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I cattolici credono che Dio abbia creato il mondo, ma questo è compatibile con la teoria del Big
Bang e con le teorie evoluzionistiche? Che cosa si intende per creazione secondo la fede?
Chiaramente non c’è contraddizione tra scienza e fede (come dimostrano i tanti testimoni,
uomini e donne di fede ed eccellenti scienziati). In questo articolo sono raccolte alcune parole di
papa Francesco, Benedetto XVI e Giovanni Paolo II sulle tematiche che legano l’idea di creazione
cattolica a quella scientifica.
***
Quando leggiamo nella Genesi il racconto della Creazione rischiamo di immaginare che Dio sia
stato un mago, con tanto di bacchetta magica in grado di fare tutte le cose. Ma non è così. Egli ha
creato gli esseri e li ha lasciati sviluppare secondo le leggi interne che Lui ha dato ad ognuno,
perché si sviluppassero, perché arrivassero alla propria pienezza. Egli ha dato l’autonomia agli
esseri dell’universo al tempo stesso in cui ha assicurato loro la sua presenza continua, dando
l’essere ad ogni realtà. E così la creazione è andata avanti per secoli e secoli, millenni e millenni
finché è diventata quella che conosciamo oggi, proprio perché Dio non è un demiurgo o un mago,
ma il Creatore che dà l’essere a tutti gli enti.
L’inizio del mondo non è opera del caos che deve a un altro la sua origine, ma deriva direttamente
da un Principio supremo che crea per amore. Il Big-Bang, che oggi si pone all’origine del mondo,
non contraddice l’intervento creatore divino ma lo esige. L’evoluzione nella natura non
contrasta con la nozione di Creazione, perché l’evoluzione presuppone la creazione degli esseri che
si evolvono.
Per quanto riguarda l’uomo, invece, vi è un cambiamento e una novità. Quando, al sesto giorno del
racconto della Genesi, arriva la creazione dell’uomo, Dio dà all’essere umano un’altra
autonomia, un’autonomia diversa da quella della natura, che è la libertà. E dice all’uomo di
dare il nome a tutte le cose e di andare avanti nel corso della storia. Lo rende responsabile della
creazione, anche perché domini il Creato, perché lo sviluppi e così fino alla fine dei tempi. Quindi
allo scienziato, e soprattutto allo scienziato cristiano, corrisponde l’atteggiamento di interrogarsi
sull’avvenire dell’umanità e della terra, e, da essere libero e responsabile, di concorrere a
prepararlo, a preservarlo, a eliminarne i rischi dell’ambiente sia naturale che umano. Ma, allo stesso
tempo, lo scienziato dev’essere mosso dalla fiducia che la natura nasconda, nei suoi meccanismi
evolutivi, delle potenzialità che spetta all’intelligenza e alla libertà scoprire e attuare per arrivare
allo sviluppo che è nel disegno del Creatore.
I differenti ambiti tra fede nella creazione e idea di evoluzione (Benedetto XVI)
La fede nella creazione indaga sul perché dell'essere in sé; il suo problema è perché c'è qualcosa e
non niente. L'idea dello sviluppo invece si chiede perché ci sono proprio queste cose e non altre, da
dove hanno tratto la loro determinatezza e come stanno in relazione con le altre creature.
Filosoficamente si direbbe dunque che l'idea dello sviluppo stia al livello fenomenologico, si
confronta con le singole creature del mondo che esistono effettivamente, mentre la fede nella
creazione si muove al livello ontologico, indaga dietro le singole cose, si stupisce della meraviglia
dell'essere stesso e tenta di rendere conto di quel misterioso "è" che noi diciamo di tutte le realtà che
esistono.
Si potrebbe formulare anche così: la fede nella creazione riguarda la differenza tra niente e
qualcosa, l'idea dello sviluppo invece quella tra qualcosa e qualcos'altro. La creazione
caratterizza l'essere nel complesso come essere che viene da un altro luogo, lo sviluppo invece
descrive la costruzione interna dell'essere e indaga la specifica provenienza delle singole realtà
esistenti. Può essere che per i naturalisti la problematizzazione della fede nella creazione appaia
come una questione illegittima, che per l'uomo è irrisolvibile.
Effettivamente il passaggio alla contemplazione evolutiva del mondo rappresenta il passo verso
quella forma positiva della scienza che si limita consapevolmente a ciò che è dato, concreto,
dimostrabile all'uomo ed esclude dalla sfera della scienza la riflessione sulle vere ragioni del reale
come una riflessione sterile.
