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LO SPIRITO DELL’ETICA CRISTIANA1


Giorgio I. Mantzaridis*

L’etica cristiana appare agli occhi di molti come un insieme di re-


gole vincolanti o finanche come un sistema chiuso che opprime l’uo-
mo e delimita la sua libertà. Una simile visione di essa non è priva di
spiegazioni, qualora la si configuri con criteri esterni senza che sia esa-
minata la sua reale identità. Tuttavia con un migliore approccio ed
esame di essa si constata facilmente che non solo non opprime l’uomo
e non delimita la sua libertà ma al contrario gli reca sollievo e lo gui-
da alla libertà vera e illimitata: lo introduce alla libertà increata di Dio.
L’etica cristiana non è convenzionale: è rivoluzionaria e radicale.
Cristo con la sua presenza e con il suo insegnamento «ha sconvolto
la nostra quiete. Dormivamo un sonno spiritualmente animale ed
eravamo soddisfatti»2. Egli ha detto: «Prendete il mio giogo sopra di
voi e imparate da me che sono mite ed umile di cuore e troverete ri-

* Emeritus Professor of moral theology at the Faculty of Theology of the Aristote-


lian University of Thessalonica
Profesor emérito de Teología Moral en la Facultad de Teología de la Universidad
Aristotélica de Tesalónica
Translation from modern greek edited by Basil Petrà
La traducción del griego moderno editado por Basil Petra
1 Il breve saggio è apparso con lo stesso titolo (To pneuma tês christianikês êthi-
kês) primariamente in Theologia (in greco) 82 (2011) 49-56, quindi in Giorgio I.
MANTZARIDIS, Innovazione e tradizione (in greco), Santo Grande Monastero di
Vatopedi, Monte Athos 2014, 71-92.
2 ARCHIMANDRITA SOFRONIO (Sacharof), Il mistero della vita cristiana (in gre-

co), Essex (Inghilterra) 20112, 301. Si tratta della traduzione in greco moderno
curata dall’archimandrita Zacharias Zacharou e pubblicata dal monastero San
Giovanni il Precursore fondato dall’archimandrita ad Essex in Inghilterra all’i-
nizio degli anni ’60 del secolo scorso (NdT).

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poso per le vostre anime; il mio giogo infatti è dolce e il mio carico
leggero» (Mt 11, 29-30). Non esiste uomo senza giogo e senza peso.
Chi però segue il Cristo, assume un giogo dolce e un peso leggero.
Del resto anche la provocazione che Cristo indirizza all’uomo, il
cammino al quale lo chiama, è provocazione e cammino verso la li-
bertà. «Voi infatti siete stati chiamati alla libertà, fratelli» (Gal 5, 13),
dichiara l’apostolo Paolo.
Sul piano orizzontale la libertà è vissuta dall’uomo come un mo-
vimento e un’espansione senza impedimento nello spazio e nel tem-
po. Chiunque subisce limiti entro lo spazio e il tempo ha pure una li-
bertà delimitata. Quanto è libero chi è in prigione? E di quanta li-
bertà dispone chi sta per morire? Dato dunque che il tempo della vi-
ta dell’uomo è di fatto limitato e quando esso finirà sarà sepolto nel-
lo spazio, è naturale che la sua libertà sia delimitata.
Tuttavia, insieme con il movimento/espansione sul piano orizzon-
tale dello spazio-tempo, c’è bisogno anche della liberazione dell’intel-
letto dalle passioni che lo racchiudono su questo piano e impediscono
la sua elevazione al piano verticale del trascendente. Quando l’uomo
rimane nell’orizzonte dell’immediatezza delle cose sensibili e il suo in-
telletto, che è l’occhio e l’organo direttivo della sua anima, non man-
tiene la sua posizione egemonica, tale da controllare e dirigere i suoi
desideri e le sue energie, ma si trasforma in un puro organo asservito
al compimento di essi, non può esistere per l’uomo una libertà reale.
I cristiani sono chiamati «alla libertà». E sono chiamati «alla liber-
tà», poiché come uomini che sono stati sottomessi al peccato e sog-
giacciono alla legge della corruzione e della morte, hanno una libertà
limitata. Non hanno una libertà assoluta ma una libertà ed autopote-
statività relativa. La morte, che li punge con il peccato e che alla fine
pone termine alla loro vita, pone termine anche alla loro libertà rela-
tiva. La paura della morte, che opprime l’intera vita dell’uomo, oppri-
me anche la sua libertà: lo fa schiavo per tutta la sua vita. Chiunque
teme la morte, dice san Giovanni Crisostomo «è schiavo, e tutto sub-
isce pur di non morire»3.

