’opera che
doveva essere l’espressione di questo suo progetto, lo Scriptum principale
rimane incompiuto, ne possediamo delle parti (Opus maius, Opus minus, Opus tertium)
entrando con i francescani è deluso dalla teologia scolastica che si trova a studiare, è un
sapere accademico, litigioso e capzioso
confrontando ciò che la conoscenza teologica dovrebbe essere con ciò che è, dà vita alla
famosa denuncia di sette errori capitali commessi dalla teologia del tuo tempo:
1. invasione del metodo aristotelico propugnato dai maestri delle Arti, che snatura la
teologia, affidandole dei problemi e criteri che semplicemente non le devono appartenere
2. la teologia ignora le Scritture e quello che serve a capirle, i teologi non conoscono più
l’ebraico ed il greco, le discipline matematiche e fisiche utili per capire molte cose: come
fanno ad arrivare ad un sapere che sia logicamente funzionante e vero?
3. ignoranza, limitatezza di conoscenze di maestri presuntuosi di teologia, la colpa è dei
grandi maestri (come Alessandro di Hales per i francescani e Alberto Magno da parte
domenicana), che hanno contribuito a snaturare il sapere teologico
4. non conoscendo più bene nè la natura nè la Scrittura, i teologi si limitano a leggere le
Sentenze del Lombardo, e non la bibbia
5. la Bibbia è stata tramandata in modo sbagliato, corrotto, e nessuno interviene perché
nessuno ne ha le competenze per farlo
6. nel leggere una Bibbia corrotta si confondono senso letterale e spirituale, in un’esegesi
sbagliata
7. la teologia è noiosa, non ha eloquenza e capacità espositiva che spieghi perché sarebbe
una disciplina importante

non sono gli unici errori, ci sono anche quelli della filosofia, su cui la teologia pensa di
potersi appoggiare:
1.dando troppo valore ad Aristotele, dà troppo peso all’astrazione, a quelle generalità che
non lasciano spazio alla realtà del particolare, bisogna volgersi al dato sensibile (precorre
esigenza della filosofia di conoscere la realtà su cui operare)
2. supposizione ingiustificata dell’esistenza degli universali di cui non possiamo sapere nulla,
gli esseri creati sono atomi unici e irripetibili, anche se non sviluppa una vera e propria
ontologia, dice che la realtà è composta da singolari
tutto ciò si accompagna a cattive abitudini filosofiche, come i tre principali offendicula
sapientiae (ostacoli per l’acquisizione del vero):
- falso principio di auctoritas, che serve a nascondere l’ignoranza
- comoda regola della traditio, legame troppo stretto con i grandi autori del passato,
che non permette ai filosofi di cercare soluzioni nuove ed alternative, indirizzandoli
invece verso la comodità del richiamo alle fonti autorevoli
- adesione ingenua alla communis opinio
una grande pars destruens, molto agguerrita
il pensiero medievale era arrivato ad un punto in cui effettivamente era difficile cogliere la
reale portata filosofica delle tesi che andasse al di là di una sterile polemica
problema ereditato dalla tradizione deve poter diventare molto meno rilevante solo già dal
fatto che la realtà del nostro modo di pensare smentisce l’importanza del problema stesso

112
(possiamo davvero pensare a intelletto separato unico guardando al nostro modo di
pensare?)
ottica che va alle cose stesse, sa la filosofia non lo fa non serve più
ammirazione per Roberto Grossatesta e quella che lui chiama scientia experimentalis,
ovvero basata sull’osservazione diretta:
il vero sapere deve basarsi sull’esperienza
la novità del concetto baconiano è che la filosofia deve servire ad operare sulla natura, sulla
realtà, per renderla migliore per l’uomo
quali sono le prerogative che la filosofia deve avere per diventare la scienza sperimentale
che ancora non è?
- deve essere intuitiva: partire da contestazione di stati di cose empiricamente
verificabili, non da leggi generali e postulati, dalla intuizione immediata di ciò che ho
davanti
- da qua procedimento induttivo (non deduttivo come quello aristotelico) con cui
arrivare a principi primi validi per tutta la natura
- essere autonoma dalle altre scienze, avendo in sè stessa i fondamenti della propria
verificabilità
il medioevo non recepisce molto questo
questo ideale di filosofia viene rintracciato da Bacone nella Epistola sul magnetismo di un
certo Pietro di Maricourt: è per lui un filosofo ideale, osserva trazione magnetica e scrive un
testo in cui la descrive e la traduce in capacità tecnica
Bacone nell’Epistola de secretis operibus artis profetizza utili strumenti per l'uomo
(immagina di poter costruire delle macchine per rendere il lavoro più leggero, o per viaggiare
negli abissi marini)
la realizzabilità pratica degli effetti della conoscenza è per lui segno della sua attendibilità e
anche il fine che giustifica gli sforzi compiuto per acquisirla: se una conoscenza è vera, ossia
basata sui principi della scientia experimentalis, allora aiuta a migliorare la vita dell’uomo
(avviando anche a salute eterna)
il metodo sperimentale (non nel senso galileiano!) deve appartenere in massimo grado
anche alla teologia, perché essa si deve basare sulla lettura della Scrittura, in ebraico ed in
greco
la teologia deve essere un sapere che spieghi la Scrittura, indichi al credente cosa ha voluto
dire Dio
dunque l’essere scienza sperimentale si applica a tutte le discipline, in quanto significa
partire dal concreto; poi certo con l’indagine naturale serve l’applicazione di strumenti
matematici
a partire dalla matematica si susseguono poi successive elaborazioni disciplinari della
conoscenza, a partire dall’ottica, ancor più degna di interesse per lui che per Grossatesta, in
cui si usano principi matematici per interpretare fenomeni naturali
unico a dare grande rilievo all’alchimia
rimanendo all’interno della distinzione aristotelica la scienza più alta non è la filosofia prima
ma l’etica, che ha un fine pratico, che è quello fondamentale, ci dice come fare per operare il
bene
questo si unisce con il discorso sulla teologia, perché un’etica onesta ci dice che non
possiamo essere felici senza redenzione, senza Dio, solo giungendo a lui abbiamo il culmine
del sapere
Dio ha reso sè stesso alla portata dell’uomo tramite la Rivelazione

