Sei sulla pagina 1di 8

GLI ANGELI

(I, qq. 50-64)

— 1 — Il positivismo pratico e teorico della civiltà contemporanea non ha distrutto nell‘uomo


moderno l‘interesse per il mondo degli spiriti. Basterebbe a provarlo una rapida scorsa Ì attraverso
la letteratura contemporanea. Ma ci fermiamo a ricordare due sole opere che nel decennio 1940-
1950 hanno avuto una risonanza mondiale: The Screwtape Letters di O. S. Lewis, tradotte in
italiano sotto il titolo Le lettere di Berlicche, e La part du diable di D. De Rougemont.
L‘interesse è anzi talora perfino morboso. L‘imperversare delle pratiche spiritiche e l‘annessa
letteratura sono un fenomeno impressionante. Si direbbe che in mezzo a tanto materialismo oggi
si parla ancora troppo di spiriti. E non sempre se ne parla con saggezza, e con l‘avvertenza di chi
conosce i pochi ma sicuri dati della rivelazione divina in proposito.
Non sarà inutile perciò rileggere le elucubrazioni del più grande e del più saggio teologo cristiano,
che già i contemporanei denominarono Dottore Angelico, per la straordinaria maestria con la
quale seppe affrontare e risolvere i problemi dell‘angelologia, e per l‘insistenza con la quale se ne
occupò durante i suoi venti anni d‘insegnamento. In non meno di trentacinque delle sue opere egli
trattò espressamente le questioni fondamentali riguardanti gli angeli. Anzi alcune di que st opere
devono essere considerate come vere monografie sugli esseri spirituali.
Nel corso della sua vita S. Tommaso risentì molto di questa dimestichezza con gli spiriti celesti,
per le continue polemiche alle quali dovette partecipare contro gli agostinisti e gli averroisti. Dopo
la sua morte si ebbe persino la condanna da parte dei Maestri parigini, sempre per colpa degli
angeli.
Sembra che la controversia principale intorno alla natura delle mistica, cioè l‘opuscolo De Ente et
Essentia, che il Dottore Angelico scrisse «nondum existens magister ». A giudizio poi dei discepoli
più autorevoli il trattato degli angeli, che troviamo nella Somma Teologica, è da considerarsi come
un vero capolavoro, per la profondità dei principi che lo sostengono e che lo animano, per la
genialità delle intuizioni, e per l‘armonia e la coerenza di tutte le sue parti.

II

Le Fonti.

