1.
Circa il discorso filosofico su Dio, il pensiero occidentale degli ultimi due secoli presenta una
spaccatura netta, tra sostenitori del teismo e fautori dellateismo; entrambe le categorie di
pensiero naturalmente non sono omogenee, nel senso che fra i teisti troviamo diversit di
atteggiamenti e di percorsi razionali nei confronti del divino che si ritiene di affermare, basti
pensare al Dio dei filosofi idealisti tedeschi (Fichte, Schelling, Hegel) e dei neoidealisti
italiani (Croce, Gentile) e alla differente prospettiva circa Dio dei neoscolastici (Mercier,
Gilson, Masnovo, Bontadini) e degli spiritualisti (Bergson, Blondel, Sciacca); idealisti e
neoidealisti affermano una metafisica pi sbilanciata nei confronti del soggetto, mentre i
neoscolastici sostengono una metafisica ancorata al realismo gnoseologico ed ontologico, e
gli spiritualisti muovono dalle istanze dellinteriorit del soggetto umano per affermare la
trascendenza.
Sul fronte dellateismo, la pi nota affermazione in materia quella di Nietzsche: Dio
morto, ma questa affermazione, a parere degli specialisti su Nietzsche, non da intendere
come un annuncio assoluto e decontestualizzato: leggendo il percorso che Nietzsche sviluppa
prima di arrivare alla proposizione ricordata, si vede come ci che veramente considera morto
il Dio delletica cristiana e tradizionale. La negazione di Dio non rivolta direttamente al
Creatore del mondo e delluomo, e forse non nemmeno negazione degli dei greci; il Dio
della moralit che, a parere di Nietzsche, morto, e cos rimane tutto il campo teologico
ulteriore rispetto alla morale, che Nietzsche non ha toccato. Dico questo sotto lo stimolo di
unacuta osservazione di E. Gilson: Non si viene cos facilmente a capo di Dio, egli non si
decompone come un cadavere, ma piuttosto, come il serpente, cambia pelle: egli depone la
sua pelle morale e lo ritroverete ben presto, al di l del bene e del male! Infine, e nei termini
pi chiari possibili: La confutazione di Dio: in realt non vi che il Dio morale che sia
Ibi, p. 35.
Dio?;
b)
la richiesta di prove che dimostrino la non esistenza di Dio non forse il segno
che lidea della sua esistenza data, che gi presente nelluomo? Quali le
caratteristiche dellidea di Dio?
d)
Un esito come quello di Kant risulta estremamente rilevante sul piano etico, per
riannodare oggi il discorso filosofico su Dio: la metafisica, per Kant, non adduce
prove valide scientificamente dellesistenza di Dio; ma non per questo posta la
non esistenza di Dio, anzi, resta limpegno del filosofo di trovare argomentazioni
convincenti (i postulati della ragion pratica) circa la certezza dellesistenza di Dio.
Questa certezza la credenza spontanea che sta nelluomo che esiste un Dio;
legittimo che luomo cerchi una giustificazione razionale di tale credenza, ma
trattandosi di una credenza gi data, essa resta indipendente rispetto alle
giustificazioni. Commenta Gilson: Non si potrebbe far vedere meglio che la certezza
dellesistenza di Dio precede la dimostrazione dellimpossibilit di dimostrare la sua
esistenza, e sopravvive, intatta, alla dimostrazione di questa impossibilit. Mai pi
brillante omaggio fu reso alla indistruttibilit razionale di una nozione la cui certezza
intrinseca non per nulla intaccata dalla dimostrazione della sua indimostrabilit. 4
e)
importante lavorare sulla nozione di universale, sulla nozione universale di Dio nota a
tutti, anche agli atei, di Dio come essere supremo, come essere trascendente la condizione
degli enti inferiori.