3 JOHANNES CHRYSOSTOMUS, Hom. in Litteram ad Hebraeos, 4: PG 63, 41.


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L’intera vita e il pensiero dell’uomo, la sua cultura e la sua scien-


za, si trovano sostanzialmente sotto l’ombra della morte e si dispie-
gano come una disperata lotta a vari livelli contro di essa. L’intellet-
to ‘appassionato’ serve il soddisfacimento delle passioni. E la qualità
della vita dell’uomo è calcolata avendo come base la capacità di sod-
disfare le sue passioni. I valori morali e spirituali non sono contati co-
me fattori qualitativi. Anzi con l’autonomizzazione e la divinizzazio-
ne dell’economia che viviamo nella nostra epoca tutti i valori non
economici sono stati messi da parte.
La verità del cristianesimo si riassume nell’illuminazione dell’in-
telletto dell’uomo e nella vittoria sulla morte, che è il suo nemico ul-
timo (cfr. 1Cor 15, 26). Se questa vittoria non è vera, se non è vera la
risurrezione mostrata da Cristo al mondo illuminando l’ecumene, al-
lora l’intero cristianesimo non è vero4. Con la luce della risurrezione
l’uomo intero è valorizzato come unità psicosomatica e l’intera crea-
zione acquista senso e scopo.
La chiamata alla libertà non può essere indeterminata. Deve ave-
re una qualche direzione. Quando la libertà non ha direzione con-
duce al caos. La direzione dell’etica cristiana non limita la libertà ma
la promuove. Non è una limitante strada a senso unico, ma un oriz-
zonte infinito nel quale ognuno può valorizzare l’esistenza nel suo
proprio modo personale. Con essa non si dà il modo del cammino
ma il presupposto della libertà che in ultima analisi è il superamen-
to della paura della morte. Senza questo superamento l’uomo non
può conquistare una vera libertà.
Il cammino verso la libertà è anche cammino verso il compimen-
to e la valorizzazione dell’uomo. Questo cammino si realizza come
cammino verso il Cristo. Qualunque altra ricerca della libertà è vana,
perché è limitata dalla paura della morte ed è smentita con l’arrivo
della morte. Il cammino verso il Cristo che è insieme cammino con
il Cristo è cammino verso la vera libertà. Perché il Cristo come vin-
citore della morte è il liberatore dell’uomo dalla schiavitù e via verso

4 “Se Cristo non è risorto allora è vano il nostro annuncio, vana la nostra fe-
de” (1Cor 15, 14).
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la libertà (cfr. Gv 11, 25: 14, 6). È colui che dona la vita eterna e la li-
bertà indistruttibile.
L’etica cristiana è intelligibile e applicabile solo come etica della
risurrezione ovvero della vittoria sopra la morte. E il suo contenuto
specifico non si attinge dal piano naturale, psicologico o sociale del-
la vita umana, come accade con ogni altra etica. Certo, anche questi
piani sono utili e di aiuto all’etica cristiana; del resto, tutto quel che
è riconosciuto come giusto e morale è accolto anche dal cristianesi-
mo e assunto come strumento di elaborazione e ed espressione del
suo spirito. L’apostolo Paolo scrive: «Tutto quel che è vero, tutto
quel che è pudico, tutto quel che è giusto, tutto quel che è casto, tut-
to quel che è amabile, tutto quel che è di buona fama, se c’è qualche
virtù e qualcosa di lodevole, tutto questo sia oggetto dei vostri pen-
sieri» (Fil 4, 8).
Quel che tuttavia caratterizza e distingue questa etica da qualsiasi
altra non sta in questi elementi né deriva dal piano psicologico o so-
ciale, ma dal piano ontologico o spirituale, dall’ontologia della nuova
creazione. In altre parole, l’etica cristiana non è un qualche sistema di
etica né crea un suo proprio ambito chiuso. È totalmente aperto alla
natura umana.
Ma qual è la natura umana autentica? Forse quella che ognuno vi-
ve quotidianamente? Ma questa è frammentaria e condotta dalle pas-
sioni. Per questo ogni moralista o riformatore sociale può creare e
crea la sua propria etica. L’etica cristiana si fonda sull’autentica natu-
ra umana, sull’uomo perfetto, che è Cristo. E Cristo è uomo perfet-
to perché è Dio perfetto. È l’archetipo «ad immagine e somiglianza»
del quale l’uomo è stato creato. Essenzialmente l’etica cristiana gui-
da l’uomo all’uguaglianza di ethos con Dio (homoêtheia Theou)5.

