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amiamo un bene che è inferiore al Sommo Bene come se fosse il Sommo Bene: è
dunque nella volontà umana da ricercare il “principio” del male, in quanto essa può
scegliere liberamente di non dirigersi verso Dio. !
e) perchè l’uomo è libero?: Agostino si chiede inoltre perchè Dio abbia dato libertà
all’uomo e la sua risposta è che senza la libertà non sarebbe possibile azione retta
da parte dell’uomo. Ma come è compatibile ciò con la prescienza propria di Dio?
Agostino risponde che Dio prevede la nostra azione, ma la prevede come dovuta
alla nostra volontà. Dio prevede dunque la volontà come in nostro potere e pertanto
la sua prescienza non ci sottrae la libertà. !
!
Ricerca della verità e interiorità!
La conversione al cristianesimo non significa in Agostino abbandono della filosofia, ma
fiducia di poter proseguire l’indagine intellettuale con l’aiuto di Dio e la felicità risiede
nella sapienza, nel vivere in conformità alla ragione. LA SAPIENZA, secondo Agostino,
È CONSEGUIBILE, DIFFERENTEMENTE DA QUANTO PENSANO GLI SCETTICI.!
a) L’argomento vs lo scetticismo: nello scritto “Sul libero arbitrio” Agostino si interroga
sul fondamento della certezza: tu sai di esistere e di ciò non puoi dubitare, perchè
se tu non esistessi, non potresti neppure essere ingannato, compendiata nella
celeberrima frase “si fallor, sum”: se m’inganno, esisto e ho la certezza di esistere.
Ogni dubitare presuppone l’esistenza e la vita, dunque il dubbio scettico
sull’esistenza viene a dissolversi. Quest’argomentazione ha la peculiarità di cercare
la garanzia della verità e della certezza non nel mondo esteriore, bensì
nell’interiorità. !
b) la verità: entro di sè l’uomo ricava un nocciolo di verità, del quale non può
ulteriormente dubitare. La verità non è soltanto proprietà delle proposizioni, che
sono molte. Essa è una e immutabile, è la parola di Dio. Essa è eterna e continua a
sussistere anche nell’ipotesi che il mondo vada distrutto. !
c) il ruolo del linguaggio: Agostino si interroga anche sul ruolo del linguaggio che è
strumento per insegnare e ricordare. In seguito al peccato originale, tra Dio e l’uomo
si è creato un divario tale che potrà essere ricucibile soltanto attraverso la Parola di
Dio, che si è manifestata nella Sacra Scrittura attraverso le parole, che sono dei
segni. !
!
Illuminazione e dialogo con Dio!
!
a) verità vs anima: la verità è eterna, mentre l’anima umana è una sostanza immortale,
indipendente dal corpo, ma non eterna. !
b) Dove si trova la verità? La verità è qualcosa che l’anima trova dentro di sè; “Noli
foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas”. !
c) il ruolo dell’illuminazione: infatti ATTRAVERSO L’ILLUMINAZIONE, ossia l’irradiarsi
della parola divina, L’ANIMA VIENE CONDOTTA AL RAGGIUNGIMENTO DELLA
CONOSCENZA OGGETTIVA. Proprio grazie a questa luce interiore, l’anima può
recuperare, in un processo di reminiscenza, le verità immutabili, le cosiddette
“regole eterne” e, riprendendo la concezione platonica, Agostino mostra che le idee
esistono nel Logos come modelli della creazione delle cose. !
d) Dio e l’anima: Agostino si prefigge lo scopo di conoscere Dio e l’anima, ma la
ricerca di uno è indisgiungibile da quella dell’altro. Infatti si tratta di un itinerario che
conduce dall’anima a Dio. LA DIVINITÀ POSSIEDE LA VERITÀ E ILLUMINA GLI
UOMINI NELLA LORO RICERCA.!
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!
La predestinazione e la grazia!
a) vs la libertà del volere: progressivamente Agostino viene accentuando l’accusa di
superbia contro i filosofi, soprattutto stoici, ma anche platonici, che hanno preteso di
raggiungere la virtù e la felicità secondo le proprie forze. Secondo Agostino la
volontà umana non gode di completa libertà, rinnegando le sue posizioni precedenti
circa l’assoluta libertà della volontà. Infatti il peccato originale di Adamo ha
contaminato la natura umana e pertanto l’uomo non è in grado di redimersi da sè. !
b) l’incarnazione di Cristo e il ruolo della Chiesa: in questo senso è centrale
l’incarnazione di Cristo, da cui infatti dipende la redenzione degli uomini e la vera
felicità sarà possibile solo nella resurrezione finale. Nell’opera della redenzione, la
Chiesa svolge una funzione di mediazione tra l’uomo e Dio ed è una comunità
universale che deve accogliere anche i peccatori, differentemente dal
pelagianesimo che propugnava una comunità di eletti. La salvezza dell’uomo
dipende dalla grazia concessa da Dio. !
c) polemica vs pelagianesimo: Agostino s’impegna nella battaglia contro il
pelagianesimo. Pelagio sosteneva che il peccato di Adamo non avesse corrotto il
libero arbitro dell’uomo tanto che a suo avviso la perfezione sarebbe quindi
raggiungibile attraverso la realizzazione di opere buone, indipendentemente
dall’intercessione della grazia divina. Secondo Agostino invece la volontà deve
essere salvata dalla grazia di Dio per diventare libera dal peccato, in quanto l’uomo
non è libero di non peccare: libero è allora soltanto colui che è chiamato dalla grazia
divina alla vera libertà, che consiste nel sottomettersi al bene. La vita felice diventa
un bene indipendentemente dai meriti dell’uomo, perchè se così non fosse, Dio non
sarebbe chiamato in causa nella questione della salvezza. !
d) grazia e predestinazione: la dottrina della grazia è strettamente dipendente dalla
dottrina della predestinazione: è Dio infatti che stabilisce coloro che si salveranno e
coloro che saranno dannati. Tuttavia il singolo non è certo della sua salvezza o
meno. Ciò contribuisce a far assumere un atteggiamento combattivo, interpretando
ogni atto deliberato, da parte di Dio, di misericordia per l’eletto e di condanna per il
reprobo. !
!
Le due città e la storia!
1- Nello scrivere la città di Dio Agostino mira a mostrare la superiorità del cristianesimo
rispetto a tutte le altre forme di cultura puramente umane. 2- Al centro dell’opera vi è il
tema della provvidenza divina: è Dio che fa nascere e perire gli imperi; 3- Agostino
elabora una teologia della storia dove le vicende storiche dipendono dall’ordinamento
voluto da Dio e l’intero corso della storia può essere inteso come carico di significati, che
il credente potrà comprendere soltanto parzialmente. !
a) la visione lineare: Agostino ritiene che la storia abbia una durata limitata e che la
sua epoca sia ormai vicina alla fine. Infatti, al contrario della visione ciclica degli
stoici, la vicenda storica ha un andamento lineare, il quale sfocia in un evento finale
ultraterreno, che dà senso a tutto quanto precede. IL FILO ROSSO DELLA STORIA
È DATO DALLA LOTTA TRA IL BENE E IL MALE, CHE SI COSTITUISCONO IN
DUE REGNI. I due regni coesistono, intrecciati e confusi tra loro. Questa distinzione
si traduce in quella tra due città: la città di Dio e la città terrena. La prima è costituita
dagli uomini giusti, che vivono secondo lo spirito; la seconda dagli uomini ingiusti,
che vivono secondo la carne. L’appartenenza a ciascuna delle due città dipende
soltanto dalla grazia divina. !
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b) la città terrena: la città terrena non deve essere identificata con lo Stato, ma
piuttosto è quella che venera i falsi dei e non vive secondo i veri valori, dove agisce
la libido dominandi, il desiderio del potere che imprigiona gli uomini. Agostino
ravvisa in Caino il capostipite della città terrena. !
c) la città di Dio: la città di Dio è invece la Chiesa di quanti vivono secondo Dio. Non
coincide numericamente con tutti quanti fanno parte della Chiesa visibile; non a tutti,
infatti Dio elargisce la sua grazia. La Chiesa sarà di puri solo nel giorno del Giudizio
Universale e il cittadino del regno di Dio non potrà mai realizzare pienamente il
desiderio umano fondamentale: il desiderio di pace. Solo la resurrezione finale
apporterà la risoluzione di ogni tensione e di ogni conflitto, tra carne e spirito e tra
uomo e uomo. Il bene trionferà completamente soltanto alla scomparsa della storia,
“nel sabato che non ha sera”. !
!
1. Vera philosophia: la sintesi di fede e ragione !
D'Onofrio inizia la sua introduzione alla storia del pensiero medievale citando l'Omelia di
Giovanni Scoto Eriugena sul Prologo del quarto Vangelo. 1- In essa troviamo una lettura
dell'episodio biblico in cui alla notizia della resurrezione di Cristo Giovanni e Pietro
corrono entrambi verso il sepolcro: Giovanni è più giovane, e quindi corre più veloce di
Pietro, ma una volta arrivato al sepolcro si ferma e aspetta Pietro. 2- Giovanni
rappresenta l’intelligenza, mentre Pietro rappresenta la fede. E perciò, poichè è scritto
“se prima non avrete creduto, non potrete comprendere” è necessario che la fede
penetri per prima nel monumento della Scrittura, e che poi, seguendola, entri anche
l’intelletto, il cui accesso è reso possibile proprio dalla fede. La ragione naturale deve
essere attivata sia prima dell’atto di fede per giustificarlo, sia successivamente per
consolidarne i contenuti. !
a) I filosofi pagani: difatti i filosofi pagani, non avendo potuto conoscere la Verità, hanno
percepito con preoccupazione i ripetuti fallimenti delle proprie indagini e delle
contraddizioni sistematiche tra scuole; addirittura Cicerone, sulla scia degli Accademici,
apprese la necessità di assumere una posizione probabilistica, persuaso che il vero
fosse destinato a rimanerci oscuro, giungendo così a pensare che compito della filosofia
fosse solamente quello di escogitare norme pragmatiche per orientarsi nella società. Ma
una filosofia ridotta a mero supporto metodologico per l’orientamento pratico tradisce le
sue originarie intenzioni e le sue aspirazioni di verità, rimanendo dunque inautentica. !
b) La Vera Philosophia: la Vera Philosophia è per Agostino infatti solo quella dei cristiani,
i quali HANNO COMPRESO INNANZITUTTO QUALE SIA VERITÀ PER POI
CONSOLIDARLA CON GLI STRUMENTI DELLA RATIO, e a questo proposito Scoto
Eriugena scrive che “la vera philosophia è la vera religio, e che la vera religio è la vera
philosophia”, dato che la Verità è una e una sola, e che una vera religione e una vera
filosofia non possono che sostenere le medesime tesi. !
c) L’atto fondante dell’età medievale: L’atto fondante dell’età medievale si risolve nella
scelta di portare pregiudizialmente il pensiero ad aderire a una “parola” la cui
attendibilità è verificabile soltanto sulla base di quanto essa stessa afferma, e di
muovere di qui alla ricerca delle ulteriori conoscibilità possibili. La ragione speculativa
medievale conosce in partenza la propria meta, coincidente con la Rivelazione, ma è
suo compito 1) perseguirne la dimostrabilità, 2) approfondirne il significato ed 3)
evidenziarne le possibili conseguenze.!
!
2. Sana doctrina: l'oro degli Egiziani e la moneta del re
a) San Paolo: Quando san Paolo, secondo il racconto di Luca, incontra i saggi di Atene,
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nonostante l'ilarità che le sue parole producono negli uditori, si compe il primo innesto
della Rivelazione sulle tronche ricerche della scienza umana. E quando Paolo
raccomanda il consolidamento della fede in una “sana doctrina”, sta proponendo di
organizzare la comprensione del dato rivelato in una struttura disciplinare, il che
autorizza il cristiano ad attingere dagli insegnamenti della sapienza antica per
organizzare questa struttura disciplinare.!
b) Teologia cristiana e filosofia antica: 1) L’interdipendenza tra il cristianesimo e la
filosofia antica è reperibile sin dal prologo del Vangelo di Giovanni: Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ
λόγος. Lόγος è ciò che si identifica e si incarna nella Seconda Persona divina, Cristo, il
Figlio. 2) All’affinamento di questo nucleo concettuale hanno poi contribuito i predicatori
dei primi secoli, che si sono impadroniti del linguaggio filosofico per dialogare con gli
esponenti delle scuole pagane e controbatterne le accuse di ignoranza e superstizione.
3) Poi i protagonisti della tradizione speculativa patristica hanno fissato gli elementi
portanti della terminologia dogmatica di contro i vari tentativi di razionalizzazione eretica.
4) E ancora, davanti alla crisi dell'Impero il cristianesimo ha bisogno di fondarsi con
ancora più vigore per resistere in quanto comunità a fronte di un'invasione che sembra
in grado di cancellare ogni traccia di civiltà: i pensatori del tempo si trovarono dunque ad
attingere alle scuole antiche e a trarne gli insegnamenti più adatti allo scopo. Ciò in
alcuni casi portava al timore di preferire i classici al Vangelo (Girolamo sognò Cristo
stesso che lo rimproverava per questo). LA SCIENZA PAGANA VIENE DUNQUE VISTA
COME ANCILLA THEOLOGIAE, OVVERO COME SERVA DELLA VERA
CONOSCENZA. !
c) l’oro degli egiziani: Vi è un episodio biblico che ben rappresenta il rapporto tra scienza
pagana e cristianesimo: l’oro degli Egiziani rubato dagli Israeliti prima di partire per la
terra promessa allude al diritto da parte dei seguaci di Cristo di impadronirsi delle arti
pagane: dopo aver rubato l'oro agli Egiziani, chi usa tale ricchezza per soddisfare le
illecita aspirazioni conosctive della razionalità forgerà l’icona idolatrica del vitello d’oro,
mentre chi la purifica e la riversa nella vera sapienza per comprendere la Rivelazione
ubbidisce alla legge divina. Nell'ottica medievale, dunque, l'anteporre aspirazioni umane
al mistero della fede non potrà che condurre all'errore. !
d) la moneta del re + Boezio: I filosofi greci, secondo lo pseudo-Dionigi, credono di
possedere la moneta del re, ma non hanno invece nient’altro che un’ingannevole ombra.
A tal proposito Boezio, dal carcere, scrive la Consolatio Philosophiae, in cui la Filosofia
gli si presenta con il vestito lacero e logoro, dicendo che la colpa sarebbe dei piccoli
filosofi pagani, che, dopo averle strappato un pezzo del vestito, sono andati in giro per il
mondo sostenendo di essersi impadroniti di tutta la verità. Boezio era stato condannato
a morte da Teodorico, re degli Ostrogoti, per la sua ricerca della verità in termini
puramente filosofico-razionali, a scapito dunque della fede: egli riteneva di aver trovato
la chiave per la verità nella dottrina neoplatonica. !
e) l’obbiettivo del neoplatonismo e la gnoseologia di Proclo: la scuola neoplatonica, nata
a partire dalle Enneadi di Plotino, come strumento di opposizione alla nuova dilagante
religiosità, SI PROPONEVA DI ASSICURARE UN RITORNO DI AUTONOMIA E
STABILITÀ SULLA BASE DI UNA SINTESI CONCORDISTICA DELLE MIGLIORI
DOTTRINE ELABORATE DALLE GRANDI CORRENTI FILOSOFICHE DEL PASSATO,
gravitante intorno al nucleo dell’insegnamento metafisico di Platone. La gnoseologia di
Proclo, neoplatonico del V secolo, sarà importante per il pensiero medievale; la sua
dottrina riprende la tripartizione propria della dottrina gnoseologica platonica in aisthesis
(il senso empirico), diànoia (la ragione dialettica, che opera le distinzioni e le mediazioni
dell'intelletto) e nous (l'intelletto, capace di cogliere la verità mediante un'intuizione
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philosophi (la Bibbia e i Padri). Anche Cassiodoro, articolando le sue Institutiones in due
serie parallele di trattazioni sistematiche, separa gli ambiti in Institutiones divinarum
litterarum (la scienza della Rivelazione) e Institutiones humanarum (o saecularum)
litterarum, segue lo stesso principio. !
c) Agostino e le 7 arti liberales: è Agostino a testimoniare per primo l’avvenuto fissarsi
delle sette arti liberales, che si spostano in senso progressivo a partire dalle realtà più
visibili fino a quelle meno visibili, al vertice dei quali si colloca il definitivo possesso della
filosofia. Queste discipline ben presto si raggruppano in due parti, la prima delle quali
(trivio) è orientata alla comprensione e allo studio delle regole del linguaggio umano e
della sua capacità di esprimere il vero, mentre la seconda (quadrivio) riguarda la
descrizione rigorosamente quantitativa della struttura intima dell'esistente.!
d) Il trivio, l'insieme delle ars dicendi, si articola in:!
!
⁃ grammatica: lo studio delle norme che regolano l'uso della lingua latina e i fondamenti
del significato del linguaggio;!
⁃ logica (o dialettica): l'ars artium poiché ad essa spetta il fondamentale compito di
dettare le regole che servono a discernere il vero dal falso e che vengono utilizzate da
tutte le altre scienze;!
⁃ retorica: lo studio degli elementi formali che costituiscono il discorso atti a persuadere
l'ascoltatore o il lettore.!
!
e) Il quadrivio, invece, in quanto scienza della quantità, assume il ruolo che nell'antichità
era stato della fisica, ossia studiare l’armonia del creato. Si divide in:!
⁃ aritmetica: lo studio del numero in sé;!
⁃ astronomia: lo studio del numero nello spazio e nel tempo, cioè nel movimento.!
f) la tecnica della glossa: a partire dai classici di ogni disciplina (Donato e Prisciano per
la grammatica, Aristotele per la Logica, Cicerone per la retorica, Euclide per la geometria
e così via) si consolida la tecnica della glossa, ossia il commento al testo che, partendo
da una postilla a margine, può diventare esso stesso un testo. Si diffondono compendi
delle arti liberali, tra i quali quelli di Marziano Capella e di Isidoro di Siviglia. Le arti sono
infatti essenziali per comprendere il testo biblico, formato da parole, argomentazioni,
forme retoriche e costanti rimandi alla numerologia e all'ordinamento del mondo visibile. !
g) nascita della teologia: si avverte inoltre l'esigenza di sottoporre anche i testi teologici
alla stessa sistematizzazione riservata agli autori classici. La stessa dottrina dei Padri
viene antologizzata; accanto ai libri sacri troviamo una serie di commenti che formano
una lettura continua della Bibbia. Questa tendenza si sviluppa fino a quando, nel XII
secolo, si diffonde nelle scuole lo studio degli stessi autori che avevano commentato i
testi biblici: la disciplina che così viene a crearsi assume il nome di THEOLOGIA =
L’ELABORAZIONE METODOLOGICA DELLA CONOSCENZA DELLA FEDE. Il sapere
teologico svilupperà uno specifico oggetto d’indagine, nonchè un’accurata metodologia.!
h) i piani della teologia: sono diversi i piani su cui la teologia si articola: 1- il piano logico-
descrittivo, argomentativo, deduttivo e definitorio; 2- il piano della spiritualità interiore,
che coinvolge i fedeli tramite la preghiera e la liturgia in genere; 3- il piano
dell'espressione poetica, che tocca l'intimità emotiva dei fedeli; 4- il piano simbolico, in
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cui lo studio del testo è foriero di significati. Tutti questi piani non sono distinti gli uni
dagli altri, bensì coesistono e si intersecano.!
