Sei sulla pagina 1di 131

PONTIFICIA UNIVERSITÀ DI SAN TOMMASO IN URBE (ANGELICUM)

FACOLTÀ DI TEOLOGIA

LA TEOLOGIA DEL BATTESIMO


SECONDO SAN TOMMASO D’AQUINO
(tP3025)

Fr. Serge-Thomas BONINO, o.p.

Secondo semestre 2022/2023

(dispensa ad usum studentium)

1
INDICE

Introduzione

Capitolo 1 : La grazia battesimale

1.1. La grazia sacramentale in generale


1.1.1. Dalla grazia in generale alla grazia cristiana
1.1.2. Dalla grazia cristiana alla grazia sacramentale
1.1.3. Le diverse posizioni sulla grazia sacramentale nella scuola tomista
1.2. Primo approccio della grazia battesimale
1.3. La giustificazione
1.3.1. Primo approccio della giustificazione
1.3.2. Il peccato e le sue conseguenze
1.3.2.1. Il peccato
1.3.2.2. Le conseguenze del peccato
1.3.2.2.1. Lo stato di peccato
1.3.2.2.1.1. L’inimicizia e la collera di Dio
1.3.2.2.1.2. L’autodistruzione del peccatore
1.3.2.2.2. La pena del peccato
1.3.2.2.2.1 La pena : natura e necessita
1.3.2.2.2.2. La pena del peccato
1.3.2.2.2.2.1. La dannazione eterna
1.3.2.2.2.2.2. Le pene temporali del peccato
1.3.3. Il processo della giustificazione
1.3.3.1. L’iniziativa efficace di Dio
1.3.3.2. La cooperazione dell’uomo alla propria giustificazione
1.3.3.2.1. Necessità di una preparazione
1.3.3.2.2. La preparazione remota
1.3.3.2.3. La preparazione immediata
1.3.3.2.3.1. Indispensabile movimento del libero arbitrio
1.3.3.2.3.2. La conversione a Dio
1.3.3.2.3.3. La contrizione
1.3.3.2.4. La soddisfazione
1.3.4. Il caso del peccato originale
1.3.4.1. Il peccato originale
1.3.4.2. La pena del peccato originale
1.3.4.3. La remissione del peccato originale
1.4. Un solo battesimo per la remissione dei peccati
1.4.1. Il perdono dei peccati (IIIa, q. 69, a. 1)
1.4.2. La cancellazione delle pene dei peccati personali (IIIa, q. 69, a. 2)
1.4.3. La permanenza delle sequele del peccato originale (IIIa, q. 69, a. 3)
1.4.3.1. Tre argomenti di convenienza
1.4.3.2. Dalla rigenerazione personale allo ‘risarcimento della natura’
1.4.4. L’apertura delle porte del Regno dei cieli (IIIa, q. 69, a. 7)
1.5. La vita nuova in Cristo
1.5.1. La grazia delle virtù e dei doni (IIIa, q. 69, a. 4)
1.5.2. Gli atti delle virtù (IIIa, q. 69, a. 5)
1.5.3. Il Dono dello Spirito

2
Capitolo 2 : Il carattere battesimale

2.1. Breve storia della nozione di carattere


2.2. Il carattere come consacrazione cultuale
2.2.1. La dimensione cultuale dei sacramenti
2.2.2. Entrare nel popolo sacerdotale
2.2.3. Partecipare al sacerdozio di Gesù Cristo
2.2.4. Lo statuto ontologico del carattere
2.3. La consacrazione battesimale
2.3.1. Il sacerdozio reale dei battezzati
2.3.2. La partecipazione sacramentale dei battezzati al sacerdozio di Cristo
2.3.3. Una consacrazione irrevocabile

Capitolo 3 : Il rito battesimale ossia l’essenza del battesimo (IIIa, q. 66)

3.1. “Il lavacro dell’acqua...”


3.1.1. Un’abluzione
3.1.1.1. Definizioni del rito battesimale
3.1.1.1.1. Definizioni per mezzo degli effetti
3.1.1.1.2. Definizione per mezzo dell’elemento materiale : Ugo di San Vittore
3.1.1.1.3. Definizione di san Tommaso
3.1.1.2. Le modalità dell’abluzione battesimale
3.1.1.2.1. Immersione e infusione da san Tommaso
3.1.1.2.2. Appunti storici sulle modalità dell’abluzione battesimale
3.1.1.2.3. Il rito ternario dell’abluzione
3.1.2. L’acqua, materia remota del sacramento
3.2. “... accompagnato dalla parola” (Ef 5, 26)
3.2.1. Necessità della forma
3.2.1.1. In generale
3.2.1.2. Nel caso del battesimo
3.2.2. La forma del battesimo
3.2.3. Le variazioni nella forma
3.2.3.1. Il battesimo nel nome di Cristo
3.2.3.2. La forma del battesimo presso i Greci
3.2.3.3. Le alterazioni della forma
3.3. I riti battesimali annessi

Capitolo 4 : Il ministro del battesimo (IIIa, q. 67)

4.1. Il ruolo del ministro


4.1.1. Una causa strumentale
4.1.2. Uno strumento cosciente e libero : la questione dell’intenzione
4.1.2.1. L’oggetto dell'intenzione ministeriale
4.1.2.2. La qualità dell'intenzione ministeriale
4.2. Il ministro del battesimo
4.2.1. Il ministro ordinario del battesimo
4.2.2. Il ministro straordinario
4.2.2.1. Quando ricorrere al ministro straordinario ?
4.2.2.2. Chi può essere ministro straordinario del battesimo ?
4.3. Il padrino e la madrina

3
Capitolo 5 : Problemi riguardanti lo soggetto del battesimo (IIIa, q. 68)

5.1. Le disposizioni richieste da parte del catecumeno adulto


5.1.1. I requisiti perché il battesimo sia valido: l’intenzione di ricevere il sacramento (q. 68,
a. 7)
5.1.2. I requisiti per la fruttuosità del battesimo
5.1.3. Le disposizioni del catecumeno e i frutti del battesimo
5.5.1.4. Il problema della « finzione »
5.2. Il caso dei bambini
5.2.1. Il battesimo dei bambini : una pratica tradizionale
5.2.1.1. Nel Nuovo Testamento
5.2.1.2. Le prime testimonianze
5.2.1.3. La crisi del pedobattesimo
5.2.2. Il battesimo dei bambini nella teologia di sant’Agostino
5.2.2.1. Lex orandi, lex credendi
5.2.2.2. Il battesimo dei bambini prima della controversia pelagiana : il ruolo della fede
5.2.2.2.1. Le perplessità di Bonifacio
5.2.2.2.2. La Chiesa presenta il bambino al battesimo
5.2.2.2.3. Il realismo sacramentale e la fede del bambino
5.2.3.3. La pratica del battesimo dei bambini implica il dogma del peccato originale
5.2.3. La ripresa da san Tommaso
5.2.3.1. L’intenzione di ricevere il sacramento : “Come un bimbo in braccio a sua
madre”
5.2.3.1.1. Principio generale di soluzione
5.2.3.1.2. La mediazione dei genitori
5.2.3.1.3. La libertà del bambino
5.2.3.2. La fede

Capitolo 6 : La necessità del battesimo

6.1. La necessità del battesimo per essere salvato


6.2. Le “supplenze” al battesimo nel caso dell’adulto
6.2.1. Due dottrine tradizionali
6.2.1.1. Le supplenze del battesimo prima della promulgazione del battesimo cristiano
6.2.1.2. La dottrina dei tre battesimi
6.2.1.2.1. Il battesimo di sangue
6.2.1.2.2. Il battesimo di fuoco ossia di penitenza
6.2.2. Principi di soluzione
6.2.3. Relazione tra le supplenze al battesimo e il battesimo sacramentale
6.3. La sorte dei bambini che muoiono senza battesimo
6.3.1. Sant’Agostino
6.3.2. La dottrina teologica del limbo
6.3.2.1. La nascita del limbo
6.3.2.2. La dottrina del limbo da san Tommaso
6.3.3. La questione oggi
6.3.3.1. La critica del limbo

4
6.3.3.2. Piste aperte
6.3.2.2.1. Gaetano e il voto dei genitori
6.3.2.2.2. La configurazione a Cristo mediante la morte
6.3.3.3. La speranza

5
INTRODUZIONE

Dio è Alfa e Omega. Tutto viene da Dio, Trinità creatrice di tutte le cose, e tutto va
verso Dio, Fine ultimo a cui tutte le creature si uniscono, ciascuna a modo suo. Per le creature
spirituali, angeli e uomini, l’unione a Dio è “la beatitudine della vita immortale”, ossia la
visione beatifica. Si tratta di un fine soprannaturale, nel senso che nessuna creatura spirituale
è in grado di attuare quest’unione usando le sole capacità naturali. L’uomo raggiunge questo
fine per mezzo del suo agire libero e virtuoso, prevenuto, sopraelevato e portato a
compimento dalla grazia divina. Però, a causa del peccato accaduto fin dall’origine, la grazia
di cui l’uomo ha bisogno è non soltanto “elevante” ossia divinizzante ma anche “sanante”
perché bisogna che risani le ferite del peccato. Questa grazia passa da un mediatore, il quale ci
apre la via della salvezza risanandoci dal peccato e facendosi partecipare alla vita divina che
egli stesso possiede pienamente, come spiegato da san Tommaso nel Prologo generale della
Somma di teologia :

“Poiché il Signore, Gesù Cristo, Salvatore nostro, ‘salvando’, come attesta l’angelo, ‘il
suo popolo dai peccati’, ci ha presentato in se stesso la via della verità, per la quale
possiamo giungere, mediante la risurrezione, alla beatitudine della vita immortale, è
necessario, per condurre a termine tutto il corso teologico, che alla considerazione
dell’ultimo fine della vita umana, delle virtù e dei vizi, segua lo studio dello stesso
Salvatore universale e dei benefici da lui apportati al genere umano.”

Quali sono questi benefici ? I sacramenti e la risurrezione finale.

“In tale studio tratteremo : primo, direttamente del Salvatore ; secondo, dei suoi
sacramenti con i quali conseguiamo la salvezza ; terzo, del fine della vita immortale, cui
arriviamo risorgendo per opera sua” (IIIa, Prol.).

I nostri sacramenti fanno da ponte tra “passato” e “futuro”. Essi a/ ci comunicano ossia
applicano i frutti dell’opera salvifica compiuta una volta per tutte da Cristo Salvatore, b/ ci
fanno partecipare alla vita di Cristo Risorto, e c/ ci portano alla risurrezione e alla vita eterna.
Questa triplice dimensione viene riassunta dall’antifona O sacrum convivium : O sacro
convito, nel quale Cristo diventa nostro cibo, si perpetua il memoriale della sua passione
(passato) ; l’anima nostra è riempita di grazia (presente), e ci è dato il pegno della gloria
futura (futuro).

6
Nella Summa theologiae, le questioni dedicate ai sacramenti sono divise in due,
secondo un modo di fare che piace a san Tommaso : egli considera prima ciò che è comune
poi tratta di ciò che è proprio (così ha fatto nel trattato su Dio nella Ia pars, nel trattare la
morale [distinzione tra Ia-IIae e la IIa-IIae]...). Quindi Tommaso studia prima i sacramenti in
generale, cioè le dottrine che valgono per tutti i sette sacramenti (definizione, necessità,
efficacia...) (q. 60-65), e poi i sacramenti in particolari, vale a dire ciò che è proprio a
ciascuno dei sette sacramenti, cominciando dal battesimo. Qui, incontriamo una prima
difficoltà metodologica. Dal punto di vista storico, il De sacramentis in genere è nato dal
“trattato” sul battesimo. La riflessione cristiana si è prima di tutto interessata a ciascuno dei
sacramenti, considerato nella sua singolarità. Solo in un secondo momento si è cercato, in una
forma d’astrazione (senz’altro legittima, anzi necessaria), a individuare gli elementi comuni ai
diversi sacramenti. Il processo iniziò nel XII° secolo con, tra altri, Pier Lombardo, ma la tappa
decisiva è stato san Tommaso : egli è uno dei primissimi a proporre una riflessione
sistematica sui sacramenti in generale. Prima di lui, i diversi problemi relativi ai sacramenti in
generale (la definizione del sacramento, la natura della sua causalità, l’intenzione richiesta da
parte del ministro...) erano trattati a proposito di quello o questo sacramento particolare e, in
modo del tutto speciale, a proposito del battesimo. In effetti, la teologia del battesimo è stata,
dal punto di vista storico, il luogo in cui si è formata la teologia sacramentaria. Donde la
difficoltà metodologica del nostro trattato sul battesimo come tale. Se lasciamo da parte,
perché sono già trattate a proposito dei sacramenti in generale, le grandi tesi della teologia
sacramentaria, non c’è quasi più niente da dire ! Per tanto, pure soffermandoci sugli aspetti
specifici del battesimo, non potremmo non tornare su alcuni temi del De sacramentis in
genere, di cui la teologia del battesimo è stata la fonte storica.

Il testo di riferimento sarà le q. 66 a 71 della IIIa pars della Summa theologiae. Scritte
a Napoli nel 1272-1273, queste questioni rappresentano lo stato più maturo e sviluppato della
teologia tomista del battesimo. Quale è la struttura del “trattato” ? Nel prologo della q. 66, san
Tommaso annuncia due parti, di cui la rilevanza è diversa :

* Quattro questioni sul battesimo in sé stesso [de ipso baptismo] (q. 66-69).

* Due questioni sulle preparazioni al battesimo [de preparatoriis baptismi] (q. 70-71).

Ecco come procedano le quattro questioni sul battesimo in sé stesso :

7
* q. 66 (12 articoli) : l’“essenza” del sacramento del battesimo [de his quae pertinent ad
sacramentum baptismi], cioè, soprattutto, la definizione (forma + materia) del sacramentum,
in altre parole : il rito costitutivo del battesimo.

* q. 67 (8 articoli) : il ministro del sacramento del battesimo.

* q. 68 (12 articoli) : quelli che ricevono [recipientes] il sacramento del battesimo. Tommaso
presenta le condizioni per ricevere (validamente e fruttuosamente) il battesimo da parte del
soggetto.

* q. 69 (10 articoli) : gli effetti del sacramento del battesimo.

A proposito delle “preparazioni” al battesimo, san Tommaso considera, prima, la


prefigurazione del battesimo nell’antico testamento, vale a dire la circoncisione (q. 70 ; 4
articoli), poi ciò che prepara a ricevere il battesimo cristiano, vale a dire la catechesi (la quale
dovrebbe precedere il battesimo) e i riti dell’esorcismo (q. 71 ; 4 articoli).

La scienza, quale forma più perfetta della conoscenza, consiste nel conoscere una certa
realtà per mezzo delle proprie cause. Difatti, conoscere perfettamente una certa cosa significa
essere in grado di individuare le cause che spiegano perché questa cosa è così e non
diversamente. Per tanto, la teologia sistematica del battesimo prende la forma della riflessione
sulle cause del battesimo. Ora, ci sono due tipi di cause. Ci sono, prima, le cause intrinseche,
vale a dire le cause che rendono conto della costituzione interna dell’oggetto (la materia e la
forma). Le cause intrinseche definiscono l’essenza della realtà studiata. Per tanto, la q. 66 è
dedicata all’essenza del battesimo.

Ci sono poi le cause estrinseche : l’agente ossia la causa efficiente e la causa finale.
Possiamo ritenere che la q. 67, dedicata al ministro del battesimo, corrisponda alla ricerca
sulla causa efficiente del battesimo. In effetti, il ministro è l’ultima delle cause efficienti
gerarchizzate che concorrono nel produrre l’effetto del battesimo : a/ Dio-Trinità, b/ Cristo nel
mistero della sua Passione, c/ la Chiesa, d/ il ministro della Chiesa. La q. 67 se limita alla
questione del ministro, quale causa strumentale immediata e prossima, perché le cause
superiori sono già state considerate nel contesto dei sacramenti in generale (la Passione di
Cristo, ad esempio, è la causa dell’efficacia di tutti i sacramenti, quindi del battesimo). Infine,
nella q. 69 san Tommaso studia la causa finale del battesimo, cioè gli effetti buoni prodotti dal
battesimo. Quanto alla q. 68, essa mette a fuoco il soggetto del battesimo. Chi può, anzi chi
deve, ricevere il battesimo ? Quali devono essere le disposizioni di chi viene a ricevere il

8
battesimo ?... Possiamo riallacciare queste domande riguardanti al soggetto alla
considerazione della causa materiale remota.

In quanto a noi, procederemo nel seguente modo. In ogni cosa, occorre considerare il
fine, il quale è il principio esplicativo ultimo, più profondo. Per tanto, cominceremo con gli
effetti del battesimo : la grazia sacramentale del battesimo (cap. 1 ; ciò corrisponde alla q. 69),
e il carattere battesimale (cap. 2). In seguito, nel cap. 3, definiremo l’essenza del sacramento
del battesimo (ciò corrisponde alla q. 66). Nel cap. 4, considereremo alcuni problemi intorno
alle cause efficienti del battesimo (ciò corrisponde alla q. 67). Nel cap. 5, tratteremo delle
disposizioni richieste da chi chiede il battesimo (ciò corrisponde alla q. 68). Infine, nel cap. 6,
ci fermeremmo sul tema della necessità del battesimo per essere salvato e sulla questione
delle “supplenze” al battesimo, ciò che sbocca sulle riflessioni molto attuali sulla salvezza dei
non cristiani e la teologia cristiana delle religioni non cristiane.

9
Capitolo 1 : La grazia battesimale

Il battesimo cristiano, quale sacramento della Legge nuova, istituito da Gesù Cristo,
non è solo il segno di un dono speciale di Dio, di una grazia direttamente concessa da Dio, ma
ne è anche e soprattutto la causa efficiente strumentale :

“Se qualcuno afferma che i sacramenti della nuova legge non contengono la grazia che
significano, o che non conferiscono la stessa grazia a quelli che non frappongono
ostacolo, quasi che essi siano solo segni esteriori della grazia o della giustizia già
ricevuta mediante la fede, o note distintive della fede cristiana, per cui si distinguono nel
mondo i fedeli dagli infedeli : sia anatema” (Concilio di Trento. Decreto sui
sacramenti).

I sacramenti conferiscono la grazia. Non tocca a me giustificare qui questa verità


centrale della fede cattolica solitamente trattata nel De sacramentis in genere. Invece, ci serve
osservare che la causalità del rito sacramentale è, se posso dire, a “doppio scatto”. Il
sacramento cristiano produce due effetti, il quali non sono giustapposti ma subordinati l’uno
all’altro. Nel a. 1 della q. 66, a proposito proprio del battesimo, riassumendo la riflessione
agostiniana sulla non reiterabilità del battesimo (contro i donatisti) e le precisioni della
teologia medievale, san Tommaso dichiara :

“Nel sacramento del battesimo, tre cose sono da considerare : ciò che è soltanto
sacramento [sacramentum tantum], ciò che è contemporaneamente realtà e sacramento
[res et sacramentum = il sacramento interiore] e ciò che è soltanto realtà [res tantum].”

Il sacramentum tantum non è altro che il rito battesimale (l’abluzione con le parole),
cioè l’elemento visibile che significa e produce l’effetto interiore. Nella prospettiva della via
inventionis il segno viene per primo e conduce man mano al significato. Questa è via seguita
dalla mistagogia : appoggiandosi ai segni liturgici, essa introduce il credente nel senso del
mistero celebrato. Però, la teologia sistematica segue piuttosto la via expositionis, che va dal
significato al segno. Per tanto, considereremo il segno sacramentale (il sacramentum tantum,
l’essenza del sacramento) alla luce degli effetti del battesimo ai quali viene ordinato. Ora,
sempre nel a. 1 della q. 66, san Tommaso ci insegna chiaramente che ci sono due effetti del
battesimo :

* “La res et sacramentum non è che il carattere battesimale : che è la cosa significata
dall’abluzione esterna e segno sacramentale della giustificazione interiore.”

10
* “Quest’ultima [=la giustificazione interiore] è la res tantum di questo sacramento : vale a
dire è la cosa significata, senza ulteriori significati.”

La res del sacramento, ossia la grazia sacramentale, intrattiene un rapporto stretto con
la res et sacramentum, cioè il carattere ossia sacramento interiore. Il carattere è già una res
prodotta dal sacramentum tantum ma esso è contemporaneamente un signum, per così dire
une fonte di cui scaturisce la grazia (res tantum). La grazia sacramentale è appunto quella
grazia cristiana in quanto deriva dal carattere. Per procedere in modo logico, distingueremo
dunque due capitoli, l’uno dedicato alla grazia sacramentale del battessimo, l’altro al
carattere.

L’effetto ultimo del battesimo, ossia il suo frutto più bello, è la grazia della
rigenerazione (=nuova nascita) spirituale della persona, vale a dire la grazia della sua
giustificazione mediante la sua incorporazione nel Corpo dell’unico Giusto, Gesù Cristo. Ma,
prima di chiarire questa tesi, conviene rispondere in poche parole ad una questione
preliminare, di cui lo studio approfondito appartiene al trattato dei sacramenti in generale :
perché parlare di una grazia propria ossia specifica del battesimo ? Non basta parlare della
grazia in generale, vale a dire : la vita divina di Cristo comunicata ai credenti ? È il problema
teologico della grazia sacramentale.

1.1. La grazia sacramentale in generale

La questione della grazia sacramentale comporta due domande principali. Prima, quale
è il rapporto tra la grazia ricevuta mediante i sacramenti e la grazia comune, ossia la grazia
santificante o grazia delle virtù e dei doni (dello Spirito) ? Poi, come si distinguono tra di esse
le grazie sacramentali (poiché è chiaro che si distinguano, se non la pluralità dei sacramenti
non avrebbe senso) ?

Per rispondere alla prima domanda, bisogna tener presente che nella grazia santificante
ci sono due aspetti intimamente connessi : l’aspetto ontologico e l’aspetto economico-storico.
In quanto principio ontologico immanente della vita soprannaturale, ossia in quanto
“partecipazione alla natura divina”, la grazia santificante viene “modalizzata” dalle cause
storiche che la producono in noi. Un po’ come l’acqua minerale che sgorga dalla fonte
contiene in sé stessa tutte le proprietà minerali dei diversi strati geologici attraversati.

1.1.1. Dalla grazia in generale alla grazia cristiana

Per essere divinizzata, vale a dire per diventare, come Dio lo vuol nella sua generosità,
partecipante della natura divina e della vita di Dio, ogni creatura spirituale ha assolutamente
11
bisogno di un principio interiore che sopreleva la sua natura e la “connaturalizza” in qualche
modo a Dio, proporzionandola alla sua vocazione soprannaturale. Questo principio
immanente è la grazia santificante. La grazia viene innestata, come un accidente, sulla essenza
stessa dell’anima e si dispiega nelle sue potenze per mezzo delle virtù soprannaturali e dei
doni. Essa ci dà di essere “ontologicamente” figli di Dio e di operare come tali.

Dio può comunicarla direttamente questa grazia filiale ad ogni persona,


conformandola al Figlio eterno, al Verbo. Del resto, così successe, secondo san Tommaso, per
gli angeli e per l’uomo nello stato di giustizia originale (=lo stato soprannaturale di Adamo
prima del peccato). Ma, dopo il peccato, Dio ha voluto che questa grazia passi da un
Mediatore, Gesù Cristo. “Pieno di grazia e di verità” (Gv 1, 14), Gesù Cristo nella sua
umanità possiede la pienezza di grazia che lo costituisce fonte della grazia per tutti gli uomini,
secondo il principio della causalità del massimo. “Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo
ricevuto e grazia su grazia” (Gv 1, 16). Per tanto,

“Cristo è in certo qual modo il principio di ogni grazia secondo l’umanità, come Dio è
principio di ogni essere. Per cui, come in Dio se concentra ogni perfezione dell’essere,
così in Cristo si trova ogni pienezza di grazia e di virtù, in base alla quale non solo egli
sia capace delle opere della grazia, ma anche possa condurre altri alla grazia » (Q. de
ver., q. 29, a. 5).

La grazia santificante è dunque, nel concreto della storia, una grazia cristica. Essa viene da
Cristo che ci l’ha meritata (causalità morale) e che la comunica a noi “per derivazione”
(causalità efficiente strumentale). Ora, l’effetto porta sempre la somiglianza della propria
causa (omne agens agit sibi simile). Di conseguenza, la grazia derivata da Cristo aconforma a
Cristo tutti quanti la ricevano. Secondo la formula di Charles Journet, la grazia è “cristica e
cristoconformante”.

1.1.2. Dalla grazia cristiana alla grazia sacramentale

Questa grazia cristica e cristoconformante ci viene (solitamente) comunicata per


mezzo dei sacramenti istituiti da Cristo stesso e affidati da lui alla sua Chiesa. Per mezzo dei
sacramenti, la virtù salvifica di Cristo continua a toccarci. Per tanto, ogni sacramento
conferisce a chi lo riceve con le disposizioni richieste la grazia santificante, cristica e
cristoconformante. Ma, nello stesso modo in cui, nel passare da Cristo, la grazia santificante
riveste e contrae una modalità proprio cristica, così il fatto che la grazia di Cristo passi da
sette sacramenti diversi “modifica” questa grazia, nel senso che conferisce alla grazia una

12
“colorazione”, una modalità specifica. Quale è la natura di questa “modalità” ? O, in altre
parole, che cosa la grazia sacramentale “aggiunge” alla grazia comune delle virtù e dei doni ?
Ecco la risposta di san Tommaso, in cui, del resto, prende l’esempio del battesimo :

“I sacramenti sono diretti a degli effetti speciali [quosdam speciales effectus, niente a
che vedere con “Hollywwood’s special effects”], necessari alla vita cristiana : così il
battesimo è destinato a una specie di rigenerazione spirituale per cui l’uomo muore ai
peccati e diventa membro di Cristo ; il quale effetto è un atto speciale distinto da quelli
delle potenze dell’anima” (IIIa, q. 62, a. 2).

Quindi, ogni sacramento mira un effetto speciale, un “atto”, necessario alla vita cristiana.

“La grazia sacramentale aggiunge, sia alla grazia in genere, che alle virtù e ai doni, uno
specifico aiuto divino [quoddam divinum auxilium], per conseguire il fine del
sacramento” (ibid.)

O ancora :

“La grazia sacramentale aggiunge alla grazia santificante genericamente intesa qualche
cosa che è capace di produrre l’effetto specifico a cui il sacramento è destinato per
ottenere il fine del sacramento” (IIIa, q. 77, a. 7, ad 3)

Due punti restano da precisare. 1°- Quali sono questi effetti “speciali” ai quali sono ordinate
le grazie sacramentali ? 2°- Quale è la natura esatta del “aiuto divino” che mira a procurare
l’effetto speciale e costituisce quindi la grazia sacramentale ?

Al riguardo di questi “effetti speciali”, san Tommaso si è evoluto. In un primo tempo,


ha condiviso la visione allora “tradizionale” dei sacramenti intesi come rimedi al peccato. In
questa prospettiva, la diversità delle grazie sacramentali corrisponde alla diversità dei difetti
da guarire. Però, nel seguito, san Tommaso ha non proprio abbandonato ma relativizzato
questa concezione del sacramento come rimedio subordinandola alla concezione più positiva
che viene presentata nel testo classico della IIIa, q. 65, a. 1 : la finalità dei sacramenti è di
“perfezionare l’uomo rispetto al culto di Dio secondo la religione della vita cristiana”. Vale a
dire : i sacramenti ci rendono capaci di fare della nostra vita cristiana un culto reso a Dio,
“un’offerta alla lode della gloria” del Padre. In questa prospettiva, la vita cristiana viene
pensata secondo un’analogia con la vita umana, nella doppia dimensione personale e sociale.
Così, l’effetto speciale del battesimo è la nascita alla vita cristiana, quello della cresima il
passaggio alla vita cristiana adulta, l’eucarestia è il cibo che fa crescere la vita

13
soprannaturale... Ma, per capire meglio la natura di questi “effetti speciali”, occorre riflettere
di più sulla natura dell’aiuto divino che definisce la grazia sacramentale.

1.1.3. Le diverse posizioni sulla grazia sacramentale nella scuola tomista

Su questo ultimo punto, il carattere un po’ sommario dell’esposizione di san Tommaso


ha lasciato spazio, a diverse interpretazioni nella scuola tomistica :

* Per Pietro della Palude nel XIV° secolo poi per Giovanni Cabrol (Capreolus) nel XV°
secolo, le grazie sacramentali sono degli habitus ossia dei principi interiori di azione
specificamente diversi degli habitus delle virtù e dei doni risultanti della grazia santificante.
Questi habitus ci permettono di produrre degli atti che sono diversi dagli atti delle virtù e dei
doni. Però, è difficile vedere che cosa si può aggiungere alle virtù e ai doni, i quali sembrano
attrezzare il cristiano in modo del tutto sufficiente. In realtà, Giovanni Cabrol pensa la grazia
sacramentale prevalentemente nel quadro della teoria del sacramento come rimedio, quella
privilegiata da san Tommaso nel Commento alle Sentenze. La grazia sacramentale sarebbe un
principio interiore che ci permette di agire contro quella o questa conseguenza particolare del
peccato, mentre la grazia santificante ossia le virtù e i doni non sarebbe direttamente ordinata
a contrastare le conseguenze del peccato. Comunque, questa interpretazione vale quanto vale
la teoria del sacramento come rimedio, vale a dire è troppo ristretta.

* Secondo Gaetano, nel XVI° secolo, la grazia sacramentale non è una grazia abituale (vale a
dire una grazia in forma di habitus ossia di principio interiore stabile) ma consiste in una serie
discontinua di grazie attuali (vale a dire di mozioni transitorie, di ispirazioni puntuali...) che
vengono in aiuto alla grazia santificante perché possa produrre gli effetti corrispondenti alla
finalità del sacramento. Nella scia di Gaetano, Giovanni Battista Gonet (XVII° secolo)
presenta la grazia sacramentale come un diritto permanente a ricevere i soccorsi puntuali
necessari. Ad esempio, la grazia sacramentale del matrimonio è il diritto a ricevere in tempore
opportuno le grazie attuali di pazienza quando la moglie oppure il marito diviene
insopportabile... Ma, in questo modello, la causalità dei sacramenti tende verso la mera
causalità morale.

* Secondo Giovanni di San Tommaso, nel XVII° secolo, la grazia sacramentale non è né un
habitus supplementare, né un insieme di grazie attuali, ma non è altro che la grazia
santificante comune in quanto intrinsecamente “modificata” – e questo in modo permanente –
per produrre un tipo d’effetto determinato. Quale è questa modalità ? Essa consiste, secondo il
tomista portoghese, nel possedere la grazia in un modo simile al modo in cui Cristo stesso la

14
possiede. Ora, Cristo possiede la grazia in modo perfettissimo perché la grazia gli è
connaturale. In Cristo, l’Unto, la grazia della vita divina è “a casa” perché su di Lui riposa in
pienezza lo Spirito santo. Ora, le grazie sacramentali ci danno di partecipare a questo modo
perfetto in cui la grazia risiede in Cristo. Esse ci fanno partecipare “non solo alla sostanza
della grazie ma anche alla sua perfezione (non solum in substantia gratiae sed etiam in
perfectione)”. A causa della connaturalità con Cristo procurata dai sacramenti, gli effetti della
grazia vengono realizzati in noi in modo più perfetto.

Nella scia di Giovanni di San Tommaso, Jean-Hervé Nicolas o.p. spiega che “ogni
grazia sacramentale è la grazia, santificante oppure attuale, estesa per mezzo della res et
sacramentum del sacramento ad un effetto che essa non produce senza questo, benché ne
abbia in sé stessa la capacità » (Synthèse dogmatique, p. 786). Le grazie sacramentali sono
delle virtualità implicitamente presenti nella grazia santificante come tale ma che hanno
bisogno per dispiegarsi pienamente della presenza del sacramento interno (res et
sacramentum). Un po’ come ogni anima umana possiede virtualmente la visione (capacità di
vedere) ma non può esercitarla se non per mezzo di un organo visuale in buona salute.

Così, la grazia sacramentale è la grazia cristiana – cristica ed ecclesiale – nel suo stato
pieno, perfetto e normale. Per mezzo della grazia sacramentale, tutto il nostro agire viene
collocato direttamente nel dinamismo della partecipazione ai misteri di Cristo. Questa tesi
significa, tra altre cose, che la grazia ricevuta in modo straordinario, vale a dire
indipendentemente dai sacramenti, non permette di raggiungere lo stato perfetto della vita di
grazia.

1.2. Primo approccio della grazia battesimale

“A ogni modo per riscaldare potentemente gli animi a sensi di genuina pietà, i pastori
esporranno con diligente parola gli effetti di questo sacramento” (Catechismo del concilio di
Trento, c. 16, § 3). I frutti di grazia del battesimo vengono presentati nella dottrina cristiana,
sotto molteplici sfaccettature, le quali sono esplicitate in modo simbolico nella liturgia
battesimale. Il battesimo è una nuova nascita ; esso ci incorpora a Cristo ; ci fa membra della
Chiesa ; ci purifica per mezzo del perdono dei peccati ; ci illumina ; ci apre le porte del
Cielo... Il Catechismo della Chiesa cattolica riallaccia tutti questi effetti a due effetti
principali, l’uno piuttosto negativo, l’altro piuttosto positivo :

“I diversi effetti operati dal Battesimo sono significati dagli elementi sensibili del rito
sacramentale. L’immersione nell’acqua richiama i simbolismi della morte e della

15
purificazione, ma anche della rigenerazione e del rinnovamento. I due effetti principali
sono dunque la purificazione dai peccati e la nuova nascita nello Spirito Santo” (CCC,
n° 1262).

Il teologo, nella sua contemplazione sapienziale del mistero, cerca a cogliere un certo
ordine in mezzo a questi dati abbondanti. In effetti, tutti gli effetti del battesimo non sono
sullo stesso livello : alcuni effetti sono più fondamentali e per tanto esplicativi dei altri, i quali
derivano da questi effetti fondamentali. Ad esempio, il tema dell’apertura delle porte del Cielo
è chiaramente derivato dal tema della remissione dei peccati. Il battesimo apre le porte del
Cielo perché cancella i peccati che chiudono queste porte. Bisogna dunque cercare quale è,
sul piano logico, il primo effetto, l’effetto fondamentale da cui tutti gli altri derivano.
Quest’effetto sarà in qualche modo il “costitutivo formale” del battesimo, vale a dire la
nozione più fondamentale e quindi più esplicativa che permette di rendere conto degli altri
aspetti del battesimo.

Per individuare quale è, secondo san Tommaso, questo costitutivo formale del
battesimo, basta individuare, nei diversi articoli del trattato, quale è la “definizione” del
battesimo che fa da principio ossia da punto di partenza per dimostrare quella o questa
conclusione. Ora, nella Somma di teologia, il tema più fondamentale è quello, molto
giovanneo (cf. Gv 3), della nuova nascita, vale a dire della rigenerazione. Per mezzo del
battesimo, il credente muore al peccato per nascere a vita nuova, vita spirituale, vita nello
Spirito santo, la vita stessa di Gesù Cristo. La precedenza del tema della nuova nascita è in
perfetta sintonia con l’idea tommasiana secondo cui i sacramenti sono prevalentemente
ordinati, non alla guarigione del peccato, ma alla perfezione della vita cristiana, pensata
secondo l’analogia con la vita umana naturale.

“Il perfezionamento diretto della vita corporale ha tre tappe. La prima è la generazione,
per cui l’uomo comincia a essere e a vivere. E nella vita dello spirito le corrisponde il
battesimo che è una rigenerazione spirituale ; secondo quelle parole di S. Paolo : ‘Con il
lavacro della rigenerazione, ecc.’” (IIIa, q. 65, a. 1).

O ancora : “Il battesimo è una generazione spirituale, ossia il passaggio (mutatio) dal non
essere spirituale all’essere spirituale” (IIIa, q. 79, a. 3, ad 2). La traduzione teologica del tema
della nuova nascita è la nozione, anche essa genuinamente biblica, della giustificazione, la
quale offre al teologo una ricca prospettiva speculativa. Del resto, san Tommaso non esita mai
a designare il battesimo come sacramento della giustificazione, anzi ad affermare che “la

16
giustificazione interiore” è la res, cioè l’effetto ultimo, del sacramento (cf. IIIa, q. 66, a. 1,
corp. e ad 1).

Ma, dato che la grazia sacramentale dipende quanto alla sua specificità dalla res et
sacramentum, in fattispecie dal carattere, occorre precisare subito che la nuova nascita
procurata dal battesimo è nuova nascita in Cristo. Non solo perché nel battesimo ci viene data
la vita di Cristo in virtù della nostra partecipazione al suo mistero pasquale, ma anche perché
il dono di questa vita si fa per mezzo dell’incorporazione del battezzato a Cristo. Riceviamo la
vita di Cristo appunto perché siamo incorporati a Cristo, innestati su di Lui. Certo, bisogna
distinguere diversi livelli d’incorporazione a Cristo. Però, il tema dell’incorporazione è molto
idoneo – forse meglio di quello della nuova nascita, che potrebbe lasciare pensare che la
grazia del battesimo sia un fatto puntuale del passato – per significare l’effetto permanente
del sacramento (la res et sacramentum) ordinato all’incorporazione plenaria per mezzo della
grazia (res).

1.3. La giustificazione

1.3.1. Primo approccio della giustificazione

La giustificazione è l’atto per cui Dio stesso rende l’uomo giusto o (se intendiamo la
iustificatio passiva) il movimento per cui l’uomo, sotto l’azione della grazia divina, diviene
giusto, acquista la giustizia : motus ad iustitiam. La giustizia in questione, spiega san
Tommaso per rendere ragione della ricchezza del dato biblico, non si riduce affatto alla sola
virtù morale di giustizia (quella riguardante le relazioni con altrui) ma si definisce come lo
stato risultante dall’inserirsi della persona nell’ordine obiettivo delle cose :

“La giustizia designa un certo stato particolare, secondo cui l’uomo si trova nel debito
ordine rispetto a Dio, al prossimo e a sé stesso, nel senso che in lui le potenze inferiori
sono sottomesse alle superiori” (Q. de ver., q. 28, a. 1).

La giustificazione non è di per sé legata al perdono dei peccati. Tutto dipende dallo
stato iniziale di chi sta per essere giustificato. Se la persona da giustificare è soltanto privata
della giustizia soprannaturale, senza essere nello stato di peccato, allora la giustificazione non
implica la remissione dei peccati. Questo fu il caso di Adamo quando fu creato ed elevato allo
stato soprannaturale di giustizia. Così sarebbe anche successo per i suoi discendenti se non
fossero stati concepiti nel peccato originale. Ma, per l’uomo peccatore, la giustificazione
comporta necessariamente il perdono dei peccati. Anzi, essa si identifica con la remissione dei
peccati giacché quest’ultima comporta sempre il dono della grazia santificante. Dio non può

17
cancellare il peccato senza dare per il fatto stesso la giustizia della vita soprannaturale. Non
esiste una situazione neutra, intermedia, in cui la persona non sarebbe né nello stato di peccato
né nello stato di grazia. Il perdono dei peccati e la giustificazione significano dunque due
sfaccettature di un unico e medesimo movimento, nominato in funzione sia del punto di
partenza (il peccato → remissione dei peccati) sia del punto di arrivo (la giustizia →
giustificazione). Però, visto che la natura della giustificazione dell’empio dipende dalla natura
del peccato e delle sue conseguenze, bisogna, in poche parole, ricordare che cosa è il peccato
e quali sono le sue conseguenze, appunto quelle che la giustificazione dovrà cancellare e
superare.

1.3.2. Il peccato e le sue conseguenze

1.3.2.1. Il peccato

Il peccato non è niente altro che un atto umano cattivo, vale a dire un atto volontario e
privato della propria integrità (ossia della presenza di uno degli elementi richiesti perché l’atto
sia buono). Quest’integrità consiste nella conformità alla norma ossia regola della retta
ragione. Non conformarsi a questa regola porta a privare l’atto della propria integrità, in tal
modo che l’atto sia deficiente, cattivo.

Quale è la regola alla quale l’atto umano deve conformarsi per essere riuscito, buono ?
Bisogna distinguere la regola remota ossia norma ultima, e la regola prossima ossia norma
immediata. La regola remota non è altra che la legge eterna, vale a dire Dio stesso, la volontà
divina, la Provvidenza divina, in quanto definisce le finalità di ogni natura. La regola
prossima è la ragione umana, in quanto esprime per ciascuno di noi quale è la verità oggettiva
delle cose. Per tanto, la ragione è il relè, il “mediatore”, della legge eterna.

Il filosofo considera l’atto cattivo soprattutto in quanto è contrario alle esigenze della
dritta ragione e per tanto indegno dell’uomo, anche se egli sa che questa colpa contro la
ragione comporta anche una colpa contro la legge eterna ossia contro Dio. Invece, il teologo
considera il peccato soprattutto come offesa a Dio. Prima di tutto, perché Dio è l’autore
dell’ordine naturale, il quale esprime la sua volontà, ma, anche e soprattutto, perché Dio nel
suo amore si offre all’uomo e gli propone di partecipare alla propria beatitudine, alla sua vita
di comunione d’amore. In questa prospettiva – l’unica prospettiva reale nel concreto –, l’atto
cattivo comporta una gravità del tutto particolare poiché il peccato appare come un
disprezzare Dio nel rifiutare la proposta dell’amicizia divina. In poche parole, il peccato è
un’offesa che, in qualche modo, “ferisce” Dio nel suo progetto d’amore. Difatti, nell’ordine

18
soprannaturale, il peccato contrasta sempre la carità, la quale ci unisce a Dio come nostra fine
ultima soprannaturale.

