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PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICA DELL’ITALIA MERIDIONALE

SEZIONE S. TOMMASO D’AQUINO - NAPOLI

PROF. CACCIAPUOTI

APPUNTI DI
ANTROPOLOGIA TEOLOGICA

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ANTROPOLOGIA TEOLOGICA

Lezione del 20 Febbraio 2018

1. INTRODUZIONE

Dall’indice generale del testo di Ancona: “Antropologia Teologica” incomincio a trattare


dell’INTRODUZIONE che è strutturata in 4 punti:
1. la riflessione teologica intorno all’uomo - la vera e propria proposta dell’antropologia
teologica;
2. l’impostazione cristocentrica dell’antropologia teologica. Quando parliamo dell’uomo in
antropologia pensiamo sempre al verbo incarnato, all’uomo perfetto che è Gesù Cristo;
3. l’antropologia teologica che si interessa dell’uomo a confronto con la cultura generale
che ha come tema fondamentale l’essere dell’uomo e si pone anche lei la domanda: “Chi
è l’uomo? Cosa fa? Perché esiste?”;
4. il senso di questo libro.

L’uomo, oggetto di studio e di ricerca, non è un argomento facile da studiare, è una realtà
composita in cui, immediatamente e a prima vista, notiamo che il suo studio è pieno di difficoltà, di
oscurità che non riusciamo mai bene ad illuminare con la nostra scienza o con le nostre conoscenze.
È un elemento complesso l’uomo. Non possiamo dire che esso è semplicemente e solamente
un oggetto predefinito e, laddove parliamo dell’uomo, parliamo di tanti elementi che fanno l’uomo.
Infatti l’uomo viene studiato sia dalle scienze umane sia dalle scienze naturali (fisiche o biologiche
cioè quelle che si chiamano le scienze dure che si confrontano con le scienze pure che sono quelle
umanistiche). Anche nella Bibbia, nella Rivelazione di Dio all’uomo, troviamo all’interno
molteplici aspetti riferiti all’uomo (ora ci sembra simile agli angeli ora, invece simile al diavolo).
Quindi possiamo dire che il discorso sull’uomo è sempre aperto. Da quando l’homo sapiens
ha cominciato a riflettere su se stesso il discorso non è mai stato chiuso. Naturalmente questo vale
non per chi “si lascia andare” nella sua vita ma per coloro che si pongono delle domande critiche,
storiche, culturali, religiose su se stessi.
L’antropologia umana non significa soltanto studiare l’“altro”, così anche l’antropologia
teologica non significa soltanto che cosa Dio ci insegna sull’altro simile a me ma soprattutto cosa
Dio dice di me. L’antropologia teologica significa conoscere l’altro dopo che io ho conosciuto me.
“Ama il prossimo tuo come te stesso” significa: “Ama te stesso” cioè: “Conosci in fondo te stesso”.

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Il verbo “amare” nella Bibbia indica l’unione sessuale, intima. Se conoscerai profondamente te
stesso allora potrai conoscere ed amare anche l’altro, il tuo prossimo, chi ti sta accanto.
Essendo questa la situazione, dal momento che ci sono diverse prospettive dalla quale si può
incominciare ad osservare l’uomo (prospettive che ci danno sempre delle visioni parziali e mai
globali, dell’oggetto uomo) possiamo dire che la conoscenza dell’uomo è destinata ad essere
escatologica cioè tale che si potrà raggiungere soltanto in un futuro che per noi credenti equivale al
ritorno del Messia, alla Parusia. Per i non cristiani il discorso è questo: “Io potrò conoscere
l’essenza dell’uomo solo in un futuro indefinito, in un futuro che non so quando avverrà, quando
finirà”. Quindi il discorso sull’uomo è una retta aperta all’infinito (infinito = mai definitivo).

2. QUANDO NASCE LA RIFLESSIONE TEOLOGICA INTORNO ALL’UOMO E COME VIENE ALLA


LUCE IL CONCETTO DI ANTROPOLOGIA TEOLOGICA

I primi secoli del pensiero cristiano, con una lunga scia che arriva verso la metà del
Settecento, non si pone come oggetto principale quello di scrivere un trattato intorno all’uomo. Le
notizie, le costruzioni teologiche intorno all’uomo venivano disperse in diversi manuali dogmatici:
 Il primo trattato in cui si parla dell’uomo è il: “De Deo creante” (“Il Dio che crea”).
In questo ambito vasto della creazione dell’uomo si inseriscono le notizie relative
all’uomo, alla rivelazione umana su Dio.
 Così anche il secondo trattato: “De Deo elevante” (“Il Dio che eleva ed innalza”).
Dio innalza con i suoi doni l’uomo ad un piano più elevato di quello delle creature.
Dio ha creato l’uomo insieme alle sue creature ed adesso, quest’uomo, lo pone al di
sopra di tutte le creature come signore e dominatore del mondo.
 Un altro trattato che riguardava soltanto il singolo momento della storia umana, il:
“De peccato originali” (“Sul peccato originale”) parla solo esclusivamente di questo
argomento.
 E infine, un altro trattato ancora separato, era il: “De novissimis” (“I novissimi”:
morte, giudizio, inferno e paradiso).
Intorno alla seconda metà del 1600, soprattutto grazie all’opera rivoluzionaria portata da
Cartesio, tutta la scienza filosofica e la cultura europea, incentrano il loro interesse su una figura
particolare, l’uomo così come può essere conosciuto al di fuori di una religione. Fino ad allora
anche il filosofo prende in considerazione le affermazioni teologiche, quelle rivelate nella Bibbia,
mentre da Cartesio in poi ci si domanda: “È possibile studiare l’uomo a prescindere dai dati rivelati?
È possibile accettare soltanto quello che i teologi dicono sull’uomo in questi vari trattati ed

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accettarli come dati definitivi perché imposti dal Magistero della Chiesa?”. Da questo momento in
poi, dalla svolta antropologica in poi, si comincia a ragionare sopra questa possibilità
epistemologica che è possibile fare dell’uomo un oggetto di studio secondo il modello delle scienze
naturali (cioè nella maniera oggettiva non precostituita da alcuna precomprensione di tipo
religiosa). Nonostante questa buona volontà di menti illuminate come Cartesio, Spinoza, Locke,
possiamo dire che il loro tentativo di creare un’immagine unitaria dell’uomo, prescindendo dal
discorso teologico, non ha raggiunto nessun punto definitivo. Ognuno di questi autori è stato
superato dall’altro e così, d’allora in poi fino al mondo presente, le immagini ed illustrazioni
dell’uomo variano continuamente, ciascuna viene criticata dall’altra. Così abbiamo: l’uomo
moderno, l’uomo della post modernità, l’uomo marxista, l’uomo democratico…
Si può dire che è un dato certo e ormai assodato, l’antropologia teologica rende
comprensibile e credibile quello che la fede dice sull’uomo. Allora questo è il motivo fondamentale
per cui si può parlare di un’antropologia teologica come scienza. L’antropologia teologica, come
scienza, tende a far comprendere e rendere credibile, i dati della Rivelazione in una maniera, quanto
più possibile unitaria e diretta sia all’infinito ma secondo un punto dell’infinito nel quale le sue
verità e le sue coscienze saranno impersonate nel ritorno del Messia.
La scienza antropologica si pone sullo stesso piano delle scienze umane (dialoga con la
filosofia, con la cultura, con le religioni, scienze biologiche, con le neuroscienze).
Esiste un punto nevralgico nella nostra impostazione teologica. Come tutte le scienze hanno
una base fondamentale sulla quale operano, così anche noi abbiamo il punto d’inizio, un punto
nevralgico dal quale non possiamo allontanarci e di cui non possiamo fare a meno. Questo punto è
la figura di Gesù Cristo. In “Optatam totius” n°16, al capitolo IV, afferma che tutte le discipline
teologiche vengano rinnovate per mezzo di un contatto più vivo con il mistero di Cristo. Allora,
ogni teologia, e quindi anche l’antropologia teologica, deve avere come suo fondamento, la figura
di Cristo. Allora il nostro modo di fare scienza antropologica cristiana deriva da un rapporto
personale che possiamo stabilire e dobbiamo stabilire con la figura di Gesù Cristo. Quest’ultimo
non è soltanto un oggetto morto ma è una persona vivente con cui possiamo entrare in contatto e
possiamo studiare il suo mistero.
1 Cor 2,10.12: “Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti
conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del
mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato.”
Allora, con la forza che ci viene data dall’Alto, con la capacità dello Spirito Santo che è in
noi, possiamo studiare l’uomo tenendo fisso il principio fondamentale: che noi siamo in Cristo e
Cristo in noi come una persona vivente che ci guida nella ricerca su noi stessi e sui nostri simili.

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In “Optatam totius” n°16 si afferma che abbiamo bisogno di un contatto più vivo con il
mistero di Cristo e con la storia della Salvezza. Gesù Cristo, quindi, non dove essere visto come un
oggetto cultuale, fermo ma, la figura di Cristo, deve essere sempre inserita nella storia della
Salvezza, attraverso la quale Dio crea l’uomo e lo destina alla felicità eterna insieme con Lui.
Questo serve per dire quali sono i confini e i caratteri della scienza antropologica. Nonostante abbia
questi caratteri così chiari, sarebbe una disfatta ed un errore gravissimo non confrontarsi con altri
progetti antropologici che prescindono da questa impostazione cristocentrica che abbiamo dato.
Questa è la nostra visione dell’uomo: teologica e storica salvifica. Noi ci confrontiamo con i vari
progetti antropologici esistenti nelle culture, religioni, scienze, mantenendo la nostra specificità
cristiana. Non ci sentiamo inferiori a nessuna altra scienza. Vogliamo soltanto presentare i caratteri
essenziali della nostra specificità dai quali non vogliamo uscire. Infatti la differenza con le altre
visioni culturali dell’uomo sta proprio in questo: noi siamo convinti che Gesù Cristo, incarnato,
crocifisso e risorto è l’immagine completamente realizzata dell’uomo storico. Mentre le altre
scienze riflettono su un possibile modello dell’uomo, noi abbiamo un punto di vista tale dal quale
possiamo dire: già esiste il modello compiuto di uomo.
L’antropologia teologica accetta ogni contributo per inculturarsi nelle categorie di un’altra
cultura: scienze, religione… Non rimaniamo chiusi nel nostro perimetro scientifico-ontologico ma
vogliamo invece conoscere, con grande spirito di curiosità, quello che gli altri hanno da dire intorno
all’uomo e vedere fino a che punto c’è una possibilità di inculturazione nella continuità tra quello
che diciamo noi e quello che dicono gli altri. Questo contributo che viene accettato
dall’antropologia teologica, fa in modo che la nostra proposta e il nostro modello diventi
ragionevole anche per le altre culture (per es. il concetto di compassione tra l’induismo, buddhismo
e il cristianesimo ci sono delle similitudini). Questo è anche un atteggiamento profetico:
accogliamo le culture diverse e diamo la nostra visione dell’uomo in un dialogo di amicizia.
Oggi, nella cultura occidentale, l’uomo è guardato nella maggior parte dei casi soltanto
come un uomo non più religioso. La religione viene considerata come una distrazione dell’esistenza
umana e della intelligenza dell’uomo: è un oppio, è una fantasia creata per assicurare e rasserenare
le coscienze. L’antropologia teologica davanti a questa visione così profana dell’uomo non si
rifugia nel proprio ambito ristretto ma si apre a queste provocazioni e ripropone il modello rivelato
di Gesù Cristo come modello che non disumanizza (come vorrebbe l’antropologia profana). Il
nostro modello di uomo personifica sempre di più l’uomo e valorizza sempre di più la persona
umana. Il nostro modello di uomo è l’uomo che si perfeziona, si personalizza, si umanizza sempre
di più. Questo noi dobbiamo affermare davanti alla cultura profana. La religione non disumanizza
ma rende più uomo l’uomo.

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Nell’attuale situazione interculturale l’antropologia teologica deve manifestarsi come una
provocazione dialogica, serena, aperta all’altra o alle altre visioni. Spingiamo le altre visioni
dell’uomo a porsi l’interrogatorio ultimo: “Chi è l’uomo? Che cos’è l’uomo? Come è possibile
giungere all’uomo completo che può dire di sé: io sono una creatura perfettamente realizzata?”.
I diversi contesti nei quali noi ci troviamo sono molto simili alla situazione dei profeti
all’interno della religione ebraica. Il profeta è colui che rimprovera, che manifesta con tutta la
chiarezza possibile, il peccato d’Israele. Ma il profeta non è mai il pessimista puro. Il profeta è un
provocatore perché manifesta il peccato d’Israele ma, contemporaneamente, dice come riprendersi
dal peccato, come risollevarsi, come ritornare a Dio. L’immagine più precisa è quella di Ezechiele:
“Io vi darò un cuore di carne, toglierò da voi il cuore di pietra”. Il profeta è una persona che mostra
una soluzione: lasciare intervenire Dio nella vita dell’uomo per divinizzarlo, per umanizzarlo. Con
tutte le cose che Israele ha commesso di sbagliato, allontanandosi da Dio, quest’ultimo, per la sua
fedeltà all’Alleanza, non si è allontanato dal suo popolo. Dio ha reso un solo uomo, Abramo, il
capostipite di un intero popolo. Ognuno dei membri di questo popolo diventa immagine di quel Dio
che ha salvato Abramo dalla religione dei Padri, dalla sua religione politeista e lo ha invece fatto
diventare conoscitore fedele dell’unico vero Dio, del Dio che parla, del Dio che provoca l’uomo ad
una risposta. Il profeta questo fa: dice all’uomo: “Ritorna sulle vie di Abramo. Ritorna ad essere
fedele al tuo Dio come ha fatto Abramo e nella fede di Abramo tu sarai libero. Come Abramo ha
accettato la proposta di Dio («Esci va dalla tua casa in una terra straniera che io ti indicherò») così
anche tu potrai allontanarti dalla tua dimora profana ed avvicinarti ad un altro modello che è
rappresentato da Cristo”. Questo modello, con tutta la calma e la serenità possibile, va presentato
alle altre culture.
Il Cristianesimo propone un nuovo umanesimo che si basa sul rapporto con Dio. Dio che
crea l’uomo lo rende sempre, ogni giorno più uomo. Dio che è persona rende ogni giorno, ogni
persona, sempre più simile a Dio, immagine e somiglianza di Dio.

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Lezione del 23 Febbraio 2018

La nostra antropologia non è disumanizzante ma è un progetto di maggiore umanizzazione


e di personificazione dell’uomo. Quanto più l’uomo si sforza di imitare il modello Gesù Cristo
diventa più uomo e più persona.

3. ELEZIONE-PREDESTINAZIONE DELL’UOMO

Ciò che è importante nell’antropologia teologica è il rapporto tra Dio e l’uomo. Questo è
l’elemento fondamentale del nostro studio. Non guardiamo mai l’uomo isolato in se stesso ma
l’uomo legato ad altri. Il primo “altro”, il primo “tu” al quale l’uomo singolo è legato è Dio, il suo
Creatore e il suo Salvatore. L’uomo è imperfetto, debole, capace di peccare ma cerca, nonostante
tutto, di liberarsi da questa inferiorità e diventare sempre migliore tentando di raggiungere un
modello di perfezione che, come abbiamo detto, è Gesù.
Il tipo di rapporto tra uomo e Dio viene espresso biblicamente e ripreso anche nella storia
della teologia dalla coppia elezione-predestinazione, ovvero Dio sceglie, elegge un popolo e lo
predestina cioè gli offre gratuitamente la possibilità di perfezionarsi fino a raggiungere il mondo di
Dio. La predestinazione è lo scopo per cui un essere intelligente viene creato. La parola
fondamentale di questa coppia è predestinazione perché indica lo scopo ultimo, il fine ultimo per
cui Dio ha voluto creare una creatura che parli con sé e si metta in relazione con sé. Questo Dio ha
voluto nel suo progetto eterno: non rimanere solo. Neppure all’interno dei rapporti intrapersonali
della Trinità immanente non gli è bastata questa comunicazione infinita ma ha voluto esternarla,
moltiplicarla, prima della creazione delle creature angeliche (spiriti intelligenti), poi anche nella
creazione dell’uomo (spirito + materia, spirito incarnato).
Perché Dio ha voluto fare questo? Per estendere la sua capacità di comunicazione, per
estendere il suo amore. Poiché c’era bisogno di un oggetto, o meglio un soggetto umano per
raggiungere questo scopo, Dio sceglie gratuitamente, senza nessun motivo particolare, un uomo ed
un popolo che possa raggiungere lo scopo prefisso, quello della comunicazione perfetta tra uomo e
Dio, con l’elezione, la scelta d’Israele (prima un solo uomo Abramo e poi un intero popolo disceso
da lui). Dio sceglie non perché arbitrariamente vuole privilegiare qualcuno ma, semplicemente,
volendo raggiungere il progetto di comunicazione infinita d’amore, ha bisogno necessariamente di
fare una scelta secondo il suo programma.

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L’elezione è un atto configurato al fine, è un atto predestinato ad uno scopo. L’elezione è
l’atto compiuto su qualcuno. La predestinazione è lo scopo che, colui che è stato scelto, deve
raggiungere.

4. IL CONCETTO DI ELEZIONE E PREDESTINAZIONE NELLA SACRA SCRITTURA

Come dirà Ancona, questo concetto di elezione-predestinazione è l’idea centrale dell’AT e


NT. I due Testamenti, Antico e Nuovo, parlano di un disegno di Dio rivolto a salvare tutta la
creazione (1 Tm 2,4). Il primo atto di questa scelta è Israele, ma dobbiamo dire che questa non è a
senso esclusivo: Dio ha già predestinato in sé tutta l’umanità a partecipare alla comunione con Lui.
Gli inizi di questa comunione sono caratterizzati da una scelta unica che è in funzione della
predestinazione che vale per tutta l’umanità. Allora l’elezione d’Israele è soltanto un principio di
una elezione che riguarderà tutti gli uomini della terra.

4.1. Predestinazione nell’AT

Israele comprende la sua storia come un evento di alleanza con Dio. L’alleanza stabilisce un
rapporto preferenziale tra i due soggetti. Soprattutto il Deuteronomio attesta che Dio sceglie Israele
per un puro dono di amore, non per caratteristiche particolari. Quando Dio sceglie il primogenito di
Israele, cioè Abramo, esistevano già dei popoli e delle civiltà di gran lunga superiori a quelle alla
quale apparteneva Abramo. Esistevano gli Egiziani, gli Ittiti, i Greci, i Romani eppure Dio non
guarda questa perfezione qualitativa. Dio guarda semplicemente ad un uomo, Abramo, che
risponde ad una domanda: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre,
verso la terra che io ti indicherò.” (Gen 12,1). Dio ha bisogno di una persona che dica “sì” alla sua
volontà, al suo volere.
Ci sarà un momento particolare nella storia d’Israele in cui il concetto di alleanza sarà molto
più compreso in profondità. È il momento dell’esodo dall’Egitto. Dio sceglie un uomo singolo,
Mosè, che come rappresentante di un popolo singolo, del popolo d’Israele, viene liberato con la
potenza di Dio dalla schiavitù d’Egitto. Questo è un momento importante per la storia d’Israele
perché significa che Dio ha rinnovato l’alleanza che ha stabilito tanti anni prima con Abramo. Dio
libera un popolo attraverso un uomo che di per sé non è dotato di nessun talento in particolare ma,
anzi, è un uomo che balbetta.
Ci sono altri due modelli di alleanza che nella storia d’Israele Dio stipula con il suo popolo:
1. elezione del re, che avviene quando il popolo, non accontentandosi più della sovranità di
Dio, chiederà al Signore di dargli un re così come tutti i popoli circum-vicini. Poiché
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questa richiesta viene dal popolo e non da Dio, quest’ultimo si può mantenere non fedele
a questa promessa: Dio concede Davide ma nello stesso tempo lo può rimuovere.
2. Elezione di una città sovrana, Gerusalemme, costruita dagli uomini con il suo tempio da
Salomone. Questa è una iniziativa umana e Dio non si sente legato a questa forma di
alleanza e manda Babilonia a distruggere Gerusalemme e successivamente l’impero
romano.
Dio è fedele ad un’alleanza quando è lui a prendere un’iniziativa della salvezza. Quando è
invece il popolo a prendere l’iniziativa di fare l’alleanza con Dio, Dio accetta solo per un
compiacimento amorevole ma non per una decisione determinata e definitiva. Inoltre quando Dio
sceglie il suo popolo lo fa affinché possa essere santo, cioè “separato”.
L’alleanza con Dio è bilaterale: non solo il Signore si offre spontaneamente ad Israele ma
anche l’uomo deve corrispondere a questa relazione d’amore (= conoscere in profondità, cioè avere
una relazione intima). Il modello a cui ci si ispira è quello dell’amore totale, unificazione,
completante, perfezione del divino. Dio in questa relazione non prevede una “legge del taglione”
(occhio per occhio) ma è un Padre misericordioso che ha scelto Israele per un atto di amore. Per
questo, se un israelita ha trasgredito ad una legge di Dio, vuol dire che lo ha fatto perché non ha
ricevuto sufficiente amore nei confronti del Signore. In ogni caso questo amore si può rinnovare:
l’uomo, colpito dalla misericordia di Dio, viene rinnovato e può continuare ad amare il suo Dio.
La separazione dagli altri popoli e l’unione amorosa con Dio ha un segno esterno che indica
l’unione particolare con Dio: il rito della circoncisione. Ogni membro del popolo di Dio deve
essere segnato fisicamente per indicare la differenza che nel suo corpo stesso ha nei confronti degli
altri popoli. Questo gesto avveniva anche in altri popoli del vicino Oriente ma con scopi diversi:
superstizione e fecondità. Per il popolo d’Israele la circoncisione significava fedeltà a Dio.
Esiste un altro segno che indica la fedeltà a Dio: lo herem (“sterminio”). Il popolo d’Israele
può provare la shoah, cioè l’eliminazione nei suoi confronti, ma Israele, nei suoi primi secoli di vita
viene invitata da Dio stesso a proclamare e a compiere lo sterminio (l’herem) contro le altre nazioni
con il quale Israele deve combattere per conquistare la terra di Canaan. È un modo questo per
confermare agli occhi d’Israele che nessun altro popolo può vivere accanto ad esso, accanto al
popolo che ama Dio e che ha con Lui uno stretto rapporto di amore.
In un primo momento la visione salvifica che si manifesta nella elezione, predilezione
d’Israele, è molto chiusa, molto ristretta. Israele crede di essere l’unico popolo al mondo destinato
ad essere salvato da Dio. Siamo ancora in una fase iniziale della vita d’Israele. Lentamente cresce
nella coscienza d’Israele una idea più aperta per cui capisce che la sua funzione non è soltanto
quella di essere l’unico popolo prediletto da Dio separato dagli altri ma diventa un popolo

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mediatore della Salvezza anche per gli altri popoli. Israele può essere un segno, in mezzo ai popoli
che servono altri dei, dell’amore verso l’unico Dio.
Quando nasce in Israele questa idea di pensare alla salvezza, allora sorge in Israele una
consapevolezza ulteriore: Israele si sente un popolo sacerdotale. Il sacerdote per eccellenza è colui
che prende una vittima, la uccide e la offre a Dio. Israele diventa un popolo tutto sacerdotale perché
accoglie in sé tutto un altro popolo e lo offre a Dio come una vittima a suo favore. Come Israele è
stato scelto da Dio così si fa mediatore di elezione a Dio per tutti gli altri popoli con i quali intesse
dei rapporti di vicinanza, di convivenza.
Tutto questo va bene fino a quando il regno d’Israele prospera. C’è un momento nella storia
d’Israele (siamo intorno al VI secolo a.C.) quando succede una tragedia che fa mettere in
discussione tutta la struttura che abbiamo esposto del rapporto tra uomo e Dio: la caduta d’Israele
in mano di Babilonia. Quando il popolo viene deportato in Babilonia, l’idea che sorge nella mente
del popolo è quella di essere stato abbandonato dalla mano di Dio. Il popolo si chiede: “L’alleanza
è finita per sempre?”. Qui i profeti si dividono:
 profeti prima dell’esilio.
 Profeti dopo l’esilio. Il profeta dopo l’esilio è ottimistico. Egli incoraggia a non
perdersi d’animo perché Dio rimarrà fedele alla sua alleanza.
Dio vuole ristabilire un rapporto speciale con il suo popolo però, anche qui, i profeti del post
esilio, ricordano che l’amore scegliente, eleggente, predestinante di Dio è un amore che richiede
risposte esigenti. L’ amore di Dio è un amore gratuito che ama riconoscenza e non l’infedeltà da
parte d’Israele e dovrà seguire le Leggi del Signore come pegni di amore. In primo luogo è Dio che
mi ama e che mi dà i comandamenti. In secondo luogo io lo amo ed osservo i suoi comandamenti.
Quindi, anche qui, il progetto di riappacificazione, di elezione, spetta solo a Dio.
Con la riappacificazione, il popolo diventa missionario affinché tutti i popoli del mondo si
riuniscano per osservare il patto di alleanza con Dio (come afferma il Trito Isaia) nella nuova
Gerusalemme.

