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IL CRISTIANESIMO

Il cristianesimo costituisce non solo una componente religiosa che tende progressivamente ad affermarsi sulle
religioni politeistiche e su quella ebraica, ma si pone anche come superamento della tradizione greca e orientale.
Quali sono le novità che il cristianesimo introduce rispetto alle confessioni religiose precedenti?
1. Il superamento dell’idolatria, l’adorazione di divinità che molto spesso non hanno alcun fondamento
dal punto di vista delle componenti da cui sono caratterizzate. Erano considerati idoli anche i sovrani,
delle bestie, ecc.;
2. La rinuncia ad un approccio naturalistico, ossia rinuncia all’individuazione di qualsiasi divinità
caratterizzata da un elemento della physis (vento, sole, pioggia, ecc.). Da qui deriva una concezione della
divinità trascendente, che va oltre qualsiasi ente finito e sensibile;
3. Introduce un tipo di confessione religiosa monoteistica inserendosi all’interno della tradizione
ebraica.

Un aspetto fondamentale del cristianesimo è dato dal fatto che esso, insieme all’ebraismo, introduce la
concezione creazionistica: il mondo prima di essere creato non sarebbe. Sappiamo invece che per i greci, anche
in base a quanto scriveva Eraclito nel frammento 30, “questo mondo non lo produsse nessuno degli dei e nessuno
degli uomini, ma era, è e sempre sarà come fuoco eternamente vivente che si accende e si spegne secondo
misura”. Il cristianesimo in corrispondenza con l’ebraismo nega o supera la concezione greca dell’eternità del
mondo proprio attraverso il creazionismo, espresso nel primo libro dell’Antico Testamento, la Genesi.

Il creazionismo poi sarebbe caratterizzato da un atto di volontà libera del Creatore. Questo atto di volontà
costituisce una componente importante perché la componente della volontà attribuita al Creatore nel momento
della creazione viene estesa al genere umano, che possiede la capacità di decidere: la decisione implica la scelta
sul prattein, sull’agire, sulla base di un tipo di concezione religiosa cristiana definita “nomotetica”, da nomos
ticto, “costituita da leggi”. Le prime leggi che appartengono alla tradizione ebraica sono espresse nelle Tavole
delle Leggi con i X comandamenti. L’uomo può dunque decidere di attuare i precetti divini a partire dai X
comandamenti o non attuarli: le conseguenze per chi non li attua sono ovviamente nefaste: la collera di Dio può
infatti produrre conseguenze nefaste sul genere umano come è accaduto, ad esempio, nel significativo episodio
del diluvio e dell’Arca di Noè.
Se Dio è onnisciente Egli sa tutto, sa dunque come si svilupperanno le azioni di ogni uomo: questo però non
implica il fatto che gli uomini siano obbligati ad agire in un determinato modo, poiché essi possiedono il libero
arbitrio. Il fatto che gli uomini abbiano volontà propria era presente già nella filosofia greca, ma mentre in essa
tutto ciò era inserito all’interno dell’etica, nella filosofia cristiana (laddove religione e filosofia costituiscono un
unicum) viene sottolineata la volontà dell’uomo indipendente da qualsiasi condizionamento.

ANTICO TESTAMENTO
La bibbia è costituita dall’Antico Testamento e Nuovo Testamento (formato da Vangeli Sinottici, Matteo, Marco e
Luca più quello di Giovanni, gli Atti degli Apostoli, Lettere di Paolo. Il Vangelo di Giovanni non è definito sinottico
– da syn opsis: “vista di insieme” - poiché comincia con l’affermazione filosofica “in principio era il logos”: è dunque
un Vangelo diverso rispetto agli altri tre, più accessibili).
Qual è la concezione dell’uomo che emerge dall’Antico Testamento? In base all’Antico Testamento notiamo che
non è presente alcuna differenza o distinzione fra soma (corpo) e psyche (anima): tutto è ridotto al corpo
attraverso alcune nozioni ricorrenti nell’Antico Testamento in base alla traduzione dei 70 (che tradussero
l’Antico Testamento dall’ebraico al greco). Le nozioni che emergono nell’Antico Testamento sono:
• Basar (bashar) indica la carne, il corpo che ci caratterizza e gli organi che lo formano;
• Ruah indica il respiro, in particolare fa riferimento al muscolo “diaframma”. Il respiro è inteso dunque da
un punto di vista fisico-corporeo;
• Leb corrisponde al cuore, che assicura la circolazione sanguigna. Esso è inteso però anche come organo
delle emozioni;
• Nefes (nefesh) indica l’esigenza attraverso la gola, organo presente nel corpo umano.