Sul piano soprannaturale, il peccato è quindi aversio a Deo (allontanarsi da Dio, anzi
prendere la via del tutto opposta a quella che porta a Dio) e conversio ad creaturam (fissare,
in modo disordinato, la propria volontà profonda su qualche bene creato). Il peccato consiste
nel dare la precedenza all’amore per le creature (in realtà : l'amore di sé !) sull’amore di Dio.
Quindi, il peccato è “l’amore di sé portato fino al disprezzo di Dio” (sant’Agostino). Rispetto
a Dio, il peccato si presenta dunque innanzitutto come un’offesa. Questa nozione richiede
spiegazione. “Offendere” significa urtare, ferire. L’offesa si attua soprattutto nel campo delle
relazioni interpersonali : non si offende una cosa ma una persona ! In senso più profondo,
l’offesa è un rifiuto d’amare, anzi di “redamare”, vale a dire un rifiuto di rispondere all’amore
di chi ci ha per primo proposto la sua amicizia. Questo rifiuto è un disprezzo. Disprezzare
significa comportarsi come se altrui non esistesse, come si fosse trasparente. Il disprezzo
ferisce tanto più profondamente la persona quanto chi propone la propria amicizia si espone
più intimamente. Offrire il proprio amore significa rendersi vulnerabile. Per tanto, il peccato
non è una semplice infrazione all’ordine morale. Esso è sempre un’offesa recata a Dio.

“Chiunque pone una realtà più degna al di sotto di una meno degna reca ad essa ingiuria
e tanto più quanto la realtà è più degna. Ora chiunque costituisce il proprio fine in una
realtà temporale, come fa chiunque pecca mortalmente, per ciò stesso, quanto al suo
affetto (affectus), antepone la creatura al Creatore, amando la creatura più del Creatore,
essendo il fine ciò che è sommamente amato” (Q. de ver., q. 28, a. 2).

Ma, in che senso il peccato ferisce Dio ? Potrebbe il peccato togliere qualcosa
all’essere stesso di Dio, alla sua felicità ? No, per niente. Però, nel distruggere una bontà
creata, cominciando da sé stesso, il peccatore contrasta la volontà antecedente di Dio e si
oppone al radiare della gloria accidentale di Dio. “Dio, dice l’Aquinate, non è offeso da noi
che per ciò che facciamo contro il nostro proprio bene” (CG, III, c. 122).

19
1.3.2.2. Le conseguenze del peccato

L’atto del peccato dura poco. “Plaisir d’amour ne dure qu’un moment ; chagrin
d’amour dure toute la vie (Piacere d’amore non dura che un momento, il dolore d’amore dura
tutta la vita)”, dice una canzone francese. Però, quest’atto peccaminoso causa in chi lo pone 1/
uno stato “abituale” di peccato che l’affetta in modo durevole, fino alla sua eventuale
conversione, e 2/ un obbligo a subire la giusta pena.

1.3.2.2.1. Lo stato di peccato

Lo stato abituale di peccato si definisce, da una parte, rispetto a Dio e, d’altra parte,
rispetto allo stesso peccatore.

1.3.2.2.1.1. L’inimicizia e l’ira di Dio

In quanto offesa recata a Dio, il peccato ci rende nemici di Dio e per tanto oggetti della
sua collera. Questi temi sono onnipresenti nella Scrittura. Il peccatore è un “nemico di Dio”
(Ro 1, 30 ; 5,10...) ; su di lui riposa la collera di Dio : “L’ira di Dio si rivela dal cielo contro
ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia” (Ro 1, 18).

Come intendere queste espressioni ? Prendiamo le mosse dalle relazioni umane. Il mio
amico Pietro su cui facevo fondo in una circostanza difficile (ad esempio, aiutarmi nella
preparazione degli esami), mi ha lasciato cadere in modo pietoso. Egli ha preferito andare a
fare la partita con gli altri amici. Questo tradimento è un atto che ritengo un’offesa (detta
offesa attiva). Pietro mi ha fatto torto perché mi ha privato di un bene, estrinseco, che avevo il
diritto di aspettare da parte sua. Del resto, questo bene era la sua amicizia più che l’aiuto in
quanto tale. Risulta che sono offeso, prima in un senso puramente estrinseco, “denominativo”
(dicono i scolastici) : sono il termine dell’atto offensivo. Ciò non implica nessuno
cambiamento reale in me. Tutto il cambiamento si trova in Pietro, il quale era prima il mio
amico – mi voleva bene – e poi non lo è più perché ha cessato di amarmi. Dire che sono
offeso significa soltanto dire in che modo Pietro stesso viene riferito a me. In quel senso, non
c'è nessuna difficoltà ad affermare che Dio è offeso dal peccato. Si tratta di una pura
denominazione estrinseca, la quale non implica alcun cambiamento in Dio stesso.

Però, al solito, l’offesa, in quanto è legata a un male fatto a me, suscita in me una
reazione personale : mi ritengo offeso. Questo provoca legittimamente la mia collera. La
collera è la giusta reazione vitale di fronte al male che mi tocca. Si tratta prima di un
movimento passionale. Ma, poi, questa passione viene regolata dalla ragione e mi porta alla
decisione razionale di ristabilire l’ordine ferito della giustizia per mezzo della pena.
20
Concretamente, io ritiro il mio favore (grazia), il bene della mia amicizia, a chi ha dimostrato
per la propria azione di non volerla né meritarla. Questo atteggiamento viene giustificato
dall’offesa. Però, posso persistere ad offrire la mia amicizia a chi mi ha offeso. Questo è il
perdono.|

Applichiamo analogicamente questa analisi al peccato contro o Dio. Il peccato, come


offesa e come ingiustizia, provoca la collera di Dio. È chiaro che la collera, in quanto
comporta di per sé un movimento passionale – corporeo e di più intrinsecamente legato a un
male subito – non può essere attribuita a Dio in senso proprio. Essa Gli viene attribuita
soltanto in senso metaforico, vale a dire in virtù di una certa somiglianza negli effetti.
Secundum effectum, non secundum affectum. Gli effetti dell’azione divina di fronte a chi
l’offende sono paragonabili a quelli dell’uomo indignato, adirato. Dio ritira la sua amicizia al
peccatore, poiché quest’ultimo la rifiuta, e Egli gli infligge una punizione proporzionata
all'offesa per ristabilire l’ordine giusto.

3.2.2.1.2. L’autodistruzione del peccatore

Rispetto a sé stesso, il peccato è per il peccatore un tipo di autodistruzione, la quale è


già come una pena immanente. Occorre distinguere due aspetti : 1/ la corruzione del bene di
natura, vale a dire del bene costituito dalla natura umana come principio d’azione e di
perfezionamento, 2/ la macchia del peccato.

Innanzitutto, il peccato attuale ferisce la natura umana del peccatore. Certo, il peccato
non toglie i principi costitutivi della natura né le proprietà che ne conseguono in modo
necessario : dopo aver peccato, non smetto di essere un animale razionale capace di ridere
(anche se non ho più la voglia) ! Ma ‘natura’ in quel contesto significa qualcosa di più :
l'inclinazione naturale al bene e alla virtù, vale a dire il dinamismo che porta la persona
umana ad attuarsi e a fiorire conformemente alla propria natura e al proprio bene. Ora, il
peccato, essendo in un certo modo contro natura, contrasta questo dinamismo, anzi forma
nell’anima un’inclinazione contraria che la porta al peccato e per tanto indebolisce ossia
diminuisce questo dinamismo, senza mai poter sopprimerlo totalmente (si vede Sum. theol.,
Ia-IIae, q. 85 e Ia, q. 48, a. 4, con la dispensa del corso sul male).

Inoltre, il peccato rende l’anima meno disposta a ricevere la grazia, siccome la piova a
poco a poco, goccia dopo goccia, rende il pezzo di legno meno idoneo ad infiammarsi. Ora, la
grazia porta a compimento la natura, la quale è di qualche modo ordinata alla grazia. Per

21
tanto, il peccato, nel privare della grazia, costituisce un ostacolo al perfezionamento della
natura. Anche in questo senso, il peccato guasta la natura.

D’altra parte, il peccato lascia nell’anima una macchia (macula) (Sum. theol., Ia-IIae,
q. 86). Puro e impuro ! Nozioni antropologiche arcaiche, presenti da sempre nelle religioni,
ma che occorre (se posso dire) purificare anche esse ! L’idea di macchia proviene innanzitutto
dal mondo dei corpi. Un corpo è macchiato, sporcato, quando perde il proprio splendore
(nitor) allontanandosi dalla fonte della luce e toccando un altro corpo opaco. Analogicamente,
si dice che l’anima viene macchiata ossia sporcata quando si allontana da Dio, fonte della vera
luce, per attaccarsi in modo disordinato alle creature. Per tanto, l’anima perde la propria
bellezza, naturale e soprannaturale, la quale risultava dal radiare su di essa della luce della
ragione e della legge divina. Questa macchia non è une realtà positiva, una “sostanza” o un
“accidente reale”. Essa è una pura privazione, paragonabile all’ombra, la quale è soltanto
assenza di luce. Tuttavia, la macchia (macula) designa questa privazione in quanto derivante
dalla propria causa, cioè il peccato.

1.3.2.2.2. La pena del peccato

Il peccato non solo offende Dio e sfigura l’uomo ma comporta anche da parte del
peccatore un obbligo morale a subire la giusta pena che ristabilisce l’ordine giusto ferito dal
peccato. San Tommaso chiama quest’obbligo il reatus ad poenam o reatus poenae. [Si veda
Sum. theol., Ia-IIae, q. 87 e Ia, q. 48, a. 5-6, e, per più sviluppi, la dispensa del mio corso sul
male]

1.3.2.2.2.1 La pena : natura e necessità

Nelle Q. de malo, q. 1, a. 4, san Tommaso presenta i tre elementi che definiscono il


male di pena. 1/ La pena è un male subito legato a un male morale commesso. Essa suppone
sempre un atto libero cattivo. Quindi non c’è pena quando non c’è colpa e pertanto la pena
riguarda solo gli esseri spirituali. 2/ La pena contrasta sempre di qualche modo la volontà di
che viene punito. 3/ La pena viene subita. Essa è “passiva”. In effetti, ciò che contrasta la
volontà non può provenire che da un principio esterno alla volontà. Possiamo aggiungere un
quarto elemento : 4/ La pena è sempre inflitta, in ultima analisi, da un agente morale,
intelligente e libero, in grado a/ di attuare per mezzo della pena il bene della giustizia e gli
altri valori morali della pena e b/ di proporzionare la pena alla colpa.

Quale è il significato e la ragione d’essere della pena ? Oggi, molti non capiscono più
la necessità del castigo. Però la pena è un bene morale. Un bene legato ad un male. “La pena,

22
scrive J. Maritain, non mira primariamente e principalmente a produrre il male nel punito, ma
mira primariamente a produrre un bene. Un bene di cui l’importanza e la necessità devono
essere singolarmente profonde, se guardiamo al prezzo che per esse bisogna pagare » (Nove
lezioni sulle prime nozioni della filosofia morale, cap. 9, p. 239). Quale bene ? Prima, la pena
è un bene “utile” e possiamo elencare tante diverse utilità della pena. La pena fa sì che il
malfattore non sia più in grado di nuocere e assicura agli altri membri della società il bene
essenziale della sicurezza. Ma il neutralizzare il cattivo non può essere la giustificazione
ultima della pena, tranne nella prospettiva materialista che non fa differenza tra il malvagio e
l’animale pericoloso o il matto furioso. Ora, il peccatore non è soltanto una forza fisica
nociva : è una persona, cioè un agente morale, in tal modo che la pena debba avere anch’essa
un valore morale. In effetti, la pena ha un valore medicinale ossia pedagogico. “Il castigo è un
tipo di cura”, notava già Aristotele. La pena è utile per il reo stesso poiché lo riporta ad una
vita virtuosa e lo reinserisce così nella vita sociale. Nella pratica concreta della giustizia
penale umana, la quale non è in misura di scrutare i reni ed i cuori e viene dunque segnata da
un coefficiente di relatività, quest’aspetto pedagogico e medicinale della pena deve
certamente prevalere. Tuttavia, la teoria medicinale della pena e le altre teorie che giustificano
la pena a motivo delle sue “utilità” non possono essere, sul piano morale e teologico, la
giustificazione ultima della pena. Prima, perché il valore pedagogico della pena suppone che
la pena sia giusta in sé stessa. Mai il fine non giustifica i mezzi. L’utilità della pena non basta
a renderla giusta in sé stessa, come la pensano gli “utilitaristi” o “consequenzialisti”. Poi,
almeno per il teologo, ci sono delle pene che non hanno nessuno valore medicinale, cioè le
pene eterne dell'inferno.

Per tanto, occorre tenere che prima del valore utile delle pene esiste un valore più
fondamentale : il valore retributivo. La pena possiede in sé stessa, intrinsecamente, un valore
perché ristabilisce il bene stesso della giustizia e dell’ordine morale ferito dal peccato. Il
cattivo deve essere punito per motivo dell’esigenza morale di giustizia. Chi introduce per
colpa sua un disordine obiettivo nell’ordine morale (vale a dire nel giusto ordine delle
relazioni tra le persone) ha l’obbligazione morale di subire una pena. Chi è incaricato del bene
comune della comunità ha il diritto naturale di infliggere una pena.

In che senso la punizione è un’esigenza morale di giustizia ? Bisogna prendere


innanzitutto atto che il mio agire morale riguarda più che me solo : esso prende posto in una
rete, un ordine (la società politica, l’ordine morale delle persone, l’ordine dell’Universo...) di
cui sono una parte. Quando la mia azione è buona, io contribuisco al bene comune e devo

23
essere ricompensato (=merito) : la comunità trasferisce su di me una parte proporzionale del
sovrappiù di bene con cui ho arricchito il bene comune. Parimenti, la mia azione cattiva
ferisce il bene comune dell’ordine morale. Essa introduce un tipo di squilibrio ossia di
ingiustizia nella mia relazione al tutto, dato che ho agito come se fossi io il centro dell’ordine.
Bisogna cancellare questo squilibrio per tornare al giusto equilibrio. Lo scopo della pena è di
restaurare l’uguaglianza nella relazione tra il peccatore e l’ordine morale, la quale ristorazione
è di per sé un bene. Si tratta, se possiamo dire, della reazione vitale di autodifesa dell'ordine
morale minacciato dall’iniziativa cattiva della mia volontà, un po’ come il corpo infettato
produce spontaneamente degli anticorpi per proteggersi.

Il ripristino dell’ordine morale non può limitarsi al risarcimento delle conseguenze


materiali del male commesso. Se ho rubato cento euro nel portamonete della nona, occorre
certo che restituisca i cento euro, ma devo anche essere punito. Difatti, il disordine della colpa
non si riduce al disordine ‘materiale’. Non solo ho privato la nona di cento euro ma l’ho ferita
disprezzandola come se lei fosse meno importante di me. La colpa è stata un’iniziativa morale
cattiva, fonte di disordine nell'ordine morale, e la sanzione morale viene ‘neutralizzare’ quel
disordine facendomi subire passivamente un’iniziativa che viene dall'esterno e che mira a
rimettermi a posto mio, ristabilendo l’uguaglianza nella relazione della persona, così
contrariata, all’ordine morale. Quindi, il male della punizione viene giustificato dal bene
superiore della giustizia.

3.2.2.2.2. La pena del peccato

Il peccato mortale, come rottura unilaterale dell’amicizia con Dio, richiede di per sé
due tipi di pena, i quali corrispondono alle due dimensioni del peccato. In quanto aversio a
Deo, cioè offesa a Dio, il peccato richiama la pena del danno, la dannazione eterna, cioè la
privazione della beatitudine come pienezza di comunione con Dio. In quanto conversio ad
creaturam, il peccato richiede una certa pena temporale.

3.2.2.2.2.1. La dannazione eterna

Per il suo atto cattivo, oggettivamente incompatibile con l’amicizia con Dio, il
peccatore si allontana volontariamente da Dio, pure suo unico Fine ultimo, e distrugge in sé
stesso la carità che lo ordinava a Dio. Per tanto, è giusto che Dio gli rifiuta la vita
soprannaturale giacché il peccatore ha manifestato che non la vuole : concretamente egli
preferisce qualcos’altro alla vita con Dio. Rifiutare la gloria della beatitudine a un essere
chiamato a questa gloria è per questa persona una privazione che riveste valore di pena. Si

24
tratta della pena del danno ossia della dannazione. A prima vista, sembra sconveniente la
sproporzione tra la causa (=l’atto finito della creatura finita) e l’effetto (=la privazione eterna
del Bene infinito). Però, in realtà, il peccato, sebbene sia un atto limitato, finito, ha una gravità
infinita nella misura in cui esso offende Dio. Ora, la gravità dell’offesa dipende non tanto
dalla natura dell’atto offensivo quanto del valore ossia della dignità della persona offesa.

“Poiché Dio supera infinitamente la creatura, vi sarà da parte di chi pecca mortalmente
contro Dio un’offesa infinita a motivo della dignità di colui al quale mediante il peccato
viene in certo qual modo recata ingiuria, essendo disprezzato Dio stesso insieme con il
suo comandamento” (TOMMASO D’AQUINO, Q. de ver., q. 28, a. 2).

La pena del peccato come disprezzare Dio deve dunque essere in qualche modo infinita : sarà
la privazione del Bene infinito ossia di Dio.

Per chi muore senza essersi riconciliato con Dio, questa pena, inoltre, diviene eterna.
Sembra, ancora una volta, che ci sia una terribile sproporzione. Come si fa che un atto
temporaneo, passeggero, possa così portare a una pena senza fine ? San Tommaso risponde
che la proporzione tra colpa e pena non è direttamente affare di durata. Già, sul piano della
giustizia umana, un omicidio, compiuto in qualche secondi, viene punito con una lunghissima
pena ! Ciò detto, la perpetuità della pena del danno non risulta prima dalla proporzione da
osservare tra colpa e pena La vera ragione è che lo stato di peccato, in cui si è volontariamente
messo il peccatore, è di per sé irreparabile. Per tanto, finché duri lo stato di peccato, dura
anche l’obbligo alla pena. “Una colpa irreparabile di suo ha una durata infinita : perciò merita
una pena eterna” (Sum. theol., Ia-IIae, q. 87, a. 4, ad 3) o ancora: “L’eternità della pena non è
dovuta alla gravità della colpa, ma all’impossibilità di ottenerne la remissione » (ibid., a. 5, ad
3).

In che senso il peccato mortale è irreparabile ? Perché distrugge in noi la carità, visto
che l’amore di Dio sopra ogni cosa, il quale definisce la carità stessa, è incompatibile nello
medesimo soggetto con la preferenza data alla creatura. “Non potete servire a Dio e a
Mammona” (Mt 6, 24). Ora, la carità è proprio il principio immanente della vita
soprannaturale, così che il peccato grave è davvero mortale : esso ‘uccide’ in noi e sopprime
la vita soprannaturale. Ora, come dice il proverbio, “Finché c’è vita, c’è speranza”. La
malattia altera, talvolta gravemente, la salute. Però, essa non distrugge il principio vitale.
L’organismo vivente, eventualmente con l’aiuto esterno della cura prescritta dal medico,
conserva in sé stesso la capacità di ricuperare la salute. Così, il peccato veniale indebolisce la
vita soprannaturale, ma, dato che la carità rimane, il peccatore può rialzarsi. Invece, la morte,
25
a differenza della malattia, è di per sé irreparabile. Ora, il peccato mortale, escludendo la
carità, distrugge il principio stesso della vita soprannaturale. Quindi, solo per mezzo di una
risurrezione, vale a dire di un intervento del tutto gratuito della misericordia divina, il
peccatore potrà tornare alla vita. Facciamo un paragone : buttarmi liberamente dentro un
pozzo riguarda la sola mia responsabilità. Però, uscire dal pozzo è fuori dalla mia portata.
Occorre che qualcuno mi dia una mano o mi lancia una corda. Ora, lo stato in cui mi sono
messo in virtù del mio peccato mortale è irreparabile in sé. Per tanto, l’obbligo alla pena
derivante del peccato dura sempre.

3.2.2.2.2.2. Le pene temporali del peccato

In quanto aversio a Deo il peccato richiama la pena del danno. Ma il peccato è anche
conversio ad creaturam. Per tanto, esso introduce nell’ordine immanente dell’universo morale
un disordine obiettivo. Però, questo disordine è finito, limitato. Di conseguenza, la pena
dovuta a questa conversio o uso disordinato delle creature sarà anche essa finita in quanto alla
quantità o intensità. Essa viene chiamata “pena temporale” del peccato.

Ciò non significa che la pena temporale sia di per sé temporanea. In effetti, se il
peccatore si ostina nel proprio peccato e muore in quel stato, le pene temporali, di per sé
limitate in intensità, vengono prolungate nel tempo – per accidens ossia indirettamente,
precisa san Tommaso – poiché rimane la loro causa, vale a dire la conversio ad creaturam
della volontà perversa. Oltre la pena del danno, il dannato subisce dunque, nell’anima fin
dalla morte e nel proprio corpo dopo la risurrezione, queste pene dovute all’attaccamento alle
creature. Queste pene formano la “pena del senso”.

Quando il peccatore si converte, il proprio peccato viene perdonato cosicché l’obbligo


alla pena del danno cessi. Rimane però l’obbligo alla pena temporale. Si tratta di un’esigenza
obiettiva di giustizia. Tuttavia, questa pena cambia e diviene soddisfazione, riparazione
d’amore.

3.3. Il processo della giustificazione

Finora, abbiamo descritto lo stato in cui la persona si è buttata a causa del proprio
peccato. Come, a partire da questo stato, tornare amico di Dio ? Come fa Dio a trasformare
questo peccatore in un giusto, a far tornare questo morto alla vita ?

26
3.3.1. L’iniziativa efficace di Dio

Ho detto a posto ‘come Dio fa…’, perché il peccatore, quanto a lui, è assolutamente
incapace di uscire da solo da questo stato. Anzi, non ne ha neanche la voglia. La
giustificazione dell’empio viene dalla sola iniziativa della misericordia di Dio. Difatti, come
l’abbiamo già spiegato, il peccato mortale è di per sé irreparabile da parte del peccatore,
poiché ha distrutto in lui la fonte stessa della vita soprannaturale. Solo un tipo di
‘risurrezione’, frutto della sola iniziativa misericordiosa di Dio, può rendergli la vita.

Da parte di Dio, l’iniziativa della riconciliazione consiste nel rendere a chi l’ha prima
rifiutata la sua amicizia. Dio lo fa infondendo nell’anima la grazia santificante, (ri)creando
così nell’anima il principio e la fonte della vita soprannaturale. La giustificazione del
peccatore non è, come la pensava Lutero, una semplice non-imputazione estrinseca
(forenseca), cioè un verdetto di assoluzione che non modificherebbe per niente il soggetto.
Dio si accontenterebbe di dare un colpo di spugna per cancellare il conto, di stendere un velo
pudico per nascondere i nostri peccati. Egli accetterebbe, a causa di Gesù Cristo, di non tenere
presente i nostri peccati ma senza che ciò comporti una trasformazione interiore ossia
intrinseca del peccatore. Per tanto, l’uomo è contemporaneamente giusto agli occhi di Dio e
peccatore in sé stesso (simul justus ac peccator). Questa teoria trascura gravemente la potenza
rinnovatrice della grazia divina, vale a dire l’efficienza ricreatrice dell’amore di Dio. Anzi, la
concezione luterana (segnata dalla problematica nominalista che separa l’accettazione divina
delle mie azioni dalla loro natura obiettiva intrinseca) è metafisicamente contraddittoria. In
effetti, il fatto che la creatura sia amata da Dio implica necessariamente la produzione di
qualcosa di positivo e reale nella creatura. Difatti, per san Tommaso, l’amore di Dio, a
differenza dell’amore delle creature, è la causa della bontà del proprio oggetto. Per le creature,
la bontà dell’oggetto amato è il motivo e la causa che provoca l'amore del soggetto. Per noi,
l’amore è prima di tutto passivo e consiste nel consentire dell’affettività alla sollecitazione,
all'attrattiva del bene. La bontà dell’oggetto precede l’amore perché la causa viene sempre
prima dell'effetto. Ora, in Dio succede l’inverso. Dio non vuole una cosa perché sarebbe
buona prima d’essere amata da Lui, e, quindi, causerebbe il suo amore. No, la cosa è buona
appunto perché Dio la vuole, l’ama. “Voluntas Dei est causa bonitatis in rebus” (Sum. theol.,
Ia, q. 20, a. 4) o ancora : “Amor Dei est infundens et creans bonitatem in rebus” (ibid., a. 2).
Per Dio, amare una cosa significa comunicare a questa cosa una certa somiglianza, una
partecipazione della propria bontà. Per tanto, amare significa dare una perfezione reale. Di
conseguenza, quando Dio rende all’uomo peccatore la sua amicizia, quando Egli “distoglie lo

27
sguardo dai peccati”, Egli per il fatto stesso “crea in me un cuore puro, rinnova in me uno
spirito saldo” (Sal 50). Dio ci comunica, per mezzo della grazia santificante e della carità, una
vera e intrinseca “giustizia”.

Questa grazia della giustificazione ristabilisce dunque l’amicizia con Dio. Ora, nel
restituere la carità, la grazia cancella “formalmente” la colpa, l'offesa. Quando il pittore
dipinge il muro bianco in nero, egli è la causa efficiente dell’annerimento del muro, mentre il
colore nero è la causa formale della scomparsa del bianco. Il nero è la “forma” che sostituisce
la forma “colore bianco”. Questa grazia cancella anche di per sé alcune conseguenze del
peccato. Essa cancella la macchia, la quale risultava dalla privazione della presenza
nell’anima della bellezza della grazia. Essa cancella anche l’obbligo alla pena eterna, vale a
dire alla pena del danno che era la conseguenza diretta dell’aversio a Deo, la quale non esiste
più. In quanto all’obbligo alla pena temporale, esso rimane ma cambia senso.

3.3.2. La cooperazione dell’uomo alla sua giustificazione

Il processo della giustificazione viene da Dio che lo porta dall’inizio alla fine. Però, la
grazia di Dio conferisce appunto alla persona umana la capacità di cooperare alla propria
giustificazione. La capacità di cooperare alla grazia è il primo effetto delle grazia ! Se,
nell'ordine della grazia, l’iniziativa appartiene sempre – e in modo esclusivo – alla
misericordia di Dio, nondimeno addice alla saggezza divina associare la creatura
all’attuazione dell’opera divina in essa. Anzi, ciò è il segno di una misericordia più grande
perché comunica alla creatura un bene più grande (il bene di essere in qualche modo causa
seconda della propria giustificazione). Presentare la natura della cooperazione dell’uomo alla
propria giustificazione significa porre le basi fondamentali della riflessione sulle disposizioni
soggettive richieste da parte di chi chiede il battesimo.

3.3.2.1. Necessità della preparazione

La giustificazione come tale, cioè l'infusione dell’habitus della grazia santificante, è un


atto istantaneo. Lo stato di peccato fa largo alla giustizia nell’istante. Non c’è nessuno stato
intermedio nel quale io non sarei più peccatore ma non ancora giusto, così come non esiste
uno stato in cui non sarei più completamente morto senza però essere ancora vivente.

Ciò detto, il passaggio istantaneo dall’ingiustizia alla giustizia richiede solitamente


una preparazione nella persona da giustificare. Facciamo un paragone. L'accendere della
candela è istantaneo. A l’istante t -1, non c’era mica fiamma. A l’istante t 0, c'è fiamma e
luce. Il cambiamento è stato istantaneo. Però, affinché si produca l’accendere (istantaneo) si è

28
dovuto prima scaldare lo stoppino della candela per un certo tempo prima che avvenisse il
cambiamento qualitativo istantaneo. Nello stesso modo, nella giustificazione, c’è posto per
una preparazione, prima remota, poi immediata.

3.3.2.2. La preparazione remota

Si possono distinguere due tappe nella preparazione alla giustificazione. C’è prima – al
solito ma non sempre ; basta pensare a san Paolo ! – una preparazione remota. Dio sollecita la
conversione del peccatore per mezzo di mozioni puntuali o grazie attuali. Queste grazie
portano il peccatore ad aprirsi alla prospettiva del perdono rivolgendosi a Dio per chiedere
aiuto e distaccandosi a poco a poco dal peccato. Ad esempio, nel caso del figlio prodigo della
parabola, c’è stata una grazia di luce per fargli capire, di fronte alla carestia e alle sue
conseguenze, come era in un vicolo cieco.

Le grazie attuali prevenienti non sono la grazia santificante ossia la gratia gratum
faciens, cioè l’habitus soprannaturale che ci costituisce formalmente amici e figli di Dio. A
questo punto, anche se viene sollecitata e a poco a poco trasformata dalle grazie attuali, la
persona è ancora formalmente peccatrice.

3.3.2.3. La preparazione immediata

La preparazione immediata alla giustificazione consiste nell’atto per mezzo di cui la


volontà della persona si apre liberamente e accoglie la grazia santificante che la giustifica.

3.3.2.3.1. Indispensabile movimento del libero arbitrio

San Tommaso è categorico : non c’è mai (almeno dagli adulti) giustificazione senza
questo movimento del libero arbitro. In effetti, il governo divino rispetta la natura delle cose.

“La giustificazione del peccatore avviene perché Dio muove l’uomo alla giustizia : è lui
infatti, come insegna S. Paolo, ‘che giustifica l’empio’. Dio però muove tutti gli esseri
secondo la natura di ciascuno [...]. Ecco perché egli muove l’uomo alla giustizia,
secondo la condizione della natura umana. Ora, l'uomo secondo la sua natura è dotato di
libero arbitrio. Perciò in chi possiede l’uso del libero arbitrio non c’è una mozione di
Dio verso la giustizia, senza l’esercizio di esso ; e Dio non infonde il dono della grazia
giustificante, senza muovere al tempo stesso il libero arbitrio ad accettarlo” (Sum. theol.,
Ia-IIae, q. 113, a. 3).

Anche nelle conversioni istantanee, come quella di san Paolo sulla via di Damasco, c’è
sempre il consenso della libertà. Difatti, la giustificazione comporta di per sé – ripetiamolo

29
contro qualsiasi forma d’estrinsecismo – un cambiamento reale, una trasformazione della
volontà che viene informata e rinnovata dalla grazia santificante. Ora, questa trasformazione
della volontà non può essere costretta, per il semplice motivo che la volontà non può mai
essere costretta. Essa richiede dunque il libero consenso della volontà. Ma – ed ecco il
paradosso – questo libero consenso alla grazia è già un effetto della grazia : è la grazia che
suscita nella volontà il libero movimento per mezzo di cui essa accoglie la grazia ! Dio non
aspetta il movimento del libero arbitrio per poter poi infondere la grazia ma Egli suscita quel
movimento del libero arbitrio in colui in chi intende infondere la grazia santificante.

Questa mozione sulla volontà della grazia di un Dio che conduce tutte le cose “con
dolcezza (suaviter)” non comporta nessuna violenza, nessuna costrizione. Difatti, l’azione di
Dio dentro la volontà non è paragonabile all’azione della creatura su un’altra creatura. Essa
non proviene da fuori ma da dentro perché il Creatore è a casa nelle mia volontà. Dio non è
uno straniero ! Egli stesso è l’autore dell’inclinazione (naturale o soprannaturale) del libero
arbitro. Di conseguenza, Dio è Causa prima dell’atto libero, mentre la volontà, informata dalla
grazia, ne è la causa seconda.

Rimane una difficoltà : come si fa che la grazia sia all’origine dell'atto libero che è la
condizione per ricevere la grazia ? Sembra che siamo di fronte a un circolo vizioso !
Ascoltiamo, prima di tutto, la risposta del Dottore comune :

“La disposizione del soggetto precede in esso il conseguimento della forma in ordine di
natura : tuttavia essa segue l’operazione dell’agente, che dispone il soggetto medesimo.
Ecco perché il moto del libero arbitrio precede in ordine di natura il conseguimento
della grazia, mentre segue l’infusione di essa” (Sum. theol., Ia-IIae, q. 113, a. 8, ad 2)

Per capire questa posizione paradossale, bisogna tornare alla fisica aristotelica e in
fattispecie all’analisi della “generazione”, vale a dire dell’apparire di una nuova sostanza, un
nuovo composto di materia e di forma che non esisteva prima. Nella generazione una forma
nuova viene ‘introdotta’ nella materia che prima era informata da un’altra forma. Ad esempio,
nel processo della digestione, la forma sostanziale dell’ostrica che ho appena inghiottita si
corrompe – l’ostrica muore – e gli elementi materiali, che prima erano informati dalla forma
dell’ostrica, sono ripresi in una nuova sintesi dalla mia forma sostanziale, vale a dire
divengono carne umana. A un certo punto – ben determinato in sé stesso, benché sia
impossibile da individuare esattamente da parte nostra – ciò che prima era ostrica diviene
carne umana. [Tra l’ostrica e l’uomo, la materia viene probabilmente informata da altre forme
sostanziali, ma non complichiamo le cose]. Ciò detto, l’istante in cui avviene la generazione è
30
preceduto da un processo complesso di trasformazione progressiva dell’ostrica affinché sia
assimilabile dal mio organismo. Difatti, occorre che sia una proporzione tra la forma
sostanziale e la materia da essa informata. Ciò che prima era ostrica non può divenire carne
umana senza una preparazione, una riorganizzazione delle proprie strutture quantitative e
qualitative che dispone la materia a ricevere la forma nuova. Senza che l’ostrica smette di
essere ostrica, le sue proprietà accidentali man mano cambiano. Queste nuove organizzazioni
della sostanza, che sono sempre più contrarie alla forma iniziale, vengono chiamate
“disposizioni”.

Queste disposizioni sono degli accidenti. Però, accidenti di quale sostanza ? Un


accidente non esiste mai fuori della sostanza ! Quanto alle disposizioni remote, è chiaro che
esse ineriscono ancora nella sostanza che sta per corrompersi. Tutta la difficoltà riguarda la
disposizione ultima, quella che precede immediatamente la generazione della nuova sostanza
e che in qualche modo la richiede, la “provoca”. Questa disposizione ultima è incompatibile
con la forma sostanziale anteriore. Tuttavia, in quanto forma accidentale, non può esistere
senza inerire in qualche sostanza che le conferisce la sua realtà esistenziale. Ora, secondo san
Tommaso, la disposizione ultima riceve il proprio essere dalla nuova forma generata. Vale a
dire che, pure essendo la causa materiale che dispone alla forma nuova, viene causata
formalmente da questa forma. C’è un’involuzione della causa materiale e della causa formale,
un tipo di “causalità reciproca”.

San Tommaso applica quel modello alla giustificazione, in quanto è un tipo di


“generazione”. Nel processo della giustificazione, la disposizione ultima della volontà, cioè il
movimento del libero arbitro che consente alla grazia, viene causata formalmente dal dono
della grazia santificante di cui, materialmente, questo movimento sta preparando l’infusione.
Quindi la necessaria conversione che apre il nostro cuore al perdono gratuitamente offerto da
Dio è già un effetto di questo perdono.

Ma in che cosa consiste, per l’esattezza, quest’indispensabile movimento del libero


arbitro nella giustificazione ? Esso comporta due aspetti, logicamente distinti benché siano
simultanei : la conversione a Dio e la detestazione del peccato ossia la contrizione.

3.3.2.3.2. La conversione a Dio

Nella giustificazione, la grazia divina suscita, prima di tutto, un movimento


soprannaturale di conversione a Dio, il quale cancella in qualche modo il movimento di
aversio a Deo incluso nel peccato. Questo movimento è complesso perché comporta diversi

31
atteggiamenti spirituali. Per san Tommaso, si tratta prima di tutto di un atto di fede in Dio che
mi salva e mi giustifica. Nel contesto storico concreto dell’economia cristiana della salvezza,
questo atto prende la forma di un atto di fede in Gesù Cristo, unico Salvatore. Donde il tema
neotestamentario della giustificazione dell’uomo per mezzo della fede in Gesù Cristo. La fede
viene per prima nel processo della giustificazione perché, in modo generale, la conoscenza
precede l'amore. È la conoscenza che presenta alla volontà il proprio oggetto. Si ama solo ciò
che è conosciuto, fosse un minimo. Di conseguenza, nell’ordine soprannaturale, tutti i nostri
movimenti verso Dio, e dunque i movimenti affettivi della volontà, suppongono la fede, la
quale sta alla radice di tutto. Ecco perché “la fede è il principio della salvezza dell'uomo”,
come scrive san Fulgenzio di Ruspa.

Occorre subito precisare che la fede in questione è quella che i teologi chiamano “fede
formata”, cioè la fede animata, informata, dalla carità. Difatti, la fede, anche la fede informa
(=senza la forma della carità) del peccatore, comporta sempre, come elemento costitutivo, la
volontà di credere. Però, la fede raggiunge la propria perfezione solo quando questa volontà di
credere viene motivata dalla carità. Mi fido di Dio e della sua Parola perché amo Dio al di
sopra di ogni cosa. Ecco la fede formata. Fede, carità... Le virtù teologali sono dunque l’anima
di questo movimento di conversione verso Dio. Ma ciò non esclude per niente il concorso
delle altre virtù, come l’umiltà, la religione...

3.3.2.3.3. La contrizione

Contemporaneamente al movimento di conversione verso Dio, la grazia della


giustificazione suscita un movimento del libero arbitro “contro” il peccato. Si tratta della
contrizione, che viene definita così dal concilio di Trento : “La contrizione è un dolore
dell’animo e una detestazione del peccato commesso, con il proposito di non più peccare per
l'avvenire” (sess. 14, cap. 4). La parola “contrizione” viene dal verbo latino “contere” che
significa stritolare, frantumare e evoca il tema biblico del cuore spezzato : “Uno spirito
contrito è sacrificio a Dio ; un cuore contrito e affranto, tu, o Dio, non disprezzi” (Sal 50, 19 ;
cfr. Dn 3, 40 : In spiritu humilitatis et in animo contrito...). Il cuore contrito è tutto il contrario
della “cervice dura” che esprime l’orgoglio del peccatore, irrigidito nel senso proprio. La
conversione implica che sia distrutto questo “cuore di pietra”.

La contrizione è un dolore o una tristezza. Però, queste non riguardano prima la


sensibilità ma la volontà, benché spesso abbiano degli effetti sulla sensibilità come succede
solitamente per movimenti spirituali. Questo dolore spirituale, come ogni sofferenza, è prima
di tutto un atteggiamento passivo: nel percepire il male del mio peccato – la sua bruttezza –
32
sono toccato, negativamente affettato ; esso mi dispiace. Ma a che serve tornare sul passato ?
Ciò che è fatto è fatto e, come sappiamo, i rimpianti sono sterili. Ma, in realtà, la contrizione è
un atteggiamento molto positivo. Essa mira qualcosa di positivo, un vero bene, anzi un doppio
bene : a/ il proposito positivo di non peccare più e di evitare nel futuro le occasioni di peccare
e b/ la volontà, anch’essa positiva, di riparare, di distruggere il peccato già commesso. Come è
possibile ?

“Addolorarsi del passato con l’intenzione di voler far sì che non sia avvenuto, sarebbe
una stoltezza. Ma il penitente non mira a questo. Il suo dolore è il dispiacere del passato,
con l’intenzione di eliminarne le conseguenze, cioè l'offesa di Dio, e il debito della
pena. E questo non è una stoltezza” (Sum. theol., IIIa, q. 85, a. 1, ad 3).

La contrizione mira dunque a cancellare non il fatto stesso del peccato ma, per quanto
possibile, le conseguenze.

L’anima ossia il motivo profondo della contrizione non è altro che la carità. Difatti,
per san Tommaso, il primo movimento della volontà (in una nuova serie di atti) è sempre un
amore. Odio qualcosa o qualcuno perché amo di più qualcos’altra o qualcun’altro. Nel caso
presente, odio il peccato e intendo distruggerlo, nel senso appena detto, perché amo Dio al
disopra di tutte le cose e sono consapevole che il mio peccato ha recato offesa a Dio.
Conviene dunque distinguere la contrizione dalla semplice attrizione (chiamata anche
contrizione imperfetta). L'attrizione come la contrizione sono un dispiacere di fronte al
peccato, ma i motivi sono assai diversi. Nell’attrizione odio il peccato per motivi che non
sono l'amore di Dio ma, ad esempio, il timore del castigo dovuto al peccato oppure la
vergogna e il disonore implicati nel peccato. Pensiamo ai motivi per cui il figlio prodigo della
parabola torna alla casa del padre. Non è il puro amore per il padre ! Anzi, tutti questi motivi
derivano in ultima analisi dall’amore di sé stesso. Invece, la contrizione mi fa detestare il
peccato per l'amore di Dio. L’attrizione gioca un ruolo di primo piano nelle preparazioni
remote alla giustificazione. Tuttavia, essa è insufficiente da sola per cancellare il peccato.

Nell’atto stesso della giustificazione, in vista della remissione dei peccati, la


contrizione è necessaria, di necessità assoluta. Sarebbe, difatti, del tutto contradittorio
rivolgersi verso Dio senza, contemporaneamente, odiare tutto ciò che di per sé ci allontana da
Dio. Anzi, secondo san Tommaso, immaginarsi che Dio rimetti il peccato senza nessuna
penitenza da parte nostra costituisce proprio il peccato di presunzione, peccato contro la
speranza cristiana.

33
“In rapporto alla speranza, con la quale uno si appoggia alla potenza di Dio, ci può
essere presunzione per il fatto che uno persegue come un bene raggiungibile mediante la
potenza e la misericordia di Dio, una cosa che tale non è : come quando uno spera di
ottenere il perdono senza pentimento, o la gloria senza i meriti. E questa presunzione
propriamente è uno dei peccati contro lo Spirito Santo” (Sum. theol., IIa-IIae, q. 21, a.
1)

Il perdono dei peccati non è mica un’operazione magica, come piace pensare all'uomo
peccatore. Esso è inseparabile della trasformazione radicale del cuore, cioè della conversione.
Perciò chiedere a Dio di perdonare i propri peccati è lo stesso che chiedere a Dio di darci un
cuore contrito e pentito, condizione sine qua non del perdono.