4.2. Predestinazione nel NT

Anche i discepoli di Gesù fanno la stessa esperienza di quello che è avvenuto in Israele: i 12
apostoli vengono scelti uno ad uno direttamente da Gesù. Nessuno di loro si avvicina a Gesù ma è
Lui che li sceglie nel momento in cui stanno riparando le reti. Coloro che sono stati scelti da Dio
capiscono che Egli vuole stabilire con loro una particolare esperienza di amore, di alleanza e
comprendono subito che il loro messaggio si riferisce alla fine della Storia. Gli apostoli
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comprendono che Gesù li ha scelti per un compito che non finisce soltanto sulla terra ma che
sorpasserà il tempo presente e arriverà fino al momento sconosciuto nel quale il Messia ritornerà
sulla terra. Il rapporto con Dio da parte degli apostoli, in questo momento (il discepolato dei 12 con
Gesù), è in un continuo perfezionamento del rapporto tra Chiesa che sta nascendo e Dio.
L’evento fondamentale che rende chiara la volontà di Dio di stringere una nuova alleanza
con questo piccolo numero di persone raccolte intorno a Gesù è il momento della Pentecoste.
Quest’ultima apre immediatamente gli occhi dei discepoli all’idea che l’alleanza di Dio continua
attraverso di loro. Come Israele ha sperimentato la sua alleanza con Dio, così gli apostoli
sperimentano il loro rapporto gratuito con un rappresentante di Dio, suo Figlio incarnato Gesù.
“L’eletto di Dio”, espressione usata dai sinottici in riferimento a Gesù, sta a dimostrare che il
concetto di elezione, di scelta per la predestinazione finale ora viene applicato alla figura di Gesù.
I discepoli sono coinvolti direttamente da Gesù nell’evento dell’evangelizzazione durante la
vita terrena di quest’ultimo. Solo da Lui sono chiamati, scelti liberamente, costituiti come gruppo
per condividere l’offerta di grandezza che Gesù fa per tutti i popoli della terra.
Rimane sullo sfondo negli scritti di Paolo, in maniera molto chiara, che Dio non ha
dimenticato il popolo d’Israele. In Rom 9,11, Paolo collega l’escatologia con la conversione degli
ebrei.
Il Vangelo di Giovanni aggiunge un’importante conseguenza a questo modo di vedere
l’alleanza tra Dio e l’uomo (discepoli-apostoli). Questo Vangelo presenta il progetto di Dio di
amare non più un popolo ma, globalmente parlando, il mondo. La Parola di Dio viene mandata al
mondo, come viene espresso nel Prologo di Giovanni, dove “il mondo” significa tutti gli uomini e
non un popolo in particolare o degli uomini particolarmente prescelti. Dio vuole parlare adesso
tramite il suo Verbo divino a tutti gli uomini e a tutte le realtà positive che sono nel mondo,
nonostante che ci sia un rifiuto da parte delle forze negative appartenenti al mondo. Allora il mondo
è una realtà duplice dove ci sono luce e tenebre:
 la luce accoglie il Verbo di Dio;
 le tenebre lo respingono.
Anche Giovanni si muove sulla stessa dinamica dell’accettazione-rifiuto. In un primo
tempo l’uomo può anche rifiutare il progetto salvifico di Dio ma l’autore sacro ci viene a dire che la
salvezza tocca solo coloro che riconoscono ed accolgono Gesù come salvatore del mondo.
Secondo Paolo anche qui Dio elegge e predestina mostrando amore, sapienza e misericordia.
La scelta di Dio per Paolo non è arbitraria ma segue un disegno preciso: salvare tutti gli uomini,
tutta l’umanità attraverso il suo Figlio incarnato. Paolo è il teologo più decisivo di questa idea
mediatrice del Figlio di Dio nei confronti della salvezza universale e solo grazie al verbo di Dio
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incarnato che tutta l’umanità può essere salva davanti a Dio. Non c’è una salvezza immediata ma
una salvezza mediata attraverso il Cristo morto e risorto.
Nella pericope di Rom 8,28-30 è disegnato chiaramente il piano di Dio attraverso 5 piani in
salita:
1. quelli che egli da sempre ha conosciuto;
2. li ha anche predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo;
3. quelli che poi ha anche predestinati li ha anche chiamati;
4. quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati;
5. quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati.
Ora tutti gli uomini sono stati chiamati, scelti da Dio per entrare in comunione con il Figlio.
Se Gesù è stato crocifisso, morto e risorto, questo evento non ha toccato solo la sua persona e
neanche gli apostoli che stavano in diretta comunicazione con Lui. Il sangue di Cristo è stato
versato affinché tutti gli uomini potessero godere della libertà dei figli di Dio e questo godimento è
talmente forte che possiamo dire che, con Rom 8,24, noi siamo salvi nella Speranza. La nostra
speranza è quella di condurre la storia di Dio in contatto con l’umanità fino al ritorno del Messia.
Non abbiamo una certezza ma abbiamo la speranza che, se saremo fedeli al patto di amore che Dio
ci ha invitati a stringere assieme con Lui, allora potremo essere veramente salvi cioè giustificati dal
nostro male, dal nostro peccato e resi degni di vivere assieme con Dio.
C’è la possibilità del rifiuto? L’opera degli apostoli è destinata ad essere accettata da tutti gli
uomini della terra o è anche soggetta al rifiuto? Dio considera sempre come possibilità il rifiuto da
parte dell’uomo perché l’uomo resta libero e Dio che si mantiene fedele per sempre alla sua
alleanza, bontà, amore verso l’uomo. Quest’ultimo può servirsi della sua libertà, come si sono
serviti gli Ebrei per allontanarsi dalla sua volontà di fare amicizia, alleanza con Lui.
Se gli stessi Ebrei, con la volontà e con la libertà, che Dio ha lasciato loro, desiderassero ad
essere il popolo privilegiato di Dio, noi saremo davanti ad una duplice posizione:
 da un lato ci troveremmo con un “albero di ulivo”, cioè l’antico Israele, troncato,
spezzato.
 Dall’altro lato, su questa pianta di ulivo buono viene innestata una “pianticella nuova”,
quella della civiltà greco romana, in cui le promesse di Dio passano ad un’altra nazione.
Se gli Ebrei, volessero ritornare a riprendere l’antica alleanza con Dio, sarebbero “innestati”
loro stessi una seconda volta nell’ulivo buono perché la bontà fondamentale del popolo d’Israele,
così come la concepisce Dio, è rimasta identica: Dio si mantiene fedele alle sue promesse. Allora,
l’antico ulivo tagliato, dimezzato a causa della colpa d’Israele, si rigenera attraverso l’alleanza con
gli altri popoli e, adesso la nuova alleanza con il popolo d’Israele è stretta in maniera più efficace di
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quanto non avvenga con i pagani perché è ad Israele che appartengono le promesse dei Patriarchi. I
pagani, allora, devono essere consapevoli che la loro chiamata è una chiamata d’amore da parte di
Dio ma una chiamata che si impone in secondo piano rispetto all’amore verso Israele, che è la
pianta originariamente amata da Dio. I pagani devono essere consapevoli che essi ricevono la
salvezza da parte di Dio in una maniera esigente. I comandamenti, che valevano per gli Ebrei,
erano pegni di amore per cui Dio manifestava la sua alleanza verso il suo popolo, valgono adesso
anche per i pagani che devono essere fedeli al Signore.
Profeticamente Paolo annuncia che, alla fine dei tempi ci sarà un’unica salvezza sia per i
pagani che per gli Ebrei. Il disegno ultimo paolino è quello di una riconciliazione totale. Questa
consapevolezza paolina è espressa anche in un altro passo evangelico Ef 1,3-14. In questo inno, i
cristiani affermano di essere da sempre preeletti da Dio e la preelezione di Dio è quella di vivere in
comunione con noi, non immediatamente ma attraverso una mediazione, non più d’Israele ma di
Gesù Cristo con la sua Chiesa.
Gli ebrei e i pagani costituiscono le due fondamenta sulle quali Dio può agire per la salvezza
di tutto il mondo. La fine del mondo sta in una visione paolina, quella nella quale sia gli ebrei che i
pagani risultano immagine e somiglianza del Figlio suo e vivono insieme in una felicità senza fine.

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Lezione del 2 marzo 2018

5. TEOLOGIA E MAGISTERO: TEMA DELLA PREDESTINAZIONE

1Tm 2,4: “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi”.
I padri della Chiesa non trattarono con profondità il tema della predestinazione. Si riferirono
al pensiero di Paolo sull’uomo e sulla creazione, quando esorta l’uomo a condurre una vita santa
alla luce della resurrezione. Fecero riflessioni soprattutto moraleggianti sull’uomo: i Cristiani, morti
al peccato, devono rivestirsi di Cristo. Dio ha voluto salvare tutti i popoli attraverso la vita di Cristo
e la resurrezione, che diventa vita vera attraverso lo Spirito Santo, “zoopoion”, ovvero colui che
dona la vita e continua a realizzare il mistero di Cristo; dall’incarnazione all’Ascensione, nella
Chiesa creata da Gesù per essere il contenitore di tutto questo mistero. Lo Spirito Santo rende la
Chiesa attiva. Prima che fosse donato loro lo Spirito nel giorno di pentecoste, i discepoli e le donne
avevano paura, non sanno che fare, temono ritorsioni. Lo Spirito Santo mette l’uomo in ascolto e
pur creando vita nuova, lascia liberi, mette in moto il mistero di Cristo. L’uomo può comportarsi
come vuole davanti all’offerta di salvezza di Dio. L’uomo è responsabile della sua salvezza: Dio
vuole che tutti siano salvi ma non costringe nessuno. Il vero responsabile della salvezza resta
l’uomo, come nel giardino dell’Eden.
Da Agostino in poi la salvezza diventa un tema teologico. Le domande ricorrenti sono: mi
salvo dopo la mia vita terrena? Sarò unito a Cristo? Dove andrò? Tra le fiamme del ricco Epulone o
dove sta Abramo? In quale regno andrò? Sono scelto e predestinato per il regno di Dio o per la
perdizione? Ciò da cosa dipende? Dal mio impegno o dalla volontà di Dio?
Gli inizi di Agostino sono pessimistici. Proveniva dal manicheismo, eresia che affermava la
lotta tra due divinità: una buona che si manifesta nel NT e una cattiva che si manifesta nell’AT. Il
primo Agostino affermava, infatti, la teoria della doppia predestinazione: i buoni predestinati al
paradiso e i dannati all’inferno. Tutti gli uomini sarebbero destinati alla dannazione perché da
Adamo in poi tutti sono caduti. I pagani sono maestri di immoralità. Il peccato originale si diffonde
semplicemente con l’atto sessuale, quindi ogni uomo che nasce sarebbe meritevole di essere punito.
Allora Dio è ingiusto? No, Dio resta giusto ma in un modo che sfugge all’uomo. Dio poteva
limitare gli effetti del peccato originale ad Adamo ed Eva ma non lo ha fatto. Ciò non lo
comprendiamo, è un mistero che solo lo Spirito Santo scruta. Solo lo Spirito scruta le profondità di
Dio. Dall’esterno possiamo solo riconoscere che alcuni sono stati scelti per la salvezza perché si
sono mostrati eticamente buoni, e ricevono per benevolenza di Dio la salvezza eterna. L’uomo si
salva non per la conseguenza delle sue scelte e dei suoi meriti, ma piuttosto Dio dona per sua
misericordia la salvezza al giusto, anche se l’uomo agisce bene, altrimenti Dio si troverebbe ad
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avere un debito nei suoi confronti. Ciò si scontra con 1Tm 2,4: Agostino non risolve il dilemma ma
afferma semplicemente l’iniziativa di Dio.
Tra il 429 e il 430 Agostino affronta il tema della predestinazione in modo sistematico.
Abbiamo il pensiero del secondo Agostino: precisa che la predestinazione non è per tutti gli
uomini, ma solo per gli eletti: abbiamo una sola predestinazione fin dall’eternità. Gli eletti sono
coloro che da Dio sono preparati ad accettare il dono della salvezza, senza alcun loro merito. È
necessaria la libertà di Dio e la libertà degli uomini. Dio prepara alcuni uomini ad essere liberi di
accettare il dono della salvezza.
La salvezza e la predestinazione hanno un valore Cristologico: se Cristo non fosse risorto
non ci sarebbe stata salvezza: Cristo ha espiato il peccato di tutti. Dio non elegge prima dell’evento
pasquale: infatti, Dio sceglie il giusto e il dannato solo a partire da Cristo. I pagani giusti si sono
salvati perché si sono comportati bene pur non avendo ascoltato il Vangelo di Cristo, mentre i
pagani malvagi, che non avevano seguito la legge naturale, si sono dannati. La distanza riguarda
solo i pagani, infatti, coloro che hanno scelto il vangelo sono giudicati in base alla conformità a
Cristo. Il primato della salvezza spetta a Dio, ma c’è bisogno della Grazia e della libera accettazione
da parte dell’uomo della volontà di Dio. Dio è giusto, ma non si può comprendere perché lascia
qualcuno o molti senza grazia. Ciò non si riesce a comprendere.
Il magistero, da parte sua, non ha mai accettato nessuna di questa due tesi, non si è mai
espresso ufficialmente. Né su quella della doppia, né su quella della semplice predestinazione. Il
magistero non ha espresso mai la dannazione per nessuno.
Nell’alto medioevo rinasce la controversia su Agostino e la predestinazione nell’ambito
della teologia monastica: il suo pensiero, letto in maniera letterale, viene travisato. In epoca
carolingia, travisando l’Apocalisse, si pensava che stesse venendo la fine del mondo e cresceva la
curiosità di sapere chi fosse stato scelto per il bene e chi per il male. Esponenti della controversia
furono: Godescalco ( 800-869), Ravallo Vallo (780-856) e Incmaro di Laon (806-882).
Godescalco segue alla lettera il pensiero originario di Agostino, quello della doppia
predestinazione: gli eletti destinati alla vita eterna e i dannati destinati alla morte. Questo ebbe delle
conseguenze ecclesiologiche: quando parliamo di eletti e di dannati parliamo sempre di battezzati.
In epoca carolingia il paganesimo è finito. L’Europa è tutta evangelizzata. La Chiesa, in linea di
principio, non può intervenire sulla volontà di Dio; ma, per lo stretto legame tra Cristo e la Chiesa,
possiamo dire che l’universale volontà di salvezza di Dio viene pronunciata dalla Chiesa, la quale
condanna ed assolve. Solo all’interno della Chiesa ci può essere un giudizio di salvezza e di
condanna. Se quest’unità tra Cristo e la Chiesa è vera, allora Dio non fa più paura, ma fa paura la
Chiesa, che si sostituisce a Dio nel dispensare il dono di Grazia della salvezza. La Chiesa, infatti,

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potrebbe non essere sempre immagine dell’Amore misericordioso di Dio. Davanti a queste
affermazioni di Godescalco, Rabano Mauro convocò il sinodo di Magonza (848). In esso si
ribadisce la dottrina tradizionale: la volontà di Dio non è limitata dalla Chiesa, essa è al di sopra.
Godescalco è condannato al carcere. Come suo custode è scelto Icmaro di Laon. Egli raduna un
altro sinodo, quello di Quiercy (853). In esso Godescalco è condannato come eretico perché non
vuole ritrattare e afferma la vera e probabile predestinazione di Dio, ma se esiste è solo per i buoni,
gli eletti: coloro che rifiutano il bene di Dio per un interiore malvagità sono loro stessi i
responsabili della loro dannazione. Non è Dio che li condanna. Dio offre a tutti la sua salvezza, ma
alcuni la rifiutano vivendo lontani dal Vangelo. In quest’ottica possiamo leggere 1Tm 2,4, dove si
dice che Dio vuole che tutti siano salvi. Possiamo prendere in esame la storia del ricco Epulone: è
solo lui il responsabile della sua dannazione, come spiega Abramo. Dio sapeva dall’eternità chi si
sarebbe allontanato dalla salvezza. Dio è prescienza eterna e non obbliga ad accettare l’offerta di
salvezza. Dio predestina i buoni, non i dannati, che diventano tali solo per la loro volontà libera. La
disputa non finisce con il sinodo di Quiercy. Ci fu l’intervento del monaco dell’abbazia di Corbie:
Ratramno (800-868). Egli cerca di riabilitare Godescalco. Si serve di Giovanni Scoto che traduce il
testo dello pseudo Dionigi in latino, che si è ritenuto per tutto il medioevo opera dell’unico ateniese
che si convertì a Paolo nell’areopago di Atene. Scoto cercò di far emergere la misericordia di Dio,
ridimensionando molto il tema della predestinazione. A questo punto il concilio di Douzy nell’871
impone il silenzio sul dibattito mostrandosi favorevole ad un agostinismo moderato. Godescalco
rimase in prigione fino all’ultimo momento della sua vita. Il tema della predestinazione verrà
ripreso solo nell’epoca dei riformatori con Calvino.

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Lezione del 06 Marzo 2018

6. AMARTOCENTRISMO DI AGOSTINO LA DOPPIA PREDESTINAZIONE.

Adesso vediamo come la scolastica medievale e l’età moderna affrontano questo dibattito
sulla predestinazione e pre-elezione.
La teologia Medievale è un teologia che analizza, che vuole attraverso domande, questioni e
vari significati etimologici della parola, giungere a cercare una verità sicura, completa, chiara.
Questo suo ricercare la verità ad ogni costo, favorisce il rinnovo del dibattito sul tema della
predestinazione di Agostino. Così come l’età antica e alto Medioevo lo aveva lasciato aperto.
Dal IX al XII i teologi della scolastica rinnovano le questioni: sulla caduta dell’uomo nel
peccato e la salvezza eterna dell’uomo, (nonostante il silenzio imposto dal Concilio di Douzy) e se
Dio lascia all’uomo la responsabilità della sua dannazione o della sua salvezza.
Per rispondere a questo quesito bisogna ricordare 2 autori Pietro Lombardo (sacerdote e
insegnante dell’università di Parigi) e Alessandro di Hales. Essi si domandano: se la predestinazione
di Dio è un atto della sua intelligenza (se Dio conosce in anticipo la fine di quest’uomo) o un atto
della volontà arbitraria di Dio (Dio non sa cosa fa l’uomo o fa finta di non saperlo, è lui con atto di
libero arbitrio decide o di mandarlo in paradiso o all’inferno).
Tommaso
Per poter rispondere a queste domande interviene Tommaso: segue una via nuova per il suo
tempo e lega la predestinazione, non alla volontà, né all’intelletto di Dio, ma alla provvidenza di
Dio. Dio provvede il bene dell’uomo, non può provvedere il male essendo il sommo bene, la
somma Misericordia, il sommo amore è trinità di amante amato e amore. La predestinazione è
legata sì alla prescienza di Dio, ma una prescienza che vuole salvare l’uomo. Dio anche se conosce
il male che l’uomo può commettere, può intervenire con un atto di predestinazione e può liberare
l’uomo dal peccato, quindi portarlo alla salvezza. Il piano di salvezza che Pré-esiste in Dio è quello
del fine della salvezza universale di tutti gli uomini, esso è espressione del desiderio di Dio di
permettere a tutti gli uomini di abitare il paradiso.
Un altro elemento che Tommaso oltre quello della provvidenza divina è quello della
Cristologia. Tommaso Pensa al fine universale e definitivo di Dio (salvare gli uomini) è legato alla
creazione in Cristo: tutti gli uomini sono legati ad immagine e somiglianza di Dio, prototipo di
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questa immagine e somiglianza dell’uomo con Dio è il Figlio, cioè Cristo. Se questo è vero Dio che
intende salvare tutti coloro che sono stati creati ad immagine e somiglianza del figlio, allora Dio
non può dannare nessuno perché dannerebbe un’immagine del Figlio. Quello che vuole Dio è che
regni infinita gloria di se stesso, egli non crea per avere servi a sua disposizione, ma per avere degli
interlocutori che ricevono il suo amore e siano capaci di rispondere alla sua offerta d’amore. La
scelta dell’amore di Dio nei confronti di un uomo è libera da interessi. Dio gradisce dall’ uomo un
atto di gratitudine di Obbedienza, il non tradimento della sua lealtà infinita. Quando Dio si trova di
fronte all’infedeltà dell’uomo reagisce allontanandolo da sé. Ricordiamo il racconto di Gn 3, Dio
non li abbandona, ma gli dà una generazione che si estende con tutta l’umanità, e Dio vuole che
tutta l’umanità rappresenti la sua gloria (ogni uomo che vive è grandezza di Dio), e la gloria che
l’uomo può dare a Dio è l’abbandono del male per una vita perfettamente giusta, santa, beata.
Quindi Tommaso con questi 2 correttivi: della provvidenza e della Cristologia, lega il
concetto di coscienza all‘intelletto, ma ne fa semplicemente uno strumento per affermare la volontà
di Dio di portare alla salvezza quante più anime possibili.

Giovanni Duns Scoto (1265/66-1308)


Scoto lega la predestinazione dell’uomo alla volontà umana: alla sua libertà (ritorno al
concetto francescano). Non c’è nessuna promessa di salvezza che Dio deve realizzare con l’uomo.
Il rapporto tra Cristo e la creatura avviene senza bisogno di una grazia santificante, cioè di
un amore particolare di Dio. Per Scoto non c’è bisogno di dire che c’è un amore che lega Dio e
l’uomo. Dio fonte di amore, non ha bisogno di manifestare ed estroflettere (deve mandare al di fuori
di sé) l’amore che lui custodisce nella S.S. Trinità, Dio non ha bisogno di amare, l’amore in cui egli
vivi gli basta. L’uomo e Dio sono 2 entità solidarie, una di fronte all’altra. Ed entrambi questi
oggetti posseggono una libertà: quella di salvare (Dio) e quella di salvarsi o dannare (uomo).
La predestinazione è semplicemente un atto della volontà di Dio libera e assoluta, che
nessuno può interrogare o ci può entrare (1 Cor 2,10), solo lo spirito può scrutare il mistero di Dio,
senza intervento dello Spirito Santo il teologo non può conoscere gli abissi di Dio.
Per secoli il dibattito si placa e ogni scuola teologica avvalora le proprie tesi, questa è la
riprova come il concilio di Douzy non è stato proprio ascoltato. Verso il 1500 con la riforma e
controriforma il tema si ripresenta. A ritornare sul tema e a riaccendere il dibattito sarà Calvino.

Calvino 1509-1564
Calvino nelle sue opere (la predestinazione e il compendio di teologia: le istituzione
cristiane) non fa altro che riprendere la tesi di Godesclaco e afferma: Dio ha nelle sue mani una

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doppia predestinazione dipendente dalla volontà, che è libera, sovrana, intransigente e immutabile,
davanti alla quale l’attività dell’uomo non ha nessun valore.
La vita dell’uomo sulla terra è una tragedia continua, perché l’uomo non può mai avere dei
segni sicuri della sua salvezza, della sua elezione al bene o della sua destinazione al male eterno.
L’uomo può solo affidarsi alla benevolenza di Dio: sapendo che il suo “agire bene” ha solo un
valore etico. Questo agire bene non gli permette di raccogliere meriti per pagarsi la salvezza eterna,
cioè il paradiso. Il paradiso è solo un dono di Dio ed anche senza meriti l’uomo può ottenerlo.
Quindi occorre solo accettare la volontà di Dio affidandosi alla sua Grazia.
L’unico segno che l’uomo può seguire è il figlio incarnato in Cristo. Seguire l’esempio di
Cristo è l’unico segno che ti permette di guadagnarti i meriti della felicità eterna.
Dopo il concilio di Trento che non dà nessuna risposta concreta, il dibattito si interessa del
rapporto tra grazia di Dio e libertà dell’uomo. La domanda allora diventa se mi posso salvare senza
la grazia (benevolenza) di Dio? Dio blocca la mia libertà di decidere, perciò sono costretto ad
obbedire a Dio per salvarmi? Quindi gli argomenti sono raccolti sotto la “controversia de
AUXILIIS” gli aiuti che Dio può dare all’ uomo per ottenere la salvezza. Se Dio è colui che salva,
vediamo come lo aiuta a salvarsi.
Si formano 2 scuola:
Quella intorno al gesuita Molina Louis
Quella intorno al domenicano Domingo Banez

Molina Louis (1535 – 1600)


La teologia di Molina: Dio offre la grazia, ma essa agisce efficacemente solo quando la
libertà umana l’accoglie (l’uomo è libero di accogliere o meno l’offerta di grazia) questa tesi è citata
anche come teologia del Congruismo (sproporzionalità tra azione e premio) o Merito De Congruo=
ricompensa che non ha nessuna parità con l’opera da ricompensare. Dio aiuta l’uomo solo per
convenienza, per una sua benignità, e molto spesso Dio vuol premiare un’opera che di per sé non è
proporzionata al bene ricevuto.

Domingo Banez
La sua Teologia afferma: la grazia di Dio è sufficiente e efficace alla salvezza senza alcun
atto di esplicita risposta da parte dell’uomo. Dio predestina fisicamente nel corpo, nella volontà e
nella libertà dell’uomo la grazia che deve servire all’uomo per salvarsi. Tale tesi è chiamata
predeterminismo de Condigno= parità assoluta con il premio. E’ il premio che si deve offrire per
ottenere un atto giusto, fedele a una promessa. Dio misura esattamente la quantità di grazia che

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dona all‘uomo e in base a questa quantità di grazia ricompensa l’azione dell’uomo. Parità completa
premio e azione.
Le due scuole porto avanti anche 2 espressioni che ci possono essere utili perché ritornano
nel dogma dell’Immacolata Concezione:
La scuola molinista: Dio aiuta l’uomo dopo che il suo intelletto ha conosciuto i meriti che
l’uomo si ha acquisito durante la vita, allora salva. (Dio dopo aver guardato nel suo intelletto i
meriti che si sarebbe guadagnato, allora salva)
La scuola di Banez: “prima dei meriti riconoscuiti da Dio”. Prima di considerare i meriti che
l’uomo si sarebbe assicurato attraverso le sue opere buone, Dio liberamente dona la salvezza a
costui che se le meritato.
Il dogma dell’Immacolata Concezione dice: Dio guardando precedentemente i meriti di
Maria ossia la grazia di Maria e la resurrezione di Cristo che avrebbe reso Maria libera dal peccato
originale, Dio pensa dall’eternità una donna concepita immacolatamente. La concezione
Immacolata di Maria è possibile perché Dio nella sua conoscenza infinta guarda al futuro, e guarda
la bontà di Maria e al Mistero Pasquale che avrebbe liberata da ogni contagio del peccato originale.
Dio per incarnarsi aveva bisogno di una creatura interamente pura, assolutamente libera del
peccato originale, ma la liberazione dal peccato originale può avvenire soltanto dal mistero
Pasquale. Dio prevedendo antecedentemente l’efficacia del Mistero Pasquale di Dio su una creatura
che si chiama Maria e la purifica e allora le forma fin dall’eternità un grembo santo nel quale
incarnare il figlio di Dio. Gesù liberamente lo accetta. Ci dà un esempio di decidere in piena libertà
se accogliere o meno la grazia di Dio.
La predestinazione entra in campo quando si tratta di comprendere il rapporto tra la grazia di
Dio e la libertà dell’uomo (Gesù è stato libero o no, poteva rifiutarsi di soffrire? Secondo il
professore si poteva rifiutare. Gesù ha scelto liberamente di aderire al Padre).
Molina continua dicendo che Dio conosce in anticipo i meriti dell’uomo per cui la grazia
accompagna l’agire dell’uomo. BanezInvece afferma che Dio non tiene conto della sua
conoscenza previa dei meriti dell’uomo, ma è la grazia che predetermina fisicamente l’azione
dell’uomo.
Banez è convinto che Dio sia libero e sovrano e determina l’agire dell’uomo in maniera
infallibile.
Molina afferma che l’azione di Dio opera solo se c’è accoglienza da parte della volontà
dell’uomo. Collaborare con la nostra azione alla volontà di Dio.
Per Molina ha una particolare concezione della coscienza della conoscenza di Dio, cioè
l’Intelletto di Dio.

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Per Molina Dio possiede una scienza Media (conoscenza intermedia) tra passato dell’uomo
e futuro dell’uomo. La scienza Media fa conoscere a Dio in anteprima le scelte dell’uomo e dunque
gli permette di conoscere anche la libera accettazione della grazia venuta da Dio da parte
dell’uomo. Questa conoscenza anticipata dell’opera dell’uomo viene chiamata da Molina:
“Futuribile” è il frutto della conoscenza media di Dio, che sa in anticipo se l’uomo accetterà o
meno la grazia di Dio.
Il grande difetto di questi due sistemi teologici è quello di non tenere conto della realtà del
mistero della Pasqua, sono deboli sotto il profilo Cristologico. Invece sono ricchi sotto il profilo
soteriologico: tengono conto della salvezza, ma meno della parte dell’incarnazione e del Mistero di
Cristo. Sarà la teologia contemporanea ad affrontare il tema del rapporto libertà/grazia di Dio per
cercare di dare ancora una risposta.
Nella riflessione Contemporanea il teologo che ha dato il decisivo contributo al rapporto
libertà e grazia di Dio è stato Karl Barth che imposta subito il discorso tra libertà dell’uomo e
grazia di Dio in chiave Cristologica: il primo ad essere stato eletto o predestinato alla vita in Dio è
stato Gesù Cristo.
Prima riflessione
Barth inserisce il tema elezione nella predestinazione nel Basso orizzonte della grazia di Dio
data al suo figlio Gesù Cristo, se esso è stato scelto per essere l’immagine dell’uomo allora ogni
uomo che dovrà essere salvato da Dio, sarà salvato in quanto immagine e somiglianza del suo figlio
unigenito.
Rimane tuttavia un mistero insondabile davanti al quale non è possibile procedere
razionalmente sul perché Dio (secondo la visione evangelica di Barth di estrazione calvinista e non
luterana) abbia sacrificato il suo figlio alla croce, esso rimane un mistero della S.S. Trinità. Quello
che possiamo dire che Gesù e insieme soggetto e oggetto dell’elezione predestinazione. Gesù si
incarna per svelare all’uomo la verità dell’elezione. Dio se ci ha scelti è perché ci predestina alla
vita felice totalmente assente dal dolore e dalla sofferenza e dalla disobbedienza di Dio che
potremmo vivere dopo la nostra morte. Dio ci predestina alla salvezza futura incredibilmente
misericordiosa e bella.
Contemporaneamente Gesù è anche l’eletto, perché si impone volontariamente come colui
che obbedisce al desiderio del Padre e per questo è eletto. La cosa più incomprensibile di tutto è che
l’elezione di Gesù alla vita felice con Dio include anche il peccato dell’uomo, cioè il rifiuto
dell’uomo alla grazia di Dio. Gesù si immola affinché questo disobbedire da parte dell’uomo, non
possa preservare la salvezza dell’uomo. Gesù si sacrifica per tutti. “Dio si allea con il Popolo, anche
se sa che il popolo lo tradirà” Rm 9,11. Inoltre Dio anche se sa che l’uomo lo disobbedirà egli

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comunque fa un’alleanza. Dio si scopre eternamente misericordioso perché non rifiuta Gesù perché
si è fatto carico dei peccati dell’umanità, non lo colpisce con la maledizione, ma lo premia con la
gloria della resurrezione.
La resurrezione è la ricompensa che Dio misericordioso dona al figlio che si è prima offerto
alla volontà di Dio e poi lasciato crocifiggere dai peccati dell’uomo.
Seconda riflessione
Altro accento che viene messo in rilievo dalla teologia di Barth è molto vicino a quella di
Agostino, comprende il concetto che l’elezione e predestinazione non è solo un evento che riguarda
un singolo, ma un evento di misericordia che avviene quell’ambiente che è la Chiesa, cioè insieme
di tutti i credenti e battezzati. L’evento di Cristo include tutta la Chiesa e tutto quanto Israele. Il
popolo d’Israele sono i primi ad essere stati eletti poiché hanno alleanze con Dio e poi tutti i pagani
ai quali Dio propone lo stesso progetto di salvezza, e si dà il caso che Israele rifiuta il suo liberatore
e i pagani cioè la Chiesa nata da Gesù accetta la volontà di Dio. Quando Israele si convertirà a Dio e
riceverà totalmente la salvezza da Dio, allora sarà la fine del mondo. Paolo lega la fine del mondo
alla conversione di Israele.
Se è vero che la comunità di coloro che sono salvati è il luogo dove Dio manifesta la sua
misericordia e la sua salvezza, allora la comunità sente il bisogno di annunciare Cristo al Mondo. La
ricchezza del dono di Dio che ci ha dato il Cristo, non possiamo tenercela nascosta dentro di noi.
Noi siamo fatti anche ad immagine della S.S. Trinità, perché tutte le cose che la Chiesa opera al di
fuori sono comuni alle tre persone, come la Trinità di Dio è particolarmente felice in sé, però sente
il bisogno di uscire dai suoi limiti e di creare uomini ai quali manifestare il suo amore, così anche la
Chiesa sente il bisogno di annunciare la parola di Dio a uomini fuori da sé.
La Chiesa deve annunciare che Israele ha rifiutato la salvezza di Dio come ai tempi dei
Profeti, e adesso è lei che sarà il popolo eletto.
La Chiesa come singolo può rifiutare la salvezza di Dio, la Chiesa non è sicura di rimanere
sempre fedele al suo Dio. La Chiesa è libera di accettare o meno la Grazia di Dio e sa anche che Dio
accetta il peccato dell’uomo ed è pronto ad annullarlo e a ricoprirlo di Misericordia, grazie al
mistero di Cristo. Dio non guarda tanto al rifiuto della Chiesa, quanto la possibilità di perdonarla.
Per Barth inoltre bisogna considerare che anche ogni singolo uomo è responsabile della
scelta tra fede in Dio e incredulità in Dio. Chi viene eletto è colui che scopre la sua fede profonda
verso Cristo visto come eletto da Dio, si accorge che seguendo Cristo come eletto da Dio, egli abbia
raggiunto un grado elevato di umanità, a prescindere dai peccati, dai rifiuti commessi nei confronti
di Dio, non si preoccupa di questi peccati, guarda più alla fede perché sa che Gesù Cristo ha espiato
i suoi peccati dell’umanità.