2 — Ma del trattato tomistico non interessa soltanto la storia: siamo curiosi di conoscerne anche la
preistoria. Infatti molto si è lavorato in questi ultimi cinquant‘anni nel ricercare le fonti del
pensiero dell‘Aquinate, per ricostruire l‘ambiente storico in cui si svolsero le polemiche medioevali
intorno all‘angelologia, e per rintracciare gli autori innominati che fanno la loro comparsa nella
Somma Teologica.
La sacra Scrittura supera per importanza ogni altro documento della cultura antica nel pensiero
tomistico. Non dobbiamo dimenticare che anche Gli angeli fanno parte di un manuale di teologia,
quale doveva essere la Somma nella mente del suo Autore. Ecco perchè negli ottanta articoli che
formano il trattato troviamo esattamente cento citazioni della Bibbia. Ma questa preminenza
quantitativa e materiale è appena un indizio dell‘interesse primario del testo sacro nella sintesi
dell‘Aquinate: questi mira costantemente a ricostruire e a giustificare nel modo più ragionevole le
nozioni, che sugli angeli ci sono state trasmesse dalla rivelazione divina. Questo scopo va tenuto
presente per comprendere il suo pensiero; anche quando sembra assecondare le facili
speculazioni della mitologia e dell‘astronomia d‘altri tempi.
Nonostante i suoi difetti, l‘esegesi medioevale era entrata in possesso dei principi fondamentali
dell‘angelologia biblica. La questione dell‘esistenza di nature intermedie tra l‘uomo e Dio era
perciò fuori di discussione: bastavano come prova irrefutabile le innumerevoli apparizioni di
angeli, riferite da libri santi. Altrettanto chiara appariva per tutti la distinzione tra angeli buoni e
angeli cattivi. Ed erano chiaramente indicate le mansioni specifiche di queste nature superiori:
adorazione e glorificazione dell‘Altissimo, trasmissione degli ordini divini all‘umanità, protezione
e custodia degli eletti, impetrazione e preghiera presso il trono di Dio a favore dei giusti. Da parte
degli angeli ribelli si hanno invece interventi diametralmente opposti, che giustificano i vari nomi
biblici dell‘angelo decaduto.: tentazione (serpente antico, dragone, spirito immondo),
persecuzione degli eletti (satana), accusa e calunnia dei santi (diavolo), infestazione malefica
(spirito maligno).
Agli autori medioevali pareva che fosse abbastanza evidente dai testi biblici anche la
determinazione dell‘aria tenebrosa e del fuoco dell‘inferno, come luoghi appropriati dei demoni.
Ma nel secolo XIII si era ben lontani dal conoscere l‘angelologia biblica come è stata ricostruita
dagli esegeti moderni, che hanno potuto avvantaggiarsi dei recenti studi filologici, delle
meticolose ricerche sulla letteratura rabbinica, e degli scritti dei più antichi Padri della Chiesa,
ignorati nel medioevo.
Gli studiosi medioevali non si contentarono però delle nozioni frammentarie che offriva loro il
testo sacro; tanto più che essi erano portati dalle stesse nozioni di fisica aristotelica e araba a
scorgere dovunque delle forze occulte operanti nel mondo. Essi perciò erano preoccupati di
risolvere in sede speculativa quei problemi, che la sacra Scrittura lasciava nella penombra, o che
addirittura ignorava. Gli angeli di cui si parla nei libri santi sono dei puri spiriti, o sono sostanze
composte di una materia sottile quanto si voglia? Sono stati certamente creati da Dio; ma quando?
Come si spiegano le loro apparizioni? Qual‘ è la natura dei rapporti tra gli angeli e il mondo
materiale? Come si svolgono le funzioni intellettive e volitive di questi esseri superiori? Come si
spiega il peccato degli angeli? In che consiste questo peccato? In che consiste la pena incorsa per
la loro colpa?
3 — Per risolvere questi problemi il teologo medioevale, come abbiamo accennato, non aveva tutte
le risorse positive dei teologi moderni: ignorava quasi del tutto le prime opere compilate dai Padri
della Chiesa. L‘unico libro ben noto della letteratura patristica anteriore al IV secolo era il Peri
Archon di Origene, nella traduzione di Rufino. Ma qui è proprio il caso di dire che non tutto il male
vien per nuocere. A conti fatti la teologia scolastica ci ha guadagnato un tanto, nel caso specifico
dell‘angelologia, dall‘ignoranza di queste preziose fonti del pensiero cristiano. Esse infatti
risentono troppo l‘influsso delle stravaganze neoplatoniche e gnostiche, imperanti nei primi secoli
del cristianesimo.
Uomini come S. Giustino (m. 1.63), S. Ireneo (m. 202) e S. Clemente Alessandrino (m.211) non
rifuggono dall‘attribuire agli angeli dei peccati carnali, insistendo sull‘esegesi materiale di quel
celebre passo della Genesi, 6, 2-4: « I figli di Dio, che videro esser belle le figlie degli uomini, si
presero in mogli, fra tutte, quelle che loro piacquero.... Or v‘erano dei giganti sulla terra in quel
tempo. Perchè, dopo che i figli di Dio si con- giunsero alle figlie degli uomini.... ». E si deve
giungere al secolo IV prima di trovare dei sostenitori convinti della perfetta spiritualità delle nature