113
la conoscenza che Dio ha del vero è la più intuitiva e diretta possibile, e la teologia, che con
la Rivelazione di radica su questa conoscenza divina, è allora la più compiuta forma di
scientia experimentalis
la fede, nella visione più fluida del sapere di Bacone, sostituisce la conoscenza sperimentale
quando questa è impossibile
in fondo ammira Anselmo, la fede come un’esperienza del vero, guardare alla verità rivelata
per coglierne la totalità in un unico atto immediato
è corretto chiamare la teologia sapientia (racchiude natura teologica-rivelata, e matematica,
in quanto esatta e perfettamente informativa del suo oggetto)
storia percorsa dal sapere antico: da Adamo Dio l’ha comunicata solo si Patriarchi, con
Mosè per iscritto, corrotta da filosofi come Ermete, poi rivelata di nuovo a Salomone e di
nuovo snaturata dai filosofi greci, latini e arabi, ed infine rivelazione cristiana
nella scrittura ricompreso tutto lo scibile umano, punto di partenza per la nuova sapienza
umana riformata
visione molto aperta e fluida del sapere legata all’esigenza di un rinnovamento radicale
non è un dismettere il sapere umanistico (la filologia è per lui fondamentale, progetta di
rivedere tutta la vulgata di San Girolamo)

GIOVANNI DUNS SCOTO


medievali chiamavano autori importanti con appellativo doctor, lui è il Doctor subtilis, il dottor
sottile, perché la sua filosofia è molto esigente e sofisticata per i lettori
in base al trattamento che egli fa della tradizione precedente ha avuto una risonanza
enorme dopo; scuola scotista (fino al 1600), spesso contrapposta a scuola tomista
non è in polemica con Tommaso, ma svolge in modo autonomo il proprio ragionamento e
arriva al capovolgimento delle sue posizioni: non critica esplicita ma nei fatti molto diversa
1265 nato circa, 1308 morto
studia a Parigi, insegna a Cambridge e Oxford, poi di nuovo a Parigi, poi alla fine a Colonia,
ma i dettagli della biografia sono ignoti
situazione tragica per i testi (ancora dibattiti sulla cronologia relativa, ricostruzione del
pensiero), la maggiore è l'Opus Oxoniense, o Ordinatio
ci sono direttrici del suo pensiero, con oscillazioni ancora molto vistose

a) Theologia in se e theologia in nobis


le sue opere sono essenzialmente di un teologo, interesse metafisico è in vista della teologia
Egidio Romano: se Dio è inconoscibile come fa ad essere l’oggetto della conoscenza
teologica?
qual è l’oggetto, ciò che deve indagare in linea di principio? la deitas sub ratione deitatis,
l’essere Dio dal punto di vista di Dio stesso, perché solo Dio nella sua perfezione ed infinità
può conoscere sè stesso
quindi ha senso dire che la teologia ha come oggetto Dio, ma ce l’avrebbe nel modo in cui
Dio si conosce
in linea di fatto nessun intelletto creato può conoscere Dio nella sua pienezza
quindi il subiectum può rimanere Dio, precisando però che quel subiectum in modo proprio
ed adeguato non è conoscibile dall’uomo, ma solo da Dio
bisogna distinguere tra:

114
- teologia in se, che per noi non ha una realtà effettiva, dato che è il sapere che Dio
ha di sè stesso, tuttavia ne abbiamo bisogno perché è ciò a cui deve tendere la
nostra teologia- la forma più alta di teologia è il sapere che Dio ha di sè
- teologia in nobis, è la conoscenza limitata che di Dio possiamo avere noi
siccome la nostra teologia è limitata, il suo subiectum non può essere la deitas sub ratione
deitatis, ma sarà il concetto finito che il nostro intelletto è in grado di formarsi sull’infinità di
Dio, che massimamente esprime la sua perfezione:tale è il concetto di ens infinitum, ente
infinito
noi possiamo pensare realmente di Dio che egli è inconoscibile in quanto infinito, allora il
concetto di ente infinito è valido per noi, è quello che nella sua limitatezza si avvicina di più
Dio
l’infinità è una modalità di essere che noi riconosciamo come propria in modo esclusivo della
divinità
tutto ciò che la nostra ragione nella teologia relativamente a noi può pensare di Dio deve
essere riconducibile al concetto di infinito:
tutto ciò che va compreso nel concetto dell’infinità deve essere perfetto, perché ogni
determinazione imperfetta comprometterebbe l'infinità di Dio, l’assolutezza del concetto di
ente infinito
allora se pensiamo come subiectum l’ente infinito, e questo come l’ente che contiene tutte le
perfezioni, allora possiamo costruire la teologia per noi, della cui verità siamo sicuri pur
consapevoli della sua limitatezza: esprime delle verità necessarie rispetto al divino
accetta argomento di Anselmo, il movimento ontologico è lo stesso
ma siccome noi non siamo Dio, dobbiamo distinguere le modalità in cui Dio è conoscibile per
noi e per sè
Dio conosce sè stesso in modo intuitivo, immediato e dunque certo
noi invece di Dio possiamo avere una conoscenza indiretta, ovvero astrattiva, che si basa su
ragionamenti fatti su qualcosa che non è immediatamente presente
per il credente la massima estensione della pensabilità dell’essere infinito si è realizzata
nella Sacra Scrittura
che rapporto c’è tra la teologia per noi e la fede? la fede si basa sulla Rivelazione, mentre la
teologia funziona per argomentazioni, dimostrazioni, è necessariamente vera e non può
contraddire il dato rivelato