!
6. Regula sermonis e lex pulchritudinis. Dal molteplice all'unità: filosofia del
linguaggio ed estetica
!
a) Filastrio: nel Genesi troviamo il racconto della torre di Babele: in principio tutti gli
uomini comunicavano e si comprendevano reciprocamente, e solo dopo che la loro
arroganza li ebbe portati a innalzare la torre furono puniti con la moltiplicazione dei
linguaggi. Un vescovo italiano del IV secolo, Filastrio di Brescia, annovera in un
elenco di eresie coloro che interpretano quel racconto pensando che tutti gli uomini
parlassero una sola lingua. Filastrio sosteneva infatti che in origine fossimo in grado
di comprendere ogni lingua (senza con questo parlare tutti la stessa), dono divino
che ci venne poi negato dopo l'empietà babelica. Il motivo di questo allontanamento
di Filastrio nei confronti delle tesi più gettonate sarebbe da cercare nel contesto
geopolitico di un impero che si sfalda: affermare che già prima disponessimo di un
linguaggio unico porrebbe su un piano inferiore il ruolo della Chiesa nell'unificare i
popoli sotto la propria guida.!
b) La filosofia del linguaggio e l’unità linguistica: la filosofia del linguaggio più di altre
discipline si occupava, nel Medioevo, di avvicinare umano e divino, ovvero parole
umane e verità rivelata. In questo contesto, l'unità linguistica è fondamentale per la
diffusione del messaggio: da qui l'inammissibilità delle traduzioni della Bibbia in
lingue diverse dal greco e dal latino. Per quanto riguarda il greco, tradizione vuole
che settantadue traduttori abbiano lavorato in celle separate alla traduzione, per poi
constatare, al termine del lavoro, che le interpretazioni erano le medesime, opera
evidente dello Spirito Santo. Per quanto riguarda il latino, invece, ci si è basati sulla
traduzione di Girolamo. Latino e greco saranno le uniche due lingue ammesse nelle
funzioni istituzionali. !
c) le arti del trivio: le regole delle arti del trivio sono accolte non come strumentazioni
servili, bensì come riflesso della legislazione cosmica imposta dal Lògos, come
leggi eterne della natura e il compito del filosofo sarà quello di studiare il rapporto
tra res, intellectus e voces (condizionate materialmente e storicamente) per
comprendere quello tra ordo rerum, ordo idearum e ordo verborum. !
d) le parole come signa: le parole sono, per lo studioso medievale, i più efficaci signa
che conducono l’intelligenza alla comprensione delle verità immutabili. !
e) anche le immagini sono signa: ma è ogni opera della creazione divina a rimandare
al significato ultimo del Verbo: tutte le creature sono immagini di un esemplare, e tra
le creature l'uomo è la più privilegiata. Dunque dalla semantica delle parole,
l’organizzazione medievale del pensiero umano si estende spontaneamente alla
semantica delle COSE-IMMAGINI, RICONOSCIUTE TUTTE COME TRACCE
PORTANTI DI VERITÀ SUPERIORI. Mai come nella sapienza medievale la bellezza
è stata cercata e vista nel particolare, nell'oggetto, nella contemplazione del mondo
visto come ordine universale. La bellezza si nasconde dietro l’apparenza delle
superfici corporee. !
f) le leggi eterne della bellezza e il compito del filosofo: Nell’anima troviamo le eterne
leggi della bellezza di cui parla Agostino. Leggi, queste, che presiedono anche
all'armonia delle forme geometriche, dell'architettura, dei colori. IL FILOSOFO
MEDIEVALE DEVE FARSI “ARTISTA”, RICOMPORRE QUESTE LEGGI ETERNE.!
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g) Ambrogio: secondo Ambrogio la vera bellzza è essere ciò che si deve essere. Solo
in questa decenza, in questa appartenenza ordinata a un complesso, diventa
possibile ammirare “nella singolarità delle parti l’avvenenza misurata,
nell’insieme la piena convenienza della forma complessiva”. Una sola e
medesima è la legislazione primordiale che governa l’intima efficacia semantica
delle parole pensate e la godibile armonia delle forme visibili.!
!
7. Lex vitae, disciplina morum. La filosofia pratica nel Medioevo
!
a) definizione di giustizia: la giustizia, nel mondo medievale, è l'accordo del singolo con
l'ordinata armonia complessiva del cosmo. E l’ anima corrotta e deturpata dal
peccato, quando la volontà trasgredisce, torna ad apprezzare, con l'aiuto di Cristo
Redentore, il giusto ordinamento del mondo. !
b) il parallelo tra pagine e atti: la condotta morale è come un libro, di cui i singoli atti
sono le parole. Ruperto di Deutz propone proprio questo parallelo tra i giudizi morali
e le parole scritte di un testo quando afferma che “le coscienze saranno come dei
libri aperti”. E gli atti virtuosi saranno quelli che ricongiungeranno il visibile
all'invisibile, mentre quelli immorali saranno quelli che distoglieranno l'anima
dall'equilibrio delle realtà spirituali, facendola sprofondare nel turbine dei desideri
terreni. !
c) San Paolo + Agostino: Per il cristiano medievale, è il Vangelo a ricoprire il ruolo di
guida spirituale e di fonte di risposte. A tal proposito San Paolo ha scritto che Gesù
avrebbe portato al mondo una nuova “legge di ordine spirituale, portatrice di vita (lex
spiritus vitae)”, mentre Agostino ha scritto che “l'intera vita di Gesù è una disciplina
etica (disciplina morum)”. Questo non conduce ad un integralismo etico riguardo alla
vita activa, al contrario induce ad un approfondimento delle questioni etiche.!
d) influenza dell’etica degli antichi: la riflessione sulla vita pratica veniva attinta in
principio dagli autori di lingua latina, successivamente viene scoperta l’Etica
Nicomachea che viene utilizzata per affrontare con rigore i temi sollevati
dall'applicabilità dei precetti cristiani. La “vita beata” di cui parla Cicerone riguardo
all'uomo “probus”, ovvero colui che rispetta le leggi della propria comunità, in ambito
cristiano non può che coincidere con la “beatitudo”, la condizione di vita ultraterrena
eternamente felice riservata agli uomini retti. La risposta certa delle promesse della
fede coincide con l'esito finale dell'impegno morale dei filosofi. La Rivelazione se da
un lato ha esplicitato i segreti della natura, dall’altro ha fissato in comandamenti
rigorosi gli orientamenti etici della sapienza pagana. !
e) conoscenza di sè stessi: inoltre conoscere se stessi, precetto tanto importante per
la filosofia antica, nell’universo medievale acquista il significato di conoscere il
proprio posto nel creato e il fine per cui Dio ha voluto crearci. !
f) struttura ascensionale: La moralità ha una funzione ascensionale, che riflette in
ambito pratico la struttura gerarchica dell’universo medievale. L’ascesa è garantita
da una condotta morale che orienti la coscienza alla contemplazione del Bene:
questa condotta è costituita a partire dal rispetto delle leggi naturali fino al rispetto
delle volontà divine presenti nella Rivelazione, entrambi dettati da un desiderio
insopprimibile di santità. !
g) le virtù: all’interno di questo sistema ascensionale, è decisivo il ruolo delle virtù,
disposte in una completa scala armonica necessaria all'uomo per la realizzazione
della propria natura (quid est) e quindi del compito per cui è stato creato (ad quid
factus est). Nel Medioevo sono comparsi numerosi scritti in cui si propone un elenco
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delle virtù a stampo porfiriano, cioè ad albero, disposte in una scala di valori.
Questo lavoro conduce i pensatori a raggruppare le virtù nello schema platonico, già
noto ai Padri, delle quattro virtù a cui tutte le altre si rifanno: prudenza, temperanza,
giustizia, fortezza. !
h) l’ambito politico: ma il perseguire l’unità e il Bene non è soltanto prerogativa del
singolo individuo. Infatti questa ricomposizione all’unitarietà del Bene ha orientato
anche gli ideali politici del mondo medievale. Vi è una costante aspirazione ad
attuare sulla terra, mediante la realizzazione di unanimitas dei fini, la pace ideale
che regna nei cieli, così che la societas medievale è globalmente avviata al
superamento del modello dualistico di una città dell’uomo contrapposta per interessi
e finalità all’inalterabile perfezione della città di Dio. Si può concludere affermando
che l’amare in Dio gli altri esseri umani e negli altri esseri umani Dio è la regula
aurea della sapienza pratica medievale. !
!
Boezio e la sapientia!
!
a) obbiettivo: Il programma filosofico di Severino Boezio (giustiziato da Teodorico nel
524/525 d. C. ca.) consisteva nel tracciare un percorso completo della filosofia a lui
precedente, in ogni sua articolazione, dalla logica alla metafisica. L'obbiettivo che si
era infatti prefissato (come leggiamo nel secondo commento al De interpretatione di
Aristotele) era di tradurre tutte le opere platoniche e aristoteliche e mostrare in
maniera inequivocabile che le loro teorie, contrariamente a quanto sostenuto dai
più, mostrassero una sostanziale concordia di fondo. Progetto, questo, non inedito:
già i neoplatonici e i cristiani influenzati dal neoplatonismo (fino ad Agostino)
avevano tentato di mostrare l'inconsistenza di un contrasto tra i due filosofi. Per
Boezio, invece, il progetto ha una portata decisamente più ampia, in quanto si
inserisce nel recupero dell'intero patrimonio filosofico: ricostruire il possesso di una
sapientia non frammentaria e certa, significa contrastare la perdita di certezze che il
contesto storico causava. !
b) Consolatio philosophiae: Nella Consolatio Philosophiae Boezio racconta di aver
ricevuto in visita la stessa Filosofia personificata: una donna con un vestito
meraviglioso, ornato con una scala (che fa riferimento alla gerarchia delle scienze)
ma con alcuni lembi strappati da coloro che, tentando di trascinarla con sé,
pensavano di entrare così in possesso di tutta la Verità. Dopo aver cacciato le
Muse, false consolatrici, poiché l'arte non può fornire un vero conforto, la Filosofia si
siede accanto al suo discepolo. ELLA NON È UNA FILOSOFIA, MA È LA VERA
FILOSOFIA, una sapienza unitaria ed indistruttibile, come la veste (ossia la Verità)
di cui si ammanta la Filosofia.!
c) differenziazione delle discipline: le opere giovanili di Boezio, pur essendo
scarsamente originali, lasciano intravedere quello che sarà il contenuto delle opere
della maturità: il comune esito delle ricerche filosofico-scientifiche è sì il
raggiungimento della Verità, ma comunque seguendo sempre i percorsi propri di
ogni disciplina. Le singole scientiae descrivono i diversi percorsi che conducono la
mente ad accostarsi alla Verità.!
d) la logica: ma di incalcolabile valore sono gli scritti sulla logica. Partendo dalla
traduzione dell'Organon e arrivando a testi propri sul sillogismo, la logica boeziana
ha avuto un'influenza immensa nella storia del pensiero medievale, oltre ad essere
stata l'unico ambito in cui il progetto di riconciliazione filosofica tra Platone e
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Aristotele abbia avuto compimento. Essa propone una sintesi di logica aristotelica,
logica stoica e logica neoplatonica. !
e) gli universali: La concezione della conoscenza vera come ascesa dalle apparenze
sensibili all’immutabilità dei principi eterni guida Boezio nell’affrontare la domanda
sulla natura di queste essenze primordiali. Egli introduce così le nozioni filosofiche
fondamentali che poi saranno chiamate nel XII secolo universali. Secondo Boezio,
LA VERA COMPRENSIONE DELLA REALTÀ IN SÈ È SEMPRE UN SAPERE DI
ORDINE TEOLOGICO: infatti eterna e immutabile è la natura delle cose, perseguita
da ogni ricerca umana nei diversi ambiti della loro manifestazione alla mente creata.!
f) gli opuscola sacra, il 3 (la bontà delle creature) e l’1 (metodo teologico): i dubbi
sull’adesione di Boezio al cristianesimo scaturiscono soprattutto dall’assenza nella
Consolatio e nelle opere logico-scientifiche di riferimenti espliciti alla Bibbia. Ma
Boezio è autore anche di cinque opuscola sacra, brevi trattati teologici. Il terzo degli
Opuscola, il De Hebdomadibus, è una trattazione puramente razionale, senza alcun
riferimento alla fede, di un problema di ordine teologico: com'è possibile, si
domanda Boezio, che le creature siano buone, senza per questo essere buone in
sé, dato che, se lo fossero, sarebbero Dio? Seguendo un metodo assiomatico,
l'autore parte da alcuni princìpi di per sé noti, come la distinzione tra esse, il vero
essere, e id quod est, cioè i singoli enti, e, procedendo mediante deduzione, arriva a
trarre la seguente conclusione: le creature non sono buone intrinsecamente o in
quanto partecipi della sostanza divina, ma devono la loro bontà all'atto determinante
e necessitante della volontà di Dio. Nel primo degli Opuscola, invece, per indicare la
natura del metodo specifico del sapere teologico naturale riprende la dottrina
neoplatonica della tripartizione gerarchica delle facoltà conoscitive: sensibilità
(sensus), ragione discorsiva (ratio) e intelletto noetico (intellectus), e assegna
quest'ultimo alla teologia come metodo più adeguato, il più elevato. Per provare a
cogliere l'oggetto divino, per lui incommensurabile, l'uomo deve far ricorso alle sue
più elevate capacità, ovvero deve far ricorso all'intelletto noetico. !
g) Il compito della filosofia: Questo è dunque IL FINE PIÙ ALTO DELLA FILOSOFIA:
AVVICINARSI ALLA VERITÀ MEDIANTE L'INTELLETTO, PER POI RITORNARE
ALLA RAZIONALITÀ E ARTICOLARE CIÒ CHE SI SCOPRE IN DISCORSI.!
h) antinomie: nella Consolatio, il filosofo esprime una serie di antinomie filosofiche.
Questi contrasti non sono altro che il risultato dell'originario conflitto tra conoscenza
mediata e discorsiva (ratio) e conoscenza immediata ed intuitiva (intellectus), e,
dato che il vero è uno e medesimo nonostante le diverse prospettive, la Filosofia
invita il seguace a compiere lo sforzo di elevarsi alla sommità dell'intelligenza divina,
il cui risultato non può che essere la vera felicità della vita eterna. !
i) accogliere la Rivelazione: L’ultima fase del processo di perfezionamento della
sapientia consiste nell'accogliere la Rivelazione cristiana, scritta secondo le regole
discorsive della ratio e rivelatrice di una verità piena. La Scrittura dunque porta
l'uomo oltre ciò che sarebbe capace di fare con le sole proprie forze: la scientia fidei
consiste nel liberare la ragione dalle rappresentazioni mentali condizionate dalla
sensibilità e nel far accogliere dalla ragione stessa i misteri della fede di per sé
incomprensibili. !
j) parlare di Dio: Nel De Trinitate, Boezio, per mettere al riparo i fedeli dalle influenze
degli eretici, inserisce i caratteri della Trinità nelle categorie aristoteliche: per quanto
riguarda Dio, che non è una sostanza come le altre, bensì una sovra-sostanzialità, i
nomi teologici attribuitigli (come “grande” o “buono”) sono significativi della sua
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sottomessi: “l'uomo può essere costretto al battesimo, ma non alla fede”. Secondo
Alcuino, Carlo dovrà costruire scuole nei paesi germanici e inviare sapienti che vi
insegnino le arti e la filosofia così da illustrare loro le parole della Scrittura. Solo
educando l’uomo alla verità del Vangelo sarà possibile dare vita a un regno terreno
veramente cristiano. !
b) Admonitio generalis: Carlo attua una riforma dell'Impero mediante una serie di editti
(capitularia), tra cui ricordiamo l'Admonitio Generalis, cercando di promuovere e
regolamentare gli istituti scolastici e favorire l’educazione dei monaci ed ecclesiastici. !
c) riscoperta della cultura classica: La restaurazione dell’impero è strettamente legata al
realizzarsi di una rinascita della cultura e della religione, inizialmente fiorita sul recupero
della cultura classica. Il rifiorire della cultura non è dovuto ad un'improvvisa riscoperta
del suo valore, ma è il risultato dell'intensificazione del processo di recupero del passato.
Vengono infatti riprese le opere dei più importanti filosofi pagani: l'Aristotele del De
interpretatione e delle Categorie, Porfirio e Proclo, Donato e Prisciano per la
grammatica, oltre i grandi classici della retorica e della letteratura latina. Tali letture sono
finalizzate alla conoscenza e alla comprensione della Bibbia. Aumenta vertiginosamente
il numero di scritti sacri e profani presenti nelle biblioteche di abbazie e monasteri, e
Carlo apre una schola palatina presso la sua corte itinerante. I monotoni manuali tardo-
antichi vengono rielaborati in rapide successioni di domande e risposte, mentre la forma
del dialogo è quella prediletta per comporre i nuovi compendi di sapienza liberale.!
d) l’unificazione: Gli uomini di lettere che passano alla corte di Carlo Magno si sono
formati nelle più regioni remote d’Europa. Dunque il mondo colto carolingio scaturisce
dalla confluenza di molteplici tradizioni. Tuttavia bisogna poi raggruppare queste diverse
tradizioni in un nuovo sistema: necessarie saranno l’unificazione linguistica, con la
correzione e la diffusione del latino ecclesiastico; l’unitarietà grafica, con l’introduzione
della minuscola carolina; la divulgazione di un comune testo della Bibbia; e una forzata
diffusione della regula di Benedetto in tutte le comunità monastiche. !
e) il compito dell’imperatore: compito dell’imperatore è quello di formare una comunità di
credenti nella quale si avveri la coincidenza del regnum con l’ecclesia, ossia
dell’organismo politico romano-carolingio con il corpo mistico della tradizione apostolica.!
!
Giovanni Scoto Eriugena!