5«La Luce increata, riflesso della quale sono i comandamenti di Cristo, di-
scende secondo i suoi gradi gerarchici, si materializza gradualmente e diventa
etica cristiana. Noi non la rigettiamo; al contrario, la conserviamo come possi-
bilità di transizione dall’inferiore al superiore, come un qualche ponte tra l’es-
sere psichico e l’essere spirituale, come passaggio dalla piccola luce alla luce
grande e perfetta»: ARCHIMANDRITA SOFRONIO (Sacharof), Il mistero della vita
cristiana, 259.
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L’etica cristiana è l’attualizzazione dell’ontologia cristiana. È l’at-


tualizzazione dell’ontologia della «nuova creazione», e specialmente
dell’ontologia dell’uomo nuovo, manifestata da Cristo nel mondo
con la sua vittoria sulla morte. È la chiamata dell’uomo a vivere nel
mondo con un nuovo modo di vita, che si lascia dietro la morte: «af-
finché come Cristo è risorto dai morti... così anche noi camminiamo
in novità di vita» (Rm 6, 4). Questa nuova ontologia è avvicinata e vis-
suta con la fede, mentre senza la fede appare come un’ideologia ro-
mantica. La fede è quella prassi dinamica, con la quale l’uomo acco-
glie come un dato la verità escatologica di Cristo e si affretta ad ap-
propriarsene.
Senza il superamento della paura della morte non possono essere
comprese e vissute le esigenze propriamente cristiane dell’Evangelo
di Cristo: «Ma io vi dico: amate i vostri nemici» (Mt 5, 44) o «se
qualcuno viene dietro a me e non odia suo padre e sua madre... fi-
nanche la sua propria anima, non può essere mio discepolo» (Lc 14,
26). L’amore per i nemici e l’odio per i propri familiari e addirittura
per se stessi sono non solo impossibili ma anche irrazionali nella con-
dizione data del mondo presente. Come può l’uomo amare i suoi ne-
mici, cioè coloro che aggrediscono la sua esistenza, o odiare i suoi ge-
nitori, cioè coloro che gli hanno donato e sostengono la sua vita, per
di più poi odiare il suo essere stesso, se non ha vinto la paura della
morte o se non è impazzito?
L’etica della nuova creazione è in ultima analisi possibile e appli-
cabile solo con l’esperienza della risurrezione, con l’esperienza che
offre la partecipazione alla vita di Cristo e la sintonizzazione con le
energie divine attuata dall’osservanza dei divini comandamenti, che
si riassumono nel duplice comandamento dell’amore. Con questa
esperienza hanno vissuto e vivono i santi, come anche tutti i veri cri-
stiani nel mondo: «Noi sappiamo di essere di essere passati dalla
morte alla vita, perché amiamo i fratelli» (1Gv 3, 14). Con l’amore il
fedele fa della vita dell’altro la sua propria vita, ed anch’egli vive nel-
la persona di coloro che lo amano veramente, mentre tutti insieme
vivono nella persona, nella ipostasi del Cristo risorto. Ciò presuppo-
ne naturalmente che l’amore sia vero, cioè disinteressato. Così deve
essere l’amore del cristiano.
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Tuttavia, come può l’uomo indigente, che ha così tanti bisogni e