INNOVAZIONI APPORTATE DAL CRISTIANESIMO


Nell’antropologia ebraica queste quattro determinazioni trovano espressione, si esprimono e si manifestano,
esclusivamente nel corpo. Nell’antropologia ebraica l’arché e il telos non è dunque altro che il corpo: nessun tipo
di speranza in una vita ultraterrena, nessun tipo di distinzione fra soma e psyche, ecc.
Cambiamento importante introdotto dunque dal cristianesimo (con quello che Nietzsche definirà con “colpo di
genio”) attraverso l’apostolo Paolo è dato dal fatto che alla morte del corpo si contrapponga la sopravvivenza
dell’anima. Scrive infatti Paolo di Tarso “vana sarebbe la nostra fede se Cristo non fosse risorto”. Quello che
Nitzsche definisce come “colpo di genio del cristianesimo” è dato dal fatto che quest’ultimo promette la
sopravvivenza dell’anima rispetto al corpo, e dunque supera sia l’antropologia ebraica che quella greco-latina in
base alla quale la vita si risolverebbe esclusivamente nella nascita, nella crescita e in quella che i greci definivano
achme, il punto massimo cioè della maturità psico-fisica, che per essi corrispondeva al quarantesimo anno di vita.
Per Dante, invece, il “mezzo del cammin di nostra vita” è di 35 anni. La relazione con il cristianesimo è data dalla
concezione greco-latino ed ebraica del corpo, che costituisce l’arché ed il telos della vita di un uomo, mentre per
il cristianesimo non è così.

Altra novità importante introdotta dal cristianesimo è data dal fatto che in quanto figli di Dio, siamo tutti uguali.
Questa componente del cristianesimo è rivoluzionaria e costituisce una componente di radicale cambiamento
rispetto al mondo antico, basato sulla diseguaglianza sociale: uomini liberi e schiavi, aristocratici e plebei, ecc.
Anche per questa ragione i cristiani verranno perseguitati per moltissimo tempo, perché saranno visti dalla
popolazione come una minaccia all’ordine sociale vigente. Ricordiamo che le persecuzioni termineranno
solamente con l’editto di Milano del 313 d.C. firmato dall’imperatore Costantino, che mediante questo documento
riconobbe l’ufficialità della confessione religiosa cristiana.

Altra novità importante introdotta dal cristianesimo (sempre con riferimento all’Apostolo Paolo) è data dalla
concezione del peccato originale, compiuto da Adamo ed Eva che disobbedirono all’obbligo di Dio di non nutrirsi
dei frutti dell’albero del Bene e del Male. Questa disobbedienza provocò l’espulsione dal Paradiso Terrestre. Tutti
quanti, quando nasciamo, siamo ancora coinvolti nel Peccato Originale che ci viene tolto per mezzo del Battesimo,
per mezzo del quale siamo salvati dal Peccato Originale. Di qui deriva la concezione cristiana della salvezza
(guadagnare il Paradiso), che si ottiene sia attraverso la grazia di Dio, che non può volere il male per la sua
creatura eletta (superiore cioè rispetto alle altre creature), ma anche attraverso le opere. Queste due componenti
contribuiscono egualmente alla salvezza. Le opere senza la grazia divina risultano incomplete; egualmente la
grazia divina senza le opere non garantisce all’uomo la salvezza.