angeliche.
Lo stesso S. Agostino, pur condannando gli eccessi di antropomorfismo di tanti suoi predecessori
e contemporanei, non aveva saputo schierarsi a favore della perfetta immaterialità degli spiriti
creati, ed era ricorso alla sconcertante ipotesi di una materia spirituale, da attribuirsi agli angeli.
Ma al medioevo cristiano non doveva mancare una voce autorevole in favore dell‘assoluta
immaterialità degli angeli. E questa fu tanto più autorevole, quanto era più radicato un grave
errore di storia e di critica.
Nel secolo XIII i teologi scolastici erano unanimi nel ritenere autentiche le opere dello Pseudo-
Dionigi Areopagita. Quello scrittore era per essi il diretto discepolo di S. Paolo; perciò la sua chiara
posizione contro la materialità degli spiriti creati riuscì a neutralizzare l‘autorità dello stesso
Agostino. Il De Divinis Nominibus e il De Caelesti Hierarchia dello sconosciuto teologo ellenista del
secolo V, presentatosi sotto il nome dell‘ateniese areopagita, divennero per S. Tommaso i testi
fondamentali per il trattato sugli angeli. E si comprende facilmente: dietro Dionigi l‘Aquinate,
come i suoi contemporanei, credeva di scorgere l‘ombra di Paolo di Tarso, rapito, mentre ancora
viveva sulla terra, fino al terzo cielo.
Con lo Pseudo - Dionigi abbiamo trovato il corso d‘acqua, che ci permette di risalire alle fonti più
remote del trattato tomistico sugli angeli. Dionigi infatti è un neoplatonico; e alle teorie
neoplatoniche dobbiamo risalire per scorgere i motivi fondamentali della sintesi dell‘Aquinate
intorno alle sostanze spirituali.
Tanto più che convergono verso quella medesima scaturigine altri rivi, dai quali egli ha attinto, sia
pure con molta circospezione. Il Liber de Causis, che S. Tommaso stesso ha riconosciuto come
compendio dell‘opera di Proclo, era uscito anch‘esso dalla scuola neoplatonica. Il commento che
egli ce ne ha lasciato permette di constatare come il Dottore Angelico sapesse impadronirsi dei
motivi dottrinali neoplatonici, che dovevano formare le intime strutture della sua angelologia,
scartandone gli spunti eterodossi. Lo stesso rilievo vale per le opere di Avicenna e di Averroè.
La concordanza dei filosofi sulla perfetta immaterialità degli spiriti creati lo aveva colpito fin da
quando, ancora studente, trascriveva a Colonia il commento di S. Alberto Magno all‘Etica di
Aristotele, e compilava il De Ente et Essentia (e. 5).
Ma questi filosofi arabi, pur avendo subìto influssi neoplatonici, erano sostanzialmente degli
aristotelici. Perciò S. Tommaso trovava nei loro scritti un tentativo di sintesi tra il pensiero di
Aristotele e quello neoplatonico. Sicché non c‘è da stupirsi che egli abbia considerato anche le
opere aristoteliche come fonti del suo trattato sugli angeli. La cosmologia aristotelica non parlava
forse dei motori delle sfere celesti?
5 — Non si creda però che S. Agostino e gli altri SS. Padri, conosciuti nel secolo XIII, siano stati qui
dimenticati da S. Tommaso. Possiamo dire anzi che, se facciamo astrazione dalla controversia
sulla composizione ilemorfica e dalle immediate conseguenze che derivano dal concepire gli spiriti
come sostanze immateriali, S. Agostino è l‘autore ecclesiastico più citato e più autorevole nelle
questioni 50-64. E più citato dello stesso Dionigi (77 volte contro 44). Le sue vedute geniali sono
ricordate; e le sue personalissime teorie intorno alla conoscenza angelica vengono rielaborate in
uno schema più logico, anche se non sempre rispettoso dell‘impronta originale del grande Dottore
africano.
La teoria della conoscenza umana, che divide ordinariamente i massimi Dottori della Chiesa, non
viene qui a turbare i loro rapporti. S. Tommaso aderisce pienamente al platonismo di Agostino,
quando si tratta degli spiriti puri.
Nel trattato tomistico non vengono dimenticate le opere di S. Gregorio Magno, che per primo
difeso nella Chiesa occidentale l‘assoluta immaterialità degli angeli.
Particolare attenzione viene accordata a S. Giovanni Damasceno. Le espressioni più significative
del De Fide Orthodoxa (1. 2, c. 3) sono riportate e illustrate efficacemente. E si pensi che
attraverso l‘opera del Damasceno il Dottore Angelico aveva la chiara coscienza di ascoltare l‘eco
fedele della teologia Orientale. Cosicché nella sua sintesi non è mancato il contributo delle antiche
generazioni cristiane. — Altri autori interessano solo per qualche problema In complesso troviamo
nel trattato una base positiva tutt‘altro che esauriente; ma è una base solida, perchè formata dai
documenti teologici più sicuri. Perciò l‘elaborazione della dottrina tomistica sugli angeli, che mira
oltre tutto a valorizzare l‘apporto della tradizione, difficilmente avrebbe potuto usufruire di una
selezione più indovinata delle fonti. Si può affermare che la tradizione cattolica ha ritrovato con S.
Tommaso le sue fonti più pure; e il consenso sempre più vasto che la di lui dottrina ha riscosso tra
i teologi ne è una riprova.

