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Edoardo Coppi

“Rapporto ragione e fede: dall’antichità ad oggi”.

“Sia in Oriente che in Occidente, è possibile ravvisare un cammino che, nel corso dei secoli, ha
portato l’umanità a incontrarsi progressivamente con la verità e a confrontarsi con essa” 1. Queste
parole di Giovanni Paolo II si riferiscono ad un percorso di ricerca che l’uomo ha compiuto nella
storia tentando di risolvere problemi relativi al senso della sua esistenza e della realtà che lo
circonda: “Chi sono? Da dove vengo? Cosa ci sarà dopo questa vita?” 2. Diversamente dagli animali,
che vivono guidati dal solo istinto di sopravvivenza, l’essere umano, in quanto dotato di un
intelletto pensante, si pone interrogativi che aumentano in modo proporzionale alle ricerche che fa,
partendo dall’esperienza a contatto con il reale.

Di fronte alla “questione seria”3, come direbbe il teologo Vohn Baltassar, che riassume in sé le tre
domande fondamentali precedentemente citate, l’uomo risponde affidandosi alle due “ali” 4 che gli
son donate grazie alle quali può spiccare il volo verso la Verità: ragione e fede.

Il “Conosci Te stesso” affonda le sue origini nei testi filosofici di Lao Zte e di Buddha che avevano
affrontato i quesiti esistenziali dell’uomo. Tale “monito”, come lo definisce il Papa GPII, era già
conosciuto dai Filosofi greci; soprattutto da Socrate. Egli, prendendo alla lettera quanto scritto sul
frontone del tempio di Delfi, costruì un’intera filosofia sulla costatazione umana dei propri limiti
nei confronti della divinità. La riflessione socratica sulla natura umana verrà poi ripresa dagli altri
due massimi esponenti della filosofia classica, Platone e Aristotele, che approfondiranno
ulteriormente la questione dell’esistenza umana.

La filosofia antica, sia sul versante orientale che su quello occidentale, propone comunque risposte
incomplete che non chiariscono in toto quale sia il senso della vita umana e cosa domini la realtà
sensibile che conosciamo mediante l’esperienza.

Dalla risposta a queste domande fondamentali dipende l’orientamento che l’uomo dà alla propria
esistenza. A questo livello, stando a quanto dice il Pontefice GPII, la Chiesa entra nella storia del
pensiero filosofico. Essa ha la pretesa di dare la risposta definitiva circa la verità ultima del valore
dell’esistenza umana.

La verità divina, rivelata nel mistero pasquale, ha permesso la nascita delle prime comunità
cristiane che hanno portato e annunciato in tutto il mondo, lungo il corso dei secoli, la fede in Gesù
Cristo che è “la via, la verità e la vita”5.

Lo sviluppo delle prime comunità, l’incontro con le verità di fede e il tentativo di comprendere e
interpretare la natura divina, sono le premesse fondamentali da cui si sviluppa il rapporto tra ragione
e fede all’interno della filosofia.

1
Giovanni Paolo II, Fides et Ratio
2
Ibidem
3
“Conosci te stesso” in Chi è il Cristiano
4
Giovanni Paolo II, Fides et Ratio
5
Dal Vangelo secondo Giovanni,14
Da un lato l’uomo si accosterà alla “questione seria” cercando di risolverla con l’ausilio di una
ragione “retta”, libera da ogni interferenza esterna e capace di trarre dalla meraviglia provata di
fronte alla realtà un pensiero organizzato e fondato su principi dimostrati, dall’altro l’uomo decide,
in virtù della sua libertà, di credere nelle Verità divine rivelate che devono essere sempre lette e
studiate con metodo sistematico (“auditus fidei” 6) e approfondite secondo le categorie del pensiero
umano (“intellectus fidei”7).

L’atto di credere alla Rivelazione Divina costituisce in sé “l’atto più significativo dell’esistenza” 8,
ma comporta anche lo sforzo dell’uomo d’intendere il messaggio divino mediante le categorie
mentali che ordinano le nozioni percepite nel nostro pensiero filosofico.

Fede e ragione si trovano dunque unite all’interno della filosofia e, come sottolinea Il Pontefice
GPII, esse costituiscono insieme un binomio apparentemente “semplice” ma in realtà difficile da
risolvere. D’altro canto i maggiori pensatori dell’epoca medievale sono sempre stati attratti da
questa relazione, infatti hanno sempre mostrato particolare attenzione a definire i campi d’indagine
delle due fonti di conoscenza principali. Sin dal IV secolo, il vescovo Agostino conciliò ragione e
fede in una relazione armonica finalizzata alla comprensione e alla ricerca della verità divina. Nel
periodo di transizione culturale-filosofica, fra l’XI e il XII’ secolo, si passerà da una “precedenza”
della fede sulla ragione, evidenziata nei testi del filosofo Anselmo d’Aosta, ad un tentativo da parte
della speculazione razionale di superare i limiti della conoscenza sensibile arrivando
all’interpretazione razionale dei misteri della fede. Ciò avrà diverse conseguenze, fra cui la
condanna delle tesi filosofiche esposte nei testi di Abelardo.