Paolo di Tarso introdurrà anche un’altra novità importante presente nella Prima Lettera (o epistola) ai Corinzi e
ai Tessalonicesi, novità riguardante il superamento della concezione dell’eros greco, superato dall’agape
cristiana. Nel Simposio Platone aveva affermato che l’eros fosse figlio di Penìa (“mancanza”, quindi l’eros
costituisce una componente che ci rende consapevoli della nostra incompletezza) e Poros (“espediente”
attraverso il quale nei confronti di colui o colei nel quale pensiamo di trovare il completamento della nostra
incompletezza che avvertiamo raggiungiamo la pienezza. Di qui il procedimento ascensivo dell’eros platonico:
dall’amore di un corpo, all’amore per tutti i corpi, amore per attività umane e leggi, amore per le scienze, sino a
raggiungere l’auto to chalon, il “bello in sé”).
Nella Prima Lettera ai Corinzi San Paolo scriverà:
• “Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità (agape), sarei come bronzo che
rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e
avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità
(agape), non sarei nulla.” L’agape, la carità cristiana, costituisce il prius, mentre la profezia, il dono della
conoscenza delle lingue degli uomini e degli angeli, costituisce il posterius. L’agape viene dunque posta
da un lato come superamento dell’eros greco, dall’altro come fondamento di qualsiasi altra componente
della vita umana. Di qui il principio “ama il prossimo tuo più di te stesso”.
• “La carità (agape)è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio,
non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse (cerca infatti l’interesse del prossimo), non si adira,
non tiene conto del male ricevuto (risponde dunque al male ricevuto con il bene), non gode dell’ingiustizia
ma si rallegra della verità. Tutto scusa (riesce cioè a perdonare tutto), tutto crede, tutto spera, tutto
sopporta”. Si noti dunque come l’agape cristiana è impegnativa per un cristiano.
QUESTIONE DEL TEMPO NEL CRISTIANESIMO E NELL’OCCIDENTE
Altro aspetto importante ed innovativo introdotto dal cristianesimo è la nuova concezione del tempo. In base a
quanto scrive Galimberti negli “Equivoci dell’anima” l’Occidente conosce tre tipi di tempo:
• Tempo ciclico: da kyklos, “ripetitivo” che identifica il tempo nella corrispondenza tra tempo naturale e
tempo umano: ciò vuol dire che entrambi sono soggetti alla stessa ciclicità, alla stessa ripetizione. La
prima definizione del tempo ciclico è presente nel frammento B1 di Anassimandro, laddove tutti gli enti
scaturiscono dall’apeiron e sono destinati a tornare ad esso avendo compiuto un adichia, un’ingiustizia.
Ad esempio il tempo naturale è soggetto al ripetersi dei giorni, delle stagioni, ecc., è così anche il tempo
umano è soggetto alla stessa ripetitività sia a livello individuale che a livello collettivo: le varie civiltà si
sono affermate, hanno raggiunto il loro punto massimo di diffusione per poi cominciare il proprio declino.
Il tempo ciclico riguarda dunque sia la componente naturale che la componente umana;
• Tempo scopico: da scopeo, “individuo e raggiungo il bersaglio come obiettivo”. Attraverso Prometeo (il
nome di Prometeo deriva da Pro Meteus, ossia “provvedo in anticipo”: nel Prometeo Incatenato, scritto
da Eschilo, l’omonimo eroe aveva sottratto agli dei sia il fuoco che le technai e le aveva donate agli uomini:
per punizione Zeus aveva incaricato Efesto di legare Prometeo ad una rupe del Tarso, alle pendici del
monte Caucaso) è il tempo che individua un obiettivo, un bersaglio, e tenta di raggiungerlo nel più breve
tempo possibile attraverso l’utilizzo del kairòs, il tempo opportuno. Se non si sfrutta il tempo opportuno
l’obiettivo è destinato a non essere raggiunto nella coappartenenza tra il recente passato e immediato
presente come due componenti che si coappartengono: recente passato ed immediato presente sono
posti in relazione proprio dal kairòs, l’utilizzo del tempo opportuno (ho perso questa occasione ed è
difficile che essa si ripeta poiché non ho afferrato al volo il kairos);
• Tempo escatologico: il tempo propriamente cristiano, che contrappone alla concezione circolare del
tempo greco la concezione del tempo rettilinea: il tempo ha avuto inizio con la creazione del mondo da
parte di Dio, ha avuto i suoi sviluppi con il Peccato originale, è intervenuto il Figlio di Dio, ha sacrificato
la sua vita per salvare l’umanità dal peccato originale ecc. ed è destinato a compiersi e realizzarsi in
maniera definitiva, affermando la componente dell’anima rispetto a quella del corpo mediante il Giudizio
Universale, nel quale le anime si ricongiungeranno con i propri corpi: chi ha rispettato i precetti divini
avrà come premio il Paradiso (come scrive Dante nel primo canto Paradiso “a gioirsir sempra”); chi non
ha rispettato i precetti divini è condannato all’Inferno ed alla dannazione eterna. Il tempo escatologico è
dunque il tempo tipicamente cristiano non solo escatologico ma anche apocalittico (da apo kalypto,
“rivelazione” attraverso la quale il tempo umano altro non è che ombra o raffigurazione parziale del
tempo divino: il tempo umano è destinato a consumarsi con la fine del genere umano nel Giudizio
Universale) e telologico: il tempo umano non è un avvenire, un succedersi, di fatti ed avvenimenti casuali,
ma possiede il suo telos, il suo scopo: il fine del genere umano è la resurrezione del tempo umano nel
tempo divino, nel tempo dell’eternità in cui Dio riscatterà definitivamente il genere umano, dannerà chi
non ha rispettato i precetti divini e premierà chi invece li ha rispettati. Si ricordi che la concezione del
Purgatorio si affermerà solamente con l’anno 1000 attraverso il ceto sociale mercantile, il quale spesso
peccava: inventò dunque il Purgatorio nel quale, pentendosi all’ultimo momento, sarebbero potuti andare
anche coloro che avevano peccato in vita.

AGOSTINO DI IPPONA
Agostino di Ippona nasce a Tagaste, nell’Africa romana, nel 354 d.C.: il padre, Patrizio, è pagano; sua madre
Monica è invece cristiana ed eserciterà sul figlio una profonda influenza nella sua conversione al cristianesimo.
Agostino vive la fanciullezza in quelle che nella sua autobiografia intellettuale “Le Confessioni” definisce come
attività dissolute. La svolta nel suo percorso intellettuale avviene con la lettura, che compie circa a 19 anni,
dell’Ortensio di Cicerone, opera andata perduta che altro non era che il corrispondente del Protreptico di
Aristotele, un’esortazione alla filosofia. Attraverso l’Ortensio Agostino abbandona la vita dissoluta e comincia a
dedicarsi alla lettura dei classici della filosofia, in particolare dei dialoghi di Platone e delle Enneadi di Plotino.
Nel 374 aderisce al manicheismo, che poi verrà definito come una dottrina eretica dalla chiesa cristiana. Il
manicheismo consisteva in una dottrina filosofica-religiosa nella quale erano presenti due componenti sia
ontologiche che assiologiche dei valori contrastanti: il Bene ed il Male; secondo il manicheismo il Bene non
prevarrebbe sul Male, che dunque costituirebbe una componente ineliminabile sia da un punto di vista ontologico
che da un punto di vista morale. Sarà condannato perché se Dio non riesce a prevalere sul Male allora non è
onnipotente.
Intanto Agostino comincia ad insegnare retorica, l’arte del parlare e della persuasione, a Cartagine. Poiché però i
suoi studenti sono irrequieti preferisce abbandonare Cartagine e trasferirsi a Roma, dove gli studenti non solo
sono irrequieti, ma non lo pagano nemmeno: questo perché l’insegnamento a quei tempi avveniva in maniera
privata. Lascia dunque Roma e si trasferisce a Milano, dove incontra il vescovo Ambrogio. L’incontro con
Ambrogio segnerà, assieme all’intervento della madre cristiana, la svolta per la sua conversione. Egli si battezza.
Nel 386 abbandona l’insegnamento di retorica a Milano e si ritira in meditazione nella villa di Cassiciaco, vicino
Milano. Qui egli comincia a scrivere alcune delle sue opere più importanti contro gli Accademici, ossia i seguaci
di Platone che sviluppavano la filosofia di Platone in maniera impoverita rispetto a quanto emerge dalla lettura
dei dialoghi platonici, e anche sulla Beatitudine ed i Soliloqui.
Dopo di ciò egli decide di ritornare a Cartagine imbarcandosi ad Ostia. Durante il viaggio di ritorno muore sua
madre: egli racconterà questo episodio nella sua autobiografia intellettuale, le “Confessioni”, come un episodio
drammatico, poiché verrà a mancare il suo sostegno da un punto di vista familiare.
Si stabilisce dunque in Africa, a Tagaste, e viene nominato sacerdote. Nel 395 viene consacrato Vescovo di Ippona.
Durante questo periodo scrive delle opere importanti: le “Confessioni”, “De Trinitate”, “La vera religione ed il
libero arbitrio” ed il “De civitate Dei”, che costituisce un mezzo di riflessione sulle due civitates che
caratterizzano il romano, la città terrena (la città di cui noi siamo spesso succubi, della dimensione egoistica e
mondana) e la città celeste, la città di Dio verso la quale ciascun cristiano tende e costituisce un importante
documento nella concezione agostiniana, ma anche cristiana, della storia sia in senso teleologico che in senso
escatologico.