Certo, osserva Gilson, in questo percorso iniziale non potr dirsi che, con la nozione di
Dio, sia data anche la nozione di Dio creatore, di Dio inteso come creatore
delluniverso. La riflessione che ci fa capire che colui che nega Dio, poich non ritiene
che un essere perfettissimo possa essere la causa di un universo in cui compaiano il male, i
limiti, le avversit, questo filosofo non nega con ci che esista Dio, nemmeno nega che
Dio sia una nozione ineliminabile; tuttal pi nega che a Dio competa lessere creatore. La
creazione infatti un discorso esplicito della rivelazione biblica, e, nel versante filosoficorazionale, sviluppato secondo argomentazioni articolate e complesse, che ottengono
degli apprezzamenti, ma che insieme lasciano spazio a sviluppi critici con cui
confrontarsi.
Gilson avanza una proposta che ritengo possa essere accolta con favore: il caso di Dio
del tutto analogo a quello dei primi principi della razionalit: forse da discutere se
questi possano essere considerati innati; certamente innato il potere dellintelletto di
formarli. La loro formazione nel singolo soggetto connessa con lapprendimento della
realt sensibile, in analogia con quanto accade per la genesi dei concetti universali che
lintelletto forma passando attraverso la conoscenza sensibile. Scrive Gilson: Io vedo e
tocco degli esseri, non lessere. Ovvero degli agenti e dei pazienti, chiamo i primi cause,
gli altri effetti, ma non osservo la causalit stessa. Quando dico che non ci sono effetti
senza cause, esplicito semplicemente la definizione di causa o di effetto. E, diceva Hume,
come dire che non c marito senza moglie. Messo alle strette, il metafisico vi conceder
che c qualcosa di misterioso nella nostra conoscenza di ogni principio. E ci non
sorprendente, poich il principio primo per definizione. Non vi nulla di anteriore al
principio con cui si possa rendere ragione.5
Ci si pu utilmente rifare a un passo degli Analitici secondi di Aristotele (II, 19, 100 b 1116), in cui si parla dellintuizione come principio della scienza: Poich non pu
sussistere nulla di pi verace della scienza, se non lintuizione, sar invece lintuizione ad
avere come oggetto i principi. Tutto ci risulta provato, tanto se si considerano gli
argomenti che precedono, quanto dal fatto che il principio della dimostrazione non una
5
2.
K. LEWITH, Significato e fine della storia. I presupposti teologici della filosofia della storia, Milano 1956,
p. 229.
secondo il significato che questo termine ha assunto nella Scolastica, che si appoggiava
agli Analitici secondi di Aristotele, viene inclusa una capacit molto forte di conoscenza
scientifica, ossia la dimostrazione fa avere scienza, dove per scienza si intende, sempre
con Aristotele, il conoscere con certezza la causa vera della cosa conosciuta; questa
dimostrazione, nella concezione scientifica analitico-deduttiva, coincide con il sillogismo
scientifico, le cui proposizioni (soprattutto le conclusive) devono essere vere, universali,
proprie, prime e immediate (o derivabili da immediate).
Sono dette dimostrazioni rigorosissime o propter quid quelle che procedono dalle cause
immediate (ossia il medio deve inerire immediatamente al soggetto e deve essere la causa
immediata del predicato); sono considerate altres dimostrazioni, ma in un senso pi
debole, quelle che procedono dalla causa mediata o dagli effetti, e si parla di
dimostrazioni quia. In questo secondo tipo di dimostrazione il medio non la causa
immediata del predicato, ma ne o leffetto, o la causa mediata.8
Laccezione rigorosa di dimostrazione, propria dellepistemologia analitico-deduttiva, non
stata mai assunta come pienamente percorribile nel caso dellesistenza di Dio, dove si
parla di dimostrazione nella forma del quia; Tommaso dAquino esclude che ci siano
delle premesse per costruire una prova dellesistenza di Dio, dalle quali si possa inferire
immediatamente il nesso causale del soggetto ( Dio) rispetto al predicato (lesistenza): tali
premesse dovrebbero attingere da una conoscenza vera e perfetta dellessenza di Dio,
nella quale si potesse cogliere il nesso immediato tra lessenza di Dio e la sua esistenza.