!
a) la conoscenza delle fonti antiche: L’Eriugena traduce gli scritti dello pseudo-Dionigi
e altre importanti opere patristiche greche: possedeva infatti una buona padronanza
del greco antico, cosa che rende già di per sé il suo pensiero originale rispetto ai
suoi contemporanei. Oltre alla cultura greca, Giovanni aveva un'ottima conoscenza
dei Padri latini, come Agostino, Ambrogio, Girolamo, Gregorio Magno, Ilario di
Poitiers, e inoltre non mancavano alla sua preparazione opere come il Timeo e i
classici di Cicerone, Virgilio e Plinio. !
b) Il Periphyseon: nella sua opera maggiore, il Periphyseon (un lungo e articolato
dialogo tra un Nutritor e un Alumnus), Giovanni Scoto intende esplicitare ogni
manifestazione della verità che l'intelligenza creata incontra nello studio delle realtà
visibili e di quelle invisibili. Ogni verità raggiungibile dall'uomo non è altro che una
manifestazione del divino, di per sé inconoscibile e impenetrabile, che si esplicita in
infinite rivelazioni (teophaniae), la più compiuta delle quali è certamente la
Rivelazione che Dio ha fatto della propria verità nella Sacra Scrittura. !
c) opera filosofica e teologica: Il sistema elaborato da Scoto Eriugena dunque non può
che essere teologico e filosofico ad un tempo, sostenuto dalle informazioni del testo
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sacro, necessarie nel viaggio verso la verità, al termine del quale non vi sarà più un
mero credere, bensì un pieno intelligere. !
!
!⁃!La natura e le sue divisioni!
!
a) il concetto di natura: Fin dall'inizio del Periphyseon, l'autore sostiene che una sola
parola identifichi tutte le cose che sono e tutte le cose che non sono, ossia la totalità
di ciò che è pensabile: natura. La natura è un genere. In quanto genere, secondo i
precetti aristotelici, non può essere definito, perché non può essere collocato in un
sovrainsieme maggiore. Dunque il genere dovrà essere diviso in più specie
(formae), e poiché è un compito assai arduo per l'uomo individuare rigorose
distinzioni all’interno di un concetto che deve includere tutto ciò che è vero, bisogna
ricorrere al contributo informativo proveniente dalla Rivelazione cristiana. !
b) il contributo della Sacra Scrittura: In essa infatti si trova il concetto di creazione, che
sancisce una differenza logica e reale tra gli oggetti considerati. Vi sono, dunque,
quattro naturae:!
!
!1.!La natura che non è creata e crea, Dio, causa incausata;!
!2.!La natura che è creata e crea, le idee eterne, gli esemplari, i modelli a cui si
rifanno gli esseri molteplici;!
!3.!La natura che è creata e non crea, le creature, causate e non cause;!
!4.!La natura che non è creata e non crea.!
!
La quarta natura, logicamente necessitata dalla quadripartizione, è di più difficile
comprensione, poiché dovrebbe essere qualcosa di estraneo al tempo creato, il punto di
arrivo della storia, quando Dio sarà soltanto Dio. !
c) tripartizione delle facoltà conoscitive: in riferimento, seppur non esplicito, alla
tripartizione platonica delle facoltà conoscitive dell'uomo, Scoto Eriugena sostiene che vi
siano tre diverse forme di conoscenza, mediante il quale il soggetto coglie, con diversi
gradi di verità, un medesimo oggetto. La prima è soggettiva, dunque non
sufficientemente rigorosa, mentre la seconda è regolare e simmetrica in quanto fondata
sulle norme della logica, e la terza è di ordine sovralogico, una sorta di “contemplazione
intelligibile della totalità”. Proprio questa terza forma, l'intelletto superiore, è riuscita a
cogliere all'inizio dell'indagine speculativa il concetto di natura. Sarà poi la dianoia a
dover esplicare logicamente i contenuti e le conseguenze delle quattro divisioni. !
!
!⁃!Conoscibilità e predicabilità di Dio!
!
a) Che cos’è Dio? Dio, la prima natura, è eterno ed immutabile, in quanto principio non
derivato da altro, dunque in lui non vi è nulla di accidentale. Non si può però
neanche predicarne una sostanzialità, poiché l'uomo, parlando di sostanza, non può
parlare di qualcosa che non sia sottoposto all'influenza degli accidenti. Dunque non
si può parlare di Dio, né come simile né come dissimile: è qui evidente il richiamo
alla teologia negativa dello pseudo-Dionigi. !
b) la teologia superlativa: TUTTAVIA LA RIVELAZIONE HA PARLATO AGLI UOMINI DI
DIO NEL LORO LINGUAGGIO, come lo stesso pseudo-Dionigi insegna. E' quindi
opportuna una teologia affermativa, sulla base della Scrittura, vista però sempre in
chiave metaforica. Si giunge così ad una sintesi delle due posizioni, che potremmo
chiamare teologia superlativa, che si realizza predicando di Dio i nomi che ne
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!
La storia dell'opera divina si articola in discesa (processio) da Dio alle creature e ritorno
(reditus) dalle creature alla causa originaria. I sei giorni della creazione sono raccontati
da Eriugena in un Esamerone affrontato con una prospettiva scientifica, fisiologica e
astronomica. Dal momento che la Scrittura è foriera di infiniti significati, egli accoglie
interpretazioni diverse ma per questo motivo tutte veridiche, da Basilio ad Agostino, per
poi arrivare alla propria.!
!
!1.!Il primo giorno, la creazione della luce, consiste nella discesa dalle cause agli
effetti;!
!2.!Il secondo giorno, la collocazione del firmamento tra le acque superiori e
quelle inferiori descrive l'apparizione dei quattro elementi, dello spazio e del
tempo che divide creature spirituali e creature corporee;!
!3.!Il terzo giorno, l'emergere della terra arida allude alla composizione delle
forme con la materia;!
!4.!Il quarto giorno, la creazione dei pianeti è utilizzata da Eriugena per proporre
il proprio sistema astronomico che prevedeva la rotazione dei pianeti intorno al
Sole mentre questo gira intorno alla Terra;!
!5.!Il quinto giorno, la moltiplicazione delle specie corporee racconta l'apparire
dell'accidentalità;!
!
a) l’antropologia eriugeniana: Nell’esegesi del sesto giorno, Eriugena presenta la propria
antropologia. Essa è dominata dalla concezione dell'uomo come creatura centrale nel
cosmo, il fine dell'opera divina, verso il quale tutta la realtà creata tende. La conoscenza
dell'uomo è la più completa e complessa di tutte le creature: in questo senso l'uomo è
immagine di Dio, poiché la sua intelligenza è fondata sull'archetipo del Verbo. Mentre
però in Dio le creature sono colte nella perfezione ideale della loro entelecheia, la
conoscenza umana è solo un’immagine potenziale di quella divina.!
!
- il peccato originale e l’interruzione del processo creativo!
!
a) la libertà umana: l’uomo era stato posto al centro della creazione per presiedere al
proprio processo di risalita a Dio: il suo compito era di risalire a Dio dal mondo per
raggiungere in Lui la perfetta conoscenza del mondo. Ma il compimento di tale
percorso era possibile soltanto come esito di una autonoma scelta della volontà
creaturale. Il peccato originale, però, interrompe questo processo e fa sì che l'uomo,
e con lui tutto il creato, devi dal proprio percorso e dalla realizzazione della
similitudo Dei.!
b) Adamo ed Eva: Nell’esamerone dell’Eriugena Adamo è il simbolo dell'intellectus,
inviato da Dio a contemplare la verità del creato dietro la promessa di poter gustare
i frutti dell'albero della Vita, che è il Verbo stesso. Ma Eva, la conoscenza inferiore,
si lascia travolgere dalle apparenze fantastiche della sensualità, il cui simbolo è il
serpente, che la invita a cogliere il frutto della Scienza del bene e del male: IL
FRUTTO RAPPRESENTA LA CONFUSIONE CONOSCITIVA ORIGINARIA CHE È
ALL’ORIGINE DELL’IMPERFETTA SCIENTIA NATURALE DEGLI UOMINI ed Eva,
trascinando con sé Adamo, l'intelletto, fa precipitare l'anima umana nella falsa
fenomenologia dell'accidentalità. Eva dovrà partorire con fatica e dolore i conceptus,
figli dell'attività dell'anima, mentre Adamo dovrà lavorare la terra, l'ousìa, la vera
sostanza delle cose, coperta dalle spine dell’apparenza, che non consentono più
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!
a) interpretazione spiritualistica del mistero: Berengario di Tours è stato oggetto di
critiche riguardo alla disputa sul mistero eucaristico, in quanto sostiene
un'interpretazione spiritualistica del mistero. Ovvero poichè nel mondo della
corporeità nessuna trasformazione è possibile senza senza un divenire della
sostanza di ciò che muta, non essendoci nell’eucaristia alcuna trasformazione
sostanziale, ci si deve assestare su un radicale spiritualismo eucaristico. Il pane e il
vino presenti sull’altare sono, secondo Berengario, esenti da qualsiasi mutevolezza. !
b) il realismo eucratistico: Il realismo eucaristico, opposto all’interpretazione di
Berengario, era invece efficace sia per l’impatto devozionale che produceva nelle
menti dei fedeli, sia come arma contro l’immoralità dei sacerdoti indegni e quindi
non era tollerabile che venisse attaccato. Berengario venne dunque a più riprese
condannato in una serie di concili tra il 1049 e il 1079 e fu costretto a rinnegare la
propria dottrina. !
c) Lanfranco di Pavia, coinvolto nella polemica, sosteneva che la verità riguardo
all'eucaristia fosse reperibile nel Vangelo, senza ulteriori interpretazioni. Tuttavia,
anch'egli decise di porsi sul piano del suo avversario Berengario, ossia su quello
della disputa dialettica su base logico-scientifica. Lanfranco articola il suo intervento
su due piani:!
!
1 sostenendo che anche i Padri conoscessero la logica, egli rimprovera a
Berengario di averla anteposta alla fede – il mistero è tale perché non è
conciliabile con i preconcetti logico-filosofici dell'uomo;!
2!non bisogna indagare il come del dogma, affidato all'onnipotenza divina, ma
cosa esso enunci – Berengario ha ragione a sostenere che un avvenimento del
genere non può avvenire in natura, ma questo non vuol dire che Dio non possa
farlo.!
!
d) transustanziazione: Lanfranco sostiene che il miracolo consiste in un'alterazione della
realtà naturale. In natura, la sostanza, in sé non percepibile dai sensi che possono
percepire solo gli accidenti, non muta. Nell'eucaristia, invece, si trasformano le sostanze
del pane e del vino mentre i loro accidenti rimangono immutati. Questa posizione di
Lanfranco verrà ripresa da Tommaso d'Aquino con la precisazione del concetto di
“transustanziazione”, e verrà considerata ufficialmente accettata. !
!
Pier Damiani!
!
a) il rapporto con le arti liberali: Pier Damiani rientra nel novero di filosofi che
contrastarono la pretesa delle arti liberali di determinare la presenza del divino
nell’ordine del creato. Le arti liberali servono per leggere correttamente la Scrittura
come lo sono per orientare l’umanità nella natura, ma devono poi tacere dinanzi al
disvelarsi del vero divino.!
b) riforma della Chiesa: Dedicò tutta la sua vita alla riforma della Chiesa, in virtù di
quella santità la cui ricerca era da lui indicata come dovere di ogni monaco. !
c) sancta simplicitas: Egli sosteneva che ci si poteva salvare soltanto rivestendosi
della pura stoltezza del credere, la sancta simplicitas: soltanto rifiutando i dubbi
della razionalità naturale e accettando senza discutere le formule e le nozioni
imposte dalla Scrittura il credente potrà avere una risposta al quesito riguardo alla
verità. !
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d) Sua costante preoccupazione era stabilire, mediante quelle stesse discipline di cui
condannava l'abuso, i limiti della capacità conoscitiva dell'uomo. !
e) De Divina Omnipotentia: tuttavia egli è un sottile conoscitore di quelle stesse arti
liberali che contesta. Nel De divina omnipotentia, partendo dall'espressione
iperbolica di Girolamo secondo cui neanche Dio sarebbe in grado di ripristinare la
purezza di una vergine caduta, il cui significato è in realtà se Dio sia in grado o
meno di cancellare la realtà di un evento passato, facendo sì che non sia stato, Pier
Damiani dimostra l'impossibilità della ragione di raggiungere con le proprie leggi
ambiti infinitamente al di là delle proprie possibilità. La mente sa di non poter
rispondere di no ad una domanda sull'onnipotenza divina, ma sente di non poter
rispondere di si a causa delle proprie leggi. Ma le contraddizioni sono solo apparenti
in quanto sono contraddizioni solo nel nostro sistema logico. Dio infatti non
soggiace alle regole del nostro pensare. Si arriva allora a dei paradossi: l'unico
limite all'onnipotenza divina è volere il male, poiché nel momento in cui Dio lo
volesse l'oggetto di questa sua volontà sarebbe il bene. Allo stesso modo, Dio può
l'impossibile, perché Egli ha stabilito cosa sia possibile e cosa no, e se volesse ciò
che è impossibile in quel momento stesso ciò che è impossibile diventerebbe
possibile. !
f) l’incommensurabilità tra Dio e le creature: Le domande sull'onnipotenza divina sono
sbagliate, non formulabili. Pier Damiani infatti afferma che l’intelletto umano è
impossibilitato a commisurarsi con l’onnipotenza divina. La nostra ragione funziona
bene per quanto riguarda il nostro mondo e il nostro creare, ma non per quanto
riguarda Dio, di fronte al quale non può che fare un passo indietro. !
!
I moderni contro gli antiqui:!
Roscellino di Compiègne!
1- Roscellino di Compiègne porta alle estreme conseguenze la demolizione del
platonismo come fondamento del sapere. 2- Verrà criticato da Anselmo d'Aosta e Pietro
Abelardo a causa del suo radicale nominalismo, secondo cui gli universali non sono altro
che l’emissione del suono (“flatus vocis”) proveniente dalla bocca di chi pronuncia parole
come “uomo”, e a causa della sua dottrina trinitaria che, fondata su una dottrina logica,
lo portava a sostenere una pericolosa posizione triteistica. 3- Tutto ciò che sappiamo sul
suo pensiero viene dagli scritti dei suoi avversari: di suo abbiamo solo un'epistola ad
Abelardo.!
a) le accuse a Roscellino: Roscellino, secondo i suoi detrattori, non può che incorrere
nell'errore: se infatti non si riesce a comprendere l’unità dei singoli uomini nella
specie “uomo”, come si potrà comprendere che tre persone diverse sono unificate in
un'unica divinità in cui sussistono contemporaneamente? Allo stesso modo non
riuscendo ad ammettere nient’altro oltre agli individui, come si potrà ammettere che
l'individuo Cristo sia il risultato della congiunzione di due nature, umana e divina?
Anziché sostenere una sola res, si dovrà sostenere che ci sono tres res. Roscellino
è dunque per Anselmo un “eretico della dialettica”, poiché il suo errore proviene
dalla logica, e per Abelardo uno “pseudochristianus”. !
b) la difesa di Roscellino: Roscellino, rispondendo nell'Epistola, sostiene di star
interpretando in maniera ortodossa la verità cristiana, e che la sua sia l'unica
conclusione che non porti a sostenere che il Padre e lo Spirito Santo abbiano
sofferto in croce con il Figlio. Affermando che la ragione umana non può
rappresentarsi il divino se non in tre res distinte, vuole sottolineare l'incapacità di
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!
a) il progetto complessivo: nell’aprire il suo libretto intitolato De veritate, Anselmo
precisa la sua nozione di verità, mettendo in risalto il suo progetto complessivo: far
emergere, consolidare e chiarire la profonda necessità logica delle verità di fede. !
b) Che cos’è vero: per lui “vero” è tutto ciò che gode di una rectitudo formale, ossia
che è esattamente nel modo in cui è corretto che sia. 1- Il “vero” uomo è colui che è
uomo nel modo in cui Dio ha stabilito che lo sia; 2- una proposizione è vera quando
esprime correttamente l’accordo tra il pensiero e la res corrispondente. !
c) Definizione di dialettica: a tal proposito, per Anselmo, LA DIALETTICA È LA
SCIENZA DELLA RECTITUDO DELLE COSE CONOSCIUTE, in quanto garantisce
l’assoluta corrispondenza tra la res, l’intellectus e la vox che la rappresenta. !
d) Il progetto teologico anselmiano: l’obbiettivo del progetto di Anselmo consiste nel
perseguire fino in fondo il tentativo dell’intelligenza umana di parlare di Dio. Tuttavia
la ragione umana è limitata e finita, dunque non è in grado di assegnare un
significato compiuto alla parola Deus. Un intellectus tanto perfetto da potersi
rappresentare tale res coinciderebbe con la mente divina, cioè il Verbo, che è il
pensiero con cui Dio conosce tutto. !
e) Credo ut intelligam e viceversa: Ciononostante, una volta compiuto l'atto di fede, la
ragione creata è in grado di comprendere a partire dal credere (credo ut intelligam)
e di riconoscere la rectitudo delle argomentazioni su Dio, cioè la corrispondenza tra
esse e la verità che le è resa nota dalla fede. Per questo motivo la ragione può
anche distaccarsi dalla fede, senza utilizzarla per dimostrare ciò che è dimostrabile
secondo la sola ragione, e che non è altro che la verità di fede (intelligo ut credam).!
f) Il metodo anselmiano: il metodo anselmiano della “sola ratio” consiste nel procedere
nella comprensione dei contenuti della fede mettendo la fede tra parentesi. Ciò che
la ragione porta non è mai contraddittorio rispetto alla fede, ma sempre
complementare. !
!
!⁃!!Il Monologion, modello di meditazione sulla verità di Dio !
!
a) L’obbiettivo dei due opuscoli: l’obbiettivo dei due opuscoli (il Monologion e il
Proslogion) di Anselmo è comprendere la rectitudo della parola Deus. In entrambi i
casi le mosse vengono prese dalla percezione di una verità superiore, ossia dalla
nozione corrispondente al nome stesso di Dio, per passare dalla comprensione del
suo significato alla definizione delle ulteriori verità particolari in esso incluse. Si può
parlare con un lessico di molto posteriore ad Anselmo, di procedimento a priori. !
b) le quattro dimostrazioni (a partire dalle categorie aristoteliche): Il primo modo
consiste nel mostrare come la rectitudo della parola Deus sia nel suo essere
supremo oggetto del nostro desiderio. Noi non desideriamo le cose in sé ma il loro
essere buone. Desideriamo dunque ciò che le fa essere buone, ossia il bene. E se
lo cerchiamo in tutte le cose è perché esso esiste e tutte le cose sono
imperfettamente buone, mentre esso soltanto è il bene più grande, ovvero il bene in
sé. Il supremo bene esiste e non ha bisogno di altro per essere desiderato, ed è
Dio. Un secondo modo per comprendere la rectitudo di Dio è il seguente: tutte le
cose hanno una grandezza, quindi conoscendole noi conosciamo l'essere grande.