LE BASI DELLA FILOSOFIA AGOSTINIANA


Quali sono le basi della filosofia agostiniana?
I punti di riferimento sono costituiti dai Dialoghi di Platone e dalle Enneadi di Plotino: sulle basi di questi
riferimenti infatti egli scrive che due sono i suoi argomenti di indagine: Dio e l’Anima, a tal punto che testualmente
egli scrive “io desidero conoscere Dio e l’Anima”; “Nient’altro?” “Niente altro, assolutamente” (brano tratto dai
“Soliloqui”). Quindi non troveremo ricerche di carattere naturalistico o fisico in Agostino poiché secondo lui
l’indagine va concentrata su Dio, il Creatore, e l’anima, che costituisce la componente immortale propria del
genere umano; l’indagine invece sugli elementi di carattere terreno costituisce un tipo di indagine non degna di
approfondimento giacché tutte queste componenti sono soggette al ghenestai chai apollysthai attraverso due
aspetti che vengono sintetizzati in due affermazioni agostiniane: crede ut intelligas (“credi per capire”) e
Intellige ut credas (“capisci per credere”). Qual è il senso di queste affermazioni? Che il credere implica la fede
e che l’intelligere implica la ragione: credi per comprendere determinate verità che la ragione non riesce a
spiegare (la ragione non riesce a spiegare il problema dell’esistenza di Dio, dell’immortalità dell’anima, ecc.);
intellige ut credas vuol dire che la ragione attraverso le sue argomentazioni non fa altro che supportare alcuni
argomenti religiosi arrendendosi poi per quanto riguarda alcune verità per le quali non si riesce a trovare una
ragione. Quando ci si pone domande “cosa ci sto a fare al mondo?” la ragione può solo tentare di rispondere, ma
la risposta a queste domande è un tipo di risposta incompleta e limitata; di qui occorre il soccorso ed il sostegno
della fede. Queste due frasi esprimono quello che è stato definito come il circolo ermeneutico (da ermenèia, che
vuol dire “interpretazione” ma anche “comprensione”, come poi insegnerà Gademer, e quindi la reciproca
interrelazione e coappartenenza di ragione e bene.

Un PRIMO ASPETTO della filosofia agostiniana è la pars destruens, la parte critico-negativa, che riguarda la
critica dello scetticismo (lo scetticismo, una delle scuole filosofiche post-aristoteliche, negava la possibilità di
raggiungere mediante la conoscenza una verità in senso assoluto. Anche lo scetticismo ha le proprie basi su una
pars destruens ed una pars costruens: la prima contiene la negazione che le due fonti conoscitive, quella deduttiva
e quella induttiva, possano costituire un sapere certo e valido; di qui produce come conseguenza l’epoké, la
“sospensione del giudizio”: non è possibile dare alcun tipo di giudizio, non è possibile esprimere qualcosa;
dall’epoké (epoché, epoche) scaturisce poi l’afasia, l’”impossibilità di dire qualcosa”). La pars destruens della
filosofia agostiniana riguarda dunque una critica allo scetticismo basata sul fatto che non si possa individuare
alcun tipo di verità certa a tal punto che il punto di arrivo dello scetticismo era l’afasia. In che modo e attraverso
quali argomenti Agostino critica lo scetticismo? Ci sono delle verità indubitabili, come le verità matematiche. Già
questo costituisce il primo argomento di confutazione dello scetticismo.
Secondo Agostino non può nemmeno essere messo in discussione il principio aristotelico di non-
contraddizione così come era stato esposto da Aristotele nel Libro IV (4) della Metafisica, laddove egli
scrive “è impossibile attribuire a un ente contemporaneamente due qualità” (è impossibile che un ente sia
contemporaneamente in piedi e seduto).
Il TERZO ARGOMENTO attraverso il quale Agostino di Ippona critica lo scetticismo è espresso dalla frase latina
Si enim fallor sum: “se infatti sono in errore non posso dubitare di esistere in quanto ente in errore”. Se non posso
dubitare di esistere in quanto ente in errore, allora trovo questa certezza: l’affermazione di questa certezza
cancella dunque qualsiasi negazione di verità. Questa frase è importante per due motivi: in primo luogo poiché
sarà rielaborata da Cartesio nella forma “Cogito ergo sum”; in secondo luogo perché anticipa la scoperta
cartesiana del cogito.