vive nel clima della corruzione e della morte, mettere da parte l’inte-
resse proprio e vivere di un amore disinteressato?
Questa domanda per l’uomo che ha ereditato lo spirito moderno
rimane senza risposta. La sua chiusura nella intramondanità, la sua
assoluta fiducia nella retta ragione, la sua limitazione alle verità og-
gettive utilitaristiche, la visione lineare del tempo senza alcuna pro-
spettiva o riferimento trascendente, la sua autonomizzazione auto-
compiaciuta, senza considerare che egli non è la causa della propria
esistenza ma ha «l’essere dato in prestito»6, lo allontanano da una ri-
cerca simile. Né la vita né la libertà né l’amore disinteressato posso-
no esistere ed essere vissuti senza che non sia vinta la potenza di-
struttiva della morte che accompagna l’uomo.
Il cristiano può vivere con un amore disinteressato perché quel che
persegue lo prende fin dal principio con il suo ingresso nella Chiesa e
lo può gustare con la sua fede come esperienza quotidiana. La fede in
Cristo e nella sua risurrezione, ma anche la partecipazione alla vita in
Cristo con i sacramenti e l’amore, offrono l’insieme dei doni di Dio o,
più precisamente, Dio stesso all’uomo e vincono la paura della morte.
L’assimilazione però di questa verità non è un’ipotesi teorica né si rea-
lizza con ricerche intellettuali o immaginarie: costituisce un evento
ontologico che si compie nella vita quotidiana con una fede sicura,
un’ascesi e una pazienza di lunga durata. Finché l’intelletto rimane
prigioniero delle passioni e dei pensieri dominati dalle passioni l’uo-
mo è incapace di respirare l’aria della vera libertà. Questo dominante
organo dell’anima, l’intelletto, viene oscurato, si riduce solo ad un’e-
nergia intellettuale al servizio della passioni animali, si abbrutisce e
perde la sua capacità di ricevere la luce della verità7.
Vivere la risurrezione non è qualcosa che si attende solo dopo la
morte biologica, ma qualcosa che si vive nel quotidiano con l’amore

6
Cfr. MAXIMUS CONFESSOR, Expositio Orationis Dominicae: PG 90, 893C.
7
Cfr. GREGORIUS NYSSENUS, De hominis opificio 18, 3: PG 44, 192D. Cfr. an-
che GRÊGORIOU TOU PALAMA, Homilia 51, 6; edizione di S. Oikonomou, Tou en
hagiois Patros hêmôn Grêgoriou tou Palama Homiliai KB’, Atene 1861, 144-145.
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per Cristo e per il prossimo. Questo vissuto per altro offre la forza di
far fronte e superare le strettezze della vita quotidiana. L’apostolo
Paolo «moriva ogni giorno» (cfr. 1Cor 15, 21), poiché viveva ogni
giorno la risurrezione. Ed ogni imitatore della sua vita può morire
come lui «ogni giorno», nella misura in cui vive ogni giorno la risur-
rezione. Così giunge al culmine «l’educazione (paideia)» che Dio
esercita sull’uomo.
Dio mette alla prova l’uomo nei limiti della sua sopportazione e
delle sue forze. Questi limiti sono noti a Dio, non però all’uomo. In
ultima analisi tuttavia il limite estremo dell’uomo è la sua creaturali-
tà. Il dolore che l’uomo prova diventa certe volte eccessivo o anche
troppo lungo. Ciò lo fa pensare. Facilmente lo piega o lo estenua.
Perché una simile prova, per quale ragione? Come può conciliarsi
con l’amore e la provvidenza di Dio per l’uomo? Abbiamo qui un ri-
svolto del grande problema della teodicea che tanto intensamente ha
occupato l’Antico Testamento.
Ma Dio è eterno e onnipotente. Con le misure dell’eternità e del-
l’onnipotenza divine niente può essere caratterizzato come eccessivo
o di troppo lunga durata. Certo, ciò non vale per le misure della vita
e della forza umane, che sono brevi e limitate. Nonostante ciò, l’uo-
mo che è immagine di Dio dispone in nuce di tutte le sue caratteristi-
che ed è chiamato ad assomigliare a Lui. È chiamato a diventare per-
fetto come Lui (cfr. Mt 5, 48). La perfezione dell’uomo sta nella sua
divinizzazione. E la sua divinizzazione coincide con il suo entrare
nella divina eternità e onnipotenza.
Con il dolore che Dio permette che l’uomo sopporti è data al-
l’uomo l’opportunità – certo, dura e dolorosa – di superare i limiti
convenzionali della sopportazione e delle sue forze e di toccare in
qualche modo – apofatico – le frontiere della divina eternità e onni-
potenza. In questa prospettiva la «educazione (paideia) divina», che
senza la fede e la fiducia nella sua provvidenza potrebbe essere con-
siderata dura o anche disumana, si manifesta eminentemente bene-
fattrice e amica degli uomini. Come nei giochi olimpici gli allena-
tori sospingono gli atleti a risultati che superano le loro prestazioni
ordinarie, così anche Dio esercita gli uomini in ordine alla perfe-
zione.
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Ogni sforzo che è fatto da parte dell’uomo avviene per la conser-