Questa conoscenza alluomo nella sua attuale condizione preclusa. Luomo dispone
della conoscenza dellessenza nominale (di ci che il nome Dio significa), e dunque le
premesse per la dimostrazione devono prendere il via da dei fatti, ossia devono
emergere dallanalisi degli effetti, che, in quanto effetti, detengono la capacit di produrre
una conoscenza della loro causa: questa la dimostrazione che viene detta a posteriori.
Anche nella prospettiva della dimostrazione quia, o dalleffetto alla causa, le
argomentazioni circa lesistenza di Dio non sono state nel tempo considerate sempre
probanti in modo apodittico: anzitutto, la scienza moderna ha elaborato un diverso
paradigma di dimostrazione scientifica,
moderno, la necessit razionale analitica e non sintetica. Nellambito della causalit, noi
siamo in presenza di sintesi di esistenti, e non di essenze universali e analizzabili. La
necessit razionale vale per lanalisi delle essenze, per la-priori formale, e non per laposteriori esistenziale, per tutto ci che riguarda la causalit per gli esistenti. Non c
dunque alcuna prova razionale e analitica che Dio sia la causa esistente degli enti che
esistono nel mondo.9
Ritenendo che le asserzioni di Gilbert non pretendano di criticare lintento di far derivare
in modo determinato Dio dalle cause seconde o effetti, perch lhumus metafisico delle
prove dellesistenza di Dio (per es. le cinque vie di Tommaso dAquino) piuttosto quello
di avvalorare la necessit di rendere intelligibile (ossia non contraddittorio) il dato
empirico finito, plausibile che la critica di Gilbert verta sulla difficolt che si prova
nellaccettare il principio di causalit nella sua valenza totalizzante, che sfocia in
enunciazioni di questo tipo: ogni esistente (finito) ha una causa; oppure: le cause
causate devono avere una causa incausata. Gilbert infatti prosegue affermando: Non
possiamo provare nemmeno che ci sia una causa prima per il motivo che tutto ha una
causa. Una causa prima, per principio, differente dalle altre cause, le quali possono
essere sempre pensate come degli effetti di cause anteriori. La posizione da una causa
prima rompe la logica che legge ogni esistente in relazione causale con un altro esistente.
La causa prima dovrebbe di per s restare senza causa. Di conseguenza, dire che c una
causa prima laffermazione che rompe il rigore della logica causale: qualcosa pu essere
senza causa.10 E dunque linferenza metafisica della causalit (che postula una causa
senza causa) a costituire problema per una valutazione di razionalit, di accettabilit
della lettura della causalit in chiave ontologica, come dipendenza nellessere delleffetto
dalla causa, e non solo come dipendenza nel venire allesistenza particolare.
Dal punto di vista metafisico poi, intendere Dio come causa prima, postulata
dallesistenza delle cause seconde, e quindi come esigita dalla natura di queste ultime,
porterebbe a una conclusione tendenzialmente panteistica, a scapito della assoluta
originalit che un concetto di Dio, rispettoso della sua trascendenza, esige. Non per nulla
Tommaso dAquino invitava a tenere unite la via affermativa e la via negativa,
consapevole dei rischi che la risalita dallordine fisico importa sul piano della
9
P. GILBERT, Prouver Dieu et esprer en lui, in Nouvelle Revue Thologique, 118/5, septembre-octobre
1996, p. 698.