b) Teologia e filosofia
che rapporto c’è tra la teologia per noi e la filosofia? che per lui diventa tra la teologia per noi
e la metafisica? (unico ambito di cui, per quello che sappiamo, si era occupato)
dice che è una controversia importante (l’opinione diffusa le considera scienze diverse per
condizioni conoscitive ma orientate al medesimo oggetto)
la metafisica indaga l’essere utilizzando i principi fondamentali della logica, immettendo in
esso dei rapporti necessari di causa ed effetto, considerando l’essere come tutto ciò che si
dà, la determinazione più generale di un ordine di realtà considerato come chiuso ed
assoluto
indaga quindi l’essere come suo unico orizzonte di realtà (come se Dio non ci fosse, guarda
a ciò che noi possiamo conoscere)
la teologia considera l’essere naturale come effetto di un essere superiore, sa che questa
origine, e allo stesso tempo fine, dell’essere creato è fuori dal mondo (un fine interno al
creato sarebbe esso stesso finito e rimanderebbe a fini ulteriori):

115
la metafisica considera l’essere come avente in sè il suo fine, la teologia considera l’essere
come avente fuori di sè il suo fine
il teologo deve conoscere la metafisica ma non arrestarsi ad essa, deve considerare il
rapporto con il creatore, sa che può comprendere per davvero lo stesso essere a cui si
rivolge il filosofo ma solo partendo dalla Rivelazione
la teologia per noi presuppone la Rivelazione come punto fondamentale
la Rivelazione è un’apertura che il nostro pensiero ha all’accettazione che tutto quello che
c’è nella realtà creata non è autonomo:
potentia oboedientialis, la capacità che abbiamo di obbedire al fatto che il creato può
essere indagato come se Dio non ci fosse, ma in noi possiamo capire che tale essere c’è
perché Dio l’ha creato
accettazione che c’è un livello superiore di realtà e di sapere

c) Lo statuto scientifico della teologia


quindi che disciplina è la teologia? per noi è lo studio di verità complesse tratte dalla
Rivelazione, cerca di comprendere razionalmente le frasi in essa contenute
alla base ci sono dei complexa, termine tecnico per indicare delle proposizioni costituite da
soggetto e predicato, espressi nella Rivelazione e analizzati dalle categorie della logica
l’intelletto umano può avere una conoscenza dei singoli termini, ma non del loro significato in
quanto proposizioni: sono le proposizioni, non i concetti, causa del condizionamento di
origine soprannaturale della conoscenza umana
la conoscenza umana non viene sminuita, ma innalzata al massimo grado di perfezione,
perché la Rivelazione le consente appunto di conoscere al di sopra delle rappresentazioni
che nascono dai dati sensibili
non è superiore alla metafisica per il metodo, ma perché l’origine del sapere che indaga è
superiore
tuttavia supera l’idea di Tommaso per cui la metafisica deve fornire dei preambula: i modi in
cui esse indagano Dio sono irriducibili, due cose diverse, la teologia indaga Dio in quanto si
è rivelato, la metafisica indaga l’essere a prescindere dal suo essere creato da Dio, quindi in
realtà non indaga nemmeno dio ma l’essere (o al limite ha oggetto Dio in quanto costui si dà
sul piano dell’essere che gli è proprio), al massimo può raggiungere un’accezione
generalissima e astratta dell’essere infinito
(ulteriore specificazione: teologia in nobis: Dio in quanto rivelato, teologia di angeli e dei
beati: dio è essere perfetto conoscibile per illuminazione)

allora la teologia non è una scienza: si può parlare di scienza se c’è un progresso, ma in
teologia non si passa da un’ignoranza ad una conoscenza, bensì si parte da tutto quello che
si sa e lo si analizza; e poi il chiarimento non sempre è di tipo sillogistico e deduttivo
la teologia in nobis non può essere una scienza nel senso degli Analitici secondi, però lo può
essere seguendo l’Etica Nicomachea, della virtù dianoetica:
sapere vero e certo contrapposto all’opinione, e comprendente le verità contingenti (non
logicamente necessarie, riguardanti la relazione tra Dio e le creature), come quelle della
Rivelazione
parte da principi contingenti, non necessari
allora meglio chiamarla sapienza
teologia aristotelica è un controsenso, non c’è proprio un motivo per costruirla, e non c’è
nessuna subalternazione o ruolo ancillare della metafisica, perché da nessuna verità
teologica si può far venir fuori una verità metafisica, ed allo stesso modo nessuna verità che