3.3.2.4. La soddisfazione

Una volta giustificato, stabilito in stato di grazia, vale a dire una volta che ha fissato in
Dio la sua Fine ultima, l’ex-peccatore deve ancora saldare la pena temporale del peccato. Ma
questa pena ha oramai un senso nuovo : essa diviene una “soddisfazione”. Adesso che
aderisce pienamente alla volontà di Dio, l’ex-peccatore vuole questa pena, o piuttosto – dato
che il male come tale non è mai desiderabile –, egli vuole il bene del ristabilimento dell'ordine
della giustizia turbato dal suo peccato. Egli vuole riparare in giustizia. Quindi, il peccatore
perdonato accetta volentieri la pena o almeno sopporta con pazienza le pene mandate da Dio.
Si tratta proprio di un atteggiamento virtuoso che riguarda la virtù di penitenza. Tuttavia, la
pena satisfattoria è pena solo in un senso analogico. Difatti, la pena è per definizione contraria
alla volontà, mentre le opere di soddisfazione sono volontarie, seppure, da un certo punto di
vista, contrastano la volontà ‘sensibile’ o la “voluntas ut natura”.

Bisogna soprattutto capire che la soddisfazione non è mai un’opera intrapresa per
attirare ossia causare la misericordia di Dio. Al contrario, essa è il primo frutto della carità che
Dio nella sua misericordia ci ha restituita. Questa carità ci fa collaborare spontaneamente, con
cuore penitente, all’opera di giustizia di Dio.

3.4. Il caso del peccato originale

Finora abbiamo considerato il perdono del peccato attuale. Ora, il sacramento del
battesimo rimette non solo i peccati attuali ma anche il peccato originale. Anzi, di un certo
modo, il battesimo è ordinato soprattutto alla remissione del peccato originale, vale a dire alla
primissima giustificazione.

3.4.1. Il peccato originale


34
Come primo padre e capo dell’umanità, Adamo conteneva in sé di qualche modo tutti
gli uomini che dovevano nascere da lui. “Tutti gli uomini che nascono da Adamo si possono
considerare come un uomo solo, in quanto possiedono la stessa natura ricevuta dal
capostipite” (Sum. theol., Ia-IIae, q. 81, a. 1). Per tanto, l’azione personale di Adamo
coinvolgeva, aldilà della sua persona, anche la sua discendenza. Pertanto, a causa della sua
disubbidienza, Adamo ha perso non solo per lui ma anche per tutta la sua discendenza la
giustizia originale, vale a dire il dono divino che comportava contemporaneamente (1) la
grazia santificante e (2) i doni preternaturali per mezzo di cui l’uomo era preservato dei limiti
inerenti alla propria natura (sofferenza, morte…) in modo di proporzionarlo alla sua
vocazione soprannaturale di piena comunione con Dio. Il peccato personale di Adamo ha
viziato nella sua persona la natura umana di cui era il capo, in modo tale che egli ha trasmesso
alla sua discendenza una natura umana colpevolmente squilibrata. Qualsiasi persona che viene
all’esistenza in questa natura umana derivante per generazione da Adamo prende parte non
soltanto alle conseguenze del suo peccato ma anche, di qualche modo, al peccato stesso. Ogni
figlio e figlia d’Adamo contrae in virtù della sua origine naturale un peccato originale. La
persona di Adamo ha infettato la natura ; oramai è la natura che infetta la persona che viene a
nascere in quella natura.

Il peccato originale non è in noi né un atto né un habitus operativo che ci inclinerebbe


ineluttabilmente a fare il male. Somiglia piuttosto a una ‘malattia’, una cattiva disposizione
della natura. Questa malattia consiste soprattutto nella privazione della giustizia originale.
Nondimeno, il peccato originale come tale non si può ridurre alla sola pena (del resto, sarebbe
ingiusto subire una pena senza averla meritata a causa del peccato) : esso è anche una nostra
colpa in un senso analogico. La privazione della giustizia originale risulta da una colpa, la
quale comporta un certo ‘volontario’, ma questo volontario è il più debole che sia. Si tratta
della partecipazione al volontario di Adamo.

3.4.2. La pena del peccato originale

Nelle Q. de malo, san Tommaso dedica l’intera q. 5 alle pene dovute al peccato
originale. Nell’articolo 1, egli stabilisce che la pena del peccato originale originato è la
privazione della grazia santificante che trascina la privazione della visione di Dio a cui ogni
persona viene chiamata, in altre parole si tratta della dannazione eterna. Nel sed contra, san
Tommaso rimanda ad un documento magisteriale, la lettera Maiores Ecclesiae di papa
Innocenzo III (1201) che dichiara : “La pena del peccato originale è la privazione della
visione di Dio, mentre la pena del peccato attuale è il tormento dell’inferno eterno” (Dz. 780).

35
Nella determinazione dell’articolo, san Tommaso sostiene che, avendo ogni uomo rigettato
volontariamente in Adamo la giustizia originale che lo preparava alla visione di Dio, è giusto
che sia privato di tale visione.

Nel articolo 2, l’Aquinate spiega perché il peccato originale, a differenza del peccato
attuale, non richiama nessuna pena del senso, nessuna pena temporale. Gli articoli 4 e 5
stabiliscono che la morte e le miserie (defectus) di questa vita, benché siano in un certo senso
naturali (derivano dalla natura umana, composta da un corpo di per sé corruttibile), sono, dal
punto di vista della fede, delle pene del peccato originale. Secondo Tommaso, si tratta di una
verità di fede : “Senza alcun dubbio secondo la fede cattolica bisogna ritenere che la morte e
tutti i difetti simili della vita presente sono la pena del peccato originale” (a. 4). Difatti,
l’essere umano è un essere paradossale : uno spirito incarnato. Da una parte, la sua corporeità
è buona e necessaria, tutt’al servizio della vita spirituale, anzi della vocazione soprannaturale.
Anche il corpo è chiamato alla gloria dei figli di Dio ! Ma, d’altra parte, la corporeità implica
di per sé che la persona umana venga sottomessa alle leggi della natura fisica e alla
corruzione. Era dunque molto conveniente che Dio, nel creare l’uomo e nel chiamarlo alla
vita divina, l’attrezzasse di alcuni privilegi soprannaturali – in particolare l’impassibilità e
l’immortalità – per proporzionare ossia adattare la sua dimensione corporale alla sua
vocazione soprannaturale. Anzi, per san Tommaso, sarebbe proprio uno ‘scandalo’ se Dio
avesse creato un essere spirituale, come l’uomo, in uno stato di umiliante sottomissione alle
necessità della natura fisica, come la pensano oggi quelli che ritengono lo stato di giustizia
originale un mito.

Ora, a causa della sua disobbedienza, l’uomo ha perso tutti questi privilegi ed è stato
lasciato a sé stesso, vale a dire è stato restituito al dominio delle leggi della sua natura
corruttibile. Dallo stretto punto di vista filosofico (che non tiene presente la vocazione
soprannaturale dell’uomo), la morte, così come le malattie, la stanchezza..., sono vicende
naturali per l’uomo come per qualsiasi altro essere corporale. Invece, nella prospettiva della
vocazione soprannaturale dell’uomo e tenendo presenti i doni liberamente concessi da Dio a
Adamo all’origine, la morte e i defectus vitae sono proprio una pena.

3.4.3. La remissione del peccato originale

La remissione della colpa del peccato originale in ogni persona non pone problemi
particolari. Essa risulta dal dono della grazia santificante offerta ad ogni persona nel
sacramento del battesimo o in qualsiasi altro modo sostitutivo. Invece, in quanto tocca la
natura umana in quanto tale, il peccato originale non può essere guarito pienamente che per
36
mezzo di un atto che riguarda tutta la natura umana in quanto tale. Una cosa è proteggermi
personalmente dal Coronavirus o guarire ; una altra cosa estirpare il virus stesso dall’umanità.
Ora, risanare la natura umana in quanto tale non può spettare a un purus homo, vale a dire a
un uomo che sia soltanto uomo. Prima, perché anche lui è segnato dal peccato originale, e poi
perché è soltanto una parte del tutto dell’umanità e non può agire nel nome dell’intera
umanità. Donde l’altissima convenienza della “ricapitolazione” di tutta l’umanità in Cristo.
Per l'incarnazione, il Figlio di Dio diviene non un uomo qualunque ma proprio il nuovo
Adamo, il capo dell'umanità rinnovata. Solo Gesù Cristo è in grado di agire nel nome
dell’umanità in modo di ottenere da Dio il perdono dei peccati e di risanare, radicalmente,
l’umanità dal peccato originale.

4. Un solo battesimo per la remissione dei peccati (IIIa, q. 69, aa. 1-3)

Dopo questi un po’ lunghi ma necessari prolegomeni sulla giustificazione e sul


perdono dei peccati in generale, siamo ora in grado di capire le modalità del perdono dei
peccati quando viene attuato nel sacramento del battesimo.

4.1. Il perdono dei peccati (IIIa, q. 69, a. 1)

Lo scopo del primo articolo della q. 69 della IIIa pars – “Se il battesimo cancelli tutti i
peccati ?” – è di stabilire non tanto che il battesimo cancelli i peccati ma che li cancella
proprio tutti, vale a dire non soltanto il peccato originale ma anche i peccati attuali. Difatti, nel
Medioevo, diversi fattori (la quasi-scomparsa della pratica del battesimo dei adulti, la
riduzione teologica di ogni sacramento a un rimedio per un peccato particolare…) avevano
portato ad occultare quest’aspetto del sacramento in modo tale che si poteva pensare che il
battesimo fosse direttamente ordinato soltanto a togliere il peccato originale. Però,
l’insegnamento della Chiesa è chiarissimo su questo punto : il battesimo cancella tutti i
peccati, sia i peccati attuali (commessi dall’adulto) che il peccato originale. Nella
determinazione, san Tommaso deduce questa verità dalla “definizione” stessa del battesimo
come partecipazione alla morte di Cristo (Ro 6, 3), e dunque come passaggio dalla vetustà alla
novità, ossia come morire al peccato per nascere a vita nuova. Ora, la vetustà da cui il
battesimo ci libera include tutti i peccati, il peccato originale come i peccati attuali. Tutta
questa “vecchiume” viene abolita dall’atto battesimale.

Il testo parallelo dello Scriptum ricorreva al paradigma fisico della “generazione” per
presentare gli effetti del battesimo :

37
“In qualsiasi generazione, con l’introduzione della forma, ogni forma contraria viene
espulsa, e anche la disposizione alla forma contraria, a meno che talvolta non venga
lasciata per l’indisposizione di chi riceve la forma. Per cui, essendo il battesimo una
rigenerazione alla vita spirituale, tutto ciò che è contrario alla vita spirituale, che cioè
non può stare con la grazia, che è il principio della vita spirituale, è tolto dal battesimo ;
e così il battesimo cancella la colpa mortale sia originale che attuale, e per quanto sta in
esso anche la veniale, che dispone alla privazione della grazia ; sebbene talvolta la colpa
veniale rimanga dopo il battesimo, dopo che è stata rimossa la mortale, a causa della
mancanza di disposizione in chi riceve il battesimo” (In IV Sent., d. 4, q. 2, a. 1).

La prima obiezione dell’a. 1 della q. 69 osserva che la logica simbolica del battesimo
come seconda nascita ossia come rigenerazione sembra comportare solo la cancellazione del
peccato originale giacché la generazione umana trasmette solo il peccato originale (mai i
peccati attuali dei genitori). San Tommaso, ispirandosi al tema paolino della sproporzione tra
il peccato d’Adamo e il dono della giustizia in Cristo, risponde che il dono conferito dal
battesimo è molto più efficace in positivo del peccato di Adamo in negativo. Per tanto, nel
battesimo sono rimessi anche i peccati personali.

La seconda obiezione pretende che il perdono dei peccati attuali sia l’effetto specifico
della penitenza che, presso gli adulti, precede il battesimo (ovviamente non si tratta della
penitenza “sacramentale”, vale a dire della confessione, ma del processo di conversione del
catecumeno). Nella sua risposta, san Tommaso non nega affatto che l’adulto possa già
ottenere il perdono dei peccati per mezzo della penitenza. Tuttavia, questa penitenza
prebattesimale comporta necessariamente la fede nel valore salvifico della Passione di Cristo
e, in modo indissociabile, il proposito di partecipare alla Passione, ciò che si fa appunto per
mezzo del sacramento del battesimo. Quindi, in questo caso, benché il perdono dei peccati
attuali preceda il battesimo, esso viene ottenuto in riferimento al battesimo. Incontriamo qui
per la prima volta il tema della relazione tra giustificazione ottenuta fuori della celebrazione
del sacramento e il sacramento stesso : per san Tommaso, (1) c’è sempre un legame tra questa
giustificazione extra-sacramentale e il sacramento ; (2) la grazia ricevuta per mezzo del
sacramento è più perfetta.

“Di nessun peccato si può dare il perdono, se non per virtù della passione di Cristo ;
poiché, come dice l’Apostolo, ‘senza effusione di sangue non c’è remissione’ [He 9]. Di
conseguenza il pentimento della volontà umana non basterebbe alla remissione della
colpa, senza la fede nella passione di Cristo e senza il proposito di attingervi, o

38
ricevendo il battesimo, o sottomettendosi alle chiavi della Chiesa. Perciò, quando un
adulto si accosta pentito al battesimo, ottiene, sì, la remissione di tutti i suoi peccati per
il proposito del battesimo, ma più perfettamente ancora nell’atto che lo riceve.”

Per ogni peccato, c’è un rimedio specifico ! Ora il peccato originale e il peccato attuale
non appartengono allo stesso genere. Per tanto, conclude la terza obiezione, occorre due
rimedi distinti. Ma, risponde san Tommaso, il battesimo, in quanto comunica la virtù della
Passione di Cristo, « medicina universale di tutti i peccati », è il rimedio universale che vale
per tutti i generi di peccato.

4.2. La cancellazione delle pene dei peccati personali (IIIa, q. 69, a. 2)

Ogni peccato mortale esige una doppia pena : la pena del danno e la pena temporale
proporzionata la cui finalità è ristabilire l’ordine morale obiettivo ferito dal peccato. È di
questo ultimo tipo di pena che si tratta nell’a. 2, perché, quanto all’obbligo alla pena del
danno, è chiaro che viene intrinsecamente e perfettamente cancellato dal dono della grazia.
Nella determinazione, san Tommaso spiega che il battesimo cancella ogni obbligazione alla
pena perché, in virtù della solidarietà mistica con Cristo creata dal battesimo, il battezzato è
oramai partecipante dei tesori infiniti della soddisfazione offerta da Cristo, come se fossero i
suoi.

“Mediante il battesimo […] si è incorporati alla passione e alla morte di Cristo, secondo
le parole di S. Paolo : ‘Se siamo morti con Cristo, abbiamo fede che anche vivremo con
lui’ [Ro 6, 8]. Da questo risulta che a ciascun battezzato viene comunicata la passione di
Cristo, come se egli stesso avesse sofferto e fosse morto. Ora, la passione di Cristo [...] è
una soddisfazione piena per tutti i peccati di tutti gli uomini. Quindi chi si battezza
viene liberato dal debito della pena che gli spetta per i suoi peccati, come se lui stesso
avesse pienamente [sufficienter] soddisfatto per tutti i suoi peccati.”

Per la medesima ragione, san Tommaso spiega nell’a. 5 della q. 68 della IIIa che sarebbe del
tutto assurdo imporre una penitenza ai peccatori che ricevono il battesimo. “A chi si battezza
non va imposta alcuna penitenza per nessun peccato, perché ciò costituirebbe un’ingiuria alla
passione e alla morte di Cristo, quasi essa non bastasse alla piena soddisfazione delle colpe
dei battezzati.”

Questa tesi è stata dogmatizzata dal Concilio di Firenze nel Decreto per gli Armeni
(1439) (il decreto riprende il De articulis fidei et Ecclesiae sacramentis di san Tommaso) :

39
“Effetto di questo sacramento [=il battesimo] è la remissione di ogni colpa, originale e
attuale, e di ogni pena relativa. Non si deve quindi imporre ai battezzati nessuna
penitenza per i loro peccati precedenti e quelli che muoiono prima di commettere
qualche colpa sono subito accolti nel Regno dei cieli e ammessi alla visione di Dio” (Dz
n° 1316).

Badate, ancora una volta, come giustizia e misericordia si abbracciano. In effetti, san
Tommaso non contesta in nessuno modo l’affermazione della prima obiezione dell’a. 2 della
q. 69 : “‘Le cose che sono da Dio sono ordinate’, dice S. Paolo. Ma, la colpa, come osserva
sant’Agostino, non è ordinata che per mezzo della pena”. Condonare senz’altro la pena
potrebbe essere un disordine obiettivo, contrario alla giustizia di Dio. Ma egli risponde :

“Al battezzato viene attribuita la pena della passione di Cristo, in quanto egli è diventato
membro di lui, e quindi gli vale quella pena come se egli stesso l’avesse subita. Per
tanto, i suoi peccati sono ‘ordinati’ dalla pena” (ad 1).

Difatti, i nostri peccati sono stati giustamente puniti e l’ordine giusto ristabilito ... però in
Cristo. “Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce” (1 P 2, 24). Come
ricordato da san Tommaso nel ad 1 dell’a. 5 della q. 68, tutto dipende dalla solidarietà ossia
unione mistica stabilita dal battesimo tra il battezzato e Gesù Cristo. In virtù di questa
solidarietà, la soddisfazione sovrabbondante di Cristo vale per tutti i membri del suo Corpo.
“Il capo ed i membri sono come una sola persona mistica. Ecco perché la soddisfazione del
Cristo appartiene a tutti i fedeli come ai suoi membri” (IIIa, q. 48, a. 2, ad 1).

Su quel punto, il sacramento del battesimo differisce di quello della penitenza. Difatti,
il simbolismo della morte e della nuova nascita implica la cancellazione totale delle opere
dell’uomo vecchio, tanto delle sue colpe quanto delle pene dovute a queste colpe. Nella IIIa,
q. 84, a. 1, ad 1, Tommaso distingue i sacramenti che conferiscono una grazia eccellente la
quale trascende ogni capacità dell’azione umana (in questi sacramenti, gli atti umani del
recipiente non appartengono all’essenza del sacramento ; questi intervengono soltanto come
disposizioni al sacramento) e i sacramenti (penitenza e matrimonio) il cui effetti sono in
qualche modo proporzionati agli atti umani che formano la materia del sacramento. Per tanto,
l’effetto della penitenza non è completo prima che siano compiuti tutti gli atti del penitente,
inclusa la soddisfazione. Il penitente perdonato deve ancora soddisfare per riparare le
conseguenze delle sue colpe.

40
“Nel battesimo l’uomo partecipa pienamente la virtù della passione di Cristo, in quanto,
mediante l'acqua e lo Spirito Santo, viene a morire al peccato insieme con Cristo, e
viene rigenerato in lui a una nuova vita. Perciò nel battesimo l’uomo ottiene la
remissione di qualsiasi pena. Nella penitenza invece partecipa la virtù della passione di
Cristo secondo la misura dei propri atti, i quali sono materia della penitenza, come
l’acqua lo è del battesimo. Ecco perché il debito di tutta la pena non viene subito
rimesso col primo atto della penitenza col quale viene rimessa la colpa, ma solo dopo
aver compiuto tutti gli atti della penitenza” (IIIa, q. 86, a. 4, ad 3).

Quindi, chiede maliziosamente la terza obiezione del nostro a. 2 della q. 69, non si
deve più impiccare il brigante colpevole di omicidio se venga ad essere battezzato ? Ma,
risponde san Tommaso, oltre l’obbligo morale alla pena rispetto a Dio, il quale viene davvero
tolto dal battesimo, c’è il valore sociale della pena, il quale rimane dopo il battesimo, anche se
san Tommaso stima che rimettere la pena del neofita sarebbe un bel atto di pietà da parte del
principe cristiano.

4.3. La permanenza delle conseguenze del peccato originale (IIIa, q. 69, a. 3)

Il peccato di Adamo ha trascinato per tutta la discendenza tante miserie che hanno
valore di pena : il disordine interiore delle potenze dell’anima, cioè la concupiscenza che ci
inclina al peccato (donde la denominazione di fomes peccati, vale a dire di “focolare di
peccato”) ; la passibilità e quindi la sofferenza ; la morte... Ora è purtroppo ovvio che i
battezzati non sono liberati da queste miserie. Sembra che il battesimo non cambi niente !
Bisogna rispondere alla domanda : visto che il battesimo cancella le conseguenze penali dei
peccati personali, perché non cancelli anche le pene del peccato originale (arg. 2) ?

4.3.1. Tre argomenti di convenienza

Nel corpo dell’articolo, san Tommaso afferma chiaramente che il battesimo, in quanto
partecipazione alla Passione e alla vita gloriosa di Cristo, possiede di per sé il potere di
cancellare tutte le miserie di questa vita. Però, questo potere viene comunicato ai battezzati
virtualmente, vale a dire in germe, e non verrà pienamente attuata se non nell’Ultimo Giorno,
nella risurrezione, quando i giusti, in virtù del dinamismo battesimale, vale a dire della loro
partecipazione alla potenza vivificatrice della Risurrezione di Cristo, rivestiranno
l’immortalità.

Tuttavia, se Dio ha scelto di rimandare quest’effetto ultimo del battesimo fino alla
fine, c’è un motivo, vale a dire c’è un bene che rende ragione di questa scelta. Quando Dio

41
sceglie liberamente qualcosa, Egli ha sempre le sue ragioni. Sono le famose “ragioni di
convenienza”, le quali esprimono l’armonia e bellezza del piano divino. Spetta al teologo
indagare queste ragioni. Così, san Tommaso individua tre ragioni per cui il battesimo non
toglie subito tutte le miserie.

* La terza ragione, assai superficiale, è di natura puramente psicologica : se il battesimo


dovesse conferire subito l'impassibilità e l’immortalità, ci sarebbero motivi per dubitare della
purezza delle motivazioni di chi viene a chiedere il battesimo !

* La seconda ragione riprende un tema importante della tradizione spirituale cristiana : le


miserie di questa vita non sono cancellate a causa del combattimento spirituale [propter
spirituale exercitium]. La necessità di lottare quotidianamente contro la concupiscenza e di
sopportare pazientemente le sofferenze di questa vita, porta il battezzato a crescere nella fede
e nell’amore di Dio e, per tanto, gli permette di acquistare più meriti tanto per lui quanto per
gli altri. Così, per spiegare la permanenza in Terra santa di popoli ostili a Israele, l’autore del
libro dei Giudici, scriveva :

“Queste sono le nazioni che il Signore lasciò sussistere, allo scopo di mettere alla prova
per mezzo loro Israele, cioè quanti non avevano visto tutte le guerre di Canaan. Ciò
avvenne soltanto per istruire le nuove generazioni degli Israeliti, per insegnare loro la
guerra, perché prima non l'avevano mai conosciuta” (c. 3).

San Bonaventura, in un bellissimo brano (In IV Sent., d. 4, p. 1, a. 1, q. 2), ritiene il


combattimento spirituale tra le diverse convenienze “il cui scopo è aumentare il merito del
libero arbitro”. Proponendo una sintesi degli insegnamenti della sacra Scrittura, il Dottore
serafico scrive :

“Le miserie di questa vita sono date :

1°- per l’umiltà : ‘Le frecce del Signore militano contro me ; la loro indignazione esaurisce la
mia anima’ (Gb, 6, 4).

2°- per ispirare il timore [timoris incussionem] : ‘I terrori del Signore militano contro di me'
(Gb 6, 4).

3°- per la conoscenza di sé : ‘Sola la prova da l'intelligenza’ (Is 28, 19).

4°- Per stimolare a fare il bene : ‘Alzatevi ed andate, perché non avrete riposo qui’ (Mi 2, 10).

5°- Come esempio per non peccare : ‘Adamo è il mio esempio dalla mia gioventù’ (Za 13, 5).

42
6°- Per l'esercizio delle virtù: ‘Tali sono i popoli che il Signore ha lasciato per insegnare
Israele’ (Giud 3, 1).

7°- Come segno dell'adozione filiale: ‘Se non siete corretti...’ (Eb 12,8)...”

E Bonaventura conclude con l’argomento psicologico già menzionato a proposito di san


Tommaso.

Ma la ragione più teologica è senz’altro la prima proposta da san Tommaso.

“Primo, perché col battesimo l'uomo viene incorporato a Cristo e diventa suo membro,
come si è detto sopra. E quindi è conveniente che nelle membra incorporate si compia
quello che si è compiuto nel capo. Ora, Cristo fin dal principio del suo concepimento fu
pieno di grazia e di verità, ebbe però un corpo passibile, che attraverso la passione e la
morte fu risuscitato alla vita gloriosa. Allo stesso modo il cristiano riceve nel battesimo
la grazia per la sua anima, ma conserva un corpo passibile con il quale possa soffrire per
Cristo ; questo però in seguito sarà risuscitato a una vita impassibile. Ecco perché
l'Apostolo scriveva ai Romani: ‘Colui che risuscita Gesù Cristo dai morti, farà rivivere
anche i vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che risiede in voi’ [Ro 8]. E poco
dopo aggiungeva : ‘Eredi di Dio, coeredi di Cristo, se tuttavia soffriamo con lui per
essere con lui anche glorificati’.”

La grazia del battesimo è grazia di configurazione a Cristo nel suo mistero pasquale. Questo
mistero si prolunga e si esprime in qualche modo nella vita di ogni cristiano, quale membro
del Corpo mistico. Ogni battezzato rivive nella propria vita la pasqua di Gesù. Così, come
Gesù Cristo per la nostra salvezza ha liberamente assunto i defectus che sono la conseguenza
del peccato originale, allorché egli, da innocente e concepito senza il peccato originale, non
era per niente obbligato di sottomettersi ad essi, nello stesso modo il battezzato continua di
portare le conseguenze del peccato. Ma, per lui, le pene di questa vita cambiano senso. Esse
hanno oramai valore di soddisfazione ; esse divengono materia dell’amore riparatore,
opportunità di associarsi al valore salvifico della Passione di Cristo, di “completare nella
propria carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo” (Col 1, 24). Il
gran maestro spirituale francese Louis Chardon o.p. nel suo capolavoro La Croix de Jésus
spiega che la grazia cristiana, la grazia battesimale, porta in sé un “peso verso la Croce”, vale
a dire un’inclinazione intrinseca che ci porta ad unirsi alla Passione di Cristo. Queste verità
hanno una immensa portata spirituale, perché ci invitano a vivere le nostre sofferenza in
unione con Cristo ed a partecipare così in Cristo all’opera della Redenzione del mondo.

43
Anche la nostra morte, quando viene vissuta in Cristo, diviene l'ultima configurazione a
Cristo sulla terra prima che la grazia della risurrezione, anche essa compresa nella grazia
battesimale, porta questa configurazione al suo compimento.

4.3.2. Dalla rigenerazione personale alla “restaurazione della natura” (ad 3)

Nel ad 3, san Tommaso contempla la permanenza delle conseguenze del peccato


originale nella prospettiva più ampia della storia complessiva della salvezza, in cui la vittoria
della grazia sul peccato si attua progressivamente. L’Aquinate mette in confronto, o piuttosto
in contrasto, la propagazione del peccato a partire da Adamo e la diffusione della grazia
salvifica a partire da Gesù Cristo.

Il peccato di Adamo è stato un peccato personale che ha infettato prima la natura


umana e poi, per mezzo della natura, contamina tutte le persone che nascono in questa natura
viziata. Quindi, lo schema di trasmissione è : persona (Adamo) → natura → persona (io).
L’opera di Cristo restaura tanto le persone quanto la natura umana come tale. Ma lo fa
secondo un certo ordine. La santità del Verbo di Dio santifica prima di tutto l’umanità in
Gesù. L’umanità di Gesù è una umanità santa, quella del nuovo Adamo. Poi, Gesù, per mezzo
di questa santa umanità, santifica le persone umane prese individualmente. Però, la natura
umana nei battezzati rimane ancora segnata dal peccato : la prova è che i genitori battezzati,
sebbene siano personalmente santi, trasmettono ai figli una natura segnata dal peccato
originale. Finalmente, la salvezza si stenderà alla natura come tale, in ultima reparatione
naturae per resurrectionem gloriosam. Lo schema è dunque : Cristo in persona nella propria
natura umana santa (risana) → persona (io) → la natura (la natura in me). Per tanto, la
salvezza della persona come tale è già offerta e acquistata nel battesimo (esso cancella la
colpa originale, la pena del danno, le colpe personali e le pene dovute ai peccati personali) ma
la piena e integrale salvezza della persona in quanto è inseparabile della restaurazione della
natura umana verrà perfettamente compiuta solo con la risurrezione finale.

“Il peccato originale ha seguito questo decorso : prima la persona contagiò la natura, in
seguito la natura contagiò la persona. Cristo invece, invertendo l'ordine, ripara prima
quello che è della persona e in seguito riparerà in tutti simultaneamente quello che è
della natura. La colpa quindi del peccato originale e la pena della privazione della
visione divina, che riguardano la persona, le elimina subito dall’uomo per mezzo del
battesimo. Le penalità invece della vita presente, come la morte, la fame, la sete e altri
mali consimili, riguardano la natura che le causa in forza dei suoi principi, essendo priva

44
della giustizia originale. Perciò questi difetti non saranno eliminati, se non nella
restaurazione finale della natura mediante la risurrezione gloriosa.”

Nel frattempo, il battezzato vive in una situazione intermedia e provvisoria. “Lo


battezzato vive quanto alla sua mente nella novità dello Spirito, ma quanto alla sua carne,
conserva ancora la vetustà di Adamo” (Quodl. VI, q. 9, a. 1). La permanenza di questa vetustà
spiega, tra altre cose, che il battezzato continui a trasmettere il peccato originale ai suoi figli
trasmettendo loro una natura non ancora “disinfettata” fino al fondo. Così “il battezzato non è
soggetto alla morte e alle penalità della vita presente per debito [reatus] personale, ma per
stato di natura” (IIIa, q. 69, a. 7, ad 3)/

4.4. L’apertura delle porte del Regno dei cieli (IIIa, q. 69, a. 7)

In un Discorso sul Vangelo di Luca, citato quale autorità da Pier Lombardo, san Beda
il Venerabile, fa un paragone tra la circoncisione e il battesimo. Ambedue rimettono il peccato
originale alle persone. Tuttavia, aggiunge Beda, quelli che nell’Antico Testamento ricevevano
la circoncisione

“non potevano ancora varcare la porta del Regno dei cieli. Dopo la loro morte, consolati
da un felice riposo nel seno di Abramo, aspettavano tuttavia, con una felice speranza
felice, di entrare nella pace di lassù.”

Si riconosce qui la dottrina tradizionale del limbo dei patriarchi. Questo limbo, come
indicato dal nome (“limbo” significa frangia, orlo), è una zona degli inferni, ossia del mondo
sotterraneo, in cui venivano ricevute e contenute le anime dei giusti dell’Antico Testamento.
Questi giusti erano stati liberati dal peccato originale per mezzo della circoncisione oppure di
qualche altra supplenza al battesimo e, inoltre, all’ora della loro morte non erano colpevoli di
qualche peccato attuale mortale. Però, la grazia ricevuta all’occasione della circoncisione li
aveva liberati dal peccato originale quantum ad personam, vale a dire aveva tolto ogni
impedimento personale all’unione a Dio. Tuttavia, fino alla Redenzione compiuta da Cristo,
rimaneva l’impedimento comune : la natura umana dei figli d’Adamo rimaneva debitrice della
pena del peccato originale, ossia dell’esclusione della visione beatifica.

“I santi Patriarchi in vita furono liberati per la fede in Cristo da ogni peccato, sia
originale che attuale, e dal reato della pena dovuta ai loro peccati attuali: ma non dal
reato della pena dovuta al peccato originale, che li escludeva dalla gloria, non essendo
stato ancora sborsato il prezzo della redenzione umana” (IIIa, q. 52, a. 5, ad 2).

45
Per tanto, i giusti non potevano entrare in Paradiso. Questo Paradiso rinvia certo al giardino
originale dell’Eden, ormai chiuso dal peccato di Adamo, ma, in un senso più teologico, il
Paradiso significa la beatitudine, l’unione a Dio nella visione beatifica. Sola la Passione di
Cristo, in quanto nuovo Adamo ricapitolante in sé l’umanità come tale, poteva liberare la
natura umana come tale riscattandola pienamente dal peccato originale. La Passione di Cristo
ha quindi aperto la porta del cielo (cfr. IIIa, q. 49, a. 5), come suggerito dal Vangelo di Matteo
(Mt 27, 52-53) quando, a proposito degli effetti della morte di Cristo, egli scrive : “I sepolcri
si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua
risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti”. Questo è anche la ragione perché
Cristo dopo la propria morte è sceso negli “inferni” (cfr. IIIa, q. 52, a. 5). Non per condividere
la condizione dei dannati ! Ma per spezzare le porte degli inferi e aprire le porte del Cielo.
L’anima di Cristo veniva ad applicare ai giusti gli effetti della Passione e liberarli
dall’esclusione della visione beatifica come conseguenza del peccato originale. Quindi, per i
giusti dell’Antico Testamento, la salvezza si è attuata in (almeno) tre tappe : giustificazione
personale e perdono del loro peccato originale (per mezzo della circoncisione) ; ingresso nella
visione beatifica (per mezzo della discesa di Cristo negli inferi) ; risurrezione gloriosa alla
fine dei tempi.

Dato che il battesimo è una partecipazione alla Passione di Cristo, esso cancella nella
persona del battezzato ogni colpa ed ogni obbligo alla pena, in breve ogni impedimento,
comune o individuale, all’ingresso nel Regno celeste. Chi muore subito dopo il battesimo
giunge direttamente alla beatitudine. Perciò si dice tradizionalmente che il battesimo “apre le
porte dei cieli”. In segno di quest’effetto del battesimo, i vangeli raccontano che “il cielo si è
aperto” quando Gesù risalì dal Giordano dopo il proprio battesimo (cfr. IIIa, q. 49, a. 5, ad 3).

5. Una vita nuova in Cristo

Nella q. 69, dedicata agli effetti del battesimo, san Tommaso, dopo avere considerato
gli effetti “negativi”, come la remissione dei peccati e la liberazione dal reatus ad poenam,
presenta nei due articoli seguenti gli effetti “positivi” che esprimono la partecipazione del
battezzato nella vita nuova in Cristo.

5.1. La grazia delle virtù e dei doni (IIIa, q. 69, a. 4)

La determinazione del a. 4 è brevissima : il battesimo, dice l’Aquinate, appoggiandosi


a sant’Agostino, ci incorpora a Cristo. Per tanto, la pienezza di grazia e di virtù trovatasi
“naturalmente” in Cristo viene comunicata ai suoi membri. “Dalla sua pienezza tutti abbiamo

46
ricevuto” (Gv 1, 16). Questo effetto, precisa l’ad 1, viene significato, sul piano rituale del
sacramentum tantum, dalla naturale chiarezza dell’acqua, la quale rievoca lo splendore della
grazia comunicata.

La difficoltà a fare il bene come la propensione a fare il male, le quali risultano dalla
concupiscenza (come l'abbiamo detto, la concupiscenza non viene tolta ma solo indebolita dal
battesimo), non contradicono la presenza effettiva nel battezzato delle virtù come disposizioni
a fare il bene “con facilità e con diletto”. Il battessimo nell’indebolire la concupiscenza gli dà
la possibilità di superare queste difficoltà che ostacolano la perfezione della vita virtuosa già
presente (ad 3).

5.2. Gli atti delle virtù (IIIa, q. 69, a. 5)

Nel a. 5, san Tommaso rende ragione dell’attribuzione tradizionale al battesimo di tre


attività virtuose particolari : l’incorporazione a Cristo, l’illuminazione e la fecondità. Questi
tre effetti non sono collocati sullo stesso piano. Difatti, l’illuminazione e la fecondità
dipendono dall’incorporazione a Cristo. La vita nuova – effetto proprio del battesimo –
comporta prima di tutto l’incorporazione a Cristo, vale a dire l’unione a Cristo Capo nella
fede e la carità. Una volta incorporato a Cristo, il battezzato riceve da questa fonte capitale
tutto ciò che, nel corpo fisico, il membro riceve dalla testa : la conoscenza (sensus) e il
movimento (motus). Ma si tratta qui della conoscenza e del movimento spirituali. La
conoscenza spirituale è la conoscenza della verità derivante dall’illuminazione
(=comunicazione di conoscenza salvifica) del credente da parte di Cristo. Il movimento
spirituale è quello prodotto nel battezzato dall’istinto della grazia, vale a dire della grazia in
quanto ci fa porre alcuni atti come se fossero naturali, spontanei, istintivi. Grazie a questo
istinto, che non è altro che lo Spirito santo agente nell’anima, il cristiano è reso fecondo nel
senso che produce bei frutti, tante opere buone a gloria di Dio.

5.3. Il Dono dello Spirito santo

Piaceva alla tradizione dei Padri della Chiesa attribuire tutti gli effetti del battesimo ad
un effetto principale : il dono dello Spirito santo, frutto della Pasqua del Signore, dono
primordiale e fontale che contiene in sé stesso tutti gli altri doni. In effetti, è lo Spirito santo
che attua l’incorporazione a Cristo, dà la nuova nascita, opera il perdono dei peccati, divinizza
il battezzato... San Tommaso non ignora quest’aspetto fondamentale del sacramento. Egli sa
perfettamente che lo Spirito santo ci viene dato nel battesimo e che la vita nuova del
battezzato è una vita nello Spirito. Però, secondo lui, il dono “increato” dello Spirito si attua

47
per mezzo del dono creato della grazia santificante, chiamata del resto “grazia dello Spirito
Santo”. Il quale dono ci mette in relazione con le Persone della santissima Trinità. Di
conseguenza, san Tommaso non prova il bisogno di sviluppare di più il tema dell'azione dello
Spirito nel battesimo perché è contenuto implicitamente nel tema del dono della grazia
santificante. Tutti gli effetti attribuiti alla grazia santificante si riallacciano ipso facto allo
Spirito santo ! Ciò detto, mettere più esplicitamente in risalto la relazione della grazia del
battesimo collo Spirito permette al teologo di manifestare di più come il battesimo s’inserisce
nella storia della salvezza descritta dalla sacra Scrittura, in cui la venuta della Spirito è
l’elemento chiave del disegno divino.

48
Capitolo 2 : Il carattere battesimale

Il battesimo, incorporando il fedele a Gesù Cristo, lo inserisce contemporaneamente


nella Chiesa, come Corpo mistico di Cristo. Ora, la Chiesa presenta una struttura “teandrica”,
a immagine di Gesù Cristo, suo divino Sposo, vero Dio e vero uomo, in cui l’umanità è lo
strumento delle divinità. In modo simile, la Chiesa è, in modo indissociabile, una realtà
umana e una realtà di grazia. Senza separazione né confusione, c’è nella Chiesa un polo
umano, visibile, terrestre, storico, e un polo divino, invisibile, celeste, eterno. Il polo umano è
ordinato al polo divino. Esso ne è il segno e la causa strumentale.

I sacramenti riproducono e riflettono in sé stessi questa struttura intima della Chiesa.


Al polo umano corrisponde, soprattutto nei sacramenti “a carattere”, la res et sacramentum, la
quale prolunga invisibilmente e in modo duraturo il sacramento visibile e dispone in modo
permanente alla grazia sacramentale. Al polo divino corrisponde la realtà di grazia, vale a dire
la res sacramenti. I “caratteri” formano dunque “l’ossatura della Chiesa visibile” (H.
Bouëssé), nel senso che assicurano “la consistenza obiettiva della Chiesa terrestre” (J.-H.
Nicolas).

Il battesimo, considerato nei suoi effetti, riproduce in sé stesso questa doppia polarità
della Chiesa. Da una parte, esso incorpora visibilmente nella Chiesa considerata come segno,
realtà umana e storica. Questo è il primo effetto del battesimo, un effetto sociale ed ecclesiale.
D’altra parte, quando il battesimo è ricevuto fruttuosamente, esso incorpora il battezzato nella
Chiesa quale realtà di grazia, comunione con Dio e il prossimo nella carità. La prima
incorporazione alla Chiesa risulta dalla consacrazione della persona realizzata dal carattere
battesimale.

2.1. Breve storia della nozione di carattere

Nel commentare Sum. theol., IIIa, q. 63, a. 1, Gaetano scrive : “La sacra Scrittura non
insegna che i sacramenti imprimono un carattere ; lo teniamo in virtù dell’autorità della
Chiesa ; non è una dottrina molto antica ». Concretamente, Gaetano la fa risalire a papa
Innocenzo III. Difatti, questi, in una lettera del 1201 indirizzata all’arcivescovo Imberto di
Arles, tratta diversi casi problematici di teologia battesimale. Tra altre cose, papa Innocenzo
III afferma che chi riceve il battesimo sotto pressione o costrizione però accentando di
riceverlo (=di sottomettersi al rito), così come chi riceve il battesimo per finta, “riceve
impresso il carattere del cristianesimo [characterem suscipit Christianitatis impressum]” e

49
quindi deve essere costretto ad osservare le leggi della Chiesa alla quale oramai appartiene.
Invece, chi riceve il battesimo per forza, per violenza (senza nessuno consenso da parte sua),
“non riceve né la realtà né il carattere del sacramento [nec rem nec characterem suscipit
sacramenti]” (Dz 981).

In realtà, la dottrina sul carattere è più tradizionale che non la pensava Gaetano,
benché sia vero che non abbia giunto la sua maturità prima del Medioevo. Nella sacra
Scrittura, il tema del sigillo (sphragis) – marchio fatto dal fuoco – significa l’appartenenza a
qualcuno. Essere segnato dal sigillo di Dio significa appartenere a Dio, vale a dire essere
separato dal profano per essere totalmente dedicato ossia consacrato a Dio. L’immagine della
sphragis viene usata più volte da san Paolo (Ef 4, 30 ; 2 Co 1, 22...). Non è escluso che egli
intendesse far direttamente riferimento al battesimo attraverso il tema della sphargis: “In lui
anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza e avere in
esso creduto, avete ricevuto il suggello (sphragizein) dello Spirito Santo che era stato
promesso” (Ef 1, 13). Comunque, i Padri della Chiesa non esitano a parlare del battesimo
come di un “sigillo”. Per mezzo del sigillo dello Spirito, la santissima Trinità s’impadronisce
della persona del battezzato. Ma questo sigillo viene identificato ora al rito stesso, ora
all’effetto interiore prodotto dal rito.