III

La controversia circa la composizione ilemorfica delle sostanze spirituali.

6 — Abbiamo già accennato alle origini remote del problema: ora dobbiamo meglio precisare i
termini della controversia, per capire il nucleo centrale della sintesi tomistica, e per apprezzare lo
sforzo compiuto dal Dottore Angelico per ricondurre il pensiero cristiano alla netta affermazione
della spiritualità delle intelligenze create.
Nella sacra Scrittura non mancano i testi, che negano espressamente agli angeli le funzioni della
vita corporale. Tuttavia l‘idea che gli angeli e le anime dei trapassati fossero delle entità del tutto
immateriali aveva incontrato la diffidenza di molti; perchè sembrava una menomazione della
trascendenza divina attribuire alla creatura 1‘ immaterialità, che è certamente un attributo di Dio.
Questa preoccupazione la troviamo espressa chiaramente, e in qualche modo risolta, da S.
Giovanni Damasceno: «L‘angelo Si dice incorporeo e immortale rispetto a noi; poichè paragonato a
Dio (che solo è incorporeo), ogni cosa apparisce pesante e materiale» (2 De Fide Orthod., c. 3).
In S. Agostino era balenata l‘idea che gli angeli fossero impastati di materia spirituale, sempre per
la suddetta preoccupazione teologica. Ma nel corso dei secoli non erano mancate nette
affermazioni della immaterialità degli angeli. Abbiamo già ricordato S. Gregorio Magno (m. 604);
ma dobbiamo per lo meno accennare, per rimanere nel mondo latino, ad Alcuino (m. 804) e a S.
Anselmo (m.1109). Abelardo (m. 1142) nel Sic et Non aveva ricapitolato lo stato della controversia,
riportando le contrastanti autorità dei Padri, senza però decidere la questione.
Troviamo quasi lo stesso atteggiamento in Pietro Lombardo (Cfr. 2 Sent., d. 8, e. 1), morto nel
1160, circa cento anni prima che S. Tommaso iniziasse la Somma Teologica. Egli però si era
mostrato piuttosto favorevole all‘immaterialità degli angeli. Cosicché sotto la sua influenza si era
formata una corrente sempre più decisa a favore di quella tesi.
Ma intorno alla metà del secolo XIII ci troviamo improvvisamente di fronte a una ripresa virulenta
della tesi contraria. E il motivo? Nel frattempo si era prodotto un fatto nuovo: l‘averroismo
minacciava l‘ortodossia cattolica, e bisognava correre ai ripari. Tra le tesi più pericolose del grande
commentatore di Aristotele c‘erano quelle riguardanti gli esseri spirituali, anime umane comprese.
Dalla perfetta immaterialità degli spiriti creati Averroè aveva dedotto l‘impossibilità di una
molteplicità numerica delle sostanze immateriali nell‘ambito di una medesima specie. E la
deduzione pareva così stringente e così universale da compromettere la sopravvivenza delle anime
umane individuali. I difensori dell‘ortodossia pensarono allora che la migliore tattica fosse una
ritirata strategica: bisognava trincerarsi dietro la materia spirituale, timidamente disegnata da S.
Agostino.
La via della ritirata pareva sgombra di pericoli, poichè era stata percorsa nel frattempo anche da
un filosofo non cristiano, cioè dall‘ebreo Avicebron (m.1058). Questi nel suo Fons Vitae aveva