Ciò che fa essere grandi le cose, analogamente a ciò che le fa essere buone, è la
grandezza in sé. Questa è ciò che c’è di più grande e pensabile, e dunque è anche
ciò che di migliore e pensabile, ed è Dio, perché fa essere le cose grandi e migliori.
In entrambe le argomentazioni ANSELMO PARTE DALLA CONOSCIBILITÀ DEL
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linguaggio che lo esprime capaci di godere di una rectitudo sufficiente nei confronti
degli oggetti naturali finiti; la fede garantisce l'estensione di tutto questo a ogni
ambito che Dio ha stabilito che debba essere vero e necessario, che dunque l'uomo
può e deve conoscere, inclusi i misteri rivelati. Questo spiega come mai Anselmo
abbia combattuto con tale energia il nominalismo di Roscellino in un'ottica
comprensiva di fede e ragione ad un tempo.!
b) l’errore di Roscellino: 1- Roscellino, come Gaunilone, sbagliava nell'escludere una
rectitudo dei pensieri e delle parole umani, e così facendo escludeva la possibilità di
avere una scienza riguardo alcun ambito, men che meno quello teologico. Se tutte
le formulazioni logico-linguistiche vere fossero soltanto convenzionali, i pensieri
umani non potrebbero mai essere dotati di rectiudo, ossia corrispondere al modo di
essere vero e immutabile delle idee divine e della realtà che esse governano. 2- La
ragione umana deve utilizzare solo elementi logicamente determinati, la cui
rectitudo sia stata determinata da passaggi precedenti e che siano così divenuti un
corretto riflesso della verità eterna dei significati nella mente di Dio. Il Verbo infatti,
dicendo la natura divina, è una locutio che gode di una rectitudo assoluta.!
c) Compito della teologia è dunque quello di reperire le necessarie rationes, i principi
eterni della verità, che assicurino la corrispondenza oggettiva del pensiero umano
tanto alla eterna volontà divina nel Verbo, quanto alla descrizione della verità
rivelata che ne offre la Scrittura su dettatura dello Spirito Santo.!
d) Il problema del male è uno dei primi a venire analizzato da Anselmo. Quale realtà e
quale rectitudo può avere ciò che non è voluto da Dio? Allo stesso modo, quale
necessità può avere la sua causa? Attuando un capovolgimento dell'argomento del
Proslogion, Anselmo dimostra che il male non esiste perché non è pensabile e
perchè non è reperibile nel Verbo divino alcun necessaria ratio della sua realtà.
Infatti il male, cioè ciò di cui si può sempre pensare qualcosa di migliore, è privo di
qualsivoglia rectitudo, cioè ad esso non può corrispondere alcuna realtà voluta da
Dio, e di conseguenza non può esistere. Sia il nihil che il malum sono entrambi
concetti vuoti, e pronunciando “nulla” e “male” non si esprime positivamente un
concetto ma se ne nega il positivo corrispondente. !
e) Dio non è causa del male: Dio, in tutto questo, non è causa del male, ma fa sì che
perdurino le conseguenze del peccato, l'attuarsi della non-rectitudo, in maniera
dunque diversa da quello che Dio ha stabilito. La libertà è posta da Dio in quanto la
libera scelta del giusto porta al bene, mentre la libera scelta dell'ingiusto porta al
non-bene: !
f) che cos’è la libertà: De libero arbitrio Anselmo afferma che la libertà non è la
possibilità di peccare o meno, ma la possibilità di realizzare o meno,
volontariamente, le perfezioni nel mondo.!
!
!⁃!Il Cur Deus homo, dalla fede all'intelligenza del mysterium di Cristo!
!
a) intro: Anselmo si domanda quali siano state le ragioni che hanno spinto Dio ad
attuare la redenzione del genere umano. Per dimostrare che anche il mistero
centrale della fede cristiana, l'Incarnazione, possa risultare razionalmente coerente
in un sistema teologico, Anselmo scrive il Cur Deus homo, che ha ricevuto il plauso
quasi universale dei contemporanei. !
b) il procedimento: Come nelle prime opere, l'autore cerca di evidenziare le rationes
del mistero dell’Incarnazione, mettendo la fede tra parentesi, mediante passaggi
puramente mentali. !
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!
un commento dialettico alla teologia boeziana !
!
a) le eresie: Gilberto nacque intorno al 1080. Giovanni di Salisbury lo ricorda come
dotato di un ingegno finissimo e grande innovatore in campo teologico. Nel 1148
venne convocato da Bernardo di Clairvaux al concilio di Reims dove, in presenza
del pontefice Eugenio III, fu costretto a ritirare quattro proposizioni estratte dai suoi
scritti, considerate ereticali, e fu invitato a desistere dall'insegnamento. !
b) Gilberto interprete di Boezio: assumendo come maestro Boezio, Gilberto, nel
Commento ai cinque Opuscola Sacra, sostiene che Boezio sia stato il teologo più
attento e preciso, poiché, con il solo intento di impedire il diffondersi di eresie, ha
proposto nei suoi libri illustrazioni ragionevoli fondate sulle norme delle arti liberali.
Gilberto propone se stesso come un lector nei confronti di un auctor come Boezio,
non in veste di recitator, ripetendone le dottrine, ma in veste di interpres, ossia
approfondendo i contenuti dei suoi scritti servendosi dei suoi stessi strumenti.
Gilberto fa sì che il contributo di Boezio all'interpretazione della fede sia accessibile
a tutti, senza fraintendimenti o mistificazioni. !
c) una metodologia rigorosa: Gilberto si sottomette ad una metodologia rigorosa,
ricavata da Boezio stesso, che definì la questione della Trinità una “quaestio
lungamente dibattuta”. 1- Gilberto scrive che si ha una quaestio ogni volta che deve
essere risolta una contraddizione tra due tesi. 2- Una delle due tesi è sempre
sbagliata perché contiene al suo interno un’ambiguità semantica che deve essere
individuata ed eliminata. 3- Il metodo per risolvere la contradictio consiste
nell’effettuare la distinctio, mediante la quale si evidenzia l’appartenenza delle due
tesi a diversi loci, diversi ordini semantici e argomentativi. 4- Tale distinctio consente
di evidenziare quale delle due tesi sia quella corrispondente al contesto specifico in
cui sono state avanzate, e vada quindi riconosciuta come veridica. Strategia
importante perché chiarisce come l’ambito di conoscenze relativo ai contenuti della
fede possa essere aperto all’indagine e all’approfondimento razionale purché
adeguatamente supportati da una strumentazione corretta. Le conclusioni
ovviamente dovranno essere in accordo con ciò che è già esplicito nella
Rivelazione.!
!
il metodo della transumptio teologica !
a) Cos’è la transumptio? La terminologia logica è portata ad assumere una valenza
deviata dalle sue originali finalità quando viene adattata al sapere teologico. In
ambito teologico i termini vanno usati transumptive, ossia ad un livello superiore. La
Transumptio consiste nel prendere in prestito un termine da una scienza inferiore e
utilizzarlo, variando il significato di partenza, per esprimere oggetti della teologia. In
teologia il termine “persona” ha un significato diverso da quello in altri ambiti, e
quindi non è sbagliato considerare tre personae senza per questo essere obbligati
ad ammetterne la sussistenza come tre realtà individuali e separate: se la tradizione
autorizza l'uso di questa parola è perché il suo significato è quello che meglio si
adatta a esprimere l'enigmaticità del mistero, senza per questo esaurirla; è
essenziale per il teologo determinare con chiarezza l’oggetto e l’estensione della
propria disciplina. !
b) la divisione delle discipline: Boezio aveva diviso la filosofia teoretica in: scientia
naturalis, mathematica e theologia, i cui campi di indagine sono rispettivamente la
natura, le forme immutabili e non separabili e l'unica forma immutabile ma separata,
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ossia Dio. A ciascuna una specifica ratio, che Boezio indica con gli avverbi:
rationabiliter, disciplinaliter, intellectualiter. Nel caso della teologia non essendo
adeguata la strumentazione, bisogna ricorrere agli strumenti delle scienze inferiori.
Si incorre negli errori degli eretici quando non si tiene conto della transumptio
necessaria per parlare positivamente del divino, ovvero l’eretico utilizza la
metodologia atta a indagare le realtà naturali per parlare del divino. !
c) la critica ad Anselmo: si noti il costante tentativo di precisare gli strumenti del
discorso teologico ed è implicita la polemica nei confronti della concezione
anselmiana secondo cui il linguaggio teologico è sempre univoco in quanto vero e
immediatamente significativo della realtà che esprime. !
!
la realtà del singolare e la composizione ontologica!
!
a) la realtà degli universali: per quanto riguarda gli universali, Gilberto non li considera
come modalità di conoscenza, ma veri e propri modi di essere di qualcosa di reale,
collocati nel grado mediano della complessa gerarchia ontologica che unisce la
creazione a Dio. La soluzione delle tre domande di Porfirio sugli universali parte
dalla premessa che essi esistono. !
b) tutto è singolare: Gilberto sostiene che tutto ciò che esiste come reale è singolare, e
dunque distinto da altro; così non soltanto gli individui ma anche gli universali sono
singolari, e ovviamente anche Dio. 1- In cima alla scala dell'essere c'è la substantia
simplex, 2- poi la sostanza universale, la base metafisica di ogni cosa, che Gilberto
chiama dividuum, cioè ciò che è divisibile, partecipabile; 3- infine la sostanza
individuale e indivisibile (individuum) che, essendo razionale nell’uomo, prende il
nome di persona; caratteristica dell’individuo è quella di essere irripetibile, l’id quod
est (riprendendo la terminologia boeziana), il non conforme ad altro, risultato
dell’incontro di una materia con una forma. !
c) le forme nativae: Ciò che determina l’individuo è proprio quella forma, possibile tra
le altre, che orienta il modo di essere della materia dell’individuo. Questa forma
prende il nome di quo est, che viene definita in assonanza con il platonismo, forma
nativa, ovvero che ha in sé la conformità, quel carattere che nell’individuo evidenzia
la sua somiglianza con altri individui. Le forme nativae sono singole realtà
universali, sussistono negli individui che da esse derivano e non sono da essi
distinti, riproducendo modelli superiori per diventare a loro volta modelli delle realtà
inferiori. !
d) le sincerae substantiae: le idee divine invece, denominate sincerae substantiae,
sono gli universali eterni e non si distinguono dal pensiero e dalla volontà di Dio. La
teologia dovrà trascendere tutte le forme create per fissare lo sguardo sull’essere
semplice di Dio e delle forme esemplari nel suo Verbo.!
!
la distinctio trinitaria!
a) la deitas: il teologo per comprendere la natura di Dio deve utilizzare il linguaggio
scientifico attinto dalle discipline inferiori, operando una transumptio. Dio è un id
quod est, una singolarità assolutamente semplice, ossia in tutto e per tutto uguale al
quo est che lo fa essere Dio. Come il linguaggio fisico distingue uomo da umanità, il
linguaggio teologico deve distinguere Deus da deitas: Dio è Dio perché l'essere Dio,
la deitas, lo fa essere Dio. Questo vale anche per il Figlio, che è Figlio, perché la
deitas lo fa essere figlio, e per lo Spirito Santo, che è Spirito perché la deitas lo fa
essere Spirito. LA DIVERSITÀ DEI MODI SIGNIFICANDI CORRISPONDE A UNA
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liturgia cristiana nell'evocare tracce dell'efficacia di Dio nel mondo vivente, da Lui
creato.!
!
Bernardo di Chartres e le formae nativae!
!
a) Bernardo, filosofo platonico: Bernardo, uno dei più importanti maestri di arti liberali
del XII sec, venne chiamato dal Vescovo Ivo a insegnare alla scuola di Chartres.
Avviò la riflessione all’interno della scuola sul problema dell’esemplarismo, tentando
una mediazione tra l’elemento ontologico e quello teologico implicati entrambi nella
dottrine del realismo delle essenze. Di Bernardo non abbiamo scritti, solo
testimonianze di Giovanni di Salisbury, che lo descrisse quale “il più perfetto tra i
platonici del nostro tempo”. !
b) le forme nativae: Egli utilizzò il termine formae nativae, traendolo da Calcidio nel
commento al “Timeo” di Platone, per indicare le forme nella loro congiunzione con la
materia, distinguendo 1) le idee divine, increate ed eterne, assolutamente separate
dalla materia; 2) le idee create, “non del tutto coeterne” e non del tutto identiche con
il divino. !
c) Prisciano: Per spiegare questa dottrina riprese Prisciano, il quale affermava che in
ogni predicazione sono sempre compresi due elementi, la sostanza e la qualità.
Partendo da questo, Bernardo indicava in alcuni nomi, come “albedo”, “bianchezza”,
la capacità di esprimere la qualificabilità della sostanza senza farla ancora entrare in
commistione con essa, e li paragonava ad una fanciulla ancora vergine; il verbo che
ne indica l'azione, in questo caso “albet” (“biancheggiare”), sarebbe come una
vergine al momento di entrare nel talamo; infine, l'aggettivo qualificativo e qualificato
“album” (“bianco”) è la qualità unita alla sostanza, corrotta come la vergine che si è
unita all'uomo. !
d) distinzione tra potenza e atto: Questa spiegazione introduce una nozione importante
per la concezione naturalistica della scuola di Chartres, la distinzione tra potenza (la
perfezione ideale) e atto (la contaminazione con la materia): ciò è importante perché
spiega il divenire naturale delle cose finite e la loro derivazione da Dio senza per
questo compromettere l'immutabilità del creatore. IL DIVENIRE È L'ATTUAZIONE
NELLA PARTICOLARITÀ DELLA POTENZIALITÀ ORIGINARIA DELLA FORMA,
C H E R E S TA I N C O N TA M I N ATA I N S È , I N Q U A N TO N O N P E R D E
NELL’ATTUAZIONE CON LA MATERIA LA PROPRIA NATURA DI PURA
POTENZIALITÀ, che è un riflesso dell’immutabilità delle eterne idee divine. Dunque
la dottrina dell'esemplarismo chartriano formulata da Bernardo chiarisce come ogni
creatura visibile sia un involucrum di una realtà superiore in essa nascosta.!
e) i tre ingenii: secondo Bernardo l'uomo è dotato di tre forme di ingenium: l'ingenium
advolans, inquieto e vivace, che con la stessa facilità con cui acquisisce le
conoscenze altrettanto facilmente le abbandona correndo in cerca di altri stimoli;
l'ingenium infimum, materialista e pigro, incapace di sollevarsi all'altezza del vero; e
infine l'ingenium mediocre, che usa la conoscenza come base per poi sublimare le
proprie capacità, quello adatto per il filosofo. !
f) nani sulle spalle dei giganti: Bernardo sosteneva che gli intellettuali del suo tempo
fossero “nani sulle spalle di giganti”, per sottolineare il fatto che se si è in grado di
guardare più lontano dei maestri del passato è perché proprio questi ultimi ci
sostengono e ci permettono di sapere di più. Questa immagine esemplifica
compiutamente l'umanesimo degli chartriani. !
!
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a) la pietas: Secondo Bernardo non c’è possibilità di vera fede senza amore per
l’oggetto del credere e non c’è altro oggetto d’amore più degno di essere amato
della verità rivelata. La sintesi di amore e fede non può che risolversi in una
riconduzione radicale di tutti i saperi e le aspirazioni umane alla pietà religiosa, che
è l'unico tramite di congiunzione dell'uomo alla Verità. !
b) inutilità delle scienze: tutto ciò che non conduce alla verità superiore della Bibbia
non è necessario alla salvezza e può tradursi in un danno per l'anima, se distrae
dalla vera scientia, lo studio della Bibbia, dei Padri e della tradizione della Chiesa.
La ragione deve chiarire ed esporre, non indagare. Secondo lui ogni sforzo di
formulare “nuove” questioni teologiche è nocivo e improduttivo; infatti “non
dobbiamo cercare contese di parole” poiché tutto ciò che si deve fare è interpretare
la Bibbia e chiedere lumi ai Padri, poiché “non siamo certo più saggi di loro”. !
c) interesse per la mariologia: Bernardo si interessò molto alla mariologia; i dogmi
mariani sono da lui penetrati nella loro intima verità non per tentarne chiarificazioni
concettuali, ma per presentare la Vergine come modello assoluto della vita
monastica. Maria è stata depositaria e custode di tutte le virtù che accostano
l’uomo, attraverso il perfezionarsi dello stato monastico, alla condizione della
beatitudine eterna.!
d) il culmine della conoscenza teologica: la conoscenza teologica si risolverà in uno
stato di contemplazione mistica della verità che soltanto la fede fa comprendere e
interiormente rivivere nell’anima del credente. Al termine del raggiungimento delle
virtù monastiche, è promesso all’anima l’incontro diretto con l’oggetto della sua
speranza. E il traguardo sarà la totale disponibilità dell’anima a godere dell’oggetto
amato e fondersi con esso, a essere deificata. !!! !
!
Giovanni di Salisbury!
a) il probabilismo: la proposta filosofica di Giovanni di Salisbury consiste nel dare nuova
vita, nel mondo cristiano medievale, al probabilismo filosofico raccomandato da
Cicerone. Di particolare rilievo è la considerazione che tale proposta sia emersa come
esito di una lunga esperienza formativa giovanile in cui l'autore ha avuto modo di
assaporare l'insegnamento di quasi tutte le figure di maggior rilievo nel panorama
intellettuale del dodicesimo secolo. Allievo di Guglielmo di Conches e di Teodorico di
Chartres, ammiratore di Gilberto di Poitiers e di Bernardo di Chiaravalle, fu segretario di
Tommaso di Canterbury prima che questi fosse assassinato. Esiliato in Francia a Reims,
durante la fase più accesa del contrasto tra Enrico II e la Chiesa, nel 1176 è stato
nominato vescovo della città di Chartres, dove è rimasto fino alla morte. !
b) riforma dei principi: a causa delle sue drammatiche vicende biografiche, Giovanni si
concentrò molto sul versante etico-pratico della riflessione filosofica, componendo così il
Polycraticus, dedicato a Becket: un manuale per l'educazione e la riforma morale dei
principi terreni, ispirato alla solida concezione etico-politica che deriva dalla sapienza
pratica cristiana. Come obbiettivo dell'intera attività intellettuale umana Giovanni pone il
perfezionamento pratico. !
c) la logica tende al verosimile: prendendo le distanze da tutti coloro che considerano
compito della logica assicurare il possesso di conoscenze incontrovertibili sulla base di
prove (probationes) necessarie, Giovanni considera la logica e la scienza tanto più vere
quanto più riconoscono che il proprio compito consista nell'avvicinarsi ad una
probabilitas, una verosimiglianza di qualcosa che non potrà mai essere colto in maniera
definitiva (“MI RITENGO SODDISFATTO SOLO DA CIÒ CHE È PROBABILE”). !
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!
L'incontro con il pensiero greco-arabo ed ebraico!