Nel XIII secolo, il problema ragione-fede sarà affrontato anche nei testi del domenicano Tommaso
D’Aquino, il quale suddividerà definitivamente i campi d’indagine delle due facoltà conoscitive.
Nonostante gli ambiti distinti, fede e ragione si accordano necessariamente in unica verità; quella
rivelata.

Occorre fare un passo indietro per cercare di capire quale sia stata l’evoluzione che il rapporto tra
fede e ragione ha avuto nei secoli.

Agostino d’Ippona è riconosciuto come il primo grande pensatore dell’epoca medievale in quanto
egli ricerca continuamente la possibilità di conciliare il procedimento razionale con la fede in Dio
nella ricerca della verità sul senso esistenziale dell’uomo.

Le parole di Giovanni Paolo II elogiano il “Grande Dottore” 9 che, relazionatosi con una serie di
scuole filosofiche, ne rimase deluso al punto di non riuscire a dare risposte complete e fondate alle
domande generatesi da una profonda inquietudine sul senso dell’esistenza e da una continua
indagine sulla verità ultima della realtà. “Quando davanti a lui si affacciò la verità della fede
cristiana, allora ebbe la forza di compiere quella radicale conversione a cui i filosofi
precedentemente frequentati non erano riusciti ad indurlo” 10. Agostino, battezzato nel 386 D.C.,
abbracciò la fede cristiana e cercò di indicare all’uomo un percorso esistenziale che lo avrebbe

6
Giovanni Paolo II, Fides et Ratio
7
Ibidem
8
Ibidem
9
Giovanni Paolo II, Fides et Ratio
10
Ibidem
condotto alla verità, eliminando ogni tipo di inquietudine e timore sulla propria esistenza: “Oramai
Te solo amo, Te solo seguo, Te solo cerco”11

Lo scopo di tale percorso è conoscere l’anima e Dio:

“A: Desidero avere scienza di Dio e dell’anima.

R: E nulla di più?

A: proprio nulla.”

Partendo dai fatti che hanno caratterizzato la sua vita, Agostino crede che l’esistenza dell’uomo sia
caratterizzata da un’inquieta ricerca della verità che lo impegna in ogni parte che lo compone,
compresi l’intelletto e il corpo mediante i quali egli giunge definitivamente alla sua origine; Dio. La
verità divina non si trova all’esterno dell’uomo ma si cela nelle profondità della nostra anima,
pertanto è nostro compito ritornare in noi stessi e ricercare ciò che è la “via, la vita e la verità “.
Agostino sottolinea lo sforzo del singolo che, tralasciando ogni legame con la realtà esterna, si
abbandona alla completa riflessione interiore sulla propria esistenza, la quale lo conduce ad una
propensione verso L’Essere che solo può garantirgli stabilità e consistenza. “Dissipato dallo
splendore divino”12, l’individuo si trova in uno stato estatico di vicinanza alla Divinità che, seppur
momentaneamente, chiarisce la conoscenza rendendola stabile e sicura. Dunque per Agostino Dio e
l’anima non richiedono indagini diverse perché l’uomo, conoscendo Dio, conosce anche la sua
anima perché essa costituisce la dimora interiore della verità: “Mio Dio! Intimità della mia intimità,
vertice di ogni mia altitudine!”13. In questa continua tensione verso la verità divina, ragione e fede
sono necessariamente unite, in quanto sono in grado di collaborare assieme e di rafforzarsi
vicendevolmente verso lo scopo ultimo dell’esistenza dell’uomo.

Ispirato dalle parole di Isaia ”Nisi credideritis,non intelligetis”14, Agostino sintetizza


definitivamente il rapporto fede-ragione con la celebre frase tratta dal Sermone 43 “crede ut
intelligas , intellige ut credas”15,con cui sostiene che per capire e conoscere , è indispensabile
misurarsi con le Verità contenute all’interno delle Sacre Scritture. L’uomo può naturalmente
ricercare il significato della sua esistenza e ciò che sta alla base della realtà sensibile senza aver
nessun tipo di fede , ma questo lo conduce a credere in un profondo scetticismo, per cui egli si sente
incapace di dare risposte certe circa le domande esistenziali poste in precedenza. Tale atteggiamento
ha caratterizzato Agostino nella sua gioventù, prima della sua conversione al cattolicesimo, per
questo egli partendo dalla sua esperienza, afferma che l’attività filosofica non può prescindere
dall’attività teologica, la quale non si impone autorevolmente ma esalta l’esercizio dell’intelletto in
contatto con una verità inesauribile, quale quella divina. La seconda parte
dell’affermazione ,”Intellige ut credas”,evidenzia come il filosofo non nasconda l’esigenza di una
dimostrazione razionale che garantisca certezza alla fede “Noi desideriamo avere conoscenza e
scienza di quanto accettiamo per fede“16;è necessario dunque uno studio e una ricerca compiuta