116
non sia di origine rivelata può incidere sulla verità della teologia; sono proprio due livelli
diversi (da una parte scientificità dell’ordine naturale, dall’altra la compiutezza
dell’acquisizione di verità legata alla realtà soprannaturale presentata dalla Rivelazione)
(poi è vero che a volte da cristiano la teologia orienta la metafisica)
nella teologia gli enunciati teorici hanno sempre un immediato corrispettivo pratico, dicono
sempre qualcosa sul nostro operare o sul nostro amore per Dio
la nostra teologia, che è conoscenza del fine ultimo a cui tende l’uomo, e quindi al sommo
bene, non ha una distinzione tra significato teorico e pratico degli enunciati: nel momento in
cui esprime la verità del bene, orienta verso di esso
anche in quanto ha come esito la salvezza risulta più sapienziale che scientifica
da qui inizia una teologia sempre meno filosofica e una filosofia sempre meno teologica: il
concordismo del medioevo inizia a vacillare
irriducibile autonomia di modi di considerare l’essere: impostazione che ha come
conseguenza un allontanamento da posizioni di Tommaso

d) Metafisica e ontologia: l’univocità dell’essere


collocare la teologia in nobis tra la fede e la visione beata restituisce alla filosofia validità e
autonomia
qual è l’oggetto della metafisica dunque? Quaestiones super Metaphysicam, nella storia
precedente ci sono due fondamentali impostazioni:
- Averroè: Dio come causa prima dell’universo
- Avicenna: l’ente in quanto ente
ovviamente predilige la seconda opzione
se volesse indagare Dio come causa prima, non indagherebbe più Dio come ente infinito,
ma, mettendo come contenuto del concetto di ente infinito l’idea di casualità, ricondurrebbe
Dio al mondo fisico, ed un dato fisico non è infinito (la causa è ciò che avviene nel mondo,
tutto subisce delle condizioni)
quello che dice Averroè impedisce alla metafisica di essere coerente e la subordina alle altre
scienze, come appunto la fisica
la metafisica lavora senza la fede, arriva ad un concetto di Dio, ma in un modo così astratto
che non c’entra nulla, arriverà all’idea di un primo principio, non del Dio della Rivelazione
ma allora il nostro intelletto in metafisica cosa coglie?
non coglie l’essenza:
perché una conoscenza sia certa deve avere un oggetto chiaro
il nostro pensiero deve avere un oggetto concreto, solo una realtà individuale può essere
nota immediatamente, e solo una conoscenza immediata può essere assolutamente certa
quindi il primo oggetto dell’intelletto è una realtà individuale (non la quiddità come per
Tommaso)
Scoto vuole che la metafisica conosca oggetto che le è immediatamente noto in ogni atto di
intellezione; e tutto ciò che è oggetto di intellezione include in sè la nozione di ente: l’essere
è coestensivo alla ragione: tutto ciò che la ragione può conoscere è essere e la ragione può
conoscere tutto ciò che è, dunque l’essere non può sfuggirle in alcuna manifestazione
l’essere univoco è quello oggetto della metafisica (ribadisce inutilità di renderla ancella
della teologia)
non ha senso allora l’analogia dell’essere di Tommaso:
l’analogia si coglie perché si conosce l’oggetto dell’analogia (se dico che ellisse è analoga
ad un cerchio, devo sapere cosa è il cerchio), quindi dovrei dire che l’essere creato è in
analogia rispetto all’essere di Dio, ma l'essere di Dio lo conosce solo Dio

117
di essere ce n’è uno solo: non significa che l’essere di Dio e l’essere della creatura siano
uguali (questo lo so con la Rivelazione), ma la mia capacità intellettiva non può andare oltre
a quell’unico concetto di essere (io con l’intelletto posso pensare Dio con l’unico concetto di
essere che ho, l’ente è univoco, quindi anche se dicessi che è analogo non capirei davvero
quello che sto dicendo perché solo Dio conosce il suo essere)
lui confina nell’ambito del rivelato il fatto che dio abbia un essere diverso dalle creature:
apre una nuova luce alla filosofia ma chiude al medioevo, per cui uno dei postulati
fondamentali era che l’essere di Dio fosse per noi conoscibile
l’essere univoco è dunque il concetto primo dell’intelletto, precede qualsiasi determinazione
che assume in quanto esistente, quindi qualsiasi differenziazione dei propri modi di
attuazione

e) L’essere infinito
nell’ambito di questo essere univoco è possibile mostrare la necessità del concetto di ente
infinito, che è il modo con cui noi concepiamo Dio (il modo che troviamo in noi per chiamare
il primo principio metafisico, ma non è un dato evidente)
si tratta di mostrare realmente che questo essere infinito esiste (se fosse una verità evidente
sarebbe indimostrabile)
delle dimostrazioni a posteriori starebbero al massimo nell’ambito fisico, e arriverebbero al
massimo ad una causa prima (che non per forza è infinita e coincide con il concetto che
abbiamo di Dio)
accetta l’idea anselmiana dell’esistenza come perfezione del contenuto dell’essere infinito
ma deve mostrare che l’ente infinito è pensabile senza contraddizione, allora è possibile, e
considerando razionalmente la sua possibilità vediamo la sua necessità
si tratta di una riarticolazione razionalistica dello stesso movimento di pensiero di Anselmo
nel Monologion
riproposto in varie opere con tre passaggi:
- l’essere infinito è pensabile: significa che è non contraddittorio, ovvero dall'infinità
derivano una serie di predicazioni positive (come l’immutabilità, l’essere eterno, non
avere confini, essere dappertutto), questo perché l’infinità implica tutte le perfezioni,
che si implicano a vicenda, e nel loro insieme ci dicono anche che l’ente infinito deve
essere intelligibile, immateriale
- se è pensabile, allora può esistere: possiamo pensare un essere infinito con questo
contenuto di pensiero come causa efficiente di tutto ciò che è (un oggetto finito è
pensabile come producibile, ma un processo causale inesauribile potrebbe non
risolversi nella sua esistenza), ma anche come fine di tutto ciò che c’è, e in terzo
luogo come somma perfezione di tutto ciò che è (esistenza di fini particolari-gradi di
perfezioni rimanda ad un fine ultimo-perfezione somma): come somma causa,
sommo fine, somma perfezione è possibile che esista
- visto che può esistere, deve necessariamente esistere: bisogna seguire una via
eminentiae; nell’intelletto troviamo determinazioni intelligibili che progressivamente
possiamo attribuire fino al massimo livello di astrazione; se questi intelligibili sono
pensati, arriviamo a quell’intelligibile che non solo possiamo pensare, ma che anche
è necessario: si arriva alla perfezione insuperabile che comprende in sè tutte le altre,
tra cui anche l’esistenza
non è del tutto una dimostrazione dell’esistenza di Dio
è la dimostrazione che la cosa più razionale che si può fare in ambito metafisico sia pensare
che Dio esiste