Sant’Agostino ha litigato con i donatisti sulla validità o meno del battesimo conferito
dagli eretici. Egli sostiene la validità del battesimo dei eretici e pertanto difende la non
reiterabilità del battesimo. Non si può ripetere il battessimo sulla stessa persona. In quel
contesto, Agostino afferma che il rito battesimale, perché è prima di tutto l’opera di Cristo
anziché del ministro, ha un effetto permanente. Il rito passa, ma produce nel battezzato una
consacrazione irreversibile. Questo vale anche per il battezzato eretico, benché costui non
riceva la grazia del battesimo. Per significare questo effetto obiettivo e permanente del rito
battesimale, presente anche nel cristiano dissidente e nel peccatore, sant’Agostino usa diverse
espressioni, tra cui la più frequente è sacramentum. Ma egli usa anche sanctitas, consecratio...
Agostino paragona questa consacrazione obiettiva a Cristo attuata dal battesimo all’impronta
visibile ed indelebile ossia carattere [character] di cui erano segnati i soldati. Questo carattere
attestava la loro appartenenza irrevocabile al servizio dell’imperatore.

“Considerino la similitudine del distintivo [nota] militare : fuori del servizio militare lo
possono portare e ricevere anche i disertori, e tuttavia, fuori del servizio, non si deve né

50
portare e né ricevere ; ma quando il disertore viene condotto o ricondotto all’esercito,
esso non va né cambiato, né rinnovato” (AGOSTINO, Trattato sul Battesimo, I, 4, 5).

L’immagine viene applicata al battesimo e a Cristo :

“Anche una pecora che errava fuori della Chiesa, e che, fuori di essa, aveva ricevuto dai
suoi predatori il carattere del Signore [dominicum character], venendo alla salvezza
dell’unità cristiana, era corretta dall’errore, liberata dalla prigionia e guarita dalla ferita ;
e tuttavia in essa il carattere del Signore era riconosciuto, anziché disapprovato. Questo
carattere, infatti, lo imprimono molti lupi ai lupi” (Ibid., VI, 1, 1).

Ma, che cos’è, concretamente, ontologicamente, questo carattere secondo


sant’Agostino ? Secondo alcuni, Agostino pensava ad un’impronta o segno spirituale
stampata nell’anima. Ma bisogna essere prudenti e non progettare sui testi agostiniani
l’interpretazione che si imporrà più tardi. In effetti, secondo altri, il carattere non è altro per
Agostino che il sacramento stesso. Non certo le parole pronunciate come tali (voces), perché
esse sono senz’altro passate, ma la parola (verbum) di cui queste voci erano soltanto il
supporto e il veicolo e di cui la virtù rimane dopo che siano svanite : “[Il carattere] è una
realtà visibile cioè il sacramento in quanto produce un effetto spirituale che non è la grazia
della salvezza ma la presenza permanente della virtù divina nel battezzato” (G. Bavaud).
Comunque sia, a poco a poco, l’idea difesa da Agostino trova una formulazione più
soddisfacente col tema del carattere come principio spirituale immanente prodotto nell’anima
dal rito battesimale.

La tradizione cristiana conosceva dunque una certa distinzione tra, da una parte,
l’effetto permanente ed irreversibile del battesimo e, d’altra parte, la grazia battesimale (la
giustificazione). Ma la relazione tra il rito battesimale e quest’effetto permanente del
battesimo non era del tutto chiara. Ora, più cresce la consapevolezza della natura transitoria
del rito battesimale – Pier Lombardo lo definisce come l’atto specifico e momentaneo
dell’abluzione –, più risulta necessario distinguere chiaramente, da una parte, il sacramento
esterno, cioè il rito liturgico momentaneo, e, d’altra parte, il sacramento interiore, stabile e
permanente.

La teologia scolastica introduce due precisioni capitali. Prima, essa riconosce la


dipendenza radicale di questo “sacramento interiore” rispetto al rito sacramentale. Difatti,
l’idea di sacramento interiore, a prima vista, potrebbe sembrare contraddittoria. Il sacramento

51
è un segno, per tanto bisogna che sia di qualche modo visibile. Occorre dunque che sia una
connessione infrangibile tra il rito celebrato e il carattere : dal momento che la persona viene
validamente sottoposta alla celebrazione del rito, siamo assolutamente sicuri che essa è
segnata dal carattere, così come se lo vedessimo. Poi, la scolastica precisa quale è lo statuto
ontologico del sacramento interiore, vale a dire : a che tipo di realtà appartiene il carattere.

La dottrina del carattere è stata dogmatizzata dal concilio di Firenze nel Decreto per
gli armeni (1439) :

“Tra questi sacramenti, ve ne sono tre : battesimo, confermazione e ordine, che


imprimono nell'anima un carattere indelebile, ossia un segno spirituale che distingue
dagli altri, per cui non possono essere reiterati nella stessa persona” (Dz 1313).

2.2. Il carattere come consacrazione cultuale

La teologia tommasiana del carattere è intrinsecamente legata al suo approccio maturo


dei sacramenti come atti del culto della religione cristiana.

2.1. La dimensione cultuale dei sacramenti

San Tommaso non ha raggiunto subito questa visione. Però, nella maturità, egli ritiene
che i sacramenti cristiani abbiano uno doppio fine. Tutti, secondo l’insegnamento allora
prevalente, sono rimedi contro il peccato. Questa finalità “negativa” riguarda piuttosto gli
individui, benché incida sul piano ecclesiale. Ma tutti i sacramenti sono soprattutto ordinati al
culto di Dio. Anzi, la celebrazione dei sacramenti (l’usus sacramentorum) forma la parte
essenziale, il cuore per così dire, del culto cristiano.

Ora, tra i sacramenti, ce ne sono tre che contribuiscono in modo più diretto alla
costituzione e alla strutturazione della Chiesa come comunità dedicata in Cristo alla
celebrazione del culto di Dio. Si tratta del battesimo, della cresima e dell’ordine. Questi
sacramenti, difatti, dedicano tutti quanti li ricevono al culto di Dio “secondo il rito della
religione cristiana”.

2.2.2. Entrare nel popolo sacerdotale

Al centro ed alla cima di tutta la religione cristiana, spicca l’unica e definitiva Offerta
che Gesù Cristo, Sommo Sacerdote, ha fatto una volta per sempre al Padre della propria vita
sull’altare della Croce per la salvezza di tutti gli uomini e la gloria di Dio : “Cristo iniziò il

52
culto della religione cristiana proprio con la sua Passione, ‘offrendo sé stesso come oblazione
e sacrificio a Dio’, secondo l’espressione di san Paolo” (IIIa, q. 62, a. 5). Nella Passione, il
culto interiore (la “devozione” informata dalla carità...) e il culto esterno (l’immolazione
sacrificale della vittima...) sono strettamente uniti. Quest’unica Offerta ricapitola e contiene in
sé tutte le offerte che salgono dall’umanità verso Dio (mediazione ascendente) ed essa è la
fonte di tutte le grazie di santificazione che scendono dalla Trinità verso l'umanità
(mediazione discendente). Per tanto, essa è l’atto sacerdotale per eccellenza di Cristo quale
Sommo Sacerdote della nuova alleanza.

La Chiesa, in quanto Corpo di Cristo, vale a dire Corpo del Sommo Sacerdote, è
dunque, per essenza, un “popolo sacerdotale”, una comunità cultuale che prolunga per modo
di partecipazione l’azione sacerdotale di Gesù Cristo. Di conseguenza, il battesimo, giacché
integri la persona nella Chiesa come comunità cultuale, prende la forma di una consacrazione,
vale a dire di una messa a parte in vista del culto. San Tommaso parla della “deputazione”
cultuale del battezzato, espressione che verrà ripresa dalla Lumen gentium c. 2, § 11 :

“Il carattere sacro e organico della comunità sacerdotale viene attuato per mezzo dei
sacramenti e delle virtù. I fedeli, incorporati nella Chiesa col battesimo, sono destinati al
culto della religione cristiana dal carattere sacramentale.”

Come nella Legge antica, il rito della circoncisione, integrando nel popolo ebreo,
integrava contemporaneamente nella comunità cultuale dell’alleanza (con diritti e doveri
rituali e liturgici), così, nella Legge nuova, il battesimo integra il battezzato nella comunità
sacerdotale della Chiesa. Il battesimo attrezza il battezzato affinché possa prendere parte alla
celebrazione integrale del culto cristiano. Però, c’è una differenza capitale tra la circoncisione
e il battesimo che ci invita a evidenziare la specificità del carattere battesimale rispetto alle
consacrazioni puramente esterne e rituali.

2.2.3. Una partecipazione al sacerdozio di Gesù Cristo

Il culto della Legge antica non era efficace per produrre la grazia di per sé (ex opero
operato). Il suo valore dipendeva dalle disposizioni interiori dei partecipanti al culto. Nella
misura in cui, ad esempio, l’offerta di un sacrificio esprimeva la vitalità della propria fede in
Dio o della propria devozione degli offerenti, la grazia divina veniva data in occasione del
sacrificio. Ma il sacrificio non era per l’appunto la causa efficiente della grazia. In
conseguenza, per partecipare a questo culto bastava una consacrazione puramente rituale,

53
esterna, simbolica, come la circoncisione carnale. Ora, le cose sono del tutto diverse nel culto
cristiano della Legge nuova. Certo, nella liturgia cristiana, ci sono anche delle consacrazioni o
delle deputazioni cultuali meramente rituali (il chierichetto che indossa la talare rossa non
cambia ontologicamente !). Però, gli atti cultuali essenziali, cioè i sacramenti, non sono “ad
altezza d’uomo”. Essi non sono degli atti religiosi che l’uomo potrebbe porre in virtù delle
proprie risorse e delle capacità naturali. In effetti, sono gli atti stessi di Gesù Cristo, i quali
ricevono da Cristo stesso la loro capacità di produrre la grazia. Pertanto, occorre che tutti
quanti partecipano al culto cristiano – da ministri oppure da beneficiari – siano proporzionati
a ciò che viene celebrato, vale a dire siano posti sulla “giusta lunghezza d’onde”. Occorre che
siano “all’altezza” di ciò che succede nella celebrazione. Occorre che siano interiormente
proporzionati a ciò che succede realmente nel culto cristiano la cui efficienza è d’ordine
soprannaturale. Perciò, devono essere di qualche modo realmente configurati al Sommo
Sacerdote, Gesù Cristo, il quale è l’Attore principale della liturgia (la liturgia è l’azione di
Cristo presente e non l’azione degli uomini che si ricordano di Cristo passato).

“Giustamente la liturgia è considerata come l’esercizio della funzione sacerdotale di


Gesù Cristo. In essa, la santificazione dell’uomo è significata per mezzo di segni
sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico
integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue
membra” (Costituzione Sacrosanctum concilium, n° 7).

Questa configurazione a Cristo viene realizzata per mezzo dei caratteri sacramentali. Per
tanto, san Tommaso d’Aquino – su questo punto assai originale – definisce i caratteri
sacramentali come delle partecipazioni al sacerdozio di Gesù Cristo :

“Il carattere sacramentale è una partecipazione del sacerdozio di Cristo concessa ai suoi
fedeli : infatti come Cristo ha la piena potestà del sacerdozio spirituale, così i suoi fedeli
si configurano a lui, nel partecipare in qualche misura i poteri spirituali relativi ai
sacramenti e alle altre funzioni del culto divino. Per questo a Cristo non si attribuisce il
carattere, ma i poteri del suo sacerdozio stanno al carattere come un tutto perfetto sta
alla sua partecipazione” (Sum. theol., IIIa, q. 63, a. 5)

O ancora :

54
“Il carattere sacramentale è specificamente carattere di Cristo, del cui sacerdozio i fedeli
vengono resi partecipi in forza di questi caratteri sacramentali, i quali altro non sono che
partecipazioni del sacerdozio di Cristo derivanti da Cristo medesimo” (ibid., a. 3).

Quindi, ciascuno dei tre sacramenti “con carattere” – battesimo, cresima e ordine –
consacra quanti lo ricevono al culto cristiano conferendo loro la capacità di partecipare al
sacerdozio di Cristo. Però, il motivo per cui ci sono tre caratteri distinti è che questa
partecipazione all'unico sacerdozio di Cristo è diversificata. Difatti, ciascuno dei sacramenti
“con carattere” conferisce a che lo riceve un ruolo specifico nell’esercizio del culto
sacramentale cristiano. Ma, prima, di specificare il ruolo del carattere battesimale in quanto
tale, bisogna indagare di più la natura ontologica del carattere.

2.2.4. Lo statuto ontologico del carattere

San Tommaso condivide con gli altri dottori medievali la convinzione che il carattere
sacramentale sia “qualcosa di reale”, vale a dire una realtà positiva inerente nell’anima. Il
carattere è un principio ontologico spirituale immanente. Più precisamente, esso è un
accidente (il quale si aggiunge alla sostanza). Tra i (nove) diversi tipi di accidenti individuati
da Aristotele, il carattere entra nella categoria della qualità. Però, quando si tratta di
determinare nella quale delle tre “classiche” specie di qualità il carattere prende posto, i pareri
divergono. Alcuni, come sant’Alberto e san Bonaventura, pensavano che il carattere
appartenesse alla specie delle “disposizioni” o degli “habitus”. San Tommaso non è
d’accordo. In effetti, l’habitus porta chi lo possiede ad agire sempre nella medesima direzione,
o nella direzione del bene (l’habitus è allora una virtù) o nella direzione del male (un vizio),
mentre il carattere sacramentale è “neutro” : è possibile usarlo per il bene o per il male.

Il carattere è dunque piuttosto una “potenza” (potentia) spirituale. Difatti, esso è il


principio o la fonte di un determinato tipo di azione spirituale, vale a dire esso è la realtà
prossima da cui promana quest’azione. Questa potenza spirituale è una potenza strumentale
perché nell’azione di cui il soggetto è reso capace per mezzo del carattere, il soggetto ha
soltanto un ruolo di strumento. Egli non è la causa principale dell’effetto prodotto. Il
sacerdote, ad esempio, non è la causa principale della consacrazione eucaristica. Quindi, il
carattere è proprio ciò che rende un soggetto in grado di fare da strumento alla causa
principale in vista di un determinato tipo d’azione. Facciamo un paragone. Il carattere e
paragonabile al manico della tazza che ci permette di afferrare la tazza per bere senza
bruciarsi le mani: senza il manico, la tazza non può fare da strumento per l’azione di bere.

55
Mutatis mutandis, il carattere è un “potere permanente di mettersi a disposizione dell’azione
efficace dell’umanità di Cristo nei sacramenti” (J.-P. Revel). Chi è segnato dal carattere è uno
strumento proporzionato per l’azione sacramentale compiuta da Cristo nella Chiesa.

Vale la pena notare che il carattere, benché sia una realtà ontologica, è tutt’ordinato
all’azione cultuale. Anzi, san Tommaso insiste sul fatto che il carattere non risiede
nell’essenza stessa dell’anima (a differenza della grazia santificante) ma in una facoltà
dell’anima, vale a dire in un principio operativo (nell’occorrenza l'intelletto pratico). Di
conseguenza, la configurazione risultante dal carattere non è entitativa ma operativa. In questa
prospettiva, i tomisti solitamente respingono l’idea, pure carissima alla “scuola francese di
spiritualità”, secondo cui il carattere sacerdotale conferirebbe al sacerdote una partecipazione
all’essere stesso di Cristo, Sommo Sacerdote, in tal modo che il prete cristiano sarebbe in
qualche modo assunto nell’ordine dell’unione ipostatica. Certo, al solito, l’agire segue
l’essere. Ma, qui, nella celebrazione dei sacramenti, il ministro è soltanto sopraelevato
strumentalmente nell'ordine dell’agire. Il prete, per mezzo del carattere, partecipa da
un’azione, la quale non deriva dal proprio essere ma dall'essere dell’Agente principale, cioè di
Cristo. Facciamo un paragone. Nello specchio, esiste un’attitudine reale a riflettere la luce del
sole, che non si trova nel pezzo di stoffa nera. Però, questa attitudine non fa che lo specchio
sia in sé stesso fonte di luce (in quel caso, tutte le sue azioni produrrebbero luce). Nel buio, lo
specchio serve a tante altre cose : picchiare mio nemico, fare da coperchio al bicchiere… Di
conseguenza, se vogliamo parlare in modo formale, il paroccho Don Luigi usa il carattere
ricevuto nell’ordinazione e rimanente in lui in modo permanente solo quando esercita le
funzioni cultuali che richiedono tale carattere. Quindi, il carattere non entra in tutte et
ciascuna delle sue azioni : preparare la pasta nella canonica non è di per sé un'opera
sacerdotale, anche se la prepara per l’oratorio. Questa tematica è stata al centro delle
discussione intorno ai “preti operai” nei anni 50. Ciò detto, è chiaro che il prete può, anzi
deve, dare consapevolmente un orientamento ossia una modalità sacerdotale a tutta la sua vita.

2.3. La consacrazione battesimale

2.3.1. Il sacerdozio reale dei battezzati

I battezzati, in virtù del loro sacerdozio reale ossia sacerdozio comune, partecipano al
sacerdozio di Gesù Cristo di due modi (subordinati). Innanzitutto, ogni battezzato, incorporato
nel popolo sacerdotale dell'alleanza, esercita una forma di sacerdozio quando trasforma tutta
la sua vita in “un sacrificio vivente, santo e gradito a Dio” (Ro 12, 1), cioè quando conduce

56
un’esistenza santificata dall’esercizio delle virtù teologali e morali. Questo sacerdozio
(talvolta chiamato : sacerdozio della vita santa) è il frutto della grazia santificante. Di norma,
esso è l’effetto del battesimo e degli altri sacramenti che conferiscono la grazia di Cristo.
Tuttavia, in alcuni casi straordinari, la grazia dello Spirito santo può essere data fuori della
recezione effettiva dei sacramenti. Chi riceve la grazia in quel modo (ad esempio, un giusto
appartenente di fatto a una religione non cristiana, ma appartenente in realtà alla Chiesa) non
ha il carattere sacramentale eppure può esercitare con qualche frutto questo sacerdozio della
vita santa.

Ma c’è un altro modo in cui i battezzati (e questa volta soltanto i battezzati), unti quali
preti, profeti e re, partecipano in modo speciale al sacerdozio e al sacrificio di Gesù Cristo :
quando partecipano alla liturgia ossia al culto ecclesiale, sociale, pubblico, il quale, in regime
cristiano, è tutto incentrato sulla celebrazione dei sacramenti e soprattutto della santissima
Messa. Ora, per poter partecipare al culto ecclesiale, ci vuole il carattere in senso preciso.

2.3.2. La partecipazione sacramentale dei battezzati al sacerdozio di Gesù Cristo

“Il culto divino consiste, sia nel ricevere i beni divini, sia nel comunicarli agli altri. Ora,
per l’uno e per l’altro compito si richiede una facoltà, un potere : infatti per comunicare
qualche cosa ad altri occorre una potenza attiva, per ricevere occorre una potenza
passiva” (Sum. theol., IIIa, q. 63, a. 2).

Come già spiegato, quando il culto consiste in azioni formalmente soprannaturali, al di


là delle capacità naturali dei partecipanti, come succede nel culto cristiano sacramentale,
occorre che la persona che partecipa al culto possieda un potere attivo o un potere passivo che
siano anch’essi soprannaturali e strumentali.

La differenza tra il carattere del battesimo e quello dell’ordine è quella : il carattere


dell'ordine rende la persona atta a porre, come ministro e strumento, alcune azioni cultuali di
natura sacramentale, mentre il carattere battesimale rende capace di ricevere gli effetti degli
atti cultuali sacramentali. Il carattere battesimale dispone la persona a ricevere i sacramenti
per quello che sono in realtà : dei vettori della grazia di Cristo. In particolare, la consacrazione
battesimale conferisce la capacità reale di ricevere gli altri sacramenti. Essa mette il battezzato
nello stato ontologico in cui l’efficienza dei sacramenti cristiani possa dispiegarsi in lui, cosa
che non succede per il non battezzato. Facciamo un paragone estivale : nella persona ricoperta
di crema solare di buona qualità (=il carattere), il sole può produrre un’affascinante

57
abbronzatura, mentre nella persona che non è unta, il sole non produce niente se non dolorose
e poco estetiche bruciature.

“Ai ministri dei sacramenti è riservato il sacramento dell’ordine, perché con questo gli
uomini ricevono l’ufficio di comunicare i sacramenti agli altri. A coloro poi che son
deputati a riceverli spetta il battesimo, perché con esso l’uomo acquista la facoltà di
ricevere gli altri sacramenti della Chiesa : il battesimo infatti è chiamato ‘la porta di tutti
i sacramenti’”(Sum. theol., IIIa, q. 63, a. 6).

È sottostante, per san Tommaso, l’idea della necessaria proporzione tra l’azione e la
passione. Il potere attivo e quello passivo devono appartenere allo stesso ordine e trovarsi
sullo stesso livello. Di conseguenza, per essere in grado di ricevere l’efficienza soprannaturale
dei sacramenti, bisogna che la persona abbia un potere passivo che sia di natura
soprannaturale. Così, un non battezzato che andrebbe a confessarsi o a comunicarsi non riceve
nessuna grazia sacramentale. Certo, se lo fa in buona fede, Dio nella sua misericordia è libero
di dargli, in occasione di questo passo, una grazia non sacramentale (come a uno che si
confessa a un tizio che crede di essere prete e non lo è).

Alcuni si stupiscono, anzi si scandalizzano, della posizione tomista che ritiene il


carattere battesimale un potere soltanto passivo. Sembra che i battezzati laici siano ridotti allo
stato di puri consumatori, sottomessi al potere attivo dei preti ! Ma bisogna osservare due
cose. Prima, la passività (che consiste nel ricevere i sacramenti) comporta una genuina attività
sotto la grazia (volgersi ai sacramenti, mettersi nelle condizioni giuste per ricevere i
sacramenti…). Inoltre, sul piano del sacerdozio liturgico, i battezzati sono resi idonei, in virtù
del loro carattere, ad associarsi ad alcune azioni sacramentali, cominciando dall’offerta
liturgica del sacrificio della santissima Messa : i fedeli offrono a Dio il santo Sacrificio in
unione col prete (pro quibus tibi offerimus vel qui tibi offerunt hoc sacrificum…). Poi, non si
deve dimenticare che il “sacerdozio liturgico” è ordinato alla santità della vita, vale a dire al
sacerdozio della vita, il quale si manifesta nell’attività delle virtù teologali. Forse, si potrebbe
distinguere tra il carattere in senso formale (il quale, per san Tommaso, è un potere passivo
rispetto al culto sacramentale) e il carattere in senso ampio della “consacrazione battesimale”,
operata dal carattere in senso formale ma attuata dalla grazia santificante.

2.3.3. Una consacrazione irrevocabile

58
Dal punto di vista storico, è la pratica tradizionale di non reiterare il battesimo che ha
portato alla scoperta del carattere sacramentale, cioè alla riconoscenza dell’esistenza di un
effetto permanente del rito battesimale. Il battesimo è un’azione di Cristo stesso, che non può
mai essere cancellata dall’uomo. Per tanto, la consacrazione battesimale è irrevocabile. I
teologi scolastici hanno espresso questa verità affermando che il carattere esiste nell’anima in
modo senz’altro indelebile.

Ma qualcuno potrebbe obiettare : se faccio un uso cattivo della mia libertà, posso
perdere la grazia. Ora, la grazia vale molto di più del carattere giacché il carattere viene
ordinato alla grazia. Allora, come si fa che io non perda anche il carattere quando mi scosto da
Dio? San Tommaso risponde che il carattere e la grazia non hanno lo stesso tipo d’esistenza
nell’anima. La grazia esiste nell’anima come una forma la esistenza dipende dall’anima,
benché non sia prodotta dall’anima. In effetti, tutto ciò che è ricevuto in un soggetto viene
ricevuto secondo il modo d’essere del soggetto, vale a dire che contrae le condizioni del
soggetto in cui inerisce (quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur). Ora, l’anima
umana a causa del libero arbitrio della volontà è naturalmente sottomessa al cambiamento. Di
conseguenza, la presenza della grazia nell’anima è soggetta a variazione a causa della
variabilità ossia mutabilità del libero arbitrio umano. Invece, il carattere è una virtù
strumentale, cioè una realtà tutta riferita all’agente principale, cioè Cristo, Sommo Sacerdote.
Le sue proprietà dipendono dall’agente principale. Ora, il sacerdozio di Cristo è immutabile.
Il carattere, quale partecipazione a questo sacerdozio di Cristo, è anche lui immutabile. Il
carattere rimane in noi il segno della fedeltà di Cristo, come una radice sempre pronta a far
rifiorire la grazia.

“Grazia e carattere risiedono nell'anima in maniera diversa. Infatti, la grazia è


nell’anima come una forma dotata di intrinseca completezza ; il carattere invece vi
risiede, e l'abbiamo già detto, come una virtù strumentale. Ora, una forma completa
risiede nel suo soggetto partecipandone le condizioni. E poiché l’anima, fin tanto che si
trova nello stato di via è mutevole nel suo libero arbitrio, ne segue che la grazia si trovi
nell'anima in modo mutevole. Al contrario la virtù strumentale segue le condizioni
dell'agente principale. E quindi il carattere rimane nell'anima indelebilmente, non per la
sua perfezione, ma per la perfezione del sacerdozio di Cristo, da cui deriva come una
virtù strumentale” (Sum. theol., IIIa, q. 63, a. 5, ad 1)

59
Però, la permanenza della consacrazione battesimale ossia del carattere nell’anima è
soltanto una delle quattro ragioni che, secondo san Tommaso (IIIa, q. 66, a. 9), giustificano la
non reiterabilità del battesimo. Ecco le tre altre. Le due prime si prendono dal simbolismo del
battesimo :

* Il battesimo è nascita a vita spirituale. Ora, si nasce soltanto una volta. Nello stesso modo,
non si battezza che una volta.

* Il battesimo è partecipazione alla morte di Cristo. Ora, Cristo è morto una volta per sempre.
Parimenti, il battesimo viene conferito una sola volta.

* Il battesimo mira prima di tutto a cancellare il peccato originale. Ora, una volta cancellato il
peccato originale non può tornare. Il perdono dei peccati commessi dopo il battesimo riguarda
un altro sacramento, in fattispecie la penitenza.

60
Capitolo 3 : Il rito battesimale ossia l’essenza del battesimo

Tra il rito battesimale e gli effetti del battesimo c’è una relazione di segno a
significato. Chi contempla il rito (vale a dire la celebrazione liturgica) viene portato a
percepire quali sono gli effetti del battesimo (prospettiva mistagogica) e, in senso inverso, chi
riflette sugli effetti del battesimo – come abbiamo fatto negli ultimi capitoli – viene reso
capace di capire meglio la natura e il significato del rito. Alla luce della nostra riflessione
sugli effetti del battesimo, possiamo ora precisare teologicamente quale è l’essenza del
sacramento del battesimo, il sacramentum tantum, ciò che nel battesimo è soltanto segno, vale
a dire il rito battesimale.

“Il sacramentum tantum, è l'elemento visibile ed esterno, segno dell'effetto interiore :


ciò infatti costituisce la nozione (ratio) di sacramento” (Sum. theol., IIIa, q. 66, a. 1)

Che cosa, dunque, costituisce il sacramento del battesimo ? Non spetta al teologo
inventare o modificare questo rito sacramentale a secondo delle sue speculazioni ! La liturgia
non è l’applicazione di concetti teologici. Il teologo riceve il rito sacramentale dalla
Tradizione della Chiesa e, in ultima analisi, da Cristo stesso che lo ha istituito. Partendo da
questo dato fondamentale, la riflessione del teologo può prendere due direzioni. Prima, egli
cerca di individuare con precisione quale è l’essenza stessa del rito battesimale. Difatti, nella
celebrazione liturgica del battesimo, non tutti i riti hanno la medesima importanza. Del resto,
c’è una grande diversità, storica e culturale, nella celebrazione del battesimo. Occorre dunque
individuare quali sono gli elementi essenziali del rito e quali sono gli elementi accidentali.
Attenti, questo non significa che gli elementi “accidentali”, la cui eventuale assenza non
compromette la validità della celebrazione, potrebbero essere trascurati a seconda del buon
piacere e degli umori del celebrante ! Poi, il teologo cerca di manifestare le convenienze del
rito, vale a dire di mostrare quanto il rito è ben adattato al suo fine. Così, egli evidenzia la
saggia pedagogia di Dio e della Chiesa Madre che ci istruiscono per mezzo dei riti.

Qui, bisogna prendere atto dei limiti della teologia sacramentaria medievale. San
Tommaso e i coetanei avevano una conoscenza positiva della storia delle liturgie battesimali
molto più ridotta della nostra. Per tanto, le base della loro riflessione sul sacramentum tantum
del battesimo erano molto strette. Chi intende oggi proporre una teologia aggiornata del rito
del battesimo non può attenersi alle riflessioni di san Tommaso che stiamo per presentare in
una prospettiva prevalentemente storica. Ciò non significa affatto che la teologia tommasiana
del rito battesimale sia falsa ma solo che bisogna allargarla e completarla.

61
In san Tommaso, il rito sacramentale viene pensato nel quadro della dottrina
dell’ilemorfismo sacramentale. Tutti i sacramenti sono composti di materia e di forma, in
fattispecie di gesti (materia) e di parole (forma). I sacramenti cristiani sono delle realtà
sensibili (res sensibiles) che significano e causano delle realtà spirituali. Ma, per poter
significare in modo preciso una grazia determinata, le realtà sensibili, il cui simbolismo è
polivalente, devono essere determinate per mezzo delle parole. Così come in fisica la materia
viene determinata dalla forma (la materia in sé stessa è indeterminata ; essa può diventare
tutto), nei sacramenti i gesti vengono determinati dalle parole. Per tanto, si può dire che le
realtà sensibili sono la materia del sacramento e le parole la sua forma. Il battesimo vien
dunque definito, secondo una formula tratta da san Paolo, come “il lavacro d’acqua che la
parola accompagna” (Ef 5, 26). Pertanto, studieremo prima la materia del battesimo – “il
lavacro dell’acqua” –, poi la forma – la parola che l’accompagna. Infine, diremo due parole
sui riti annessi del battesimo.

3.1. “Il lavacro d’acqua...”

La parola “materia” può essere equivoca in teologia sacramentaria. In effetti, la


materia del sacramento non è tanto l’elemento fisico usato in alcuni riti (l’acqua, l’olio...)
quanto il gesto o l’azione sensibile in cui viene usato quel elemento fisico. Per evitare questa
confusione, si dice che l’azione rituale (l’abluzione, nel caso del battesimo) è la materia
prossima del sacramento, mentre l’elemento fisico (l’acqua, nel caso del battesimo) ne è la
materia remota .

3.1.1. Un’abluzione

3.1.1.1. Definizioni del rito battesimale

San Tommaso trova nella tradizione teologica diverse definizioni del battesimo. Egli
le esamina nel a. 1 della q. 66. Come di consueto, egli non ne respinge nulla ma cerca a
giustificarle tutte in qualche modo in funzione della propria definizione.

3.1.1.1.1. Definizioni per mezzo degli effetti

San Tommaso relativizza le definizioni che si prendono dagli effetti del rito
battesimale (il carattere e la giustificazione). Per esempio, quella di san Giovanni di
Damasco : « Il battesimo è rigenerazione e suggello e tutela e illuminazione » (arg. 1 ; La

62
Fede ortodossa, c. 94). Ma, secondo Tommaso, la definizione del sacramento in quanto tale
deve portare sulla realtà sensibile stessa, sul segno, e non sul significato.

3.1.1.1.2. Definizione per mezzo dell'elemento materiale : Ugo di San Vittore

Ora, san Tommaso incontra una tradizione teologica in cui il battesimo è definito
dall’elemento materiale, vale a dire l’acqua. Ugo di San Vittore, il principale rappresentante
di questa tradizione, è probabilmente il primo autore del Medioevo che abbia proposto, nel
suo De sacramentis (circa 1130-1140), una sintesi teologica sui sacramenti in generale. In
essa, egli propone la definizione seguente dei sacramenti :

“Il sacramento è un elemento corporeo o materiale proposto in maniera esterna e


sensibile : esso (a) rappresenta per la sua somiglianza, (b) significa perché a tal fine è
istituito, (c) contiene perché capace di santificare una qualche grazia invisibile e
spirituale (sacramentum est corporale vel materiale elementum, foris sensibiliter
propositum ex similitudine representans, et exstinctione significans [nell’edizione
critica di Berndt, c’è ‘exstinctione’ al posto di ‘ex institutione’], et ex sanctificatione
continens aliquam invisibilem et spiritalem gratiam).”

Coerente con questa dottrina del sacramento in generale, Ugo propone questa
definizione del battesimo : “Il battesimo è l’acqua santificata dalla parola di Dio per lavare i
peccati” (arg. 2). Ugo evidenzia l'importanza della parola : “Difatti, l'acqua sola può essere un
elemento ma non può essere un sacramento finché la parola non sopraggiunga sull’elemento e
che ci sia un sacramento”. È facile riconoscere la famosa formula di sant’Agostino : “Accedit
verbum ad elementum et fit sacramentum (Si unisce la parola all’elemento, e nasce il
sacramento)” (citato nel CCC n° 1228). La parola, vale a dire la formula trinitaria, santifica
l’acqua e conferisce a quel elemento un potere santificante (virtus). Oramai, l’acqua
“contiene” la grazia sacramentale.

San Tommaso respinge questa definizione del battesimo (e, più largamente, la
definizione del sacramento per mezzo dell’elemento materiale). Egli fa notare che la finalità
del sacramento cristiano è di procurare la santificazione. Il sacramento è dunque là dove si
attua la santificazione. Ora, il soggetto che riceve la grazia della santificazione non è
l’elemento materiale, cioè l’acqua, ma la persona battezzata. Il sacramento non consiste nella
santificazione dell’acqua ma nell’applicazione dell’acqua alla persona. Ora, questa

63
applicazione non è altro che l’abluzione, la quale è un atto del tutto momentaneo e tutt’intero
riferito al soggetto che viene bagnato. Il sacramento è dunque l’abluzione.

Quanto all'acqua stessa, essa è solamente investita in maniera temporanea, ossia


traversata, nell’atto stesso dell’abluzione rituale, da una virtù strumentale che viene da Dio e
per mezzo della quale Dio santifica l'uomo. Questa virtù strumentale presente nell’acqua
possiede un tipo d’essere debolissimo, quello della mozione transiente.

“È necessario ammettere nel sacramento una virtù strumentale per produrne l'effetto. E
questa è una virtù proporzionata allo strumento. Essa cioè sta alla virtù assoluta e
perfetta da cui dipende come lo strumento sta all'agente principale. Lo strumento infatti
[...] non opera se non in quanto è mosso dall'agente principale, il quale opera per virtù
propria, cosicché la virtù dell'agente principale ha una esistenza permanente e completa
; invece la virtù strumentale ha un'esistenza incompleta che passa da un soggetto a un
altro, somigliando al moto il quale è un atto imperfetto che passa dall'agente al
paziente” (Sum. theol., IIIa, q. 62, a. 4).

Perciò, a differenza dell’eucarestia, il battesimo non è un sacramento permanente.


L’acqua battesimale, consacrata dalla benedizione, non contiene la grazia a prescindere
dall'uso attuale che ne viene fatto nell’abluzione. Certo, la Prefazione liturgica della
benedizione dell’acqua prende la forma di una epiclesi in cui viene chiesta a Dio la discesa
dello Spirito santo nelle acque. Ma ciò non significa che ci sarebbe una “presenza reale” e
stabile dello Spirito santo nell’acqua battesimale. Del resto, la benedizione ossia
consacrazione dell'acqua non è di nessuno modo il sacramento stesso del battesimo ma
precede il sacramento.

3.1.1.1.3. La definizione di san Tommaso

San Tommaso fa sua la definizione, già classica, di Pier Lombardo (Sententiae, IV, d.
III, c. 1), il quale definisce il battesimo a seconda della stessa azione battesimale: “Il battesimo
è l’esterna abluzione del corpo, fatta con la formula verbale prescritta (Baptismus dicitur
tinctio, id est ablutio corporis exterior facta sub forma verborum praescripta) ».

3.1.1.2. Le modalità dell'abluzione battesimale (IIIa, q. 66, a. 7-8)

3.1.1.2.1. Immersione e infusione da san Tommaso

64
Nella pratica odierna della Chiesa cattolica latina, l’abluzione battesimale può
prendere due forme : l’immersione (totale oppure parziale) e l’infusione (=versare l’acqua sul
capo ; infondere = versare sopra). All’infusione viene assimilato il battesimo per aspersione,
come successe nel battesimo delle moltitudini sassoni da (san ?) Carlo Magno.

Nell’a. 7, in cui si chiede se l’immersione sia “de necessitate baptismi”, vale a dire se
sia necessaria per la validità del battesimo, san Tommaso concede che il battesimo per
immersione è la pratica più corrente (communior) e più raccomandabile (laudabilior [ad 2])
cosicché sia più sicuro (tutius) battezzare per immersione. Però, la sua intenzione è di
legittimare le altre pratiche, vale a dire l’infusione e l’aspersione. Per ciò, egli prende le
mosse dal fatto che il rito battesimale è una abluzione. Pertanto, ogni uso dell’acqua che possa
interpretarsi come un “lavare” è conveniente per il battesimo. Ora, tanto l’infusione quanto
l’aspersione sono delle abluzioni, dei “lavaggi”, non meno che l’immersione. In caso di
necessità, è dunque possibile ricorrere all’infusione oppure all’aspersione. Ad esempio,
quando le persone da battezzare sono troppe numerose (san Tommaso si rifà ai battesimi di
massa della Pentecoste [At 2, 41], tremila persone !), oppure quando c’è poca acqua, oppure
ancora per motivi di salute... Ciò detto, benché il simbolismo dell’abluzione sia presente
nell’infusione come nell’immersione, l’altro simbolismo battesimale, vale a dire l’essere
sepolto con Cristo, anche se non manca totalmente nell'infusione, è molto più esplicito
nell’immersione.

Nel battesimo per infusione, san Tommaso stima che l’acqua debba essere versata sul
capo in quanto questa parte del corpo contiene e “ricapitola” in qualche modo la totalità del
corpo. Tuttavia, egli ammette [q. 68, a. 11, ad 4], nel caso del bambino la cui nascita si
presenta malamente, che l’abluzione sia fatta sulla parte del corpo già uscita dal seno materno.
In quel caso, tuttavia, se il bambino sopravvive, occorre battezzarlo sotto condizione [NB :
battezzare sotto condizione significa : quando non si sa se la persona è già stata validamente
battezzata, essa viene battezzata (non “rebattezzata !) con la formula condizionale : “Se non
sei battezzato, io ti battezzo…”].

3.1.1.2.2. Appunti storici sulle modalità dell'abluzione battesimale

Il modo in cui si battezzava nella Chiesa primitiva è stato oggetto di numerosi studi di
teologia positiva, non sempre concordanti. Tanto meno che i documenti archeologici e i
documenti letterari talvolta divergono. Il primo rituale conosciuto è quello della Didachè,

65
ossia Dottrina dei dodici Apostoli, opera di natura composita però appartenente all’epoca
apostolica. Il testo dà le indicazioni seguenti sul rito ordinario del lavacro battesimale :

“Riguardo al battesimo, battezzate così : avendo in precedenza esposto tutti questi


precetti [= l’insegnamento morale contenuto nella prima parte della Didachè],
battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo in acqua viva...” (c. 7).

L’uso dell'acqua viva ossia corrente proviene dalle pratiche ebraiche e sembra essere la forma
primitiva del battesimo cristiano. Però, accanto a questa forma normativa d’abluzione, il
rituale della Didachè menziona parecchi casi particolari :

“Se non hai acqua viva, battezza in altra acqua ; se non puoi nella fredda [forse a causa
della stagione], battezza nella calda. Se poi ti mancano entrambe [vale a dire : se non hai
a sufficienza né acqua viva né altra], versa sul capo tre volte l’acqua in nome del Padre,
del Figlio e dello Spirito Santo. E prima del battesimo digiunino il battezzante, il
battezzando e, se possono, alcuni altri. Prescriverai però che il battezzando digiuni sin
da uno o due giorni prima” (c. 7).

Il rituale del Didachè ci consegna due informazioni importanti. Prima, il battesimo per
infusione, sebbene non fosse la forma ordinaria, veniva già praticato nella Chiesa primitiva.
Sembra che non fosse un rito riservato ai soli “clinici”, vale a dire ai malati, a quanti sono
allettati. Poi, il testo ci indica che l’infusione (e dunque molto probabilmente l’immersione) si
fa secondo il ritmo ternario.

Volgiamoci ora al rituale battesimale della Tradizione apostolica di sant’Ippolito di


Roma (circa 215) :

* “Al canto del gallo, i candidati si accosteranno alle acque, che debbono essere correnti e
pure.”

* I candidati si spogliano : essi sono nudi, almeno parzialmente. Non devono conservare
niente della loro vita passata. “Le donne avranno slegato i propri capelli e deposto i loro
ornamenti d’oro. Nessuno scenda nell’acqua con un oggetto estraneo sulla persona.”

* I candidati “scendono nell'acqua” (probabilmente un diacono scende con loro ?).

* Il battezzante mette la mano sul capo (forse, egli esercita pressione con la mano per
immergere il candidato) e interroga tre volte il candidato sulla fede trinitaria, poi lo battezza.

66
* “Dopo che sarà risalito, un presbitero gli darà l’unzione con l’olio santificato, dicendo : ‘Ti
ungo con l’olio santo, nel nome di Gesù Cristo’. Si asciugano, si rivestono, poi rientrano nella
chiesa.” Poi, entrato nella Chiesa, il neofita, il quale a già ricevuto un’unzione dal presbitero,
ne riceve un’altra, la “confermazione”, dalle mani del vescovo.