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Dio rimane benevolo nei suoi confronti, e non va mai dimenticato che il peccatore può
ritornare ad essere eletto. Il peccato dell’uomo non è una realtà definita, immutabile, ma è una realtà
trasformabile. L’uomo può in ogni momento della giornata cambiare stato e accettare la grazia di
Dio e ritornare eletto.
Se si vuole muovere una critica a questa visione di Barth si può affermare che è molto
cristocentrica, mettendo da parte la realtà del Dio unico che opera direttamente nei confronti
dell’uomo.

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Lezione del 09 Marzo 2018

7. ELEZIONE E PREDILEZIONE

Predilezione significa volontà di Dio di salvare tutti gli uomini (cfr 1Tm 2, 4 tutti gli uomini
siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità). Questo desiderio di Dio si scontra con la realtà
che non tutti gli uomini sono predisposti alla salvezza o per disinteresse o perché si comportano in
maniera malevola tale che non può essere perdonata.
E’ chiaro dalla Sacra Scrittura che Dio si mostri nei confronti dell’uomo compiacente,
generoso, benevolo, anche senza tenere conto dei meriti dell’uomo. Dio è anche colui che nella sua
misericordia allontana i peccatori. La prima cosa che fa Dio nel volersi manifestare e nel voler
mettere in pratica la sua giustizia è quella di chiamare un popolo a ricevere il dono della salvezza.
Anche se l’Amore intratrinario è sufficiente a Dio e di questo Amore Dio ne è appagato, Egli vuole
far conoscere ad altri questo Amore per un atto di totale generosità.
Dio è pronto a riempire de congruo ( in una misura sovrabbondante) le azioni del suo popolo
nella misura in cui il popolo si manterrà fedele all’alleanza. Dio scegliendo un popolo, sceglie
anche singoli personaggi di un popolo. Tale scelta è dovuta per la elezione e la predestinazione di
uomini e donne che possano maturare nella coscienza responsabile. Dio ama il popolo e i singoli
uomini affinché questi diventino più uomini, cioè che crescano nella loro capacità di perfezionare se
stessi e gli altri.
Il sentimento con cui Dio sceglie è una espressione della sua carità, è un fattore sentimentale
che ci apre i segreti del sentimento più intimo dell’essenza divina. L’Amore di Dio verso chi crea è
un’amore che rende felici, che fa mettere in relazione di completezza. Dio prima sceglie Abramo e
poi sceglie il popolo d’Israele, questa estensione del concetto di elezione e predilezione si allarga
ancor di più quando nel rapporto tra Dio e il suo popolo interviene la figura di Gesù Cristo. Gesù è
l’eletto attraverso il quale tutti i popoli della terra possono venire prescelti e predestinati a
conoscere l’Amore di Dio. Attraverso Gesù tutti gli uomini e le donne della terra possono essere
salvi. Questo sentimento di scelta si rivolge a tanti singoli al punto tale che questi costituiscano una
comunità di amati. Una comunità che ha la sua genesi nell’iniziativa di Dio. L’unica condizione che
Dio pone al popolo dei rieletti e che venga ri-amato, questa non è un imposizione ma è una
condizione intrinseca al dinamismo dell’ Amore. L’uomo liberamente sente di ricambiare l’Amore
di Dio o rifiuta di mettere in atto il rifiuto di questa esigenza che sente dentro di sè. L’uomo può
rifiutare l’Amore di Dio. Dio essendo Amore assoluto può anche revocare il suo amore verso il suo
popolo.
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La promessa di salvezza rimane per sempre non si distrugge mai. Una caratteristica che
dobbiamo sempre tenere presente è che l’elezione e la predestinazione di Dio pur incominciando
storicamente da Abramo è un piano e un progetto che viene definito da Dio fin dall’eternità,
l’Amore di Dio si fa storia in un determinato momento storico anche se ha inizio nei misteri intimi
della Trinità, da sempre c’è questo progetto amorevole per l’uomo. Il Padre, il Figlio e lo Spirito
Santo contemporaneamente decidono la creazione dell’uomo e la storia della salvezza nei confronti
di una creatura amata e capace di riamare ma capace anche di rifiutare l’amore. L’elezione di una
comunità appartiene a tutta la Trinità, la scelta che tutta la Trinità fa non va considerata mai in
maniera irresponsabile; cioè parliamo sempre di una relazione responsabile e profonda che
comporta anche un duro abbandono di sè all’altro. Nella Trinità la parola Amore è un impegno
constante e continuo del Padre di amare il Figlio, del Figlio di amare il Padre e l’amore dei due che
scorre verso l’altro e determina il cerchio trinitario. Quando Dio crea l’uomo come creatura
dell’Amore ha già creato il mondo nel quale collocare il mondo e prima ancora ha creato le creature
angeliche e già all’interno di questa creazione Dio ha dovuto subire il rischio di una disobbedienza
di mettersi al posto di Dio e l’intervento di Dio in questo caso ha provocato una scelta, come gli
angeli buoni hanno scelto Dio e gli angeli malvagi hanno scelto per Satana. Con la scelta di Dio di
tenere accanto a sè gli angeli che lo hanno scelto e di allontanare da sè gli angeli malvagi già ci è
stata una scelta di salvezza e di dannazione; eppure vediamo come Dio davanti a queste forme di
rifiuto e di ribellione non si ferma nella sua opera creatrice, continua ad andare avanti perché fin
dall’eternità la Trinità si è posta come sostanza dell’ Amore nonostante il rischio del rifiuto.
L’amore di Dio è così grande che non rifiuta mai il ritorno del figliol prodigo, il malvagio
non viene condannato per sempre da Dio, la creatura umana può sempre ritornare all’Amore del
Padre. Dio aspetta fino alla fine della vita dell’uomo perché l’uomo ritorni a Lui.
Il rapporto che si crea tra Dio e la sua creatura è lo stesso rapporto che all’interno della
Trinità esiste fra le tre persone in modo particolare fra la prima persona della Trinità e la seconda
persona, l’amore che vibra tra le due persone è l’amore paterno e filiale.
La prima persona della Trinità è Padre perché è ingenerato, dal Padre esce da sempre per
generazione il Figlio, per cui il Figlio obbedisce alla volontà del Padre. Lo Spirito che è Amore è lo
stesso amore di paternità e filiazione, è lo stesso tipo di Amore che c’è tra le prime due persone.
Quando l’uomo fa esperienza della salvezza immediatamente si assimila alla figura del
Figlio perché il Figlio viene come prima persona eletta e prescelta per la salvezza da parte di Dio. Il
credente viene assimilato al Figlio, ama il suo Dio come un figlio ama il padre, c’è un rapporto di
somiglianza tra l’amore all’interno della trinità e l’amore umano nei confronti di Dio. La
consapevolezza di essere figlio di Dio non si ferma all’istante nel quale io mi accorgo di essere

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prediletto dal Padre, ma mi fa comprendere che la mia caratteristica ad essere figlio di Dio è
chiamata ad una tensione di perfezionamento continuo. Il mio rapporto di figlio nei confronti del
Padre non può essere fissato in una maniera unica e determinata nello spazio e nel tempo ma si
sviluppa giorno per giorno a seconda delle concrete condizioni in cui il figlio viene a vivere, cioè si
adatta e risponde al contesto storico nel quale il figlio salvato ed eletto da Dio vive, il suo Sit Im
Leben, il luogo vitale in cui il credente vive concretamente. Non esiste una doppia predestinazione,
Dio predestina tutti alla felicità eterna se qualcuno si perde è per sua responsabilità.
L’uomo è l’unico responsabile della salvezza e della condanna non esiste alcuna doppia
predestinazione, Dio prende sul serio il comportamento umano.
Anche se Dio richiama sempre il peccatore alla conversione tale richiamo è un richiamo
sofferente.
Un altro aspetto che dobbiamo considerare all’interno del rapporto tra uomo e Dio è
l’elezione come chiamata alla diaconia. E’ interessante notare l’uso che si fa del termine diaconia
per indicare il servizio dell’uomo nei confronti del creato, il termine è utilizzato in una terminologia
esclusivamente antropologica non liturgica.
Compito che deriva dall’elezione e dalla predestinazione è quello di servire e salvare anche
il creato.
Le conseguenze del peccato di disobbedienza di Adamo ed Eva non hanno solo conseguenze
umane ma anche conseguenze universali. Il caos determinato dal peccato originale ha determinato
anche un caos nel rapporto tra creato e creature. Il fatto che l’uomo venga chiamato ad essere figlio
di Dio, eletto, prescelto come figlio di Dio, significa che la consapevolezza della chiamata spinge a
comprenderla come valida anche per il creato. Non posso sentirmi salvato da solo, all’interno della
Chiesa se non sono responsabile anche attraverso il mio ambito vitale.
Dio determina dei carismi particolari perché determinate categorie di uomini e donne
possano essere deputate alla salvaguardia del creato. Il creato è anch’esso un ente eletto e prescelto
da Dio.
Dio prima di creare l’uomo su questa terra , ha creato un cosmo vivibile da parte di creature
e da parte di piante ecc. tutto questo è in funzione della predestinazione dell’uomo. Senza la
predestinazione del cosmo non ci poteva essere predestinazione per l’uomo.
Dio essendo trinità perfetta ha creato il mondo in maniera trinitaria cioè in una maniera nella
quale si manifestano i rapporti trinitari di amore ingenerato, di amore generato, amore spirato da
entrambi. Il mondo è immagine della Trinità come l’uomo è immagine della Trinità. Quando vedo il
mondo davanti a me devo immaginare che lì tutta la Trinità sta determinando il bene delle creature
o il male a causa della irresponsabilità dell’uomo.

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E’ esigenza dell’uomo esprimere al di fuori di stesso la consapevolezza di essere amato da
Dio, amare il mondo è necessità dello statuto particolare dell’essere uomo.
L’elezione di Dio è strettamente legata a Gesù Cristo, perché in Gesù vediamo chiaramente
l’atto divino in cui consiste l’elezione, Gesù è l’eletto per sempre dal Padre, colui che è venuto sulla
terra a mostrare la natura del Padre e a renderci figli del Padre. In Gesù Cristo possiamo trovare il
contenuto particolare della elezione e della predestinazione dell’uomo. Dio elegge Gesù perché
compia tutta l’opera della salvezza attraverso il suo mistero cioè attraverso il mistero
dell’incarnazione, Pasqua, Ascensione, Pentecoste e Parusia.
Dio non solo sceglie i puri ma può eleggere anche i peccatori, se Dio vuole l’elezione è
aperta anche ai peccatori. Esempio di questo tipo di elezione è quella dell’apostolo Paolo, da
persecutore ad apostolo.
Gesù viene prescelto e viene eletto fondamentalmente perché è stato capace di obbedire al
Padre, questa obbedienza del Figlio è totalmente libera in tal modo la totale obbedienza dell’uomo
prescelto da Dio è libera. La stessa libertà concessa al Figlio di Dio è concessa al Figlio dell’uomo,
il quale diventa figlio adottivo del Padre.
La volontà salvifica di Dio è aperta a tutte le genti del mondo, senza limiti di alcun genere.
All’interno dello sviluppo della storia dal momento dell’incarnazione del Figlio di Dio, i cristiani
portano il messaggio di salvezza perché tutti siano creature, figli chiamati a manifestare l’amore di
Dio a tutti i popoli. Il Figlio di Dio attraverso il mistero pasquale crea un popolo di rendenti, la
Chiesa conosce due momenti della sua esistenza. Il primo è costituito dalla predicazione di Gesù ai
dodici apostoli che rappresentano il germe della Chiesa. Questo germe della Chiesa è reso amorfo
dalla morte di Gesù ed è solo a Pentecoste che questo germe riceve la vita, diventa capace di
annunciare il mistero di Dio al mondo con l’aiuto dello Spirito Santo. La Chiesa così diviene
testimone vivente del mistero di Cristo e la testimonianza è costitutivo della Chiesa stessa.
La Chiesa è rivolta ad annunciare il regno di Dio, e attraverso l’annuncio si genera il
kerigma generando la fede. Coloro che hanno ricevuto la fede e il battesimo allargano le fila della
Chiesa che adesso è il popolo dei salvati, coloro che Dio scegli per essere fatti salvi. Attraverso la
missione della Chiesa ogni uomo può conoscere la salvezza donata da Dio.
L’uomo non può esigere la salvezza perché la salvezza è un atto libero che proviene dalla
volontà di Dio. Accettare l’offerta di salvezza che viene da Dio significa ricevere anche una
particolare caratteristica del suo agire, il comportamento dell’uomo viene profondamente
trasformato. Lo Spirito Santo plasma ciascun eletto secondo il modello di Cristo, ogni eletto
attraverso il battesimo viene ri-creato, ha una creazione ulteriore che lo rende figlio di Dio e lo aiuta
a realizzare il raggiungimento della salvezza eterna.

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Nessuno di noi può essere certo della salvezza o della dannazione ma si è certi dell’ Amore
di Dio che alla fine trionferà e il trionfo dell’amore di Dio significherà salvezza per tutti tranne per
quelli che nella piena libertà hanno rifiutato l’amore di Dio.

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Lezione 13 Marzo 2018

8. LA CREAZIONE: ANTICO TESTAMENTO

Dopo aver approfondito il discorso sulla predestinazione legata al discorso di alleanza e


salvezza dell’uomo, quindi la giustificazione per l’eternità, passiamo al primo argomento che
interessa direttamente il corso di antropologia: premesso che tutto il campo del nostro pensare è
sempre dominato da un concetto chiave e cioè che Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi
(1 Timoteo 2,4). Guardiamo adesso la parte biblica della creazione, in modo particolare l’antico
testamento. Incominciamo ad aprire il nostro sguardo sul concetto di creazione: la creazione del
mondo e dell’uomo dal punto di vista dogmatico è il punto di partenza trinitario da dove è possibile
comprendere il concetto di predestinazione e quindi di salvezza nel cosmo, infatti, quello che Dio
crea è destinato alla salvezza, sia l’uomo che il creato. La creazione ha un carattere particolare e
cioè essa non è Dio, non è una divinità in sé e per sé come credevano tante religioni orientali, ma da
parte nostra diciamo che essa è totalmente diversa da Dio, è un mezzo efficace di cui si serve Dio
per manifestarsi. La manifestazione che Dio ci offre nel creato ha un’impronta strettamente
trinitaria dal punto di vista dogmatico, ma non dal punto di vista strettamente esegetico. Il creato
mostra come Cristo e lo Spirito ci aiutano a vedere nella creazione una prima immagine di Dio
Padre. infatti, già quando Lui crea predestina ad un fine di completamento, di compiutezza e di
perfezione. Dio sceglie di manifestarsi mai ugualmente a tutte le religioni del mondo, ma sceglie il
come manifestare il suo essere, il creare e il salvare. Il Padre ci fa vedere come il mondo e l’uomo
siano stati strutturati per ricevere qualcosa. Chi riceve questo dono dal Padre è innanzitutto il Figlio
per opera dello Spirito che sempre opera perché sia la creatura che il mondo possono essere capaci
di conformarsi al Figlio. Dio crea un mondo trinitario, mondo e uomo sono manifestazione del Dio
Uno e Trino. La creazione allora è un primo momento in cui la Trinità esce da se stessa e pone
determinati esseri, e se questo è vero la creazione non è solo un presupposto, cioè qualcosa distinto
dall’uomo, ma è un composto simultaneo di creatura umana e di creature non umane, la creazione
gode di una contemporaneità come mostrano i racconti di genesi. Tutto il creato viene fornito di
Spirito e viene destinato alla salvezza. Dio crea secondo una linea vettoriale che parte dalla
creazione e tende al compimento finale, infatti parliamo di una creazione continua. Dal Nuovo
Testamento leggiamo quello Antico in continuità fra loro e si comprende come sia presente
nell’Antico una caratteristica di Dio: Egli possiede una volontà libera per manifestare il suo piano
salvifico; non esclude altri popoli e altre culture, ma con Israele stringe un patto particolare. I due
testamenti, infatti, si unificano in questo pensiero unico: Dio crea e continua a far creare finché
raggiunga la perfezione finale. Israele comprende di essere stato creato come popolo particolare
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chiamato ad essere un collaboratore prescelto da Dio. L’alleanza globale con Dio che si manifesta
ad Israele deve insieme con esso estendersi a tutto il mondo creato. Ma quali caratteristiche ha il
Dio creatore? La fede d’Israele parte da un fenomeno non creativo, ma dal fenomeno dell’esodo,
fenomeno che inizia con Mosè, che diventa il centro del credo; Israele fa esperienza di essere
alleato con Dio perché Egli l’ha liberato dalla schiavitù. Se Dio ha salvato Israele allora quello
stesso Dio l’ha anche creato necessariamente e ha stabilito con i padri un’alleanza particolare
d’amore nei secoli. Durante l’esodo Israele capisce che la creazione e l’alleanza sono entrambe
azioni di Dio simultanee. Von Rad e Westerman rappresentano solo i due punti estremi
dell’interpretazione esegetica a riguardo: Von Rad da un lato sostiene che la fede nella creazione è
un prodotto successivo all’alleanza d’Israele e quindi non c’è simultaneità tra creazione e alleanza,
infatti, tutti i popoli saranno obbedienti a Dio grazie alla testimonianza di Israele. Dall’altro invece
Westerman approfondisce ed estende il concetto di simultaneità tra alleanza e creazione a tutto
quanto l’Antico testamento che esprime in ogni momento un Israele che ha pensato alleanza e
creazione contemporanee e non si possono scegliere passi particolari come i vari credo per dire che
Israele soltanto in un certo istante è riuscito a comprendere che Dio l’ha salvato e lo ha anche
creato. Israele dirà che il suo creatore ha dovuto creare anche tutti gli altri popoli esistenti accanto a
quello di Israele, infatti se Dio è uno allora anche tutti gli altri popoli che non credono nello stesso
dio sono stati creati da uno solo. Dunque le due idee di creazione e alleanza sono distinte, ma sono
entrambi fondamentali per il credo d’Israele. Il punto unificatore sta nel pensare che Dio è l’unico
che crea e che salva simultaneamente. L’antico testamento attesta una presenza attiva di Dio, infatti,
usa un verbo che si può adattare solo al soggetto Dio, il verbo barà, un’azione sola di Dio: mettere
in essere, creare dal nulla. Nei testi dei salmi poi abbiamo dei testi oranti attraverso i quali Israele
manifesta il suo rapporto con Dio e la consapevolezza di essere creati e salvati da Adonai. Babilonia
poi farà bene ad Israele, poiché si confronterà con una teologia diversa dalla sua e cioè con il credo
materialistico. L’unico Dio vivente è Adonai e solo Lui va adorato. Quando durante l’esilio gli idoli
di bronzo non basteranno alla sofferenza di Israele allora il popolo si ricorderà dell’alleanza
dell’unico Dio. Questo popolo che parla di un dio che si intrattiene faccia a faccia con Mosè e così
poi attraverso i profeti sentono la viva voce di questo dio che parla.
I primi due capitoli della Genesi in particolare spiegano come Dio è intervenuto a dare
ordine e vita a qualche cosa, e sarebbe molto facile pensare che Dio ha dominato con il suo cosmos
il caos che era. Quando parliamo della creazione di Dio, non bisogna pensare al caos come qualcosa
di pre-esistente a Dio. La persona che crea insieme a Dio è la Sapienza ed è presente anche nella
coscienza dell’uomo, in particolare nella funzione morale dell’uomo. Quindi la sapienza significa
ordine in due significati: ordine cosmico e ordine etico. Nell’universo esiste una legge che

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organizza tutta la grande macchina dell’universo, ognuna di queste creature segue una propria
legge, cosi nella coscienza morale dell’uomo si riconosce il bene e il male, il giusto e l’ingiusto,
l’uomo è ispirato a comprendere che anche dentro di se esiste una legge da rispettare e uno stimolo
ad agire bene. Quando il giusto è colpito, come Giobbe, risulta difficile coniugare la creazione e
l’alleanza che Dio ha compiuto. La parola mondo richiama il fatto che il mondo non si è prodotto da
solo, ma dipende da Dio e dalla sua azione e tutte le creature hanno dentro di sé una legge, (de
cause secondae come la chiama Tommaso dopo la causa prima che è Dio Padre creatore). Tutto ciò
che è creato è chiamato a mantenersi in vita per sempre. Vedere il mondo allora come collaboratore
di Dio, Dio che distribuisce ad ogni creatura una funzione propria, vengono chiamate per nome da
Dio stesso del primo racconto e non dall’uomo come nel secondo racconto e ciò indica che Dio è il
proprietario di ciò che crea e vuole condividere la sua creazione con l’uomo. Dio crea in principio,
quando inizia la storia, allora la storia è carica di possibilità e tutte le cose che verranno saranno
macchiate da questa carica di possibilità. L’idea di caos è il contrario di tutto ciò che accadrà
all’esistenza, Dio non trasferisce tutta la sua esistenza nel mondo tale da creare un altro dio, ma crea
partendo da un qualcosa della sua vita, amandolo e dandogli vita entro certi limiti. Il cosmo si
sottrae ad ogni considerazione filosofica, quindi non è una creatura a se stante, esiste solo il dorso
di ogni creatura, il contrario e il doppio di ogni creatura, ecco perché leggiamo le diverse coppie
nelle Genesi (luce-tenebra ecc.ecc.); dal nulla non proviene il nulla, diversamente invece che il
nulla possa essere un qualche cosa lo dice la nostra fede, infatti, sostentiamo che solo Dio ha il
potere sul cielo sulla terra e sul loro contrario e tutto ciò è sottomesso all’unico principio creatore,
anche le tenebre. La differenza non è cosmo/caos, ma di cosmo e anticosmo, entrambi soggetti
sottoposti all’unico ordinatore di ogni ente. Solo quando la terra è separata dal mare allora
quest’ultima diventa casa per tutti gli esseri viventi. Dio alla fine della creazione benedice, cioè
produce da se stesso altri elementi, trasmette la vita, secondo la progressione della generazione,
l’unico pianeta terra creato può essere casa degli esseri viventi, tutti quanti i doni di Dio che ha
provveduto al tutto, al necessario per il prolungamento della vita, di questi, gli esseri umani avranno
una responsabilità specifica.

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Lezione del 16 Marzo 2018

9. L’UOMO: CREATO A IMMAGINE E SOMIGLIANZA DI DIO

La volta scorsa abbiamo letto il primo racconto della creazione e abbiamo visto come
l’autore sacerdotale divide la creazione secondo i giorni e si apre attraverso l’alternanza delle
stagioni (secondo le fasi della luna). Il pianeta Terra è l’unico luogo dove esiste una vita
intelligente. Dal punto di vista della fede, l’intelligenza dell’uomo è un dono di Dio che gli ha fatto
al momento della creazione, insieme a quello della creazione. La creazione può essere interpretata
da un punto di vista trinitario: il Padre progetta, il Figlio realizza e lo Spirito Santo vivifica.
La prima grande differenza che emerge nel creato: è tra creature che non sono ragionevoli e
l’uomo che è creato come creatura intelligente e capace di sentimenti.
Antico Testamento:
Dio all’interno della Trinità vive delle relazioni personali e nel momento in cui decide di
creare l’uomo a sua immagine e somiglianza, implicitamente vuole creare una creatura intelligente,
cioè una persona con cui dialogare attraverso il suo Verbo (la sua Parola). Alle altre creature, Dio
può solo imporre delle leggi, all’uomo invece impone solo il divieto di non mangiare dell’albero del
bene e del male posto al centro del giardino dell’Eden. Quest’unica legge data all’uomo è
veramente limitata.
Sappiamo che si tratta di racconti inventati, storie prese dalle altre religioni circostanti
(soprattutto durante il periodo dell’esilio babilonese), ma a noi non interessa la letterarietà del testo,
quanto piuttosto quello che è il messaggio che si vuole trasmettere: l’uomo è il signore del creato e
all’uomo viene imposta una norma regolativa della sua vita. La genesi esprime attraverso il mito il
modo con cui è avvenuta la limitazione del dominio assoluto dell’uomo.
Cosmologia ed antropologia sono collegate e si richiamano a vicenda. Dio crea tutte le cose
per salvarle, cioè per dare loro la possibilità di avere uno stato di vita sovrannaturale, il più vicino
possibile al suo proprio stato di vita che è quello eterno.
Non possiamo distinguere la creazione degli esseri viventi dalla creazione dell’uomo:
l’uomo viene creato insieme a tutta la creazione. Ciò significa che tutto il creato è chiamato alla
salvezza insieme all’uomo. Il mondo (flora e fauna) non esisterebbe senza l’uomo, allo stesso modo
questi non potrebbe sopravvivere se non ci fossero creature deputate al suo sostentamento. Quindi
uomo e creazione devono essere visti in concomitanza e simultaneità di vita, di azione e di futuro.
Lo scopo della creazione è in fin dei conti soteriologico (di salvezza).
Adesso vediamo come l’uomo viene creato ad immagine e somiglianza di Dio.

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Nella creazione l’uomo rappresenta la controfigura stessa di Dio (immagine e somiglianza
significa che l’uomo è una controparte di Dio all’interno della creazione). Ireneo di Lione dice che
l’uomo vivente è la gloria (la luce, lo splendore) di Dio. Con la sua semplice vita l’uomo dà lode a
Dio. La seconda parte di questa frase, generalmente non citata, è altrettanto importante perché dice
che la vita dell’uomo consiste nella visione di Dio (non ho bisogno di andare in Paradiso per vedere
il volto di Dio, ma già adesso sulla terra la vita dell’uomo non ancora toccato dal peccato originale è
una vera e propria contemplazione del Dio vivente).
Lo scopo della creazione dell’uomo è custodire la sua dimora; l’uomo ha il compito di
provvedere alla custodia del creato, luogo in cui lui e le altre creature vivono. Essere custode
significa essere responsabile della conservazione delle altre creature: Dio che ha creato tutte le cose,
le pone nelle mani dell’uomo che è invitato a conservarle con l’opera della sua intelligenza.
L’intelligenza dell’uomo fa scoprire le leggi, i movimenti, le cause e gli effetti, i segreti del
creato perché egli possa usarle per il bene dello stesso.
Gen 1, 26-28 chiarisce esplicitamente questa idea, chiamando l’uomo come un
rappresentante del creatore. L’immagine e la somiglianza di Dio, dunque consistono nella funzione
di abitare e far sviluppare la casa dell’uomo che è tutta quanta la creazione. Ci sono due espressioni
ebraiche che indicano l’immagine e la somiglianza: selem (l’immagine come rappresentante
cosmico, ossia l’uomo quale icona vivente di Dio) e berut (la copia o imitazione. Questo concetto
era conosciuto soprattutto alla religione egiziana che parlava di una rappresentanza di Dio, che però
era ristretta alla figura del re: solo lui rappresentava sulla terra la copia del dio sole. Nel caso della
genesi il concetto di copia della divinità è estesa a tutti gli uomini che nascono sulla terra. Inoltre
mentre nella religione egiziana l’immagine divina era legata anche al potere profano del faraone; in
Israele era invece semplicemente l’espressione della vita dell’uomo).
Dire che l’uomo è immagine e somiglianza di Dio non significa che l’uomo è Dio, perché tra
le creature e Dio c’è una distanza ontologica (nel panteismo Dio si confonde con le creature;
nell’idealismo hegeliano, Dio per completarsi deve necessariamente crearsi un mondo).
Dio è pienamente felice e realizzato nella Trinità; Egli vuole solo comunicare tutto questo
alle altre creature, in particolare all’uomo.
Da un punto di vista strettamente ontologico, le due espressioni immagine e somiglianza di
Dio, dicono poco sulle qualità (natura) dell’uomo, piuttosto ci aprono la mente a comprendere la
funzione dell’uomo all’interno del creato. Anche nella duplicità uomo-donna della coppia va vista
l’immagine e somiglianza di Dio (maschilità e femminilità insieme rappresentano l’immagine e la
somiglianza di Dio).
In gen 1,28 Dio dice all’uomo “soggiogate la terra”.