11
Agostino, Soliloqui I 4,5
12
Agostino, Confessiones, X
13
Agostino,Ibidem,III ,6-11
14
Isaia, 7,9
15
Agostino,Sermones
16
Ibidem, De libero arbitrio,II,2,5
dall’uomo con l’ausilio degli strumenti concessi per individuare, a partite da ogni esperienza a
contatto con la realtà, il motivo per cui occorre credere nella verità divina.

Fede e ragione sono dunque “le due forze che ci portano a conoscere” 17e pertanto non sono
assolutamente separate ne opposte, ma piuttosto si conciliano nel tentativo di dare una soluzione
definitiva al senso dell’esistenza umana che come il santo scrive “è un grande enigma e un gran
abisso”18, che solo la fede in Cristo può risolvere ed illuminare.

Il rapporto fede-ragione sarà affrontato nel XI’ e il XII’ secolo, secondo il diverso punto di vista di
due personalità rilevanti, Anselmo d’Aosta e Abelardo. Tale periodo, è comunemente denominato
“Scolastica “, in quanto proviene dal termine “scholasticus”, che nel vocabolario latino medievale
indica insegnante delle arti liberali. Di conseguenza l’origine e lo sviluppo della Scolastica
Medievale è legato allo sviluppo di un nuovo metodo d’insegnamento e di studio , contraddistinto
dall’analisi delle interpretazioni fatte dai Padri della Chiesa ai testi antichi e dalle raccolte delle
questioni disputatae. Inoltre l’attività filosofica è contrassegnata dal tentativo di trovare una certa
soluzione al problema riguardante il rapporto ragione e fede. I diversi pensatori si chiedono quale
sia il ruolo dell’iniziativa razionale nei confronti della Verità di fede? Quali siano gli ambiti delle
due fonti conoscitive ? E Che tipo di legame scaturisce all’interno dell’uomo, permettendogli
l’accesso alla comprensione della verità rivelata?

Dalle risposte a tali questioni contenute nei testi degli autori dell’epoca, emerge un nuovo tipo di
ricerca che ,diversamente dalla filosofia greca, non afferma la sua autonomia dalla tradizione antica
ma considera le dottrine appartenenti alle scuole precedenti , come fonte di verità a cui occorre
riferirsi per non cadere in errate interpretazioni. La testimonianza di uomini ispirati dalla Luce
Divina, “una luce, quasi, di certezza penetrò nel mio cuore e tutte le tenebre del dubbio si
dissiparono”19, mostra come la verità non si riveli solo nella lettura e nell’interpretazione delle Sacre
Scritture o nella fede ai dogmi rivelati, ma anche nelle esperienze di pensatori, riconosciuti
“autorità” dalla Chiesa, abili nell’elaborare testi che fungono da guida nel procedimento
conoscitivo .

Mentre la Patristica greco-latina pone un attenzione particolare all’elaborazione e fissazione del


dogma religioso mediante l’uso degli strumenti concessi dalla filosofia, la Scolastica sposta
invece il suo baricentro sulla riflessione razionale, mantenendo comunque una certa vocazione
religiosa, in quanto inserita in un contesto filosofico cristiano. Dunque, dal IX’ secolo al XIII’
secolo, la filosofia medievale ha come scopo ultimo la chiarificazione di una verità di fede , rivelata
all’interno delle Sacre Scritture e nelle sentatio dei Padri della Chiesa, mediante gli strumenti
razionali . La ricerca filosofica, entro questo determinato contesto , assume caratteri del tutto
differenti rispetto alla modalità d’indagine precedente. Mentre nell’antichità classica si era
sviluppato un certo metodo per cui la verità doveva essere anzitutto cercata e poi compresa, nel
Medioevo Scolastico invece domina un nuovo procedimento dove, si parte da una Rivelazione
data e testimoniata , che inseguito verrà compresa e dimostrata dall’uomo mediante i propri
strumenti razionali.

17
Agostino, Contra Accademicos,III
18
Agostino, Confessioni (IV,4,9 e 14,22)
19
Agostino, Confessiones,X
I nuovi metodi d’insegnamento legati alla lectiones sui testi delle Auctoritas e l’uso di strumenti
razionali per intendere le verità di fede fanno da cornice ad un secolo , quale l’XI , caratterizzato
dalla disputa fra dialettici e teologi: i primi sostenevano il ricorso ai metodi logici-grammatici nella
risoluzione di qualsiasi problema dottrinale, mentre i secondi si mantengono fedeli al senso letterale
delle Scritture e credono che solo la fede possa garantire una certa e fondata conoscenza della
realtà .