sostenuto che tutte le creature, spirituali e corporali, sono composte di materia e forma. Perciò
bisognava insistere sull‘argomento con tutte le risorse della dialettica.
Non si può negare che le argomentazioni dovevano aver impressionato fortemente gli stessi
sostenitori della immaterialità pura; perchè, prescindendo dalla materia, questi non sapevano
trovare una differenza sostanziale tra Dio, atto puro, e gli angeli, pure forme sussistenti. Si
cercava una composizione tra quo est e quod est; ma basta dare un‘occhiata alle opere di S.
Alberto Magno per capire quanto grave fosse la confusione e l‘imbarazzo (cfr. LOTTIN O., «La
composition hylemorphique des substances spirituelles: les débuts de la controverse », in Révue
Néoschol. de Philosophie, 1932, pp. 21-41.
7 — A questo punto entra in scena S. Tommaso d‘Aquino. Fin dalla prima giovinezza aveva egli
conosciuto le controversie dottrinali del suo secolo, e aveva preso a esaminarle col suo ingegno
potente, squisitamente sistematico. Così egli potè entrare all‘ improvviso nella scena del mondo
con una sintesi scientifica assai più consistente di quella del suo maestro.
Già nella trascrizione del commento albertino dell‘Etica a Nicomaco il geniale discepolo mostra di
aver trovato la soluzione del problema, soluzione che preciserà anche meglio nel De Ente et
Essentia. — Per conservare la distanza infinita tra Dio e gli angeli basta la distinzione tra essenza
ed esistenza, che troviamo negli spiriti puri come in qualsiasi creatura. Dio solo è la sua esistenza.
Gli angeli sono forme semplici, come dicono gli averroisti; e bisogna accettare tutte le
conseguenze che derivano da una tale affermazione, perché parlare di materia spirituale è un non
senso. Gli averroisti errano solo nell‘applicare alle anime umane le stesse proprietà delle sostanze
immateriali, dimenticando che noi uomini abbiamo unito un corpo, non come accidentalità
trascurabile, ma come parte integrante della nostra sostanza.
Il Dottore Angelico seppe difendere con una pazienza eroica e con una logica impareggiabile
questo punto di vista, nel corso dei suoi venti anni di insegnamento. Ma l‘animosità dei Maestri
contro le sue teorie innovatrici non si calmò neppure dopo la sua morte. Il 7 marzo 1277 Stefano
Tempier vescovo di Parigi condannava come erronee, in pieno accordo col suo consiglio
accademico, alcune di quelle tesi che S. Tommaso aveva così strenuamente difeso. La sentenza fu
revocata soltanto nel 1325, dopo la canonizzazione del Santo (cfr. GILLON L. B., « Thomas d‘Aquin
», Signification historique de la théologie de Saint Thomas, in D. T. C., 15, coll. 672-678).
La condanna impressionò, parzialmente, soltanto i primi discepoli; ma possiamo dire che la scuola
tomistica insorse con non minore energia del suo maestro in difesa della perfetta immaterialità
degli angeli, anche se talvolta fu meno esemplare di lui nella pazienza. Certamente è merito di
questi discepoli se oggi le tesi fondamentali dell‘angelologia tomistica sono così comuni tra i
teologi.

IV

Valutazione dell‘angelologia tomistica.