QUESTIONE DELLA CONOSCENZA


Se per Platone conoscere vuol dire ricordare, e dunque lui risolveva la conoscenza nell’anamnesis, per Agostino
invece la conoscenza (metabasis dall’agnoia alla gnosis) avviene mediante l’intervento di Dio: è Dio che ci illumina
e produce la metabasis dall’agnoia alla gnosis attraverso l’anima: secondo Agostino infatti la componente più
importante ed immortale che noi possediamo è l’anima; attraverso l’anima si stabilisce un elemento di
collegamento fra il corpo, destinato alla morte, e Dio, immortale. Dio è Creatore e crea noi, che siamo creature.
Qual è dunque la differenza ontologica fra Creatore e creatura? La differenza ontologica è data dal fatto che
mentre il Creatore è eterno ed onnipotente, noi non siamo né eterni né onnipotenti.
La conoscenza avviene dunque per eliminazione: è Dio che interviene e garantisce la metabasis dall’agnoia alla
gnosis mediante la componente immortale che possediamo, l’anima.
Di qui scaturisce la questione dell’anima, centrale per la filosofia di Agostino, che verrà ritenuta valida anche per
la concezione cristiana successiva.

QUESTIONE DELL’ANIMA
La questione dell’anima è una questione centrale di Agostino. Quanto sostiene Agostino riguardo l’anima è stato
mantenuto e ritenuto valido anche dalla concezione cristiana successiva nel senso che se Aristotele definiva l’ente
pollachos legomenon (ciò che è e si dice in molti modi), Agostino definisce l’anima ugualmente in molti modi,
parafrasando Aristotele, pollachos. Dunque pollachos leghetai psyche, “l’anima si dice in molti modi”.
Quali sono i molti modi in cui si dice l’anima secondo Agostino?
1. Come corrispondente al latino anima, la parte animatrice del corpo. Ciò vuol dire che l’anima corrisponde
alla componente che assicura non solo la vitalità del corpo e quindi il funzionamento dei nostri organi,
ma assicura anche le sensazioni, i movimenti e così via. La prima definizione dell’anima comprende in sé
stessa sia i due significati di anima aristotelica, vegetativa e sensitiva, che quella romana;
2. La seconda definizione è quella di spiritus, che comprende la componente razionale, della ragione, che
costituisce il corrispondente della terza parte dell’anima aristotelica, la parte intellettiva;
3. Altra declinazione dell’anima è quella di mens. Con questa declinazione si intende la facoltà che stabilisce
le associazioni e le dissociazioni fra i componenti. Se dico che la giornata è soleggiata, “la giornata” è posta
in relazione con “soleggiata”. Se dico “la giornata non è nevosa” dissocio la giornata da questa
determinazione;
4. Ultima definizione dell’anima è quella come intellectus, la parte suprema dell’anima attraverso la quale
secondo Agostino si stabilisce la relazione fra questa parte superiore dell’anima e Dio. Di conseguenza
l’anima per Agostino è definita “a immagine e somiglianza – nel senso dell’anima come intellectus – di
Dio”.

IL PROBLEMA DEL MALE


Durante la fase della sua formazione intellettuale Agostino aveva condiviso la posizione manichea, secondo la
quale esistevano due componenti contrastanti: il Bene ed il Male, che non può essere sconfitto dal Bene. Il
manicheismo si costituiva dunque come una posizione eretica in quanto se Dio non è in grado di prevalere sul
Male, allora Egli non è più onnipotente.
Se Agostino aveva condiviso la posizione manichea durante la prima fase del suo percorso intellettuale,
successivamente invece egli mutò idea distinguendo tre tipi di male:
• Il male metafisico, che corrisponde alla differenza fra Creatore e creatura: se il Creatore è perfetto la
creatura è imperfetta; se Dio è onnipotente, la creatura non può ciò che vuole. Il male metafisico deriva
dunque dalla differenza ontologica fra Creatore e creatura;
• Il male morale, che secondo Agostino corrisponde al peccato, una mancata applicazione dei precetti
cristiani. Secondo Agostino il male morale non deriva da una causa efficiente: non è Dio a indurci a
peccare, perché sennò non sarebbe assolutamente buono. Il male morale deriva piuttosto da una causa
deficiente (dal latino deficio, “manco di qualcosa”) insito nella natura umana. Molto spesso le componenti
passionali ed egoistiche prevalgono rispetto a quelle del prossimo o rispetto ai dettami del cristianesimo;
• Il male fisico, che per Agostino corrisponde alla malattia, alla morte e deriva dal peccato originale, dal
mito di Adamo ed Eva.