La storia del pensiero medievale in fondo è la storia delle tante translationes studiorum,
che potremmo considerare come un'unica translatio continua. A partire dai lavori di
Boezio, la cui traduzione di Aristotele ha consegnato ai secoli successivi l'unico contatto
diretto con questo filosofo, il più grande avvenimento culturale avviene a partire dal
tredicesimo secolo, ed è stato l'esito di precedenti translationes di sapienza filosofica,
avvenute in epoche diverse, prima sotto la civiltà sasanide (224-651), l'ultimo impero
persiano pre-islamico, e poi nella cultura islamica stessa. !
a) l’esodo degli ultimi neoplatonici nei territori islamici: dopo la chiusura della scuola di
Atene per ordine di Giustiniano, nel 529, gli ultimi neoplatonici (come Simplicio o
Damascio) trovarono rifugio nella città mesopotamica di Harran, dove continuano i propri
studi, specialmente su Aristotele e Platone. Con la conquista araba della Siria e della
Persia, l'Islam viene a contatto con questi filosofi pagani e si avvia una fervida opera di
traduzione, spesso con il doppio passaggio dal greco al persiano e dal persiano
all'arabo. Quest'opera si estese anche ad altri ambiti, come l'astronomia, la matematica
e la medicina. Tuttavia questo sapere rimase riservato ad una élite di studiosi, a causa
della diffidenza con cui veniva vista la contaminazione della verità rivelata e una
sapienza estranea. Nel mondo islamico si viene a creare una profonda differenza tra la
riflessione filosofica e i contenuti della fede, diversamente da quanto avvenuto nel
mondo latino in cui i due aspetti si compenetrano e si completano l'un l'altro, tant'è che il
nome arabo per la ricerca razionale, falsafa, risulta grecizzante, per marcare questa
differenza: intelligere e credere sono dunque profondamente separati.!
!
La teologia islamica o kalām!
!
a) il kalam: Dal momento che la religione professata da Maometto si presenta come
accessibile a tutti e non interpretabile, il nome di “teologia” islamica risulta
inappropriato: la fede infatti non è complicata da misteri che possano suscitare
dubbi nei fedeli. Il sapere teologico islamico, che ha il nome di kalām, è un'apologia
della verità rivelata e della Legge in essa contenuta e il suo principale oggetto è la
pura comprensione del fondamento dell'unità divina, tawḥīd. Essa prevede
dimostrazioni ed argomentazioni fondate non su strumenti esterni ma solo sul testo
sacro: nata in un paese, l'Arabia, privo di una tradizione culturale, la fede islamica si
è sviluppata in maniera autonoma. !
b) il confronto con le altre religioni: Il rapporto del kalām con le altre religioni è marcato,
da un punto di vista strettamente culturale, da una predisposizione al confronto.
Religione universale, come il cristianesimo e a differenza dell’ebraismo, è
caratterizzata fin dall'inizio da un totalitarismo politico in cui il regime temporale è
indistinto dalla guida spirituale. La jihād (che letteralmente significa l'impegno
personale nella diffusione della Parola) è vista effettivamente come una “guerra
santa”, la quale deve però favorire le condizioni socio-politiche per la conversione, e
non ottenerla necessariamente con la forza. Nei confronti delle Genti del Libro (ahl
al-kitāb), considerati cattivi credenti ma superiori ai politeisti, lo stato musulmano si
atteggia a una relativa tolleranza, purché si accetti di essere sottomessi da un punto
di vista anche giuridico e di non esercitare proselitismo. In un primo momento
questo si è tradotto in una conversione di massa, per poi stabilizzarsi in una relativa
autonomia per i non-islamici. !
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c) difesa della propria fede: Il confronto con la mentalità speculativa dei teologi cristiani
e la necessità di difendere la propria fede da infiltrazioni eterodosse ha però spinto i
pensatori islamici ad approntare un sistema di giustificazioni teoriche del kalām:
questo ha portato i teologi musulmani a guardare con interesse agli strumenti
intellettuali non-religiosi che risultassero utili ai propri scopi, e così, dopo la
grammatica e il diritto, si incontrano la logica e la metafisica. !
d) i Mu’taziliti: I teologi che per irrobustire le proprie tesi si servirono coraggiosamente
di strumenti di riflessione provenienti da contesti estranei al Corano presero il nome
di Mu’taziliti, e costituirono un ampio movimento, attivo soprattutto nel corso del IX
secolo. I Mu’taziliti diedero un contributo notevole alla traduzione del kalam in un
organico sistema di conoscenze; furono intransigenti contro i letteralisti, ancorati
ad una lettura semplice del testo e contrari alla sottigliezza speculativa. !
e) al-Ash’ari: Date le tensioni che questo atteggiamento speculativo provocò, fino ad
arrivare all'estinzione dei Mu'taziliti, alcuni teologi moderati, come al-Ash'arī, il vero
fondatore della dottrina teologica dell'Islam ortodosso, favorirono una mediazione
tra l'ortodossia radicale e alcune posizioni del Mu'tazilismo. L'opera principale di al-
Ash'arī, Chiarimento dei princìpi della religione, è una sapiente mediazione tra il
letteralismo “esagerato” e le rigidità dei Mu'taziliti: secondo al-Ash’ari, gli attributi di
Dio sono reali, ma non sono della stessa natura di quelli umani, e il Corano è Parola
increata ed eterna di Dio, ma la sua manifestazione storica, in lettere e inchiostro, è
creata. !
f) la vita di Al-Ghazali: grande esponente del pensiero teologico medievale è Al-
Ghazālī, nato nella Persia orientale; dopo un periodo giovanile di scetticismo, fu
docente a Baghdad, eremita contemplativo in Siria e pellegrino in Palestina e in
Arabia, per poi ritirarsi da eremita nella città natale di Tus, dove è morto in fama di
grande santità. !
g) il kalam per Al-Ghazali: Per lui il fine ultimo di ogni attività umana, kalām incluso, è
la pura contemplazione estatica. Il kalām è per al-Ghazālī la conoscenza che ha per
oggetto Dio, in sé, nei suoi attributi, nelle sue azioni, nei suoi profeti, e che si fonda
su ciò che al riguardo ha insegnato Maometto. Il kalām è inutile per i credenti, che
hanno già la fede per essere salvati, e per gli eretici, per i quali la discussione
razionale alimenta solo l'ostinazione: la sua utilità vale per coloro che hanno
bisogno di mettere al riparo la fede dai dubbi intellettuali. Ha dunque un valore
curativo, come esposto nell'opera significativamente intitolata La vivificazione delle
scienze della religione. Tuttavia, al-Ghazālī, forte della convinzione che la parte più
importante della fede sia lo “svelamento”, non comunicabile attraverso libri o lezioni,
rimase contrario ad un kalām fondato su indagini razionali. !
h) l’autodistruzione dei filosofi: La sua opera più famosa è l'Autodistruzione dei filosofi,
in cui polemizza con coloro che considerano la falsafa non uno strumento ma
autonoma conoscenza di verità; al-Ghazali riconosce che la filosofia dei Greci porta
a conclusioni non conciliabili con le verità della religione. Riprendendo un principio
giuridico arabo, secondo cui ogni testo che contiene all’interno una contraddizione è
evidentemente falso, polemizza contro le tesi tra loro discordanti dei filosofi. Nel
libro analizza criticamente venti questioni riguardanti i tre problemi metafisici, ossia
l'anima, il mondo e Dio, e dimostra che la filosofia dei Greci è incapace di
corroborare la fede in quanto giunge a conclusioni da essa totalmente inconciliabili,
mostrando come i temi della filosofia siano invece di spettanza della religione.!
!
la formazione della Falsafa, da al-Kindi ad al-Farabi!
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!
a) il sincretismo della filosofia antica: Il principale lavoro svolto dai cultori della filosofia
nel mondo arabo è stato quello di elaborare una lettura sincretistica delle
informazioni provenienti da molteplici fonti greche antiche. I filosofi arabi
conoscevano bene Plotino e Proclo e il Timeo platonico ha favorito anche nell'area
islamica il germogliare dell'idea di una distinzione tra il mondo visibile e il mondo
degli universali. Attraverso il De Anima, proposto da Alessandro di Afrodisia, gli arabi
hanno tratto l’idea della possibilità di INNESTARE LA PSICOLOGIA ARISTOTELICA
A L L’ I N T E R N O D E L L A C O N C E Z I O N E G E R A R C H I C A , D I M AT R I C E
NEOPLATONICA, DELLA DISTRIBUZIONE COSMICA DELLE INTELLIGENZE
CELESTI CHE SI TRASMETTONO LA CONOSCENZA DI GRADO IN GRADO,
IDENTIFICANDO L’INTELLETTO AGENTE DI CUI PARLA ARISTOTELE CON
L’ULTIMA INTELLIGENZA SEPARATA, unitaria per tutti gli intelletti umani, distinta
dai loro intelletti personali e non sottoposta al divenire. Risulta, quindi, una singolare
armonizzazione tra pensiero di Aristotele e pensiero di Platone. !
b) al-Kindi: La maggior parte delle traduzioni di testi neoplatonici proviene dal gruppo
di studiosi guidato da al-Kindi. Lo scritto principale di al-Kindi si apre con
un’apologia della falsafa mirante a evidenziarne la natura di sapere unitario e il suo
scopo è quello di delineare, con l’aiuto della speculazione classica, le fondamentali
conseguenze ragionevoli dell’affermazione teologica del tawhid. !
c) al-Farabi: altro grande filosofo è al-Farabi che ha proseguito il lavoro di
esplicitazione dell’unitarietà di fondo del pensiero filosofico greco; si concentra in
particolare sul problema della spiegazione dell’origine del mondo. Il suo capolavoro
è il trattato sulle Opinioni degli abitanti della città perfetta, orginale rilettura della
Repubblica platonica adattata alla concezione politico-religiosa dell’Islam. !
d) La natura di Dio: Nel pensiero di al-Farabi il Dio-pensiero di Aristotele si fonda
mirabilmente con il Dio-Uno dei Neoplatonici, che in quanto pensiero autosufficiente
non deve pensare altro per essere pensiero, ma sarà pensiero della sua propria
essenza. Il pensiero-unità di Dio produce le molteplici unità derivate. E mentre
l’essenza di Dio è semplicemente e totalmente esistente in atto, tutti gli esseri
derivati esistono in atto solo realizzando in modo sempre incompiuto la loro
essenza: si ha la prima enunciazione della distinzione di essenza ed esistenza.!
e) la derivazione delle cose da Dio: prima realtà creata è l’Intelletto primo, sostanza
immateriale che si distingue da Dio in quanto pensiero che accoglie in sè la
pensabilità di altro da sè, e dunque la possibilità del molteplice. Ogni intelligenza
inferiore a Dio pensa la propria essenza e nel farlo pensa Dio da cui essa deriva,
ma in quanto pensa Dio il suo stesso pensiero diventa principio di emanazione e dà
origine a una ulteriore sostanza intellegibile, che le è inferiore. Vi è dunque un
gerarchico distribuirsi di una serie di perfezioni decrescenti, come esito del
successivo allontanarsi dalla Causa prima, da parte di ulteriori effetti
dell’attività intellettiva; gli intelletti pensano e danno vita ad altri intellegibili e
muovono le sfere celesti. L’ultimo effetto è la materia. !
f) i vari intelletti: anche l’intelligenza umana è sottoposta a una simile degradazione
dinamica dell’efficacia conoscitiva; al-Farabi distingue nell’anima intellettiva:
l’intelletto possibile o passivo, inteso come disponibilità dell’anima a conoscere;
l’intelletto in atto, come operazione di acquisizione di nuove conoscenze; e
l’intelletto acquisito che traduce in rappresentazioni intellegibili e affida alla memoria
tali atti di conoscenza; subordina il funzionamento di queste facoltà all’efficacia di un
intelletto agente o attivo separato, che è l’ultima delle intelligenze separate e agisce
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su tutte le anime umane come comune causa efficiente del loro conoscere. Questa
dottrina garantisce l’oggettività della conoscenza vera acquisita dalle singoli menti
umane ed è giustificazione dell’immortalità delle anime individuali, in quanto, a
differenza dell’intelletto passivo, l’intelletto in atto e l’intelletto acquisito sono realtà
intellegibili, non corruttibili. !
!
Metafisica e teologia: Avicenna (Ibn Sīnā)
a) il libro della guarigione: Avicenna è conosciuto nel mondo latino per la sezione
dedicata alla Scienza delle cose divine nel suo Libro della guarigione, tradotta con il
titolo di Metafisica di Avicenna, e notevole importanza per la storia delle scienze ha
avuto anche il suo Canone di Medicina. Il Libro della guarigione è una grandiosa
enciclopedia filosofica e scientifica, una parafrasi degli scritti dei falāsifa, in particolare di
Aristotele. !
b) il passaggio dal non essere all’essere: Avicenna si trova ad affrontare una grande
questione metafisica, ossia il passaggio dal non essere all’essere delle cause
secondarie. Avicenna introduce in teologia la distinzione tra potenzialità e attualità
aristotelica: se Dio è la causa prima, Egli è essere necessario, e quindi necessariamente
in atto. La creatura invece è “ciò che acquisice essere da altro”, e dunque non è
necessariamente in atto. La differenza tra essenza ed esistenza riguarda le creature ma
non Dio: e queste sono caratterizzate da una quiddità-possibile. Dio, non avendo una
quiddità diversa dal suo essere, non ha un genere superiore di cui può essere predicato
e dunque non rientra in alcuna categoria o opposizione. !
c) la definizione di Dio: come i suoi predecessori al-Kindī e al-Fārābī, anche Avicenna
considera Dio puro atto di pensiero: se tutto ciò che non è materia è intelletto, ciò che
necessariamente è puramente non-materia necessariamente è puramente pensiero che,
non dipendendo da alcun oggetto esterno, è unico oggetto della propria intellezione. Dio
non è soggetto a scissioni, al contrario è il termine ultimo del desiderio di tutte le cose. A
differenza di Aristotele, però, Avicenna sostiene che Dio conosca ogni cosa in sé, e non
sia disinteressato come sostenuto dallo Stagirita. Come e meglio ancora che in al-
Fārābī, l'aristotelismo si sposa con il neoplatonismo: Dio non ha “deciso” di creare:
l'emanazione è tanto inarrestabile quanto incondizionata. !
d) la discensione gerarchica: L’essere necessario è il grado supremo dell’essere che per
sovrabbondanza di sè effonde bene, ossia dona l’essere a tutte le cose che sono. La
molteplicità tuttavia non deriva direttamente da lui, ma dal suo primo effetto, un Intelletto
puro, necessario, che produce un secondo Intelletto creato che guardando Dio si vede
necessario, ma, essendo anche possibile, è in grado di relazionarsi all’altro, generando
un'Anima prima, a cui è sottoposto un corpo celeste che si muove di movimento perfetto,
ossia circolare. Questo corpo tende all'Anima, e si genera così, discendendo i gradi
gerarchici, una progressione di intelligenze che conoscendosi dapprima come
necessarie e poi come possibili producono anime e corpi celesti che si muovono verso
le prime. Questa architettura cosmica di mediazioni causali è costituita da dieci intelletti
successivi che generano ciascuno un'anima e un corpo, fino all'ultima emanazione,
quella che governa il cielo della Luna e la cui Intelligenza è l'Intelletto attivo separato,
che fa passare da potenzialità ad attualità le imperfette intelligenze inferiori degli
individui umani. Infine, i corpi visibili sono unicamente possibili e per nulla necessari,
destinati a dissolversi.!
!
L'accordo di filosofia e religione: Averroè (Ibn Rushd) !
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Averroè, vissuto in terra iberica, prende le mosse da Avicenna, sostenendo che fosse
necessario spogliare l'opera di Aristotele da ogni contaminazione platonistica e
neoplatonistica, come invece non aveva fatto, secondo lui, Avicenna, che non aveva
rispettato i confini tra teologia e filosofia. Averroè è sostanzialmente un concordista
riguardo fede e ragione, tra comprensione del Corano e analisi razionale della realtà
creata: questo accordo dipende dal riconoscimento reciproco dei rispettivi campi di
azione. !
a) divisione degli uomini: egli divide gli uomini in: fedeli, affascinati dalla retorica;
teologi, che dimostrano in maniera logicamente corretta, ma si limitano a partire
dalle sole parole del Corano; filosofi che invece realizzano vere dimostrazioni che
danno certezza. I falāsifa sbagliano quando intervengono su questioni non
determinabili scientificamente, in particolare riguardo alle dottrine sulla salvezza
ultima dell'uomo. Allo stesso modo, i seguaci del kalām non fanno il proprio mestiere
quando si sostituiscono ai filosofi riguardo alle verità naturali: il fine perseguito da
Dio è condurli al rispetto della sua volontà, non abolire, sostituendole, le indagini
della loro razionalità. I teologi piegano la parola rivelata in favore delle proprie
aspirazioni, senza poterla spiegare scientificamente, e da qui vengono a crearsi le
catastrofi del mondo umano come l'intolleranza, il fanatismo, le guerre di religione.
Ai filosofi spetta il compito di portare la ragione alle conclusioni determinate
necessariamente pemettendo agli uomini di convivere in pace. !
b) il contributo di Aristotele e le sue tesi: Aristotele, per Averroè, ha portato la
razionalità ai suoi massimi livelli, e per questo il suo dire è secondo solo al Corano.
Tuttavia, ha sostenuto anche posizioni gravi, contrarie alla verità della religione:
l'affermazione dell'eternità del mondo e la negazione dell'immortalità individuale.
Razionalmente parlando, Aristotele ha ragione nel dire che, dato che tutto ciò che
esiste, esiste a partire da altro, non possiamo risalire ad un primo momento, dunque
il mondo è eterno. Inoltre scientificamente è assurdo ammettere l’immortalità
dell’anima: la conoscenza individuale avviene nell’uomo grazie all’efficacia
dell’intelletto agente, separato e unico che si concretizza nell’attuazione di un
intelletto speculativo; nella misura in cui è contaminato dall’immaginazione
sensibile, tale intelletto speculativo è mortale. !
c) rapporto tra fede e ragione: dimostrata la veridicità scientifica delle tesi aristoteliche,
Averroè passa a sostenere che queste tesi solo in apparenza contraddicono la
Scrittura: infatti, la vera scienza e la vera teologia non sono mai contrastanti.