8 — Superata ormai ogni polemica di scuola, noi oggi possiamo ammirare con serenità la
rivelazione del genio d‘Aquino in questo trattato teologico, che suscitò in passato le più fervide
lodi dei discepoli e le riserve più severe degli avversari. E possiamo anche rilevare
spassionatamente quali siano gli aspetti meno felici della sua costruzione dottrinale.
Non ci possono essere limiti nell‘ammirazione, quando pensiamo alla coerenza sistematica di tutto
il trattato. Poche intuizioni fondamentali guidano alla soluzione di tutti i problemi, giustificando i
dati positivi della rivelazione e della tradizione con una spontaneità, che a prima vista dà una
strana sensazione di sicurezza anche di fronte a problemi di loro natura insolubili.
Abbiamo parlato di intuizioni fondamentali; ma forse è più giusto dire, al singolare, che si tratta di
un‘intuizione sola, la quale governa l‘intero trattato: la negazione di ogni materia nelle sostanze
spirituali. Più che un‘intuizione abbiamo qui un postulato. La materia, analizzata secondo il più
puro aristotelismo, è un sustrato potenziale con determinazioni quantitative: estensione, peso,
figura. Posti come siamo dalla rivelazione stessa nella necessità di negare tutto ciò agli angeli,
bisogna coerentemente concepire questi ultimi come sostanze semplici, immateriali, cioè come
forme pure senza materia.
Primo corollario di questa dottrina è un atto di leale accettazione di un motivo averroista: le forme
semplici non possono moltiplicarsi numericamente nella medesima specie. Ogni angelo fa specie a
sè (q. 50, a. 4).
Inoltre, una forma sussistente non può subire le determinazioni di luogo, di moto e di tempo alla
maniera delle sostanze corporee (qq. 52, 53). Perciò le apparizioni di angeli descritte dai libri santi
non possono considerarsi basate sull‘unione naturale di queste sostanze con delle entità
materiali(q. 52).
L‘ immaterialità poi di cui si parla non è un concetto negativo, perchè la forma che sussiste in se
medesima è un atto che nel suo ordine è senza potenza, un atto che esaurisce tutta la perfezione
della sua specie. Ma senza concretarsi e senza spandersi su di un sostrato materiale, la forma
rimane in se stessa raccolta in un possesso totale di se medesima. Avremo perciò anche quella
forma particolarissima di autopossesso che è la cognizione (q. 56).
Persino le caratteristiche della cognizione angelica derivano dall‘immaterialità o semplicità della
natura, cui tale cognizione appartiene. Le forme semplici non sono legate agli organi e alle
limitazioni della cognizione sensitiva; non ha senso perciò parlare del processo astrattivo, così
caratteristico della conoscenza umana. Anzi la cognizione degli angeli, per essere proporzionata
alla loro natura di forme o atti sussistenti, non deve essere potenziale come la nostra. E perchè sia
sostanzialmente attuale si richiede un‘infusione di specie connaturali, di idee innate (qq. 54-58).
Anche l‘esercizio della volontà angelica deve piegarsi a queste esigenze della piena attualità di
natura e di cognizione. Esiste negli angeli una maniera di decidere piena e integrale, che perciò
non conosce esitazioni e pentimenti (q. 64, a. 2). Così pure quando Dio inserisce l‘angelo
nell‘ordine soprannaturale, la piena attualità degli spiriti puri viene rispettata, perché «la grazia
perfeziona la natura, non la distrugge ». Ecco quindi che l‘angelo, il quale opera sempre con la
perfezione di tutta la sua natura attualissima, viene a collaborare con la grazia nella misura delle
sue capacità naturali. Per lui non c‘è che una scelta: o il peccato con una determinatissima
responsabilità e pena, o il merito proporzionato a un «connaturale» grado di gloria (q. 62, a. 6).
9 — La coerenza sistematica arriva certamente fino a queste determinazioni. Ma di fronte ad esse
dobbiamo francamente confessare che sentiamo un senso di disagio. Qui la costruzione non trova
più nessun appoggio concreto nella rivelazione; e le nature angeliche sembrano sacrificate da un
motivo, che inizialmente tendeva ad esaltarne la nobiltà e la grandezza. In definitiva sembra
menomata la loro dignità di cause, perché viene ridotta sensibilmente la loro iniziativa, in