LE CONFESSIONI – introduzione alla questione del tempo in Agostino


Le confessioni sono un romanzo autobiografico di Agostino nel quale quest’ultimo espone le varie tappe del suo
percorso intellettuale; viene quindi coinvolta una facoltà che costituisce un’importante novità del cristianesimo,
la volontà. Attraverso la volontà Agostino dimostra come, malgrado abbia vissuto una giovinezza dissoluta,
attraverso l’azione della madre Monica, cristiana, attraverso l’intervento del vescovo Ambrogio di Milano, abbia
compiuto la metabasis dal paganesimo al cristianesimo.
Ovviamente quest’opera è anche una lode di Dio giacché secondo lui senza l’intervento di Dio non sarebbe
avvenuta questa periagoghé (trasformazione, cambiamento radicale nel proprio percorso di vita).
Le confessioni possono anche essere intese come “Odissea dell’anima”: il riferimento implicito è ovviamente
all’Odissea di Omero: come nell’Odissea è trattato il percorso del viaggio di Odisseo compiuto dopo la distruzione
di Troia sino ad Itaca, nelle “Confessioni” Agostino tratta le peregrinazioni della sua anima. Di qui scaturisce la
centralità della parola “anima” nel cristianesimo, nella polivocità. L’anima, cioè, per il cristianesimo costituisce la
componente che ci distingue dalle bestie e dalle piante, la componente che costituisce l’immagine di Dio e la
componente attraverso la quale viene garantita l’immortalità dell’anima rispetto a quella del corpo.

QUESTIONE DEL TEMPO IN AGOSTINO


Agostino dedica l’XI (11) ed il XII (12) libro. La trattazione agostiniana del tempo si muove nell’ambito del
pensiero occidentale.
Egli parte dalla domanda su che cosa facesse Dio prima della Creazione. Egli ritiene questa domanda infondata
perché presuppone che il tempo non esistesse prima della Creazione, ma si costituisse con essa. Questa domanda
è dunque infondata perché presuppone che il tempo esistesse anche prima della Creazione.
Pag. 202-203 Leggerlo dopo questa premessa fino a fine paragrafo.
Introduzione al brano: Questo è un brano molto importante: Agostino prima problematizza la questione del
tempo. In questo testo Agostino precisa che il tempo è un’estensione dello spirito e quindi non è indipendente
dal soggetto che lo misura, ma è determinato proprio dal soggetto misurante (ricordiamo che lo spirito costituiva
una delle parti dell’anima, quella razionale).
Se lo spirito misura il tempo come si fa ad affermare che un tempo è più breve se il passato in quanto passato non
è più, il presente in quanto presente è destinato a non essere più ed il futuro non è ancora?
Agostino da un lato attribuisce la misurazione del tempo allo spirito, dall’altro sottolinea come questo tipo di
misurazione risulti problematica dal momento che non si può misurare ciò che non è più, né ciò che sta
avvenendo, né ciò che non è ancora.

Dopo il testo. Agostino da un lato stabilisce la relazione fra tempo e anima come aveva fatto già Aristotele nel IV
libro della Fisica, capitolo 14 (laddove Aristotele si poneva il problema se il tempo esistesse indipendentemente
dall’anima o si ponesse soltanto in quanto determinato dall’anima); dall’altro recupera la concezione plotiniana
del tempo, in base alla quale nella III Enneade, capitolo 7, Plotino identificava il tempo cronologico con la terza
ipostasi, quella dell’anima.

• L’opera cui facciamo riferimento in merito alla questione agostiniana del tempo storico è il De civitate
Dei, “Sulla città di Dio”. Perché Agostino scrisse quest’opera poderosa di circa 500 pagine composta in 22
libri? In primo luogo sicuramente per replicare all’accusa mossa ai cristiani di essere stati la causa della
decadenza dell’impero romano: egli scrisse infatti quest’opera dopo il 410 d.C., anno del Sacco di Roma
da parte dei Goti. Una parte dell’opinione pubblica ma anche degli intellettuali del tempo riteneva
responsabili dell’assedio di Roma i cristiani; di qui Agostino replicò, nei primi dieci libri del De civitate
Dei, a quest’accusa. Gli altri dieci libri (il De civitate Dei si compone infatti di 22 libri) delineano la
concezione cristiana del tempo.

I PRIMI 10 LIBRI: CADUTA DELL’IMPERO ROMANO


In che modo egli replica all’accusa in base alla quale i cristiani erano ritenuti responsabili della decadenza di
Roma? Egli afferma che l’impero romano fosse già in decadenza indipendentemente dalla religione cristiana, anzi
egli sostiene che il cristianesimo ha rallentato la crisi dell’impero affermando i valori cristiani, in particolare
l’agape, “ama il prossimo tuo più di te stesso”; dunque con queste argomentazioni Agostino destruttura la critica
mossa ai cristiani: la decadenza dell’impero romano è per lui dovuta a cause endogene, ossia intrinseche a ragioni
sociali, commerciali, militari, ecc.