Concludiamo quel breve percorso : nella Chiesa antica, la forma normale dell’abluzione
battesimale è l’immersione. Però, quella non è necessariamente totale e può combinarsi con
l’infusione (come si vede nell’iconografia posteriore : il battezzato si tiene in piedi,
parzialmente immerso nell’acqua e il battezzante gli versa l’acqua sul capo). Esistono anche
delle forme secondarie del rito per i casi speciali (malati...). Ciò detto, a poco a poco la
generalizzazione della pratica del battesimo dei neonati ha, per motivi pratici, trascinato la
generalizzazione del battesimo per infusione.

3.1.1.2.3. Il rito ternario dell’abluzione

La primissima menzione del rito ternario dell’abluzione si trova nella Didachè, a


proposito del battesimo per infusione. La triplice immersione o infusione è originariamente
legata alla confessione della fede nella santissima Trinità. Più tardi, essa verrà anche riferita ai
tre “giorni” trascorsi da Cristo nel sepolcro. Nell’epoca patristica, troviamo dei partigiani
ta3.nto dell’unica immersione (Cipriano) quanto della triplice immersione (Agostino, Leone
Magno...). Sembra che, nel VI° secolo, i cattolici spagnoli praticassero l’unica immersione.
Nel testo citato da san Tommaso nel sed contra dell’a. 8 della q. 66 – dedicato alla questione
dell’eventuale “necessità” della triplice immersione – san Gregorio Magno, interrogato da
Leandro di Siviglia su questo punto, ammette la legittimità ecclesiale delle due forme. In
quest’articolo, san Tommaso segnala le variazioni della pratica ecclesiale su questo punto e
cerca di spiegarli a seconda delle circostanze storiche (ad esempio, quando la fede trinitaria
veniva minacciata, allora si raccomandava la trina immersione….). Però, la forma concreta
presa dall’abluzione non riguarda l’essenza stessa del sacramento in tal modo che l’assenza
della triplice immersione non compromette la validità.

3.1.2. L’acqua, materia remota del sacramento

L’abluzione è la materia prossima del battesimo, vale a dire il gesto battesimale.


L’acqua come elemento fisico ne è la materia remota d’istituzione divina (perché Cristo stesso
ha scelto questa materia remota). Nel articolo 3 della q. 66, san Tommaso propone quattro

67
motivi (argomenti di convenienza) che illuminano la scelta divina. Ognuno corrisponde a un
aspetto particolare del battesimo (natura, effetti, necessità...) .

La prima ragione di convenienza deriva dalla natura del battesimo come nuova nascita.
Ora, l’acqua ha a che vedere col mistero dell’origine e della nascita. La spiegazione proposta
da san Tommaso viene basata su una fisiologia oggi scaduta. Però, il legame tra acqua e
nascita è un bene comune dell’antropologia simbolica presente nelle diverse religioni. Del
resto, nel testo parallelo del Commento alle Sentenze, san Tommaso osservava che secondo la
Genesi tutta la vita fosse uscita dall’acqua.

Le diverse proprietà dell’acqua la rendono idonea per significare i diversi effetti del
battesimo. Non dimentichiamo che il rito con le sue diversi componenti (sacramentum
tantum) è il segno della realtà prodotta dal sacramento (res sacramenti). Ogni sacramento
causa significando, vale a dire istruendo. Il carattere liquido (humiditas) dell’acqua esprime il
“lavaggio” spirituale cioè la purificazione dei peccati. La sua freschezza (frigiditas)
simboleggia un altro effetto : la mitigazione del fomite della concupiscenza. La trasparenza
dell’acqua (diaphaneitas), cioè la sua attitudine a ricevere la luce, corrisponde a un altro
effetto del battesimo : l’illuminazione, cioè il dono della fede…

Un terzo tipo di convenienza deriva dalla capacità dell’acqua a simboleggiare la causa


del battesimo e della sua efficacia, vale a dire i misteri di Cristo e in fattispecie la sua
Passione. Cristo stesso ha paragonato la propria Passione ad un battesimo, vale a dire un
tuffarsi nella sofferenza (cf. Lc 12, 50). Inoltre, nell’antropologia simbolica, l’acqua è
ambivalente : significa tanto la nascita e la vita quanto la morte (diluvio) e la sepoltura.

Infine, san Tommaso propone un’ultima convenienza, alquanto prosaica. A causa della
necessità del battesimo, occorre una materia che sia abbondante e facile da procurarsi (non
costa niente, aggiunge san Tommaso nel Commento sulle Sentenze !). L'acqua è la materia
remota convenientissima per un sacramento che deve essere accessibile a tutti.

L'elenco delle convenienze fatto da san Tommaso non è affatto limitativo e spetta alla
catechesi battesimale sviluppare di più tutte le sfaccettature significative del rito.

Nell’articolo seguente (q. 66, a. 4), san Tommaso precisa che l’acqua da usare è l’aqua
simplex ossia l’acqua vera. In questo articolo, san Tommaso si preoccupa soprattutto di
determinare fino a che punto l’acqua rimane acqua. Problemi di chimica ! Ricordo soltanto
per vostra norma e regola governale che la Chiesa abbia dichiarato invalido il battesimo

68
amministrato con la saliva o con la birra [cerevisia]... Invece l’acqua mischiata di disinfettante
è stata autorizzata dallo Sant’Ufficio sotto Leone XIII per i battesimi in utero.

3.2. « ... accompagnato dalla parola »

Pier Lombardo definiva il battesimo come “l’esterna abluzione del corpo, fatta con la
formula verbale prescritta”. Queste “parole prescritte” sono la forma del sacramento.

3.2.1. Necessità della forma

3.2.1.1. In generale

In qualsiasi essere, la forma è il principio della determinazione essenziale così come


della perfezione ontologica. Per tanto, il sacramento essendo un segno, la forma del
sacramento è ciò che attua il suo significato, vale a dire lo precisa e lo determina. Ora, questo
è proprio la funzione del linguaggio. Occorre dunque che il gesto sensibile sia determinato
dalle parole che ne precisano il significato. In effetti, il gesto rimane “polivalente” e potrebbe
essere interpretato in diversi modi.

“Sant’Agostino osserva che ‘le parole hanno tra gli uomini il primato nell'ordine della
significazione’ ; perché esse si possono modellare in varie forme per significare i diversi
concetti della mente, e ci danno così la possibilità di esprimerli con maggiore
precisazione. Perciò per rendere perfetto il significato dei sacramenti, era necessario che
si determinasse con qualche parola il significato delle cose sensibili” (Sum. theol., IIIa,
q. 60, a. 6).

Il sacramento è quindi una parola incarnata nel gesto (“una parola visibile [visibile
verbum]”, diceva sant’Agostino) oppure un gesto parlato.

Bisogna aggiungere che le parole sacramentali sono parole concrete, “sensibili”, vale a
dire pronunciate. Non basta pensare al concetto espresso dalle parole perché si attui il
sacramento : bisogna pronunciarle. A proposito, appunto, del battesimo, nel nome della
Trinità, Tommaso spiega che non basta avere la retta fede nella Trinità, bisogna esprimerla
nella formula :

“Né si dica che nel nome di una Persona è sottintesa l’altra, come nel nome del Padre è
sottinteso il Figlio ; o che uno nominando una sola Persona possa avere la vera fede in
tutte e tre. Perché il sacramento, come richiede la materia sensibile, così richiede anche

69
la sua forma sensibile. Perciò non basta il concetto o la fede della Trinità per l'integrità
del sacramento, se la Trinità non viene espressa con parole sensibili” (IIIa, q. 66, a. 6).

3.2.1.2. Nel caso del battesimo

L'acqua è “multiuso”. Essa può essere usata per diversi scopi. La funzione delle parole
sacramentali del battesimo è di precisare, specificare, l’uso che intendiamo fare dell’acqua nel
rito :

“L'acqua infatti può esprimere ugualmente lavacro per la sua umidità e refrigerio per la
sua freschezza; ma quando si dice : ‘Io ti battezzò’, si fa capire che l'acqua viene usata
nel battesimo a indicare una purificazione (emundatio) spirituale” (Sum. theol., IIIa, q.
60, a. 6).

3.2.2. Le parole del battesimo (IIIa, q. 66, a. 5)

Quali sono le parole che devono accompagnare il gesto battesimale dell’abluzione per
determinarlo ? Per san Tommaso, la forma del battesimo è stata, nelle sue linee essenziali,
determinata dallo stesso Signore Gesù Cristo quando, nel mandare i discepoli in missione, ha
dato loro l’ordine di battezzare “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,
19). La formula battesimale, che san Tommaso riceve dalla pratica liturgica della Chiesa,
s’ispira direttamente a queste parole : “Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello
Spirito Santo”.

Perché, appunto, queste parole ? Come evidenziare teologicamente la loro


convenienza ? Nell’articolo 5, san Tommaso spiega che la forma, nel rendere perfetto il
sacramento, gli conferisce ipso facto la propria efficacia salvifica. Conviene dunque che la
forma del sacramento faccia menzione delle cause dell’efficacia salvifica del sacramento. Ora,
queste cause sono (almeno) due : la causa principale, cioè la Trinità, e la causa strumentale,
cioè il ministro, il quale applica l’efficacia della causa principale al battezzando. Quindi si
capisce che il ministro venga menzionato nella formula battesimale : “Io ti battezzo...”. nelel
stesso modo si capisce che venga menzionata la causa principale, di cui il battesimo riceve la
sua virtus, la sua capacità di santificare : la santissima Trinità. Così, per significare che nel
battesimo agisce la potenza santificatrice della Trinità, si dice “nel nome del Padre e del
Figlio e dello Spirito Santo”, vale a dire nella potenza e nella virtù della Trinità. Dato che la
virtus santificatrice è comune alle Tre Persone (poiché tutte le opere della Trinità ad extra
sono comuni alle Tre persone), non si dice : « Nel nome del Padre e nel nome del Figlio e nel

70
nome dello Spirito », ma si invoca il Nome unico, comune alle Tre persone secondo il mistero
dell’unità consustanziale delle Persone divine.

“Sebbene siano tre i nomi personali delle tre Persone, uno solo tuttavia è il loro nome
essenziale. Ora, la virtù divina che opera nel battesimo è un attributo essenziale. Perciò
si dice nel nome, e non nei nomi” (ad 6).

La presenza della Trinità nei racconti evangelici del battesimo di Cristo, manifestata
attraverso diversi segni sensibili (la nube, la colomba, la voce del Padre...), conferma quanto
sia conveniente invocare la Trinità nella formula battesimale.

Ma che succede con Gesù ? Perché non compare Gesù Cristo nella formula
battesimale allorché egli è, in virtù delle Passione, la causa e l’autore della nostra salvezza ?
Possiamo rispondere che, da un lato, Cristo battezza in virtù del suo potere divino e quindi
viene menzionato nella formula trinitaria. Dall’altro lato, la Passione di Cristo occupa un
posto intermedio : essa è causa principale rispetto all’azione del ministro, però è causa
subordinata, strumentale, rispetto all’azione della Trinità (È la Trinità che conferisce alla
Passione di Cristo il suo valore salvifico). Perciò nella formula battesimale viene menzionata
la Trinità anziché la Passione di Cristo, solo sottointesa.

3.2.3. Le variazioni della forma

Essendo d’istituzione divina, vale a dire essendo scelta da Cristo stesso, la formula
battesimale non è a disposizione dell’uomo, neanche della Chiesa. Tuttavia, non si tratta di
una formula magica il cui valore sarebbe nella sola letteralità ! Per tanto, san Tommaso
distingue, da una parte, ciò che appartiene alla sostanza stessa della forma (substantia formae)
– il che è rigorosamente richiesto affinché il sacramento sia valido – e, d’altra parte, ciò che è
soltanto accidentale nella forma e può quindi variare tanto storicamente quanto
geograficamente.

3.2.3.1. Il battesimo nel nome di Cristo (IIIa, q. 66, a. 6)

Nei primi tempi del cristianesimo, sembra che due tradizioni siano coesistite : nella
prima, che sembra più primitiva, il battesimo veniva conferito nel nome di Gesù (come viene
attestato da molti brani degli Atti degli apostoli) ; nella seconda tradizione il battesimo veniva
dato nel nome della Trinità (come viene attestato da Mt 28 e dalla Didachè). Quest’ultima
tradizione si è poi man mano imposta a tutta la Chiesa. A tal punto che, nel 558-559, papa

71
Pelagio I° esige che siano “ribattezzati” quanti sono stati “battezzati solo nel nome di Cristo
anche con una sola immersione” (Dz-H., n° 445). Però, nel 866, papa Niccolò I ammette
ancora la validità del battesimo dato nel nome di Cristo (Dz-H., n° 646 ; citato da san
Tommaso nel arg. 3). Rispondendo ai quesiti dei Bulgari, il papa dice :

“Coloro che sono stati battezzati nel nome della santa Trinità o soltanto nel nome di
Cristo, come si legge negli Atti degli Apostoli, poiché è la stessa cosa, a dirla con Sant’
Ambrogio, non devono essere ribattezzati.”

Secondo san Tommaso, il battesimo “nel nome di Gesù” riguardava una situazione storica del
tutto eccezionale, così che non può avere un valore normativo universale. Difatti, secondo lui,
gli apostoli hanno usato questa forma atipica in virtù di un’ispirazione specialissima. In
un'epoca in cui il santissimo nome di Gesù era odiato, “affinché quel nome che era odioso ai
Giudei e ai Gentili, acquistasse onore dal fatto che alla sua invocazione si dava nel battesimo
lo Spirito Santo” (ad 2).

Ma perché questa confessione implicita della Trinità non potrebbe bastare anche
oggi ? Del resto, chi invoca una Persona, qualunque sia, invoca ipso facto le due altre, poiché
le tre persone della Trinità sono relative. Ma, per san Tommaso, questo sarebbe trascorrere il
realismo sacramentale. Come abbiamo già spiegato, il sacramentum essendo una realtà
sensibile, occorre che anche la forma sia una realtà sensibile. Non basta che il ministro pensi
dentro di sé alla Trinità, occorre che la confessione della fede nella Trinità si incarni nelle
parole sensibili. Per tanto, un battesimo in cui la Trinità non verrebbe menzionata
esplicitamente sarebbe invalido.

3.2.3.2. La forma del battesimo dai Greci

Dalla diversità storica passiamo a quella geografico-culturale. San Tommaso conosce


l’esistenza di una formula battesimale diversa da quella usata nella Chiesa latina : la formula
usata nelle chiese orientali : “Sia battezzato il tal servo di Cristo nel nome del Padre e del
Figlio e dello Spirito santo”. Questa formula è probabilmente più antica della formula latina,
la quale compare per la prima volta da Eusebio di Vercelli (IV° secolo). Per san Tommaso, le
differenze tra la formula greca e quella latina non toccano la sostanza stessa della forma. Egli
giustifica così la pratica dei Greci :

“I Greci non attribuiscono l’atto del battesimo ai ministri, per evitare l'errore di quei
primi cristiani che riferivano l'efficacia del battesimo ai battezzatori dicendo : ‘Io sono

72
di Paolo e io di Cefa’. Perciò dicono : ‘Sia battezzato il tal servo di Cristo nel nome del
Padre...’. E compiono validamente il sacramento, perché esprimono l’azione che fa il
ministro con ‘'invocazione della Trinità » (IIIa, q. 66, a. 5, ad 1).

Il Decreto per gli armeni del Concilio di Firenze (XV° secolo) riconosce esplicitamente la
piena validità della formula greca appoggiandosi, appunto, sugli argomenti di san Tommaso.

3.2.3.3. Le alterazioni della forma

Che cosa succede se la formula battesimale viene di qualche modo alterata,


m3.odificata, sia perché essa viene pronunciata in modo deficiente sia perché il ministro
aggiunge, toglie o modifica un elemento della formula (noi ti battezziamo…), o ancora
cambia l’ordine tra le parole ? Senza affondare nella casistica, bisogna individuare, con san
Tommaso, alcuni principi basilari di discernimento.

Occorre prima distinguere due problemi : quello della validità del sacramento così
amministrato e quello della liceità ossia della colpevolezza del ministro che modifica la
formula sacramentale. Dal lato del ministro – nella misura in cui si tratta di un atto umano
libero e cosciente : il ministro non è colpevole se è naturalmente balbuziente ! –, c’è sempre
qualche peccato nel non usare la formula prescritta, anche se la modifica non invalida il
sacramento. Almeno il peccato di negligenza oppure il peccato che consiste nel disprezzare
orgogliosamente le leggi della Chiesa.

Rispetto alla validità, conviene valutare contemporaneamente l’intenzione del ministro


e la natura obiettiva della modifica. Rispetto al secondo punto, bisogna chiedersi se la
modifica cambi o meno il senso stesso della formula battesimale, vale a dire la sostanza della
forma. In quel caso, il sacramento non è valido. Ciò succede, per esempio, quando il ministro
omette di menzionare una delle Persone della Trinità oppure quando il ministro aggiunge
qualcosa che contrasta la vera fede trinitaria. Ad esempio : “Ti battezzo nel nome del Padre
più grande del Figlio e del Figlio inferiore al Padre...”. Se vogliamo aggiornare gli esempi,
potremmo menzionare la formula femminista : “…nel nome della Madre e della Figlia...”. Ciò
succede anche quando il celebrante modifica la taxis (=ordine) trinitaria : “Ti battezzo nel
nome del Padre e dello Spirito Santo... e del Figlio.”

Invece, quando la modifica non cambia il senso della formula, il battesimo viene
ritenuto valido. Ciò succede quando il ministro (perché è balbuziente, per esempio) commette
dei piccoli errori nel pronunciare (« In no...no...nomine Pa… Patris ») ; quando egli omette

73
una parola secondaria (Ego...) ; quando aggiunge una parola che non cambia il senso (« Ti
battezzo nel nome del Padre onnipotente... ») ; quando, per ignoranza, stroppia la grammatica.
Così nel 745-746, papa Zacaria riconosce la validità del battesimo conferito “in nomine Patria
et Filia e Spiritus Sancti” da un ministro che non era per niente un precursore del femminismo
contemporaneo ma un gran ignorante (Dz-H, n° 588). Papa Stefano II, nel 784, riconosce la
validità di battesimo conferito rustice da un prete ignorante che aveva detto : “Immergo nel
nome del Padre, immergo nel nome del Figlio...” (Dz-H, n° 592).

Ciò detto, anche se, di per sé, oggettivamente, la modifica della formula non comporta
l'invalidità, può capitare che il ministro, per mezzo della modifica, manifesti la propria
intenzione di fare qualcosa di diverso rispetto a ciò che la Chiesa intende fare, così che il
battesimo sarebbe allora invalido.

3.3. I riti battesimali annessi

Finora siamo stati attenti alla distinzione tra il rito essenziale che è de necessitate
sacramenti, e le forme diverse prese dal rito. Ma, oltre il rito essenziale, ci sono nella
celebrazione liturgica del battesimo molti elementi rituali, liturgici, che, pure essendo
prescritti, non sono necessari alla validità del battesimo (l’esorcismo, la consegna del vestito
bianco...). La prova è che in caso di necessità, di emergenza (in caso di pericolo di morte),
questi riti annessi possono essere omessi. Tuttavia, quando il bambino che viene così
battezzato in fretta (in francese, c’è una parola speciale per designare questo battesimo :
“ondoiement”), sopravvive, occorre completare il battesimo compiendo i riti prima omessi.
Trascurare questi riti in contesto ordinario, soprattutto a motivo di disprezzo per le leggi della
Chiesa, costituisce un peccato grave da parte del celebrante.

Questi riti annessi, che precedono oppure seguono il rito essenziale del battesimo,
fanno parte di ciò che san Tommaso chiama la solemnitas del sacramento, distinta dalla
sostanza del sacramento (substantia sacramenti). Attenti che lo scopo di questi riti non è
estetico ! Non dobbiamo cadere nella visione “giuridica” assurda della liturgia in cui c’è da
una parte la sostanza del sacramento (sola necessaria) e poi, intorno, un po’ di ornamenti
gradevoli per interessare la gente ! Per Tommaso, questi riti contribuiscono molto al “bene
esse sacramenti”, vale a dire all'amministrazione proficua (e non soltanto valida) del
sacramento. Nel corpo dell’a. 10, san Tommaso presenta tre ragioni generali per giustificare
l’uso di questi riti annessi. Primo, questi riti eccitano la devozione dei fedeli e fanno crescere
il rispetto verso il sacramento. Questo favorisce il ricevere più fruttuoso del sacramento.

74
Secundo, per mezzo del loro simbolismo, questi riti annessi chiariscono il significato del
battesimo e istruiscono i fedeli, soprattutto i più semplici. Essi hanno dunque un fortissimo
valore pedagogico di cui il pastore deve ispirarsi nella preparazione e la celebrazione del
battesimo. Tertio, “mediante le orazioni, le benedizioni e altri riti, s'impedisce al demonio di
ostacolare l'effetto del sacramento”.

75
Capitolo 4 : Il ministro del battesimo

« Battezzi Pietro, è Cristo che battezza ; battezzi Paolo, è Cristo che battezza ; e
battezzi anche Giuda, è Cristo che battezza » (Sant’Agostino, Omelia 6). Il sacramento del
battesimo è un azione di Cristo stesso, compiuta dalla Chiesa Corpo di Cristo. È Cristo che ci
santifica per mezzo del battesimo, comunicandoci la propria vita. Tuttavia, l’“attore”
immediato, ossia la causa prossima, dell’azione sacramentale è il battezzante, cioè la persona
umana ossia il ministro che attua il rito battesimale. L’azione del celebrante è senz’altro
necessaria per il rito sacramentale (sacramentum tantum). In effetti, il sacramento non è una
cosa preformata che preesisterebbe all’azione del celebrante e di cui il celebrante potrebbe
usare o non usare. Né la materia né la forma sono delle astrazioni : l’abluzione è un atto
concreto fatto da una persona concreta e le parole, che determinano il significato sacramentale
dell’abluzione, non vengono pronunciate da un registratore ma da una persona concreta.
Quindi, è proprio il celebrante che unisce la materia (il gesto) e la forma (le parole) e per tanto
costituisce il sacramento come tale. Come definito dal Concilio di Firenze :

“Tutti questi sacramenti constano di tre elementi : cose come materia, parole come
forma, la persona del ministro che conferisce il sacramento, con l'intenzione di fare
quello che fa la Chiesa. Se manca uno di questi elementi, il sacramento non si compie”
(Dz-H. 1312).

Nell’articolo dedicato alla necessità dell’intenzione da parte del ministro, san Tommaso
collega l’intenzione alla forma per mezzo di cui, come abbiamo già detto, viene determinata
la natura del sacramento come tale :

“Quando una cosa può essere ordinata a più scopi, è necessario che intervenga un
elemento che la determini a uno di essi, se lo si vuole attuare. Ma le azioni sacramentali
possono avere più scopi : così l’abluzione con l’acqua che si fa nel battesimo, può
essere ordinata alla pulizia del corpo, e alla sua salute, al divertimento e a molti altri
fini. Perciò dev’essere determinata a un dato scopo, cioè all'effetto sacramentale,
dall’intenzione di chi battezza. E tale intenzione viene espressa con le parole che si
pronunciano nei sacramenti, dicendo, p. es.: ‘Io ti battezzo nel nome del Padre...’”(IIIa,
q. 64, a. 8).

In questo capitolo, tratteremo prima il ruolo del ministro nella celebrazione del
battesimo (1), poi alcuni problemi specifici concernenti la determinazione del ministro del

76
battesimo : chi può essere ministro del battesimo (2) ? La prima questione viene esaminata da
san Tommaso nel De sacramentis in genere (nella q. 64, sulle cause dei sacramenti) poiché
ciò che viene detto in quel luogo vale analogicamente per tutti i sacramenti, mentre, nal
trattato sul battesimo, la q. 67 sui ministri del battesimo si concentra sulla seconda questione.

4.1. Il ruolo del ministro

Bisogna prima precisare come l’azione del ministro s’inserisce nella serie delle cause
efficienti del sacramento (del battesimo). Poi, ci fermeremo sul problema della natura
dell’intenzione richiesta da parte del ministro nella celebrazione del battesimo (1.2).

4.1.1. Una causa strumentale

Come tutti gli altri sacramenti della Legge nuova del Vangelo, il battesimo conferisce
la grazia, ossia la vita divina partecipata. Per tanto, la causa prima e principale del battesimo
non può essere che la santissima Trinità stessa. Difatti, come viene spiegato da san Tommaso
nell’articolo 1 della q. 64, solo Dio può produrre come causa principale l’effetto interiore dei
sacramenti ossia la grazia. Per due motivi. 1°- Dio solo può agire direttamente dentro l’anima
umana, perché Dio solo, in quanto Creatore, è presente nell’anima spirituale in virtù della sua
causalità propria, la quale tocca le fonti e le radici ontologiche della persona. 2°- Dio solo può
dare la grazia in quanto essa è una partecipazione alla stessa vita che Egli possiede in
pienezza.

“Una cosa può produrre un effetto in due modi : primo, come causa principale ;
secondo, come strumento. Nel primo modo Dio soltanto causa l’effetto interiore dei
sacramenti. Sia perché Dio solo penetra nell’anima in cui si produce l'effetto
sacramentale. E nessuna cosa può agire immediatamente dove non è. – Sia perché la
grazia, che è un effetto interiore di tutti i sacramenti, viene esclusivamente da Dio, come
abbiamo detto nella Seconda Parte [Ia-IIae, q. 112, a. 1 : Utrum solus Deus sit causa
gratiae] » (IIIa, q. 64, a. 1).

Come accennato nel capitolo precedente, san Tommaso si riferisce a questa dottrina della
causalità principale di Dio rispetto agli effetti del battesimo per rendere ragione
dell'invocazione della santissima Trinità nella formula battesimale. La forma del battesimo
indica quale è la sua causa principale : Dio Trinità. Più specificamente, questa causalità divina
principale viene attribuita per appropriazione allo Spirito Santo, il Santificatore. Tutte le tre

77
Persone sono insieme la causa della grazia, però, esiste un legame speciale tra lo Spirito –
perché procede dal Padre e dal Figlio secondo l’amore – e la grazia.

Tuttavia, per produrre la grazia, Dio ha voluto (in virtù di una libera scelta) usare
diverse mediazioni o cause strumentali che “modalizzano” la grazia. Che cosa è la causa
strumentale ? Prendiamo l’esempio classico del pittore e del pennello nella realizzazione del
ritratto. Il pennello ha un effetto proprio (spalmare la pittura), il quale risulta dalla sua forma
propria, dalla sua virtus (=la capacità d’azione corrispondente alla forma). Però quando viene
usato dal pittore per dipingere l’immagine che esiste nella propria mente, il pennello, pure
adoperando la virtus propria, viene in qualche modo “attraversato” da un’intenzione che lo
eleva per produrre l’immagine sul quadro in virtute della causalità principale del pittore.

Nella comunicazione della grazia divina, la prima e più fondamentale causa strumentale
è la santissima umanità di Gesù Cristo, cioè il suo corpo e la sua anima con la propria
intelligenza e la propria volontà. L’umanità di Cristo è lo strumento della sua divinità.

“L'umanità di Cristo è ‘come uno strumento della sua divinità’, secondo l’espressione
del Damasceno. Ora, uno strumento non compie l’azione dell’agente principale con la
propria virtù, ma con quella dell’agente principale. Ecco perché l’umanità di Cristo non
causa la grazia per virtù propria, ma con la virtù della divinità cui è unita, la quale rende
salutari le azioni dell’umanità di Cristo” (Ia-IIae, q. 112, a. 1, ad 1).

Tuttavia, l’umanità di Cristo non è uno strumento come gli altri. Essa gode un’eccellenza
specifica perché è uno strumento “congiunto”, vale a dire unito ipostaticamente alla persona
divina del Figlio di Dio. Perciò, Cristo possiede un “potere d’eccellenza” rispetto ai
sacramenti. Egli istituisce i sacramenti (vale a dire conferisce a questi riti la virtù di produrre
specifici effetti di grazia) e egli agisce nei sacramenti per comunicare la grazia per mezzo di
loro.

Per produrre gli effetti di grazia negli uomini, l’umanità di Cristo, strumento
“congiunto”, usa a suo torno strumenti “separati” : i sacramenti. Per farci capire la differenza
tra strumento congiunto e strumento separato, san Tommaso prende il paragone della mano e
del bastone : la mano è strumento congiunto, mentre il bastone mosso dalla mano è strumento
separato. Attenti! Lo strumento separato non è prima il ministro, il quale, a suo turno,
utilizzerebbe un altro strumento separato preesistente, il rito sacramentale. Lo strumento
separato è il sacramento stesso, il quale, in quanto azione di Cristo, comporta nella sua stessa

78
costituzione l’azione del ministro, come abbiamo già detto. Quindi, il celebrante ha un ruolo
essenziale nel rito sacramentale (non c’è sacramento senza ministro), però un ruolo
strumentale, ministeriale. Su questo punto, la dottrina cattolica è stata definita da
sant’Agostino in occasione della controversia contro i donatisti. Il ministro non agisce a
seconda della propria fede soggettiva (ciò che pensa e crede lui) ma agisce nella fede
oggettiva della Chiesa di Cristo di cui viene costituito ministro. Il ministro non trasmette la
propria santità personale ma quella della santa Chiesa di Cristo.

4.1.2. Uno strumento cosciente e libero : la questione dell’intenzione

San Tommaso – come abbiamo appena detto – paragona lo strumento congiunto alla
mano e lo strumento separato al bastone mosso dalla mano. Però, a differenza del bastone, il
ministro dei sacramenti è uno strumento animato, umano, la cui azione coinvolge intelligenza
e volontà. L’atto sacramentale è un atto umano e non lo potrebbe essere se il ministro non si
implicasse personalmente. Né il sonnambulo né il robot possono amministrare i sacramenti. E
quindi necessaria da parte del ministro l’intenzione (atto della volontà che mira un fine
determinato) per mezzo della quale il ministro accetta liberamente di mettersi a disposizione
dell’agente principale :

“Lo strumento inanimato [=il pennello, il bastone] non ha nessuna intenzione riguardo
all’effetto, ma al posto dell’intenzione c’è l'impulso che riceve dall’agente principale.
Lo strumento animato invece, quale è il ministro, non è soltanto mosso, ma si muove, in
quanto con la sua volontà muove le membra ad agire. Perciò occorre la sua intenzione
con la quale si metta a servizio dell’agente principale, ossia intenda fare quello che
fanno Cristo e la Chiesa” (IIIa, q. 64, a. 8, ad 1).

Ciò detto, ci sono diversi gradi di coinvolgimento del ministro nella celebrazione dei
sacramenti. È chiaro che, per la propria santificazione, così come per il bene di chi riceve il
sacramento, il ministro deve fare in modo che le sue disposizioni soggettive, interiori,
corrispondano alla realtà che viene celebrata. “Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che
celebrerai”, dice il vescovo al nuovo sacerdote (Rituale dell’ordinazione presbiterale). Per
tanto, occorre che il ministro creda fermamente nel significato e nel valore soprannaturale del
rito che sta celebrando ; occorre che faccia sue le intenzioni di Cristo e che la sua
cooperazione sia un atto d’intensa carità.

79
Ma la domanda che, più delle altre, ha trattenuto l’attenzione dei teologi – a causa
delle conseguenze pratiche per la vita concreta della Chiesa – è quella del grado minimo di
coinvolgimento richiesto da parte del ministro affinché il sacramento sia valido. Si tratta della
questione teologica, molto discussa soprattutto dopo il concilio di Trento, dell’intenzione del
ministro. San Tommaso vi dedica i tre ultimi articoli della q. 64. È possibile suddividerla in
due. 1/ Su che cosa deve portare l’intenzione del ministro, vale a dire quale è l’oggetto
dell’intenzione ministeriale ? 2/ Quale deve essere la qualità soggettiva di questa intenzione ?

4.1.2.1. L’oggetto dell’intenzione ministeriale

L’intenzione è un atto della volontà che “tende” verso un fine, un oggetto determinato
da raggiungere o da produrre. Pertanto, è ovvio che là dove la volontà del ministro non è in
nessun modo coinvolta, non c’è nessuno atto sacramentale giacché non c’è nessun’atto
umano. Il battesimo amministrato da un matto, un prete ubriaco (in stato di ebbrezza) o un
vecchio cardinale rimbambito non è valido.

Come ogni atto della potenza operativa, l’atto della volontà è “specificato” da un
oggetto, un certo tipo di azione, vale a dire che riceve la sua “definizione” ossia la sua
“specie” da quest’oggetto. Dunque, che cosa deve volere il ministro affinché il rito
sacramentale sia validamente compiuto ? Su quale oggetto deve portare la propria
intenzione ? Non basta che egli voglia porre un’azione di natura esclusivamente umana e
naturale (che Dio poi utilizzerebbe, all’insaputa del ministro, per santificare le anime), come
versare acqua sul capo di un bambino recitando una formula. Occorre che il ministro voglia
compiere quest’azione come azione sacramentale, vale a dire come azione a cui la Chiesa
attribuisce un significato e un valore religioso specifico.

Ma, allora, se il ministro ha perso la fede e non crede più nel valore santificante del
battesimo, il battesimo sarà invalido ? Lo sarebbe se il ministro avesse agito in nome proprio.
Ora, in realtà, il ministro agisce come strumento della santa Chiesa di Cristo. È la fede della
Chiesa che conferisce agli atti rituali la necessaria intenzione sacramentale. Dal lato del
ministro, basta “l’intenzione di fare ciò che la Chiesa fa” (intentio faciendi quod facit
Ecclesia, secondo il Concilio di Trento [Dz-H., n° 1611]). In altre parole, basta l’intenzione di
celebrare il rito come un’azione ritenuta sacramentale dalla Chiesa.

Basta dunque che il ministro intenda comportarsi da strumento dell’azione della


Chiesa, compiendo sul serio il rito stesso. Non è necessario (benché sia più che auspicabile)

80
che voglia conferire ciò che la Chiesa intende conferire per mezzo del rito, cioè la grazia
sacramentale. Anche se il ministro non credesse né all’efficacia dei sacramenti neanche
all’esistenza di Dio, anche se fosse mosso da intenzioni soggettive perverse (guadagnare
denaro), egli conferirebbe validamente il sacramento purché compia sul serio il rito in quanto
ministro della Chiesa.

“Se [il ministro] manca di fede verso il sacramento stesso che amministra, pur ritenendo
che il rito esterno non abbia nessuna efficacia interiore, tuttavia sa che la Chiesa
cattolica intende con il rito esterno offrire un sacramento. Perciò, nonostante la
mancanza di fede, può avere l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, sebbene consideri
vano tutto questo. Ebbene tale intenzione basta al sacramento ; perché, come abbiamo
visto sopra, il ministro del sacramento agisce in persona della Chiesa, la cui fede
supplisce quanto manca alla fede del ministro” (IIIa, q. 64, a. 9, ad 1).

Nel semplice fatto di compiere il rito sul serio, il ministro per così dire “contrae”
oggettivamente l’intenzione e la fede della Chiesa :

“Sebbene colui che non crede il battesimo sia un sacramento o che abbia qualche virtù
speciale non intende, mentre battezza, conferire il sacramento, tuttavia intende fare una
certa volta ciò che fa la Chiesa, anche se ritiene che ciò non valga nulla ; e poiché la
Chiesa fa qualcosa, di conseguenza e implicitamente intende fare qualcosa, anche se
non esplicitamente” (In IV Sent., d. 6, q. 1, a. 3, qla 2, ad 1).

4.1.2.2. La qualità dell’intenzione ministeriale

Subito spunta la seconda serie di problemi. Quale deve essere la “qualità” soggettiva
dell’intenzione nel ministro (buono o cattivo) ? Prima di tutto, tutti sono d’accordo per
riconoscere che, a causa della natura stessa dello psichismo umano, l’intenzione esplicita ed
attuale (cioè l’attenzione attuale all’azione che sta compiendo), benché sia auspicabile, non
può essere senz’altro richiesta da parte del ministro, salvo poi condannarlo a delle contorsioni
psicologiche vicine alla tortura mentale. Basta l’intenzione abituale, diceva san Tommaso
(virtuale, dicono i moderni).

“Chi pensa ad altro, sebbene non abbia l’intenzione attuale, ha nondimeno l’intenzione
abituale, che basta alla validità del sacramento. Immagina un sacerdote che sul punto di
battezzare intenda di fare circa il battesimo ciò che fa la Chiesa. Se poi durante il rito il
suo pensiero si distrae dietro ad altre cose, il sacramento è valido in virtù dell’intenzione

81
iniziale. Tuttavia, il ministro del sacramento deve curare diligentemente di mettere
l’intenzione attuale. Ma ciò non è completamente in potere dell’uomo, perché senza
volerlo egli, quando cerca di prestare maggiore attenzione, incomincia a pensare ad
altro, e si trova nella situazione del Salmista che diceva: ‘Il mio cuore mi abbandona’”
(IIIa, q. 64, a. 8, ad 3).

Basta quindi l’intenzione abituale. Se il ministro ha l’intenzione di celebrare il


battesimo, finché non ritiri l’intenzione per un atto contrario, l’intenzione sussiste. Ma esiste
da lungo tempo un dibattito tra teologi rispetto ai rapporti tra l’intenzione interna (la decisione
di fare qualcosa), ovviamente richiesta affinché ci sia un atto umano, e l’intenzione esterna,
vale a dire l’intenzione obiettivamente manifestata dal fatto stesso di compiere il rito. Già,
nell'epoca di san Tommaso, alcuni teologi – san Bonaventura, per dire il vero – pensavano
che, oltre l’intenzione obiettiva, manifestata dal fatto di compiere il rito, la validità del
sacramento esigesse da parte del ministro una mentalis intentio, vale a dire un'intenzione
interiore ossia mentale di fare ciò che fa la Chiesa. Occorre non solo che io compia il rito ma
anche che ponga un atto interiore per dire a me stesso che voglio compiere il rito nel senso
che la Chiesa gli dà. Questa dottrina suppone che sia possibile l’opposizione tra l’intenzione
interiore (segreta) del ministro e l’intenzione obiettiva, esternamente manifestata. Il ministro,
pure compiendo perfettamente tutti i riti esterni, potrebbe, per pura malizia, “trattenere”
mentalmente la sua intenzione (egli dice a se stesso di non volere fare ciò che fa la Chiesa).
Posso baciare mia suocera con un bel sorriso, mentre intendo velenarla durante la cena che
verrà dopo ! In quel caso – pensavano questi teologi – il sacramento è invalido. Tuttavia, Dio
darebbe nondimeno la grazia, per pura misericordia nel caso dei bambini cosi “battezzati”
oppure in considerazione della buona fede nel caso del catecumeno adulto.

San Tommaso obietta che la grazia in quel caso non sarebbe sacramentale e non
conferirebbe il sacramento interiore ossia il carattere. Ciò porterebbe a destabilizzare
completamente la struttura sociale visibile della Chiesa, fondata sui caratteri. Per tanto, il
Dottore angelico adotta un’altra posizione :

“Perciò altri [Alberto Magno, ad esempio] ritengono con più ragione che il ministro del
sacramento agisca in persona della Chiesa, di cui è ministro. Ora, le parole che
pronunzia esprimono l’intenzione della Chiesa, e questa intenzione basta alla validità
del sacramento ; se nulla in contrario viene esternamente manifestato da parte del
ministro o di chi riceve il sacramento” (IIIa, q. 64, a. 8, ad 2).

82
L'intenzione che garantisce la validità del sacramento è l'intenzione della Chiesa
manifestata, “oggettivata”, nei riti. Ora, il ministro si fa strumento dell’intenzione della
Chiesa nell’atto stesso di compiere obiettivamente il rito secondo le forme prescritte dalla
Chiesa, purché il contesto sacramentale non sia equivoco. È chiaro che chi battezza durante la
ripresa di un film non conferisce il battesimo. Neanche il seminarista che sta allenandosi a
compiere le sue future funzioni... Quando l’intenzione soggettiva del ministro sembra
dubbiosa, occorre valutare il contesto oggettivo (un rito compiuto durante la liturgia regolare
della Chiesa attesta l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa). Attenti, tuttavia, che il contesto
può talvolta essere equivoco senza che l'intenzione del ministro sia per niente dubbiosa. Chi
battezza un compagno di cella in una prigione comunista, facendo finta di lavargli la testa,
agisce fuori di qualsiasi contesto “liturgico” ma celebra davvero un battesimo : la sua
intenzione e quella del compagno bastano.

Quest’obiezione della possibile contradizione tra l’azione esterna e l’intenzione interna


(celebro perfettamente i riti esterni del battesimo ma interiormente non voglio fare ciò che fa
la Chiesa e intendo solo ingannare questa gente stupida che crede a questa magia !) ha molto
preoccupato i teologi moderni. Diversi teologi tomisti (Ambrogio Catarino nel XVI° secolo ;
Vincenzo Contenson nel XVII° secolo) hanno allora difeso, a buon diritto a mio parere, la tesi
della sufficienza dell’“intenzione esterna”. Secondo loro, la separazione tra intenzione
soggettiva interna e intenzione oggettiva esterna è senz’altro impossibile nella celebrazione
dei sacramenti. Difatti, in quel caso, l’agire esterno esprime direttamente la volontà interiore.
L’intenzione mentale (facendo X voglio fare X) non si aggiunge all’intenzione obiettiva
(faccio X), vale a dire al significato obiettivo di X che sto facendo concretamente, ma si
esprime nell’intenzione oggettiva. È proprio nel fatto di compiere il rito prescritto che il
ministro esprime la propria intenzione interiore. Non è possibile che una “vera” volontà di
non fare ciò che fa la Chiesa coesista col fatto di compiere il rito. Quest’intenzione non
sarebbe una vera intenzione ma solo una “velleità”. Dal momento in cui verso il veleno nel
bicchiere della suocera, è chiaro che intendo che muoia. I movimenti psicologici contrari che
possono succedere nel momento in cui verso il veleno (“Mi dispiace tanto di dover fare
questo”, “preferirei non farlo…”) non sono vere “volontà”. Parimenti, nel compiere il rito,
voglio fare ciò che la Chiesa fa. In breve, “l’intenzione esterna seria implica necessariamente
da parte del ministro l'intenzione interiore corrispondente” (H. Bouësse).