Dalla contesa filosofica fra i due gruppi si generano questioni che contrappongo la teologia con la
filosofia, l’esempio più noto riguarda “la controversia eucaristica”: i dialettici più intransigenti , su
tutti Berengario di Tours, negavano la presenza reale di Cristo all’interno dell’ostia benedetta,
riducendo tale dogma ad una semplice allegoria. Le dottrine dialettiche vennero condannate in
diversi concili ecclesiastici , dove prevalse la posizione del teologo Lanfranco di Pavia. Egli
criticò l’uso spregiudicato della speculazione razionale in ambito teologico , cercando di confutare
dottrine che avrebbero allontanato l’uomo dalla comprensione delle verità di fede. In risposta a
Berengario , egli scrive “Noi crediamo dunque che le sostanze terrene ,sull’altare del Signore,
vengono santificate mediante il mistero sacerdotale “20.

Il contrasto esasperato fra fede e ragione emerso nel dibattito dialettico-teologico della prima metà
del XI’ secolo, influenzò in parte l’attività letteraria di alcuni autori che preferirono mantenere un
certa armonia fra le due fonti conoscitive. Tale atteggiamento si può riscontrare, consultando i testi
di sant’ Anselmo d’Aosta, il quale recupera la dottrina agostiniana del rapporto fede-ragione,
esprimendola sotto una nuova formula” Credo ut Intelligam” che esalta , allo stesso tempo, la
superiorità indiscutibile della fede assieme alla necessità di quest’ultima d’essere confermata e
dimostrata con motivi razionali.

Anselmo non si sente un ”presuntuoso innovatore”21 che vuole riformare la filosofia con “cose
troppo nuove”22, infatti egli parte da una considerazione fondamentale:l’uomo nella sua attività
filosofica non può prescindere dalle Verità di fede, che a sua volta, non possono essere superate e
sottomesse dalla dialettica . Da tale considerazione, Anselmo trae una nuova formula che esprime il
rapporto fede-ragione :”neque enim quaero intelligere ut credam, sed credo ut intelligam”23, per cui
credo per intendere.

Pur mantenendo una certa armonia fra le due facoltà , Anselmo crede che l’uomo per conoscere
debba partire da un dato certo, per cui occorre avere in primo luogo, fede nelle Sacre Scritture e nei
testi delle “auctoritas”. Dunque si può parlare di una “precedenza” della fede sulla ragione ,che non
limita ,ma esalta e sollecita l’iniziativa razionale dell’uomo nel tentativo di comprendere i misteri
della fede , precedentemente accettati come veri. Giovanni Paolo II , in merito al “Credo ut
intelligam”, scrive “Sant'Anselmo sottolinea il fatto che l'intelletto deve porsi in ricerca di ciò che
ama: più ama, più desidera conoscere”24, per cui la fede non è assolutamente contrapposta alla
ragione come si è notato nella contesa fra dialettici e teologi, ma essa apre il percorso di ricerca

20
Lanfranco di Pavia “Libellus de sacramento corporis et sanguinis Christi contra Berengarium”
21
Anselmo, Monologion
22
Ibidem
23
Ibidem
24
Giovanni Paolo II, Fides et Ratio
dell’intelletto ”Fides quaerens intellectum”25, che dunque può realizzare il suo scopo fondamentale :
la conoscenza della Verità che sta alla base della realtà, ciò che noi chiamiamo Dio.

Per capire il pensiero filosofico di Anselmo, occorre sfogliare le pagine del suo primo scritto
sistematico, il “Monologion”, realizzato per i monaci dell’abbazia francese di Bec. Tale opera
anticipa ,secondo la critica medievale, il genere letterario della “Summa” teologica e filosofica
nato nel XII’ secolo; infatti i diversi argomenti trattati trovano una loro prima sistemazione
all’interno del discorso e sono posti secondo un certo ordine ,in maniera tale da dare al lettore una
visione unitaria e organizzata del testo.

L’importanza del Monologion è pienamente meritata, in quanto Anselmo risolve genialmente una
questione speculativa che aveva generato nel passato dispute fra i dialettici e teologi e rimarrà
saldamente legato al pensiero Cristiano nei secoli successivi: il problema del valore attribuito
all’iniziativa razionale in un contesto dove domina la fede incondizionata alle Verità esplicitate
dalle Scritture e dall’”auctoritas”.