I RESTANTI 12 LIBRI: IL TEMPO STORICO


Se parti da qui rilegge da paragrafo in evidenza.
Nella parte propositiva Agostino individua nella storia del genere umano la presenza di due civitates, due città,
due componenti: la città terrena e la città celeste. La città terrena riguarda la componente del corpo ed è
caratterizzata dal dominio degli impulsi sensibili, caratterizzate dalla dimensione egoica, dal bellum omnium
contra omnes (“la guerra di tutti contro tutti”), mentre la città celeste è la città dell’anima ed ovviamente di quella
parte dell’anima che Agostino considera superiore rispetto ad altre componenti: lo spiritus cui si aggiunge
l’intellectus. Agostino ritiene che in alcune fasi della storia umana abbia prevalso la città terrena e quindi la
componente individuale, egoica, in altre fasi avrebbe prevalso la città celeste, la città dell’anima. Egli definisce
queste due città pernictae, ossia mescolate insieme a tal punto che nella storia del genere umano si consideri la
città terrena come unica città e si identifichi dunque con la città celeste e la città celeste con la città terrena;
avviene cioè quello che si definisce umkerhung, ossia “capovolgimento delle due città”; secondo Agostino se il
popolo ebraico sarebbe stato caratterizzato dal fratricidio fra Caino e Abele, se il popolo romano è stato
caratterizzato dall’altrettanto fratricidio fra Romolo e Remo, ne deriva che risulta presente questa componente
conflittuale nella storia del genere umano che è destinata a risolversi nel prevalere della dimensione celeste su
quella terrena. La prospettiva che egli sviluppa dunque nel De civitate Dei è definita soteriologica (dal greco
soteria, della salvezza del genere umano dopo aver attraversato le varie fasi negative, che altro non sono che
preparazione ad un positivo superiore. Sotto questa prospettiva le fasi negative assumono un ruolo positivo) e
teleologica (nel senso che la storia del genere umano possiede il suo telos, dato dal dominio e dalla prevalenza
della città celeste sulla città terrena, laddove il genere umano è destinato a vivere, come dice Agostino, in umbra
futuri, ossia “nell’ombra del futuro”. L’ombra che ci guida altro non è che il nostro futuro).

L’AFFERMAZIONE DELLA SCIENZA


Nei 12 secoli che intercorrono fra Sant'Agostino e la rivoluzione copernicana si
inserisce la filosofia medievale, una filosofia cristiana distinta in filosofia patristica e
filosofia scolastica.
● La filosofia patristica è ritenuta tale poiché è sostenuta dai padri della chiesa
(Agostino di Ippona, Sant’Ambrogio, San Girolamo, San Gregorio Magno), i
quali costituiscono le basi della filosofia cristiana nella stretta interdipendenza tra
filosofia e religione, tra ragione e fede (ne abbiamo parlato a proposito di
Sant’Agostino). Questa filosofia implica quindi un'elaborazione dei dogmi
fondamentali del cristianesimo, da parte dei padri della chiesa, dimostrati
filosoficamente nella interrelazione e reciproca integrazione di ragione e fede.
● La filosofia scolastica, seconda componente della filosofia cristiana durante il
medioevo, è definita tale poiché veniva insegnata e diffusa nelle scuole. Ci
troviamo intorno all’anno 1000, quando cominciano a diffondersi le prime
università dove venivano insegnate: teologia (che comprendeva anche la
filosofia cristiana), diritto e medicina. La filosofia scolastica aveva come punto di
riferimento Aristotele (Dante, infatti, studioso di filosofia scolastica definì
Aristotele come “il maestro di color che sanno”), mentre Platone venne
fortemente ridimensionato (che verrà riscoperto solo durante l’umanesimo).
Pag. 93. Qual è il terminus ante quem ed il terminus post quem della rivoluzione scientifica? L’opera e la data con
cui gli storici fanno cominciare la rivoluzione scientifica è il 1543, quando viene pubblicata l’opera di Copernico
De revolutionibus corpium celestium. Questo perché in quest’opera Copernico formulò quella che viene definita
“ipotesi eliocentrica”; per questo tale opera costituisce la premessa della cosiddetta “Rivoluzione copernicana”.
L’opera con la quale si conclude questa fase è l’opera di Isaac Newton, Philosophiae naturalis principia
mathematica, pubblicata il 5 luglio 1687. In quel tempo infatti anche le opere di fisica, matematica, ecc. venivano
scritte in latino, che costituiva la lingua di comunicazione fra i dotti. Quali sono le NOVITA’ che caratterizzano la
cosiddetta rivoluzione scientifica?
• In primo luogo si afferma una concezione della natura completamente separata da quella dei Greci.
Se per i Greci tutto era physis (dunque per i Greci la physis era una componente olistica in quanto tutti gli
enti sono soggetti al ghenestai chai apollysthai), qui invece si distingue anima e physis. L’anima è destinata
a sopravvivere all’uomo dopo la morte, la physis, intesa in questo caso come “natura” si identifica con ciò
che è soggetto al divenire, con ciò che cambia. Essa si afferma come ordine oggettivo (“ordine” nel senso
che la natura è costituita da un insieme di fenomeni non casuali, non frammentati, ma da un insieme di
fenomeni che possiedono determinate leggi e in cui ciascun fenomeno rinvia all’altro. Degli esempi: si
addensano le nuvole, comincia a piovere; “oggettivo” nel senso che caratterizza gli eventi della natura
indipendentemente dal soggetto: gli eventi sono destinati a svilupparsi indipendentemente da qualsiasi
intervento del soggetto. Indipendentemente dal genere umano scende la pioggia). La natura è poi
“causalmente strutturata”, nel senso che ad una determinata causa corrisponde un determinato effetto.
È dunque presente un rapporto costante ed univoco base al quale dato l’uno è presente anche l’altro, e
tolto l’uno è tolto anche l’altro. Ad esempio, data la temperatura di 100°C l’acqua bolle; tolta questa
temperatura l’acqua smette necessariamente di bollire. L’ordine della natura causalmente strutturato
implica la presenza di determinate leggi. Che si intende in questo contesto per “legge”? Non la legge di un
sistema giuridico, ma “legge” nel senso di spiegazione ad un fenomeno: la legge non fa altro che esprimere
questo tipo di spiegazione attraverso una legge matematica o una formulazione linguistica.
• Si impone la “scienza”. Per quanto riguarda la parola “scienza” qui va chiarito un aspetto importante: i
Greci definivano la scienza come epistheme, da epi histemi, un sapere saldo ed incontrovertibile, mentre
la nuova concezione di “scienza” deriva dal latino scientia, che rispetto all’epistheme greca implica un tipo
di sapere ipotetico-deduttivo estraneo ai Greci: si fanno determinate ipotesi e se ne deducono le
conseguenze. Se l’ipotesi è poi smentita vengono smentite anche le relative conseguenze e si passa ad
un’altra ipotesi. Il termine scientia segna dunque una metabasis rispetto alla concezione greca
dell’epistheme. La scientia è dunque basata sull’esperienza, laddove però anche per quanto riguarda
l’esperienza emerge la differenza fra esperienza ed esperimento, come affermerà lo stesso Galileo Galilei.
Si afferma dunque un sapere di tipo sperimentale, cioè che deriva dai dati che confermano o
smentiscono determinate ipotesi, matematico giacché si passa dal carattere qualitativo (si individuava
la forma, l’essenza dei fenomeni) al carattere quantitativo-matematico, a tal punto che Galileo scriverà
che “la natura non è altro che un libro scritto a caratteri matematici”. Il sapere è poi intersoggetivamente
valido, cioè valido in senso universale, condiviso. Di qui scaturisce che attraverso le scoperte scientifiche
deriva il dominio del mondo, considerato come materia e strumento da utilizzare. La scienza viene
dunque considerata come un mezzo per dominare e governare il mondo, come affermerà Francesco
Bacone con la frase scientia est potentia: attraverso la scienza l’uomo aumenta la capacità di controllare
la natura; questo aumento della capacità di controllo della natura però determinerà delle conseguenze
nefaste riguardo i bisogni fondamentali del genere umano.
Ovviamente l’affermazione della scienza in questi termini non fu rapida: avvenne sfidando e molto
spesso entrando in contrasto con le forme tradizionali imposte da secoli: i punti di riferimento erano
infatti due: in primo luogo era Aristotele, che era considerato “maestro di color che sanno”. Il rapporto
con Aristotele era però un rapporto acritico (potremmo addirittura pensare che se Aristotele tornasse
in vita non indugerebbe a mettere in discussione le tesi sostenute nelle opere di fisica o scienze naturali
laddove infatti egli scriveva nel I libro della Metafisica, capitolo 4, acholouthein tois phainomenis:
“corrispondere ai fenomeni”. Se i fenomeni non concordano con le nostre ipotesi, allora queste ultime
vanno cambiate). Possiamo ricordare a questo punto un personaggio dei Promessi Sposi di Alessandro
Manzoni, don Ferrante. Secondo don Ferrante la peste non esisteva; altro punto di riferimento era la
Bibbia, la Sacra Scrittura.