vazione, la valorizzazione e la manifestazione di quel che gli è stato
dato al principio col suo innesto nella Chiesa, la comunione della di-
vinizzazione, e non per l’acquisizione di qualcosa di nuovo che si tro-
vi fuori di lui. È così del resto che è tolta dall’uomo la causa dell’in-
teresse proprio e gli è data la possibilità del disinteresse.
L’amore disinteressato è inversamente proporzionale all’amore di
sé (philautia), la madre di «tutti i mali»8. Quanto più è vinto l’amore
di sé, tanto più si rafforza l’amore disinteressato. E quanto più si svi-
luppa l’amore disinteressato, tanto più scompare l’amore di sé. Que-
sto processo tuttavia esige una lotta intensa contro l’egoismo, che co-
stituisce il nemico più grande dell’uomo, la radice del peccato e del-
le passioni. Perciò l’odio verso se stessi, il cosiddetto odio di sé, non
solo non contraddice l’amore, ma ne costituisce un sostegno. È l’o-
dio verso le passioni e il peccato, che assicura l’amore dalla penetra-
zione di elementi negativi e allontana la sua corruzione da parte del-
l’umano amore di sé. Se il fedele odia il suo sé passionale, per amore
di Cristo e del prossimo, allora lotta contro l’amore di sé e smette di
essere trascinato dalla passioni e dai desideri della carne.
Proprio in questa prospettiva si colloca anche la chiamata del cri-
stiano «a libertà» (cfr. Gal 5, 13). La libertà non è offerta al fedele co-
me grazia creata o come un dono statico, che possa ricevere e imma-
gazzinare, ma come un’energia dinamica e come un’illuminazione
delle quali è chiamato ad appropriarsi assimilandole alla propria vita.
Senza lo sforzo e la lotta per appropriarsene e per assimilarle rischia
di ritornare alla condizione di schiavitù dalla quale Cristo lo ha libe-
rato (cfr. Gal 5, 1).
Qui si trova anche il punto nodale dell’etica cristiana; qui si riassu-
me il suo carattere cruciforme e il suo spirito di risurrezione. La liber-
tà non è sfrenatezza o abbandono di sé alla carne e ai suoi desideri.
Una simile condizione costituisce una decadenza spirituale e una for-
ma estrema di schiavitù. La libertà si conquista con il sacrificio e con
l’amore disinteressato, cioè con l’amore cruciforme che si offre agli al-

8 Cfr. MAXIMUS CONFESSOR, Quaestiones ad Thalassiumo: PG 90, 301B.


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tri secondo il modello dell’amore di Cristo. Esso crea nell’uomo l’illi-


mitata apertura allo spazio e al tempo; lo apre all’altro, ad ogni altro,
amico o nemico, ed anche a tutta intera la creazione. E questa apertu-
ra, che si realizza con l’amore cruciforme, porta alla risurrezione e al-
la vita, offrendo già entro il presente l’esperienza del «passaggio dalla
morte alla vita» (cfr. 1Gv 3, 14).
L’uomo come creazione «ad immagine e somiglianza» di Dio, ha
dentro di sé in potenza tutta l’umanità consustanziale (omoousios). E
come mondo «nel piccolo grande»9 riassume in potenza tutta la
creazione. Per questo la sua salvezza o rovina, la sua perfezione eti-
ca o la sua decadenza non si collocano esclusivamente nella sua indi-
vidualità ma si collegano con gli altri e con tutta intera la creazione.
Chi ama se stesso cerca con la sua «peri-ousia»10 di trincerare e as-
sicurare la sua ousia ma in questo modo si separa dagli altri uomini
che sono a lui omoousioi, consustanziali. Rinnegando se stesso secon-
do il consiglio di Cristo invece trova la sua identità entro la comune
natura umana rinnovata dal Cristo nella quale si manifesta anche l’al-
terità ipostatica «di chi è ad immagine di Dio»11.
L’uomo come ipostasi nella sua ultima perfezione, scrive lo starez
Sofronio, «si mostrerà portatore dell’intero pleroma divino e dell’es-
sere creato, cioè teantropo. Nella Santa Trinità ogni Ipostasi porta in
sé l’intero pleroma assoluto delle Altre due senza annullarle, senza ri-
durle solo a ‘contenuto’ della Sua vita, ma anch’essa penetra piena-
mente nel loro Essere, assicurando così la loro ipostaticità. Lo stesso
vale anche per l’essere multi-ipostatico dell’umanità. Ogni ipostasi è
stata chiamata a contenere in sé il pleroma dell’intero essere umano,
senza abolire in alcun modo le altre ipostasi: penetra nella loro vita
come loro contenuto essenziale e così assicura la loro personalità»12.