L’occasione per trovare la soluzione definitiva alla questione è offerta all’abate dalla proposta dei
suoi confratelli di esporre verità circa l’essenza divina , senza confrontarsi con le Scritture e i testi
dei Dottori della Chiesa, ma con l’ausilio della sola ratio nei suoi limiti ,possibilità e certezze.
Pertanto, la ragione da sola si propone d’indagare e ricercare il significato intrinseco dei contenuti
abbracciati per fede, in particolare dell’essenza e dell’esistenza di Dio vista nei suoi rapporti con il
mondo e con l’uomo. Il termine “Dio” appare soltanto nell’ultimo capitolo, a conclusione del
percorso di ricerca compiuto dal filosofo; per cui si fa sempre riferimento ad una “Somma Natura” e
ad una “Somma Essenza” nei primi capitoli.

Inizialmente ,l’autore tralascia le verità precedentemente accolte per fede, e decide d’intraprendere
la sua ricerca filosofica con il solo ausilio delle sue capacità razionali; dopo una serie di passaggi ,
Anselmo individua quattro diverse prove ,che unite, conducono ad un unico e medesimo risultato ,
l’esistenza di una “Somma Natura” eterna, onnipresente e causa di ogni realtà esistente . Tali
dimostrazioni , pur partendo da considerazioni razionali diverse, sono legate in quanto si reggono
sugli stessi principi di evidente matrice platonico-agostiniana, come il principio secondo cui ciò che
è per altro implica ciò che è per sé. Inseguito, esse ottengono, dopo una serie di passaggi evidenti ,
una determinata conclusione: l’esistenza di un “Summum Omnium”, che racchiude l’idea di
grandezza in sé ”Summum Magnum”, l’idea di bene in sé “Summum Bonum”,l’idea di essere in sé”
Summa Essentia” e l’idea di perfezione in sé ”Summa Perfectione”; ciò che nell’ultimo capitolo è
conosciuto come Dio.

Giovanni Paolo II, nel suo personale commento alla filosofia di Anselmo, scrive “Il desiderio di
verità spinge, dunque, la ragione ad andare sempre oltre; essa, anzi, viene come sopraffatta dalla
costatazione della sua capacità sempre più grande di ciò che raggiunge. A questo punto, però, la
ragione è in grado di scoprire ove stia il compimento del suo cammino”26; le parole del Pontefice
esprimono in maniera precisa il punto di vista di Anselmo circa il rapporto fede-ragione. Per cui la
ragione umana a contatto con le Verità di fede, è spinta da una forte volontà di conoscere i diversi
campi d’indagine che si aprono con la lettura e lo studio dei testi sacri ,”Più ricerca, più s’infiamma

25
Anselmo, Monologion.
26
Giovanni Paolo II, Fides et Ratio.
del desiderio di conoscere”27. La fede sollecita la ragione, che a sua volta, realizza il suo scopo, in
quanto chiarisce e dimostra i contenuti di fede presupposti, perciò è considerata “intelligenza della
fede”. L’iniziativa razionale continua il suo percorso di comprensione, fino a quando l’uomo
scopre i limiti della sua intelligenza ; a questo punto è necessario il supporto della fede, che
completa la ricerca filosofica , avvicinandola alla conoscenza di Dio.

Nel XI’ secolo , Anselmo non è l’unico pensatore ad affrontare il rapporto ragione-fede, infatti un
altro importante filosofo ,Abelardo, esamina tale questione speculativa nei suoi testi più importanti
a livello teologico, fra cui ”Il Sic et Non”. Il racconto autobiografico “Historia calamitatum
mearum” , scritta nella sua maturità, delinea la figura di un studioso, dotato di vasti interessi
culturali, che hanno avuto come conseguenza fondamentale la partecipazione a contese e dibattiti
teologici e filosofici ;inoltre le sue vicende ,soprattutto la tragica relazione con Eloisa e il difficile
rapporto con i suoi maestri, mostrano la profonda inquietudine che ha sempre accompagnato
Abelardo in tutta la sua vita. Fra il 1121 e il 1141, nel periodo in cui era monaco presso l’abbazia di
Saint Denis, il pensatore francese scrive le più importanti opere teologiche, anch’esse su richiesta
dei suoi allievi che “ chiedevano un criterio di studio umano e filosofico” 28per poter imparare ad
usare la dialettica in ambito teologico senza contraddire le Sacre Scritture.