L'uomo, pur avendo riconosciuto come necessarie alcune verità, deve accettare la
fede, per la sua salvezza: SE LE VERITÀ SCIENTIFICHE CONTRASTANO CON
LA RIVELAZIONE È PERCHÉ DIO HA UNA CONOSCENZA DELLA REALTÀ
SUPERIORE A QUELLA DELL'UOMO. SE LA RAGIONE NON RAGGIUNGE
ALCUNE CONCLUSIONI È PERCHÉ LA VERITÀ È INESAURIBILE O PERCHÉ
L'UOMO NON È IN GRADO DI INDIRIZZARLA CORRETTAMENTE. Il pensiero di
Averroè consta dunque di tre dottrine specifiche: la necessità dell'essere; l'eternità
del mondo, corollario della dottrina della necessità dell'essere, il cui ordine non può
essere infranto; la dottrina dell'intelletto, per cui Averroè separa dall'uomo sia
l'intelletto attivo, reso divino già da al-Kindī e da Avicenna, sia l'intelletto potenziale,
unico per tutti gli uomini. La sua dottrina fu erroneamente interpretata come una
“doppia verità”.!
!
Il pensiero teologico e filosofico ebraico
Nonostante la diaspora, la comunità ebraica è riuscita a mantenere una base teorica
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grazie alla solidità della cultura rabbinica: un elemento fondamentale di coesione è stata
la redazione, a partire dal III secolo d. C., del Talmud, una illustrazione articolata della
Legge ebraica, la Torah, nel suo insieme e nelle sue applicazioni nella vita quitidiana. !
a) la prima fase + Sefer Yezirah: nella prima fase della speculazione talmudica, i
rabbini si sono astenuti da speculazioni sul divino, sulla creazione e sul destino del
mondo, per concentrarsi sull'aspetto giurisdizionale e narrativo della lettera della
Scrittura. Una prima riflessione sulla creazione si trova nel Sefer Yezirah, il Libro
della creazione, in cui sono esposte le 32 Vie della sapienza, princìpi formali che
traducono negli effetti l'atto divino, costituite simbolicamente dall'insieme delle
ventidue lettere dell'alfabeto ebraico e dalle dieci Sefirot, numeri primi mistici
corrispondenti alle dieci “parole” o “frasi” pronunciate da Dio nella Genesi. Le
trentadue vie sono i cardini dell'universo creato, poiché sono ciò che Dio ha scelto
per comunicarsi agli uomini: come la Bibbia è composta da lettere e numeri, così
l'universo è governato e organizzato da questi princìpi eterni, emanati da Dio. Il
Libro della creazione introduce nella riflessione teologica ebraica un primo
segno dell'aspirazione ad armonizzare i procedimenti con cui la ragione
studia la realtà e i misteri della Rivelazione. Come per l'Islam, l'approfondimento
razionale è necessario per attuare una difesa della fede dalle difficoltà dovute alla
diaspora e all'incontro con l'Islam stesso. !
b) Avicebron: la più importante testimonianza del platonismo teologico ebraico è un
dialogo tra Maestro e Discepolo, intitolato il Libro della fonte della vita, in latino Fons
vitae, scritto da Avicebron, in età moderna identificato con un poeta di Saragozza,
Shelomoh ibn Gebirol. La sua produzione poetica è esplicitamente di ispirazione
religiosa, mentre il Fons vitae è privo di citazioni bibliche, dunque è una
glorificazione di Dio puramente razionale. La materia universale e la forma
universale sono le prime creature, dalla cui unione scaturiscono tutte le realtà
composte: l'Intelletto, l'Anima, divisa in razionale, animale e vegetativa, e la Natura.
Questa concezione assume in Avicebron il nome di ilemorfismo universale: ogni
sostanza diversa da quella divina è il risultato dell'unione della forma universale e
della materia universale. La Volontà di Dio è la fonte della vita, la realtà ultima a cui
tutto tende. !
c) Mosè Maimonide: altro grande pensatore ebraico, nonchè medico e giurista presso
la corte di Saladino, fu Mosè Maimonide che scrisse in arabo e vide quasi
immediatamente tradotta in ebraico il suo libro La guida dei perplessi. I “perplessi”
sono gli interpreti della Bibbia che, avendo studiato le opere dei filosofi, non sanno
orientarsi nella costruzione della propria fede: in loro aiuto l'autore appronta una
sintesi di tradizionalismo talmudico, teologia rabbinica e riflessione filosofica greco-
araba, il cui scopo è educare i credenti a non perdere di vista i princìpi della
fede, ascendendo verso il significato allegorico del testo sacro. La premessa
necessaria ed indimostrabile di tutto il pensiero umano è che la Torah sia un dono
certo, libero e assoluto di Dio, storico in quanto compiuto sul monte Sinai. Tutto ciò
che la ragione può fare segue da questa premessa fondamentale: anziché fare
filosofia per poi sforzarsi di concordare le proprie conclusioni con la Bibbia,
OCCORRE FAR SCATURIRE LA FILOSOFIA DALLA BIBBIA. In sostanza,
“Aristotele non si è ingannato per tutto ciò che esiste al di sotto del cielo della Luna”,
ossia non sbaglia riguardo ciò che rientra nel suo ambito di competenza, la realtà
fisica visibile. Tuttavia la ragione naturale è debole, e deve farsi guidare dalla
Bibbia, utilizzando le conoscenze da essa derivata per verificare ogni passo
compiuto: Maimonide inserisce nella teologia negativa ogni considerazione
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scientifica sulla realtà della divinità. Al culmine della scala delle scienze c'è la
filosofia, in grado di intuire “l'esistenza dell'Essere primo che dà esistenza a tutto ciò
che esiste”: al di sopra di sé, la filosofia trova il proprio coronamento, che coincide
con l'inizio dell'ascetismo e della vera vita religiosa, poiché, conoscendo Dio, l'uomo
è in grado di amarlo.!
d) La Cabbala: con Maimonide la speculazione filosofica ebraica tocca il suo vertice, e
come alternativa a questa emerge sempre più la tradizione mistico-esoterica della
Qabbalah. La Cabbala, i cui inizi sono testimoniati dalla stessa composizione del
Libro della creazione, è una tradizione in senso proprio, cioè una dottrina trasmessa
nei secoli che ha come centro le singole lettere della Scrittura e soprattutto i Nomi di
Dio: la creazione, la contemplazione mistica, il ruolo dell'uomo nell'ordine cosmico
sono tutti temi scaturiti dalla sapienza di Mosè e degli altri profeti. Questa tradizione
è poi mutata per incalcolabili interferenze gnostico-magiche, fino a stabilizzarsi in un
modello classico, scritto probabilmente da Moseh di Leon nel XIII secolo. Questo
modello è un commento mistico al Pentateuco, da cui emergono i precetti
fondamentali che accompagnano l'uomo nell'unione con Dio. Grazie alla sua forte
valenza simbolica, la Cabbala ha resistito, essendo opposta ad ogni speculazione
razionale, al peso del tempo e ha continuato nei secoli ad ispirare gli esegeti.!
!
L’introduzione del pensiero greco e arabo-ebraico in Occidente: le traduzioni
latine!
1- La “marea crescente dell'aristotelismo” è stata in realtà un complessissimo intreccio di
relazioni e influssi, all’interno del quale le dottrine scavalcavano i confini politici e
religiosi delle diverse civiltà, il cui flusso crescente inizia dalla metà del dodicesimo
secolo, intensificandosi nei decenni di passaggio tra il dodicesimo e il tredicesimo secolo
e continua poi lungo tutto l’arco del tredicesimo. 2- I traduttori, dapprima in Sicilia, poi in
Spagna e in Francia meridionale, riversarono i propri lavori nelle biblioteche di tutta la
latinità, di modo che il nuovo sapere non fosse solamente filosofico o teologico, ma
fosse invece un sapere scientifico complesso, costituito tanto da opere originali quanto
da commenti. !
b) Gerardo da Cremona + Michele Scoto: tra i tanti traduttori forse il più influente fu
Gerardo da Cremona, che tradusse opere greche, arabe ed ebraiche completando
la traduzione latina dell'Organon e mostrando così ai lettori che Aristotele proponeva
una teoria della scienza come rigorosa dimostrazione a partire da premesse
necessarie e avente sempre oggetti universali. Infine, dopo le traduzioni del Menone
e del Fedone, tuttavia non circolati in maniera significativa, lo scozzese Michele
Scoto traduce i commenti di Averroè. Grazie alle opere di traduzione, il sapere
circola e si compenetra nonostante le diverse aree di provenienza e confessioni
religiose, creando così un florido terreno di confronto per gli studiosi di quei secoli.
Si intensificano inoltre i contatti diretti con l’Occidente Greco e i viaggi a
Costantinopoli di intellettuali filosofi e traduttori latini in cerca di testi originali.!
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a) Parigi: 1- Il nome di universitas studiorum risale all'inizio del secolo XIII per indicare
una realtà, all'inizio propria della città di Parigi, in cui il confluire di diversi istituti
diede vita ad una sorta di città scolastica e in cui la diversificazione delle
competenze dei maestri diede vita a diverse facultates (“possibilità” di scelta). Tra le
varie facoltà troviamo la Facoltà delle Arti liberali, di Diritto, di Diritto canonico, di
Medicina e di Teologia, ciascuna con i propri testi di riferimento (Aristotele,
Giustiniano, Graziano, Ippocrate, Il liber sententiarum del Lombardo). 2- L’università
era una istituzione fortemente comunitaria, in cui le iniziative personali erano assai
ridotte. Il Cancelliere era l'autorità principale, rappresentante del vescovo nella
scuola, e i suoi compiti principali erano quelli di tutelare lo svolgimento regolare
della didattica ed equilibrare i dissidi interni.
!
b) gli scontri del 1200: In seguito a scontri, nel 1200 Filippo Augusto stabilì che gli
studenti e i docenti delle scuole di Parigi dovessero essere giudicati solo da autorità
vescovili o universitarie, e nel 1215 si arriva alla solenne approvazione dei primi
statuti ufficiali dell’Università di Parigi da parte del cardinale Roberto di Courçon,
legato di Innocenzo III. Influenti saranno anche Oxford, da cui si staccherà
Cambridge, come Padova da Bologna, e Napoli (la prima fondata dal potere civile) e
anche nel resto d'Europa vengono aperte numerose università. !
1- Gli scontri sulla legittimità del proprio insegnamento scaturirono dall'incontro della
Facoltà di Teologia con quella delle Arti, a cui va aggiunto che fu quest’ultima la prima
depositaria dei nuovi testi provenienti dalla sapienza greco-araba. 2- Il risultato di questo
processo fu una riapertura, più drammatica, del problema del rapporto tra fede e
ragione. !
a)La pretesa degli artistae: 1- Poiché gli stessi artistae fecero un salto di qualità nelle
ricerche scientifico-filosofiche è evidente che per questo motivo si sentirono autorizzati a
sconfinare con le proprie indagini dall'ambito della natura a quello del soprannaturale. 2-
Gli artistae si sentirono inoltre autorizzati a imporre le regole fondamentali che ogni altra
disciplina, compresa la teologia, è tenuta a rispettare se vuole che ai suoi enunciati
venga riconosciuto valore scientifico.!
b)la risposta dei theologi: Si spiegano così le prime plateali prese di posizione dei
theologi, non soltanto riguardo le nuove fonti della scienza e del corpus aristotelico, ma
in particolare nel metodo di utilizzo di queste fonti. Nel 1210 fu vietato l'utilizzo, sotto
minaccia di scomunica, dei libri di filosofia naturale di Aristotele, per poi, con Roberto di
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Courçon, nel 1215, vietare anche la Metafisica, senza però proibire l'insegnamento delle
arti liberali: l’obbiettivo della censura non era l'aristotelismo in quanto tale, ma solo il suo
utilizzo in ambito teologico. Come conseguenza dei propri studi di arti liberali, tutti i
maestri di teologia conoscevano quelle discipline, e faticavano ad allontanarsene. !
c) l’ammonimento di Gregorio IX: nel 1228 papa Gregorio IX richiamava i teologi a non
“travalicare i confini fissati dai Padri”, invitandoli a “ricondurre tutte le dottrine a quella
regina” e a non comportarsi come teophantes, ciarlatani che spacciano vane opinioni sul
divino. La ripetuta censura dei testi aristotelici, in seguito riadottati ma solo dopo
un'epurazione dei concetti erronei, fornisce un quadro chiaro di quale fossero i pensieri
di chi aveva a cuore la cultura cristiana. I teologi cristiani aspiravano sì ad una
distinzione tra gli ambiti, ma comunque inseriti in una scala gerarchica, al cui vertice non
può che trovarsi la teologia. !
d) gli scontri del 1229: 1- nel 1229 ci fu una sospensione delle lezioni dovuta a scontri
tra cittadini e studenti, al termine della quale tutto il corpo docenti si unì per la libertà di
insegnamento. 2- Per risolvere la questione lo stesso Gregorio IX invitava i docenti a
fornirsi di propri strumenti: si fecero strada l'idea della fondamentalità della lectio biblica,
principio di ogni ulteriore acquisizione del sapere; l'idea, diffusa da Gilberto e dai
porretani, che in ambito teologico dovesse venire attuata una transumptio dei termini; e
l'idea, di origine abelardiana, che i contenuti della fede potessero essere organizzabili in
una struttura architettonica sistematica.!
c) Il loro merito: Il merito dei secolari parigini è di aver portato la concezione antica
della razionalità, posta al servizio della fede, alle nuove precisazioni metodologiche
divenute necessarie in seguito all'apparire di nuove e ancora indomate suggestioni
filosofiche: la ragione ha la possibilità di esporre le grandi problematiche del
pensiero cristiano, fornendo nuove soluzioni in base agli allora recenti sviluppi degli
strumenti filosofici.!
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La storia del termine transcendentalia, nonostante lo stesso termine comparve poi per la
prima volta alcuni anni più tardi nella Summa del domenicano Rolando da Cremona,
riguarda molti pensatori della scolastica, tra cui ricordiamo Guglielmo di Auxerre,
Guglielmo di Alvernia, vescovo di Parigi, e Filippo il Cancelliere. 1- Quest’ultimo è stato il
primo a trattare questo tema in maniera sistematica, sostenendo che i trascendentali
siano le “condizioni concomitanti dell'essere”, le nozioni più alte e universali: sia i più alti
tra i nomi divini sia i più generali tra i nomi creaturali. 2- I trascendentali CONSENTONO
ALLA MENTE DI ACCEDERE ALLA COMPRENSIBILITÀ DI CIÒ CHE SIGNIFICA
L’ESSERE. 3- Sono transcendentalia perché rappresentano il confine ultimo della
conoscibilità, al di là del quale c'è, appunto, la trascendenza, ossia l'inconoscibile. Per
Filippo i trascendentali sono ens, unum, verum e bonum; Guglielmo introduce anche il
pulchrum, di derivazione cosmologica dallo pseudo-Aeropagita; essi sono i termini ultimi
e il punto di arrivo di ogni astrazione umana. Guglielmo di Auxerre sostiene la necessità
di pensare l'esse puro come unum, e dalla sua identità con se stesso bonum, e
dall'identità tra unum e bonum fa derivare il verum. 4- In questo modo i maestri secolari
dimostravano che i trascendentali sono presupposti da ogni verità di fede, e quindi
condizionano ogni comprensione della Rivelazione: essi diventano il raccordo tra
teologia, etica e filosofia teoretica; difatti senza la corretta conoscenza dei trascendentali
non è possibile alcuna ulteriore conoscenza particolare. !
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f) la dottrina della luce: 1- sia nel suo Hexaemeron sia nell'esplicito Tractatus de luce,
Roberto sostiene che la luce sia la prima forma di tutte le cose ed è anche principio
di essere; 2- la sua creazione è stata il primo atto compiuto da Dio e da essa ha
avuto inizio la discesa matematicamente ordinata del resto di ciò che è stato creato.
3- Nella semplicità dell’atto luminoso si distinguono tre momenti: la lux, che esprime
la realtà dell'essere, lo splendor, che la diffonde e il fervor, che la riflette
distinguendola dalla sua fonte; 4- è una sostanza semplice e inestesa che si
diffonde per sua propria virtù secondo leggi geometriche e si unisce al secondo
principio, suo opposto, la materia prima, dando realtà all’alterità; con la creazione
del firmamento essa ha dato origine a spazio e tempo e ha segnato i confini
dell’universo. 5- Secondo Roberto, poiché conoscere significa partecipare alla luce
divina, Dio stesso è conoscibile come luce.!
Alberto Magno!
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non come un deposito di idee a cui attingere, bensì come un'espressione compiuta
dell'organicità stessa del sapere filosofico, dotata di una propria metodologia, la
logica. Nonostante questa concezione sistematica della filosofia sia orientata da
un’interpretazione ancora neoplatonizzante, favorita dall’influenza di Avicenna,
Alberto è convinto che proprio tale sistematicità sia il pregio fondamentale del
pensiero di Aristotele. !
b) prima studia teologia e poi filosofia: Alberto rappresenta una strana inversione di
tendenza riguardo all’andamento ufficiale degli studi: dapprima maestro di Teologia,
si dedica alla filosofia solo in seguito al suo trasferimento in Germania, da lui
considerata come propedeutica essenziale al sapere teologico. Nel 1259 la dottrina
aristotelica venne imposta come un iter di preparazione al sapere teologico. Alberto
non rinnegherà tuttavia mai il collocarsi della sapienza teologica quale punto di
arrivo di ogni evoluzione intellettuale umana.!
a) La metafisica e la logica secondo Alberto sono entrambe filosofie dei princìpi primi:
mentre la logica, però, li presenta come premesse e contenitori formali delle
successive articolazioni del discorso vero, la metafisica ha il compito di far
comprendere alla ragione le leggi immutabili che governano l’ordine naturale,
esplicitandole come cause naturali senza fare riferimento alla volontà divina. !
c) la realtà del miracolo e il rifiuto delle tesi di Avicebron: ammettendo la possibilità del
miracolo come una interruzione esterna (e non una alterazione come voleva
Lanfranco) della necessità naturale, Alberto consente che l’autonomia della filosofia
sia salvaguardata e che sia messa al riparo dall’errore teologico. Rifiuta l'idea di
Avicebron di un radicale volontarismo divino, che svaluta il sistema di cause
seconde su cui si fonda l'universo di Aristotele. Ma rifiuta soprattutto l'ilemorfismo
universale, poiché scade facilmente nell'immanentismo. Alberto è dunque in grado
di correggere filosoficamente la filosofia, attraverso una critica razionale.!
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a) la dottrina dell’anima: l’uomo è inserito nei processi causali del fatum. L’anima
vegetativa è in potenza nella virtus formativa del seme paterno e viene ad atto per
effetto degli agenti naturali, poi a sua volta l’anima sensitiva è in potenza in quella
vegetativa e si svilupperà non appena il feto avrà formato gli organi adatti. Tuttavia,
la funzione intellettiva non può derivare, come le altre funzioni, soltanto dalla
potenzialità della forma del proprio corpo, perché è dotata di libertà di conoscere e
di agire; di conseguenza la sua formazione in atto è dovuta all'intervento
dell'Intelletto primo, divino, che irradia nell'anima la propria luce. L'anima dunque è
in parte dipendente e in parte autonoma dalle diverse funzioni della corporeità.