19 GREGORIUS NAZIANZENUS, Sermo 38, 11: PG 36, 324A.


10 C’è qui un gioco di parole difficilmente traducibile: ousia indica l’essenza,
sostanza o natura di una cosa. In greco moderno periousia significa l’insieme dei
beni materiali di una persona (la ricchezza) mentre etimologicamente significa
‘quel che sta intorno all’essenza’ ovvero ciò che non è essenziale. (NdT)
11 BASILIUS MAGNUS, Adversus Eunomium, 2, 28: PG 29, 637D.
12 ARCHIMANDRITA SOFRONIO (Sacharof), Il mistero della vita cristiana, 371-372.
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Entro questa prospettiva si comprende e si affronta correttamen-


te anche la terribile minaccia della nostra epoca, l’inquinamento del-
l’ambiente. Esso esteriorizza l’interiore inquinamento dell’uomo,
l’inquinamento del suo intelletto, e non può essere affrontato corret-
tamente se non viene esaminato insieme con il suo inquinamento eti-
co e spirituale. L’inquinamento, come anche la purificazione dell’uo-
mo, si riflette nel suo ambiente, che è anche il corpo più esteso. E la
catastrofe, come la salvezza dell’ambiente, rende sensibile la cata-
strofe o la salvezza che si compiono nell’uomo.
Lo spirito dell’amore disinteressato e della libertà, che caratterizza
l’etica cristiana, è donato ai fedeli entro la Chiesa con i sacramenti.
Essi attuano mistagogicamente il rinnovamento del fedele, che è con-
servato ed è vissuto con l’osservanza dei comandamenti. I comanda-
menti di Cristo non sono regole obbliganti ma indicazioni di libertà13.
L’uomo liberato dalla legge del peccato e rinnovato nel corpo di
Cristo che è la Chiesa è chiamato ad assimilare come persona questa
nuova ontologia. È chiamato con la sua fede nel Cristo e con l’amo-
re a vivere la verità della vita immortale, che non è attesa solo nella
vita del secolo venturo ma inizia e diventa sensibile esperienzialmen-
te qui ed ora.
Particolarmente rivelativo per il carattere della dottrina cristiana
sono le seguenti parole del Cristo stesso: «Se qualcuno vuole compie-
re la Sua (cioè ‘di Dio’) volontà, conoscerà riguardo alla dottrina se è
da Dio oppure se io parlo da me stesso» (Gv 7, 17). Ovvero, il Cristo
propone la sua dottrina come proposta di vita e chiama l’uomo a fare
esperienza, per collocarsi adeguatamente dinanzi ad essa. Come i ri-
cercatori delle scienze positive fanno esperimenti, per verificare o
smentire le ipotesi che fanno, così anche chi è interessato al Cristo e
alla sua dottrina può sperimentare, per conoscere in modo esperien-
ziale quel che gli è donato.
Questa esperienza ha carattere esistenziale ed è vissuta come im-
mediata visibilità. Tuttavia poiché quel che qui è donato non provie-
ne dal livello del creato, come accade con le scienze empiriche, per-

13 Cfr. MARCUS EREMITA, De baptismo: PG 65, 989.


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ciò anche la sua attestazione non avviene con oggettivazioni e sillo-