Nonostante la scarsa preparazione teologica ,“Io sono espertissimo in logica, ma zoppico non poco
in San Paolo”29, Abelardo si propone dunque di rispondere alla richiesta posta, individuando una
possibile soluzione che avrebbe accontentato anche i dialettici e i teologi, ancora partecipi di
contese e dibattiti sul ruolo dell’iniziativa razionale rispetto alla teologia. In Principio egli crede che
il ruolo e la funzione del teologo sia quella di dimostrare razionalmente le Verità presenti all’interno
delle Scritture; dunque egli non conta solo sulla fede come unica fonte conoscitiva, ma deve
impiegare anche gli strumenti offerti dalla dialettica per chiarire quanto accolto nel Credo. In questo
modo, si può parlare di una sorta di “convergenza” fra le dimostrazioni filosofiche ,che hanno
come scopo ultimo la conoscenza della verità, e i contenuti di fede, che devono essere approfonditi
e compresi mediante le prove logiche-dialettiche. A questo punto, si potrebbe pensare che
Abelardo ,recupera il punto di vista Anselmino circa la “questione fondamentale”; in realtà ,il
filosofo francese si distacca dalla tradizione , elaborando una nuova formula ”Intelligo ut
Credam” , con cui ribadisce l’impiego necessario della dialettica in ambito teologico, per conferire
una maggiore certezza e fondamento alle diverse verità abbracciate per fede.

Il pensatore francese non smette di ripetere ”Non si può credere se non a ciò che si comprende”30,
tale affermazione rappresenta una novità rilevante dal punto di vista filosofico e teologico; in
quanto da un lato smentisce la posizione dei suoi maestri , contrari all’uso della dialettica in ambito
di fede, e dall’altro, valorizza la teologia, la quale oltre ad avere la sua originale funzione
dogmatica , diviene strumento razionale che dimostra la verità dei contenuti di fede, presenti
all’interno delle Sacre Scritture.

Per comprendere il metodo mediante cui, si applica la dialettica in ambito teologico, occorre
consultare uno dei testi più rilevanti dal punto di vista logico-teologico del pensatore ,il “Sic et

27
Giovanni Paolo II, Fides et Ratio.
28
Abelardo, Historia Calamitatum Mearum.
29
Abelardo, Epistolarium,
30
Abelardo, Historia Calamitatum Mearum.
Non”. Questo testo è una raccolta di opinioni apparentemente contrastanti circa le verità della fede
cristiana ,contenute nelle Sacre Scritture e nelle testimonianze dei Padri della Chiesa. Abelardo non
vuole sminuire l’importanza delle Sacre Scritture, che mantengono una superiorità inconfutabile
rispetto alle verità acquisite con il procedimento dialettico ; anzi egli cerca solo d’individuare quelle
sottili differenze, che distinguono il punto di vista dei diversi Padri della Chiesa riguardo a
determinati argomenti filosofici , per sollevare problemi che verranno risolti mediante gli strumenti
della logica e della dialettica. Il pensatore francese crede che “Attraverso il dubbio, si giunge alla
ricerca, e attraverso la ricerca si giunge alla verità”31, pertanto i vari testi consultati, verranno
sottoposti ad una critica sistematica, seguendo il metodo più conveniente ,per una corretta esegesi
testuale .

Secondo Abelardo, i principi che il teologo dovrà seguire nell’interpretazione delle diverse opere
riguarderanno: l’analisi del significato dei termini per stabilire l’autenticità dello scritto , l’esame
dell’opera nel tentativo di mostrare come il contesto culturale del periodo condizioni il testo
dell’autore preso in considerazione e la classificazione dei libri esaminati in base all’autorevolezza
di chi li ha scritti. Dopo aver indagato ed esplorato i diversi testi , tenendo conto delle regole
esegetiche e rispettando i passaggi del procedimento logico-dialettico, l’autore pone attenzione su
una serie di proposizioni , che “apparentemente” sembrano opporre il diverso punto di vista delle
auctoritas ,circa alcuni argomenti filosofici-teologici; in realtà Abelardo non cerca di contraddire le
testimonianze dei Padri della Chiesa, ma concilia le diverse filosofie, attraverso gli strumenti
dialettici, in unico intento: conoscere la verità rivelata.

Il metodo individuato dal pensatore francese all’interno del “Sic et Non”, risponde alla richiesta
iniziale degli studenti d’individuare un “criterio di studio umano e filosofico ”per poter impiegare il
procedimento dialettico-logico in ambito teologico, senza contraddire le Sacre Scritture e le
testimonianze dei Padri della Chiesa.

Lo storico della filosofia medievale É.Gilson , senza nascondere una profonda ammirazione per i
testi del pensatore francese, descrive la figura di Abelardo, come quella , di un “filosofo
appassionato, questo spirito agitato, orgoglioso e combattivo”32 , che ha dato un suo contributo allo
sviluppo del pensiero razionalistico nella filosofia medievale nel XII’ e XIII’ secolo . Egli difese i
principi e diritti della dialettica dalle accuse di Bernardo , il quale condannava l’eccessiva libertà
concessa all’iniziativa razionale nell’ ambito teologico e l’illegittimo passaggio dalle prove logico-
dialettiche alla fede nella Verità rivelata.