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In gen 2,15 invece, le espressioni bibliche sono meno impositive, leggiamo che “Dio pose
l’uomo nell’Eden perché lo coltivasse e lo custodisse”.
Dunque abbiamo due complessi di pensiero: nel primo racconto troviamo espressioni di
dominazione e soggiogamento della creazione, nel secondo racconto (quello più antico) abbiamo le
espressioni della coltivazione e della custodia del giardino.
Questo secondo significato specifica il senso del soggiogare e del dominare. Dio non può
creare l’uomo per distruggere la creazione, Dio non vuole un dominio che porti alla morte, ma una
custodia che faccia prosperare la vita e avvicini la creazione alla salvezza finale.
Custodire e coltivare significa riuscire a capire le leggi ed i meccanismi della natura per il
bene di tutto il cosmo. L’uomo è amministratore di Dio, ossia egli mette ordine nella creazione
secondo la volontà di Dio, le indicazioni che gli vengono dalla sua immagine fondamentale.
Quando l’uomo si troverà davanti al suo prototipo (Dio) dovrà rendere conto della propria attività di
custode dell’essere.
In gen 5,3 leggiamo che Adamo genera con Eva un figlio di nome Set a sua immagine e
somiglianza; significa che l’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, può trasferire
autonomamente questa somiglianza anche ai suoi discendenti.
Nel medioevo si discute sulla questione dell’anima, se sia trasmessa dai genitori (al pari
dell’immagine e somiglianza) o sia soffiata da Dio. L’anima si può staccare dall’uomo oppure vive
e muore con lui?
L’anima e il corpo sono due elementi complementari dell’essere uomo, come il sinolo di
materia e forma di cui parlava Aristotele, ma sono anche ontologicamente differenti perché il corpo
è il complesso delle attività biologiche e l’anima il complesso delle attività intellettuali.
Corpo, materia e spirito si uniscono al momento in cui si nasce per opera di Dio. La parte
materiale dell’uomo proviene dai genitori, la parte spirituale proviene da Dio.
Nel momento della morte, a causa del peccato d’origine, questi due elementi si separano: il
corpo diventa nuovamente polvere, mentre l’anima ritorna a Dio. Questa situazione di separazione è
però solo temporanea e irregolare perché corpo ed anima si desiderano a vicenda, l’anima infatti è
stata plasmatrice intelligente del corpo.
Alla fine dei tempi, quando il figlio dell’uomo ritornerà a giudicare tutte le cose, i corpi
ritorneranno alle loro anime. L’anima non può rimanere isolata dal suo corpo; la persona totale si
costituirà per il giudizio definitivo.
Il soffio vitale da parte di Dio avviene nell’istante del concepimento; l’embrione non è solo
materia umana, ma anche parte divina.

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Ci sono due espressioni medievali che esprimono il rapporto tra corpo ed anima:
 “entia quae”: significa che corpo ed anima sono essenzialmente divisi e completi, senza
nessuna possibilità di correlazione;
 “entia quibus”: significa che l’uno è fatto per l’altro e non possono esistere separati;, se
ammettiamo una separazione, dobbiamo per forza affermare la loro temporalità della
divisione perché essa avviene soltanto per un certo tempo, ma poi si deve ricomporre.

Gen 9,6 dice che è vietato uccidere una creatura perché è somigliante a Dio; ciò significa
che la colpa del peccato originale non ha distrutto la caratteristica dell’uomo di essere a immagine e
somiglianza di Dio (l’uomo rimane immagine e somiglianza di Dio con il suo corpo e la sua anima).
Con la traduzione dall’ebraico in greco della Settanta, fatta ad Alessandria d’Egitto,
incomincia a svilupparsi una riflessione sulle qualità intrinseche dell’uomo influenzata molto
fortemente dalla dottrina delle idee di natura platonica e neoplatonica. Come si trattava delle qualità
dell’anima nei trattati di Platone e di Fedro, così Sap 2 specificamente ci parla della somiglianza
con Dio.
Sap 2,23 dice che la somiglianza è indice di immortalità, per cui l’uomo non muore mai.
Significa che la morte coinvolge insieme il corpo e l’anima. Sap 2,23 afferma che Dio ha creato
l’uomo per l’incorruttibilità, perché lo ha fatto a immagine della propria natura: se Dio è
incorruttibile, anche l’uomo lo è.
Una nota negativa ci viene dal versetto successivo che molto realisticamente riconosce che
questa incorruttibilità può essere perduta, quindi deve essere ristabilita.
Sap 2,24 afferma che la morte è entrata nel mondo per l’invidia del diavolo.
Sap 3,1 riprende il tema, ma distingue tra buoni e malvagi, giusti ed ingiusti: “le anime dei
giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà”. L’immortalità, allora, viene limitata
soltanto alle persone che hanno vissuto con la sapienza di Dio e con rettitudine di vita. L’uomo può
perdere l’immortalità, ma si salva se ritorna sulla via della salvezza.
Una considerazione a parte va fatta sulla creazione del settimo giorno, il giorno del riposo.
Secondo gen 2,1-3, il settimo giorno è il culmine dell’attività creatrice di Dio, lo scopo, il
punto finale al quale Dio tendeva, cioè Egli creava in funzione di un suo riposo. La creazione
diventa il luogo in cui Dio vuole riposare ed il tempo in cui la creatura e il creatore si incontrano di
nuovo in maniera totale per festeggiare la gioia della creazione intera. E a Dio piace abitare con le
sue creature perché è soddisfatto di ciò che ha realizzato.

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Il documento sacerdotale (P), che rinveniamo nell’esodo, collega intenzionalmente i due
racconti della creazione: il momento in cui il popolo ebraico è stato creato ed il momento in cui il
popolo ebraico viene ricreato dopo la fuga dalla schiavitù d’Egitto (Es 19,1 – 40, 38).
Il ciclo narrativo del Sinai viene messo a paragone con il ciclo della creazione: come Dio
creando aveva anche dato delle norme dispositive all’uomo su come conservare e custodire il
creato, così durante il lungo periodo dell’esodo, Dio insegna agli ebrei le leggi per poter vivere
felici nella nuova terra promessa. Durante l’esodo, il sabato della creazione avviene quando
finalmente gli ebrei costruiscono in mezzo al deserto un santuario per Dio. Alla base del monte
Sinai c’è la tenda dell’incontro (presenza di Dio); la gloria di Dio copre la montagna per sei giorni,
al settimo giorno Dio chiama Mosè e lo incontra nel fuoco per donargli un altro essere creato da Dio
(si tratta della nuova creazione perché Dio concede a Mosè una nuova legge di vita: i dieci
comandamenti. Chi non osserva questa legge cade nell’infedeltà, nel tradimento sponsale).
Dio entra nella sua dimora (la tenda del convegno), ma rimane invisibile agli occhi del
popolo, solo Mosè può entrarvi e guardare Dio faccia a faccia, e ne viene talmente illuminato che
quando esce deve coprirsi il volto con un velo.
Questa dimora voluta da Dio, sarà il luogo dove Egli raccoglie il popolo e rivela qualcosa di
nuovo ad Israele tramite Mosè. La costruzione del santuario, quindi, continua la creazione che non
si è completata con il settimo giorno. La dimora diventa il luogo in cui Dio si fa comprendere come
liberatore di Israele e di tutta la creazione.
La creazione, dunque, non si conclude con il settimo giorno, ma è aperta al futuro dove ci
sarà la pienezza che ancora resta da sperimentare. Il completamento finale sarà “comunionale”, non
personale.
Le creature si incontreranno tra di loro e con Dio in un orizzonte di festa. Il sabato della
creazione anticipa il sabato eterno a cui tende la storia di Israele (il cui tempo non è ciclico, ma
vettoriale). Ci sarà un momento in cui il ritmo del progredire verrà meno e si stabilirà una
distinzione definitiva tra lavoro e festa. La comunione profonda con Dio porrà fine alla parola
lavoro e sottolineerà solo la parola festa/gioia.
Tutto questo lo possiamo dedurre mettendo in relazione il racconto dell’esodo con quello
della genesi.
Il racconto javista, che è il secondo racconto, quello più antico di gen 2,4b-3,24, viene
considerato dagli esegeti non come un racconto vero e proprio della creazione, quanto piuttosto un
racconto legato alla caduta dell’uomo nel peccato delle origini. Allora il racconto delle origini, è il
racconto dell’origine dell’Eden in cui l’uomo e sua moglie avrebbero peccato.

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Dio crea solo per amore, il mondo è buono, va amministrato dall’uomo secondo il volere di
Dio, raggiunge il fine della salvezza. Al pensiero degli agiografi è assolutamente estraneo il dare
qualunque senso scientifico ai due racconti della creazione (a differenza delle altre religioni vicine);
loro interesse è solo il discorso teologico che sottolinea la presenza di Dio come artefice della
creazione completa dell’uomo e della donna per una loro salvezza.
Dio ha creato l’uomo per la sua gloria e per trasmettergli la sua benevolenza; questo
contenuto essenziale lo ritroviamo anche nella letteratura successiva all’antico testamento, la così
detta letteratura extra canonica (qumran, il giudaismo ellenistico, il giudaismo rabbinico ecc.), dove
non ci sono intenzioni scientifiche e dualistiche (due divinità che si oppongono e lottano
cosmicamente tra loro: bene e male): qui c’è solo l’unicità di Dio che è bene, ed interviene ogni
volta che la sua legge viene trasgredita per riportare tutte le cose nella giusta relazione con lui.
Nuovo Testamento:.
Il tema fondamentale del Nuovo Testamento non sono né la cosmologia né l’antropologia, ma
l’elezione/predilezione di Gesù Cristo, il Figlio che dall’eterno è stato prescelto da Dio per
incarnarsi nel mondo. La creazione del mondo e dell’uomo è il primo momento dell’azione salvifica
di Dio che avverrà grazie alla mediazione del Cristo. Le testimonianze del NT riguardo la
creazione, sono tutte relative alla salvezza mediante Gesù Cristo. Il tema della creazione non è la
scienza sul creato, ma la salvezza dell’uomo nel creato (questo è lo scopo della scrittura del NT).
Non viene spiegato come Gesù interviene sulle malattie e sulle morti, agli agiografi non
interessa infatti il “come”, bensì il “cosa” ha fatto Gesù.
Le testimonianze cristologiche più evidenti sono quelle di Paolo e Giovanni, mentre nei
sinottici e in altri testi troviamo affermazioni meno esplicite (da questi scritti emerge il tema che
Dio è unico, padre di tutte le creature, ha stabilito un piano di salvezza, in particolare ama gli
uomini).
Ci sono diversi esempi che rivelano come l’attenzione di Gesù sia rivolta al creato opera di
suo padre (guardate i passeri, i gigli...; la tempesta sedata, la pesca miracolosa, ecc.).

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Lezione del 20 Marzo 2018

10. LA MEDIAZIONE DI GESÙ CRISTO NELLA CREAZIONE

Dando uno sguardo alle espressioni di Gesù che si rivolgono, in modo particolare, al creato
ci fanno notare come l'attenzione di Gesù non fosse rivolta soltanto ai malati nel corpo e nello
spirito ma anche alle bellezze naturali che poteva contemplare nella sua terra. “Guardate i passeri,
guardate i gigli, io faccio come fa una gallina con i suoi figli, il grano sotto terra deve morire, Gesù
che arrostisce il pesce sulla brace” e così via. Queste sono alcune delle espressioni che ci mostrano
come Gesù era fautore di una custodia del Creato e questa sua stessa sensibilità la trasmette a noi e
ci chiede di essere come Lui, ammiratori delle bellezze di Dio attraverso il creato. Ricordando
quello che ci dice Paolo all'inizio della Lettera ai Romani, attraverso la bellezza del creato, i pagani
avrebbero dovuto riconoscere la bellezza di Dio; invece non solo non l'hanno riconosciuta ma si
sono abbandonati ai peccati più spregevoli della carne. Continuando su questa linea gesuologica o
gesuana, cerchiamo di intravedere un'altra figura, quella del mediatore della creazione. Gesù non
solo apprezza la creazione ma la apprezza perché è stata fatta anche attraverso di Lui. In 1 Cor 8,6
compare una formula pre-paolina, protocristiana che contiene importanti elementi riguardanti la
creazione: " per noi c'è un solo Dio, il Padre dal quale tutto proviene e noi siamo per lui (per, scopo,
fine); un solo Signore, (Kyrios), Gesù Cristo in virtù del quale, (dia, per mezzo di) esistono tutte le
cose e noi esistiamo grazie a Lui”. Con l'uso delle proposizioni, haec/haes, collegate al Padre e al
duplice dia riferito al Figlio, si distinguono le due funzioni a proposito della creazione che non è,
solo esclusivamente del Padre ma anche del Figlio. Il Padre è l'origine e lo scopo della creazione
mentre Gesù Cristo è il mediatore della creazione ed è anche la sola redenzione, è il principio grazie
al quale noi possiamo mantenerci in essere, esistere in virtù del quale esistono tutte le cose, e noi
esistiamo grazie a Lui. Paolo fa una distinzione tra le cose che esistono e, noi. Tutte le cose sono le
creature, visibili e invisibili, di carne o di erba, quindi fauna e flora, e poi dice parlando degli
uomini: noi esistiamo grazie a Dio distinguendo le due parti della creazione: l'uomo come essere
intelligente e le creature. L’unico mediatore, questa espressione la troviamo anche in Atti 4,12,
esiste prima della creazione, è pre-esistente. Da questo punto di vista il tema si ritroverà nella
speculazione sapienziale del primo giudaismo cioè il tema della mediazione del Kyrios nella
creazione avvenuta da parte del Padre, il primo giudaismo nel II sec. d.C. con una letteratura
sapienziale che c’è riportata nella Bibbia nei libri del Siracide e della Sapienza, sviluppa proprio
questo tema la sapienza che sta accanto a Dio e collabora con Lui nella creazione del mondo.
Questa medesima idea della mediazione del Kyrios o della sapienza della Sophia, la ritroviamo

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anche nei commenti del filosofo e conoscitore della Bibbia, Filone di Alessandria, vissuto tra il 20
a.C. e il 45 d.C., era un greco di formazione ellenistica ma molto interessato all’ebraismo e che ha
dato per primo, all’interno del giudaismo, dei commenti su tutto l’antico testamento, in modo
particolare sul Pentateuco. Attraverso le sue opere e i suoi commenti ritorna di nuovo questa idea
della Sophia o del Logos che accompagna Dio nell’opera della creazione. Proprio perché il Signore,
il Kyrios, esisteva prima della creazione, allora il creato proviene dalla Sua volontà, non si è posto
da solo in essere, ma proviene da un progetto globale sul mondo, un progetto che riguardava la
creazione di un’entità altra da sé. Dio vuole uscire dalla solitudine del suo perimetro ontologico,
vuole mettere in atto non una sua copia, perché la copia di Dio già c’era ed era il Figlio, irradiazione
della Sua gloria e impronta della Sua sostanza. Come dice la lettera agli Ebrei, l’immagine di Dio
già esisteva si voleva creare da parte di Dio, da parte della Trinità, qualcosa di completamente altro
da sé non invisibile ma visibile, non materiale ma spirituale insieme, non spirituale al massimo ma
materiale anche. Mediatore della creazione e della redenzione è Gesù Cristo che opera non in
maniera autonoma, proprio perché è mediatore, e non è l’ideatore o il creatore è soltanto
frammento, frammento da realtà spirituale. Tutto quello che fa, lo fa perché il Padre, l’attore
dell’atto della creazione, gli dà indicazioni su come operare. Da un certo punto di vista il Figlio è
subordinato al Padre. Da un altro punto di vista però il mediatore ha anche una sua autonomia
creatrice, non è soltanto un meccanico ripetitore dei comandi del Padre ma possiede anche una
propria volontà e una propria determinazione creatrice sul mondo. Risponde a Dio e tuttavia Cristo
possiede una propria creatività, tutto ciò è stato importantissimo per la formulazione della nostra
fede sulla creazione da parte anche di Gesù «per mezzo di Lui tutte le cose sono state create» Gv
1,10. La stessa cosa si ripete nell’inno cristologico di Col 1,20 «per mezzo di lui e in vista di lui
tutte le cose sono state create» e ancora all’inizio di Col 1,16 «in lui furono create tutte le cose nei
cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili». Paolo elenca alcuni esempi di queste creature
invisibili che sono state create prima delle creature visibili, parla di troni, dominazioni, principati,
potenze e conclude dicendo che tutte le cose sono state create. C'è stata, dunque, una pre-creazione
di esseri, che supponiamo, essere personali ed angelici, tra chi è rimasto fedele a Dio diventando
Suo strumento conoscitivo per gli uomini e chi, invece, si è schierato contro di Lui. Su queste
quattro realtà (troni, dominazioni, principati, potenze) abbonderà la riflessione dello pseudo
Dionigi, l’areopagita, il quale cercherà di capire a quali entità corrispondono queste quattro
definizioni che da Paolo. Sono esseri invisibili, angelici che hanno anche delle corrispondenze
cosmologiche, cioè corrispondono ad alcuni astri del cielo. Il rabbinismo, soprattutto dopo Qumran
svilupperà ulteriormente con la kabbalah questa linea d’interpretazione biblica di questo versetto di
Paolo.

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Nell’inno di Col 1,15-20 si afferma che la creazione ha un significato cristologico globale,
perché all’inizio del v.16 si dice che furono create tutte le cose. La posizione di Cristo, dunque, è
tale che il mondo non è per niente estraneo e sconosciuto a Cristo, ma è avvenuto grazie
all’intervento di Gesù Cristo. Nulla è estraneo all’intervento del mediatore Gesù Cristo. La
posizione del Kyrios è centrale tra le due parti dell’inno. La prima parte dell’inno, vv. 15-17, è
relativa alla creazione di tutte le cose e alla precedenza, sopra tutte le cose, da parte del Figlio di
Dio. La seconda parte dell’inno (vv.18-20) è relativa alla redenzione e pacificazione universale
della creazione, il valore creativo della presenza del Kyrios è un valore universale. È evidente che
dietro questi versetti c’è l’indizio di un precedente atto creativo e probabilmente di un precedente
conflitto cosmico, perché al v.20 si parla di riconciliazione ἀποκαταλλάξαι, significa che prendo da
cose contrapposte elementi che riunisco insieme. C'è stato, quindi, uno scollamento nella prima
creazione e il Kyrios viene per portare questo scollamento alla riunificazione. Necessariamente è
dovuto avvenire un movimento, un momento di separazione di tutte le cose rispetto al primo
principio Creatore e probabilmente anche di conflitto tra di loro e nei confronti del Creatore.
L’unico mediatore è venuto a mediare non solo tra l’uomo e Dio, nel momento del peccato
originale, ma è venuto anche a riconciliare il conflitto che si era stabilito tra le creature create
precedentemente all’uomo e il Creatore stesso. Abbiamo una doppia figura di riconciliazione perché
duplice è il modo di esistere nella creazione di Dio, come c’è il modo della creazione invisibile dei
troni, principati, potenze, così c’è l’elemento della creazione dell’uomo e del mondo. Sia nel mondo
invisibile sia in quello visibile c’è stato un momento di conflittualità, di disobbedienza, di volontà di
rendersi autonomi dal principio e rimanere soli facendo la propria volontà. Il Kyrios viene nel
mondo a riportare la pace e l’unità attraverso queste creature disgregate, disunite e dissolte dalla
pacificazione primitiva, originaria. Con la riconciliazione operata da Gesù, il significato di tutta la
creazione è dato proprio da Lui. Il significato della creazione è che tutta la creazione è pacificata
insieme, è raccolta insieme grazie alla bontà della mediazione di Cristo. In ogni cosa che noi
possiamo vedere ordinata, armonica, equilibrata, c’è l’impronta di Gesù Cristo che ha riconciliato
cielo e terra, Creatore e creature. Il fatto che Egli sia chiamato primogenito di tutte le cose vuol dire
che Egli è il fondamento della nuova creazione e della coesione avvenuta dopo la dispersione. Gesù
Cristo è il capo del corpo della Chiesa, la riunione di tutti i suoi fedeli, è principio, pienezza di ogni
cosa, è riconciliatore universale, e queste caratteristiche si richiamano le une dalle altre. Come
immagine visibile del Dio invisibile, Cristo rende la trascendenza di Dio comprensibile alla ragione
umana, quindi la riconciliazione non ha soltanto un valore sentimentale o anche amichevole ma ha,
anche, il profondo significato teologico, ecclesiologico e cristologico. Dal punto di vista teologico
la riconciliazione di tutte le cose, operata da Cristo, rende comprensibile la trascendenza di Dio alla

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ragione umana, questa è la profonda verità teologica nascosta dietro l’opera di riconciliazione del
Cristo. Quello che prima era inconoscibile alla ragione umana adesso diventa razionale, ragionevole
guardando a Cristo, il Kyrios, Figlio di Dio fattosi uomo, fattosi riconciliatore, la ragione umana
può nuovamente avviarsi nel tentativo di capire il significato e il valore della creazione, che non
appare più come qualcosa di disordinato ma qualcosa di profondamente ragionevole. Il Cristo è la
razionalizzazione della creazione di Dio, è quel principio studiando il quale la nostra ragione può
giungere a capire qualcosa del mistero della creazione di Dio. Essere primogenito della creazione
(v.1,18) non significa che Egli è la prima creatura dell’opera creativa materiale e visibile di Dio, qui
Paolo intende dire che Gesù Cristo è generato da Dio in precedenza, il simbolo di Calcedonia nel
451 dirà precisamente che Egli è generato e non creato, proviene da Dio, luce da luce, Dio vero da
Dio vero e non attraverso un atto di creazione esplicita da parte di Dio. Egli vive da sempre
all’interno della Trinità, fin dall’eternità, senza tempo. Non ha conosciuto un momento in cui Dio
ha detto «Sii tu Logos, Sii tu mediatore» questo non è avvenuto mai, Dio non ha mai usato la Sua
parola per dire «Sii tu Cristo, sii tu mediatore». È evidente che l’esistenza del Cristo è senza tempo
ma si confonde con l’eternità della Trinità, però rispetto alla creazione ha un piano diverso dal resto
delle creature, è superiore rispetto al creato perché è il prototipo, è il modello ispiratore della
creazione. Dio vive con Lui non in un rapporto meccanico, di causa ed effetto, per cui il Padre lo
produce, ma è invece, nei confronti del Padre, come il Figlio eterno del Suo amore, Cristo è
ispiratore del Padre da Figlio amato dal Padre, è chi con il Suo amore spinge il Padre a prendere
qualcosa da Lui, un’idea, un progetto, un’azione, cui pensa il Logos da sempre, e il Logos amato da
Dio e che Dio ama, spinge il Padre stesso a realizzare un’idea, un progetto che è venuto alla mente
del Figlio e che il Padre lo assume, lo accetta e gli da il potere di realizzarlo. Così Padre e Figlio
sono strettamente coinvolti nella realizzazione della creazione.
L’espressione di 1Col 1,18 si deve completare con la fine del versetto stesso nel quale pone
il Figlio di Dio su un ordine diverso rispetto al creato, possiede una supremazia sin dall’origine in
relazione alla Trinità, dove vigono rapporti amicali, fraterni, amorevoli e non meccanici o
ragionevoli. Perché in Dio non ci sono rapporti meccanici di causa ed effetto ma rapporto paterno,
fraterno e filiale. Perché come esprime 1Gv 4,8, Dio è Amore! Chi non ama, non ha conosciuto Dio
perché Dio è amore per questo all’interno della Trinità, le tre persone devono amare non
semplicemente agire, scattare come un meccanismo ma devono dialogare. L’Amore è dialogo, è
compiacimento reciproco, è apertura reciproca, è solidarietà reciproca. Tutte queste categorie,
proprie di un Dio amore, vanno ricevute anche all’opera della creazione. La creazione, dunque, è
riempita dalla presenza del Figlio di Dio, è Lui che la sostiene nell’essere e le dona vita, cioè
permette di essere attuale, viva. Già nei vv.13-14 della prima lettera ai Colossesi è espressa

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l’amorevolezza di Dio. Il Figlio è amante, amorevole nei confronti del Padre per mezzo del quale
abbiamo la redenzione e il perdono dei peccati. È questo che Cristo, figlio di Dio è venuto a
compiere, la salvezza dai peccati. Teologia, cristologia, soteriologia sono profondamente co-
implicate nell’atto creativo di Dio. La presenza del Figlio di Dio fa in modo che ogni cosa sia creata
per muoversi, per agire, per operare e la redenzione dev’essere vista sulla stessa linea poiché tutto
ciò che è stato creato, è riconciliato mediante Cristo. Vi era stata una sorta di de-creazione, di
ribellione cosmica nei confronti di Dio. Per quanto concerne il peccato originale possiamo attingere
dal cap.3 della Genesi, su una precedente situazione di conflitto possiamo soltanto dedurre senza
avere delle testimonianze chiare ed evidenti se non forse nell’apocalisse. Non esiste, dunque, nella
creazione qualcosa di neutro o di estraneo a Gesù Cristo, perché Gesù è il senso, il significato e la
verità di tutte le cose. Fin dall’eternità Gesù Cristo possiede una finalità positiva, viene sulla terra
per portarci verso il bene e per reintegrarsi con la vita di Dio. Non c’è ombra di male, la
riconciliazione implica, infatti, l'eliminazione dell’errato, del caduto, del peccato e si apre soltanto
una prospettiva di salvezza, di redenzione perfetta, di ricostruzione dei rapporti positivi tra la
creazione e il creatore.
Un'altra caratteristica di Gesù all’interno della creazione: Gesù è il destino della creazione.
Un altro testo di Paolo che ci permette di comprendere il piano creatore di Dio, il suo destino, il suo
termine ultimo è l’inno di Efesini 1,3-14.20-23, questo è un inno alla gioia, non c’è più la condanna
del Padre al serpente o la punizione del Padre nei confronti degli uomini o la maledizione alla terra
che darà ad Adamo soltanto spine; ma c’è invece un’azione di amorevolezza, riconciliazione totale
e universale. Il v.4 esprime il fine dell’incarnazione del Figlio, dell’opera del Figlio nella creazione.
Si parla esclusivamente in modo speciale degli uomini e delle creature speciali, ci ha scelto, dice
Paolo parlando agli efesini, per l’eternità con lo scopo di diventare santi e puri secondo un
principio, un movimento di carità e di amore. Il v.10 fa riferimento alla riunificazione di tutte le
cose sotto un unico principio quello del Figlio, tutte le cose disperse sono riunificate sotto un unico
principio capo che è il Cristo. L'idea espressa non è tanto quella di un conflitto ma quanto di una
riunificazione di ciò che era disperso, diviso, frammentario, molteplice, estraneo l’uno all’altro,
ignorato l’uno dall’altro e forse, questa divisione, questa frammentarietà, è la conseguenza di un
probabile conflitto precedente cosmico. Tutta la creazione si fa una, una sola cosa e un solo corpo
grazie a Gesù Cristo. Se tutto vive in Lui, allora non c’è più opposizione, non c’è più scontro, non
c’è più eliminazione reciproca, non c’è più estraneità l’uno nei confronti dell’altro ma tutti si
conoscono, tutti si accettano, tutti si amano a vicenda, grazie alla ricapitolazione che tutto avviene
completamente sotto la figura di Gesù Cristo. L’unico Signore esercita anche una sorta di
responsabilità su tutte le cose create. A questo punto apriamo una breve parentesi e citiamo