118
è saldamente radicato in Anselmo (precisazione che il quo maius cogitari nequit esiste se
può essere pensato senza contraddizione)

f) Il volontarismo divino e le sue conseguenze: realtà e conoscibilità dell’essere finito


da qua deriva un’accentuazione notevole della dimensione della volontà e della libertà della
volontà stessa, rispetto a Dio e all’uomo
l’essere infinito ha come proprio correlativo l’essere finito, tra le perfezioni ha anche quella di
poter volere qualsiasi cosa
crollano le gerarchie delle cause seconde
è la volontà di Dio che fa passare le cose finite da uno stato possibile nella mente divina ad
una collocazione effettiva nello spazio e nel tempo, dalla pensabilità nell’intelletto divino
(dove sono possibili come intelligibili), alla realtà storica (dove sono possibili come effetti di
un’infinita volontà)
può conferire l’essere a tutto
le idee non limitano ma orientano la libertà divina, che sceglie il bene e l’ordine per l’universo
facendoli essere tali proprio perché li sceglie
distinzione Pier damiani tra due legislazione fissate da Dio nell’universo: potenza assoluta di
Dio e potenza ordinata, che è l’onnipotenza di Dio posta nella realtà della creazione
posto tale ordine la stessa potenza ordinata deve conformarsi al principio di non
contraddizione: la causalità è garantita nella sua regolarità
Scoto esalta molto il fatto che questo ordinamento reale dipende dall’arbitrio di Dio, il reale
dipende dalla pura volontà divina
Dio avrebbe potuto volere diversamente, una volta che la sua potenza assoluta si è ordinata
abbiamo la garanzia che non venga sovvertita, ma in ogni caso è frutto di una volontà divina
totalmente libera
conseguenze di questo volontarismo radicale:
in ambito metafisico, in cui l’atto creativo è l’atto divino in fondo inspiegabile- non sappiamo
con le forze naturali perché Dio abbia scelto proprio questo ordine (il teologo può cercare dei
complexa nella Rivelazione), porta ad accentuare la struttura eminentemente individuale del
reale:
Dio crea individui, haec res, queste cose, perchè sono quello che sono? non lo sappiamo, il
fatto che un individuo sia diverso dall’altro può essere constatato, ma non spiegato
Scoto si richiama al fatto che ogni individuo ha un modo di essere specifico, una
determinazione che possiede solo lui: i seguaci di Scoto chiamano questo punto di vista la
haecceitas, ovvero la constatazione che l’ultima cosa che possiamo dire di un individuo è
che è questa cosa qui, ha una forma tutta sua, questa differenza individuale è conoscibile
non come corrispettivo dell’idea divina che l’ha prodotta, ma come oggetto di una percezione
intuitiva della singolarità
il principio di individuazione è formale, non materiale (diverso da Tommaso): è alla forma
(principio strutturale, individua l’atto di essere) che poi si adegua il sostrato materiale, non è
la materia a fare l’individuo nemmeno dal punto di vista delle determinazioni quantitative
conseguenza di tipo gnoseologico: se la realtà creata è fatta di individui formalmente
determinati dal fatto di essere quello che sono, la forma di conoscenza fondamentale è
quella intuitiva:
conoscenza di una cosa realmente esistente, si contrappone alla conoscenza astrattiva (che
coglie una natura comune a partire dagli individui)
se l’evidenza più efficace è quella dell’intuizione contingente, Scoto può formulare una
concezione della scienza diversa da quella aristotelica, orientata a una considerazione

119
intenzionale dei fenomeni, il cui oggetto sono le relazioni di compossibilità tra le cose,
espresse con proposizioni complesse sostenute nell’evidenza dall’intuizione
con la materia entrano in composizione tutte le forme possibili, per realizzare l’immediata
intuibilità della cosa singolare
tra gli elementi costitutivi di ogni cosa non c’è una distinzione reale, ma nemmeno solo
concettuale: c’è una distinzione formale