L’anima, essendo unita al corpo, che la immerge nell’accidentalità spazio-temporale,
non può contemplare direttamente le forme, come fanno le intelligenze superiori.
L’intelletto agente dovrà dunque sollecitare nell’anima una disponibilità
rappresentativa interiore a ricevere le forme e ad attuarle in atti intellettivi particolari:
questa sua recettività si chiama intelletto passivo.!
c) il fine della conoscenza: l’esito finale di questa ascesi filosofica è una vera e propria
copulatio dell'anima con Dio. L’antropologia albertina si chiude con una perfetta
coincidenza di scienza filosofica e sapienza religiosa, nel compimento mistico di una
conoscenza che dovrà risultare perfetta sotto tutti e due i punti di vista. Ma tale
compimento è subordinato a un concedersi dell’Intelletto divino.!
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a) Il primo compito del teologo è per Alberto capire in quale modo la discesa della
Verità nell’anima dal principium della fede possa essere considerata come
un’acquisizione di conoscenza inalterabile, come una scientia. !
c) lo statuto della teologia: a differenza della metafisica in Teologia la causa prima sarà
sia causa efficiente sia fine ultimo. Nonostante la molteplicità di contenuti, la
teologia è scientia una in quanto Dio è causa unica, inizio e fine, e la circolarità del
vero che ne scaturisce assicura una perfetta sistematicità, adattandosi anche allo
schema descensio-reditus, fondamento delle teorie patristiche. !
d) conoscenza della fede = conoscenza del logos: La conoscenza della fede è per
Alberto la conoscenza del Logos, ed è quindi principio di una vera e propria logica
della verità, che consente ai credenti di essere i veri philosophi, il cui fine naturale è
di congiungere l’intellectus umano con il Logos (“doctrina ad perfectionem
intellectus ordinata). !
Bonaventura di Bagnoregio!
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c) la triadicità delle res: a proposito del senso letterale Bonaventura riprende una
teoria dello Pseudo Dionigi, il quale definisce la più evidente traccia di unitarietà del
vero nella universale composizione di ogni cosa in un’unità di essenza, potenza e
atto. !
e) la sintesi tra ragione e fede: il programma di sintesi speculativa tra ragione e fede di
Bonaventura ha come fine principale quello di portare la mente a comprendere
l’efficacia del messaggio salvifico notificato dalla Rivelazione.!
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fondata su una certezza che eccede ogni razionalità, ad avere il primo posto. La
Rivelazione è “subalternans”, mentre la teologia è subalternata.!
d) la filosofia deve essere subordinata alla filosofia: La filosofia può essere riconosciuta
come portatrice di verità, ma solo quando accetti di essere ridotta alla superiore unità
della teologia. Se la filosofia viene abbandonata se stessa, come dimostrato dagli
averroisti che proponevano molteplici “veri” in contrapposizione gli uni con gli altri, la
filosofia è foriera di errori. LA FILOSOFIA HA UN RUOLO SERVILE: prima deve essere
giudicata e corretta dalla fede, solo in seguito sarà strumento utile per rinforzare la fede
stessa. Il sapere profano, in generale, è utile solo se è a disposizione della Scientia
Christi e la vera filosofia, quella francescana, è una critica teologica della ragione.
“L’anima vorrebbe descrivere tutto il mondo entro di sè” ma senza la luce unificante di
Cristo non è in grado di cogliere neanche la verità di una singola cosa.!
a)Le otto Quaestiones disputatae de mysterio Trinitatis propongono, nel più rispettoso
utilizzo della struttura formale della disputa scolastica, un'esemplificazione della
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c) il termine di ogni desiderio nella primitas e il liber vitae: e sempre nella primalità
l’intelligenza finita riconosce anche il termine di ogni suo desiderio. Dunque al liber
naturae della razionalità e al liber scripturae della fede si aggiunge per l’intelligenza
credente il liber vitae, in cui si riconosce che la perfezione divina non è uno stato
acquisito ma una forza che si realizza eternamente in un dinamismo vivente che non
cessa mai. Il liber vitae è coincidenza di intelligenza e fede. !
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2) luce interiore (intra nos): il terzo grado è la ratio, il quarto è l’intellectus; la conoscenza
di Dio è descritta come imago.!
3) luce superiore (super nos): il quinto grado è l'intelligentia, mentre il sesto è la visione
della Trinità (in ipsa luce); la conoscenza di Dio è descritta come similitudo.!
Tommaso d’Aquino!
1- Tommaso è nato a Roccasecca dalla famiglia dei conti d’Aquino intorno al 1225. Nel
1244 Tommaso entra nell’ordine dei domenicani, seppur osteggiato dalla famiglia; è
allievo di Alberto Magno dapprima a Parigi e in seguito diverrà suo collaboratore
seguendolo anche a Colonia tra il 1248 e il 1252. Definito scherzosamente “bue muto di
Sicilia”, dovuto al suo carattere taciturno e alla sua mole imponente, Alberto avrebbe
profetizzato che il muggito della sua dottrina sarebbe presto risuonato in tutto il mondo.
2- Nella sua produzione teologica oltre ai numerosi commenti è importante la produzione
di summae. !
b) lettura della Bibbia attraverso le quattro cause aristoteliche: nel prologo del
commento ai Salmi Tommaso sottolinea la funzionalità della lectio biblica a
fondamento dello studio teologico fondandosi sulla teoria aristotelica delle quattro
cause: la materia è l'opera di salvezza, la causa efficiente è Dio stesso, la causa
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b)Sancti e philosophi!
Allo stesso periodo dello Scriptum super Sententiis appartengono due opuscoli filosofici,
il De principiis naturae e il De ente et essentia. !
b) Il De ente inizia con l'avvertimento di Aristotele secondo cui “da un piccolo errore
iniziale segue sempre un grande errore alla fine”: siccome, secondo Avicenna, i
primi concetti dell'intelletto sono l'ens e l'essentia, bisogna evitare di commettere
errori trattando questi due concetti per non causarne di più gravi in seguito.!
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⁃ L'essentia è la verità di ciò di cui si predica l’essere. Coincide sempre con una
definizione, se questa definizione è vera.!
⁃ L'ens è ciò che esiste ed è qualcosa (est et est aliquid) ed è l'essentia in atto.!
e) Dio: 1- Nessun ens è dotato di esse che realizzi pienamente la propria essentia, a
parte Dio: Egli è ens in forma totale e assoluta, senza alcuna potenzialità irrisolta e
possiede tutte le perfezioni che possono essere realizzate in atto nell’essere. L'essenza
di Dio non è altro che il suo essere. 2- Di conseguenza Dio non è l'essere universale che
fa essere le altre cose, poiché è essere che realizza tutta la sua essenza in atto e non
ha bisogno di aggiungere alcunché al suo essere.!
f) gli accidenti: Tommaso passa poi a studiare l'essenza degli accidenti: dato che anche
di essi viene predicata una definizione, devono avere un'essenza. Nella definizione
dell'accidente, però, deve venire inserito anche qualcos'altro, poiché l'accidente esiste
sempre in quanto inerisce a una sostanza. Quindi ogni definizione di un accidente sarà
incompleta: l'essere di un accidente è una determinazione esistenziale in atto,
un'esistenza, non un'essenza: l'accidente non è ontologicamente autonomo.!
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d) divisione della Summa contra Gentiles: la Summa si divide in quattro parti, di cui le
prime tre, dedicate rispettivamente a Dio in sé, al rapporto tra Creatore e creato e
infine alla relazione tra Dio come Bene e la vita morale, aprono la strada alla quarta,
in cui sono affrontati direttamente i misteri della Rivelazione. Se la ragione ha
anticipato la fede nelle prime tre parti, nella quarta non basta più e si fa superare
dalla fede, come nell'allegoria dell’Eriugena di Matteo e Giovanni. Dall'esistenza di
Dio sgorgano tutte le altre condizioni della sua conoscibilità: se è motore è
immobile, se è immobile è eterno, se è eterno è privo di potenzialità, se è privo di
potenzialità è privo di materia, se è privo di materia è puro spirito, se è puro spirito è
privo di passività. !
e) parlare di Dio per via analogica: come insegna lo pseudo-Dionigi, sia il discorso
rivelato, sia quello filosofico possono parlare di Dio soltanto presupponendo una
radicale alterazione del valore semantico originario dei termini che utilizzano. Dal
momento che sussiste una qualche somiglianza tra Dio e le cose che giustifica la
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b) una nuova dottrina antropologica: Tommaso elabora una dottrina antropologica che i
suoi stessi contemporanei celebreranno come nuova, anche se profondamente
ispirata al pensiero aristotelico. Questa dottrina è coerentemente fondata sui temi
portanti della sua metafisica: la materia signata come principio di individuazione, il
rifiuto dell’ilemorfismo universale e la composizione universale di essere e atto di
esistenza.!
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f) Anima e corpo: Anima e corpo non sono due sostanze accidentalmente unite ed
esistenti anche quando sono separate, ma sono i principi costitutivi dell’unitaria
sostanza individuale esistente in atto. Le diverse facoltà dell’anima sono potenze di
un’unica forma. Senza questa unicità e complessità della forma l'uomo non sarebbe
individuo, se venisse cioè considerato come corpo a sé stante a cui viene aggiunta
in seguito l'anima. L'unione di anima e corpo avviene nel ventre materno. E
l'astrazione, opera dell'intelletto agente, è ciò che consente all'anima di elaborare gli
universali. !
d) le cinque vie: la prima parte della Summa tratta di Dio secundum quod in se est: la
filosofia, riguardo ai preambula, è in grado di dimostrare l'esistenza di Dio
scientificamente, e Tommaso lo mostra, con le sue cinque viae, nella seconda
quaestio della prima parte, in una sezione chiamata “utrum Deus sit”.!
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1) La “manifestior”, la più evidente, è la via del moto: ogni cosa che si muove passa
dalla potenza all'atto, dunque non può muoversi da sé, ma è sempre mossa da qualcosa
che è già atto; non si può retrocedere all'infinito perché se non ci fosse un primo motore
non ci sarebbe neanche un secondo motore; è razionalmente necessario dunque che ci
sia un motore non mosso, che sia solo atto e non potenza, e tale è Dio.!
2) La via della causa efficiente: tutte le cose sono sottoposte alla causa efficiente di
qualcos'altro, ma nessuna può essere causa efficiente del proprio essere; anche qui non
si può retrocedere all’infinito perchè se non ci fosse una causa prima non ci sarebbe
neppure una causa media, dunque è necessario ammettere che ci sia una causa prima
e questa è Dio.!
3) Possibile e necessario: alcune cose sono possibili, cioè possono essere o non
essere. Ma se tutto fosse solo possibile bisognerebbe ammettere un momento in cui non
c'era nulla; ma l'essere scaturisce solo dal qualcosa, dunque qualcosa di necessario c'è.
Le cose necessarie possono avere la propria necessità da altro o da se stesse, e se
esistessero solo cose necessarie da altro si ricadrebbe nel regresso all’infinito, dunque è
necessario ammettere che ci sia qualcosa di necessario da sé, cioè Dio.!
4) I gradi delle cose: Le cose sono più o meno vere, buone etc. Il più e il meno sono tali
se si riferiscono all'allontanarsi o all'avvicinarsi a qualcosa che è il massimo modo,
dunque c'è qualcosa che è massimamente buono, vero etc. Ciò che è massimo in
ciascun genere è la causa dell'appartenere a quel genere delle cose che vi
appartengono, allora l'ente massimo è la causa dell'essere, dunque Dio è causa
dell'essere.!
5) Il governo delle cose: tutte le cose create seguono un fine, lo scopo della propria
natura, la compattezza in una pietra o il calore nel fuoco; Le cose prive di conoscenza
tendono a un fine perché qualcuno, dotato di conoscenza, le orienta, come una freccia
che raggiunge il bersaglio perché qualcuno la scocca; l'arciere supremo, dotato di
intelligenza, è Dio.!
Questo è il massimo a cui la ragione giunga da sola: dimostra che Dio esiste, dunque,
ma non ce lo fa conoscere. Può, ancora, predicare di Dio dei termini secondo
quell'analogia già indicata nella Summa Contra Gentiles. La teologia di Tommaso viene
vista come una “Teologia dell'Esodo”, cioè in riferimento al passaggio dell'Esodo in cui,
alla domanda su chi fosse Dio risponde: “Ego sum qui sum”. Un nome che più che
svelare nasconde e che rende evidente la nostra incapacità di formulare giudizi compiuti
sull'oggetto della ricerca teologica. La frase è semplice quanto oscura: è evidente la
connessione tra soggetto e oggetto ma la conoscenza di essi è velata forse
impenetrabilmente. Tommaso scrive che il nome di Dio è il massimo dei nomi perché
indica l'essere stesso, è universale, con-significa ogni cosa.!
a) è possibile la teologia come scienza? La domanda ultima a cui Tommaso deve dare
risposta è la domanda sul subiectum della teologia, sul suo perché e sul suo essere
scienza. E' possibile una scienza del credibile? In quale misura è poi possibile
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chiamarla scienza? Queste domande son importanti perché dalla loro risposta
dipende la possibilità di inserire la teologia nel novero aristotelico delle scienze. La
scientificità della teologia si articola, per Tommaso, in: 1) ricerca del principio
fondativo; 2) subalternazione della teologia; 3) specificità del metodo. Tommaso sa
che è scienza solo ciò che concerne verità universali e che queste verità sono
regolate e sancite dal rispetto delle regole che Aristotele ha posto per definire una
scienza come tale. Tuttavia, solo la matematica e la logica non includono elementi
tratti dall'esperienza: tutte le altre discipline sono legate al particolare, dunque
bisogna variare il modello di scienza perfetta. !
b) la fede come principio fondativo della teologia: come i tre princìpi logici che
dominano la logica aristotelica, in teologia la funzione di elementi per se noti viene
svolta dagli articoli di fede. La fede ricalca il ruolo che nelle altre discipline spetta ai
princìpi fondativi, il che equivale a dire che la fede è il principio fondativo della
teologia. !
d) Particolarità del metodo teologico: il metodo della scienza teologica dunque sarà
singolare e ad essa ristretto: le sarà perciò lecito utilizzare procedimenti non
utilizzati in altri ambiti (come la metafora o l'allegoria). Inoltre teologia il particolare
non è il singolare, ma l'esemplare: un avvenimento eccezionale e unico come un
miracolo non è universale in un senso fisico-attuale, ma in un senso esemplare,
come universali sono gli esempi nelle discipline morali. !
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c) Dio come oggetto e soggetto della teologia: Dio dunque è sì l'oggetto della scienza
teologica, ma è anche il soggetto, perché fa sapere e sa ciò che deve essere saputo
su se stesso. E' la teologia a tornare regina disciplinorum, ossia la regola su cui si
basa la veridicità delle altre discipline, orientandole e determinandole. !
a) Critica a Tommaso: Enrico, per attuare una ricostruzione dell’intera architettura della
scienza teologica, deve descrivere più accuratamente che cosa sia l'essere. Questa
tematica viene affrontata nella nona quaestio del suo primo libro Quodlibet,
disputato nell’inverno del 1276. La distinzione metafisica di esse per se ed esse per
aliud è emersa nel pensiero dei primi secolari. Con intenti chiarificatori, Tommaso ha
poi creduto di correggere questa impostazione iniziale con l’introduzione di essenza
ed ens, ossia di essenza in sé ed essenza in atto. Enrico critica Tommaso per la
possibilità di intendere i due concetti come due res separate, l'una necessaria e
l'altra possibile: questo porta ad un necessitarismo deterministico che limita la
libertà divina e umilia le creature, che alla luce della vera metafisica cristiana
devono invece essere concepite come res dotate di piena dignità ontologica, una
per una volute da Dio come esito singolare e irripetibile della sua onnipotenza. !
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autentiche di essere: l'essere in sé, Dio, e l'essere come Dio ritiene che sia giusto
che sia, il creato. Dio è l'essere che è per il solo fatto di essere (aliquid quod est
ipsum esse), mentre le creature sono perché l'essere viene loro attribuito (aliquid cui
convenit esse). In Enrico di Gand l'essere dunque non è univoco, bensì ha due
modi, altrettanto validi, di essere inteso, diversamente da tutta la tradizione. Ma se
non è reale, la distinzione di essenza ed esistenza è soltanto un’operazione di
ordine conoscitivo, ossia è una distinzione intenzionale: è l’intelletto che separa due
percezioni dirette del contenuto essenziale della res come sue note costitutive.
Infatti anche nel momento della creazione Dio pensa l'essenza e l'esistenza di ogni
creatura come due intentiones, pensando così prima l'essenza e poi portando ad
atto l'esistenza con la propria volontà creatrice.!
Per conoscere la verità delle cose create l’intelletto umano deve poter cogliere
direttamente la corrispondenza della loro essenza con l’idea divina da cui essa deriva.
Affinché l'uomo possa conoscerle è dunque necessario un intervento divino: Enrico di
Gand dunque giustifica filosoficamente la dottrina dell'illuminazione, che non è, come
ritengono i francescani, una funzione regolativa del pensiero umano, ma un
orientamento aprioristico della conoscenza e dell'agire umani, consentito da una mistica
congiunzione dell’anima con il verbo: Enrico le dà il nome di illustratio specialis e la pone
a fondamento di un assoluto realismo conoscitivo, in cui interiormente si verifica sempre,
grazie all'intervento divino, la convergenza di nozione della cosa sensibile e nozione
dell'essenza di quella cosa. Ogni scienza è tale nella misura in cui nel suo specifico
ambito di conoscenze è assicurata dall’illustratio specialis la coerenza tra le verità da
essa formalizzate nell’intelletto e la legge eterna degli universali divini.!
1- Enrico spiega, con la dottrina della illustratio specialis, il motivo dell'inadeguatezza dei
criteri epistemologici dell'aristotelismo, fondati sull'astrazione e quindi validi solo per le
scienze naturali. 2- La teologia, invece, è una scienza aperta da un'illuminazione
superiore, e dipende interamente dalla fede nella Rivelazione, in cui è il subiectum
stesso della scienza, Dio, a darsi. In questa particolare condizione, il dato acquisibile a
posteriori (il dato scritturale) e quello acquisibile a priori (la nozione che Dio ha di se
stesso) coincidono con certezza, perché è Dio stesso a fornirci il primo. 3- La teologia è
la regola di tutte le inferiori acquisizioni di conoscenza scientifica, in quanto assicura
coerenza e veridicità a tutte le scienze inferiori; essa è superiore alla fede, perché
integra il credere con un intelligere garantito dalla illustratio specialis; La teologia è
dunque una scienza assolutamente veridica, non differenziata dalla conoscenza
scientifica, inserita in uno schema valevole in entrambi i sensi: da un lato illumina le
conoscenze inferiori orientandole verso la verità dei suoi oggetti finiti e particolari,
dall'altro la sua conoscenza è predisposta dalle stesse scienze inferiori che illumina. LA
SCIENZA TEOLOGICA HA IL COMPITO DI RENDERE INTELLIGIBILIA I CREDIBILIA
DELLA FEDE (come vuole Bonaventura) e permette all’uomo di partecipare della verità
divina. La teologia è “simpliciter speculativa” come secondo Aristotele soltanto la scienza
divina può essere. !