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1Cor 3,11 «nessuno può porre un fondamento diverso [alla fede, alla chiesa] da quello che già vi si
trova, che è Gesù Cristo». In questa pericope c’è l’idea di una creazione, di un’umanità e di una
chiesa che poggiano sopra un fondamento sicuro, l’unico fondamento assolutamente affidabile è
Gesù Cristo, che ha riconciliato a se tutte le cose e ha ricapitolato in se tutte le cose. Lui è la pietra
fondamentale, non bisogna pensare che Gesù si contraddica quando dirà a Pietro “Tu sei la pietra e
su questa pietra fonderò la mia Chiesa” poiché l’unico fondamento inamovibile è Gesù stesso.
In Ef 1,21-23 c’è un’altra idea che completa quella della ricapitolazione di tutte le cose in
Cristo, non solo tutte le cose sono state riunificate in Cristo, ma sono anche state rese subordinate a
Cristo (v.22), tutto sta sotto i piedi del Cristo, non solo sotto il capo ma sotto i piedi cioè è una
soggezione universale, sottoposizione globale, totale, di tutte le cose. Ogni cosa è diretta da Lui,
tende a Lui e nella Chiesa questa funzione di Principio e di capo gli è perfettamente riconosciuta.
Anzi oggi è la Chiesa, l’unione di tutti quelli che credono in Lui e che si lasciano ricapitolare in Lui,
che diventa lo strumento attivo attraverso il quale il capo può esercitare la sua attività. Il capo che è
il mediatore della creazione a sua volta si sceglie una mediazione della Sua azione che è la Chiesa.
La preminenza del Creatore, la Sua superiorità su tutto il creato si esercita proprio attraverso la
Chiesa. Se la creazione è cristiforme, perché prende la forma del Suo capo, anche la Chiesa, di cui
si serve il mediatore, ha questa caratteristica: è cristiforme; manifesta al mondo la forma del Cristo.
L’Amato amato dal Padre, Amante. Chi vive nella Chiesa avverte immediatamente (qui ci
ricolleghiamo alla teologia della creazione) la comunione con il cosmo, chi vive nella Chiesa,
poiché la Chiesa è la mediazione del Creatore, sente immediatamente che il cosmo non è estraneo
da essa ma anche la creazione è stata liberata, è stata salvata, riunificata, riconciliata sotto l’unico
capo che è Gesù Cristo. Allora il credente in Gesù Cristo ama immediatamente e si riconcilia
completamente con la creazione, con la creazione non intelligente ma ugualmente vivente, la vita
della flora, la vita della fauna in generale, globale. È in questo modo e sotto questa specificità che
ritorna il discorso del dominare la creazione, come si legge nei primi versetti della creazione quando
Dio dice “soggiogatela, dominatela, custoditela, governatela”, tutto questo adesso è reso possibile
dalla riunificazione del creato a Cristo, alla riconciliazione in Cristo delle creature e dell’uomo
insieme. Il conflitto non esiste più! La creazione è profondamente legata a quella creatura che ne ha
un primato perché dotata di libertà e intelligenza, ragione. Tutta insieme la Creazione, sia l’uomo
sia le altre creature, avvertono il comune destino verso il raggiungimento di una pienezza
cristologica. Teilhard de Chardin, il punto Omega, il Cristo realizzato in tutte le cose, pienamente
manifestato in tutto quanto esiste, visibile e invisibile. Se c’è salvezza, se c’è eliminazione del male,
eliminazione di contrapposizione a Dio in tutta la creazione, questo si deve al mediatore Gesù
Cristo. Atti 4,12: «in nessun altro c’è salvezza, non vi è, infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli

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uomini nei quali è stabilito che noi siamo salvati», principio soteriologico e cristologico totale,
assoluto, globale, universale. Potremo dire che quell’espressione tipicamente medievale extra
ecclesiam nulla salus va piuttosto interpretata nel senso di extra christum nulla salus, non ha
salvezza chi è fuori dalla Chiesa ma non ha salvezza neppure chi vuole essere fuori Cristo poiché
essere della Chiesa, vuol dire essere di Cristo, la Chiesa è legata a Cristo poiché sua mediatrice.
Allora Cristo appare come mediatore e salvatore di tutte le cose. Queste due funzioni sono rivelate
cristologicamente in maniera compiuta, perfetta nel prologo del vangelo di Giovanni. La creazione
secondo la volontà di Dio e del Figlio, Gesù Cristo.
Per Giovanni l’evento Cristo da una nuova creazione a quanto esiste. Il Logos di Dio ricrea,
ma è il Logos incarnato, che media tra il mondo e l’uomo e salva la Creazione. In Principio era il
Verbo quest’espressione usata da Giovanni rimanda a Gn 1,1 ‫בראשית‬, alla parola creatrice di Dio. Si
distingue dal suo parallelo anticotestamentario perché non ha un significato cronologico dell’inizio
della creazione ma teologico. Qui non è soltanto una parola di Dio che crea la luce o altre creature
ma è la parola personale, è il Verbo di Dio, ma è la parola sussistente di Dio che si è fatta storia. Il
Verbo, la Parola sussistente, pre-esistente al mondo fin dall’eternità, ha una preminenza su qualsiasi
creazione successiva a Lui. Tutta la creazione esce dalle Sue mani, in eterno era pensata la realtà
della creazione ora con l’incarnazione del Logos è iniziata la nuova creazione di tutte le cose a
partire non dalla parola creatrice di Dio ma dalla parola salvatrice del Padre, la parola salvatrice del
Padre è il Verbo, il Logos. Gv pone l’accento sul fatto che il Logos partecipa alla creazione, però
non ci dice come della partecipazione, si afferma soltanto che Dio ha chiamato tutto all’esistenza
mediante il Logos. Attraverso l’incarnazione del logos, il Creatore è anche il Salvatore del creato, il
salvatore del mondo. Colui dal quale proviene non soltanto la legge che condanna ma anche e
soprattutto la creazione e la salvezza, la grazia e la verità. Il Logos supera la legge, anche quella
data da Dio attraverso Mosè, e dà inizio a una nuova era, l’era della grazia e l’era della verità.
Grazia e Verità sono date dalla Persona divina di Gesù, a motivazione di amore e di volontà
benefica di Dio, alle creature che accettano di essere amate dal Logos. Anche qui ritroviamo due
affermazioni a noi note, il carattere della Creazione che viene da Dio e il carattere del possibile
conflitto. Venne fra i Suoi e i Suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato il
potere di diventare Figli di Dio (Gv 1,11-12), per cui può esserci anche il rischio del rifiuto, della
non accettazione. Il Logos s’incarna ugualmente perché quest’offerta di salvezza ci sia, esiste
nonostante il rifiuto.
1Gv 1,2: «quello che era da Principio, quello che noi abbiamo udito […] tutto ciò che le
nostre mani toccarono del Verbo della vita, la vita, infatti, si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di
ciò diamo testimonianza e gli annunciamo la vita eterna che era presso il Padre e che si manifestò

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a noi» quindi si presenta tutta una rivelazione teologica della vita collegata al Logos. È stato visto e
sperimentato da Giovanni eppure questa vita totale ed eterna poteva essere rifiutata. La luce splende
nelle tenebre. Gv 1,10: il mondo è stato fatto per mezzo di Lui eppure il mondo non l’ha
riconosciuto, c’è ancora la possibilità di un conflitto. Un versetto fondamentale per l’antropologia
teologia 2Pt 1,4, si lega molto bene al versetto di Gv 1,12, esprime che non solo ha dato potere di
essere Figlio di Dio ma addirittura di diventare partecipi della natura divina. Consortes divinae
naturae: diveniamo come dei. Quello che Adamo ed Eva volevano fare, dietro la suggestione del
demonio, lo compì Dio facendo incarnare Suo Figlio nel grembo di una Vergine, facendolo morire
sulla croce, facendolo risorgere perché noi potessimo diventare Figlio di Dio e partecipi della natura
divina, quasi dei. Immagine e somiglianza di Dio, Suoi Figli e Sue manifestazioni visibili.

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Lezione del 13 Aprile 2018

11. IL TEMA DELLA CREAZIONE NELLA TEOLOGIA CRISTIANA

Dopo la sezione biblica, passiamo alla prospettiva dello sviluppo storico teologico.
Il pensiero cristiano sulla creazione nasce subito nella teologia, perché ogni altra credenza aveva i
suoi miti cosmogonici. I primi pensatori cristiani si trovano davanti ad un grande problema:
determinare se la divinità fosse una soltanto (come per Israele) o molte (come per i pagani). In
particolar modo c’era la difficoltà data dallo “zoroastrismo” il quale parlava non di un solo Dio o
molti dei, ma di due divinità per poter spiegare il mistero del bene e del male, del successo o
dell’insuccesso, della beatitudine eterna dopo la morte o della condanna eterna. Dinanzi a questo
dualismo si trovavano in difficoltà i pensatori cristiani, i quali di fronte al problema del male
sembrava esistere una divinità malevola verso l’uomo che manda castighi e che rimprovera o che fa
perdere in guerra il popolo di Israele. I pensatori cristiani devono necessariamente difendere la
posizione che viene indicata da Gesù che Dio è unico, e che questa duplicità di effetti provengono
da una sola volontà, un solo Essere che internamente è Trino. Affermando ciò, il monoteismo
cristiano si discosta da quello ebraico perché questo Dio non è unico ma triplice, e queste tre
persone costituiscono un’unità.
I primi a trattare questo argomento furono i Padri Apostolici: Clemente Romano, Ignazio di
Antiochia, Policarpo di Smirne (discepolo di Giovanni). Per loro il tema della creazione viene
affermato come dato sicuro dalla Sacra Scrittura. Quindi loro risponderanno ai vari dubbi come dato
di fede poggiato sulle scritture. La Scrittura comincia con la creazione di una cosmogonia, e quindi
questo bastava come dato di fatto: Dio con la sua sola forza aveva creato il mondo e l’uomo.
Il discorso si approfondisce con i Padri Apologisti: Giustino, Tertulliano.
Data la loro elevazione culturale, non si preoccupano di difendere le loro tesi con il solo dato
scritturistico, ma cominciano a confrontarsi con le tesi filosofiche già esistenti come quella
platonica e quella neo-platonica che parlava anch’essa di una creazione ma che avveniva all’interno
dell’essere supremo che non aveva nulla di sacro e di santo, era semplicemente un essere
semplicemente esistente da cui le altre cose promanano per successione una dopo l’altra. Dall’uno
si distacca la diade (la doppia divinità) dall’accoppiamento delle due altre due, dall’accoppiamento
di queste due altre due e così via. Quindi si procedeva per discesa ed accoppiamento tra idee. Ad un
certo punto, una di queste emanazioni intende riprodursi senza l’accoppiamento con un'altra
emanazione e produce un’emanazione che chiama “sofia” (sapienza). Tale emanazione prodotta
illecitamente, è considerata peccaminosa e tenta di essere esclusa dal cielo delle essenze e delle

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esistenze e l’Uno decide di inviarla per punizione sulla terra. Da qui la creazione del pianeta terra e
degli uomini, come una punizione per illegittima emanazione di sofia. Ecco come si spiega il male,
il dolore, la sventura, il peccato che comunque non ha nulla di religioso ma ha natura ontologico,
metafisica.
Da queste dottrine nasce un movimento che diede molto da fare alla chiesa delle origini. Il
movimento della “Gnosi”, che si interessava della creazione dell’uomo cercando di spiegare come
dalla bontà iniziale dell’uomo, possa poi derivare il comportamento illecito, il male dell’uomo
ponendo il problema della conclusione della vita di un uomo. In che modo la si poteva immaginare
ed in che modo la si poteva esporre filosoficamente.
Alla gnosi pagana, si contrappone una gnosi che nasce ad Alessandria: una gnosi cristiana, con il
suo esponente Clemente di Alessandria per costruire una gnosi sacra da contrapporre a quella
pagana. Quindi per gnosi cristiana, Clemente di Alessandria intende tutto l’insieme delle
conoscenze della fede cristiana portate avanti dal cristianesimo nascente, e tutte quelle emanazioni
filosofiche intellettuali vengono considerate dalla gnosi cristiana come la creazione da parte del Dio
Uno e Trino di tutte le creazioni compreso l’uomo, il quale, come la sofia, anch’egli cadrà in un
comportamento illecito, anche lui viene colpito dal peccato, dal male, con la sola differenza che Dio
non lo lascia nella condizione di peccato, ma decide di salvarlo dalla sua condizione inferiore ed
infelice, mandando un Salvatore per riscattare la colpa dell’uomo il quale potrà salvarsi attraverso la
conoscenza di Gesù Cristo, la sequela di Gesù Cristo e dal battesimo. È il battesimo il sacramento
attraverso il quale l’uomo peccatore rinasce perché viene liberato dalla colpa del peccato che ha
ricevuto direttamente dalla congiunzione dei suoi genitori, dall’atto generativo. Quindi il peccato di
Adamo ed Eva attraversa le generazioni, ma non vi rimane perché Dio che non è un semplice Uno
(ovvero semplice entità metafisica) ma è una persona vivente ed amore provvidente che all’interno
di se stesso, sa che cosa significa amarsi perché genera il figlio e spira lo spirito, fa di tutto per
riscattare l’uomo dalla sua condizione illecita nella quale è caduto.
Ireneo e Tertulliano sono gli esponenti principali della contrapposizione tra gnosi cristiana e
gnosi pagana. Ireneo risponde soprattutto al dualismo, ovvero che l’uno produca da se stesso un
numero due e poi tutte le altre e sostiene che poiché il mondo è unico e non esistono le altre realtà al
di fuori di questo mondo, è creato dall’unico amore di Dio e che Dio creando questo mondo per
amore, è libero di crearlo, non è costretto da nulla a creare, è la sua benevolenza che lo spinge a
porre in essere le cose e gli uomini e che questo creatore, a differenza di quello della gnosi pagana è
unico, non ha bisogno della partecipazione di mediatori o antagonisti, non ha bisogno neppure di un
demiurgo. Non esiste, dice Ireneo, una dualità ma l’unico e solo Dio che ha creato l’unico e solo
mondo è un essere Uno e Trino che opera in tutto secondo la sua iniziativa libera. La creazione è

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segnata fortemente da impronta trinitaria. Il Padre si serve delle sue due mani non di emanazioni
distaccate da sé. Il padre fonte della divinità si serve di due strumenti profondamente legati a lui,
sono due progenie, sue con-creature, Il figlio e lo Spirito oppure Il Verbo e la Sapienza la quale non
è più emanazione malvagia da cui è provenuto il male del mondo ma mano di Dio Padre, saggezza
amorosa che circola tra Padre e Figlio.
Il Verbo e lo Spirito non hanno esercitato la loro creazione con l’uomo sin da subito, ma prima
dell’uomo vi è stata una creazione di esseri ragionevoli e soprannaturali ovvero gli Angeli. Allora
quelle che la gnosi chiama emanazioni diventano per Ireneo gli esseri spirituali angelici.

Dio aveva bisogno di creare? Perché Dio crea?


Ireneo dice che il Padre è autosufficiente e completo nella sua vita affettiva ontologicamente
completo in tutto e questa sua completezza viene sottolineata nella creazione “dal nulla”, dove nulla
non è materia preesistente con la quale il Dio unico ha avuto uno scontro, ma che al di là ed oltre
del Padre non esisteva alcuna divinità concorrente.

Quali sono le funzioni particolari che assumono il Padre il Figlio e lo Spirito nella
creazione del mondo?
Possiamo usare la metafora dell’edificazione di un edificio: al Padre appartiene la
progettazione dell’edificio, al Figlio appartiene l’esecuzione del progetto del Padre e lo Spirito
perfeziona l’oggetto creato, lo mantiene nell’essere, lo fa non cadere e distruggersi ma lo mantiene
nella sua esistenza e questa assistenza è continua come appare dalla denominazione dello Spirito
“paraclito” colui che siede sempre accanto e mantiene sempre viva l’esistenza dell’oggetto
progettato dal Padre ed eseguito dal Figlio.
Tertulliano a Roma, dice semplicemente che tutto ciò che esiste è opera di Dio, non c’è
bisogno di parlare di diverse creature perché quello che esiste appartiene ad un unico Dio. Se ci
poniamo il problema della concorrenza tra luce e tenebre allora cadiamo nel peccato di considerare
la divinità duale non unica. Se pensiamo invece che tutto è creato da un unico Dio e che il male
proviene dall’opera dell’uomo allora non c’è bisogno di parlare di dualità di divinità in concorrenza
tra loro. L’unico Dio ha tute le qualità e tutte le prerogative, ha un “solitario possesso di sé” e solo
per un atto libero esce fuori di se e pensa di avere degli interlocutori. In Gn 1,26 l’espressione
“facciamo” viene interpretata da Tertulliano come espressione trinitaria.
Clemente di Alessandria utilizza all’interno della sua riflessione il termine che viene
utilizzato da Giovanni “logos”. Per Clemente la teologia del logos è importante perché ci aiuta a
capire come tutte le creature esistono già intellettivamente nella mente del logos e vengono alla luce

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nel momento in cui il Padre progetta e dà ordine di esecuzione. In questo momento, il Figlio esegue
e lo Spirito anima, da vita, da consistenza.
L’evento più importante della cosmologia cristiana è quando il logos si incarna nella natura umana
e diviene contemporaneamente Dio e uomo. IL logos diviene creatura, vuole intrecciare la propria
esistenza divina con una esistenza umana. Vuole provare cosa significa essere creatura debole al di
fuori della trinità. Però l’incarnazione del Logos, non è mai una degradazione del Figlio, un
diventare immanente. Il logos presente nella figura completa di Gesù Cristo è sempre il Logos
trascendente, legato strettamente alla vita di Dio. L’incarnazione non toglie nulla al Figlio della sua
trascendenza, anzi poiché tutte le opere che la trinità compie al di là di sé stessa appartengono
contemporaneamente al Padre, al Figlio e allo Spirito, possiamo dire in qualche modo che nel
Logos che si incarna, Padre , figlio e spirito santo, fanno la stessa esperienza ovvero: san Paolo dice
“siete tempio dello Spirito Santo e non dovete profanarlo” quindi non solo siamo la esecuzione che
il Figlio ha fato del progetto del Padre ma anche la dimora dello Spirito che anima la chiesa
nascente. Quindi per Clemente non c’è contraddizione tra pensiero cristiano e dottrine filosofiche
del tempo soprattutto quelle caratterizzate dalla sacralità. Anzi, lui afferma che tutte le intuizioni
filosofiche derivano da un'unica mente umana all’interno della quale tutte le possibili soluzioni ai
problemi razionali sono contenute. Tale mente è per Clemente, Mosè, che per lui è un grande
pensatore oltre che legislatore. Quindi ogni intuizione filosofica si può ricondurre alla rivelazione
divina, per questo le dottrine platoniche e neoplatoniche contengono contenuti che indicano
sacralità.
Altro pensatore importante che però dopo la sua morte fu messo in disparte, è Origene il
quale ritiene il tema della creazione dal punto di vista filosofico e dal punto di vista della
rivelazione non sono in contrapposizione tra loro (seguendo il pensiero di Clemente) ma che si
tratta di due blocchi di pensiero che possono intrecciarsi l’uno con l’altro. Esso pensa che ci sono
tre mondi creati. Il primo è quello delle idee, mondo di essere intelligibili, coeterno a Dio (che ha
sempre in mente le sue realizzazioni). Il secondo è il mondo delle intelligenze, quelle create, non
quelle eterne ma quelle poste in essere da Dio nel momento in cui decide di creare. Il terzo mondo è
quello attuale, il mondo iniziato dalla Risurrezione di Cristo, a partire dal mistero pasquale
l’intelligenza globale di Dio del Logos e dell’uomo vengono aperte totalmente per accogliere la
rivelazione di Dio e attraverso la Risurrezione contenuti nelle filosofie e nella rivelazione possono
essere illuminati in quanto Logos del Padre.
1) La prima creazione: le creature sono tutte uguali e per Origene queste creature già
formano una Chiesa, la Chiesa celeste, la chiesa preesistente a quella storica e siccome è già
presente nella mente di Dio, è unita al Verbo. In un secondo momento, la caduta originale le

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differenzia a seconda del loro libero arbitrio di cui sono state create. La caduta originale dipende dal
fatto che queste idee intelligibili e preesistenti vengono depositate sulla terra in forma di immagine
e somiglianza di Dio cioè trasformate in uomini e donne. È dopo la caduta del genere umano è per
Origene il momento in cui avviene la separazione tra angeli e demòni. La caduta delle personalità
intelligibili tra fedeli a Dio e disobbedienti a Dio avviene solo come conseguenza della caduta di
Adamo ed Eva. Tale caduta ha anche una seconda conseguenza che le anime man mano che
vengono generate diventano sempre più lontane da Dio e più disobbedienti e il male inizia a
diffondersi nel mondo.
Il mondo degli uomini non è altro che una seconda creazione perché dopo l’intervento di
Dio sul peccato originale è stato dato loro il permesso di correggersi dall’errore della caduta
originale. L’esistenza dell’uomo sulla Terra è quindi purificazione continua la quale raggiunge il
suo apice con l’incarnazione del Logos e viene offerto come sacrificio a Dio come liberazione delle
creature ragionevoli che hanno disobbedito a Dio quindi esiste un piano di salvezza eterno già
preesistente nelle mente di Dio e consistente nella mente del Logos come sacrificio cruento del
Logos a Dio Padre per la salvezza dell’uomo. Tutto questo è un progetto che Dio contiene
dall’eternità non è un progetto contingente ma presente da sempre nella Trinità.
2) Dove va questa seconda creazione? Origene parla per la prima ed unica volta di
“conflagrazione” ovvero trasformazione in fuoco di tutta la realtà che distrugge tutto ciò che è
avvenuto di male e di negativo dopo la caduta di Adamo ed Eva e fa sì che corpi ed anime si
ricongiungano l’una all’altra nel mondo dei beati divenendo delle persone eteree (appartenenti al
cielo). La conflagrazione universale non è ancora la fine perché dopo la distruzione di tutto ci sarà
la “apokatàstasi” ovvero il mondo separato tra bene e male verrà ricondotto nell’unità di Dio senza
più differenza tra inferno e paradiso e gli uomini ancora in vita vengono riassunti nel mondo di Dio.
Allora la vita umana non è altro che una uscita dal mondo di Dio ed un rientrare nella vita di Dio se
condotta santamente.
L’autore che dà ampio spazio alla creazione è Agostino nelle sue opere: “Le confessioni”,
“Commento alla Genesi” e “La città di Dio”. Non dobbiamo dimenticare che Agostino è stato per
9/10 anni appartenente alla setta dei Manichei (i quali professavano un dualismo tra Dio del bene e
Dio del male). Agostino non riuscirà mai a liberarsi dall’influenza di questo pensiero, non riuscirà
mai a vedere nella mano di Dio la presenza anche del negativo, del male, delle tenebre.
La risposta di Agostino vuole troncare ogni equivoco: una visione cristiana precisa ed accettabile
sulla creazione può avvenire solo attraverso la fede. Ed infatti a partire dalla fede e solo dalla fede si
può affermare che la creazione è un opera perfettamente trinitaria perché reca in sé le tracce delle
tre persone divine come anche nell’uomo.

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Per Agostino esistono due tipi di creazione: la creazione delle creature superiori che vivono
nel cielo, le creature materiali che vivono sulla terra e le creature che vivono al di là del cielo,
quello che lui chiama il cielo del cielo (all’epoca si pensava che la terra fosse avvolta da tre cieli
oltre i quali c’era l’iperuranio). Nel cielo del cielo troviamo gli angeli, la dimora di Dio, la visione
di Dio, la Sapienza (sia quella di Dio che quella che Dio ha donato a tutti noi) e soprattutto la
Nuova Gerusalemme ovvero la fine della storia riassorbita in Dio nel mondo nuovo nella civiltà
nuova, dove vivono tutti i beati.
La terra per Agostino non viene riscattata alla fine del mondo (apokatàstasi per Origene) ma la terra
rimarrà terra informe, un quasi nulla, senza creature, né sensibile né invisibile. Due argomenti
particolari interessano Agostino: l’inizio del tempo e il problema del male.
Il tempo per Agostino è creatura di Dio. Non esiste per Agostino un tempo prima della creazione.
Dio vive in una realtà atemporale e soltanto quando mette in moto l’apparato cosmologico della
creazione scattano le lancette del primo orologio cosmico. Come le creature insieme con le quali è
stato creato, il tempo è limitato, finito. Questo serve ad indicare che le cose cambiano, non sono
eterne ma hanno un preciso tempo da vivere che viene stabilito da Dio. Sulle lancette di questo
orologio eterno ci siamo tutti noi ed ognuno ha a disposizione un tempo entro cui salvarsi.
Le cose mutevoli sono in contrapposizione ontologica a quelle eterne: la creazione posta nel tempo
cambia, è mutevole, passa dal momento di origini al momento di adultità, al momento di decadenza.
Gli esseri viventi nel cielo non conoscono queste tre fasi ma vivono sempre in stato imperturbabile
di felicità ed immortalità.
Nell’uomo c’è un meccanismo che ci permette di sperimentare la presenza del tempo: nella
coscienza possiamo renderci conto che il nostro tempo passa da un passato a un presente a un
futuro. Nella coscienza il passato si manifesta come ricordo, memoria. Il presente si manifesta come
percezione immediata della vita, la consapevolezza di vivere in un tempo. Il tempo futuro è invece
l’attesa, la tensione verso la fine di questo ciclo di tempo per entrare nel mondo senza tempo.
Per quanto riguarda il problema del male, Agostino lo mette in correlazione con il fatto che
le creature non sono perfette ma limitate, hanno un dato preciso di bontà e di essere a seconda se
durante la loro vita si avvicinano o si allontanano dall’immagine e somiglianza di Dio. Se sono
manchevoli della perfezione dell’Essere, allora il male è semplicemente una assenza di
comportamento buono e religioso nei confronti di Dio, non una realtà a se stante ma un venir meno
della bontà da parte dell’uomo. Una volta che l’uomo si è reso responsabile del male, nella vita
eterna il suo comportamento originario sarà giudicato secondo il metro della pienezza o
imperfezione dell’uomo. Chi avrà raggiunto la piena perfezione di Dio e del suo essere attraverso
l’agire buono entra nel mondo infinitamente buono di Dio. Chi si è privato della pienezza

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dell’Essere e non si è comportato in modo adeguato rispetto alla voce della coscienza che lo
spingeva a fare del bene sarà condannato per sempre (agostino usa l’espressione “massa damnata”).
Giovanni Crisostomo e i Padri cappadoci sono altre figure che hanno trattato l’argomento
della creazione.

Nel primo medioevo ci sono due fonti da riguarda sull’argomento del male sotto la
prospettiva della predestinazione al bene e al male. Tale argomento è diviso in due estremi:
 Predestinazione semplice: Dio condanna all’inferno chi vuole a prescindere dalle sue opere
anche se buone.
 Predestinazione doppia: Dio non predestina solo alcuni all’inferno, ma ci sono alcuni
uomini e donne predestinati al bene eterno a prescindere da quello che hanno compiuto sulla
terra.
A favore della tesi predestinazionista si trovano lo Pseudo-Dionigi e Giovanni Scoto che
cercano di addolcire questa tesi affiancando (in maniera neoplatonica) a Dio un essere unico a cui
Dio affida il destino dell’uomo. Tale idea verrà condannata da tre Concili: Nicea, Costantinopoli I,
Costantinopolitano II.