4.2. Il ministro del battesimo

83
“I ministri ordinari del Battesimo sono il vescovo e il presbitero, e, nella Chiesa latina,
anche il diacono. In caso di necessità, chiunque, anche un non battezzato, purché abbia
l’intenzione richiesta, può battezzare, utilizzando la formula battesimale trinitaria.
L’intenzione richiesta è di voler fare ciò che fa la Chiesa quando battezza. La Chiesa
trova la motivazione di questa possibilità nella volontà salvifica universale di Dio e
nella necessità del Battesimo per la salvezza” (CCC, n° 1256).

La determinazione del ministro del battesimo dipende in grande parte dalle


determinazioni canoniche della Chiesa (cf. CIC, can. 861-863), le quali comportano una certa
dose di contingenza e di relatività. Però, queste determinazioni si appoggiano su dei motivi
teologici che possiamo cercare di capire. San Tommaso dedica i cinque primi articoli della q.
67 della IIIa pars a questa domanda, basandosi sulla pratica del suo tempo che è un po’
diversa della nostra. Comunque, occorre, prima di tutto distinguere tra i ministri ordinari e i
ministri straordinari. Il ministro ordinario è quello che, in virtù del ministero ricevuto dalla
Chiesa (sia ordinato sia istituito), può celebrare un sacramento, senza che abbia bisogno di
ricevere una missione o un mandato speciale.

4.2.1. Il ministro ordinario del battesimo (IIIa, q. 67, a. 1-2)

In modo ordinario, l’amministrazione del battesimo appartiene ai ministri ordinati.


Nell’antichità cristiana, spettava al vescovo battezzare, però assistito dai preti e dai diaconi
nel compiere il rito. Si trattava di una forma di “concelebrazione”. Più tardi, con la
moltiplicazione delle chiese locali, la celebrazione del battesimo è stata affidata ai preti.

Per san Tommaso, a seconda della pratica del suo tempo, spetta proprio al prete (di
secondo ordine) battezzare. Difatti, il sacerdozio presbiterale viene essenzialmente definito in
riferimento alla consacrazione eucaristica del Corpo di Cristo. Tutta l’attività del prete nella
Chiesa deriva in qualche modo dalla sua relazione intrinseca all’eucaristia. In effetti,
l’eucarestia, Corpo vero di Cristo, intrattiene legami stretti con la Chiesa, Corpo mistico di
Cristo. Pertanto, il ministero del prete, a partire dal suo atto principale e centrale, cioè la
celebrazione eucaristica della santissima Messa, si allarga e si distende a monte e a valle per il
servizio della Chiesa come comunità eucaristica. Così, a monte, tocca al prete “disporre” ossia
preparare gli uomini all’eucarestia. Ora, il battesimo è appunto il sacramento che introduce
nell’unità ecclesiale e orienta ipso facto verso la partecipazione all’eucarestia. Tocca quindi al
prete battezzare. Nello stesso modo, il potere di perdonare i peccati nel sacramento della

84
penitenza è finalizzato alla riammissione dei peccatori al banchetto eucaristico… A valle,
spetta al prete aiutare i credenti a far fruttificare l’eucarestia nella propria vita.

Per san Tommaso, il vescovo può certo battezzare, ma non è il suo ufficio proprio.
Occorre piuttosto che il vescovo si dedichi all'insegnamento e all’amministrazione dei
sacramenti (cresima, ordine) riservati ai majores, vale a dire quelli che occupano una funzione
nella vita “sociale” della Chiesa, lasciando l’amministrazione del battesimo ai semplici preti,
come lo stesso Signore Gesù l’ha suggerito astenendosi di battezzare.

In quanto al diacono, il nome stesso (=servitore) manifesta che non gli appartiene
amministrare un sacramento come celebrante principale (principaliter) e come se fosse questo
il suo ufficio proprio. Tocca piuttosto al diacono mettersi al servizio dei ministri superiori per
assisterli nell’amministrazione dei sacramenti. Così, papa Gelasio (492-496) aveva vietato ai
diaconi battezzare, eccetto in caso di necessità. Su quel punto, la disciplina della Chiesa latina
si è evoluta. Nel Codice di 1917 (canone 741), il diacono era ancora soltanto ministro
straordinario del battesimo. Oggi, il diacono può battezzare in modo ordinario, con tutta la
solennità comportata dal rito (CIC, canone 861 §1).

4.2.2. Il ministro straordinario (IIIa, q. 67, a. 3-5)

4.2.2.1. Quando ricorrere al ministro straordinario ?

In alcuni casi, la Chiesa ammette che chi non è ministro ordinario possa conferire il
battesimo. Il CIC distingue due casi. In caso di assenza prolungata o di impedimento del
ministro ordinario, il catechista o qualsiasi altra persona incaricata dall’Ordinario del luogo
può battezzare. Anzi, secondo un antica disposizione, in caso di assoluta necessità, qualsiasi
persona umana (compreso un musulmano), mossa dalla dovuta intenzione, può battezzare
validamente. Come spiega l’Aquinate, il motivo di questa estensione massimale è la necessità
del sacramento del battesimo per la salvezza :

“Alla misericordia di colui che ‘vuole la salvezza di tutti gli uomini’, si addice di
facilitare all'uomo l'uso delle cose necessarie alla salvezza. Ma di tutti i sacramenti è di
massima necessità il battesimo, che è la rigenerazione dell'uomo alla vita
soprannaturale, perché ai bambini non si può provvedere altrimenti, e gli adulti non
possono in nessun altro modo che con il battesimo conseguire la piena remissione, sia
della colpa, che della pena. E quindi, perché l'uomo non venga a mancare di un rimedio
tanto necessario, fu istituito in modo che la sua materia fosse comune, cioè l'acqua che

85
tutti possono avere, e che il ministro potesse essere chiunque, anche chi non è ordinato,
affinché nessuno rischi la sua salvezza per mancanza del battesimo” (IIIa, q. 67, a. 3).

Il caso di necessità di cui parla il CIC riguarda soprattutto il pericolo imminente di


morte ma si estende anche all’impossibilità di rivolgersi a un ministro ordinario in un tempo
ragionevole. In quel caso, il ministro straordinario si limita a dare la sostanza del sacramento,
senza i riti preparatori e complementari, i quali verranno celebrati ulteriormente.

L’atto di ricorrere al ministro straordinario deve essere valutato moralmente, tanto dal
ministro straordinario quanto da colui che lo sollecita. Sarebbe un peccato ricorrere al
ministro straordinario senza vera necessità, vale a dire mentre è possibile ricorrere a un
ministro ordinario. Quest’atto manifesterebbe, difatti, un disprezzo rispetto alla disciplina
della Chiesa e una mancanza di senso ecclesiale. Ciò detto, il battesimo così conferito sarebbe
valido. Tuttavia, quando il catecumeno che richiede una celebrazione illecita è un adulto, il
battesimo non può produrre in lui il suo effetto di grazia a causa dell'ostacolo che viene
appunto da questo peccato.

4.2.2.2. Chi può essere ministro straordinario del battesimo ?

La Chiesa insegna che, nelle circostanze straordinarie, qualsiasi essere umano può
battezzare un altro essere umano. L’unica cosa senz’altro proibita è battezzare sé stesso (il
battesimo vien sempre ricevuto). Così, in mancanza di clero, ogni fedele laico può battezzare
(a. 3). La pratica è già attestata da Tertulliano (Trattato sul battesimo, XVII, 2-3) e, all’inizio
del IV° secolo, un canone del concilio di Elvira precisa che un fedele “che abbia integro il suo
lavacro e non sia bigamo” può battezzare un catecumeno in caso di pericolo di morte, per
esempio durante un viaggio in nave in zona remota (Dz-H., n° 120). Parimenti, malgrado
l’opposizione un pochino misogina di Tertulliano, una donna cristiana può battezzare (a. 4), a
condizione, precisa l’Aquinate, che non ci sia abbondanza di uomini (copia virorum) ! A
causa dell’eventualità di dover amministrare il battesimo, il diritto attuale della Chiesa esige
che i pastori “siano solleciti affinché i fedeli siano istruiti sul retto modo di battezzare” (CIC
861, §,2). Ciò vale soprattutto per i medici e le levatrici.

Può battezzare un non-battezzato (un ebreo, un pagano, un ateo...) ? Sant’Agostino


esitava su quel punto :

“C'è anche un'altra questione: se anche quelli che non sono mai stati cristiani possono
dare il battesimo. Neppure su questa questione bisogna fare affermazioni avventate,

86
senza l'autorità di un concilio che sia importante quanto la questione” (Contra epistulam
Parmeniani, II, XIII, 30).

Ma nel novembre 866, papa Nicolau I°, in una lettera indirizzata alla legazione del
principe Bogoris della Bulgaria, sembra riconoscere la validità di tale battesimo :

“Asserite che nella vostra patria molti sono stati battezzati da un giudeo – non sapete se
cristiano o pagano – e chiedete che cosa si debba fare di loro. Se questi in effetti furono
battezzati veramente nel nome della Santa Trinità oppure solo nel nome di Cristo [...] è
chiaro che non devono essere di nuovo battezzati” (Dz-H., n° 646).

Alla luce di questi testi, san Tommaso ritiene che anche il non battezzato può
battezzare in caso di necessità (a. 5). Ma come è possibile che un non cristiano, il quale non
appartiene di nessuno modo alla Chiesa (il fatto che appartenga forse alla Chiesa in virtù della
grazia santificante non cambia il problema), possa essere ministro della Chiesa ?

“Chi non è battezzato, sebbene non appartenga alla Chiesa né realmente né


sacramentalmente, può tuttavia appartenere ad essa per l’intenzione e la somiglianza
dell'atto che compie, cioè in quanto intende fare ciò che fa la Chiesa e osserva nel
battezzare la forma della Chiesa ; e in questo modo opera come ministro di Cristo, il
quale non ha vincolato la sua virtù ai battezzati, come nemmeno ai sacramenti” (IIIa, q.
67, a. 5, ad 2) .

Basta quindi che il non cristiano si pronto ad agire come strumento momentaneo e
provvisorio dell’agire della Chiesa. Con questa tesi, raggiungiamo l’ultima conseguenza del
realismo oggettivista agostiniano secondo cui il battesimo non è il battesimo di chi
l’amministra ma il battesimo di Cristo stesso. La validità del battesimo non dipende dal finis
operantis (=lo scopo proseguito soggettivamente da chi battezza) ma soltanto dal finis operis.

Nel XV° secolo, il concilio di Firenze ha dogmatizzato la dottrina di san Tommaso


nella Decreto per gli armeni :

“Ministro di questo sacramento è il sacerdote, cui, per ufficio, compete battezzare ; ma


in caso di necessità, può amministrare il battesimo non solo un sacerdote o un diacono
ma anche un laico, una donna e persino un pagano o un eretico, purché usi la forma
della Chiesa e intenda fare ciò che fa la Chiesa” (Dz-H., n° 1315).

87
Per concludere nostro percorso nella q. 67, aggiungiamo che, secondo san Tommaso,
il battesimo concelebrato è illecito ma può essere valido in certe condizioni (a. 6). Tommaso
non parla qui della concelebrazione organica tale quale veniva praticata nella Chiesa primitiva
in cui ciascuno (vescovo, preti, diaconi) compiva un elemento del rito, ma del caso (un po’
artificioso) in cui parecchi ministri compiono insieme il rito, ciascuno facendo
sincronicamente la totalità del rito. Comunque, occorre respingere la pratica abusiva di usare
la formula : “Noi ti battezziamo” col motivo del tutto “secolare” e “mondano” di coinvolgere i
genitori o la comunità parrocchiale nella celebrazione. Cfr. “Responsum” della
Congregazione per la Dottrina della Fede ad un dubbio sulla validità del Battesimo conferito
con la formula “Noi ti battezziamo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (24
Giugno 2020). Diluendo nella comunità il potere sacrale specifico del ministro, l’uso del
“noi” corrompe l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa perché comporta, almeno
implicitamente, la negazione della dottrina dei ministeri tale quale la Chiesa la intende e
l’insegna.

4.3. Il padrino e la madrina (IIIa, q. 67, a. 7-8)

San Tommaso dedica due articoli a giustificare teologicamente la pratica, che certo
non appartiene alla necessità del sacramento, di affidare il neofita ad un padrino e una
madrina. Appoggiandosi alla concezione del battesimo quale nuova nascita, egli paragona il
padrino e la madrina ora alla levatrice che aiuta alla nascita (obsetrix), ora alla nutrice
(nutrix), ora, soprattutto, al pedagogo. Questo ruolo (officium) di “pedagogo” affidato al
padrino e alla madrina consiste nell’informare il neofita di tutto ciò che riguarda “la fede e la
vita cristiana”, visto che i prelati non sono sempre in grado di assicurare in persona
quest’istruzione elementare pure indispensabile. San Tommaso riconosce che questa
istituzione è poco necessaria in una società cristiana in cui l'educazione della fede si fa in
modo capillare tramite i genitori e la società ambientale. A contrario, si può dedurre da
quest’osservazione quanto, nelle nostre società ormai scristianizzate, sia importante il ruolo di
padrino e di madrina come iniziatori alla vita cristiana accanto ai genitori o, spesso, al posto
dei genitori non credenti.

88
Capitolo 5 : Problemi relativi al soggetto recipiente il battesimo

Poiché ogni persona umana è chiamata alla salvezza in Gesù Cristo e poiché il
battesimo è la via ordinaria voluta da Dio perché riceviamo in Cristo la grazia della salvezza,
tutti gli uomini sono tenuti a ricevere il battesimo (IIIa, q. 68, a. 1) e pertanto il battesimo
deve essere a tutti senza nessuna restrizione né discriminazione proveniente dal sesso, dalla
razza, dalla cultura... Il comandamento di Gesù Cristo è senz’altro universale : “Andate e
ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito
santo” (Mt 28, 19). Per tanto, lo scopo del nostro capitolo 5 non è determinare chi sono i
soggetti ai quali conviene il battesimo. Conviene a tutti. L’unico problema a questo riguardo
sarebbe di determinare chi davvero è un essere umano. Bisogna battezzare gli indiani
d’America, si chiedevano i conquistadores ? Gli alieni (casomai esisterebbero !) ? I “mostri” ?
Il canone 748 del codice di 1917 richiedeva di battezzare almeno sotto condizione “i mostri e
gli esseri bizzarri”, tutto ciò che nasce dalla donna. In biologia, un mostro è un individuo da
cui la conformazione è molto diversa rispetto agli standard della propria specie, seguito ad
un'anomalia dello sviluppo embrionale. Ci sarebbe anche la questione di sapere se ci fosse
qualche possibilità, in caso di pericolo di morte, di battezzare i bambini non ancora usciti dal
seno materno, ad esempio “attraverso” il corpo della madre (cfr. IIIa, q. 68, a. 11: è
interessante osservare che per Tommaso il corpo – e quindi l’anima – del feto è distinto del
corpo della madre. L’abluzione del corpo materno non vale per il bambino).

Ci proponiamo piuttosto di riflettere, a partire degli diversi insegnamenti della q. 68


della IIIa pars (De suscipientibus baptismum), sulle disposizioni richieste da parte di chi
viene sottomesso al rito battesimale affinché il sacramento sia 1/ valido e 2/ soprattutto
fruttuoso. Infatti, la celebrazione del battesimo è l’incontro salvifico tra il Salvatore Gesù
Cristo e la persona umana. Di quest’incontro, tutta l’iniziativa e tutto l’esito spettano a Cristo
stesso. Però, c’è un passo da compiere da parte del catecumeno. Non certo per realizzare il
sacramento in quanto tale – il sacramento è l’azione di Cristo stesso – ma per mettersi in
condizione di ricevere il sacramento e i suoi effetti. Bisogna distinguere il caso del
catecumeno adulto, capace di usare il proprio libero arbitrio, e il caso del bambino.

5.1. Le disposizioni richieste da parte del catecumeno adulto

Le cose essenziali su quel punto sono già state chiarite quando, a proposito della
giustificazione come res del battesimo, abbiamo spiegato quale fosse la “parte dell'uomo” nel
processo della giustificazione. Però, non è inutile riprendere la questione sotto l'aspetto più

89
specifico della celebrazione sacramentale del battesimo. La dottrina comune della Chiesa
viene presentata ad esempio nell’istruzione del Sant’Ufficio rivolta al vicario apostolico di
Tche-Kiang in Cina (1860) : “È cosa certa che in un adulto si richiedono tre cose per ricevere
il battesimo in modo dovuto: la fede, il pentimento e l'intenzione di riceverlo” (Dz-H. 2836).
Queste tre disposizioni non sono sullo stesso piano. L’intenzione di ricevere il battesimo è
necessaria per la validità del rito, cioè affinché il rito sia un vero sacramento e produca
l’effetto minimo del sacramento valido, vale a dire il carattere. Invece, la fede e la penitenza
(=l’intenzione di cambiare vita) sono richieste affinché il battesimo sia fruttuoso, vale a dire
affinché produca l’effetto di grazia (res sacramenti) a cui è di per sé ordinato.

Intendiamoci. La volontà del catecumeno non è per niente la causa degli effetti del
battesimo ! Però, l’indisposizione del catecumeno potrebbe impedire che il rito battesimale
produca questi effetti. Potrebbe essere, per usare la parola tecnica, un obex (=ostacolo). Così,
le persiane non sono causa dell’illuminazione della stanza, ma finché rimangono chiuse,
impediscono che la luce, effetto del sole, penetri nella stanza. La causalità del catecumeno
rispetto agli effetti del battesimo è quindi un tipo di causa removens prohibens, vale a dire la
causa che toglie l’ostacolo (obex) che impedisce che l’azione dell’agente principale produca il
proprio effetto. All’obiezione secondo cui, nel battesimo, opera della sola misericordia divina,
il soggetto è puramente passivo (IIIa, q. 68, a. 7, arg. 1), san Tommaso risponde : “Nella
giustificazione mediante il battesimo non c’è passività coatta (passio coacta), ma volontaria.
Quindi si richiede da parte del ricevente l’intenzione di ricevere quello che gli vien dato”. Si
tratta dunque di una “passività attiva” : non ostacolare l’azione di Dio. La persona che si
sdraia in spiaggia per abbronzare, non causa l’abbronzare ma si espone all’azione abbronzante
del sole.

5.1.1. I requisiti perché il battesimo sia valido: l’intenzione di ricevere il sacramento (q. 68, a.
7).

Affinché il catecumeno adulto riceva gli effetti del battesimo, occorre prima di tutto
che abbia l’intenzione di ricevere il sacramento (intentio suscipiendi sacramentum). Il rituale
insiste su quel punto e il celebrante interroga più volte il catecumeno sulle proprie intenzione.
Quale deve essere l’oggetto dell’intenzione (atto della volontà specificato dall’oggetto) del
candidato al battesimo ? È ovvio che, normalmente, il catecumeno deve volere tutti gli effetti
del battesimo. Pertanto, egli deve volere per mezzo del sacramento morire al peccato per
rinascere a vita nuova in Cristo. Questo volere include, come condizione radicale, l’intenzione

90
di sottomettersi al rito sacramentale tale quale viene inteso dalla Chiesa. Ora, può capitare che
il catecumeno, benché abbia la voglia di sottomettersi al rito, non voglia gli effetti ultimi del
battesimo (anzi che non creda affatto a quest’effetti soprannaturali). Ad esempio, quando uno
chiede il battesimo solo per inserirsi sociologicamente nella comunità cristiana o perché
ritiene che il battesimo sia una protezione contro le malattie e le sventure… Però, dal
momento che si sottopone volontariamente al rito sacramentale, egli manifesta la sua
intenzione di ricevere il sacramento. Quest’intenzione basta per la validità.

Fermiamoci un attimo su due casi difficili. Prima, che succede se la persona adulta non
è più in grado d’esprimere la propria intenzione ? Ad esempio, un moribondo ormai nel coma
oppure un adulto diventato subito pazzo (come può succedere durante un esame troppo
difficile sulla teologia del battesimo) (cf. IIIa, q. 68, a. 12). Se mentre godeva la propria
coscienza aveva manifestato qualche segno della sua intenzione d’essere battezzato o almeno
di non opporsi al battesimo, è lecito battezzarlo (ma solo in caso di stretta necessità e sotto
condizione). Nel caso contrario, se questa persona non ha mai ritrattato la sua opposizione al
battesimo, è molto probabile che il battesimo conferito sarebbe invalido.

Che succede quando il battesimo viene ricevuto sotto costrizione ? Come spiegava già
papa Innocenzio III nel 1201 in una lettera all’arcivescovo di Arles, bisogna distinguere due
casi. 1/ La persona resiste attualmente all’attuazione del rito battesimale che si sta facendo su
di essa contro la propria volontà (si dibatte, grida…). In questo caso, il battesimo è senz’altro
invalido. “Niente si produce, anche se viene immerso mille volte”, dice sant’Alberto Magno.
2/ La persona sceglie liberamente di sottomettersi al rito, benché lo faccia a causa di una
costrizione “morale”, tipo : (Parla il re di Spagna) “Se non ricevi il battesimo, tu sarai esiliato
fuori del paese” ; (Parla la fidanzata) “Se non vieni battezzato, mai ti sposerò”… In questo
caso, il battesimo è valido. “Se è una costrizione inducente (coactio inducens, a differenza
della coactio sufficiens), come con le minacce o i flagelli, così che il battezzante sceglie di
ricevere il battesimo piuttosto che patire tali cose, allora riceve il sacramento, ma non la res
del sacramento” (In IV Sent., d. 6, q. 1, a. 2, qla 3). Difatti, a differenza di chi resiste fino alla
fine, questa persona vuole ricevere il sacramento, fosse soltanto come un mezzo per sfuggire
ad alcuni mali. Un po’ come io voglio positivamente che il medico mi taglia la gamba colpita
da cangrena per salvarmi la pelle, mentre certo non lo vorrei in altre circostanze. Così il
battesimo “costretto” dei Sassoni da parte di Carlomagno oppure il battesimo degli ebrei
spagnoli minacciati d’esilio da parte dell’autorità politiche sono validi. Però, chi esercita una
costrizione per portare qualcuno a ricevere il battesimo contro il suo desiderio profondo
91
commette un peccato grave. Parliamo di costrizioni “pesanti”, perché gli inviti e le “pressioni
leggere” fanno parte delle relazioni umane normali. Non è per niente immorale dire : “Tu
dovresti pensare a farti battezzare, perché bisogna essere cristiano per proseguire il tuo
percorso nel nostro gruppo di scouts…”

5.1.2. I requisiti perché il battesimo sia fruttuoso

Nella celebrazione del battesimo, il rito battesimale come tale viene preceduto da un
dialogo in cui il catecumeno, da una parte, rinuncia a Satana e al peccato e, d’altra parte
confessa, la fede trinitaria. Queste sono le due condizioni richieste perché il battesimo porti
bei frutti: la fede e la penitenza, vale a dire la volontà di cambiare vita.

L’assenza di fede o una “fede” eretica non invalidano il battesimo ma ostacolano i suoi
effetti di grazia. Per raggiungere questi effetti, bisogna avere la fede, una fede che comporta la
conoscenza esplicita minimale del mistero cristiano (=i rudimenti della fede). Non si può
battezzare una brava persona a chi piace condividere la vita sociale della parrocchia ma senza
possedere la minima idea delle verità basilari del cristianesimo (Dio-Trinità, Incarnazione
redentrice del Figlio di Dio...). Certo, come vedremo fra poco, la fede implicita può bastare
per essere salvato, ma non basta per appartenere pienamente alla Chiesa come sacramento
visibile di Cristo.

Si devono battezzare i peccatori, domanda san Tommaso (IIIa, q. 68, a. 4) ? Dipende


dal significato della parola “peccatore”. Se si tratta di una persona che vive nel peccato e
intende rimanere nel peccato (mortale), è chiaro che non deve essere battezzata. Tale
battesimo sarebbe una menzogna perché le disposizioni del soggetto contradirebbero di fronte
i diversi fini del battesimo : l’unione a Cristo (impossibile se la volontà viene ostinatamente
fissata nel male) ; la purificazione dei peccati (contradetta dalla volontà di non uscire dal
peccato). Invece, se la parola “peccatore” significa una persona in stato di peccato ma
desiderosa di convertirsi, il battesimo è appunto fatto per questa persona !

La necessità di queste disposizioni – la fede e la conversione – fa problema. In effetti,


sembra che siamo presi in un “cerchio vizioso”. Da una parte, la fede e la conversione
sembrano richieste per poter accedere ai frutti del battesimo e, dall’altra parte, l’effetto del
battesimo è appunto dare la fede a chi lo riceve – il battesimo è illuminazione e la prima
domanda rituale è : “Che cosa chiedete alla Chiesa di Dio : la fede” – e procurare la
conversione che cancella i peccati. Se la fede e la conversione sono gli effetti del battesimo,

92
come mai ne sono i prerequisiti ? Inoltre, se la fede e la conversione precedono il battesimo, a
che serve il battesimo a chi è già giustificato ? Forse che il sacramento è solo il segno che
attesta la presenza nella persona di qualcosa (la grazia della fede) che non dipende dal
sacramento (concezione luterana del sacramento) ?

In realtà, per san Tommaso, il sacramento del battesimo produce lui stesso, quasi “per
anticipo”, le disposizioni richieste affinché sia ricevuto fruttuosamente. Non si tratta di
causalità efficiente giacché per causare nell’ordine della causalità efficiente bisogna esistere
in atto. Ora, prima di essere celebrato, il battesimo non esite. Si tratta piuttosto di causalità
finale. In considerazione del battesimo ancora da venire, Dio, per la mediazione di Gesù
Cristo, conferisce al catecumeno le grazie che lo orientano efficacemente verso il battesimo.
Le grazie che portano alla conversione o l’attuano comportano il votum baptismi, vale a dire
un orientamento verso il battesimo.

Possiamo allora distinguere due casi. 1/ Il catecumeno arriva al battesimo senz’aver


ancora ricevuto la grazia della giustificazione. Esso ha ricevuto delle grazie attuali che
l’hanno preparato alla fede (desiderio di credere, illuminazioni...) e alla conversione
(attrizione rispetto ai suoi peccati), ma non è ancora giustificato, vale a dire non è in stato di
grazia, non ha la grazia santificante. In quel caso, sarà il rito battesimale a produrre la
giustificazione. Il battesimo conferisce al catecumeno la fede formata dalla carità, e la
contrizione nascente dalla carità cancella i suoi peccati.

2/ Il catecumeno ha già ricevuto da Dio – che non ha legata la sua potenza agli
sacramenti – la grazia della fede e la grazia della giustificazione durante il suo camminare
verso il battesimo e in relazione con questo camminare. Al solito, questo cambiamento
interiore soprannaturale radicale (nuova nascita) non è percettibile in modo chiaro sul piano
psicologico (nessun può sapere con certezza di essere in stato di grazia). Ci sono soltanto
diversi segni che suggeriscono che il cambiamento è già avvenuto. Ma allora perché compiere
il rito ? Ci sono almeno tre ragioni. Badate bene che ciò che stiamo per dire vale non solo per
il catecumeno giustificato prima del rito ma anche per qualsiasi persona giustificata in modo
straordinario (Tommaso pensa ad esempio al bambino giustificato nel seno della madre [IIIa,
q. 68, a. 1, ad 3] ma possiamo pensare a tutti il giusti non cristiani):

* Il catecumeno giustificato prima della celebrazione non possiede la res et sacramentum,


cioè il carattere. Ora, il carattere, come già spiegato, integra la persona nella struttura
sacramentale della Chiesa e pertanto radica e di “stabilizza” la grazia nella persona. Il

93
carattere dispone in modo abituale e permanente la persona a ricevere la grazia. Senza il
carattere, scrive J.-H. Nicolas, “manca alla grazia d’essere ‘radicata’ nel soggetto, d’essere in
lui come in un campo ben preparato. Questa ‘preparazione’ consiste nel fatto di essere
membro della Chiesa che è il luogo proprio della grazia”. In breve, in assenza
dell’integrazione plenaria nella santa Chiesa operata dal carattere, la vita della grazia rimane
precaria e minacciata. Non è impossibile che un seme buono cada e germogli in luoghi poco
favorevoli alla vita, così grande è la potenza della vita. Pensate a quei alberi che crescono,
tutti storti, negli interstizi delle pietre dei muri ! Però, la pianta non potrà mai raggiungere il
pieno sviluppo in quei luoghi. Anzi, la sua esistenza rimarrà minacciata, finché non sia
trapiantata nel luogo adeguato. Parimenti, i “giusti” giustificati in modo non sacramentale e
pertanto non appartenenti alla struttura visibile della Chiesa, devono essere “trapiantati” nelle
santa Chiesa. Donde la necessità della missione e del battesimo presso i non cristiani anche se
stimiamo che tanti siano stati giustificati in modo straordinario.

* Nel battesimo sacramentale, la grazia è data in misura più abbondante e la remissione dei
peccati è “più perfetta”. In particolare, il sacramento cancella totalmente la pena del peccato,
mentre ciò non succede nella giustificazione avvenuta fuori del sacramento.

* Il battesimo sacramentale, essendo per natura un rito visibile, dà la certezza soggettiva della
giustificazione. Assolutamente nel caso dei bambini, con grandissima probabilità nel caso
degli adulti ben disposti.

5.1.3. Le disposizioni del catecumeno ed i frutti del battesimo

Nel caso dell'adulto, il carattere è senz’altro lo stesso in tutti quanti ricevono


validamente il battesimo. Invece, l’effetto di grazia del battesimo non è uguale in tutti ma è in
proporzione delle disposizioni personali del catecumeno. Meglio egli è preparato, più
abbondante è il frutto di grazia prodotto dal battesimo. Difatti, l’intenzione di ricevere il
battesimo è solo la causa removens prohibens (c’è o non c’è), mentre la fede e la conversione
sono delle disposizioni per così dire materiali che ammettono diversi gradi. Il desiderio di
convertirsi è più o meno intenso.

Certo, ogni battesimo cancella tutti i peccati e rimette tutte le pene del peccato, ma la
vita di grazia comunicata per mezzo del battesimo sarà più o meno intensa a seconda delle
disposizioni del catecumeno. Ricordatevi, tuttavia, che queste disposizioni sono già effetti

94
della grazia di Dio. Così, a chi vuol dare una grazia più abbondante, Dio infonde disposizioni
più perfette :

“Gli adulti, accedendo al battesimo per la fede propria, non sono ugualmente disposti
rispetto al sacramento : alcuni ci si accostano con maggiore devozione di altri. Quindi
ricevono la grazia del rinnovamento chi più e chi meno, come al medesimo fuoco si
scalda di più chi più si avvicina, sebbene il fuoco di per sé irradi ugualmente su tutti il
suo calore” (IIIa, q. 69, a. 8).

Questa dottrina incide sulla pastorale, mettendo in risalto quanto è importante la buona
preparazione al battesimo per i catecumeni adulti. Lo scopo di questa preparazione è di
suscitare nel catecumeno ottime disposizioni affinché riceva il sacramento nel modo più
fruttuoso possibile.

[Per questo motivo, nell’a. 3 della q. 68, san Tommaso spiega che, nel caso dell’adulto, è non
soltanto lecito ma può talvolta essere necessario non procedere al battesimo subito dopo la
conversione. Tanto più che, per l'adulto, il battesimo di desiderio, in caso di sventura, può
supplire al battesimo sacramentale. Ci sono tre (buoni) motivi che giustificano quel rimandare
della celebrazione :

* Il primo è un motivo di prudenza ecclesiale. Per non introdurre un lupo nell'ovile, occorre
che la Chiesa si assicuri della sincerità del catecumeno. Essa lo fa esaminando per qualche
tempo la sua fede e i suoi costumi morali.

* Il secondo motivo riguarda il bene del catecumeno stesso : è importante che possa prendere
tempo per ricevere una salda istruzione cristiana e esercitarsi nelle pratiche della vita cristiana
in modo di approfittare pienamente delle grazie del battesimo.

* Il terzo motivo riguarda il rispetto dovuto al sacramento. Nei primi tempi della Chiesa, la
celebrazione del battesimo veniva riservata alle grandi feste liturgiche (Pasqua, Pentecoste…).
Ma questo favorisce ancora il bene del catecumeno perché la solennità liturgica – diremmo la
qualità della celebrazione liturgica – aiuta la devozione dei partecipanti e, per tanto, fa che il
sacramento viene ricevuto in modo più fruttuoso.

Un quarto motivo è stato anche invocato, però non vale niente. Anzi, è stato all'origine
della grande crisi del battesimo nel IV° secolo. Bisognerebbe, si pensa, aspettare più possibile
prima di ricevere il perdono dei peccati per mezzo del battesimo, perché i peccati commessi

95
da chi ha già ricevuto il battesimo sono più gravi e non possono mai essere perdonati in un
modo così perfetto che nel battesimo. San Tommaso risponde evidenziando quanto quel
motivo rivela una triste mancanza di fede nella potenza della grazia conferita dal battesimo
per superare il peccato :

“Il battesimo con la grazia che conferisce non solo toglie i peccati passati, ma impedisce
anche che ne vengano commessi per il futuro. E questa è la cosa più importante: che gli
uomini non pecchino. È invece cosa secondaria che essi pecchino più leggermente, o
che i loro peccati vengano rimessi” (IIIa, q. 68, a. 3, ad 3)]

5.1.4. Il problema della “finzione”

Il fictus in teologia è “colui che fa finta” – il simulatore, il bugiardo –, vale a dire colui
che agisce esternamente in un modo che contraddice e maschera le sue disposizioni interiori.
Ad esempio, chi riceve il sacramento del battesimo mentre, dentro di lui, rifiuta sia il rito
stesso del battesimo (non vuol ricevere il sacramento) sia gli effetti del battesimo (non vuol
cambiare vita).

Nel primo caso, la persona non intende sottomettersi al rito battesimale come azione
sacra : non ha nessuna intenzione di riceverlo. Questo difetto d’intenzione viene solitamente
manifestato dall’atteggiamento concreto : il fictus non prende sul serio il rito. In quel caso, il
sacramento è puramente e semplicemente invalido.

Nel secondo caso, il simulatore (Tizio), pure volendo ricevere il battesimo (per poter
sposare la cattolicissima Tizia), non aderisce affatto alla fede della Chiesa e/o non vuol per
niente rinunciare al peccato (restituire i soldi rubati ai suoi genitori per festeggiare il
matrimonio con Tizia) e convertirsi. In questo caso, il battesimo è valido. Tizio riceve
realmente il carattere (così che il matrimonio con Tizia sarà valido e sacramentale). Il
carattere ricevuto per mezzo del rito sacramentale è finalizzato dalla grazia sacramentale.
Però, non è in grado di produrla a quel momento a causa dell'opposizione posta dalle cattive
disposizioni personali di Tizio. Queste cattive disposizioni costituiscono un ostacolo (obex).
Sono paragonabile alla pietra che ostruisce la fonte e impedisce che sgorghi. Il carattere
rimane, ma privato del suo frutto “normale”. Si tratta di una situazione “contro natura”.

Ora, conquistato dalla fede raggiante di Tizia, sua moglie, e proseguito dalle grazie di
Dio, Tizio finalmente si converte a Cristo. Allora, l’ostacolo (obex) sparisce e il sacramento
interiore ossia il carattere produce subito il proprio frutto di grazia. Si dice allora che il

96
sacramento rivive (donde la dottrina della “reviviscenza” del sacramento). San Tommaso
propone un’analogia ricavata dal campo della fisica. Il genitore comunica al generato una
forma determinata con tutte le sue proprietà che ne derivano. Però, a causa di un ostacolo,
questa forma comunicata non può dispiegare tutte le proprietà né produrre tutti i propri effetti
finché rimane l'ostacolo. Per esempio, la giumenta nel generare il puledro gli comunica la
capacità di galoppare e di saltare, proprietà intrinseche dell’essenza del cavallo. Però, se
qualche malintenzionato lega le zampe del puledro appena nato, costui non potrà fare uso di
questa virtù, finché qualcun’altro (causa removens prohibens) lo scioglie.

Come sparisce l’obex ? Semplicemente per mezzo della conversione e della penitenza.
Appena il battezzato rinuncia alla finzione, vale a dire appena accoglie la vera fede o/e decide
di convertirsi sul serio, il sacramento produce tutti i suoi effetti. Per tanto, il battesimo,
riprendendo vita, cancella il peccato originale, tutti i peccati commessi prima del battesimo e
tutte le pene legate a questi peccati. Invece, i peccati commessi dopo il battesimo infruttuoso
(compreso il peccato stesso di finzione) sono rimessi soltanto dalla penitenza e, in questo
caso, non c’è piena remissione sacramentale delle pene dovute al peccato. Bisogna fare delle
opere di soddisfazione.

“Effetto del battesimo non è di togliere i peccati futuri, ma i presenti e i passati. Quindi,
tolta l’indisposizione, i peccati commessi dopo il battesimo vengono rimessi, ma in
forza della penitenza, non del battesimo. Conseguentemente non viene rimesso tutto il
loro debito di pena, come per i peccati precedenti al battesimo” (IIIa, q. 69, ad 3).

5.2. Il caso dei bambini

Il “pedobattesimo” ossia battesimo dei bambini (prima dell’età della discrezione) pone
problemi assai specifici. Pertanto, prima di riflettere sul modo in cui le tesi sulle disposizioni
richieste al catecumeno per il battesimo vengono applicate nel caso dei bambini, occorre dare
qualche riferimenti basilari sulla pratica e la teologia del battesimo dei bambini.

5.2.1. Il battesimo dei bambini: una pratica tradizionale

5.2.1.1. Nel Nuovo Testamento

Il Nuovo Testamento non parla esplicitamente del battesimo dei bambini. I battezzati
menzionati sono tutti adulti. Tuttavia, quattro volte, si parla del battesimo della casa intera (At
16, 15 ; 16, 31 et 33 ; 18, 8 ; 1 Co 1, 16). Ora, in quel tempo, la “casa” rimanda alla famiglia

97
allargata, compresi i servi, anzi le relazioni professionali e gli amici. Quindi, non è
impossibile che dei bambini siano stati battezzati in queste circostanze. In favore della pratica
primitiva del pedobattesimo milita anche l’analogia tra battesimo e circoncisione: i due riti
introducono nel popolo dell'alleanza. Ora, la circoncisione veniva praticata sui bambini otto
giorni dopo la nascita. Un altro indizio della probabile pratica del pedobattesimo è la parola
di Gesù : “Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli” (Mt 19,
14), la quale potrebbe avere un significato battesimale.

5.2.1.2. Le prime testimonianze

Comunque, già nella fine del secondo secolo, molti documenti epigrafici attestano la
pratica del battesimo dei bambini sia direttamente sia indirettamente ad esempio nel attribuire
a dei bambini il titolo di “figli di Dio”, riservato ai battezzati. Alla stessa epoca appaiono i
primi testi che presentano il pedobattesimo come una pratica corrente. Per esempio, circa 180,
san Ireneo dice che Cristo ha santificato tutte le età della vita umana : “Gesù è venuto, in
effetti a salvare tutti gli uomini : tutti quelli che per mezzo di lui sono rinati in Dio (qui per
eum renascuntur in Deum), bambini, giovani e persone anziane” (IRENEO, Adversus Haereses,
II, 22, 4). Nel terzo secolo, il pedobattesimo è una pratica diffusissima. Così, nella Tradizione
apostolica di sant’Ippolito – il primo rituale conosciuto, datato di circa 215 – la liturgia
battesimale inizia col battesimo dei bambini :

“Al canto del gallo, per prima cosa si preghi sull’acqua. [...] Si spoglino. Battezzate per
primi i bambini. Tutti quelli che sono in grado di rispondere da sé, rispondano ; per
quelli che non sono in grado, rispondano i genitori o qualcuno della famiglia. Battezzate
poi gli uomini ed infine le donne...”

Tuttavia, in Africa, Tertulliano, pure accennando indirettamente questa pratica,


raccomanda di non conferire il battesimo prima che le passioni giovanili siano calmate.
Differire il battesimo lo preoccupa tanto meno che la sua dottrina sul peccato originale è assai
deficiente : “Perché questa età innocente [innocens aetas] ha così fretta di ricevere la
remissione dei peccati ?” (De baptismo, XVIII, 4-6). Però un concilio africano, riunito intorno
a san Cipriano, dichiara : “Non si può negare la misericordia e la grazia di Dio a nessun uomo
che viene all'esistenza” e lo stesso Sinodo, richiamandosi all’“uguaglianza spirituale” di tutti
gli uomini “di qualsiasi statura ed età”, decretò che si potevano battezzare i bambini “già dal
secondo o terzo giorno dopo la nascita” (Lettera 64).

98
Origene, nella prima metà del terzo secolo, sostiene che questa pratica risale agli stessi
apostoli :

“La Chiesa ha ricevuto dagli apostoli la tradizione di amministrare il battesimo anche


ai parvuli. Perché gli uomini a cui furono trasmessi i segreti dei misteri divini, sapevano
che c’era in tutti (in omnibus) delle reali sozzure dovute al peccato, che dovevano essere
lavate per mezzo dell’acqua e dello Spirito” (ORIGENE, In Rom. 5, 9).

Molti secoli dopo, il concilio di Trento non dirà altro :

“Secondo questa norma di fede per tradizione apostolica anche i bambini, che non
hanno ancora potuto commettere peccato, vengono veramente battezzati, affinché in essi
sia purificato con la rigenerazione quello che contrassero con la generazione. Se, infatti,
uno non rinasce per l’acqua e lo Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio [Gv 3,
5]” (Dz-H., n° 1514).

5.2.1.3. La crisi del pedobattesimo

Nel quarto secolo, benché nessuno contesti la validità del battesimo dei bambini, il
pedobattesimo è ben lunghi dall’essere una pratica universale. Alcuni genitori – tra i quali
santa Monica ! – differiscono il battesimo dei figli. Anche gli adulti esitano prima di chiedere
il battesimo. Molti aspettano l’approccio della morte per essere battezzati in extremis. Difatti,
i battezzati sono sottomessi a rigorose esigenze morali, che molti esitano ad imporre ai
giovani, tanto più che la disciplina penitenziale per i battezzati caduti nel peccato è
severissima. Parecchi Padri della Chiesa, tanto in Oriente quanto in Occidente, hanno reagito
contro la pratica di differire il sacramento. San Giovanni Crisostomo, per esempio, benché
non sia perfettamente chiaro sulla questione del peccato originale, osserva che il battesimo
comporta molti benefici oltre la remissione dei peccati :

“Sia glorificato Iddio, che solo opera meraviglie ! Hai notato il cumulo dei doni del
battesimo? A molti sembra che il suo unico dono sia la remissione dei peccati, ma noi
abbiamo enumerato ben dieci grazie e perciò noi battezziamo anche i bambini, che pure
non hanno alcun peccato, perché anche a loro vengano concessi : santificazione,
giustizia, adozione filiale, eredità, fratellanza, onore di essere membra di Cristo e
divenire abitazione dello Spirito” (Giovanni Crisostomo, Catechesi battesimale, III, 6).