confronto di quella concessa alla natura umana. L‘uomo è artefice del suo destino fin nei minimi
particolari; l‘angelo invece è costretto a muoversi sul binario unico delle sue doti naturali, e della
sua nobiltà e perfezione innata.
Lo stesso rilievo nasce spontaneo nel considerare la maniera caratteristica dell‘intellezione
angelica. Le idee innate servono magnificamente a porre la natura angelica al disopra dei suoi
oggetti, materiali o immateriali che siano; ma questa attualità sopraeminente compromette un
poco l‘autonomia delle intelligenze angeliche, poichè le idee connaturali, non solo sostituiscono il
contatto immediato e diretto con la realtà, ma lo impediscono. Un angelo, per conoscere un uomo
nella sua concretezza, ha sempre bisogno di rivolgersi alle sue specie « intenzionali », che egli non
saprebbe costruirsi da sè, ma che sono date direttamente da Dio.
Sappiamo benissimo che il sistema ha le sue esigenze; ma dinanzi a queste conclusioni estreme
viene da pensare che dopo tutto la nostra ricostruzione della psicologia degli angeli non può
essere che molto approssimativa; e che forse a noi sfugge l‘aspetto più originale della loro attività.
— Evidentemente qui non tocchiamo soltanto i limiti di una teoria, ma i limiti della stessa
intelligenza umana.
10 — Quest‘ombra di relativismo è insopprimibile per la mentalità moderna, e non ci sono motivi
ragionevoli per dichiararla peccaminosa. Tanto più che nelle strutture di tutte le costruzioni
sistematiche del passato troviamo mescolati dei motivi sicuramente caduchi. Anche nel trattato
tomistico degli angeli non mancano queste impalcature pericolanti. Prima fra tutte l‘analogia tra i
corpi celesti incorruttibili della fisica aristotelica e le sostanze angeliche.
Per S. Tommaso aveva un valore dimostrativo questa proporzionalità: come i corpi celesti stanno
ai corpi terrestri, così la natura e l‘intelligenza angelica stanno alla natura e alla intelligenza
umana (cfr. q. 58, a. i). I primi sono attuali, perchè perfettamente dominati dalla forma; i secondi
invece sono potenziali. Allo stesso modo, l‘intelletto angelico è attuale mentre quello umano è
sempre potenziale. Da questa presunta analogia non sono stati tratti solo degli esempi: basta
leggere il passo sopra citato per constatare che si tratta di vera dimostrazione. Anche se quella
dimostrazione non è l‘unico sostegno della tesi in discussione, è ragionevole sospettare che
l‘analogia abbia forzato la mano del metafisico e del teologo, spingendolo a insistere oltre i limiti
del giusto nel negare agli angeli un‘intrinseca perfettibilità.
Noi moderni, forse perchè sollecitati dalla concezione evoluzionistica del mondo fisico, si
preferisce pensare che tutte le creature si trovino in uno stato di perfettibilità indefinita. Ogni
creatura, anche se perfettissima, ci appare come una partecipazione limitata dell‘essere, aperta
però verso altre forme di esistenza mediante l‘operazione, esercitata o subita. Perciò ci sentiamo
spinti ad accentuare il carattere transitorio delle operazioni, così da permettere ad ogni creatura di
completarsi successivamente nelle varie forme in cui l‘essere può venire partecipato. Noi quindi
non riusciamo a comprendere l‘angelologia dei neoplatonici, per i quali le intelligenze ,separate
erano delle sostanze del tutto attuali, senza essere l‘atto puro. — L‘Aquinate stesso ha compreso
che bisognava smorzare le tinte di questa attualità degli spiriti puri, per farne delle creature
autentiche. Egli perciò afferma chiaramente che questi esseri sono indirizzati a un fine estrinseco
alla loro natura, e quindi sono sottoposti alla iniziativa di Dio. Anche la loro intelligenza può
sempre avere illuminazioni dall‘alto. — Ma noi vorremmo che fosse posto in maggiore evidenza il
fatto che l‘operazione in ogni creatura colma sempre una vera potenzialità, anche se si tratta
dell‘intellezione degli angeli, eliminando così persino l‘eco dell‘analogia tra angeli e corpi celesti.
11 — Dobbiamo finalmente accennare alle teorie cosmologiche nelle quali gli angeli erano
direttamente implicati.