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Lezione del 17 Aprile 2018

12. SITUAZIONE DEL XIII SECOLO E SAN TOMMASO

Una delle problematiche del XII secolo era l’eresia dei catari e la risposta del concilio
Lateranense IV del 1215. Si diffondeva la paura fra i credenti del giudizio finale: Gesù visto come
un giudice facendo riferimento a MT 25, 31;46.
Per questa causa nascono così i movimenti pauperistici: Francescano e Domenicani. San Francesco
non prepara i suoi frati per combattere i cateri, pensa che il miglior modo possibile per combattere
l’eresia sia l’evangelizzazione e la testimonianza.
I domenicani invece processavano, mettevano a rogo e combattevano i cateri. L’eresia catara nasce
sotto il segno di un dualismo più puro:
un Dio buono: tutto ciò che ce di bello e buono viene da Lui
Un Dio cattivo: tutto ciò che è legato alla materialità è sua creazione.
Per i catari Gesù è un angelo e il suo corpo è destinato alla distruzione, è semplicemente un
contenitore, riprendendo il nestorianesimo e arianesimo. La materia viene disprezzata in quanto c’è
stato un’ incontro sessuale come in Adamo ed Eva che hanno ceduto al peccato originale.
La salvezza per i cateri, significa non far parte dei mali naturali, si suppone che nasca nel sud del
Francia ma non è confermato.
Nel 1209 Innocenzo III organizza una crociata contro i cateri per eliminarli materialmente. Una
seconda modalità fu data dal concilio Lateranense IV di forma dogmatica, esponendo una confessio
della dottrina cattolica.
I catari sono una forma particolare di eresia, perché hanno una organizzazione di controllo di
mettere in pratica la sequela del vangelo in piccoli gruppi molto uniti. Ultima caratteristica dei
catari è che essi non si misero mai in contrapposizione con la chiesa di Roma, non accettavano mai
di essere considerati eretici, furono i loro sterminatori a definirli tali, da parte loro credevano
sempre di essere dei buoni fedeli, buoni cristiani, fedeli all’insegnamento del vangelo; ecco perché
opposero resistenza alla chiesa romana.
Lateranense IV= (DOGMA) professione di fede il ruolo della creazione e della fede cattolica
afferma un solo creatore annullando il dualismo; tutto il buono proviene dall’unico creatore che crea
dal nulla.
Non esiste creare qualcosa dal male, esiste solo un Dio creatore e buono, nessuna essenza esiste
prima di Dio, da chi quindi deriva? Se eliminiamo il Dio Cattivo?

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Risposta del Lateranense IV: dalla libertà delle creature. Tutte le realtà intelligenti Angeli, anima e
uomo sono create da Dio, create buone, e quindi libere essendo venuti da Dio. Se fossero cattivi
dovrebbero essere schiavizzati e non esseri liberi. Dio sa che esistono angeli buoni e cattivi(demoni)
come anche uomini che non stanno alla sua obbedienza esempio Adamo e Eva.

San Tommaso
In questo contesto si inserisce San Tommaso; la scolastica in quei periodi è impegnata a
confrontarsi con il modello platonico, fino ad allora seguito più o meno fedelmente dalla teologia
classica il secolo XIII è segnato dall’ingresso di Aristotele nel panorama filosofico e teologico
grazie alla traduzione delle sue opere degli arabi a Siviglia, il modello aristotelico seguiva
Tommaso per comprendere l’opera di Dio.
Dov’è nuovo Tommaso? Nella causa prima, Aristotele sia nella fisica e metafisica parla di un
vertice dell’essere, cioè un primo motore immobile, causa prima da dove derivano tutti gli effetti.
Questa catena di causa ed effetti è determinata dalla causa prima, che nessuno ha creato prima di se
stesso perché, dall’eternità governa l’ordine dell’universo.
Tommaso la chiama tale causa con il nome di Dio … tutto procede ordinatamente e ricondotto
all’incontrario della causa –effetto. Dio causa efficiente di tutte le cose e anche causa finale che
tendono alla perfezione, cioè avvicinarsi alla bellezza di Dio e alla sua bontà.
Tommaso propone 5 vie per capire Dio come agisce nei confronti delle sue creature:
1. cosmologica: dalla constatazione dell'esistenza del movimento, ogni cosa che si muove è
mossa da un'altra cosa e così via, per non cadere nel regresso si deve presupporre un motore che
non sia mosso e che muova e quindi Dio.
2. casualità efficiente: ogni cosa ha una causa che è effetto di un'altra causa, per evitare il
regresso ci deve essere una causa non causata cioè Dio.
3. contingenza: poichè le creature contingenti possono esserci come non esserci devono
avere la causa in un ente necessario, cioè Dio che deve per forza esserci.
4. gradi di perfezione: nel mondo c'è una scala gerarchica dei vari gradi, ciò implica che vi
sia un essere che avendo tutti questi gradi di perfezione possa essere la loro causa: Dio.
5. Finalismo: nel mondo ogni cosa è orientata verso un fine, ma deve esserci un'intelligenza
ordinatrice (DIO) dove ogni cosa ha il suo fine ultimo e Dio è il fine ultimo.
La creazione al di fuori di Dio dice Tommaso, non è necessaria per la perfezione di Dio.
Ma allora perché Dio crea il mondo per quale motivo!?
E’ la gloria di Dio stessa nelle creature, create a lode e gloria del suo nome.
Dio crea perché tutte le creature sono partecipi della sua perfezione.

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Per Tommaso non esiste il tempo prima di Dio, ma scorre dal momento della creazione dei luminari
e così nasce la suddivisione temporale.
Di Tommaso non ricordiamo solo la sua filosofia , ma anche la sua grande spiritualità
Molto forte soprattutto per l’eucarestia, ricordiamo il Tantum ergo , Adoro te devote etc…infatti
anche santa Caterina farà del pensiero di Tommaso una devozione personale senza visioni mistiche
Nell’epoca moderna la teologia adora una metodologia apologetica , focalizzando l’attenzione sulle
5 vie di Tommaso contro il razionalismo.
Fides Qua: la realtà che nasce ed esiste con l’atto di fede.
Fides Quae: il contenuto della fede, le verità della rivelazione
Fides Quod: che cos’è Dio.
L’esistenza di Dio nella sua sostanza come dice Giovanni: deus Caritas est.
Successivamente a Trento si lascerà la creazione nelle mani della scienza, mentre la teologia è
sempre sulla difensiva, di carattere apologetico.

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Lezione del 20 Aprile 2018

13. L’UOMO NELLA CREAZIONE

Con la Gaudium et Spes, si apre una nuova possibilità di ricerca, la teologia non si mantiene
ferma alle indicazioni bibliche e letterali contenute nei primi libri della Genesi, ma si apre anche
alle scoperte scientifiche, con degli strumenti che possono permettere alla teologia di conoscere
meglio il segreto del mistero della creazione. Rimangono alcuni argomenti aperti; il primo
argomento è quello della ecologia e Papa Francesco il 24 Maggio del 2015 ha affidato la sua lettera
enciclica “Laudato si” nell’onore del canto di San Francesco sulla cura della casa comune, (così il
Papa chiama la Creazione). Quali sono i nostri doveri nei confronti di quella casa in cui tutti
abitiamo? Anzitutto il Papa si pone una domanda ultima che fa in modo che anche noi ce la
poniamo: che tipo di mondo desideriamo trasmettere alle future generazioni, ai bambini che stanno
crescendo? A questa domanda secondo il Papa può rispondere l’esempio di San Francesco, un
esempio globale di interesse della “casa comune”. Sostiene e sottolinea che la cura non riguarda
soltanto il creato e le creature inferiori non fornite dell’intelligenza dell’uomo, ma se l’ecologia è
globale allora deve comprendere anche l’uomo; che tipo e che modo di uomo vogliamo trasmettere
alle future generazioni. È evidente che essendo l’uomo legato così profondamente al creato, chi
distrugge il creato distrugge anche l’uomo (distrugge se stesso e la sua prosperità). L’ecologia
integrale si occupa di tutto ciò che esiste nel creato e che al tempo d’oggi è debole e sofferente e
viene avvelenato lentamente dall’opera sconsiderata dell’uomo. Tutti vediamo e abbiamo davanti
agli occhi questa situazione, ma cosa fare davanti a questa difficoltà? Per il Papa la risposta da dare
a questo avvelenamento globale è quello di “Amare con gioia il Creato, la Creazione”. San
Francesco è stato un simbolo della ecologia globale integrale, amava tutti ed era amato da tutti non
solo da uomini ma anche da creature prive di intelligenza, pensiamo agli uccelli, ai pesci ai quali
Francesco riusciva a trasmettere la notizia del Vangelo. Nella vita di Francesco si integrano l’un
l’altro, Dio, gli altri, le cose, l’uomo stesso. Questi quattro elementi vengono inseriti l’uno nell’altro
e considerati contemporaneamente come bisognosi di amore da parte del custode della “casa
comune”. L’amore qui non è l’amore platonico, sentimentale, ma è un amore pratico, universale che
permette di realizzare un equilibrio, un’armonia più perfetta possibile tra tutto ciò che esiste,
l’amore porta equilibrio e armonia anche con la sua sobrietà. Dio, io, gli altri, le cose, non sono
l’una sottoposta e schiavizzata all’altra ma sono sullo stesso piano, soggetti di amore; dove c’è
disordine, insegna Francesco, interviene l’ordine dell’amore, e l’ordine dell’amore è l’ordine
vivificante che dà vita. Quindi si identifica dal punto di vista teologico con l’accoglienza dello

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Spirito Santo, che è in Dio, l’amore e il Creato. Un altro problema aperto è il rapporto con la
dottrina evoluzionista; con l’evoluzionismo, che quando cominciò a diffondersi nella metà del
1800 dopo gli studi e gli scritti di Darwin sembrò mettere completamente in discussione la
narrazione biblica della creazione fatta in sei giorni delle specie umane e animali e floreali già belle
e complete, poste su un piano di perfezione. L’evoluzionismo di Darwin, invece, faceva notare
come questa perfezione assoluta, di cui parlavano le prime pagine della Genesi, non era supportata
dai dati scientifici. I dati delle scoperte scientifiche mostravano come ogni specie era lo sviluppo di
una lenta evoluzione durata millenni e milioni e miliardi di anni a cominciare dalle creature formata
da una sola cellula si sono lentamente sviluppate compreso l’uomo fino a raggiungere il grado
perfetto che vediamo oggi e che comunque non impedisce di ipotizzare che l’evoluzione della
creazione ancora continua in forme lente, nascoste. È importante tenere presente questi dati
dell’evoluzione perché aiutano la teologia a porsi criticamente la domanda su come considerare la
figura dell’uomo e come dargli il giusto peso a tutte le specie viventi che vanno custodite dall’uomo
e vanno accompagnate nel loro progresso continuo. Quando l’uomo interviene su certe specie di
animali o vegetali e attraverso il suo intervento entra nelle loro leggi specifiche scoperte con gli
strumenti della scienza, e ottiene nuovi frutti, nuovi elementi di animali, di piante; allora siamo
esattamente nell’evoluzionismo guidato da una mente intelligente che è quella dell’uomo. Si Può
pensare allora che in tutto l’universo intero esista una mente creatrice che attraverso le leggi
intrinseche del creato lo fa progredire di anno in anno? A proposito dello sviluppo storico e
normatico del tema della creazione viene fuori che la grande novità che a oggi porta la teologia al
tema della creazione è il concetto di creazione trinitaria. La creazione non è soltanto frutto di un
solo Dio – Yhwh – il creatore di tutte le cose, ma il frutto di una interazione tra Padre, Figlio e
Spirito Santo. Allora la realtà se è stata disposta in essere dal padre, figlio e spirito santo deve essere
caratterizzato e deve portare i segni di queste tre persone. Il Padre che soggetta il Figlio e lo Spirito
Santo che crea. La presenza della Trinità ci fa capire come la creazione proviene da un’idea interna
di Dio e tende continuamente a realizzare una nuova unione con Dio. La creazione proviene da Dio,
si sviluppa nel tempo e si completa in Dio. Il Cristianesimo aspetta il ritorno finale del figlio di Dio,
che metterà sia l’uomo, sia la creatura in una situazione completamente diversa da oggi, quella che
la teologia chiama la resurrezione finale: la Parusia, la nuova Gerusalemme. Allora rispetto alle
scienze parliamo soltanto di una materia di cui non si sa l’origine e non si conosce la fine, la
teologia ha la sua risposta da dare; l’inizio della creazione e il fine è Dio e la fine della creazione
significa la vittoria del bene sul male; allora la vita sulla terra ha un significato prevalentemente
storico salvifico. Da quando il figlio di Dio si è fatto uomo e gli è apparso come uomo nella figura
umana di Gesù Cristo la storia stessa del mondo, profana, mondana, civile ha avuto la possibilità di

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seguire la direzione della salvezza di Dio, cioè la purificazione di tutti gli elementi negativi che
potevano venire e possono continuare a venire anche dall’intervento dell’uomo. Anzi lo Spirito
Santo va considerato sotto questo aspetto il timone di vita per eccellenza, interviene tutte le volte
che l’uomo tenta di distruggere la vita. Quello che va perseguito è questo ragionamento, la presenza
di Cristo nella storia civile diventa tutta storia di salvezza. Dovremmo essere capaci di vedere in
tutti gli eventi storici e sviluppi delle nazioni la presenza salvatrice di Cristo, la presenza di vita
intensa, divina, profonda che proviene dallo Spirito Santo. Gli eventi della storia civile non sono
disgregati l’uno con l’altro, oppure l’uno con l’altro legati semplicemente da cause politiche,
sociali, economiche; al di là di questa causalità seconda inferiore, c’è sempre l’intervento della
causa prima (Dio causa tutte le cose) integrando nel nostro discorso finale la dimensione
cristologica di S. Tommaso. l’inno nella lettera agli Efesini dice chiaramente che in Lui e per Lui
esistono tutte le cose e allora il grande mediatore della vita è Cristo, il mediatore della salvezza è
Cristo. La presenza continua della Trinità nel mondo e in modo particolare nel figlio di Dio venuto
al mondo ci fa vedere come la creazione non è civiltà con le evoluzioni delle specie, Dio continua a
mantenere sulle sue mani, a fare in modo che continui ad esistere la creazione intera. A questo
proposito ci risulta molto utile il concetto tomista di analogia dell’essere: Dio è l’essere
perfettissimo, la causa che muove tutte le cose e che dona a tutte le cose una partecipazione di se
stesso, una partecipazione dell’essere. Non abbiamo più come nel platonismo una continua
emanazione di essere viventi intelligenti, di creature spirituali che degradano l’uno dopo l’altro fino
ad arrivare alla materia brutta, al peccato. Qui invece con Tommaso le essenze spirituali vengono
sostituite dalla parola “causa”, cioè meccanismi automatici, regolati da una mente intelligente. Il
creato ha una sua autonomia attraverso le cause seconde, un’autonomia che si sviluppa anche
attraverso l’obbedienza alle leggi fondamentali che Dio ha inserito nella sua creazione e tutte le
creature si possono vedere come partecipazione dell’essere di Dio. La creazione se è una serie
continua di cause ed effetti, può essere studiata dagli scienziati anche solo attraverso questa catena
di causa ed effetto, e attraverso questo studio profondo della casualità, giungere a comprendere le
leggi che regolano le varie cause e i vari effetti intervenendo se è necessario su essi. Quindi Dio
continua in questo modo, attraverso la custodia dell’uomo, attraverso la conoscenza delle leggi a
salvare, a governare, a nutrire provvidenza nei confronti del mondo. Ricordiamo la grande Parola di
Efesini 1-10: << Dio vuole che tutto venga ricapitolato sotto il Cristo, sotto l’unico mediatore>>.
Tutte le cose create devono essere ravvicinate e coadiuvate sotto un’unica parola e unico
dominatore: il figlio di Dio; tutto quello che avviene nel mondo deve essere nella missione
trinitaria, nella fede cristiana ricondotta all’evento che riguarda anche il Cristo. La mente creatrice
di Dio fa in modo che l’uomo possa presentare a lui una creazione ben coordinata, una creazione

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piena di significato; ed è così possibile vedere con gli occhi della fede che la creazione diventa un
argomento di discussione profonda tra la scienza e la fede. Per cui quel contrasto che ha dominato
nel secolo XVIIII e in parte anche nel XX possiamo dire che oggi è profondamente superato
dall’atteggiamento della fede nei confronti della scienza e dal comportamento della scienza nei
confronti della fede. Nella creazione tutto è buono ma tutto deve essere perfezionato; questo
perfezionamento di tutte le cose uscite purtroppo malate dopo il peccato originale dell’uomo è
affidato da Dio alla collaborazione dell’uomo. Quindi il creato che noi possiamo vedere e nel quale
apparteniamo noi stessi, oltre ad essere l’immagine della provvidenza di Dio è anche immagine
dell’uomo creato per essere il luogo tenente indicato da Dio nella storia della salvezza e della
creazione.

14. DISCORSO SULL’ANTROPOS-STUDIO SULL’ESSERE UOMO INSERITO NEL MONDO

La creazione è come luogo ideale dove l’uomo è una creatura diversa dalle altre perché,
provviste di libertà e di volontà, può sviluppare i doni, i talenti ricevuti da Dio e soprattutto può
sviluppare la sua funzione di mediatore e salvatore della creazione e dell’umanità.
Mentre la dogmatica classica, quella dei manuali dei deo creatore XVIIII e XX secolo si fermava
soltanto alla testimonianza di genesi 1 e di genesi 2 per darci le uniche notizie che noi potevamo
conoscere sulla identità dell’uomo, oggi la dogmatica è ben cosciente di come i primi due capitoli
della genesi e, compreso il terzo dove si racconta del peccato originale dell’uomo, vanno presi
contemporaneamente e confrontati con i dati del nuovo testamento. Nell’Antico Testamento
iniziamo a parlare dell’esperienza prima che ha fatto il popolo di Israele e del pensiero che Javè ha
avuto nel momento in cui ha pensato di creare per la prima volta l’uomo. Se consideriamo il
racconto più antico, quello di genesi 2,4-7, vediamo l’opera di Dio che plasma e soffia il respiro
vitale dell’uomo. Prima osservazione: l’uomo nella sua vita non è autonomo, non nasce da stesso,
non è indipendente ma dipende da qualcuno più alto di sé che lo mette in vita sia dal punto di vista
anatomico, sia biologico-vitale. Il livello di conoscenza e di creaturalità dell’uomo non sono
autonomi secondo la rivelazione, ma provengono da un creatore che è Javè, colui che dice di stesso
a Mosè di chiamarsi: io sono (Esodo 3-14). Quindi c’è una relazione assoluta e inevitabile; se Dio
cessasse di alitare continuamente il soffio vitale alla creatura umana, questa morirebbe. Dal punto di
vista filosofico insieme con Tommaso possiamo dire che Dio è un essere perfettissimo che rende
partecipe la creatura umana di una capacità di essere simile alla sua; Dio essere supremo dota le
creature di qualcosa di simile a se stesso. In questo modo le creature somigliano moltissimo a Dio e

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posseggono la stessa intelligenza di lui anche se l’essere e l’intelligenza di Dio rimane trascendente
e diverso da quello che le creature dicono. La dipendenza dell’uomo da Dio, proprio grazie al
concetto dell’analogia dell’essere, non porta ad una contrapposizione ontologica ma ad una
integrazione costituita da diversi elementi che tutti insieme concorrono a farci capire che cosa
significa uomo nell’antico testamento. Quattro elementi caratteristici ci fanno capire come l’essere
umano dipende ma è simile anche a Dio.
1) Il primo termine che incontriamo nel Nuovo Testamento per indicare l’uomo è Nefes, indica
l’uomo indigente, che ha bisogno, che chiede a Dio di dargli la vita perché da solo non se la sa dare;
2) il secondo termine è Basar, è la parte dell’uomo destinata alla consumazione del sepolcro, è il
corpo che deperisce giorno per giorno. È il corpo fatto di carne debole non eterno.
3) Il terzo termine è Ruah, è il soffio vitale di cui ha bisogno l’uomo per vivere, per dire come ci sia
una corrispondenza tra ciò che è divino e ciò che è umano. La Ruah è la forza di Dio, lo spirito
inviato da Dio all’uomo sempre però sottomesso ad obbedire alla volontà di Dio.
4) Il quarto termine è Lev, che si traduce come cuore, indica il sentimento, il desiderio, la ragione, la
volontà.
Questi quattro termini indicano chiaramente che l’uomo è in relazione a Dio in senso verticale. Ma
non lo è solo in senso verticale ma anche in senso orizzontale. L’uomo viene creato come membro
di una comunità espressa attraverso le creature non intelligenti e al suo complemento necessario
nella creazione della donna; quindi la prima caratteristica che compete all’uomo dopo quella della
dipendenza da Dio è la sua socialità con altre creature. Il giardino dell’Eden è lo spazio geografico (
ha una consistenza terrena) dove la relazione (socializzazione) viene completata, questo spazio
geografico viene dominato dall’uomo anzitutto attraverso il lavoro che rende il campo dell’Eden
fecondo. L’uomo si prende cura del creato lavorando, immettendo in esso parte della sua
intelligenza che a sua volta è parte e imitazione dell’intelligenza creatrice di Dio. Il lavoro è
l’elemento dell’uomo che può dare alla sua vita una piena riuscita attraverso l’auto-mantenimento
in vita. La relazione ancora più elevata dell’uomo, ha esistenza quando al di sopra di tutte le
creature mancanti di intelligenza, si trova davanti, creata misteriosamente da Dio la sua copia al
femminile: la donna. l’uomo al quale viene presentata la donna è l’uomo che precedentemente Dio
ha messo nella condizione di cercarsi un aiuto nelle altre creature. La donna che Dio pone accanto
all’uomo fa brillare gli occhi di Adamo perché ha trovato finalmente un aiuto simile a sé. La donna
è il vertice di tutta la creazione perché è l’ultima creatura proveniente dalle mani di Dio creata per
collaborare insieme con l’uomo. Con una indicazione a favore della teologia femminista, come il
vertice della creazione, non va considerato tanto l’uomo come singolo maschio ma la sua relazione
con la donna come singola femmina, destinata a formare la prima coppia uomo-donna. Il primo

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uomo viene indicato con la parola Adam che dal punto di vista sessuale è un termine indifferenziato
indica “terroso” proveniente dalla polvere della terra, dopo la creazione della donna allora si
specifica il maschio ‘ìs e la femmina ‘isa , legati da una relazione profonda che li fa l’uno parte dell’
altro; elimina ogni subordinazione come anche ogni priorità del uno all’altro. Possiamo dire che
l’uomo come creatura semplice si rapporta e ha un rapporto particolare con la terra e gli animali,
infatti l’uomo viene creato subito dopo aver creato la sede degli animali, invece in quanto uomo
cioè creatura intelligente, non si rapporta tanto alle altre creature quanto piuttosto si alla donna,
nello stesso momento in cui la donna si rapporta esclusivamente al suo uomo. Eva si rapporta cosi
sembra di capire solo ad Adamo, mentre l’apertura totale delle relazioni con tutte le altre creature
resta una caratteristica tipica dell’uomo del maschio di Adam, quasi che si volesse dire che Eva non
coltiva la terra, non si preoccupa della vita degli animali, ma si preoccupa solamente di relazionarsi
con il suo uomo. L’uomo dal punto di vista organico si trova in una situazione di perfezione
completa, la sua anima sembra essere serena nell’eseguire quella volontà di Dio che è il lavoro, però
riceve da Dio un limite alla sua capacità di decidere, cioè ha una limitazione del dono che Dio gli fa
di essere libero. La libertà, dunque, è limitata e la dipendenza da Dio è continua. Questo però non
significa che l’uomo è schiavo di Dio, ma è un dono: accettare un comportamento che non
travalichi certi limiti; il comandamento deve essere custodito e plasmato così come l’uomo istruisce
tutte le altre creature, l’uomo con la sua responsabilità custodisce la sua stessa libertà. La
disobbedienza del comando ottiene la condizione anomala che Dio non voleva, cioè la rottura delle
giuste relazioni. Adamo non riconosce più come prima la reazione con Dio, con la terra, con la
donna; adesso l’uomo rifiuta la sua dipendenza da Dio (come dice il serpente ad Eva: voi sarete
come Dei, diventerete simili a Dio e Dio è geloso di questa eventuale somiglianza a lui). Una volta
che è rotta la dipendenza da Dio immediatamente la vita dell’uomo che riceve da Dio gli appare
come una forma da cui fuggire, l’uomo crea di darsi autonomamente delle leggi di comportamento e
nel fare questo distrugge tutte le relazioni già esistenti, incomincia così a venir fuori la morte, il
dolore, il disfacimento del corpo. Prima del peccato originale il corpo non si sarebbe separato
dall’anima ma avrebbe raggiunto insieme con l’anima il luogo di Dio, adesso l’uomo sperimenta
l’agonia, la sofferenza, la morte. La morte sarà il momento in cui Adamo ed Eva faranno
l’esperienza di Dio che toglie loro l’alito di vita, vedono allora Dio come anche colui che ritira la
vita. Questi dati fondamentali della Genesi li troviamo in maniera esercitata da Gesù nel Nuovo
Testamento, Gesù è l’uomo profondamente messo in relazione con gli altri uomini. L’esperienza
umana di Gesù si lega immediatamente al mistero della morte, al mistero della disobbedienza di
Adamo ed Eva. Per Gesù di Nazareth l’uomo è l’essere che vive sempre in relazione a Dio; questa
relazione Gesù di Nazareth è venuta a ristabilirla per sempre ed è una forma di relazione simile a

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quella che all’interno della trinità Egli vive da sempre; la relazione del Figlio nei confronti del
Padre, anche l’uomo secondo Gesù vive in una relazione filiale rispetto alla paternità di Dio. Un
figlio però ha sempre bisogno del padre, anche la parabola del figliol prodigo ce lo ricorda; ad un
certo punto nel vertice della sua umiliazione profonda il figliol prodigo riconosce che ha bisogno
per sopravvivere dell’aiuto del padre e ritorna da lui. Quindi il figlio è colui che deve la sua
salvezza al padre, e Dio risponde a questo limite con il dono di tutto quello che gli manca: confronta
il Padre Nostro, qui è compreso tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno per vivere. Inoltre il rapporto
padre-figlio non è solo un rapporto automatico che coinvolge soltanto la consapevolezza etica e
morale della propria dipendenza, ma questo rapporto è segnato profondamente dal sentimento
dell’amore, come il figlio ama il padre e il padre il figlio così ogni creatura umana viene amata da
Dio e invitata ad amare Dio. Questo amore è possibile perché il padre nei confronti dell’uomo vive
di infinita misericordia, scende fino agli abissi del bisogno umano per manifestare come l’amore di
Dio perdona il peccato; comprendere i limiti e sostituirli con atteggiamenti di benevolenza. Quindi
l’intervento di Dio nei confronti dell’uomo è salvifico, questa è la prospettiva nuova che Gesù viene
a portare con la sua incarnazione, quella di salvare l’uomo. Gesù è il salvatore dell’uomo. L’uomo
può comprendere come davanti a sé, a causa sempre del male causato dalla disobbedienza, esistono
delle realtà che lo avvicinano a Dio e altre che allontanano l’uomo dal progetto di salvezza di Dio.
La salvezza della libertà umana consiste in questo dono fatto da Gesù all’uomo: fare in modo che
l’uomo si renda conto che nell’insieme della realtà creata ci sono delle creature che favoriscono
l’incontro con Dio e altre che allontanano l’uomo da Dio. Seguire Gesù il Messia significa avere la
partecipazione con tutto il bene che è ancora nel creato e allontanarsi da tutto ciò che allontana dalla
volontà salvifica. Se il rapporto tra Dio e l’uomo è un rapporto di figliolanza, immediatamente il
figlio guarda ai suoi simili come a dei fratelli perché comprende che sono figli di Dio al suo stesso
modo. Ecco perché Gesù può esaltare tutti i rapporti di perdono, aiuto, amicizia. Per Gesù i fratelli
non sono altro che amici l’uno dell’altro. Per Gesù allora l’umanità è una società di pura
uguaglianza, di totale democrazia tra i figli tutti creati e voluti da Dio. Gesù dice in Matteo 5,48-48
...Padre fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, non amate solo quelli che vi amano, amate i vostri
nemici, siate perfetti come è perfetto il Padre celeste. La perfezione da perseguire a cui ci esorta
Gesù è la stessa che ha sempre vissuto all’interno della trinità; farsi sempre vicino al prossimo. La
dipendenza amorosa che Adamo ed Eva scoprono nei confronti del padre verso di loro sarebbe
dovuta essere la stessa relazione di amicizia, di dipendenza tra di loro che si sarebbero dovuti
incontrare solo per il bisogno di essere insieme. Quattro parole chiavi che troviamo nel nuovo
Testamento per indicare le caratteristiche fondamentali dell’uomo nuovo venuto ad essere ricreato
dal sacrificio di Gesù: Sarx, Soma, Psyche, Pneuma.