Gli Sforzi e i tentativi degli autori analizzati, di trovare una possibile soluzione alla questione
filosofica legata al rapporto ragione-fede, non passano inosservati all’occhio attento dei pensatori,
appartenenti al XIII’ secolo. Infatti, maestri universitari del calibro di Tommaso d’Aquino , sono
attirati dai passati dibattiti fra dialettici e teologi in merito alle diverse questioni filosofiche più
importanti, e influenzati dalla riscoperta dei testi antichi mediante le traduzioni arabe ed ebraiche.
Essi si propongono di definire e distinguere gli ambiti delle dialettica e della teologia, cercando
d’individuare una possibile “via” di comprensione razionale della Verità rivelata.
31
Abelardo, Logica 'Ingredientibus'
32
Gilson, La filosofia nel Medioevo. Dalle origini patristiche alla fine del XIV secolo.
Per comprendere il diverso punto di vista dei filosofi trecenteschi rispetto ai pensatori della Prima
Scolastica, occorre consultare i vari testi del domenicano Tommaso d’Aquino, che segnano una
tappa decisiva per lo sviluppo della Scolastica, la quale raggiunge il suo definitivo apogeo con la
“Somma teologica” e la “Somma delle verità della fede cattolica contro i Gentili”. La ricerca
filosofica iniziata da Alberto Magno ,nel tentativo di dare una nuova soluzione al problema del
rapporto fede-ragione, sarà ripresa e troverà il suo definitivo concepimento nel pensiero tomista,
che riformerà il sistema filosofico-teologico Scolastico , conciliando il contributo filosofico
dell’Aristotelismo con l’ esigenze di chiarificazione del pensiero Cristiano.

Dunque, nessuna trattazione del pensiero di San Tommaso, può prescindere dalla geniale soluzione
che L’Aquinate trova al problema ,riguardante il rapporto fede-ragione. Infatti, nel determinare
quale sia la relazione che lega le due principali facoltà conoscitive, il domenicano da un lato
respinge la posizione, propria dell’ambiente intellettuale monastico, di Bonaventura da Bagnoregio,
dall’altro lato smentisce il problema della “doppia verità” posto dai maggiori rappresentati
dell’Averroismo latino. Per quanto riguarda il Teologo francescano, Tommaso critica la netta
superiorità della fede sulla ragione nel procedimento conoscitivo; infatti Bonaventura
considerava ,metaforicamente, la filosofia come “un malato che deve essere curato dalle sue
infermità “, per cui il procedimento dialettico richiede l’assistenza dei contenuti di fede, come
garanzia per non commettere errori nel percorso di ricerca della Verità . L’Aquinate nega
l’eccessiva superiorità della fede nei confronti della ragione, ammettendo la necessaria armonia che
congiunge le due principali fonti di conoscenza ; inoltre crede che il fine della ricerca umana sia la
conoscenza di Dio, la quale eccede le capacita razionali , per cui risulta fondamentale la certezza e
l’incontestabilità della Rivelazione divina per poter realizzare lo scopo prefissato. La rivelazione
non preclude l’attività razionale dell’uomo, anzi permette alla ragione di raggiungere la
comprensione di Verità, a cui da sola non potrebbe attingere; ciò è confermato dalle parole del
santo “La grazia non elimina la natura, ma la perfeziona”. Sigeri di Bramante e Boezio di Dacia, i
maggior rappresentati di quella corrente comunemente definita “Averroismo latino”, furono criticati
apertamente da Tommaso in un sermone pronunciato all’Università di Parigi ,“Ci sono delle
persone che si occupano di filosofia e dicono delle cose che non sono vere secondo la fede; e
quando si dice loro che ciò che contraddice la fede, rispondono che è la filosofia che dice queste
cose , ma che loro stessi non le affermano , e invece non fanno che ripetere le parole del Filosofo”33.
La condanna dell’Aquinate si rivolge soprattutto al fatto che tali pensatori aristotelici e averroisti,
ammettevano come verità filosofica, la necessità dell’eternità del mondo in relazione al movimento
eterno che determina i diversi eventi che si succedono nel tempo, comprese dunque le azioni
dell’uomo che sono legate a questo movimento continuo. Ma poiché queste conclusioni si
opponevano ai dogmi di fede, essi ammettevano la possibilità di mantenere le tesi derivate come
verità dimostrate razionalmente ,nella piena libertà di credere alle Verità di fede. La formula che
tradizionalmente riassume il loro punto di vista è: quanto alla ragione affermo una cosa, quanto alla
fede credo il contrario. Tommaso risponde al problema posto dagli Averroisti Latini, sostenendo
che è inconcepibile ammettere due verità che separano da un lato il procedimento dialettico e
dall’altro la teologia; per cui egli ammette che fede e ragione hanno due ambiti distinti: il primo
campo d’indagine si occupa dello studio delle Verità di fede, mentre il secondo invece riguarda i
ragionamenti logici che l’uomo compie nello studio della realtà . La distinzione degli ambiti non
implica assolutamente che , mediante la teologia noi concepiamo una verità diversa da quella che
33
Tommaso, Sermones
troviamo attraverso il procedimento razionale; pertanto non possono sussistere allo stesso tempo
due verità, riguardanti in maniera distinta la fede e la ragione, divise “come due binari che non
s’incrociano e si scontrano mai “34.