99
Comunque sia, senza essere universale, la pratica del battesimo dei bambini è,
nell'epoca di sant’Agostino, unanimemente ritenuta tradizionale e valida, a tal punto che fa da
argomento teologico nella famosa controversia contro i pelagiani.

5.2.2. Il battesimo dei bambini nella teologia di sant’Agostino

San Agostino si è interessato ben presto al significato del battesimo dei bambini. Nel
388, vale a dire subito dopo la sua conversione, riflettendo sul tema della libertà, egli scrisse :

“È certamente arduo problema quello del giovamento che ricevono i bimbi della prima
infanzia con l'uso dei sacramenti. Per fede si deve ammettere che se ne ha un certo
giovamento. La ragione lo troverà, quando si renderà indispensabile la ricerca” (De
quantitate animae, XXXVI, 80).

Come si capisce, il battesimo dei bambini è, per Agostino, prima di tutto, un fatto, un dato
della tradizione.

2.2.1. Lex orandi, lex credendi

Dal punto di vista della teologia fondamentale, è molto interessante evidenziare come
la teologia battesimale di sant’Agostino si presenta come l’esplicitazione della tradizione
ossia come una riflessione prendente le mosse da un certo dato di tradizione, nella fattispecie
una pratica liturgica. Lex orandi, lex credendi. Difatti, la pratica della non reiterazione del
battesimo è il fulcro della controversia anti-donatista, mentre la pratica del battesimo dei
bambini è quello della controversia anti-pelagiana. Per sant’Agostino, il battesimo dei
bambini è una tradizione proprio apostolica.

“Questa è la tradizione che tutta la Chiesa conserva nel battesimo dei neonati, che
certamente non possono ancora credere col cuore per avere la giustizia, né confessare
con la bocca per avere la salvezza [...]. Essi, anzi, coi loro pianti e vagiti, quando su di
loro si celebra il mistero, coprono perfino il suono delle parole misteriose ; eppure,
nessun cristiano oserà dire che si battezzano a vuoto [inaniter]” (De baptismo 4, 24, 31)

Poi egli aggiunge :

“Se poi su questo si volesse cercare l'avallo dell'autorità divina, è molto ragionevole
credere che una prassi conservata da tutta la Chiesa e non istituita dai concili, ma
sempre conservata, non può averla tramandata che l’autorità degli Apostoli” (ibid.)

100
Il dato della Tradizione definisce il quadro della riflessione teologica come
intelligenza della fede. Benché sia compito del teologo valutare se una pratica è davvero
tradizionale o meno, non spetta al teologo giudicare la Tradizione, ancora meno cambiarla a
seconda delle sue idee. La Tradizione è il punto di partenza della riflessione teologica, che ne
cerca il significato e ne dispiega le implicazioni dottrinali.

Quest’atteggiamento si avvera nelle due fasi della riflessione di sant’Agostino sul


pedobattesimo: prima della crisi pelagiana e durante la crisi. Prima della controversia anti-
pelagiana, il problema che lo preoccupa è quello dell’articolazione tra il rito battesimale e la
fede : come mai il bambino, incapace di porre un qualsiasi atto libero e cosciente, può essere
battezzato nella fede ? Poi, con la controversia anti-pelagiana, viene a galla il legame tra il
battesimo e il peccato originale : che cosa significa nel caso del bambino ricevere il battesimo
“per il perdono dei peccati” ?

5.2.2.2. Il battesimo dei bambini prima della controversia anti-pelagiana: il ruolo della fede

Sant’Agostino tratta esplicitamente del ruolo della fede nel battesimo dei bambini
nella Lettera 98, scritta circa 408 per rispondere ad alcuni problemi sollevati dal vescovo
Bonifacio.

5.2.2.2.1. Le perplessità di Bonifacio

Bonifacio prova una doppia perplessità di fronte alla pratica del battesimo dei
bambini. Primo,

“Mi chiedi ‘se i genitori arrecano danno ai loro bambini battezzati, quando cercano di
guarirli con sacrifici offerti ai demoni. E, se non arrecano danno, in qual modo può
giovare loro, nell'atto di essere battezzati, la fede dei genitori, dei quali non può nuocere
loro la perfidia ?’” (Lettera 98, n° 1).

Se la fede dei genitori giova al bambino nel sacramento del battesimo, sembra che, nello
stesso modo, la loro empietà debba nuocergli.

Secundo, come mai quelli che presentano il bambino al battesimo possono, interrogati
dal ministro, rispondere in verità al posto suo : “Credo”, mentre, in realtà il bambino non
crede (e non possiamo neanche essere sicuri che crederà più tardi) ?

5.2.2.2.2. La Chiesa presenta il bambino al battesimo

101
Per rispondere, sant’Agostino distingue due forme di solidarietà tra i genitori ed il loro
bambino. La prima è la solidarietà carnale: il bambino, quanto alla propria origine, è tutt’uno
con loro. Appunto, è questa solidarietà carnale che fa che il bambino contragga il peccato
originale. Ma, appena il bambino comincia a sviluppare la propria vita morale, egli non è più
responsabile dei peccati dei suoi genitori, i quali non possono più nuocergli direttamente
senza il suo consenso.

Ma esiste anche tra genitori e bambino una solidarietà spirituale, opera dello Spirito
santo. Ora, è appunto in virtù di questa solidarietà spirituale che i genitori presentano il
bambino al battesimo. Essendo opera della Spirito santo, tale solidarietà trascende le
disposizioni soggettive dei genitori, ad esempio la loro eventuale mancanza di fede oppure
l’intenzione superstiziosa che li porta a chiedere il battesimo per il bambino. Quando i
genitori presentano il bambino al battesimo e rispondono a posto suo, non agiscono in nome
proprio ma come strumenti dello Spirito santo. Ora, l’azione dello Spirito santo non può
essere impedita in quel caso dalle cattive disposizioni degli strumenti di cui si serve.

“Non deve farti impressione il fatto che alcuni portano a far battezzare i bambini, non
già mossi dalla fede affinché vengano rigenerati alla vita dalla grazia spirituale, ma
perché credono che sia un rimedio per conservare o riacquistare la salute temporale.
Anche se i bambini non vengono presentati con la retta intenzione al battesimo, non per
questo non vengono rigenerati. Nella celebrazione del battesimo sono necessari i
ministri [= i genitori] e la formula sacramentale, senza la quale il bambino non può
essere battezzato, ma lo Spirito Santo abitante nell'anima dei santi, col fuoco della carità
dei quali è formata l'unica colomba coperta d'argento, compie i suoi effetti mediante il
ministero [servitus] di persone non solo ingenuamente ignoranti, ma anche
colpevolmente indegne.”

Visto che lo Spirito santo associa la Chiesa alla propria azione, i genitori diventano in
qualche modo gli strumenti della Chiesa, comunità animata dallo Spirito, in tal modo che, per
mezzo di essi, in ultima analisi, è la stessa Chiesa Madre che presenta i bambini al
battesimo :

“I bambini infatti vengono presentati al battesimo per ricevere la grazia spirituale non
tanto da coloro che li portano in braccio (benché lo siano pure da loro, se anch'essi sono
buoni fedeli) quanto da tutta la società dei santi e dei fedeli. Mi spiego: vengono
presentati con le dovute disposizioni da tutti coloro cui piace l'impegno assunto di

102
presentarli e dalla cui santa e inseparabile carità i bambini vengono aiutati a ricevere la
comunicazione dello Spirito Santo. Quest'azione è propria di tutta la madre Chiesa,
formata dai santi, poiché è proprio essa che dà alla luce tutti e singoli i fedeli” (Lettera
98, n° 5).

5.2.2.2.3. Il realismo sacramentale e la fede del bambino

Come mai, quando il ministro pone le domande rituali sulla conversione e la fede
richieste per ricevere il battesimo, i genitori possono garantire la conversione e la fede del
loro bambino ? Semplicemente, risponde sant’Agostino, perché, in virtù del realismo del
sacramento, cioè dell’efficacia del battesimo, il bambino per mezzo del sacramento è
veramente convertito e veramente credente. È dunque senz’altro vero rispondere nel nome del
bambino: “Credo !”. In quella occasione, sant’Agostino sottolinea in modo folgorante il
realismo sacramentale, incentrandosi sull’eucaristia: il sacramento attua, vale a dire rende
presente, ciò che significa.

“Cristo non s'è forse immolato da sé stesso una sola volta ? Eppure, nel mistero liturgico
s'immola per i fedeli non solo ogni ricorrenza pasquale, ma ogni giorno. E non mentisce
di certo chi, interrogato se Cristo veramente s'immola, risponde di sì. Poiché se i
sacramenti non avessero alcun rapporto di somiglianza con le realtà sacre di cui sono
segni, non sarebbero affatto sacramenti. Da tale rapporto di somiglianza prendono per lo
più anche il nome delle stesse realtà sacre. Così il sacramento del Corpo di Cristo è in
certo qual modo il Corpo di Cristo, il sacramento del Sangue di Cristo è lo stesso
Sangue di Cristo e il sacramento della fede [= il battesimo] è la fede stessa » (Ibid., n°
9).

Il vescovo d’Ippona spiega allora perché e in che senso il bambino nel battesimo è chiamato
un “fedele”, cioè un credente :

“Il bambino è reso fedele non da un atto volontario della fede simile a quello dei fedeli
adulti, ma dal sacramento della stessa fede [ipsius fidei sacramentum fidelem facit].
Poiché, allo stesso modo che il padrino risponde ch’egli crede, così pure si chiama
fedele non col dare l’assenso personale della sua intelligenza alla realtà, ma col ricevere
il sacramento della stessa fede [non rem ipsa mente annuendo, sed ipsius rei
sacramentum percipiendo]. Quando poi egli comincerà a capire, non avrà bisogno di un

103
nuovo battesimo, ma comprenderà il sacramento ricevuto e si conformerà, col consenso
della volontà, alla sua verità” (Ibid., n° 10).

In breve, senza possedere ancora la fede cosciente in atto, il neonato battezzato è, per la virtù
stessa del sacramento, messo in un rapporto con la fede tale da meritare già per anticipo il
nome di credente. Ma, appena verrà consentito dallo sviluppo delle sue facoltà spirituali, il
battezzato raggiungerà secondo il modo proprio agli adulti la realtà stessa e la verità del
sacramento, cioè la fede, almeno che vi mette un ostacolo personale. Resta da precisare – ciò
che Agostino non fa ma di cui si preoccuperà la teologia scolastica – quali sono i principi
propriamente ontologici che rendono ragione di questo realismo sacramentale e permettono di
affermare che il bambino ha davvero la fede.

Per il bambino, il sacramento della fede fa da fede. Così che, se il bambino venisse a
morire, sarebbe salvato, perché, come scrive sant’Agostino in una formula sbalorditiva : “Per
i bambini, credere è essere battezzati (credere infantibus [est] baptizari)” (De peccatorum
meritis, I, c. XXVII, 40).

5.2.3.3. La pratica del battesimo dei bambini implica il dogma del peccato originale

Con la controversia anti-pelagiana, l’attenzione di sant’Agostino si focalizza sul


legame tra battesimo e peccato originale. Difatti, benché la dottrina del peccato originario
abbia diversi altri fondamenti, cominciando dall’insegnamento di san Paolo nella Lettera ai
Romani, l’esistenza del peccato originale viene dedotta da sant’Agostino dalla pratica
tradizionale del battesimo dei bambini. In effetti, i bambini sono battezzati, come gli adulti,
“per la remissione dei peccati” e si fanno su di loro tutti i riti d’esorcismo. Per tanto, le cose
sono due: o il battesimo dei bambini non ha senso (posizione logica dei pelagiani) oppure ha
senso e, in quel caso, occorre che i bambini siano di qualche modo peccatori. Sant’Agostino
respinge ovviamente la prima ipotesi e di conseguenza afferma che i bambini nascono in stato
di peccato e di inimicizia rispetto a Dio. Là ancora, le cose sono due. I bambini sono colpevoli
sia di un peccato personale sia di un peccato ereditario, il peccato originario. La prima ipotesi
essendo inconsistente, ne consegue che la pratica del battesimo dei bambini è la prova
dell'esistenza del peccato originale.

Tra i numerosi testi significativi in cui sant’Agostino deduce l'esistenza di un peccato


originario a partire dal pedobattesimo, ne trattengo solo uno :

104
“La fede cristiana, che i nuovi eretici hanno incominciato a combattere, non mette in
dubbio che coloro, i quali vengono purificati nel lavacro della rigenerazione, siano
riscattati dal potere del diavolo, mentre coloro, i quali non sono stati ancora riscattati
con una tale rigenerazione, compresi i bambini nati da genitori riscattati, restino
prigionieri sotto il potere diabolico fino a quando non vengono riscattati anch'essi dalla
stessa grazia di Dio. Non abbiamo dubbi infatti che a tutte le età si estenda quel
beneficio di Dio, di cui parla l'Apostolo: ‘Egli ci ha strappati dal potere delle tenebre e
ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore’. Chi nega che i bambini al momento
del battesimo vengono strappati da questo potere delle tenebre, di cui è principe il
diavolo, cioè dal potere del diavolo e dei suoi angeli, viene messo a tacere dalla verità
degli stessi sacramenti della Chiesa, che nessuna novità eretica può distruggere o mutare
nella Chiesa di Cristo, perché il capo regge e aiuta l'intero suo corpo, piccoli e grandi.
Realmente, dunque, e non falsamente viene esorcizzato il potere diabolico nei bambini,
che vi rinunciano con il cuore e con la bocca di chi li porta, non potendolo fare
personalmente, affinché liberati dal potere delle tenebre siano trasferiti nel regno del
loro Signore. Cosa c'è dunque in essi che li tiene sotto il potere del diavolo, finché non
ne vengono liberati per mezzo del sacramento del battesimo di Cristo? Cosa c'è se non il
peccato ? Nient'altro infatti ha trovato il diavolo che gli permettesse di sottomettere al
suo potere la natura umana, che un Creatore buono aveva creato buona. Ma i bambini
nella loro vita non hanno commesso nessun peccato personale; non rimane quindi che il
peccato originale, a causa del quale sono prigionieri sotto il potere del diavolo, a meno
che non vengono liberati dal lavacro della rigenerazione e dal sangue di Cristo e non
passano nel regno del loro Redentore, dopo che è stato reso vano il potere di colui che li
teneva asserviti e dopo che è stato loro dato il potere di diventare da figli di questo
secolo figli di Dio » (De nuptiis et concupiscentia, I, XX, 22)

2.3. La ripresa da parte di san Tommaso

Nel sed contra dell’articolo 9 della q. 68, in cui tratta esplicitamente del
pedobattesimo, san Tommaso accenna, per mezzo di un testo di Dionigi, al carattere
tradizionale, anzi apostolico, di questa pratica : “Dionigi afferma che ‘le nostre divine guide’,
cioè gli Apostoli, ‘consentirono l'ammissione dei bambini al battesimo’”. Nel corpo
dell'articolo, san Tommaso stabilisce prima di tutto la necessità di battezzare i bambini
appoggiandosi alla dottrina del peccato originale e della rigenerazione in Cristo : “Fu quindi
necessario battezzare i bambini, perché, come nascendo incorrono la dannazione per via di
105
Adamo, così per via di Cristo conseguano la salvezza rinascendo”. Poi, Tommaso aggiunge
un’altissima convenienza del pedobattesimo, ispirandosi a Dionigi : “Fu opportuno battezzare
i bambini anche perché, nutriti nelle cose della vita cristiana fin dall'infanzia, perseverino in
essa più saldamente”. Quest’ultimo argomento non è di poco peso : è importantissimo che
quando la persona comincia la vita personale, cioè quando sta per porre i primi atti liberi che
spesso conferiscono alla propria esistenza un orientamento decisivo, lo faccia in un ambiente
spirituale favorevole.

San Tommaso tratta le questioni relative alle disposizioni del catecumeno nel caso dei
bambini nelle risposte alle obiezioni dell’a. 9 della q. 68 : egli abborda la questione
dell'intenzione (arg. 1 et ad 1) e poi quella della fede (arg. 2 e ad 2).

5.2.3.1. “Come un bimbo in braccio a sua Madre”: L’intenzione di ricevere il sacramento

5.2.3.1.1. Principio generale di soluzione

I bambini non possono ricevere il battesimo, perché, essendo privi dell’uso del libero
arbitrio, non possono avere nessuna intenzione. Né quella di ricevere il battesimo neanche
un’altra. Anzi, talvolta, sembra che si oppongano al battesimo, come nota l’Aquinate nel ad
1 : “Talvolta resistono e piangono” ! Ora senz’intenzione, non c’è battesimo.

Nello Scriptum, san Tommaso sembrava negare la necessità dell’intenzione nel


battesimo dei bambini. Difatti, in quel momento, egli riteneva che l'intenzione dei battezzandi
fosse richiesta innanzitutto per togliere l’ostacolo che la volontà cattiva potrebbe porre al
dispiegarsi dell’efficacia del sacramento. Ora, il bambino, appunto perché non fa uso della sua
volontà, non pone nessuno ostacolo all’azione del sacramento. Quindi, non c’è bisogno
dell’intenzione.

Nella Somma di teologia, confrontato alla stessa obiezione, san Tommaso risponde
diversamente : i bambini non hanno effettivamente nessuna intenzione propria, ma
l’intenzione di quelli che li presentano al battesimo e, in senso più ampio, l’intenzione della
Chiesa, sostituisce l’intenzione mancante. I bambini vogliono essere battezzati… mediante la
volontà di quelli che li presentano.

“I bambini, come non prendono il cibo da sé quando sono ancora nel seno materno, ma
vengono sostentati dal nutrimento della mamma, così finché non hanno l'uso di ragione
e vivono quasi nel seno della madre Chiesa (quasi in utero matris Ecclesiae constituti),

106
non si applicano la salvezza da sé stessi, ma per mezzo della Chiesa” (IIIa, q. 68, a. 9,
ad 1).

Quindi, la questione è : in virtù di quale legame ossia di quale diritto, la Chiesa


s’incarica di questi bambini ?

5.2.2.1.2. La mediazione dei genitori

Secondo il diritto naturale, il bambino è immediatamente affidato all'autorità dei


genitori (non dello Stato !). Spetta dunque ai genitori, o a quelli che agiscono in qualità di
genitori (come i tutori nel caso degli orfani), di presentare il bambino al battesimo. Secondo il
CIC, basta il consenso di uno dei genitori (can. 868, § 1).

San Tommaso solleva nell’a. 10 della q. 68 la seguente domanda : “Se i bambini dei
Giudei o di altri infedeli siano da battezzarsi contro la volontà dei genitori ?” La questione è
stata molto discussa nel Medioevo e non ha perso oggi la propria rilevanza (se non pratica,
almeno teorica) poiché questo tema contiene in nuce gli sviluppi dottrinali ulteriori sul diritto
alla libertà religiosa. In modo generale, i tomisti (bisogna leggere la vigorosa perorazione di
Giovanni Cabrol [Capreolus]) si sono opposti all'insegnamento di Giovanni Duns Scoto, il
quale riteneva che fosse legittimo, anzi meritorio, da parte del principe cristiano togliere il
bambino ai genitori non cristiani per farlo battezzare ed educare in modo cristiano : “Non
solum licet, sed debet princeps auferre parvulos a dominio parentum volentium educare contra
cultum Dei, qui est supremus et honestissimus dominus et debet eos applicare cultui divino »
(In IV Sent., d. 4, q. 9). Questo tema è uno spartiacque tra i teologi tomisti, i quali riconoscono
l’esistenza del diritto naturale fondato sull’ordine naturale stabile ed autonomo (gli stessi
tomisti nel XVI° secolo difenderanno, basandosi sui medesimi principi, il diritto naturale alla
proprietà per gli Indiani d’America), e i teologi che tendono a cortocircuitare o perlomeno a
sottovalutare l'ordine naturale col pretesto di dare più spazio al soprannaturale.

Per ora, mi limito a presentare la posizione di san Tommaso nella Somma di teologia.
L’Aquinate distingue il caso dei bambini che sono già in grado di usare la ragione (i quali
possono liberamente decidere di essere battezzati anche contro la volontà dei genitori) e
quello dei bambini ancora privi dell’uso della ragione. In quest’ultimo caso, il bambino, in
virtù del diritto naturale, è sotto la responsabilità morale dei genitori e la Chiesa non può
andare contro l’ordine naturale stabilito da Dio stesso. Sarebbe come battezzare qualcuno
contro la propria volontà, dice l'Aquinate. Inoltre, non sarebbe senza pericolo battezzare così i

107
bambini poiché il loro affetto naturale per i loro genitori li riporterebbe facilmente
all'infedeltà.

La Chiesa ha fissato la propria posizione, a metà del Settecento, con tre lettere di papa
Benedetto XIV che pure rispondendo a dei casi precisi hanno nondimeno un valore
magisteriale universale (Dz-H, n° 2552-2562). Il battesimo conferito ai bambini dei non
cristiani contro la volontà oppure all’insaputa dei genitori è valido ma gravemente illecito.
Tuttavia, in caso di pericolo imminente di morte, la Chiesa ritiene di aver il diritto, anzi il
dovere, di battezzare un bambino nonostante l’opposizione dei genitori. Tale battesimo in
articulo mortis è non solo valido ma lecito. In quel caso, il diritto naturale dei genitori cede in
qualche modo di fronte alle esigenze dell’ordine soprannaturale : la prospettiva della morte
imminente assolve in qualche modo il bambino dalla dipendenza naturale rispetto ai genitori.

Ma che succede se il bambino così battezzato in periculo mortis sopravvive ? Due


clamorose affari storiche hanno portato la domanda sul primo piano. A meta del Ottocento, la
domestica cristiana di una famiglia ebrea di Bologna negli Stati pontifici, i Mortara, battezza
all’insaputa dei genitori, il piccolo Edgardo, ritenendo che fosse in pericolo di morte. Ora, il
bambino si ristabilisce. Il battesimo viene ad essere conosciuto dalle autorità ecclesiastiche, le
quali decidono, nel 1858, di togliere Edgardo alla propria famiglia affinché riceva in un
istituto religioso adeguato l'educazione cristiana corrispondente al suo stato di battezzato.
Questo modo di fare era conforme alla teologia tradizionale e alle norme prescritte da
Benedetto XIV : il bambino battezzato ha il diritto di ricevere un'educazione cristiana e, per
tanto, la Chiesa ha il dovere di procurargli quest’educazione. Come in quel tempo il papa, Pio
IX, faceva da capo temporale degli Stati pontifici, egli poteva, nell’ordine civile, prendere le
misure necessarie per assicurare l'educazione cristiana di Edgardo Mortara (che del resto
diventerà canonico di San Giovanni Lateranense, poi missionario apostolico e professore di
teologia a Roma). Ciò detto, l’affare suscitò una vivissima emozione negli ambienti ebrei e fu
usata dai liberali per criticare il potere temporale del papa.

Difatti, nelle società secolarizzate che non tengono conto delle esigenze del diritto
soprannaturale, questo modo di fare è impossibile e, del resto, poco auspicabile. Nel 1953, un
affare simile ha infiammato la Francia, l'affare dei bambini Finally: una brava cristiana aveva
nascosto e battezzato dei bambini giudei orfani durante la persecuzione nazista, ma dopo la
guerra alcuni membri lontani della famiglia ebrea hanno richiamato i bambini, mentre la
donna non voleva restituirli. In quest’occasione, Ch. Journet, pure riconoscente l’esistenza di

108
un vero conflitto di diritti, raccomandò alla Chiesa di rinunciare all’esercizio del proprio
diritto a vantaggio del diritto naturale, più fondamentale. La Chiesa può soltanto affidare il
bambino così battezzato alla Provvidenza.

2.3.1.3. La libertà del bambino

Se i nostri antenati erano soprattutto preoccupati dal rispetto dei diritti dei genitori, i
nostri contemporanei sono molto più sensibili all’obiezione secondo cui il pedobattesimo
(come la circoncisione) attenterebbe gravemente ai diritti del bambino. Che diritto ha la
Chiesa o i genitori di imporre al bambino una determinata religione ? Difatti, per l’homo
liberalis contemporaneo, la persona diviene se stessa per la sua libertà, emancipandosi dalla
“tradizione”, vale a dire da tutto ciò che precede la libera scelta dell’individuo ed di
conseguenza viene ritenuto senza significato per il soggetto (il corpo, il sesso, la famiglia, la
patria, la propria cultura...). Anzi, i “dati” non scelti sembrano essere un ostacolo alla propria
libertà. In quel contesto culturale, la religione viene tollerata al massimo come la libera scelta
(infantile) della persona adulta.

Ci sono tre errori in questo modo di ragionare, purtroppo diffusissimo.

1/ La prima è di natura antropologica. È un'illusione, frutto del dualismo di tipo cartesiano


con la sua esaltazione della soggettività, credere che l’uomo possa essere definito dalla sola
libertà auto-creativa. Oltre il fatto d’essere creato e pertanto di dipendere radicalmente da Dio,
l’uomo è un essere incarnato, corporale, e, tramite il corpo, viene inserito in una tradizione :
ciascuno di noi nasce in una famiglia determinata, una nazione determinata..., dalle quali egli
riceve tutto ciò che gli consente di vivere da uomo e di essere libero : la lingua, la cultura, il
sistema di valori, la religione... La libertà vera non è “indifferenza” rispetto al bene e ai valori.
Pertanto, fuori delle tradizioni portatrici di sensi e di valori, la libertà non esiste. Nessuno
genitore si trattiene di parlare italiano al proprio bambino per timore di limitare la sua libertà !
Forse preferirebbe parlare francese ? Ma, per poter scegliere di parlare francese, bisogna
pensare e, per pensare, bisogna parlare ! Parimenti, nessuno genitore cristiano dovrebbe
esitare ad offrire al proprio bambino il bene superiore della vita di grazia cristiana. Ciò
facendo, i genitori mettono il bambino nelle giuste condizioni per raggiungere la vera libertà,
quella dei figli di Dio.

2/ Il secondo errore riguarda la morale. Ogni essere umano, già sul piano naturale, ha il
dovere di rendere a Dio il culto religioso, specialmente offrendo a Dio la propria persona.

109
Pertanto, nel consacrare il bambino a Dio nel battesimo (la consacrazione battesimale assume,
nel ordine soprannaturale, il dovere naturale di consacrarsi a Dio), i genitori, ben lontani da
violare un diritto del bambino oppure di imporgli un fardello opzionale, compiono un dovere
del bambino. San Tommaso dice questo in poche parole : “Per il battesimo non si contrae
altro obbligo che quello a cui ogni uomo è tenuto” (In IV Sent., d. 4, q. 3, a. 1, qla. 1, ad 2).
Nell’importante Istruzione di 1980, Pastoralis actio, sul battesimo dei bambini, la
Congregazione per la Dottrina della Fede osserva :

“Quando si pretende che il sacramento del battesimo comprometta la libertà del


bambino, si dimentica soprattutto che ogni uomo, anche non battezzato, in quanto è
creatura, ha verso Dio degli obblighi imprescrittibili, che il battesimo ratifica ed eleva
con l’adozione filiale. Si dimentica inoltre che il Nuovo Testamento ci presenta
l'ingresso nella vita cristiana non come una servitù o una costrizione, ma come l'accesso
alla vera libertà.”

Bisogna quindi evitare la trappola della pseudo-neutralità. Come se la libertà fosse un’istanza
neutra per cui Dio sarebbe un’ opzione, mentre in realtà la libertà creata viene finalizzata da
Dio.

3/ Il terzo errore è teologico e riguarda il primato della grazia. Esso consiste nell’invertire il
rapporto di precedenza tra la scelta fatta da Dio nella sua misericordia e la scelta fatta
dall’uomo in risposta alla scelta di Dio. È Dio che manifesta il suo amore premuroso per il
bambino facendolo nascere in una famiglia cristiana che lo consacra a Lui per la sua
salvezza.

5.2.3.2. La fede

Passiamo alla seconda obiezione contro il pedobattesimo nell’articolo 9 della q. 68. Il


battesimo è il sacramento della fede, intesa come risposta dell'uomo alla chiamata di Dio. Ora,
i bambini non hanno la fede. Dunque, non devono essere battezzati. Nella risposta, san
Tommaso si riferisce alla famosa lettera di sant’Agostino a Bonifacio per affermare che la
Chiesa stessa si incarica dei bambini. Essi sono battezzati “nella fede della Chiesa”, in fide
Ecclesiae, e ricevono nel battesimo il dono abituale della fede (vale a dire la fede come
habitus) in virtù del quale sono degli autentici credenti.

« Chi risponde Credo per un bambino che viene battezzato, non predice che il bambino
crederà, quando sarà giunto all'età della discrezione ; altrimenti direbbe Crederà ; ma

110
professa la fede della Chiesa in nome del bambino, il quale ne ottiene una
partecipazione, ne riceve il sacramento, e ne assume gli obblighi per interposta persona”
(IIIa, q. 72, a. 1, ad 3).

Il fatto che i bambini siano battezzati non in virtù della loro intenzione personale né
nella loro fede propria, ma in virtù dell'intenzione della Chiesa e nella fede della Chiesa
implica che gli effetti del battesimo sono uguali per tutti i bambini, a differenza di ciò che
succede dagli adulti le cui disposizioni soggettive incidono sugli effetti del battesimo.

Tuttavia, la fede presuppone qualche conoscenza minimale del mistero cristiano, così
che, nel caso dell'adulto, il battesimo viene necessariamente preceduto dalla catechesi. Che
succede per il bambino ? Dal momento in cui giunge all’età di discrezione, il battezzato è
tenuto ad assimilare in modo personale la fede della Chiesa in cui è stato battezzato, ciò che
comporta la necessità d’essere istruito sulla dottrina. Perciò, chi chiede il battesimo per un
bambino deve impegnarsi in coscienza ad assicurare questa catechesi, sia lui stesso sia con
l’aiuto altrui. Nelle nostre società secolarizzate, in cui la dottrina e i valori cristiani non sono
più veicolate dall’ambiente come un tempo fa, la Chiesa ha il dovere di esigere garanzie serie
da parte dei genitori.

“La Chiesa non può venire incontro al desiderio di questi genitori [poco credenti], se
essi non danno la garanzia che, una volta battezzato, il bambino riceverà l'educazione
cattolica richiesta dal sacramento ; essa deve avere la fondata speranza che il battesimo
porterà i suoi frutti” (Istruzione Pastoralis actio)

Quando non c’è nessuna speranza ragionevole che il bambino stia per ricevere
un’istruzione e un’educazione cristiane fossero minimali, bisogna differire il battesimo. Non
serve produrre apostasie in sequenza, neanche imporre alla gente obblighi troppo pesanti (ad
esempio, chi è battezzato non ha altra scelta che sposarsi in chiesa) ! In realtà sulla questione
pastorale dell’accoglienza, più o meno larga, dei bambini al battesimo si oppongono due
visioni della Chiesa. I sostenitori di una Chiesa più ‘confessante’, composta di pochi ma veri
credenti, sono solitamente favorevoli a limitare l'accoglienza al battesimo, col rischio di
allontanare gli uomini dalle sorgenti della grazia. Invece, i sostenitori di una Chiesa
‘multitudinaria’ raccomandano l’accoglienza a tutto campo delle richieste, col rischio di
ridurre il cristianesimo ad una religione sociologica. Non è facile trovare la retta via.

111
Capitolo 6 : La necessità del battesimo

“In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel
regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è
Spirito. Non ti meravigliare se t'ho detto : dovete rinascere dall'alto” (Gv 3, 5 -6).

Questi versetti hanno avuto una grandissima rilevanza per la Tradizione della Chiesa. Essi
significano che, secondo le stesso Signore Gesù, il quale ci rivela quali sono i liberi disegni
del Padre, l’ingresso degli uomini nel Regno di Dio, vale a dire la salvezza e la beatitudine,
dipende dal fatto d’essere battezzati. Il battesimo sembra quindi un mezzo necessario per
ottenere la salvezza.

Le generazioni cristiane che ci hanno preceduti hanno preso molto sul serio questa
necessità del battesimo per essere salvato. Certo, da sempre si sa che esistono, almeno per gli
adulti, delle “supplenze” al battesimo sacramentale. Ma, nella mentalità comune, queste
supplenze avevano una portata ristrettissima. La convinzione generale era che, con rarissime
eccezioni, chi muore senza essere stato battezzato viene escluso senz’altro dalla salvezza.
Tale convinzione ha profondamente segnato le mentalità cristiane. Essa ha nutrito la paura,
anzi l’ossessione, che i bambini muoiano senza battesimo e, pertanto, ha portato alla
consuetudine di battezzarli subito dopo la nascita. Nella stesso modo, ha portato a ritenere il
battesimo ad ogni costo il fine principale della missione cristiana, essendo il battesimo l’unico
modo di strappare le anime all’inferno.

Oggi, la mentalità comune dei cristiani si è, per così dire, invertita a tal punto che la
necessità del battesimo viene alquanto trascurata. I motivi sono molti. Ne indico due, molto
generali. Dapprima, si è molto indebolita la dimensione drammatica ed escatologica della
salvezza cristiana. La “salvezza” non sembra più questione di vita o di morte (eterne). L’idea
che la vita umana trovi il pieno compimento soltanto nell'aldilà è diventata straniera per molti
cristiani. L’adesione al cristianesimo è sempre più motivata dalla sua presunta efficacia
quaggiù : la fede cristiana è buona in quando mi porta hic et nunc la salvezza, la quale spesso
viene identificato al benessere e allo sviluppo personale. Inoltre – effetto perverso della pure
bellissima “riscoperta” della misericordia come attributo centrale di Dio –, la salvezza viene
sempre di più percepita come un “diritto acquisito”. Come potrebbe un Dio così buono
mandarmi in inferno ? Sembra difficile non essere salvato !

112
In questa prospettiva, le mediazioni istituzionali, quindi particolari, della salvezza
cristiana (l’appartenenza alla Chiesa, l’uso dei sacramenti...) sono svalutate e spesso percepite
come dei fattori di esclusione (il sommo peccato oggi !) rispetto all'universalità dell’offerta
della salvezza. Così, la necessità del battesimo per essere salvato è diventata un’idea strana,
anzi scandalosa. Il battesimo ci porta forse un “più”, ma non è affatto una necessità vitale. La
riduzione odierna del cristianesimo alla “morale” (umanitarista) porta alla stessa
sottovalutazione della necessità dei sacramenti. Ci sono (dicono) tante persone non battezzate
che sono altruiste, “caritevoli”, spesso molto di più dei battezzati ! Questo indica che ciò che
conta non è di essere battezzato o meno.

Per chiarare un alquanto questa questione, che coinvolge molto di più della sola
teologia del battesimo, procederemo in tre tappe. Nella prima, presenteremo la natura della
necessità del battesimo sacramentale nella teologia classica di san Tommaso (1). Poi, verrà
contemplata la dottrina tradizionale delle “supplenze” al battesimo, la quale è stata il posto
originario, ossia la matrice, della riflessione teologica sulla salvezza dei non-cristiani e per
tanto l’“antenato” dell’odierna teologia cristiana delle religioni non cristiane (2). Infine, verrà
abbordato il problema delicatissimo della sorte dei bambini che muoiono senza il battesimo
(3).

6.1. La necessità del battesimo per essere salvato

Un mezzo viene detto ‘necessario’ quando, senza di lui, non posso di nessuno modo
raggiungere il fine proseguito. Se voglio vivere, è necessario che respiri e mangi. Pertanto, se
voglio il fine, sono costretto, “obbligato”, di usare questi mezzi. Questa obbligazione non è
una costrizione arbitraria e tutt’estrinseca ma risulta logicamente dal volere effettivo del fine.
Essa viene inclusa nel volere del fine. Chi vuole il fine, vuole i mezzi che sono soli in grado di
portarlo al fine. Invece, non sono obbligato di prendere l’aereo per andare da New York a
Roma: potrei anche andarvi con la nave oppure nuotando !

Per san Tommaso, quando si parla di necessità a proposito di un sacramento, si tratta


della necessità rispetto al fine della salvezza (necessitas salutis), vale a dire la vita eterna. Si
distinguono la necessità assoluta (simpliciter) quando è impossibile raggiungere il fine senza
questo mezzo e la necessità relativa quando questo mezzo non è indispensabile per
raggiungere il fine, benché permetta di raggiungerlo in modo migliore. Ora, il fine della
persona umana non è altro che la beatitudine consistente nella visione dell’essenza divina. Per
raggiungere quel fine è assolutamente necessario (come l’abbiamo già spiegato a proposito

113
della giustificazione) il dono della grazia che ci proporziona a quel fine soprannaturale e ci
rende capaci di raggiungerlo. La grazia – la grazia santificante – non è un mezzo qualunque,
tra tanti altri, rispetto alla salvezza. Essa è assolutamente necessaria. Dio non può salvare un
uomo senza dargli la grazia. Sarebbe come produrre un cerchio quadrato.

Questa grazia, Dio, nella sua sovrana libertà, ha scelto di comunicarla agli uomini,
sempre e ovunque, per mezzo di Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato, il quale è per così dire il
“sacramento primordiale”.

“Gli uomini sono tenuti a ciò che è indispensabile per conseguire la salvezza. Ma è
chiaro che nessuno può conseguire la salvezza che per mezzo di Cristo; di qui le parole
dell’Apostolo : ‘Come per il peccato di uno solo è venuta su tutti gli uomini la
condanna, così anche per il merito di uno solo viene su tutti gli uomini la giustificazione
che dà la vita’ (Ro 5, 18)” (IIIa, q. 68, a. 1).

Dall'unicità della mediazione di Gesù Cristo deriva la legge fondamentale secondo cui,
nell’economia della salvezza voluta da Dio, non c’è salvezza fuori di Gesù Cristo. “In nessun
altro c’è salvezza ; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è
stabilito che possiamo essere salvati” (At 4, 12). Soltanto quelli che sono incorporati a Gesù
Cristo e pertanto partecipano alla vita soprannaturale di cui Egli è il principio e la fonte
possono essere salvati. Non c’è una altra grazia fuori di quella che viene da Gesù Cristo e
porta a Gesù Cristo. Chi la penserebbe diversamente, uscirebbe dalla fede cristiana.

Inoltre, come la Chiesa non è altro che il Corpo mistico di Cristo, cioè la comunità di
quanti sono incorporati a Gesù Cristo e vivono dalla sua grazia, è lecito dedurre la famosa e
ingiustamente criticata regola : “Al di fuori della Chiesa non v’è salvezza”.

Tuttavia, la necessaria incorporazione a Cristo e la non meno necessaria appartenenza


alla Chiesa possono attuarsi in diversi modi. Tutti questi modi comportano la fede, almeno la
fede implicita o ancora la fede nello stato di habitus. “Senza la fede è impossibile essere
graditi a Dio” (Eb 11, 6). La via ordinaria voluta da Dio per che fossimo incorporati a Gesù
Cristo per mezzo della fede è il battesimo, chiamato appunto “sacramento della fede” e quindi
porta d’ingresso nella Chiesa :

“Il santo Concilio basandosi sulla sacra Scrittura e sulla tradizione, insegna che questa
Chiesa peregrinante è necessaria alla salvezza. Solo il Cristo, infatti, presente in mezzo
a noi nel suo corpo che è la Chiesa, è il mediatore e la via della salvezza ; ora egli

114
stesso, inculcando espressamente la necessità della fede e del battesimo (cfr. Gv 3,5), ha
nello stesso tempo confermato la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano
per il battesimo come per una porta. Perciò non possono salvarsi quegli uomini, i quali,
pur non ignorando che la Chiesa cattolica è stata fondata da Dio per mezzo di Gesù
Cristo come necessaria, non vorranno entrare in essa o in essa perseverare” (VATICANO
II, Lumen gentium, n. 14)

6.2. Le “supplenze” al battesimo per l’adulto

La Chiesa, appoggiandosi alle parole esplicite del suo Signore, insegna dunque la
necessità del battesimo per essere salvato. Però, è troppo chiaro che, nel passato, ancora oggi
e probabilmente nel futuro, una folla immensa di bambini, uomini e donne, non hanno potuto,
non possono e non potranno accostarsi al rito battesimale senza colpa da parte loro. Bisogna
concluderne che tutte queste persone sono ineluttabilmente destinate alla dannazione eterna ?
Il fatto d’essersi trovate in una situazione in cui il battesimo era impossibile è un effetto della
loro riprovazione ? Non la pensa così la Chiesa. Basandosi sul principio della volontà
salvifica universale di Dio – “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla
conoscenza della verità” (1 Tim 2, 4) –, la Chiesa ha sempre ammesso, però in maniera più o
meno ampia, l’esistenza di “supplenze” al battesimo. Ci sono altre possibilità del rito
battesimale per ottenere in modo straordinario l'effetto principale del battesimo cioè la
giustificazione.

“Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una
sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità
di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale” (VATICANO II,
Costituzione pastorale Gaudium et spes, n° 22, § 5).

Pertanto :

“Quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma che tuttavia
cercano sinceramente Dio e coll’aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere
la volontà di lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la
salvezza eterna” (VATICANO II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, n. 16).

6.2.1. Due dottrine tradizionali

115
Nell’epoca di san Tommaso, c’erano due dottrine tradizionali che esprimevano la
possibilità per chi, senza colpa da parte sua, non è in grado di accedere al battesimo, di essere
nondimeno salvato.