10
Ibidem.
trascendenza; Dio non va trattato come dipendente da ci che fonda, non va inteso come
simile a ci che chiamato a giustificare, pena il rischio di creare un Dio su basi
antropomorfiche.11
Per vigilare nei confronti dei rischi di un Dio troppo segnato da vincoli dellontologia,
dellontoteologia, per usare il termine heideggeriano che ha avuto molti consensi, e sul
quale occorrer far chiarezza, bisogna piuttosto far leva su unapertura della ragione che,
proprio perch capax Dei, rifiuta di sottomettere Dio allesperienza dei limiti, e si apre a
lui, secondando il desiderio mai compiuto di compiutezza; Gilbert parla di sperare in
lui, nomina la preghiera, come modalit di esprimere la tensione interiore verso Dio,
lattesa di Dio, la speranza in lui. Un itinerario verso Dio potrebbe orientarsi anche
diversamente, ricorrendo a categorie metafisiche connesse con la via dellinteriorit,
esemplificabile con la celebre proposta di ascesa per gradi presente nelle Confessioni di S.
Agostino: dal mondo sensibile, allio che sente attraverso il corpo; dai sensi interni alla
capacit giudicante del soggetto; dalla ragione discorsiva allintelletto intuente ed
elevante.
Un percorso di questo genere, che, in termini generali, resta di ordine metafisico, quello
che viene qualificato come Anagogia, via anagogica, dal termine in uso nellesegesi
medievale, che parlava di un senso anagogico della Scrittura, accanto al senso letterale,
allegorico, morale. Anagogia vuol dire elevazione, e significa il percorso attraverso cui si
acquisisce un punto di vista elevato, superiore, distaccato dallorizzonte del limite e della
parzialit. Con G. Barzaghi, per anagogia si intende la dottrina che considera le cose dal
punto di vista dellAssoluto, o assolutamente [] E una riconduzione o una riduzione
alla prima causa, come risoluzione nel fondamento.12
Il percorso che conduce a concepire le cose dal punto di vista dellassoluto pu includere
il discorso metafisico, laspetto radicale dellontologia, secondo il quale lessere tutto,
perch nulla pu esserci fuori dallessere, ed il tutto, lintero, la totalit integra e salva,
non manca di nulla, non ha nulla di estraneo a s. La totalit implica il discorso sulle parti,
tenendo salda la convinzione che, se le parti sono impensabili senza il tutto, la totalit, in
quanto essere non annichilabile, non lascia nulla fuori di s. Altrimenti detto, lesistenza
dellassoluto indubitabile: non ha antagonisti, perch in questo caso sarebbe relativo;
11
10
non ha un posto, perch in quanto assoluto occupa ogni posto, tutto in tutti. La difficolt
per luomo sta nel tenere ferme le due istanze: lassolutezza del tutto e il darsi delle parti.
Come superare i limiti del nostro linguaggio antropomorfico, e parlare dellassoluto senza
temporalizzarlo nella successione temporale di passato, presente, futuro, poich il suo
essere un eterno presente, mentre le parti (le creature) agiscono secondo la scansione
temporale, di passato, presente, futuro?
La tradizionale via eminentiae pu essere recuperata nella forma della mistica speculativa,
di una mistica non irrazionale, non relegata al sentire contrapposto al razionale; la
mistica speculativa implica una razionalit talmente elevata, che porta la stessa ragione a
fondare la necessit delloltrepassamento di se stessa.
Una formulazione di questo pensiero quella offerta da Nicol Cusano attraverso la
dotta ignoranza, un atteggiamento che consente alla filosofia, nel suo ultimo livello, di
vedere lincomprensibile passando attraverso ragionamenti sottili e rispettando il metodo
dialettico. Le tesi che fungono per cos dire da premesse alla dotta ignoranza sono le
seguenti: la verit piena incomprensibile; il pi e il meno non forniscono la precisione
assoluta, ossia dove c pi o meno non c il massimo. Il metodo della dotta ignoranza fa
leva sulla dialettica tra ragione e intelligenza, sfruttando il legame argomentativo tra il
sapere finito o razionale proprio della matematica e il sapere infinito o intellettivo della
mistica speculativa. La matematica la scienza dei platonici (dianoia) che funge da
preludio rigoroso al sapere puramente intellettivo (noetico) di visione. La visione
intellettuale
dellassoluto
matura
nelloltrepassamento
della
visione
razionale
matematica.13
La dotta ignoranza esige loltrepassamento della dimostrazione concettuale, mediante
unoperazione speculativa che arriva a cogliere linfinito assoluto, semplice, che sta al di
l della coincidenza degli opposti, perch nellinfinito la contraddizione dissolta; ne
deriva che la conoscenza vera di Dio non conoscenza, sapere di non sapere. E
immediato, pur nei termini molto generali che stiamo sviluppando, il nesso con la
prospettiva mistica, con la proposta di ascesa a Dio fatta dai mistici seguaci di una linea di
razionalit (Meister Eckhart e la mistica renana del tardo medioevo in particolare), e non
propriamente rinvenibili nella mistica affettiva (S. Bernardo, mistica cisterciense e mistica
vittorina del sec. XII). Una proposizione caratteristica di questa mistica ci aiuta a
13
Ibi, p. 80.