gismi ma con la comunione personale e il vissuto esistenziale. Chi
non accetta di camminare lungo la via stretta e dolorosa dei coman-
damenti non può conoscere la natura della verità cristiana. Poiché
poi quel che è donato è Dio stesso che non soggiace a costrizione ma
agisce con assoluta libertà, proprio per questo l’uomo non può «af-
ferrare» (cfr. Fil 2, 6) la conoscenza di Dio ma può solo accoglierla
con umiltà e con pazienza14.
Infine, come i ricercatori delle scienze positive constatano con
esperimenti e osservazioni le leggi della natura, o si appoggiano su
leggi già constatate, che seguono con religiosa venerazione per pro-
gredire nella loro opera scientifica, così anche quanti constatano espe-
rienzialmente la natura della dottrina cristiana, o la accolgono fin dal
principio come vera perché si basano sulla testimonianza di Cristo e
sull’esperienza dei santi, è conseguente che la osservino con venera-
zione e che la eseguano con esattezza nel loro cammino spirituale.
Nessuno condanna come reazionari gli scienziati perché riconoscono
come stabili le leggi naturali. E neppure nessuno li caratterizza come
fondamentalisti perché seguono principi diacronici o aderiscono a sta-
bili forme e numeri, come ad es. al fatto che il rapporto tra la circon-
ferenza e il diametro del cerchio sia sempre di 3,14 (π = 3,14).
Molti però si affrettano a condannare come reazionari o fonda-
mentalisti quanti seguono tutti i comandamenti cristiani o cercano di
conservare integro il messaggio evangelico. La questione principale
però qui per i cristiani è se davvero seguono i principi cristiani e il
messaggio evangelico oppure se presentano al loro posto dei surroga-
ti dal nome cristiano ma vuoti di contenuto o alienati dalla verità. E
dobbiamo accettare che abbastanza volte si propongono letteralmen-
te e si sostengono enfaticamente determinati elementi esteriori del
cristianesimo o posizioni e principi cristiani alienati senza alcuna so-
stanziale relazione con la verità e con la vita cristiana, nel qual caso ab-
biamo in realtà il fenomeno del fondamentalismo che rende il cristia-
nesimo ripugnante agli occhi del mondo.

14 ARCHIMANDRITA SOFRONIO (Sacharof), Il mistero della vita cristiana, 225.


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34 GIORGIO I. MANTZARIDIS

Ed è molto facile, specialmente nel caso dei cristiani ortodossi che


insistono sull’esattezza del dogma e dell’ethos, che ci si limiti alcune
volte a forme o figure di pietà, senza spirito e vita, e si scivoli verso il
fondamentalismo.
Questo fenomeno si presenta più intensamente nella nostra epo-
ca, anche a causa di un aggiornamento fatto senza giudizio e senza
teologia, che tenta di radere al suolo e cancellare l’intera tradizione
patristica. Ma il rischio di questo aggiornamento non giustifica lo svi-
luppo di un ugualmente pericoloso e ripugnante fondamentalismo.
Se l’aggiornamento senza teologia rende fluida la verità della Chiesa
e la dissolve, il fondamentalismo la restringe, la deforma e ne fa un
idolo. La vita della Chiesa in ogni momento della sua storia conser-
va la sua identità poiché continua la vita che ha avuto in precedenza.
Se la Chiesa si scarnificasse, smetterebbe di vivere. Ma anche se se se-
parasse dalla sua vita precedente, se negasse i suoi Padri, si aliene-
rebbe. Qualunque cosa nuova venisse collocato al suo posto non sa-
rebbe più la Chiesa ma qualcos’altro e questo altro non costituirebbe
continuità della vita della Chiesa ma annuncio della sua morte.
Aristotele caratterizzava la virtù come medietà tra due vizi, dei
quali il primo costituisce l’eccesso e il secondo il difetto. Tuttavia, se
dal punto di vista quantitativo la virtù costituisce medietà, dal punto
di vista qualitativo costituisce estremità. Il fondamentalismo e l’ag-
giornamento senza teologia costituiscono rispettivamente l’eccesso e
il difetto. La medietà è la tradizione. La tradizione non è estranea al-
l’aggiornamento; la sua stessa identità è un aggiornamento senza in-
terruzione. È l’aggiornamento che non toglie il passato ma lo valo-
rizza e lo promuove. E dall’altra parte, la tradizione non è estranea
alla conservazione anche della più particolare verità o virtù. Nella
tradizione però la verità non esiste per la virtù ma la virtù per la ve-
rità: «La virtù è per la verità e non per la virtù la verità»15.
Questa collocazione previa della verità significa riduzione della
virtù alla verità. Non esiste virtù là dove non esiste verità. D’altra
parte, non esiste verità là dove manca la virtù. La virtù serve la vita e