h) La volontà umana e la sua libertà


volontarismo divino a cui è sottoposta la creazione si riflette in una concezione della volontà
umana in cui la volontà, per agire bene, non deve agire conformemente all’intelletto
la volontà non è irrazionale, ma il criterio ultimo non ha a che fare con la ragione:
l’intelletto mi pone dinanzi, ad esempio, dieci beni: per Tommaso li presenta già in una
scala, specificando i beni finiti come più o meno buoni, mentre per Duns Scoto la
graduatoria è fatta dalla volontà, che sente qual è il bene migliore
può sbagliare, ma nel momento della scelta non dipende dall’intelletto
i beni saranno formalmente distinti, ed è la volontà di individuo unico e irripetibile a scegliere
quale sia il bene preferibile
etica dirompente, finisce un’epoca
è etica della volontà individuale, dell’arbitrio, non deve esserci un perché
il fatto che una cosa sia buona non è arbitrario, c’è un radicamento oggettivo, ma poi nella
scelta non c’è un criterio esterno che vincoli o riesca ad orientare il singolo
solo la Rivelazione, come guida l’intelligenza dalla conoscenza scientifica a quella teologica,
così guida la volontà nel suo perfezionamento, dal rispetto della legge naturale (basi ragione
pratica) a quello della legge divina, aiutando a scegliere tra i beni particolari, mostrando la
loro vicinanza maggiore o minore al sommo bene

GUGLIELMO DI OCKHAM
riprende molte intuizioni di Scoto portandole alle estreme conseguenze ma con una
chiarezza espositiva enorme (per questo spesso si dice che il medioevo finisce con lui e non
con Scoto, è più piacevole, comprensibile)
anche molte dottrine logiche, che sono raccontate come una novità, in realtà non lo sono (la
dottrina della suppositio era stata elaborata a metà del XII secolo da un gruppo di logici
chiamati terministi, lui la riprende ma la mette in una forma così chiara e persuasiva da far
iniziare una discussione su tale dottrina riferendosi ad Ockham)
la logica è lo strumento fecondissimo di tutte le arti, consolidandone i principi si può tornare
ad argomentare correttamente, restituire libertà alla mente: alla base della sua lettura c’è
l’idea della singolarità e semplicità del reale
è anche un filosofo originale, ma in ogni caso ha avuto la capacità di raccontare le novità
della filosofia in una maniera talmente limpida e lineare che pensavano le avesse inventate
lui
a) Il “Venerabilis inceptor”
nato nel 1280 a Ockham
venerabilis inceptor, venerabile iniziatore: della teologia: non è mai diventato maestro di
teologia
finisce di scrivere le opere filosofiche tra 1300-1320

120
commenti all’Organon, alla Fisica, Commento alle Sentenze (il primo libro è composto da lui
e chiamato Ordinatio, per distinguerlo dal resto, Reportatio, frutto degli appunti degli
studenti), sette Quodlibeta
Giovanni Lutterell, secolare tomista, denuncia delle dottrine pericolose (come la pretesa di
ricondurre il vero alla concretezza esistenziale delle cose, che compromette gli strumenti
interpretativi di alcuni dogmi, come per la transustanziazione)
una commissione indaga ben 56 articoli dai suoi scritti, G. scrive in sua difesa la Summa
logicae
ad Avignone incontra Michele da Cesena e altri esponenti della corrente degli Spirituali, si
converte alla causa della povertà apostolica
critica la presunzione della plenitudo potestatis del pontefice
fugge e si ritira a Pisa
muore nel 1347

b) La teoria della verità: notitia intuitiva e notitia abstractiva, termine incomplexum e


complexum proposizionale
la sua filosofia è radicalmente basata sulla logica, quella che era la disciplina propedeutica
nella Facoltà delle arti, e per lui è il fondamento del pensiero
assunto: la realtà è solo la realtà conoscibile, e la realtà conoscibile è solo la realtà concreta,
e quella concreta è solo singolare
non ha senso chiedersi se un universale è reale:
gli universali sono concetti, perché le cose sono singolari, lo dice in modo chiarissimo
lo studio della logica inizia con quello dei termini, sia perché costitutivi delle successive
proposizioni o dimostrazioni, sia perché, soprattutto, nel loro modo di significare si possono
cercare e verificare le condizioni di corrispondenza tra pensiero, linguaggio e realtà
se le cose del mondo sono solo entità concrete e singolari c’è una ricaduta sulla
conoscenza: quella fondamentale non è quella astrattiva ma quella intuitiva:
qua novità importante rispetto a Scoto:
per Scoto abbiamo una conoscenza intuitiva quando conosciamo un’entità concreta,
presente e reale
Ockham fa un ragionamento tipico di francescani: la conoscenza intuitiva si dà non solo di
entità concrete extra mentali, ma anche degli atti interiori, (posso avere conoscenza intuitiva
dei miei atti intellettivi e dei moti dell’anima); è una consapevolezza immediata e quindi certa
è intuitiva ogni apprensione semplice e immediata (ovvero atto di conoscenza unico che non
si articola in passaggi, in argomentazioni) mediante la quale si può sapere se una cosa (in
senso generico, può essere anche un piacere o un dolore) esiste o non esiste
comprendo immediatamente qualcosa come esistente o meno, e da qua posso formulare
giudizi veri di esistenza o non esistenza
tutte le volte in cui non possiedo l’evidenza che una cosa esista o meno, ho una conoscenza
astrattiva: è una conoscenza derivata, non si darebbe senza quella intuitiva, ma si può
produrre anche quando quella intuitiva non è immediatamente presente
la distinzione tra conoscenza intuitiva ed astrattiva non dipende da una diversità dell’oggetto
conosciuto, ma dalla loro modalità, il modo di cogliere l’oggetto da parte del soggetto
per far capire che la causa determinante del conoscere non è la presenza dell’oggetto dice,
con ipotesi paradossale, che dio potrebbe far cogliere all’intuizione un oggetto non esistente
con lui nasce trinomio intuizione-evidenza-certezza che si incontra poi in Cartesio (verità
evidenti quelle che ci si presentano come certe)