Per prima cosa potremo stabilire che la problematizzazione dell'idea di evoluzione è più limitata
di quella della fede nella creazione. Quindi la dottrina dell'evoluzione non può assolutamente
incorporare la fede nella creazione. In questo senso essa può giustamente indicare l'idea della
creazione come inutilizzabile per sé: non può stare fra i materiali positivi alla cui elaborazione essa
è vincolata per metodo.
E così forse per noi oggi diviene più comprensibile quel che la dottrina cristiana della creazione ha
sempre detto e che però a stento è riuscita a far valere sotto l'impronta dei modelli antichi: la
creazione non è da pensare secondo lo schema dell'artigiano che realizza oggetti di ogni sorta,
ma nella maniera in cui il pensiero è creatore. E nello stesso momento diventa visibile che
l'insieme del moto dell'essere (non solo l'inizio) è creazione e che allo stesso modo il tutto (non solo
ciò che viene dopo) è realtà propria e moto proprio. Riassumendo tutto questo possiamo dire:
credere alla creazione significa comprendere nella fede il mondo in divenire reso accessibile dalla
scienza come un mondo sensato, che viene da un senso creatore.
Sui dettagli di questa formulazione si potrà sicuramente discutere; ma l'essenziale mi pare colto in
maniera esatta: l'alternativa tra materialismo e contemplazione del mondo informata
spiritualmente, tra caso e senso, si presenta a noi oggi nella forma della domanda se si
consideri lo spirito e la vita nelle sue forme evidenti solo come una muffa casuale sulla
superficie del materiale (cioè dell'esistente che non comprende se stesso) oppure come scopo di
quello che accade e perciò al contrario si consideri la materia come antefatto dello spirito. Se si
sceglie la seconda opzione, è chiaro che lo spirito non è un prodotto casuale dello sviluppo della
materia, ma che piuttosto la materia rappresenta un momento nella storia dello spirito. Questa però
è solo una diversa espressione dell'affermazione che lo spirito è creato e non è puro prodotto dello
sviluppo, anche se si manifesta alla maniera dell'evoluzione.
Joseph Ratzinger, Fede nella creazione e teoria dell’evoluzione, da Wer ist das eigentlich -
Gott? (1969)
Per quanto riguarda l'aspetto puramente naturalistico della questione, già il mio indimenticato
predecessore papa Pio XII richiamava l'attenzione del 1950, nella sua enciclica Humani generis,
sul fatto che il dibattito sul modello esplicativo di “evoluzione” non viene ostacolato dalla fede se
questa discussione rimane nel contesto del metodo naturalistico e delle sue possibilità. Egli
sottolinea il limite della portata di questo metodo quando afferma che il magistero della Chiesa
non vieta “che in conformità dell'attuale stato delle scienze e della teologia, sia oggetto di
ricerche e di discussioni, da parte dei competenti in tutti e due i campi, la dottrina
dell'evoluzionismo, in quanto cioè essa fa ricerche sull'origine del corpo umano, che proverrebbe da
materia organica preesistente (la fede cattolica ci obbliga a ritenere che le anime sono state create
immediatamente da Dio). Però questo deve essere fatto in tale modo che le ragioni delle due
opinioni, cioè di quella favorevole e di quella contraria all'evoluzionismo, siano ponderate e
giudicate con la necessaria serietà, moderazione e misura” (cf. DS 3896).
In base a queste considerazioni del mio predecessore, non creano ostacoli una fede rettamente
compresa nella creazione o un insegnamento rettamente inteso dell'evoluzione: l'evoluzione
infatti presuppone la creazione; la creazione si pone nella luce dell'evoluzione come un
avvenimento che si estende nel tempo - come una “creatio continua” - in cui Dio diventa visibile
agli occhi del credente come Creatore del Cielo e della terra.
Le teorie dell’evoluzione che, in funzione delle filosofie che le ispirano, considerano lo spirito
come emergente dalle forze della materia viva o come un semplice epifenomeno di questa
materia, sono incompatibili con la verità dell’uomo. Esse sono inoltre incapaci di fondare la
dignità della persona.
Con l’uomo ci troviamo dunque dinanzi a una differenza di ordine ontologico, dinanzi a un salto
ontologico, potremmo dire. Tuttavia proporre una tale discontinuità ontologica non significa
opporsi a quella continuità fisica che sembra essere il filo conduttore delle ricerche sull’evoluzione
dal piano della fisica e della chimica? La considerazione del metodo utilizzato nei diversi ordini del
sapere consente di conciliare due punti di vista apparentemente inconciliabili.
Messaggio di Giovanni Paolo II alla Pontificia Accademia delle Scienze in occasione del 60°
anniversario della rifondazione, su alcune questioni inerenti l'evoluzione dell'uomo, 22
ottobre 1996