5. Tommaso, da buon aristotelico, pensava che gli angeli avessero tra l‘altro il compito di muovere
le sfere, che secondo l‘astronomia antica avrebbero costituito l‘universo.
Sappiamo che egli era ben lontano dall‘appassionarsi come i suoi contemporanei a questi
problemi di.... astronomia. (Si pensi alla reprimenda di Dante Alighieri contro i predicatori che
facevano esibizionismi in tale disciplina, Parad., XXIX, 94-126). Basterebbero a provarlo i consigli
di moderazione che diede al B. Giovanni da Vercelli, Maestro Generale del suo Ordine, preoccupato
per le animate discussioni sorte tra gli studenti dello Studio milanese a proposito di queste teorie
(cfr. Opusc. 10). Ma era naturale che anch‘egli indulgesse, almeno in parte, ai gusti de] suo tempo.
Perciò la nostra accettazione di certe dottrine non può essere incondizionata.
Ci sono poi le teorie riguardanti il luogo della creazione e della dimora abituale degli angeli, che il
teologo moderno considera ormai quasi come pure curiosità archeologiche. In genere oggi si
preferisce frenare i voli della fantasia, e inibirsi ogni curiosità intorno a simili problemi. Ma
pretendere questo da un medioevale, dopo tutte le sollecitazioni che venivano dal neoplatonismo .
dallo gnosticismo, filtrati attraverso la cultura araba e giudaica, significa chiedere un miracolo.
Invece S. Tommaso, in questo trattato come in qualsiasi altro, si rivela un uomo saggio, non un
uomo miracoloso.
E l‘interesse maggiore che noi oggi proviamo per il trattato degli angeli non deriva tanto dalle
conclusioni riguardanti questi esseri celesti, quanto piuttosto dall‘acuta indagine sulla natura e
sulla operazione umana, la quale doveva sempre servire come punto di riferimento per queste
ardite speculazioni. Non esiste forse in tutta la Somma Teologica un trattato in cui il Dottore
Angelico mostri di conoscere così a fondo l‘uomo come nel trattato degli angeli.
12 -. Gli studiosi appassionati delle nature spirituali non troveranno invece in queste pagine la
risposta a molti dei loro problemi, che pur sono legittimi. Non vi si parla infatti dell‘attività e delle
mansioni proprie delle nature angeliche, come contributo all‘ordine dell‘universo. E questo non
perchè il Dottore Angelico si sia disinteressato ditali quesiti, ma perchè ha creduto più opportuno
rimandarne la discussione a quando si tratterà del governo dell‘universo (I, qq. 103-119).
Perciò il trattato degli angeli è incompleto. Rimangono fuori 9 questioni, con 47 articoli
complessivi: un buon terzo di quelli espressamente dedicati alle nature angeliche nella Somma
Teologica. — Questo fatto sta a dimostrare che l‘Aquinate non intendeva dividere la sua opera in
trattati. Egli è solo preoccupato di svolgere le questioni secondo le esigenze della sintesi generale
della teologia, alla quale espressamente mirava. La divisione della Somma in trattati, sebbene
ordinariamente non sia un‘impresa tanto difficile, è però un arbitrio. Arbitrio che il Santo Dottore
vorrà perdonare, speriamo, agli editori antichi e moderni della sua opera.

L‘ UOMO: a) NATURA E POTENZE DELL‘ ANIMA


(I, qq. 75-83)

INTRODUZIONE
I
Limiti e interesse del trattato.

1 — Nessuno deve cercare in queste pagine quello che l‘Autore non ha intenzione di trattare.
L‘uomo è un microcosmo, cioè un universo in sintesi; cosicché quasi tutte le discipline si occupano
più o meno di lui. Bisogna perciò ricordarsi che qui siamo dinanzi a un trattato teologico; e quindi
non si parlerà della parte materiale di cui siamo composti, ma della sola parte spirituale:
dell‘anima.
Abbiamo indicato così la prima omissione volontaria di S. Tommaso nella compilazione del suo
trattato De homine: non si parlerà del corpo umano altro che per i suoi rapporti con l‘anima.
O è una seconda omissione, anch‘essa dichiaratamente volontaria: non si parlerà dell‘aspetto
morale delle azioni umane. E questo non perché sia un argomento estraneo alla teologia, ma
perché l‘Autore pensa di dedicarvi la parte più lunga della sua opera. La Seconda Parte sarà così
voluminosa da richiedere una suddivisione: Prima e Secunda Pars Secundae Partis. E nelle due

Potrebbero piacerti anche