121
apprendo degli incomplexa (dati semplici, non sufficienti, da soli, a documentare l’esistenza
della res da essi significata), delle realtà, e posso formulare dei complexa, delle
proposizioni, che non richiedono soltanto apprensione:
ai complexa si rivolge il nostro assenso (posso chiedermi se sia vero o meno)
una conoscenza proposizionale è vera solo se è confermata dal riconoscimento intuitivo
della sua corrispondenza con la realtà esterna
sono vere:
- le proposizioni singolari necessarie, direttamente evidenti
- le proposizioni universali necessarie, che derivano da dati evidenti, come quelle
matematiche (partono da numeri)
- le proposizioni singolari contingenti (davanti a me c’è un computer)
le proposizioni universali contingenti, ovvero universali e non necessarie, non sappiamo se
siano vere: possiamo fare delle congetture senza pretendere che sia certo

c) La dottrina della suppositio e il nominalismo


è dottrina della significazione
Pietro Abelardo: universali sono dei sermones, locuzioni avverbiali che hanno significato,
che sarebbe l’immagine confusa che si è formata nella mia mente avendo visto
ripetutamente una stessa cosa
Ockham: principio di economia, il rasoio di Ockham (per quello che ne sappiamo il primo ad
averlo formulato è stato in realtà Enrico di Gand), ha varie formulazioni:
gli enti non vanno moltiplicati senza necessità: se tutto è singolare perché devo arrovellarmi
con universali? servono per comunicare, ma non devo fare battaglie sulla loro esistenza;
quando formulo un concetto universale non c’è bisogno che il suo significato sia
nell’immagine mentale che possiedo: gli universali sono solo termini, il significato di un
universale è la realtà individuale (non l’immagine di scatola)
l’immagine confusa di molte cose che ho nella mente, che poneva Abelardo come significato
dell’universale, per G. non serve a niente
i termini universali significano gli individui
ma nella concreta articolazione del linguaggio noi abbiamo le proposizioni
quando l’indagine sulla significazione riguarda le proposizioni, allora essa diventa una
faccenda contestuale: un singolo termine è legato al contesto della frase
la supposizione è l’indagine sul significato che ogni termine assume nel contesto concreto
della proposizione in cui è inserito
è una proprietà che però vale solo per i termini categorematici, ovvero quelli che hanno un
significato pieno e compiuto da soli, non per quelli sincategorematici, che sono in unione con
altri (ad esempio ogni, soltanto..) e non hanno un significato proprio
ci sono vari tipi di suppositiones, la cui articolazione è variabile: in area parigina ad esempio
si distingue tra supposizione naturale (caratterizza il termine anche quando non entra in una
proposizione), e supposizione formale (dipende solo dal contesto proposizionale)
l’impostazione di Ockham è più restrittiva:
la supposizione è la proprietà che un termine ha in una certa proposizione, e che gli
consente di stare al posto di qualcosa: al posto del singolare, ma qual è quel singolare?
tre forme di suppositio:
- materiale: il termine è posto in una proposizione in cui viene assunto nella sua
materialità di parola, che può essere grafica o vocale (ad esempio la grammatica la
usa, “scatola è un trisillabo”)

122
- semplice: il nome significa qualcosa di comune a ciò che è indicato dalla
supposizione personale (“scatola è un oggetto che contiene delle cose”, “tutti gli
animali con la proboscide sono mammiferi”, “l’uomo è una specie”), termine indica
caratteristiche comuni
- personale: per medievali il linguaggio ha avuto un’origine storica (Genesi: Adamo ha
dato i nomi), originario atto di impositio (fino a epoca carolingia tradizione
naturalistica maggiormente seguita, poi si pensa di più che sia atto arbitrario)
assumo un termine in supposizione personale quando lo uso per significare ciò che
si intendeva in quell’originario atto di imposizione
ci sono anche termini che hanno originariamente avuto un atto che li ha posti ad
indicare una generalità, come “animale”: se dico “animale è un essere vivente” sto
usando “animale” in supposizione personale

la metafisica tende a usare termini in supposizione semplice, per indicare delle generalità
quando il termine svolge una suppositio personalis (l’uomo è un animale), a esso
corrisponde qualcosa di reale, mentre quando svolge una suppositio simplex (l’uomo è una
specie), ad esso corrisponde sì qualcosa, ma mai una res, bensì semper un puro prodotto
del pensiero
l’universale è tale soltanto nell’anima, non corrisponde mai ad una realtà extramentale
esistente, ma quando, con la supposizione personale, si usa per indicare qualcosa fuori
dall’anima allora indica tutti gli individui concreti che rientrano nel significato del termine in
questione
per l’intelletto è evidente solo il singolare
il nominalismo, l’analisi dei termini e dei loro significati, è l’affermazione del primato
dell’individuo, si radica in un'ontologia del singolare, ma anche tale ontologia è supportata
da una concezione in cui il linguaggio è fatto di termini che significano e non di realtà
la novità è fondare una metafisica sulla struttura del linguaggio, una realtà singolare che si
esprime in linguaggio fatto di termini con un significato originale

d) Il primato dell’individualità e i “rasoi di Ockham”


l’analisi logica è lo strumento pratico che enuncia l’essere reale dell’individuo, che ci fa
conoscere l’opera di Dio come tale
si danno solo res singolari, con proprietà specifiche, contingenti, in un mondo che è solo uno
tra gli infiniti mondi che l’onnipotenza divina avrebbe potuto realizzare
l’immagine del rasoio indica il metodico riduzionismo concettuale, l’eliminazione di tutto ciò
che è superfluo
si tratta di due principi guida nella sua riformulazione del pensiero, che governano la sua
metafisica e teologia:
- principio dell’assolutezza incondizionata dell’onnipotenza divina
- principio dell’economia
discendono da un unico presupposto: l’assoluta libertà divina dei condizionamenti che
potrebbe voler porre la mente umana

e) La nuova concezione della scienza


rivalutazione di quello che si intende con sapere certo
la scienza non è più concepibile come adaequatio rei et intellectus, un sapere certamente
vero al modo di Aristotele