La verità è per sua natura unica e universale, oppure non è ammessa logicamente, ed è quella divina
rivelata nelle Sacre Scritture e nelle testimonianze dei Padri della Chiesa; e solo da essa le due
facoltà conoscitive procedono nella comprensione della realtà .

Giovanni Paolo II, nel suo personale commento alla filosofia dell’Aquinate, afferma “ La luce della
ragione e quella della fede provengono entrambe da Dio, egli argomentava; perciò non possono
contraddirsi tra loro”35, e ciò giustifica il fatto che gli studiosi di Storia della Filosofia Medievale,
sostengono che Tommaso sia uno dei pensatori di riferimento della fede cattolica e della filosofia
mondiale per il suo insegnamento che è stato alla base delle principali dispute teologiche del XIII’
secolo. Alcuni autori come U.Eco, hanno trattato la figura del domenicano con ironia, “San
Tommaso, l’Aquinate/le due summe ha elaborate/con il suo fare giocondo/per ridurre tutto il
mondo/a un sistema di risposte/calibrate e ben disposte/che, con formule sagaci,/senza fallo sian
capaci/di spiegar nel loro intrico/da Bon Dio fino al lombrico…..” .

Ragione-fede, Teologia-filosofia, Dialettica-Rivelazione, in qualsiasi maniera si voglia esprimere ,


questo binomio, ha sempre attirato l’attenzione dei vari filosofi, teologici e pensatori dell’epoca
medievale, i quali hanno cercato con gli strumenti permessi, di trovare una valida risposta ad una
questione che assunse grande importanza dall’incontro fra la tradizione filosofica antica e la verità
divina rivelata nelle Sacre Scritture.

Sin dai primi pensatori, riconosciuti come le Auctoritas che determinarono le future scelte della
Chiesa, agli ultimi filosofi che ,come afferma Giovanni Paolo II, “furono i primi a riconoscere la
necessaria autonomia di cui la filosofia e le scienze avevano bisogno, per applicarsi efficacemente
ai rispettivi campi di ricerca”36; si è sempre assistito ad un tentativo, da parte di questi autori aventi
una conoscenza così vasta, di dare una dimostrazione razionale alle Verità divine ,rivelate nelle
Sacre Scritture.

Nella modernità e post-modernità , c’è stata la definitiva divisione fra gli ambiti della teologia e
quelli della filosofia, dando vita ad una “nefasta separazione”37 come sottolinea il Pontefice, che ha
avuto come conseguenza principale, la definitiva rottura del legame fra la ragione e la fede,
quest’ultima è stata inizialmente inglobata all’interno di “strutture dialettiche razionalmente
concepibili”38 come l’idealismo e , in seguito rifiutata e sostituita dall’ateismo e dal positivismo
scientifico .

Oggi, alcuni teologi e filosofi , riflettono ancora sulla questione fondamentale del rapporto fede e
ragione nell’ambito della ricerca e dello studio umano, i teologi credono che “Siamo stati troppo
abituati dalla Modernità ad opporre le due fonti di conoscenza, ma in realtà essi sono intimamente

34
Carlo Chiurco,”San Tommaso”,Grandangolo.
35
Giovanni Paolo ,Fides et Ratio
36
Ibidem
37
Ibidem
38
Ibidem
intrecciati, come due fiori che sbocciano sul terreno fertile della conoscenza”39. Secondo il punto di
vista dei filosofi ”Non è possibile comprendere la filosofia europea senza interrogarsi sulla
questione del rapporto fede-ragione, per cui non ci può essere una teologia senza filosofia e una
filosofia senza teologia”40. Dunque , nel panorama filosofico-teologico odierno, si può comprendere
la necessità di un incontro fra fede e ragione in ambito conoscitivo, tale tesi poggia su una serie di
argomentazioni: l’incapacità dell’indagine filosofica di dare risposte fondate circa la questione
dell’origine del mondo e del senso dell’esistenza dell’uomo , e lo sviluppo di una teologia
caratterizzata da una ricerca di fede quotidiana in merito ai diversi quesiti, come il “Conosci te
stesso”.

39
Angelo Scola,”Le ragioni della fede”, dialogo con M.Cacciari
40
Massimo Cacciari”Le ragioni della fede”,dialogo con A.Scola

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