RAPPORTO FRA SCIENZA E SOCIETA’


Che tipo di rapporto si costituisce fra scienza e società? Un rapporto di stretta interdipendenza nel senso che le
ricerche scientifiche e la loro applicazione producono alcuni cambiamenti nell’ambito della società e dunque
mettono a disposizione dei mezzi e degli strumenti attraverso i quali alleviare in alcuni casi la fatica del lavoro
umano. Di qui un’altra importante relazione, quella fra scienza e tecnica: da un lato la scienza prosegue nel suo
metodo ipotetico-deduttivo, ma per individuare le leggi della natura ricorre a mezzi e strumenti tecnici fabbricati
dagli artigiani mediante i quali potenziare le capacità ed i sensi umani. Un esempio è il cannocchiale, le cui
potenzialità furono individuate per la prima volta da Galileo Galilei.

Per Sant’Agostino il tempo in sé non esiste perché il passato non è più, il futuro non è ancora ed il presente scorre
irrimediabilmente via. Eppure noi percepiamo dei blocchi di tempo, li misuriamo e li confrontiamo fra loro: ad
esempio ricordiamo il passato e “prevediamo” il futuro. Queste due parti del tempo devono dunque esistere. Ma allora
il tempo esiste o no? A questa domanda si può trovare una risposta domandandosi dove eventualmente sono passato,
presente e futuro. Dal momento che essi di per sé non esistono (prima osservazione) essi trovano posto solo ed
esclusivamente nell’animo umano. Nella memoria è il presente del passato, nell’attenzione il presente del presente e
nell’attesa il presente del futuro. Il tempo si propone dunque come una DISTENSIO ANIMI.
Il tempo è dunque per Agostino il contrassegno della caducità degli esseri che animano l’universo; per questa ragione
la riflessione sul tempo diventa un momento essenziale dell’autocomprensione dell’io che rende l’uomo consapevole dei
suoi limiti e della sua condizione di creatura.
La salvezza cristiana consiste dunque nel rendere il tempo strumento per conquistare l’eternità.

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