11
illustrarne i caratteri generali: Dio tutto in tutte le cose e Dio non nessuna delle
singole cose, Eckhart dice che Dio uno, una negazione della negazione: dicendo
che Dio non casa, non uomo, non questo o quello, si esclude la riconduzione di Dio a
qualcosa di limitato, che si presenta come un negativo (la casa non uomo; questo non
quello); dunque Dio nega di essere una negazione, negazione di quella negazione che
inclusa nella datit oggettiva (il questo nega il quello). Dalla negazione della negazione
emerge lunit dellassoluto, il suo essere tutto in tutto; sempre Eckhart scrive: Non
diventiamo simili a lui, se non viene espulso questo nulla, per poter essere tutto in tutto,
come Dio tutto in tutto (Sermone: Videte qualem caritatem). Ogni determinatezza
nulla, una negazione, che va rimossa come determinatezza perch si realizzi il tuttoassoluto, che le singole parti, le quali non sono pi singole parti, perch ogni parte
contiene tutte le altre e tutte le parti contengono lassoluto.
La via della mistica speculativa deve essere molto sorvegliata, proprio perch si vuole
evitare il pansofismo o un misticismo di carattere olistico, connesso pi allemotivit o
alla simpateticit che non alla vigile razionalit e intellettualit. Non prendiamo pertanto,
in questo contesto, in considerazione le mistiche cosiddette orientali; lesigenza che
intendiamo preservare che litinerario mistico a Dio conservi una compatibilit di fondo
con la teologia cattolica, ne rispetti i punti essenziali per quanto concerne il dogma, pur
facendo uso di diverso linguaggio. Una riproposizione suggestiva, oggi capace di suscitare
interesse, delle istanze della dotta ignoranza del Cusano e della mistica unitiva di Eckhart
lestetica teologica; suo padre fondatore sicuramente stato il teologo svizzero Hans Urs
von Balthasar, di cui ricordo i volumi di Gloria. Una estetica teologica.14 Il percorso
balthasariano complesso, disteso soprattutto sulle categorie teologiche e cristologiche;
volendo dare unidea di come lestetica venga intesa da parte degli autori che la
propongono come un modo di accedere a Dio, servendosi di concetti e percorsi filosofici,
mi avvalgo di quanto scrive G. Barzaghi nel cap. 4 (Mistica cristiana come estetica
assoluta) del suo volume sullAnagogia gi citato.
14
Hans Urs von Balthasar, Gloria. Una estetica teologica (Einsiedeln 1962), tr. it. Jaca Book, Milano 1971 e ss.
Vol. 1. La percezione della forma
Vol. 2. Stili ecclesiastici (Ireneo, Agostino, Anselmo, Bonaventura)
Vol. 3. Stili lessicali (Dante, G. della Croce, Pascal, Hamann, Soloviev, Hopkins, Peguy)
Vol. 4. Nello spazio della metafisica
Vol. 5. Vecchio Patto
Vol. 6. Nuovo Patto
Vol. 7. Ecumene
12
Ibi, p. 118.
Ibi, p. 125.
17
Ibidem.
16
13
14