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la scienza è la formulazione di un discorso sulla verità delle proposizioni
che cos'è la verità? la verità è una proposizione vera, una proposizione che mi dice come
stanno le cose, dipende dalla relazione tra essa e lo stato di cose descritto in essa
la scienza non ha più statuto epistemologico diverso dalle altre forme di sapere, tutte
riguardano gli individui, semplicemente li guarda non solo come mutevoli ma come dotati di
relazioni tra di essi: è una scienza vera quando descrive le relazioni in modo corrispondente
allo stato di cose
la proposizione di cui si ha scienza riguarda solo i singolari e il loro effettuale modo di
essere: cosa rimane dell’epistemologia aristotelica?
Ockham vuole mantenere l’esigenza che ha portato A. a negare che si possa dare scienza
del particolare, e conferma che la scienza non concerne i singolari in quanto mutevoli, ma le
intenzioni dell’anima che suppongono per essi, ovvero gli universali che suppongono per i
particolari
in ogni caso è già chiaro che gli universali rimangono privi di consistenza ontologica,
intenzioni dell’anima la cui verità è riconducibile alle cose stesse
distingue tra scienze reali (come la fisica, basate su termini che suppongono per realtà
extramentali), e scienze mentali (come la logica, suppongono per concetti e altre intenzioni
della mente)
filosofia come una grande appendice della logica

f) La teologia come sapienza


verità certe possono emergere anche da un terzo ambito di conoscenza, quello della fede,
valido solo per il credente
dispute sulla scientificità della teologia sono inconsistenti
innanzitutto di sicuro la theologia in se non è una scienza (non possiamo avere evidenza di
qualcosa di totalmente altro rispetto alle nostre capacità conoscitive); e di quella dei beati
non possiamo dire nulla, solo al massimo che è possibile: esclusa l’opzione di Duns Scoto di
subalternare la scienza teologica umana a quella di Dio e dei beati
l’unica teologia possibile è la nostra, e la sua verità dipende esclusivamente dalla
Rivelazione
ma possiamo avere una conoscenza evidente dei fatti che hanno portato alla Rivelazione, o
principi logici in essa? no
le verità comunicate dalla Rivelazione non sono evidenti nè per sè, nè per una conoscenza
intuitiva, altrimenti, se fossero evidenti, la Rivelazione non servirebbe nemmeno (e
dovrebbero o almeno potrebbero essere ritenute tali anche da chi non crede)
principio di economia: Dio non può aver dato all’uomo come oggetto di fede qualcosa che
potrebbe essergli noto in modo evidente anche per un’altra via
dunque la teologia non è una scienza, è una forma di sapientia in senso debole
epistemologicamente
(non diventa maestro di teologia, la logica gli dava più certezza, presa sulla realtà)
l’unica solidità possibile è un continui riferimento alla Scrittura, ma non c’è certezza riguardo
a ciò che sta dietro di essa
tuttavia per il credente sono necessarie alcune conoscenze teologiche: posteriori al
riconoscimento dell’esistenza di Dio dato dalla fede, nascono da una percezione intuitiva di
quello che Dio deve essere, se esiste, e riguardano le proprietà divine essenziali (vere non
per una conoscenza dell’essenza divina ma per una rapportabilità con quello che la ragione
può cogliere di Dio)

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questo incremento ulteriore rispetto alla Rivelazione mostra che il sapere teologico è
composito, nasce dall’unione di molteplici forme di acquisizione di verità relative a Dio
il subiectum non è univoco: da un lato è Dio stesso, dall’altro un concetto che dice qualcosa
su Dio
ma la verità di tale sapienza è unitaria, la pluralità di attributi di Dio esprime la sua unica
essenza, e l’essenza divina esprima la indistinguibilità delle sue perfezioni (perfezione che
non è in Dio o di Dio, ma è Dio)
la più evidente delle verità teologiche è che Dio non è conoscibile

g) La libertà della fede


le articolazioni del pensiero scaturiscono dal fondamento scritturale
l’onnipotenza di Dio è il criterio supremo di valutazione nei confronti di ogni ulteriore verità
conoscibile dall’uomo
al radicalismo volontaristico in teologia segue un deciso volontarismo morale, che porta alle
estreme conseguenze quanto detto da Scoto riguardo all’incondizionabilità della volontà
la libertà della fede è alla basa dell’aspirazione di G. a purificare la Chiesa dai
condizionamenti terreni, e la religione dall’attaccamento ai beni particolari
è la libertà dell’uomo di realizzare i comandamenti di Cristo a legittimare la radicale povertà
francescana
nel momento in cui Cristo dice che il suo regno non è in questo mondo ma in un altro, è
giustificato anche il potere imperiale (che rispetti sempre la legge divina)
il potere pontificio non è di governo, ma di servizio, in quanto deve guidare verso la salvezza
anche nel progetto di rigenerazione della Chiesa vige il principio di economia, che abolisce
ogni cosa superflua e falsa

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