6.2.1.1. Le supplenze del battesimo prima della promulgazione del battesimo cristiano

Prima della promulgazione del battesimo cristiano, la circoncisione fungeva da


battesimo per i membri del popolo eletto. Difatti, secondo la dottrina comune, la circoncisione
introduceva nel popolo santo dell’alleanza, rimetteva il peccato originale (e per l'adulto anche
il peccato attuale) e conferiva la grazia della giustificazione :

“Dal momento in cui fu istituita nel popolo di Dio la circoncisione, poiché era
allora ‘segno della giustizia [signaculum] mediante la fede’, aveva anche il valore di
segno della purificazione, anche nei bambini, dell'antico e originale peccato, allo stesso
modo del battesimo” (Sant’AGOSTINO, De nuptiis et concupiscentia, II, xi, 24).

Tuttavia, come tutti gli altri sacramenti della Legge antica, la circoncisione non produceva
questi effetti da causa strumentale ossia ex opere operato:

“Nella circoncisione veniva conferita la grazia rispetto a tutti gli effetti di essa, ma in
modo diverso che nel battesimo. Infatti, nel battesimo la grazia è concessa in virtù dello
stesso sacramento, virtù che il battesimo ha in quanto strumento della passione di Cristo
già compiuta. La circoncisione invece conferiva la grazia in quanto era simbolo della
fede nella passione futura di Cristo, nel senso che l'uomo ricevendo la circoncisione
dichiarava di abbracciare tale fede ; o direttamente, come facevano gli adulti, o per
mezzo di altri, nel caso dei bambini” (Sum. theol., IIIa, q. 70, a. 4).

Quindi, gli effetti di grazia non venivano prodotti dal rito come tale (ex opere operato)
ma dalla fede manifestata dal credente per mezzo del rito (ex opere operantis). La grazia
conferita dalla circoncisione era dunque proporzionale (dagli adulti) alla fede di chi la
riceveva.

Lo stesso vale per i riti, non determinati direttamente da Dio, che nello “stato della
legge di natura” (vale a dire nello stato soprannaturale che segue immediatamente il peccato
originale e va fino al dono della Legge a Mosè) esprimevano la fede nel Redentore da venire.
Non è vietato pensare che, ancora oggi, molti vivono, di un certo modo, sotto il regime della
legge di natura perché né la Legge di Mosè né il Vangelo non sono stati ‘promulgati’ per loro.

116
La promulgazione della legge (che, secondo san Tommaso, fa parte della definizione della
legge) significa che la legge viene presentata alla conoscenza di una persona e, pertanto,
diviene obbligatoria per lui.

6.2.1.2. La dottrina dei tre battesimi

Quando una persona, benché abbia ricevuto la predicazione cristiana, non è in grado di
accedere al rito del battesimo per motivi indipendenti dalla sua volontà, san Tommaso,
appoggiandosi alle riflessioni dei Padri della Chiesa, ammette che il battesimo d’acqua possa
essere supplito sia dal battesimo di sangue (baptismus sanguinis) sia dal battesimo di fuoco
(baptismus flaminis), anche chiamato battesimo di penitenza. Questa è la dottrina dei tre
battesimi (« triplex est baptismus... ») (IIIa, q. 66, a. 11).

Come abbiamo già spiegato a proposito della forma del rito battesimale, il battesimo
cristiano applica ai battezzandi due cause (subordinate) di santificazione : il mistero della
Passione di Cristo (per san Tommaso, i misteri di Cristo esercitano una causalità efficiente-
esemplare, cf. IIIa, q. 48, a. 6) e l’azione santificatrice dello Spirito santo. Ora, il battesimo di
sangue mette la persona in contatto immediato (vale a dire senza la mediazione del rito
sacramentale) con la Passione di Cristo, mentre il battesimo di fuoco la mette in contatto
immediato con l'azione santificatrice dello Spirito santo.

6.2.1.2.1. Il battesimo di sangue

“Coloro che effondono il sangue per il nome di Gesù, sebbene non ricevano il
sacramento, tuttavia ricevono la realtà (res). Per cui sant’Agostino : ‘Tutti coloro che
muoiono per la confessione di Cristo senza avere ricevuto il lavacro della rigenerazione,
tanto vale ad essi per la remissione dei peccati quanto se fossero lavati nel sacro fonte
del battesimo’. Hai udito che la passione subita per il nome di Gesù supplisce il
battesimo” (PIER LOMBARDO, Sententiae, IV, d. 4, c. 4).

San Tommaso riprende a conto suo questa dottrina classica: il martirio configura a
Cristo nella sua Passione ; esso fa partecipare in modo reale, diretto, alla Passione salvifica di
Gesù Cristo, e quindi ai suoi effetti :

“Il battesimo trae la sua virtù dai meriti della passione di Cristo. Rm 6, 3 : ‘Quanti siamo
battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte’. Perciò, come chi viene

117
battezzato viene reso conforme sacramentalmente alla morte di Cristo, così nel martire
la conformazione è reale” (In Heb., c. 6, lect. 1).

Il battesimo di sangue rimette dunque, in virtù della Passione di Cristo, ogni peccato così
come ogni pena dovuta al peccato.

6.2.1.2.2. Il battesimo di fuoco ossia di penitenza

Lo Spirito santo, “che è Signore e dà la vita”, è il Santificatore per eccellenza, la


Grazia increata. Egli è la Causa prima di ogni santificazione, sia per mezzo dei sacramenti che
direttamente :

“Uno può ottenere per virtù dello Spirito Santo l’effetto del battesimo, non solo senza il
battesimo d'acqua, ma anche senza il battesimo di sangue: in quanto il suo cuore viene
mosso dallo Spirito Santo a credere in Dio, ad amarlo e a pentirsi dei suoi peccati” (IIIa,
q. 66, a. 11).

Appunto, questo “battesimo” viene chiamato anche “battesimo di penitenza” perché i


suoi effetti sono identici a quelli della penitenza. I due esempi evangelici del battesimo di
fuoco sono il buono ladrone e santa Maria Maddalena. Ma, precisa san Tommaso, se la
penitenza dovuta all’azione dello Spirito può rimettere la colpa dei peccati, non sopprime la
pena se non in proporzione dell'intensità della penitenza.

6.2.2. Principi di soluzione

Due principi fondamentali reggono la riflessione sulle supplenze del battesimo. Il


primo è l’assioma secondo cui “Dio non ha legato il suo potere ai sacramenti”. Vale a dire: la
santissima Trinità (e Gesù Cristo, in virtù del suo “potere d’eccellenza”) può produrre
l’effetto ultimo del sacramento (res sacramenti) senza il rito sacramentale. Per chiarire questo
principio, san Tommaso nell’a. 11 della q. 66 ricorre alla dottrina metafisica della relazione
tra causa prima e causa seconda. Il battesimo è la “causa seconda” che tiene la propria
efficacia santificatrice dalla “causa prima”, vale a dire la Passione di Cristo e l’azione dello
Spirito Santo. Ora “se l’effetto dipende dalla causa prima, quest’ultima trascende l’effetto e
non dipende da esso”. La relazione è asimmetrica, non reciproca. Per tanto, l'effetto può
essere prodotto direttamente sia per mezzo della configurazione, non sacramentale, alla
passione di Cristo (battesimo di sangue) sia per mezzo dell’operazione santificatrice, non
sacramentale, dello Spirito santo (battesimo di fuoco).

118
Il secondo principio è il tener presente la situazione soggettiva delle persone. I
medievali non ignoravano la necessità di tener conto della situazione concreta del soggetto (e
non solo della natura oggettiva dell’atto) nella valutazione delle sue azioni, ma forse non ne
ricavano tutte conseguenze. La norma immediata della moralità dell’atto umano è il giudizio
della coscienza personale, il quale è fortemente influenzato dalla “cultura” in cui viene
immersa la persona. Ora, è chiaro che – tranne miracolo – la necessità del battesimo
sacramentale cristiano come mezzo voluto da Dio per la salvezza non è manifesto alla
coscienza delle persone la cui cultura non è mai stata realmente toccata dal cristianesimo, ad
esempio un membro di una tribù musulmana della penisola arabica. Dal punto di vista
soggettivo, questa persona vive ancora pressappoco nello stato della legge di natura. Anzi,
anche nell’Occidente secolarizzato, dove la gente ha certo sentito dell’esistenza del battesimo
cristiano, non di rado pesantissimi fattori soggettivi, provenienti dall’ambiente culturale e
dall’educazione, rendono quasi impossibile la riconoscenza dell’obbligo in coscienza di
ricevere il sacramento del battesimo. Nella maggior parte dei casi, non c’è colpa personale né
questo “disprezzo” del sacramento che consiste nel trascurare o rifiutare un mezzo di salvezza
di cui si sa bene che è pure voluto da Dio. Un bambino cresciuto nell’ambiente delle nostre
culture immanentiste e che conosce la Chiesa solo attraverso le caricature date dai media,
andrebbe anche contro la propria coscienza, sbagliata (erronea), se ricevesse il battesimo per
motivi soltanto sociologici. Non è fuori luogo stimare che molte persone o molti gruppi
socioculturali non siano mai stati davvero raggiunti dalla “promulgazione” del battesimo
cristiano. Per loro, la volontà – suscitata e sostenuta dalla grazia di Dio – di compiere il bene
autentico presentato loro dalla propria coscienza può essere il supporto minimale per il
“battesimo di fuoco”.

6.2.3. Relazione tra le supplenze al battesimo e il battesimo sacramentale

Le supplenze al battesimo non sono affatto delle “vie parallele di salvezza”. Sono tutte
intrinsecamente ordinate al battesimo sacramentale. Chi è stato giustificato in maniera non
sacramentale deve ancora ricevere il sacramento appena la sua ignoranza soggettiva della
necessità del battesimo sacramentale nel piano di Dio viene a sparire. Non per “mettersi in
regola” dal punto di vista puramente esterno (sarebbe una poverissima idea del sacramento
cristiano) ma per due altri motivi, già accennati quando abbiamo parlato della possibilità che
la giustificazione del catecumeno precedesse il rito battesimale. Prima, la volontà di ricevere
il battesimo sacramentale è implicitamente inclusa nell’atteggiamento che sta al centro del
battesimo di fuoco o di penitenza: la volontà di fare la volontà di Dio man mano che si rivela.
119
Poi, il battesimo sacramentale comporta obiettivamente un « più » rispetto alla giustificazione
ottenuta in modo straordinario. Precisiamo un po’ questi due punti, di cui potete intuire
quanto sono rilevanti per la teologia delle missioni. In effetti, essi significano che rimane
senz’altro necessario predicare il battesimo e conferirlo a delle persone di cui si può
legittimamente congetturare che siano già giustificate.

Primo, queste supplenze sono di per sé ordinate al battesimo sacramentale, vale a dire
che esse includono sempre il desiderio ossia il voto del battesimo. Del resto, sono talvolta
chiamate battesimi in voto, per opposizione al battesimo in re. Questo desiderio del battesimo
è il proposito di ricevere il sacramento del battesimo. Se non ci fosse questo desiderio del
battesimo, non si tratterebbe di supplenze al battesimo. Così, a proposito del battesimo di
sangue e del battesimo di fuoco, san Tommaso dichiara : “Questi due battesimi sostituiscono
il battesimo d’acqua, purché ci sia il proposito di ricevere il battesimo di acqua” (Quodl. VI, q.
3, a. 1). In quel testo, come nella maggior parte dei testi simili, san Tommaso ha in mente,
molto probabilmente, un atto ben determinato della volontà, l’intenzione esplicita di ricevere
il battesimo, ciò che suppone da parte della persona la conoscenza del sacramento del
battesimo e del suo posto nel disegno di Dio. Quindi, per san Tommaso, le supplenze
riguardano prevalentemente chi ha già deciso di ricevere il battesimo sacramentale ma ne è
impedito dalle circostanze sfavorevoli. Per esempio, il catecumeno cardiopatico che muore
improvvisamente appena prima della celebrazione del battesimo a causa dell’emozione troppa
intensa prodotta dalla bellissima omelia del prete, oppure la persona che si converte in
extremis ma... in un deserto solitario e senza acqua.

Ma questo votum baptismi può – anzi deve – intendersi in un senso più ampio.
Potrebbe trattarsi della sola intenzione implicita di ricevere il battesimo, vale a dire
un’intenzione che porta su un oggetto determinato (se non fosse così, non sarebbe
un’intenzione) il quale include virtualmente il sacramento del battesimo. Facciamo un
paragone. Il proposito dello sposo di amare la sposa nella buona e nella cattiva sorte include
virtualmente, benché non ci pensa esplicitamente nel giorno stesso delle nozze, di prendere
cura della sposa se sfortunatamente fosse gravemente ammalata. Questo è incluso
virtualmente nel “si”. Nello stesso modo, un musulmano di buona fede che, sotto l’azione – di
cui non è per niente consapevole – dello Spirito santo, si impegna esplicitamente a fare
sempre la volontà di Dio appena gli viene manifestata, si propone implicitamente, in voto, di
ricevere il santo battesimo. In effetti, quest’uomo, se le circostanze gli permettessero di capire

120
che il battesimo cristiano è il mezzo di salvezza voluto da Dio, chiederebbe subito ad essere
battezzato.

Secundo, queste supplenze non sono dei sacramenti. Esse producono in modo non
sacramentale l’effetto ultimo del sacramento (la res sacramenti), in fattispecie la
giustificazione. Ora, quanto abbiamo già detto per rendere ragione della necessità del
battesimo per il catecumeno già giustificato, vale a maggior ragione per chi è giustificato in
maniera straordinaria: non riceve la res et sacramentum del battesimo, cioè il carattere, che lo
disposerebbe a possedere in modo stabile e abituale la grazia sacramentale. Inoltre,
incorporandolo pienamente alla Chiesa-sacramento, il carattere gli permetterebbe di godere
tutti mezzi di salvezza che la Chiesa mette a disposizione dei suoi membri (insegnamento
della vera fede ; sacramenti ; altri mezzi di santificazione…). Senza questi mezzi, la vita della
grazia rimane molto precaria e fragile, esposta a diversi pericoli, come la lampada posta in un
luogo esposto ai venti. Per chi non ha ricevuto il sacramento, non soltanto è quasi impossibile
giungere alla “santità”, vale a dire alla perfezione della vita della grazia, ma è anche difficile
perseverare a lungo nello stato di grazia. Per tanto, la possibilità che una persona sia
giustificata senza ricevere il sacramento del battesimo – tutti i non-battezzati non sono
destinati all’inferno! – non toglie per niente l’urgente necessità d’“ammaestrare tutte le
nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro
ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28, 19-20).

6.3. La sorte dei bambini che muoiono senza battesimo

Nel ottobre 1951, papa Pio XII rivolge un discorso alle partecipanti al Congresso della
Unione cattolica italiana ostetriche in cui riassume così la dottrina della Chiesa :

“[Il neonato riceve la vita soprannaturale col battesimo]. Nella presente economia non
vi è altro mezzo per comunicare questa vita al bambino, che non ha ancora l’uso della
ragione. E tuttavia lo stato di grazia nel momento della morte è assolutamente
necessario per la salvezza; senza di esso non è possibile di giungere alla felicità
soprannaturale, alla visione beatifica di Dio. Un atto di amore può bastare all’adulto per
conseguire la grazia santificante e supplire al difetto del battesimo : al non ancora nato o
al neonato bambino questa via non è aperta.”

Sembra dunque che per i bambini non ci sia altre vie per essere salvati che il
battesimo. Le diverse supplenze che abbiamo appena considerato comportano tutte un atto

121
personale d’adesione – almeno implicito – a Gesù Cristo che permette la giustificazione. Ora,
i bambini sono incapaci di qualsiasi atto personale. Bisogna concluderne che, se muoiono
prima di avere posto un atto umano, tutti i bambini non battezzati rimarranno eternamente
separati da Dio a causa del peccato originale ?

6.3.1. Sant’Agostino

Sant’Agostino è giustamente convinto che tutti gli uomini, senza nessuna eccezione,
hanno bisogno di essere salvati, perché tutti, compresi i bambini, sono di qualche modo
peccatori. “Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Ro 3, 23). Per tanto, tutti
sono destinati alla dannazione a causa del peccato originale. Essi formano una massa damnata
ossia massa perditionis, di cui sola la grazia misericordiosa di Dio in Gesù Cristo può tirarli
fuori. Bisogna essere “trovato in Gesù Cristo” (Fi 3, 9) per essere salvato. Bisogna passare
dallo stato d’opposizione a Dio allo stato d’unione a Dio in Cristo.

Quest’unione a Cristo, necessaria per essere salvato, si attua per mezzo della fede e del
battesimo come sacramento della fede. Nel caso dell’adulto, può capitare che la fede esista
senza il sacramento della fede. Invece, per i bambini, secondo la formula già menzionata, “il
credere è l’essere battezzati (credere infantibus [est] baptizari)”. Non c’è dunque per i
bambini nessun altro mezzo che il battesimo per essere salvati.

Che succede dunque per i bambini che muoiono senza aver ricevuto il battesimo ?
Sant’Agostino non indietreggia di fronte alle conseguenze dei principi. Il bambino non
battezzato non ha la fede, e per conseguenza, non appartiene a Cristo e non può aver parte alla
salvezza. Egli rimane nella massa damnata. Senza il battesimo (o il martirio), il bambino non
può essere salvato : “Che i bambini possano essere salvi in eterno senza questa rigenerazione,
come se per essi non fosse morto il Cristo, chi oserebbe affermarlo ?” (De peccatorum
meritis, I, XVIII, 23). Vale a dire: i bambini sono di qualche modo peccatori, se non fosse così
Cristo non sarebbe morto per loro, visto che Egli è morto non per i giusti ma per i peccatori.
Come i bambini battezzati a causa del sacramento sono annoverati tra i fedeli, così…

“Certamente quei bambini ai quali è mancato il sacramento devono considerarsi tra


coloro che non credono al Figlio e quindi, se usciranno dal corpo privi della grazia di
questo sacramento, subiranno la conseguenza già detta : ‘Non avranno la vita, ma l'ira di
Dio incombe su di loro’ (Gv 3, 35-36) [...]. Da questa ira, per la quale tutti sono sotto il

122
dominio del peccato [...] non libera nessun mezzo ‘all'infuori della grazia di Dio per
Gesù Cristo nostro Signore’” (ibid. I, XX, 28 et XXI, 29).

I bambini non battezzati sono privati della beatitudine, “dannati”, a causa del peccato
originale. Tuttavia, precisa Agostino, non avendo commesso nessuno peccato personale, la
loro pena è la più mite che sia : “È giusto dire che i bambini che muoiono senza il battesimo si
troveranno nella condanna, benché mitissima a confronto di tutti gli altri” (ibid., I, XVI, 21).

Sant’Agostino respinge la teoria pelagiana del “terzo luogo” in cui i bambini morti
senza battesimo godrebbero, per motivo d’innocenza, la vita eterna, senza pure entrare nel
Regno di Dio per motivo d’assenza di battesimo. Così infatti i pelagiani pensavano di poter
neutralizzare il versetto di Gv 3 : “Se uno non sarà rinato dall'acqua e dallo Spirito, non
entrerà nel regno dei cieli”, distinguendo nel caso di quei bambini la vita eterna (possibile) e il
regno dei cieli (impossibile). Per sant’Agostino, tale separazione è assurda : “È una nuova e
strana pretesa, quasi che ci possa essere l’eterna salvezza della vita eterna al di fuori
dell'eredità del Cristo, al di fuori del regno dei cieli” (Ibid., I, XX, 26). In realtà, la dottrina
pelagiana del terzo luogo comporta l’idea di una via di salvezza che non passa da Gesù Cristo,
vale a dire di uno stato di “neutralità” o di esteriorità rispetto all'economia cristiana della
salvezza, ciò che porta alla negazione dell’universalità della mediazione di Cristo.

Ma allora, Dio è ingiusto ? Allorché non c'è nessuno merito ne demerito antecedente
nei bambini, perché l’uno riceve la grazia d’essere battezzato, e quindi salvato, mentre l’altro
non la riceve. Tocchiamo qui il cuore, contemporaneamente tragico e luminoso,
dell'agostinianismo: il mistero della distribuzione ineguale della grazia, in breve il mistero
della predestinazione. Per sant’Agostino:

1° - non c'è mai ingiustizia quando viene negato ciò che non è per niente dovuto. Ora, se la
grazia fosse dovuta, non sarebbe più la grazia. Inoltre, tutti, in Adamo, hanno in qualche
modo respinto la grazia. Per tanto, Dio non è mai ingiusto quando non dà la grazia a chi non
ha nessun diritto a riceverla. Invece, Dio è misericordioso quando dà la grazia a chi non la
merita.

2° - La scelta di questo anziché di quello rimanda all’assoluta libertà dell’elezione divina. Dio
fa misericordia a cui vuole. Non soltanto la salvezza (obiettiva) offerta a tutti gli uomini in
Gesù Cristo è una grazia, ma la partecipazione personale (soggettiva) a questa salvezza, per
mezzo della fede e del battesimo è, anche essa, una grazia. È senza nessuno merito

123
antecedente da parte loro che alcuni adulti ricevono la grazia della fede (e del battesimo) e che
alcuni bambini ricevono la grazia del battesimo.

“Perché mai tale grazia arrivi a questo e non arrivi a quello può essere occulta la causa,
non può essere ingiusta. [...] Noi abbiamo una capacità di pensiero molto piccola per
discutere della giustizia dei giudizi di Dio, per discutere della gratuità della grazia, non
ingiusta per mancanza di meriti precedenti e sorprendente non tanto perché data ad
indegni, quanto perché negata ad altri ugualmente indegni” (ibid., I, XXI, 29).

Sant’Agostino non riusciva a vedere altra soluzione: i bambini che muoiono senza battesimo
rimangono nella massa damnationis e sono per tanto destinati alle pene dell'inferno. Nel
seguito, la teologia latina, pure rimanendo nei parametri della “soluzione” agostiniana, ha
coniato una teoria forse più soddisfacente: la teoria del limbo dei bambini.

6.3.2. La dottrina teologica del limbo

6.3.2.1. La nascita del limbo

La dottrina del limbo dei bambini intendeva rispondere a un’anomalia che metteva in
balia la giustizia di Dio: come mai è possibile che il bambino che muore, non certo innocente,
ma col solo peccato originale, sia condannato alle stesse pene che il peccatore ostinato, che
muore colmo di peccati mortali ? Già sant’Agostino riteneva che la pena delle persone morte
prima del primo atto libero non potesse avere la stessa intensità di quella dei peccatori e
parlava di mitissima poena.

A poco a poco, grazie alla valutazione più giusta della natura puramente privativa del
peccato originale, che non è per niente un peccato personale, i teologi hanno distinto in modo
più soddisfacente la pena dovuta al peccato originale da quella dovuta al peccato personale
attuale. Il peccato mortale attuale richiede contemporaneamente la privazione della visione di
Dio (pena del danno) e le sofferenze della pena del senso. Il peccato originale, in quanto a lui,
comporta “soltanto” la pena del danno. Così Pier Lombardo afferma :

“I bambini saranno dannati [...] per il peccato originario, che è contratto dai genitori,
non sentendo per esso alcun’altra pena di fuoco materiale o di rimorso della coscienza
all’infuori che saranno privi in perpetuo della visione di Dio” (Sentenze, II, d. 33, c. 2).

Nell'inizio del XIII° secolo, questa tesi passa nell’insegnamento del Magistero. Nella
lettera a Umberto, arcivescovo di Arles, papa Innocenzio III distingue con grande chiarezza la

124
pena dovuta al solo peccato originale e quella dovuto al peccato attuale : “La pena del peccato
originale è la privazione della visione di Dio, quella del peccato personale sono i tormenti
dell’inferno eterno” (Dz-H , n° 780). Pure essendo privati della visione di Dio, quanti
muoiono con il solo peccato originale non condividono la sorte di quanti sono dannati per
motivo della loro rivolta personale contro Dio. Non sono nel medesimo stato. Spunta allora
(nel contesto culturale e storico della “topografizzazione” dell’aldilà) l'idea che esiste un
luogo speciale riservato loro; il “limbo dei bambini”. La parola limbus significa in latino
l’orlo del vestito. Essa veniva usata per significare le zone periferiche dell'inferno, tanto il
limbo provvisorio dei patriarchi (luogo in cui i giusti dell’Antico Testamento hanno aspettato
la loro piena liberazione realizzata dalla Passione di Cristo) quanto il limbo permanente dei
bambini.

Per i primi teologi scolastici, come Alano di Lilla nella fine del XII° secolo, il fatto
d’essere private della visione di Dio produce una grande sofferenza interiore nelle anime che
sono nel limbo. Ma i teologi successivi hanno stimato che le ragioni portanti ad escludere la
pena esteriore del senso valessero a maggior ragione per escludere qualsiasi sofferenza
interiore. A che servirebbe esentare queste anime dei tormenti fisici dell'inferno se fosse per
sottometterli ad una sofferenza morale incomparabilmente più pesante ? Durando di Saint-
Pourçain ha riassunto la situazione nella scolastica classica quando scrisse nell'inizio del XIV°
secolo : “Sulla conclusione stessa, il pensiero dei dottori è concordante: i bambini non
battezzati non soffrono dell’assenza della visione di Dio, ma i dottori divergono quando si
tratta di assegnarne la ragione” (In II Sent., d. 33, q. 3). Difatti, non è facile spiegare la
coesistenza in un unico soggetto di due condizioni apparentemente contradittorie: lo stato
definitivo di non-visione dell’essenza divina (il quale è proprio una privazione per chi è
ordinato di fatto alla vita eterna) e l'assenza di qualsiasi sofferenza interiore.

6.3.1.3. La dottrina del limbo da san Tommaso

Per san Tommaso, le persone nel limbo non soffrono di nessuno modo. Ma egli si è
evoluto sul motivo di quest’assenza di sofferenza. Nello Scriptum, Tommaso ritiene che
queste anime conoscono perfettamente la loro situazione rispetto alla salvezza – esse sanno
“che sono private della vita eterna e sanno per che causa lo sono”. Però, tale conoscenza non
li fa soffrire. Difatti, queste anime somigliano alquanto ai saggi stoici i quali non fanno fatica
a rassegnarsi alle situazioni che non dipendono da loro. La loro retta ragione neutralizza, alla
radice, i vani rimpianti che li potrebbero far soffrire. Queste anime sanno che, in virtù del

125
giusto giudizio di Dio, non sono mai state in grado di ottenere la visione beatifica e lo
accettano pacificamente.

“Si deve sapere che se uno è dotato di retta ragione non si affligge per la carenza di ciò
che sorpassa la propria condizione, ma solo per la carenza di ciò che in qualche modo
era a lui proporzionato: come nessun uomo saggio si affligge perché non può volare
come un uccello, oppure perché non è re o imperatore, non essendo ciò a lui dovuto; si
affliggerebbe invece se venisse privato di ciò a cui era in qualche modo predisposto” (In
II Sent., d. 33, q. 2, a. 2).

Ma, nel seguito, nella q. 5 delle Q. de malo, san Tommaso lascia perdere questa
spiegazione. Oramai, secondo lui, la causa dell’assenza di qualsiasi sofferenza interiore nell'e
anime nel limbo è l’ignoranza totale della loro vocazione soprannaturale alla visione
dell’essenza divina. San Tommaso distingue la conoscenza naturale (accessibile alla sola
ragione) e la conoscenza soprannaturale (risultante dalla rivelazione). Nel limbo, le anime
godono la perfettissima conoscenza naturale, la quale culmina nella contemplazione di Dio
quale Causa prima conosciuta a partire dalle creature. Invece, esse sono private di qualsiasi
conoscenza soprannaturale poiché non hanno mai avuto quaggiù la fede, la quale è il principio
e il germe della conoscenza soprannaturale. Le anime nel limbo ignorano tutto ciò che la
Rivelazione fa conoscere al credente, vale a dire che Dio ci chiama alla divinizzazione, che il
peccato d’Adamo ci ha privato della visione beatifica e che Gesù Cristo ci ha riaperto la via
verso la beatitudine. Quindi, le anime nel limbo non sanno di che cosa sono private e, per
tanto, non soffrono. Facciamo un paragone. Se ho perso il biglietto di lotteria offerto dalla
nona e pertanto non mi sono preoccupato di informarmi sui risultati dell’estrazione, ignoro
che avevo il biglietto vincente e che avrei dovuto ricevere dieci miliardo di dollari. Per tanto,
non soffro per niente. Anzi, le persone nel limbo godono un tipo di felicità naturale poiché
mediante la conoscenza e l’amore naturali sono unite a Dio, il loro Fine ultimo nell’ordine
naturale.

6.3.3. La questione oggi

6.3.3.1. La critica del limbo

Circa cento anni fa, Mons. Gaudel, autore dell’articolo “Limbo” nel classico
Dictionnaire de théologie catholique, poteva scrivere che la dottrina del limbo era “ricevuta
comunemente dall’insieme dei teologi”. Da allora, la situazione è così radicalmente cambiata

126
che G. Threepwood, autore nel 1998 dell’articolo “Limbo” nel Dizionario critico di teologia,
conclude l’articolo con queste parole ironiche: “Un punto sembra acquistato: [...] il limbo dei
bambini esiste oggi solo per lo storico della teologia latina”. Di fatto, la teoria del limbo non
appare più nei documenti più recenti del Magistero e non è stata ripresa nel Catechismo della
Chiesa cattolica. Un documento della Commissione teologica internazionale, voluto
dall’allora Cardinale Ratzinger, intitolato La speranza della salvezza per i bambini che
muoiono senza battesimo (2007), senza respingere esplicitamente la teoria del limbo, difende
decisamente la speranza per la salvezza di questi bambini.

La dottrina del limbo è stata prima criticata per non avere fondamenti scritturistici.
Questo è senz’altro vero, ma le soluzioni alternative non ne hanno di più. Pertanto, in
mancanza di qualsiasi indicazione diretta proveniente della Rivelazione, siamo costretti di
coniare delle ipotesi teologiche per cercare di tenere insieme i diversi dati della fede: la
volontà salvifica universale, l'universalità del peccato originale e delle sue conseguenze,
l'incorporazione a Cristo come unico mezzo di salvezza...

Inoltre, la teoria del limbo è stata vittima dell’acceso dibattito sul “soprannaturale”
nella teologia cattolica della meta del XX° secolo. La teologia contemporanea insiste a buon
diritto sull’unicità del disegno divino. Dal momento della sua creazione, l’uomo è stato
chiamato ha un fine soprannaturale, vale a dire la visione beatifica. Tutti sono d’accordo. Ma
alcuni teologi, come De Lubac, stimano che l’uomo non possa avere avuto altro fine, perché
in ogni creature spirituale c’è un desiderio “naturale” di vedere Dio. Pertanto, l’idea della
“felicità naturale” nel limbo non regge più. Ma, si potrebbe rispondere che la vocazione
soprannaturale non cancella affatto l’esistenza e le consistenza del fine naturale (“la grazia
non distrugge la natura”). Inoltre, altri rimproverano alla dottrina del limbo una deficienza
cristologica: sembra che Cristo non abbia nessuno ruolo nel destino di questi bambini, come
se le anime del limbo vissero in un mondo parallelo al mondo dell’economia concreta della
salvezza per mezzo della grazia di Cristo. C. Journet risponde che queste persone tranno
beneficio della restaurazione della natura umana compiuta da Cristo Salvatore. Sono liberate
da Cristo dalla morte fisica (risusciteranno in virtù di Cristo) e dal disordine morale della
concupiscenza. “Viene da Cristo, dal Dio fatto uomo, il fatto che i bambini, per questa doppia
grazia, sono definitivamente restituiti alla pienezza fisica e morale della loro natura umana”
(C. JOURNET, La volonté salvifique sur les petits enfants, Paris, 1958, p. 19-20).

127
Si dice anche che la dottrina del limbo è incompatibile col dogma della volontà
salvifica universale tale quale viene formulato nella Gaudium et spes (n° 22) : “Cristo, infatti,
è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina,
perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel
modo che Dio conosce, col mistero pasquale.” Ora, sembra che le anime nel limbo non
abbiano mai avuto la possibilità d’essere associate al mistero pasquale di Cristo. Parimenti, il
limbo sembra contraddire l’idea secondo cui “nessuno può essere escluso dalla salvezza se
non ha personalmente rifiutato l’amore redentore”. Confesso che quell’idea mi lascia un
po’perplesso. È tanto difficile ammetterla quanto rifiutarla.

Da una parte, ammettere quest’idea significa che nessuno può essere dannato a causa
del solo peccato originale (contro l’insegnamento della Chiesa ?) e che tutti i bambini morti
senza battesimo sono senz’eccezione salvati, poiché è ovvio che nessuno di loro ha mai
rifiutato personalmente la salvezza. L’idea sottogiacente è agli antipodi della visione
agostiniana. Per Agostino, siano tutti dannati ma alcuni possono uscire per grazia da questa
situazione ed essere salvati. Nella nuova visione, siamo tutti salvati in Cristo ma alcuni
possono uscire per libera scelta da questa situazione ed essere dannati.

Ma, d’altra parte, come contrastare questa idea ? Secondo alcuni antichi tomisti, la
grazia sufficiente – espressione della volontà salvifica universale di Dio che offre a tutti i
mezzi generali della salvezza – è stata davvero proposta a tutti, compresi questi bambini,…
nella persona di Adamo, il quale l’ha rifiutata nel nome di tutti. Ma la grazia proposta da Dio
a tutti è la grazia redentrice, frutto del Sacrificio del Calvario. Gesù è morto per tutti quanti
erano segnati dal peccato originale ed è appunto questa grazia redentrice che viene offerta a
tutti. Chi vorrebbe difendere la teoria del limbo potrebbe forse dire con Journet che questa
grazia redentrice offerta a tutti ha degli effetti diversi: essa non implica necessariamente il
dono della rigenerazione totale della persona nello Spirito ma, talvolta, comporta soltanto la
ristorazione della natura.

Per superare la dottrina del limbo, diverse piste sono state provate. Alcune mi
sembrano vicoli ciechi. Ad esempio, l’idea dell’“opzione finale nella morte”: ogni persona,
nel momento stesso della morte o subito dopo la morte, goderebbe di un'illuminazione da
parte di Dio per permetterle di scegliere pro o contra Dio, in piena libertà. Quest’ipotesi,
elaborata nel contesto della riflessione sulla possibilità delle salvezza dei non cristiani, non è
per niente sostenibile. Primo, non ha nessun appoggio nella Tradizione della Chiesa. Secundo,

128
svaluta la condizione storica dell’esistenza umana e cristiana. Il destino dell’uomo si gioca in
questa vita e non nei tempi supplementari. Ora, l’ipotesi dell’opzione nella morte rende
inconsistente la vita terrestre storica con le sue scelte. Aggiungo che questa teoria rimette in
causa la certezza delle decisioni della Chiesa rispetto alle canonizzazioni (se possiamo
cambiare direzione dopo la morte !). Tertio, l’ipotesi ignora la condizione proprio incarnata
dell'esistenza umana. Essa suppone a torto che l'uomo sarebbe veramente uomo e veramente
libero soltanto dopo aver lasciato il corpo, attribuendo all’uomo uno statuto quasi-angelico.

Altre piste mi sembrano più promettenti perché prendono le mosse dai parametri
dogmatici giusti del problema : visto che, a causa del peccato originale, i bambini non sono
“immaculati” né già uniti a Cristo dal semplice fatto d’essere umani, dobbiamo individuare
una possibilità per loro di essere giustificati da Cristo senza il battesimo. Questa possibilità
non deve essere né un miracolo (sempre possibile: Dio può giustificare direttamente un
bambino) né il modo ordinario della giustificazione.

6.3.2.2. Piste aperte

6.3.2.2.1. Gaetano e il voto dei genitori

“In caso di necessità, suggerisce Tommaso di Vio, detto Gaetano, sembra che basti per
la salvezza dei bambini il battesimo nel voto dei genitori (in voto parentum), soprattutto se
viene corredato da un segno esterno” (In IIIam, q. 68, a. 2). I bambini di genitori cristiani
sarebbero dunque giustificati dal desiderio (votum) che i loro genitori hanno di farli
battezzare. Quel desiderio viene manifestato da una preghiera o da un segno sensibile esterno,
come il segno della croce o l’invocazione della santissima Trinità.

Gaetano parte dall’impossibilità che esista uno stato in cui sarebbe impossibile che la
persona umana goda di un rimedio di salvezza. Inoltre, sarebbe strano che la situazione dei
credenti della Nuova Alleanza sia più sfavorevole di quella dei credenti dell’Antica Alleanza
o dello stato della legge di natura. Ora, in quei tempi, secondo san Tommaso, la fede dei
genitori, manifestata o meno da un segno esterno, bastava per ottenere da Dio la
giustificazione dei bambini.

“Sia prima che dopo l'istituzione della circoncisione, era la fede nel Cristo futuro a
giustificare tanto i bambini quanto gli adulti. Ma prima non era necessario alcun rito
dichiarativo di tale fede, perché gli uomini non si erano ancora incominciati a riunire nel
culto dell'unico Dio separandosi dagli infedeli. È probabile però che i genitori credenti,

129
per i loro bambini e specialmente quando si trovavano in pericolo, facessero a Dio delle
preghiere e dessero ai figli qualche benedizione, che era un segno di fede, come gli
adulti offrivano per sé stessi preci e sacrifici » (TOMMASO D’AQUINO, Sum. theol., IIIa,
q. 70, a. 4 ad 2).

A maggior ragione, pensa Gaetano, nella Nuova Alleanza, la fede dei genitori, la quale
comporta il desiderio che loro bambino sia battezzato, ottiene la sua giustificazione. Questa
opinione di Gaetano è stata molto contestata a tal punto che san Pio V ha chiesto di non
stampare questo brano di Gaetano nell'edizione delle “Opere complete” (la Piana) di san
Tommaso ! Però, anche se la fede dei genitori non basta a giustificare “automaticamente” il
bambino, è probabile che Dio tenga conto della fede dei genitori nella sua volontà
misericordiosa di giustificare direttamente il bambino.

6.3.2.2.2. La configurazione a Cristo mediante la morte

Sono teologi che stimano che la sofferenza e la morte del bambino bastino a
configurarlo realmente a Gesù Cristo nel mistero della sua morte redentrice, come lo fa
sacramentalmente il battesimo. Difatti, Cristo ha di qualche modo assunto nella propria morte
ogni morte umana, conferendole un valore salvifico. Potremmo dunque ritenere che la morte è
di per sé una configurazione extra-sacramentale alla morte salvifica di Cristo e produce un
effetto salvifico purché la persona non ci metta ostacolo, come succede ovviamente dai
bambini. Questa teoria teologica significherebbe che tutti i bambini che muoiono sono salvati.

La configurazione a Cristo nella morte è ancora più ovvio nel caso dei bambini vittime
della violenza e specialmente dell’odio implicito di Dio contenuto nel rifiuto della vita
(specialmente nell’aborto). In quel caso vale ciò che successe ai bambini di Betlemme, i santi
Innocenti. Questi sono stati giustificati gratuitamente, senza nessuno merito da parte loro, per
la grazia del martirio ossia il battesimo di sangue quale configurazione alla passione di Cristo.
Non hanno consentito liberamente a questa grazia del martirio, ma non hanno neanche posto
nessuno ostacolo interiore. Ora, se la persona, quando è in grado di esercitare il suo libero
arbitro, può, di qualche modo, resistere alla grazia, la grazia non ha di per sé bisogno del
consenso della libertà per produrre il suo effetto salvifico.

6.3.2.2.3. Una speranza

Nell'istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede sul battesimo dei
bambini (1980), leggiamo nel § 13 :

130
“Mediante la sua dottrina e la sua prassi, la Chiesa ha dimostrato di non conoscere altro
mezzo, al di fuori del battesimo, per assicurare ai bambini l’accesso alla beatitudine
eterna: per cui si guarda dal trascurare la missione ricevuta dal Signore di far “rinascere
dall’acqua e dallo Spirito” tutti coloro che possono essere battezzati. Quanto ai bambini
morti senza il battesimo, la Chiesa non può che affidarli alla misericordia di Dio, come
fa nel rito delle esequie disposto per essi.”

La Chiesa ritiene essere legata alla Rivelazione. Ora, la Rivelazione non indica
un’altra via di salvezza per i bambini se non il battesimo. Però, la Chiesa sa anche che Dio
può sempre agire fuori delle leggi che Egli stesso ha liberamente fissate, soprattutto quando si
tratta di attuare la sua volontà salvifica universale. Dobbiamo andare fino al punto di dire che
c’è una “via straordinaria” per cosi dire “ordinaria” che ci permette di affermare che tutti i
bambini che muoiono senza il battesimo sono salvati ? Non abbiamo su quel punto nessuna
certezza di fede, ma “soltanto” una speranza. Ora, la speranza secondo san Tommaso porta su
le cose contemporaneamente difficili e possibili.

Personalmente, mi attengo alla convinzione che Dio può sempre direttamente


santificare, cioè giustificare, un bambino come Egli l’ha fatto nel grembo materno per alcuni
profeti e per san Giovanni Battista, o ancora, in modo del tutto eminente, per l’Immacolata.
Ma questi interventi della misericordia di Dio dipendono dalla sola libertà sovrana di Dio, e
non mi sembra possibile formulare una legge universale. È legittimo pensare che questi
interventi misericordiosi sono solitamente legati alla preghiera dei genitori, dei vicini e, più
largamente, della Chiesa Madre stessa, la quale deve dunque essere attenta a pregare per la
santificazione dei bambini che non hanno la possibilità di essere battezzati. La speranza che
Dio intervenga in questo modo può combinarsi con la dottrina del limbo, la quale si verifica –
quale “soluzione di riserva” in qualche modo – per quelli che non beneficerebbero di questa
giustificazione gratuita prima del battesimo.

Il pastore potrà quindi consolare in verità i genitori cristiani colpiti dalla morte del loro
bambino facendo valere, da una parte, la certezza che il loro bambino per lo meno non soffre
e gode felicità e pace (il limbo) e, d’altra parte, la speranza che la misericordia di Dio, in
particolare per mezzo delle loro preghiere, rende possibile, anzi molto probabile, che il loro
bambino partecipi alla gloria dei Santi nella visione beatifica.

131

Potrebbero piacerti anche