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a) ripresa delle tesi di Agostino: il progetto filosofico di Egidio Romano consiste nella
fondazione di un sapere autenticamente agostiniano ma reso solido dalla ragione
filosofica, che Tommaso ha contribuito in maniera essenziale a rendere compatibile
con la fede. Agostino va dunque confrontato con le nuove prospettive filosofiche con
le quali il vescovo di Ippona non aveva potuto confrontarsi. Si tratta dunque di
rivalutare l'esasperato aristotelismo confrontandolo con l'esemplarismo
platonizzante che sta alla base della filosofia di Agostino. !
c) E' la gnoseologia di Egidio, tuttavia, la componente più importante della sua opera.
Per lui, la conoscenza vera è il giudizio sulla composizione reale di essenza ed
esistenza in ogni essere. Ma l'uomo non può conoscere questa composizione, può
solo rappresentarne diversi gradi di manifestazione, in quanto solo Dio può
conoscere pienamente l'esistenza dell'essenza. Nell’uomo, il cui conoscere muove
sempre dall’esperienza del singolare per passare all’astrazione dell’universale, LA
PERCEZIONE DELL’EFFETTIVO ESISTERE DELL’ESSENZA È POSSIBILE
SOLTANTO ATTRAVERSO LA MEDIAZIONE DEL SENSO CORPOREO: dunque è
impossibile per l’uomo cogliere la composizione effettiva di essenza ed esistenza in
una determinata res. !
e) i limiti delle scienze: come per i singoli atti conoscitivi, anche le scienze non
possono raggiungere una conoscenza piena, e così neppure la metafisica o la
teologia, poiché si rifanno tutte alle capacità conoscitive ridotte del conoscente.
Egidio sostiene l'erroneità di pretendere di fare di Dio il subiectum della teologia,
come se fosse una res conoscibile. !
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affectiva. Inoltre è sia speculativa sia pratica. Dio non è l'oggetto di una scienza
finita in senso aristotelico. la natura di scienza affectiva colloca d’altra parte la
teologia al di sopra di tutte le altre scienze e ne proietta senz’altro gli esiti in una
prospettiva escatologica, in quanto solo nella beatitudine l’amore per Dio potrà
giungere a un grado di compimento tale da colmare i limiti propri della conoscenza. !
⁃ Il dibattito e le condanne
Il dibattito riguardo alla spregiudicatezza intellettuale dei colleghi delle arti caratterizza
la produzione di buona parte degli scritti dei docenti della Facoltà di Teologia tra gli
anni 60 e 70 del Duecento. !
⁃ c) la condanna del ’70: nel 1270 Stefano Tempier, vescovo di Parigi, con un decreto
vietava l'insegnamento di 13 tesi di ispirazione averroistica, riguardanti tre temi:
eternità del mondo, determinismo e negazione della Provvidenza, unicità dell'intelletto
umano. La condanna riguardava in particolar modo l'attività didattica degli artistae, i
maestri di arti liberali, propugnando l'idea che vi fossero alcuni ambiti riservati soltanto
allo studio dei teologi. Allo stesso modo, però, cercava di contrastare la tendenza di
alcuni teologi a manifestarsi troppo aperti nei confronti di alcune posizioni, in
particolare dell’aristotelismo. !
⁃ e) la condanna del ’77: Papa Giovanni XXI, al secolo Pietro Ispano, incaricò Stefano
Tempier di stilare una lista degli errori commessi dagli artistae: il 7 marzo 1277 il
vescovo pubblicò una lista di 219 proposizioni considerate erronee che se professate
avrebbero portato alla condanna per eresia. La condanna era rivolta a tutti gli artistae
che “ardiscono travalicare i limiti spettanti alla loro Facoltà”, affermando una generale
contraddizione tra verità della fede e verità filosofiche. Erano inoltre condannati il De
amore di Andrea Cappellano, sull'amor cortese, ossia extraconiugale, e altri libri di
geomanzia e negromanzia.!
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⁃ L’uomo: L’uomo è libero solo per la debolezza delle capacità di giudizio della
razionalità. L'anima è la forma del corpo e il suo compito massimo è vivificarlo: il
grado massimo dell’anima è quella cogitativa che entra in contatto con l'ultima
intelligenza separata, l'anima intellettiva, che comprende intelletto passivo e intelletto
attivo. !
a) gli aristotelici non operano il confronto con il dato rivelato: Gli aristotelici delle Arti
rivendicano il diritto a operare con la pura razionalità senza mai subordinare gli esiti
a imposizioni esterne alle esigenze della scienza. Dal silabo di Tempier traspare la
preoccupazione che verità per rivelazione e verità per dimostrazione possono
comparire contraddittorie, ma questa posizione però non trova riscontro negli scritti
di Sigieri o di Boezio. !
c) Boezio e il dato rivelato: Boezio si spinge oltre: egli infatti sostiene che non c'è
nessuna contraddizione tra verità di fede e verità dimostrata; ciò che può essere
solo oggetto di fede non può essere indagato con la ragione, mentre ciò che viene
indagato con la ragione va rispettato come tale nel suo ambito. Ha ragione il
credente che dice che il mondo ha avuto inizio, ma ha anche ragione il naturalista
che dice che questo non è possibile secondo le leggi naturali: il mondo ha avuto
inizio semplicemente perché Dio, al di sopra delle leggi naturali, ha voluto così. Le
conclusioni di ciascuna scienza devono essere relative esclusivamente alla natura
dell’oggetto che le è peculiare, in quanto proprio tale natura determina il suo metodo
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Ruggero Bacone!
Un nuovo punto di vista nel panorama teologico, reso arido dalle continue controversie
di scuola, è Ruggero Bacone. Inglese, francescano spirituale, nato nel 1214, il suo
programma teoretico consiste in una totale reformatio di tutti gli ambiti della conoscenza
cristiana: filosofia, scienza e teologia. Ruggero identificava sette peccati nella teologia a
lui contemporanea:!
1) l'introduzione del metodo filosofico, proprio degli artistae, nelle trattazioni teologiche;!
2) l'ignoranza delle vere scienze utili allo studio della Scrittura (greco, ebraico,
matematica, retorica, ecc.)!
7) la mancanza di una vera eloquenza, sostituita dalla verbosità dei sermoni universitari.!
In primo luogo è errato aver fondato il sapere sull'astrazione, che, pur essendo utile,
allontana chi conosce dalla verità immediata di un oggetto comunicata dai sensi. Un
altro errore consiste nel pensare l'esistenza degli universali e della forma e della materia
universali. Dall’errore primordiale del peccato originale sono scaturiti i tre principali
offendicula sapientiae: il falso principio dell’auctoritas, la comoda regola della traditio,
l’ignava adesione alla communis opinio. !
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c) i limiti della scienza morale: ma proprio nella scienza morale la razionalità assapora
la coscienza dei propri limiti e l’incapacità di ricongiungere l’uomo con la pienezza
del conoscere divino: l’apprendimento dell’impossibilità di comprendere e
conseguire la vera felicità è l’esito di questo percorso. !
d) la teologia: la teologia viene definita regina delle scienze, proprio perché è garantita
nelle sue certezze dalla veridicità divina, finendo così con l’estendere la propria
giurisdizione sull’intero edificio. Inoltre è autenticamente intuitiva e congiunge le
proprie premesse con le proprie conclusioni. !
e) il ruolo della Scrittura: da una corretta penetrazione della verità della Scrittura dovrà
muovere i primi passi la nuova sapienza umana. Le scienze filosofiche e il diritto
canonico offrono gli strumenti complementari al sapere teologico, oltre che la
conoscenza dell’Ebraico e del Greco e la comprensione del contesto giuridico-
storico della narrazione. Il perfezionamento conoscitivo, con simmetria inversa ai
sette peccati della Teologia delle scuole, è una scala di 7 gradi fino all’ascesi
mistica.!
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b)teologia e filosofia!
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a) oggetto e limiti della metafisica: Dun Scoto riconosce che la filosofia abbia pieno
diritto a giudicare l’ambito di conoscibilità naturale dell’essere. Negli ultimi decenni
del XIII secolo venne sottratta qualsiasi pretesa della filosofia di formulare giudizi
sulla felicità ultraterrena, restituendo così piena validità alle questioni filosofiche
sulla speculazione naturale. Dun Scoto riprende Avicenna, per il quale l’oggetto
della metafisica è l’essere in quanto essere, in quanto assicura alla metafisica uno
statuto scientifico distinto e peculiare. La metafisica potrà anche parlare di Dio ma
senza essere portatrice di preambula fidei e senza dover essere sottoposta al vaglio
della regula fidei; potrà ad esempio dire che Dio razionalmente è prirum rerum
omnium principium. !
c) l’essere: l’essere è coestensivo alla ragione, tutto ciò che la ragione conosce è
essere e la ragione può conoscere tutto ciò che è. L’essere di conseguenza è
univoco. La via analogica non è possibile perché non si ha realmente conoscenza
dell’essenza divina e si rischierebbe di introdurre in Dio analogiche imperfezioni.
Inoltre non consente l’argomentazione per via sillogistica. L’essere è colto dalla
metafisica scotiana in tutta la sua univocità, rappresentata dal piano logico, fisico e
metafisico. Si estende dunque a tutto ciò che è ed è il concetto primo dell’intelletto.!
e)l’essere infinito!
Se l’essere univoco comprende le proprietà più generali sia dell’essere finito che di
quello infinito, allora l’esplorazione metafisica degli attributi di Dio dovrà direttamente
puntare sulla considerazione stessa dell’ens infinitum (a priori). !
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c) possibilità della sua esistenza: proprio tale perfetta intelligibilità sostiene il secondo
momento, che consiste nell’interrogarsi sulla possibilità della sua esistenza. La sua
pensabilità significa pensarlo come causa efficiente assoluta, fine ultimo e
perfezione: tre momenti distinti di un unico processo che parte dalla pensabilità
relativa dell’essere finito che scopre di doverla subordinare alla pensabilità assoluta
dell’essere infinito. Ad esempio l’esistenza di graduabili perfezioni rinvia in modo
persuasivo alla perfezione in sommo grado. !
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evento alternativo all’ordine del creato. Ogni determinazione dell’essere dipende dal
fatto che Dio la vuole. !
e) nuova concezione della scienza: Duns Scoto può dunque capovolgere il paradigma
scientifico inaugurando una nuova concezione di scienza, orientata a una
considerazione probabilistica ma intenzionale e possibile dei fenomeni; OGGETTO DI
QUESTO TIPO DI SCIENZA SARANNO LE RELAZIONI DI COMPOSSIBILITÀ TRA LE
RES ESPRESSE MEDIANTE PROPOSIZIONI COMPLESSE LA CUI EVIDENZA È
SOSTENUTA DALLA SEMPLICE INTUIZIONE. In questa nuova concenzione della
natura contingente l’entità materiale ha una sua predisposizione a essere formata da
tutte le possibili forme che entrano in combinazione con essa. Le diverse forme possono
essere sottoposte a misurazione all’interno del composto, i cui elementi costitutivi sono
distinguibili perchè rispondono a definizioni diverse e svolgono funzioni diverse, ma non
sono distinti in modo reale perchè la loro realtà è qualcosa di unico e inseparabile. Tra
gli elementi costitutivi di ogni cosa c’è una distinctio formalis.!
La volontà umana, il cui fine è raggiungere Dio, agisce con autentica libertà a partire
dalle informazioni conoscitive provenienti dall’intelletto. L’atto volontario è il modo
autonomamente razionale di una potenza capace di scegliere tra oggetti distinti e anche
opposti; non vi è alcuna dipendenza necessaria dalla sfera intellettiva, perché nel suo
tendere al bene infinito attraverso beni particolari non è obbligata a rispettare una
graduatoria imposta dall’intelletto nel riconoscimento di una maggiore o minore dignità
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Anche sul piano morale vi sono due legislazioni: la legge naturale corrispondente alla
potentia ordinata, e la suprema legge divina corrispondente a quella absoluta. La
Rivelazione guida la volontà nel suo perfezionamento: dal rispetto della legge naturale
(perseguire sempre il bene) a quello della legge divina, che aiuta l’uomo con normative
superiori (il decalogo e il comandmento dell’amore a Dio e al prossimo) a orientarsi nella
scelta dei beni particolari. Solo la Rivelazione può mostrare la loro maggiore o minore
coerenza con il Bene supremo.!
Gugliemo di Ockham
a) Il “Venerabilis Inceptor”
Definito “Venerabilis Inceptor” poichè non ha mai conseguito la licenza magistrale in
teologia, tenne lezioni allo studium generale francescano di Londra dal 1321 fino al 1324
quando fu convocato ad Avignone per difendersi dall’accusa di eresia da parte di
Giovanni Lutterell, il quale aveva composto un “Libellus contra doctrinam Guglielmi”,
denunciando grave devianze dottrinali: Guglielmo sottraeva infatti ogni oggettività al
fondamento universale dei giudizi scientifici, ridotti a vuote strutture mentali prive di
corrispondenza con la realtà naturale. La difesa di Guglielmo verteva sul rimprovero ai
suoi avversari di fare cattivo uso delle regole logiche. Ad Avignone l’incontro con Michele
da Cesena fu determinante ai fini della sua conversione all’ordine degli Spirituali e alla
causa della povertà apostolica. Nel 1328 contestualmente al verdetti di eresia di 7 degli
articoli incriminati, Ockham fuggiva con i confratelli più coinvolti e raggiungeva
l’imperatore Ludovico il Barbaro a Pisa, seguendolo poi a Monaco. In questa città spese
quasi un ventennio nell’elaborazione di un’ampia trattatistica teologico-politica sulla
povertà e sul confronto fra potere pontificio e imperiale. Morì nel 1347.!
La sua riflessione logica parte dal presupposto che il fondamento della corrispondenza
tra il significare mentale e il significato extra-mentale è da ricercare nella corrispettiva
singolarità dell’elemento concettuale atomico. Lo studio della Logica comincia con quello
dei significanti, immediati e semplici, nel quale va ricercata la condizione di
corrispondenza tra pensiero, linguaggio e realtà. !
a) la teoria della conoscenza: Guglielmo comprende, come Duns Scoto, come soltanto
l’intuizione possa essere preliminare a ogni acquisizione del sapere. Ma a differenza
di Scoto ritiene che non soltanto è evidenza intuitiva la percezione diretta della
presenza esterna dell’oggetto, ma anche i propri atti interiori, le operazioni
intellettuali e i moti immediati dell’anima. E in questa sfera dell’interiorità intuitiva
primeggiano i principi primi logici: A è A; A è diverso da -Non A; Oltre A e -Non A non
è possibile un terzo. Dai principi primi scaturiscono per via deduttiva anche
proposizioni universali necessarie, oggetto immediato della scienza ed evidenti; !
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differenza tra i due tipi di conoscenza riguarda soltanto l’habitus da parte del
soggetto di cogliere l’oggetto, non la diversità dell’oggetto. !
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affermazione di un primato dell’individuo, che opera un taglio netto nei confronti del
rigido ordinamento esemplaristico.!
La logica è lo strumento per conoscere l’opera di Dio. Non si danno se non res singolari,
con proprietà individuali, contingenti, che costituiscono un mondo aperto a molteplici
possibilità. Questa logica porta Ockham a un’innovativa concezione dell’essere tale da
demolire le elaborazioni scientifiche e metafisiche che l’hanno preceduto. Quest’opera di
demolizione prende il nome di “rasoi di Ockham” e si tratta di due principi che lo hanno
costantemente guidato nella sua riforma del pensiero umano e dunque governano la sua
m e t a fi s i c a c o m e l a s u a t e o l o g i a : I L P R I N C I P I O D E L L’ A S S O L U T E Z Z A
INCONDIZIONATA DELL’ONNIPOTENZA DIVINA E IL PRINCIPIO DELL’ECONOMIA.
Poichè Dio può tutto e poichè Dio è il Sommo Bene “frustra fit per plura quod potest fieri
per pauciora” e poi questo enunciato è corredato da numerosi altri, tra cui ad esempio
“non si deve porre alcuna pluralità se non è necessario”. Il più conosciuto è certamente il
seguente: “entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem”!
La scienza non può più essere concepibile come l’esito di un’adaequatio rei et
intellectus, ma è sempre soltanto la formulazione di un discorso sulla verità delle
proposizioni. E verità e falsità dipendono soltanto dalla relazione della proposizione con
il modo di essere della cosa. La scienza nasce dall’assenso alla verità di una
proposizione e si ha scienza solo nel caso di proposizioni singolari. Tuttavia la scienza
non concerne i singolari in quanto mutevoli, ma le intenzioni dell’anima che suppongono
per le cose corruttibili, ossia universali che suppongono per i singolari. Gli universali
restano comunque meri prodotti della mente. Si dovrà distinguere tra le scienze reali,
che risultano da termini che suppongono per realtà extramentali, e le scienze mentali,
che risultano da termini che suppongono per concetti e altre intenzioni della mente. La
scienza deve avere carattere di necessità e procedere per via deduttiva. !
Ockham si domanda se sia possibile costruire una scienza del divino, che rispetti le
medesime regole vigenti per le scienze naturali. Ockham rifiuta la proposta scotista di
considerare scienza la theologia in se. Mentre invece la theologia nostra, che è l’unica
teologia possibile, è esclusivamente ricondotta a dipendere dalla conoscenza della
Rivelazione. La domanda inziale si risolve in quella se sia possibile avere una
conoscenza evidente del dato rivelato; è chiaro che le verità della Rivelazione non sono
evidenti nè per se, nè per experientiam. Inoltre per il principio di economia è impossibile
che Dio abbia proposto all’uomo come oggetto di fede qualcosa che potrebbe essergli
noto in modo evidente anche per altra via. Vi sono tuttavia per il credente, oltre le
conoscenze offerte dalla Rivelazione, conoscenze di ordine teologico che possono
essere riconosciute come necessarie. Sono predicazioni teologiche posteriori alla fede,
che supponunt pro Deo, dicono cioè qualcosa di dicibile su Dio. La teologia, non è
comunque scienza, ma è qualcosa di più della scienza stessa: è una conoscenza di
ordine sapienziale. Dio non è conoscibile da parte degli uomini, tuttavia l’uomo ha avuto
in dono la Sacra Scrittura, che sola indica le vie per parlare veramente di Dio, e per dare
al termine Dio una capacità suppositiva esplicabile in un discorso sul suo significato. !
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