15 Cfr. MAXIMUS CONFESSOR, Quaestiones ad Thalassium, 30: PG 90, 369A.


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LO SPIRITO DELL’ETICA CRISTIANA 35

la verità. E la vita virtuosa, che si riassume nella vita dell’amore, è la


vita vera. È la vita ad immagine della vita divina, la vita del Dio trino
dell’amore.
In casi determinati l’amore sembra entrare in conflitto con la giu-
stizia. Ciò tuttavia non giustifica la precedenza della giustizia e la
messa da parte dell’amore. Dio è amore. Tuttavia da nessuna sua ope-
ra è assente la giustizia. Iddio ama la giustizia e rigetta l’ingiustizia
(cfr. Ps 10, 7). L’uomo non deve isolare e autonomizzare la giustizia
ma deve sempre metterla in connessione con la volontà di Dio e con
l’amore. La giustizia ha senso e funziona correttamente quando so-
stiene il disinteresse, ovvero l’amore autentico.
Conclusivamente si può dire che l’etica cristiana è l’ontologia ap-
plicata della nuova creazione, dell’uomo nuovo. Questa ontologia,
che si fonda sul corpo di Cristo, ristabilisce l’indebolita «consustan-
zialità» degli uomini e richiama le alterità personali ad un’unità ar-
monica secondo il modello della Santissima Trinità: «Affinché tutti
siano una cosa sola come tu, Padre, sei in me ed io in te» (Gv 17, 21).
L’attivazione di questa ontologia, nella quale l’uomo è introdotto con
i sacramenti della Chiesa, si compie con l’osservanza dei comanda-
menti. In questo modo si realizza la comunione della vita di Cristo e
della vita del prossimo, che conduce alla comprensione del tutto en-
tro ogni alterità personale, ogni ipostasi personale, in un modo ogni
volta irripetibile. Così ogni uomo eleva in forma di croce – con la
crocifissione dell’amore di sé – lo specchio della sua deiforme natu-
ra, cioè il suo essere «ad immagine», verso l’essere «a somiglianza» e
diventa orizzonte di manifestazione integrale dell’essere: uomo uni-
versale e non uomo globalizzato.
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36 GIORGIO I. MANTZARIDIS

SUMMARIES

The foundation of the Christian ethic is constituted by the Christian ontology, the
ontology of the ‘new creation’ or rather the ontology of the new person mani-
fested by Christ in the world with his victory over death. The Christian is called in
faith to exist in the form of Christ, of the freedom from death, of the crucified love
drawn into philautia. This form of existence is given in the Church through her
sacraments, and is concretely made actual in history through the command-
ments. Indeed, the sacraments make actual through mystery the renewal of the
faithful which is conserved and lived with the observance of the commandments.
Such observance is not to be understood in a fundamentalist way but as the con-
crete explanation in history of the truth of the immortal life, which is not reserved
for the future but starts and becomes experimentally felt here and now.

***
El fundamento de la ética cristiana está constituido por la ontología cristiana, la
ontología de la “nueva creación” o la ontología del hombre nuevo, manifestada
por Cristo en el mundo con su victoria sobre la muerte. El cristiano es llamado
en la fe a existir en la forma de Cristo, liberado de la muerte, en amor crucifica-
do y sustraído a la philautia. Esta forma de existencia es dada en la Iglesia a tra-
vés de sus sacramentos y es actualizada concretamente en la historia a través
de los mandamientos: los sacramentos en efecto actualizan mistéricamente la
renovación del fiel que es conservada y vivida con la observancia de los man-
damientos. Tal observancia no debe entenderse en modo fundamentalista sino
como el concreto explicarse en la historia de la verdad de la vida inmortal, que
no está reservada sólo al futuro sino que comienza y se hace sensible expe-
riencialmente aquí y ahora.

***
Il fondamento dell’etica cristiana è costituito dall’ontologia cristiana, l’ontologia
della «nuova creazione» ovvero l’ontologia dell’uomo nuovo, manifestata da Cri-
sto nel mondo con la sua vittoria sulla morte. Il cristiano è chiamato nella fede
ad esistere nella forma di Cristo, della libertà dalla morte, dell’amore crocifisso
e sottratto alla philautia. Questa forma di esistenza è donata nella Chiesa, at-
traverso i suoi sacramenti, ed è concretamente attuata nella storia attraverso i
comandamenti: i sacramenti infatti attuano mistericamente il rinnovamento del
fedele che è conservato ed è vissuto con l’osservanza dei comandamenti. Tale
osservanza non va intesa in modo fondamentalistico ma come il concreto espli-
carsi nella storia della verità della vita immortale, che non è riservata al futuro ma
inizia e diventa sensibile esperienzialmente qui ed ora

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