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Lezione del 24 Aprile 2018

15. DISCORSO SULL’ANTROPOS NEL NUOVO TESTAMENTO

Vediamo cosa possiamo conoscere dal NT della creatura “uomo”, dell’animale razionale
“uomo”. Come al solito, nella Bibbia non vi è una trattazione sistematica, ma dobbiamo soffermarci
su alcune parole chiave che consentono di capire cosa gli autori neotestamentari intendono quando
usano la parola “anthropos” (“homo”). I quattro punti chiave erano sarx, soma, psychè, pneuma.
1) Per “sarx” si deve intendere anzitutto il “corpo di Cristo”, ma anche “corpo”, “materia” in
generale, e ancora: “carne”, “ossa”, “muscoli”, “tendini”. Si evidenziano poi anche alcune
specificazioni secondarie, cioè che il corpo dell’uomo è soggetto alla fragilità fisica (malattie
fisiche), morale e spirituale (il peccato, la disobbedienza, la sofferenza morale, psichica,
psichiatrica). Ultima indicazione riguardo questo corpo debole, avviato al disfacimento, è quella
che tale corpo può essere quella parte dell’uomo che si può mettere in contrasto con Dio,
quell’elemento attraverso cui l’uomo sperimenta l’abbandono da parte di Dio, la sparizione del
legame con Dio.
2)“Soma” indica invece la parte esterna dell’uomo, ma anche la soggettività dell’uomo (cioè
l’uomo come soggetto, come persona adulta e responsabile), la sessualità diversa tra uomo e donna,
e anche le opzioni fondamentali della persona verso il bene o verso il male, cioè verso la vita o
verso la morte spirituale.
3) “Psychè”, che solitamente si traduce con “anima”, sta a indicare la vita profonda dell’uomo, il
principio che da’ vita e vivacità al semplice corpo umano sensibile ed esteriore (soma). Equivale
all’ebraico “nefèsh”, il soffio vitale che viene ispirato da Dio nelle narici di Adamo perché la
creatura diventi vivente, viva.
4) “Pneuma” è la parola più interessante del NT e più problematica, perché risulta sempre difficile
la sua traduzione nei contesti in cui è utilizzata. Il termine può essere infatti utilizzato con la lettera
iniziale maiuscola o minuscola, per indicare rispettivamente lo Spirito di Dio (ambito trascendente)
e quello che in ebraico si indica con “ruah”, che è invece il luogo dei sentimenti, l’attività spirituale
più alta dell’uomo, cioè quel’attività dell’anima che eleva l’uomo in direzione verticale verso il
mondo divino. Da quest’ultimo punto di vista, pneuma è l’esatto contrario di sarx, che oltre a
significare corpo, significa anche “carne”, “ossa”, “muscoli”, “tendini”, “parti del corpo”, tutto
destinato alla malattia e a disfacimento. Il termine pneuma sottolinea invece l’eternità dell’essere
uomo. Nell’uomo non c’è solo qualcosa che deperisce, ma anche qualcosa che dura in eterno.

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Tutti questi termini sopra indicati ricorrono sempre nel quadro più vasto di una relazione dell’uomo
con Dio e con le altre creature che lo circondano. L’uomo ha una relazione privilegiata con Dio,
grazie all’intelligenza, alla libertà e alla volontà.
L’antropologia teologica è particolarmente fortunata perché possiede come dono della Rivelazione
il modello tipico e particolarmente perfetto di uomo che è Gesù Cristo, il Figlio di Dio incarnato, il
nuovo Adamo o secondo, ultimo Adamo. Paolo mette in parallelo il vecchio Adamo e il nuovo
Adamo che è dovuto intervenire quando l’uomo con il peccato originale ha distrutto, o macchiato o
indebolito l’immagine e la somiglianza di Dio che gli erano stati conferiti al momento della
creazione. Il primo Adamo non ha raggiunto il fine di essere una perfetta immagine e somiglianza
di Dio. Il Figlio dell’uomo, invece, realizza questo progetto divino. Il vecchio Adamo non aveva
ottenuto la possibilità di salvarsi, cioè di entrare nella vita comunionale con Dio. Gesù Cristo ha
raggiunto invece tale fine, cioè Egli può mettersi in relazione con il mondo di Dio e quindi può
portare la salvezza, la vita eterna insieme con Dio, la benedizione eterna vicino a Dio e non la
maledizione eterna lontano da Dio.
Gesù non solo ricostituisce il primo Adamo peccatore, ma lo eleva molto di più, perché gli da la
possibilità di una vita diversa, veramente nuova e più alta rispetto a quella che aveva
originariamente nell’Eden. Gli dà direttamente, senza aspettare la morte, la possibilità di essere
salvo e di mettersi in salvo sotto l’ombra di Dio, nel rifugio dell’Altissimo.
Il vertice della Rivelazione di Cristo come nuovo Adamo avviene nel Mistero Pasquale, dove
veramente il vecchio Adamo viene distrutto e il nuovo Adamo risorge per sempre. E proprio a
partire dal mistero pasquale e dalla risurrezione si comprende come l’opera della salvezza di Cristo
è iniziata fin dalla sua incarnazione, fin dal suo apparire nel genere umano sulla terra. In questo
modo, nell’incarnazione del Figlio di Dio, il divino e l’umano si sono incontrati. Il divino scende
nell’umanità e l’umanità si eleva a Dio attraverso il Figlio incarnato. Gesù, allora, come Logos,
Parola e Pensiero del Padre, è il mediatore trascendente tra l’uomo e Dio. Tale connubio e tale
mediazione di Cristo tra Dio e l’uomo si riflette attraverso la trama delle relazioni tipiche di Cristo,
che diventano modelli delle relazioni umane. Quali sono tali relazioni tipiche presentate da Cristo
come modelli delle relazioni umani? Anzitutto Gesù Cristo, Il Figlio di Dio è rivolto al Padre, pur
rimanendo integralmente libero nei confronti del Padre. Egli compie la volontà del Padre perché
vuole obbedirgli, non perché è costretto dal Padre a obbedirgli. Si incarna per una sua propria e
individuale, soggettiva e libera obbedienza. È una obbedienza libera dalla necessità. In secondo
luogo, Gesù vive la sua relazione con gli altri uomini simili a lui e qui si manifesta la mediazione
del Gesù Salvatore. Relazionandosi agli altri uomini simili a lui, Gesù li mette in condizione di
comunicare tramite lui con il Padre. Si fa mediatore per tutti gli uomini. Egli preferisce le categorie

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più basse del ceto popolare, quelle categorie più assoggettate alle potenze umane, quelle categorie
che più vivono situazioni di sofferenza, emarginazione, morte. Sono queste categorie che Gesù più
vuole attrarre nella sua propria vita per presentarle liberate al Padre.
Oltre alle relazioni col Padre e alle relazioni con i suoi simili in determinate condizioni sociali,
Gesù instaura poi anche in terzo luogo relazioni col mondo più in generale, sia con il mondo
creaturale (le creature: fauna e flora), sia con il mondo sociale (mondo inteso come società umana).
Da questo punto di vista, Gesù è esattamente l’opposto di Giovanni il Battista. Il precursore della
Salvezza non è uguale al Salvatore. Il Battista vive solitario nel deserto con una vita austera. Gesù
vive invece profondamente nel mondo e vive le relazioni all’interno della società umana, anche
secondo la strutturazione della società in gerarchie sociali e di potere (folle emarginate dei giudei,
autorità religiose del popolo ebraico, autorità politiche).
Gesù conosce molto bene i meccanismi della natura e li sa vedere come espressione della
magnificenza del Padre.
Gesù è modello per tutti gli uomini che vogliono essere veramente umani e liberi. Il punto apice in
cui Gesù esercita la sua libertà è nell’Orto degli Ulivi, quando non condizionato da alcuno decide di
donare la propria vita e avviarsi al sacrificio finale (“Io do la vita a me stesso e me la tolgo. Non è
altri che me la tolgono. Io stesso me la tolgo e me la riprendo”). La libertà di Gesù, del Figlio di
Dio, è estesa a tutta la sua vita ed è una libertà vissuta nei confronti del Padre in modo particolare. E
poi anche in confronto a tutta l’umanità nella misura in cui Gesù vuole essere libero di essere il
Salvatore degli uomini, colui che li libera dal peccato.
Se Gesù è l’esemplare dell’uomo perfettamente compiuto e realizzato, allora la vita di un cristiano,
del discepolo, del seguace, non è altro che l’approssimazione progressiva, ogni giorno sempre di
più, verso il modello “Cristo”. La sequela di Cristo è l’assimilazione progressiva da parte del
singolo degli stessi sentimenti e comportamenti di Gesù.
Il terzo versetto della Lettera agli Ebrei dice che Gesù è la irradiazione della gloria del Padre, la
luce del Padre, lo sfolgorio dell’essenza del Padre, impronta della sua sostanza. Avanzare nella
sequela di Gesù comporta quindi avvicinarsi sempre più alla figura del Padre, modello principale
della stessa figura di Gesù. Gesù quindi è anche dal punto di vista soteriologico il mediatore nei
confronti di Dio Padre, nel senso che tutti gli uomini sono chiamati ad essere immagine e
somiglianza di Dio Padre attraverso la mediazione di Gesù.
La perfetta assimilazione al modello prototipico di Gesù si avrà solo nella Parusia, quando il Figlio
di Dio tornerà, farà risorgere i morti e darà il suo giudizio a coloro che si sono avvicinati di più al
modello cristologico e teologico e a coloro che non ci sono arrivati o addirittura che hanno rifiutato
il cammino di assimilazione. La Parusia sarà sì l’evento più grande della misericordia e della grazia

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di Dio, che raccoglierà tutto il bene del mondo, ma proprio perché è misericordia e giustizia
evidenzierà pure coloro che hanno rifiutato con la stessa volontà e libertà che Dio ha dato loro la
possibilità di rispecchiarsi nel volto di Dio e ciò comporterà che non potranno più farlo. La
soteriologia e l’escatologia devono mantenere tale distinzione di giudizio sia verso l’eterno bene, sia
verso l’eterna ombra/lontananza. Ciò è richiesto dalla misericordia e dalla giustizia di Dio.
L’uomo, poiché è escatologicamente proteso ad essere conforme all’umanità di Gesù vuol
dire che è anche conforme all’immagine iniziale di Gesù. Si ha cioè una convergenza piena della
escatologia e della protologia di Cristo. Così come Cristo apparirà come un modello nell’ultimo
giorno, così è anche un modello all’inizio della sua vita in mezzo agli uomini, al momento
dell’incarnazione.
Quello che bisogna tenere in considerazione riguardo la protologia, cioè riguardo la presenza
salvatrice di Gesù non solo alla fine dei tempi, ma anche all’inizio della sua vita, è che
nell’incarnazione non ci sono dualismi tra la divinità e l’umanità, ma che convergono invece
nell’unica persona del Verbo senza separazione, né confusione. Si può parlare di “scambio
salvifico” operato da Gesù Cristo, nel senso che l’opera di salvezza ottenuta da Cristo
immediatamente si riversa sulla massa dei peccati degli uomini e la distrugge. Il Figlio di Dio
diventa uomo perché tutti gli uomini possano diventare come Dio. L’incarnazione e il mistero
pasquale, incluso l’ascensione, non sono solo la manifestazione delle infinite capacità di Dio di
creare e di incarnarsi, e neppure come voleva l’idealismo, cioè manifestazioni di un ampliamento
della conoscenza da parte di Dio di se stesso attraverso l’assunzione della natura umana. Modello
idealistico: Dio cresce nella storia, avanza nella conoscenza di sé stesso e raggiunge la pienezza
della conoscenza di sé stesso quando si riversa nell’altro da sé, nel mondo, nella terra, nella morte.
Se così fosse, allora l’incarnazione del Figlio è un atto che riguarda solo la vita di Dio, l’evoluzione
della vita di Dio in Dio e per Dio. Mentre invece, dal punto di vista della fede, l’incarnazione del
Figlio è un evento destinato a ripetersi e ad accadere in ciascun credente.
Lo sviluppo antropologico non serve a Dio per conoscere sé stesso, ma serve al mondo e agli
uomini per elevare se stessi. Il raggiungimento del fine ultimo dell’assimilazione a Cristo introduce
la terza Persona della Trinità, lo Spirito Santo, che realizza l’unione con Cristo e la somiglianza
dell’uomo con Dio.
Lo Spirito Santo interviene come Spirito creatore a realizzare l’unione del singolo con il Cristo e
attraverso Cristo col Padre. Ci troviamo di fronte a una interpretazione e visione essenzialmente e
completamente trinitaria della natura dell’uomo, dell’evoluzione dell’uomo. Gesù Cristo uomo-Dio
rende l’uomo simile a se e quindi simile al Padre. Padre e Figlio insieme guidati e ispirati dallo
Spirito Santo realizzano nell’uomo il suo essere immagine e somiglianza con Dio. Solo lo Spirito

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Santo può mettere l’uomo in relazione con Cristo. La stessa incarnazione è venuta attraverso l’opera
dello Spirito Santo, Spirito di vita. Ciò significa che l’iniziativa della fede non avviene mai per
nostra semplice iniziativa. La salvezza non è mai un’autoredenzione, ma è Dio che invita l’uomo
all’interno della sua coscienza a cercarlo. La fede è un dono di Dio.
Seguire l’esempio di Cristo non vuol dire vivere esattamente come Cristo ha fatto duemila anni fa.
Questa visione è tipica dei movimenti evangelici letteralisti, che pretendono di poter imitare la
forma di vita di Gesù così come si è sviluppata all’epoca di Gesù (movimento francescano inteso
alla larga, che porta avanti il modello di sequela letterale del Vangelo di Gesù per rendere l’uomo il
più possibile simile a Cristo. L’esempio di S. Francesco e le sue stimmate è il punto più alto che ha
raggiunto un uomo di assimilazione a Cristo). Proprio attraverso la vivacità dello Spirito Santo, il
Vangelo va continuamente attualizzato nelle attuali circostanze storiche della vita del credente.
Questo processo di storicizzazione della sequela di Cristo può avvenire sotto due aspetti: primo,
sotto l’aspetto spirituale della guida dello Spirito Santo di cui già si è parlato; secondo, sotto
l’aspetto ecclesiologico, perché è all’interno della Chiesa che è custodito il modello di Cristo, esiste
cioè un popolo che è la Chiesa, costituito sul modello di Dio tramite i Sacramenti e la Parola. Il
cammino di perfezionamento sul modello di Cristo del singolo non può avvenire individualmente e
in maniera isolata, ma all’interno della Chiesa.

16. DATO STORICO TEOLOGICO DEL MODELLO DI CRISTO NEI PADRI DELLA CHIESA

Dal lato biblico ci spostiamo ora sul lato storico-teologico. Sin dai primi anni del Cristianesimo ci si
era posti la domanda su come estendere a tutti i popoli il modello di Cristo, non solo quindi alla
mentalità giudaica, ma anche ellenistico-romana. Vi erano due problemi: il problema della prassi
della carità, in particolare verso i problemi economici e sociali delle vedove e degli orfani; il
problema di rendere ragione della Chiesa e della fede di fronte alla cultura del tempo. L’attenzione
solo alla prassi avrebbe confinato la Chiesa solo in un ambito filantropico, insieme di uomini e
donne benestanti che aiutavano e difendevano i poveri. Bisognava invece far capire cosa volesse
dire il Cristo a sé stessi, cioè agli apostoli, cosa significavano le parole e i fatti di Gesù per quei
testimoni che lo avevano visto e che avevano avuto a che fare con lui. Bisognava spiegare
l’incarnazione, la resurrezione, specie in ambito ellenistico dove vi erano molti miti e culti
misterici. Occorreva un linguaggio adeguato dal punto di vista intellettuale. Ecco che l’opera di
riflessione dei primi Padri della Chiesa sulla categoria “uomo” è stata determinante per la
costruzione teologica dell’argomento “uomo”, cioè dell’antropologia teologica.

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Fin dal I sec. d.C. i Padri sono fedeli al dato biblico e la loro antropologia è concentrata sul
commento a Genesi 1-2. Il grande antagonista degli sforzi dei Padri a partire dal I-II sec. d.C. era lo
gnosticismo, forma di religiosità elitaria basata sul dualismo teologico e sul disprezzo di tutto ciò
che non era spirituale, razionale, intellettuale (auto-salvazione che riguardava i singoli uomini).
Clemente di Alessandria è il grande Padre che nel II-II sec. d.C. cerca di utilizzare la parola
“gnosi” per indicare la Rivelazione cristiana e per indicarla come mistero assolutamente superiore a
tutte le altre forme di gnosi (misteri gnostici) della società greco-ellenistica del tempo.
Del resto, Giustino, Padre Apologista vissuto un secolo prima di Clemente, già utilizza il termine
“Logos” per indicare il modello dell’uomo. Il modello dell’uomo non è il Verbo incarnato, ma il
Verbo eterno, appunto il Logos. Per Giustino, nell’uomo l’anima e il corpo non si possono separare,
anima e corpo sono stati creati a immagine e somiglianza dell’unico Dio che secondo la Rivelazione
di Cristo vive in una tripersonalità trinitaria.
Tornando a Clemente di Alessandria, con lui e con tutti gli altri Padri alessandrini si parte dal
concetto che le anime sono la parte migliore dell’uomo, proprio come affermavano gli gnostici, ma,
dice Clemente, anche il corpo creato direttamente da Dio secondo i capitoli 1 e 2 di Genesi (nei
racconti della creazione) ha un suo valore, non è semplicemente destinato alla putrefazione nel
sepolcro. L’uomo riceve l’anima razionale, l’anima superiore, non quello spirito vitale che vi è
negli altri esseri animali che hanno una sorta di istinto ragionevole. L’anima che riceve l’uomo da
Dio è l’anima più elevata di tutte le specie animali, è l’anima capace di mettersi in relazione diretta
con Dio attraverso lo Pneuma, lo Spirito Santo. L’uomo è in perenne tensione verso la completezza
totale, che secondo Clemente avviene non solo alla fine dei tempi; ma già quando il credente, il
fedele inizia il programma/progetto di vita di sequela di Cristo, si realizzano i primi germi della
trasformazione dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio. L’uomo raggiunge Dio attraverso
Cristo già su questa terra. Il nous, l’intelligenza serve a dare al corpo dell’uomo un valore, perché
tale corpo è portatore appunto di tale intelligenza. Per Clemente non esistono anime intelligenti che
sono preesistenti rispetto al corpo. Il corpo è animato da Dio ispirando nelle narici un’anima
intelligente. Il corpo diventa abitazione dello Spirito di Dio.
Il Padre, o meglio lo scrittore ecclesiastico più lontano dalle linee tradizionali del primo
pensiero cristiano è Origene, il cui pensiero è stato influenzato dal medio e neo-platonismo, per cui
contro l’idea di Clemente alessandrino dice che le anime sono preesistenti, ma secondo diversi
gradi. Ci sono anime migliori e anime che degradando in virtù conoscitive e morali discendono
sempre di più, facendosi sempre più deboli, decadute, mortali, malvagie. Ad incarnarsi nel corpo è
sempre un’anima decaduta, che nella sua vita preesistente si è allontanata dal modello divino. Tale
tipo di anima ha sempre un nous debole, ferito, incapace di rapportarsi direttamente con Dio come

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quando preesisteva nel mondo delle idee all’origine della sua creazione. Ecco allora che per
punizione tali anime sono gettate nei corpi come in una prigione da cui devono liberarsi. Gesù
diventa il modello per tali anime perché durante tutta la sua vita si è liberato dal suo corpo,
disprezzandolo, fino alla morte di croce. Origene quindi ha una visione negativa del corpo come
manifestazione di un’anima debole, peccatrice. Gesù stesso è inteso come liberatore
dell’intelligenza dell’uomo dalla forza costringente del carcere costituito dal corpo umano.
Tra i Padri della Chiesa è importante poi la figura di Agostino. La figura dell’uomo per
Agostino è importante perché attraverso la conoscenza di Cristo possiamo arrivare a comprendere la
natura di Dio (la linea di pensiero agostiniana è: conoscere le creature e la loro essenza per
conoscere il Creatore e la sua natura sovraessenziale). Secondo la creazione, l’uomo riceve assieme
anima e corpo, ma ciò che fa dell’uomo un essere perfettamente riuscito è la sua somiglianza con
Dio, seppure sembra che talvolta Agostino voglia limitare la somiglianza con Dio solo all’anima,
facendosi in qualche modo condizionare dal pensiero gnostico. È vero che Agostino poche volte
svaluta il corpo come essere creato da Dio, ma certamente Agostino pensa che all’interno del
composto umano l’anima ha una preferenza nei confronti di Dio, perché solo l’anima può mettersi
in relazione con lui attraverso l’attività dello spirito.
Per comprenderne l’idea di uomo, occorre ricordare che Agostino prima di convertirsi al
cristianesimo era manicheo e da un punto di vista culturale era fortemente influenzato da un
dualismo di stampo neoplatonico. Quindi la sua sensibilità è molto sbilanciata sotto l’aspetto
spirituale che si riferisce all’interiorità, tanto che la sua antropologia è detta dell’interiorità
agostiniana.
Pur se in vari aspetti sembri così sbilanciato verso l’elemento spirituale da trascurare
l’unitarietà dell’uomo, in realtà Agostino non definisce mai l’uomo ma lo descrive sempre in
relazione al suo fine, che è Dio, per cui l’antropologia di Agostino punta maggiormente su ciò che
l’uomo deve essere in relazione a Dio, piuttosto che su quello che effettivamente è.
In questo riferimento a Dio, Agostino pensa l’anima dell’uomo a immagine della Trinità, come
memoria, intelligenza e volontà (mens, notizia, amor). La memoria dice relazione al Padre;
l’intelligenza dice riferimento a Cristo che è la notizia del Padre; la volontà dice l’uomo in
riferimento allo Spirito. In tal modo l’uomo è descritto in chiave trinitaria, in un riferimento storico-
salvifico che raccorda il discorso sulle origini con la salvezza che si compirà nel futuro.
Sembra che Agostino metta in contrapposizione tra loro la ragione e la corporeità dell’uomo, specie
quando riflette sulla concupiscenza come residuo del peccato originale e forza negativa che tende ad
allontanare l’uomo da Dio. Ciò non vuole però dire che la concupiscenza è peccato, ma è solo una

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spinta al peccato che l’uomo può vincere. È quindi una sorta di test per la vita spirituale e
intellettuale dell’uomo.
In definitiva, tutto il pensiero di Agostino si muove come su un’altalena tra volontà di
fedeltà ai dati biblici e spinta a lasciarsi influenzare dalle teorie filosofiche, in particolare dalla
gnosi pagana e dal neoplatonismo di cui si è abbondantemente servito agli inizi della sua attività
teologica.
All’apice del pensiero medievale troviamo Tommaso d’Aquino, che vuole muoversi all’interno
della tematica svolta dai Padri: dualismo e domanda se tra corpo e anima ci sia differenza di
importanza. Da un lato Tommaso vuole salvare l’unità dell’uomo così come ce lo presenta la
Bibbia; dall’altro, Tommaso deve affrontare ancora una volta il dualismo che si presenta sotto la
forma delle eresie dell’epoca medievale (catari, albigesi). Questo problema del dualismo tra Bene e
Male, corpo e anima, rimane nel Medioevo ancora un dibattito aperto. Con la sua opera, in
particolare con la Quaestio disputata “De Malo”, Tommaso vuole raggiungere un giusto equilibrio,
sano e conforme ai dati biblici, tra ciò che nell’uomo è fede, spinta verso Dio, e ciò che nell’uomo è
ragione, capacità di ragionare, esprimere razionalmente opinioni sull’uomo senza fondarsi su alcun
dato rivelato.

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Lezione del 27 Aprile 2018

17. PROBLEMATICA SUL RAPPORTO ANIMA E CORPO

A causa del platonismo diffuso e persistente nella teologia classica Cattolica, anima e corpo
venivano visti su due piani diversi. Anima come essere privilegiata e dotata di capacità
soprannaturali, anche quella di raggiungere Dio dopo la morte; mentre il corpo come elemento
secondario destinato alla consumazione sottoterra dopo la morte. L'idea di una resurrezione veniva
lasciata piuttosto all'ombra e questo significa che il mistero pasquale, il Cristocentrismo non era
molto presente su questa posizione teologica.
Tommaso invece cerca di superare definitivamente questo dualismo platonico. Si nota che
Tommaso si allontana dal platonismo ancora presente nel progetto antropologico della teologia
classica e interviene introducendo le intuizioni di Aristotile.
Infatti lo fa ispirandosi alla teologia del sinolo aristotelico: il sinolo è una sostanza formata sempre
da due elementi concorrenti: materia e la forma, atto e potenza. non si dà atto senza potenza o
viceversa. non si da materia senza forma e viceversa. Non si ha essenza ed esistenza l'una differente
dall'altra. Tutta le realtà sono costituite da doppi elementi metafisici anche laddove la differenza,
dal punto di vista naturale, biologico e sensibile, non vediamo. Dal punto di vista metafisico è
indispensabile secondo Aristotele, pensare tutta la realtà in questa maniera dualistica ma non
distinta come pensava Platone ma profondamente unita.
Tommaso distingue tra Entia quei ed Entia cuius
Entia quei sono degli enti che vivono isolatamente uno dall'altro, ciascuno con la propria
materia e forma. Si incontrano senza fondersi.
Entia cuius sono degli enti i quali convivono con la loro complessità tra materia e forma e
concorrono, convergono nella produzione di un terzo essere, si fondono.
Sulla base di questo terzo principio, Tommaso afferma che anima e corpo sono due entia
cuius. Anima è la forma del corpo è quell'elemento metafisico che dà vitalità a un corpo anonimo,
cioè lo fa diventare un essere vivente, un uomo. Il corpo a sua volta è la determinazione in principio
di insinuazione dell'anima, cioè il corpo ha delle sue caratteristiche particolari perché è formato
dalla dalla sua materia, e riesce a fare un imprinting, una pressione sull'anima affinché l'anima si
adatti alle caratteristiche naturali essenziali di quel corpo. Anima e corpo sono due enti
completamente individuali, compiuti in sé stessi, ma che hanno la capacità di fondersi e collaborare
nella formazione di un terzo elemento: l'uomo, l'umanità, il singolo individuo. È evidente che dal

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punto di vista empirico non è possibile distinguere l'anima dal corpo, questo appartiene
all'osservazione dal punto di vista metafisico.
Da questo punto di vista queste tesi di Tommaso trovarono resistenze nelle università cattoliche
soprattutto Parigi.
Obiezione principale è che tra corpo e anima esisteva una differenza talmente profonda che l'anima
non poteva diventare la forma del corpo, perché l'anima era una realtà soprannaturale provenite
direttamente da Dio, mentre il corpo era un elemento totalmente materiale, terreno soggetto alle
mutazioni della materia, se l'anima era immutabile il corpo era mutevole dal momento che nasceva
fino alla morte, un continuo cambiamento.
Quindi, ritenevano che l'anima essendo elemento proveniente da Dio era impossibile che si unisse
con tanta facilità ad un elemento materiale destinato a finire.
Il primo francescano che interviene è Pier Giovanni Olivi. (1248-1298). Il concilio di Vienne
(1311/1312), condanna questa opinione, ma non riesce a fermare la posizione ancora dualista di
Olivi. Si continuava a pensare non solo ad una incongruità e differenza cosi profonda tra anima e
corpo, ma si iniziò a pensare che le diverse età dell'uomo i diversi cambiamenti nell'entità uomo
fosse determinato da una particolare anima speciale. Ogni cambiamento dell'uomo era determinato
da una specifica anima soffiata direttamente da Dio. Un'anima generale che determinava esistenza
di una persona umana ma non bastava questa anima generale e totale a dirigere i vari momenti dei
mutamenti del corpo, perché si potessero effettuare questi mutamenti c'era bisogno della presenza di
altre anime, quindi, di una molteplicità di anime. Queste anime o forme del corpo si integrano e si
completano a vicenda fino alla forma totale, quindi possiamo dire, che nell'uomo troviamo un'anima
vegetativa, un'anima sensitiva, un'anima intellettiva. La vera forma del corpo non era questa anima
generale ma le anime parziali che hanno contribuito alla perfetta maturazione dell'individuo umano.
Il concilio di Vienne bandisce questa tesi ritenendola eretica e ritiene che una sola è l'anima
dell'uomo, ponendo fine al dibattito della distinzione tra anima e corpo: Unità di anima nell'unità
del corpo.
L'anima umana presente nell'uomo è insieme sostanza di tipo intellettivo razionale e in
questo suo essere intellettivo razionale riesce a guidare tutti i vari momenti della trasformazione del
corpo e proprio questa sostanza formata pienamente completa in se, che l'anima può dare al corpo
una perfezione temporanea che si sviluppa nel tempo ed è di natura intellettiva: ha una propria
mente, una propria razionalità, ha un suo intelletto che comprende e conosce tutte le cose, conosce
le necessità del corpo soprattutto quella di non fermarsi ad una determinata età della vita ma di
progredire nel suo sviluppo verso la perfezione della sua esistenza. Di questa definizione, ciò che è
importante e che si facesse riferimento anche se debolmente al modello Cristologico. Come in

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Cristo troviamo la natura umana e natura divina, in un'unica persona, cioè quella del figlio, cosi
all'interno dell'uomo si aveva semplicemente un'anima intellettiva di natura razionale che non
necessitava di altre presenze soprannaturali per completarsi. Come in Cristo le due nature non
convivevano e non si scontravano l'una contro l'altra ma invece, collaboravano insieme, cosi
all'interno del composto uomo, la materia del corpo e la forma dell'anima concorrevano insieme alla
costituzione dell'uomo perfetto.
Questa conclusione è molto vicina alle posizioni di Tommaso, anche se verrà sempre
guardato con un certo sospetto perché colpevole di utilizzare la teoria aristotelica che a quel tempo
veniva colta molto lontana dalla teologia cattolica tradizionale.
Per un motivo particolare che questi testi di Aristotele erano venuti in occidente direttamente
non dalla Grecia ma dalla Spagna occupata dagli arabi, (in questo periodo ci troviamo tra l' 800 e
/1000) la cultura ebraica sente una spinta profonda ad integrare dentro di sé la cultura ellenistica
greco romana, per dare un sostegno intellettivo e culturale al movimento solo religioso
dell'islamismo. Avendo occupato la citta di Alessandria con la sua ricca biblioteca gli arabi
trasportano tutto a Siviglia dove esistono dei laboratori di traduzione che traducevano i testi greci
dall'arabo, e dall'arabo li ritraducevano in greco e anche in latino, dando loro una caratterizzazione
religiosa di tipo islamico, cioè, presentandoli alla luce la visione di un tipo di Dio unitario e unico.
Se accogliamo questa interpretazione islamizzata ci troviamo a trattare con testi nei quali il mistero
della Trinità e completamente disatteso, allora è necessario ancora una volta interpretare Aristotele
in una maniera differente, non islamizzata ma cristiana Trinitaria. Questo avvenne quando il
problema della unità tra anima a e corpo messo ormai a tacere dopo il concilio di Vienne, si
incontra con la nascita di un nuovo problema inteso a determinare la trinitarizzazione
dell'antropologia teologica già in età medioevale, cioè ad integrare il modello antropologico con
quello profondamente teologico ed evangelico della Trinità.
Nel concilio di Costantinopoli era terminato il lungo sviluppo che nei primi tre quattro3/ 4
secoli dell'era cristiana avevano visto determinare l'idea che il Dio cristiano era caratterizzato da
una unità di natura e Trinità di persona. In questo modello, politeismo e monoteismo, venivano
compiutamente perfettamente integrate l'una nell'altra.
Le discussioni teologiche in tema della persona si trovano davanti nuovamente il problema
della personalità dell'uomo, proprio davanti alla seconda fase della riflessione sul composto uomo
una volta concluso o messo in secondo piano il problema tra anima e corpo.

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18. CONCETTO DI PERSONA

Che cosa si determina dopo che anima e corpo si sono profondamente unite e hanno formato un
individuo che noi chiamiamo uomo? Non si trovo nessuna risposta migliore che quella di definirlo
Persona. Ma cosa volevano intendere?
Il primo filosofo-teologo che azzardò in una prima distinzione del termine persona fu Severino
Boezio: "razionalis nature individua substantia". La persona è costituita prima di tutto da una
natura razionale e da una naturalità dell'intelletto. Questa natura razionale è sostenuta da un ente che
è individuale, cioè è persona e quindi ogni natura razionale e distinta dall'altra perché sostenuta da
una sostanza diversa, cioè da corpo e anima differenti. Boezio sottolinea innanzitutto la razionalità,
la capacita di pensare di conoscere metafisicamente l'uomo e l'altra preoccupazione, era quella di
sostenere che la sostanza dell'uomo è individuale, speciale e non si può dividere dal punto di vista
empirico.
Questo viene leggermente modificato dalla definizione di Aurelio Cassiodoro. Parla di persona
come "substantia razionalis individua". Pone l'accento in modo particolare alla sostanzialità
dell'anima. L'anima è una sostanza, un essere completamente autonomo capace di conoscere con la
ragione, ha un intelletto che è razionale. Ogni sostanza razionale presente nell'uomo è
specificamente diversificata l'una dall'altra e individuale, cioè precisamente differente dall'altra.
Tommaso ripensa la definizione sia di Boezio che Cassiodoro e la modifica, in senso molto
soggettivo. La persona è il "subsistens in razionali natura". La differenza sta nel subsistens che
viene a sostituire nella definizione di Boezio substantia e nella definizione di Cassiodoro substantia
individua. Substantia è un termine soggettivamente neutro, cioè non parla di un essere vivente ma di
una entità metafisica, quindi Tommaso utilizzando subsistens parla di un individuo vero e reale.
Quindi è una soggettivizzazione profonda del concetto di persona. Questo soggettivismo vive di
pensiero, questo essere perfetto in sé e già sussistente ha la necessita di manifestarsi attraverso la
sua natura ragionevole. Quello che manca in questa visione è il riferimento ad una caratteristica
importante dell'uomo, che è la capacita di relazionarsi l'uno con l'altro. Questa mancanza di
relazionalità venga completata di un'altra definizione di persona, cioè quella di Riccardo di San
Vittore. Parla della persona come "incommunicabilis existentia": le capacita personale della
esistenza di ciascuna persona e talmente singola, precisa e ben definita che non si può traferire in
un'altra persona ma rimane caratterizzata dalle sue peculiari capacità e dalle sue specialità.

Nella teologia trinitaria di Tommaso le tre persone sono identificate come in relazione
sussistente (relatio subsistens) una relazione che è pure esistenza in sé, relazione assoluta, completa.

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Tutta la storia della antropologia teologica finisce con un deficit cristologico. Il Mistero Pasquale
non viene assolutamente considerato come una manifestazione della Trinità del Dio predicato da
Cristo. Tommaso riesce ad arrivare con le sue puntate metafisiche altissime sulla teologia Trinitaria
ma non tiene conto di come il Figlio di Dio è venuto a portare sulla terra l'immagine e del modello
della Trinità e quindi della relazione perfetta dell'uomo con i suoi simili.
Cosa accada quando dopo il Medioevo si esalta fortemente nell'umanesimo e nel rinascimento la
personalità individuale dell'uomo, come perfetta creatura a prescindere dall'imitazione di Cristo?
Allora, nell'umanesimo e nel rinascimento si esaltano la figura del soggetto, dell'uomo individuale
come soggetto autonomo e libero. Questo doveva essere specificato meglio nella teologia
medioevale: la libertà dell'uomo, la volontà di scegliere e la relazionalità.
Nelle scienze umane nell'età moderna collocano l'uomo all'interno della sua realtà materiale,
cioè, viene guardato soltanto all'interno del mondo sensibile, misurabile, del mondo osservabile sia
con i sensi del corpo sia con gli strumenti che la tecnica la quale permette di osservare meglio i
fenomeni umani. Resta sempre chiaro che la complessità dell'uomo sfugge ad una determinazione
specifica, non esiste nessun filosofo o intellettuale dell'epoca moderna che possa in maniera
unificata, completare tutti i vari tasselli che servono per determinare una delle espressioni
dell'uomo. In modo particolare, l'età moderna, è caratterizzata dalla svolta antropologica: al centro
dell'uomo c'è il mondo, che ruota intorno ad esso. Ma rimane anche estranea, alla tradizione
ebraica-cristiana che non può dare il suo contributo alla figura dell'uomo centro dell'universo, così,
come Cristo dovrebbe essere al centro dell'universo. Cristo viene messo soltanto al centro o a capo
della Chiesa: c'è una differenza tra Cristo che opera nella Chiesa e quello che invece è il Mondo.
Cristo, Dio e la Trinità vengono contemplati soltanto in maniera teologica o devozionale, non
vengono messi a contatto con le teorie del mondo, con le opere dei filosofi, con il cartesianesimo o
kantianesimo, quest'ultime considerate soltanto come pensieri profani che non potevano adombrare
le rivelazioni contenute nella Bibbia. Quel po' di antropologia che si riesce a fare è quella
proveniente dai vangeli e dalle speculazioni trinitarie di Tommaso d'Aquino che si impone come
autore definitivo al di là del quale non si tenta nessuna opera di ammodernamento e di
aggiornamento.
L'uomo per l'intellettualità "l'intelligentia" umanistico rinascimentale è soltanto un essere
naturale dotato dalla natura di qualità speciali che lo pongono al di sopra di essa. È proprio a cavallo
tra il XVI e il XVII secolo che nasce il termine "antropologia" come studio della natura umana, che
però rimane incerto dal punto di vista epistemologico, cioè non si riesce a capire in quale delle
brache della scienza si può collocare l'individuo uomo: quest'ultimo si può conoscere dal punto di
vista filosofico, morale, metafisico, fisico, culturale, della religione e della razza. Tutto quello che si

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sarebbe dovuto attingere dalla rivelazione cristiana viene abbondantemente escluso. La
contemporaneità che proviene dalla speculazione naturalistica dell'uomo conosce un'interessante
novità: l'esistenzialismo di Heidegger e la fenomenologia di Husserl.
L'esistenzialismo di Heidegger ci presenta un uomo debole, in cui l’esistenza corre verso la
morte. L'uomo non ha davanti all'essere nessuna possibilità di comprensione, ma ne viene
lentamente distrutto.
La fenomenologia di Husserl ci presenta l'uomo soltanto come fenomeno da intuire, non da
conoscere con i mezzi della ragione, ma da intuire con i mezzi della compassione e della empatia.
Solo se l'uomo si sarà fatto empatico nell'altro, entrerà nella vita dell'altro, allora si può dare la
definizione di uomo. Ma poiché l'altro sarà sempre diverso allora resta sempre difficile dare la
definizione di uomo.
Quindi possiamo dire, che nell'età contemporanea quello che affascina la cultura è la capacita di
utilizzare i nuovi mezzi e le nuove tecnologie per studiare alla meglio la parte esteriore e interiore
dell'uomo: senza parlare di più della categoria anima, cioè, di sostanza propriamente voluta da Dio.
Le biotecnologie e le neuroscienze dominano sul panorama delle scienze umane. Dovrebbero essere
delle sfide in positivo per il pensiero teologico, proprio per cercare di ampliare gli orizzonti sulla
natura della persona umana. Una vera svolta antropologica in teologia incomincia a meta del XX
secolo. Il pensiero innovatore di Karl Rahner che permette di parlare nella teologia cattolica
tradizionale di svolta antropologica, cioè di messa al centro dell'interesse dell'uomo che vive nel suo
ambiente vitale. Punto di partenza è appunto l'analisi fenomenologica dell'uomo, l'analisi
esistenziale dell'uomo come Heidegger e Husserl avevano proposto. Secondo Rahner bisogna
partire da qui, iniziando ad assumere i dati che la filosofia ci offre tentando di leggerli alla luce
della Rivelazione, senza nessun confronto preordinato, senza nessuna superiorità pregiudizievole.
Anche quello di tentare di dialogare con scienziati atei senza timore. Secondo Rahner: la Teologia è
una massa di dati rivelati, raggiunta con lo strumento della ragione attraverso la quale gli scienziati
interpretano e studiano il fenomeno uomo. Se la ragione è unica, se i mezzi dell'intellezione sono
unici allora la scienza e la teologia possono pensare e ragionare insieme, pur utilizzando dati
differenti. Il Vaticano II nella Gaudium et spes riprende questo aspetto dell'essere umano: la sua
centralità all'interno delle scienze, poiché ogni attività di conoscenza dell'uomo si deve porre come
presupposto anche della scienza di Dio. Rahner sottolinea come alla conoscenza di Dio non si può
giungere senza una vera e profonda conoscenza dell'uomo. Dire però che secondo la visione
cristiana l'uomo è al centro dell'interesse non vuol dire escludere Gesù Cristo. Porre al centro
dell'interesse delle scienze l'essere uomo significa porre al centro la figura di Gesù figlio di Dio

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Incarnato. Conosciuto e studiato attraverso la fede e della ragione. Una volta chiarito che Cristo è il
punto focale dell'interesse anche della teologia ne derivano due ipotesi di lavoro:
-Gesù Cristo è la chiave interpretativa di ogni affermazione sull'uomo;
- Gesù Cristo è la massima e definitiva Rivelazione su Dio e sull'uomo;

queste due affermazioni devono darci coraggio ad affrontare a dialogare con altre scienze. la
conseguenza fondamentale di questa presa d'atto che Gesù è l'uomo perfettamente riuscito: Gesù è
la seconda persona della Trinità che è entrato nella storia facendosi uomo, la perfezione
dell'umanità divina deriva dal fatto che Gesù Cristo è persona in maniera assoluta e si rapporta
definitivamente agli altri, è un essere che cerca un rapporto con gli altri sullo stesso piano. l'uomo
diventa persona nella misura in cui segue il modello personificato di Cristo.

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Lezione 8 Maggio 2018

19. LA MODERNITÀ E LA CONTEMPORANEITÀ XIX E XX SECOLO

Cerchiamo di dare le ultime battute allo sviluppo storico-teologico dell’antropologia teologica


prima di passare alla parte un po’ più sistematica. Ci soffermeremo in questa parte storica alla
modernità e alla contemporaneità, cioè a quel periodo che riguarda la fine del medioevo, l’inizio
della cultura illuminista e poi i nostri giorni, il XIX e il XX secolo.
Con l’Umanesimo e il Rinascimento accade qualcosa di insperato e incompreso fino ad allora: sia la
cultura generale, sociale, sia la cultura a livello più specialistico, accademico, sia col pullulare di
varie scuole private, le scuole fondate da singoli maestri o singoli esponenti della cultura
occidentale, che riguardavano soprattutto le materie letterarie, abbiamo la riscoperta dei classici
letterari presso la latinità e la grecità che erano stati per il momento messi ai margini per dare spazio
alla teologia. Quindi inizia ad essere presente una concentrazione sul sapere filosofico letterario
mentre invece il sapere teologico viene un po’ messo da parte.

Questo cosa significa? Che se la globalità della cultura sino ad inizio medioevo era stata costituita
in modo tale che l’interesse fondamentale fosse Dio (teocentrismo culturale), adesso è la figura di
Dio ad essere continuamente criticata con i sistemi della più raffinata filologia, della più raffinata
storia delle fonti: al centro della cultura Dio viene espulso e sostituito invece dall’uomo. Il grande
interesse della cultura umanistica che toglie immediatamente Dio dal centro del mondo culturale, è
appunto l’uomo, umanesimo significa questo, non più mettere al centro dell’interesse Dio, ma
mettere al centro della cultura l’uomo. E così il Rinascimento fa rinascere l’interesse per tutto
quello che l’uomo ha realizzato in tutta la sua storia. Viene esaltato allora non tanto il discorso
teologico, la filosofia non è più ancella della teologia ma il contrario, quindi abbiamo questo
spostamento di centro: dal centro teologico al centro antropologico. Dire che il soggetto principale,
il centro di tutta la cultura è l’uomo, vuol dire mettere al centro dell’interesse la volontà e la ragione
completamente libere da Dio. Dio è considerato come l’essere che ha creato l’uomo, ma questo è
appunto differente da tutte le specie animali: gli animali non posseggono un’anima razionale,
l’uomo in quanto possiede un’anima razionale e una volontà lasciata libera da Dio, diventa allora il
centro, l’interesse di tutte le componenti della cultura del tempo, l’Umanesimo e il Rinascimento.
Resta chiara in questo periodo un’idea fondamentale: l’uomo non è semplice, non è una creatura su
cui si può facilmente indagare. L’uomo è un mistero insondabile, si può dire soltanto che è una
creatura libera di volere ciò che ritiene opportuno e vive in contesti molteplici: nel contesto del

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lavoro manuale, intellettuale, della vita religiosa, civile, economica che si sviluppa molto in questo
periodo, del diritto, dello ius privato civile e penale.
È un soggetto poliedrico, dalle molte facce, dai molti aspetti che vanno considerati tutti insieme per
poter riuscire a comprendere la complessità di questo soggetto.
Qui è appunto il vero elemento critico dello studio dell’uomo: non si riesce a compiere un’opera di
sintesi che esprime in termini brevi chiari e convincenti l’uomo.
Ogni illuminista ha la propria idea di uomo, ogni filosofia ha la propria idea di uomo, ogni
esponente della cultura manifesta con le sue ricerche un aspetto particolare dell’uomo.
Un elemento assolutamente nuovo è quello della medicina.
Per la prima volta la Santa Sede dà l’assenso alla dissezione dei cadaveri, all’anatomia. Il cadavere
può essere per motivi scientifici tagliato, aperto, studiato dall’interno. Abbiamo il primo inizio di
quello che precedentemente era solo un’arte, l’arte medica, una capacità empirica, adesso il
cadavere diventa l’oggetto di uno studio profondissimo per capire all’interno del corpo cosa c’è e
come funziona. Di qui abbiamo risultati enormi e diffusissimi che permettono alla cultura di vedere
nell’uomo interiormente delle cose inconoscibili e impreviste.
L’uomo al centro dell’universo è un uomo autonomo, non conosce collocazioni soprannaturali.
Questo è centrale per l’età moderna. L’uomo è considerato soltanto dal punto di vista naturale,
razionale, non si presuppongono alle conoscenze dell’uomo quelle rivelate dalla Bibbia. La
rivelazione non viene tenuta in conto perché non proviene dalla ragione umana. Gli scienziati
possono rifarsi solo ai dati di fatto, a quelli che attraverso la ragione si può comprendere
dell’uomo.
Dunque non si parte più dalla Genesi per capire come l’uomo si sia formato, ma nasce una vera
scienza che dimostra attraverso l’esperimento sul corpo , sul cadavere. Tutte le conoscenze che
vengono dall’esterno vengono messe da parte. In questo periodo insieme alla conoscenza dell’uomo
si inizia a guardare scientificamente alle razze animali e alle specie floreali per comprendere il loro
significato. Non si cercano le erbe solo per preparare delle medicine ma si studia ogni specie di
fauna di flora per capirne le leggi intrinseche e per capire come possano essere utilizzate
scientificamente secondo protocolli razionali non derivati dalla superstizioni o dalla tradizione
popolare, per capire il loro funzionamento e per capire se in relazione al corpo umano possono
essere utili allo sviluppo dell’umanità.
Se l’uomo viene inserito in questo grande rinnovamento che passa dalle affermazioni rivelate alle
affermazioni razionali che si poggiano le une sulle altre, allora l’antropologia non è più teologica
cioè secondo quella della Bibbia, ma indica semplicemente le conoscenze scientifiche sull’uomo.
Non subito, non immediatamente, l’antropologia, il cui nome inizia ad apparire, si costituisce come

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una vera e propria scienza, si hanno studi particolari su alcuni aspetti dell’uomo anche se non c’è un
ordine sistematico a tutte queste conoscenze innovative che si presentano.
Con antropologia si intende ciò che si sa dell’uomo scientificamente, sulla base di cause e effetti.
Causa ed effetto, questo binomio sempre presente nell’opere di Aristotele, viene assunto nelle opere
di questi scienziati nel senso di causa ed effetto naturale, dove non c’è spazio per la Rivelazione
divina.
Tutte le cause prima dovevano essere riferite alla causa ultima (Dio), adesso ogni effetto ha una sua
causa ed ogni causa ha una causa più alta senza temere un progresso all’infinito. Per Tommaso
l’intelligenza doveva fermarsi davanti alla conoscenza della causa suprema, gli scienziati vanno
oltre, non temono di continuare a cercare al di là della causa ultima ciò che può determinare effetti
ulteriori. Si ha una liberalizzazione della ragione umana che non trova più muraglie sul proprio
cammino, trova invece il coraggio di uomini di cultura che tentano di cercare la verità. Se vogliamo,
anche questo era un principio voluto da Gesù stesso (lo Spirito vi guiderà alla verità tutta intera).
Quindi la ragione deve andare avanti, non può essere bloccata da nessuno, la conoscenza non può
essere finalizzata ad un punto in cui essa si può chiudere, per gli scienziati finché l’uomo può
conoscere, il fine della conoscenza può essere sempre oltrepassato.
Soltanto un autore, un filosofo del XIX secolo, metterà in scacco questa effervescenza culturale che
hanno sperimentato i primi scienziati, ovvero Hegel insieme agli idealisti tedeschi Fichte e
Schelling.
Attraverso l’idealismo tedesco ritorna quel modo di ragionare tipico del tardo medioevo, ovvero la
metafisica dello spirito: la presenza non dell’uomo al centro di tutte le cose, ma dello spirito ovvero
la ragione universale che trascina con se tutti i soggetti particolari, compreso l’uomo. Al centro del
sistema hegeliano non c’è l’uomo, né Dio, ma lo spirito, un’entità superiore che non si sa da dove
ha origine, ma si manifesta come sviluppo continuo, non determinato dalla conoscenza empirica
delle cose, ma solo dalla storia dello spirito, cioè dall’osservazione di quanto è avvenuto nella
cultura dei singoli paesi e singoli uomini per accontentarsi di questa conoscenza puramente storica,
non empirica.
Per Hegel non ha senso studiare il cadavere di un uomo se questo studio non si inquadra in un
progetto più ampio e sviluppato, ovvero la vita dello spirito, per cui tutto ciò che è materia ed
esperienze non è considerato importante in se e per se, ma è solo un accidente dello spirito che
interviene nella storia umana per auto costituirsi.
Lo spirito per manifestarsi a se stesso e per costituirsi ha bisogno di una materialità (uomini, flore,
faune). Le cose sensibili sono solo un alimento della storia dello spirito, lo spirito si nutre di ciò che
non è spirito.

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Con l’hegelismo si ha una sorta di stasi della conoscenza antropologica. Ritorna di nuovo un
momento di dubbio e incertezza, ma presto si inizierà a tornare, lentamente (siamo alle porte
dell’illuminismo), ad una esclusione per la seconda volta di questo pensare spiritualista, di questo
pensare soprannaturale per tornare allo studio di ciò che è materia, sensibilità.
Una volta che dopo Hegel, dopo il blocco culturale determinato dall’idealismo, si ritorna a pensare
da parte della filosofia a ciò che è l’uomo, eliminando il residuo idealista e quello della Rivelazione,
abbiamo un nuovo fenomeno che non ci si aspettava dopo la grande euforia umanistica e
rinascimentale. Hegel prende l’uomo solo come espressione del non-io, un semplice strumento di
un’essenza superiore, ora invece l’uomo è al centro della natura, della cultura, in una posizione
assolutamente disastrosa e sofferente, dolorosa.
La vita è preparazione alla morte (Heiddeger). L’uomo viene visto come debole,
esistenzialisticamente senza fondamento, è un fenomeno da analizzare con il pensiero, non con gli
strumenti della tecnica. L’uomo è un’intuizione immediata dei sensi, attraverso i quali l’uomo
conosce le cose. Quest’uomo debole ed esistenzialmente incomprensibile che vive la sua vita
semplicemente come una preparazione della fine della stessa, comincia ad entrare nella definizione
di scienza antropologica.
Le profonde intuizioni di Heiddeger e Hussel mettono al centro dell’interesse l’uomo ma
definendolo in maniera negativa e debole, incomprensibile.
Nonostante l’idealismo hegeliano e l’esistenzialismo negativo di Heiddeger e Hussel, abbiamo nel
campo delle scienze e delle tecnologie un avanzamento sempre più veloce e profondo. La filosofia
rimane quindi assolutamente sola nella conoscenza dell’uomo. Il pessimismo antropologico non
impedisce alle altre scienze di fare le proprie ricerche tecnicamente avanzate, attraverso strumenti
meccanici (nascono i cannocchiali, gli interessi astronomici). Tutto questo è continuato senza che la
filosofia se ne potesse liberare del tutto, ci troviamo davanti a un’ambiguità: la filosofia considera
l’uomo nulla, la scienza ci presenta ipotesi che esaltano il mondo che è intorno all’uomo e l’uomo
stesso che lo conosce e lo studia, che ne ricerca le leggi. L’uomo allora, lasciata da parte la filosofia,
rimane un oggetto delle scienze naturali anche per quello che riguarda le sue attitudini intellettuali:
fino ad ora la cultura medievale idealistica e rinascimentale avevano affermato che l’uomo
possedeva delle qualità razionali e intellettuali che dovevano presupporre una parte spirituale,
intellettuale, che non fosse solo materia, ma anche pensiero, idee, fantasie…queste erano le attività
più elevate della natura dell’uomo. Quando i primi anatomisti aprono i cadaveri e dissezionano i
corpi, non si riescono a trovare le tracce di un’attività intellettuale all’interno della corporeità. Ad
un certo punto (inizi XX secolo) si comprende come le attività più elevate del composto umano
vengono attribuite al cervello. Tutto quello che nell’uomo era collegato a ciò che era intellettuale

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poteva essere riferito non più ad un’anima ma all’organo cerebrale e anche al sistema nervoso
centrale guidato e dominato dal cervello.
A cominciare da questi primi studi si può fare subito un salto alla società odierna. I primi studi
trovano continuamente conferme: tutti sappiamo che ogni volta che l’uomo compie un’azione non
meccanica, non empirica, non semplicemente sensibile ma intellettuale e razionale, alcune aree del
cervello stanno agendo in maniera particolare registrabile con strumenti a disposizione. C’è una
piccola parte del cervello in cui si concentrano e si sviluppano tutte le attività emotive dell’uomo
(odio, amore, studio, pensiero). Odiare e amare non appartiene più al cuore o all’anima ma al
cervello nella sua parte più interiore. Tutto questo abbondare di conoscenze che riflessi ha
all’interno della teologia? Perché ne stiamo parlando? Perché la teologia ha preferito mantenere la
lezione tradizionale secondo cui anima e corpo erano componenti dell’uomo, l’anima è la parte
intellettiva, il corpo è la parte materiale. L’uomo è sinolo di anima e corpo e questi due elementi
rappresentavano tutto ciò che si poteva dire sull’uomo. Questo deve essere modificato altrimenti
non potremo più dialogare con la cultura intorno a noi.

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Lezione 18 Maggio 2018

20. L ‘UOMO PECCATORE

Il peccato nasce dell‘esperienza che fa l’uomo, secondo la storia della salvezza della Bibbia. Dal
termine greco “ Amartia” cioè fallire il colpo, sbagliare la mira o senso di colpa, vergogna nei
confronti degli altri nei quali l’individuo stava facendo un’esercitazione militare, il fallire il colpo
del soldato che mira il nemico per ucciderlo. Nel nostro caso si tratta di uno sbaglio fatto ad una
persona, da amico -nemico, passando da amico -individuo. Nell’ AT ci troviamo dinanzi ad un
punto di svolta: Israele ha fatto esperienza pasquale di Dio che lo libero dalla schiavitù d’Egitto.
L’esperienza fondamentale religiosa d’Israele è che il popolo schiavo in Egitto è stato liberato da un
Dio che ha stretto un’alleanza di amicizia con il suo popolo aiutandolo a sottrarsi al nemico
egiziano liberandolo.
Tale azione di liberazione, viene considerata un’azione di alleanza dal Dio dei Padri rimasto fedele
al suo popolo, ma verificando il popolo.
Naturalmente si deve pensare che questo quadro può essere ricostruito non per forza al tempo
dell’Esodo ma anche databili nel VI secolo a.C. (586-531 a. C.), con l’esperienza della liberazione
dall’esilio babilonese Dio ha cercato di riedificare la fede d’Israele dandogli uno slancio affinché il
popolo d’Israele potesse ritornare e adorare Dio dopo l’esilio.
Quindi Dio tramite la sofferenza ha messo alla prova il suo popolo, per potersi fidare del suo popolo
che ha tradito Dio.
Il peccato allora diventa un modo per segnalare questa mancanza di fedeltà nei confronti di Dio suo
liberatore. L’ amore di Dio si manifestava in una formula semplicissima. Tu che sei stato amato da
Dio, devi amare allo stesso modo Dio, questa è la conseguenza immediata di concetto di alleanza
che viene stratta di nuovo tra Dio e Israele. La mancanza di fiducia e di fedeltà in Dio ora si chiama
peccato, l’uomo fallisce il colpo nel cuore di Dio , non riuscendo a donare la sua vita a Dio, aprendo
il culto ad altre divinità.
Tutti i Profeti sottolineano lo stupore come peccato d’Israele, mai un peccato individuale, ma
sociale non c’è un’israelita che si mantenga fedele. Questa mancanza d’amore alleatico di Israele
nei confronti di Dio porta immediatamente come conseguenze a peccati nei confronti di
Dio(peccato religioso) ma anche a peccati tra gli uomini( peccati sociali)esempio: latrocinio,
menzogna, calunnia, omicidio, adulterio, l’ingiustizia di un giudice nei confronti di un povero.
Amos soprattutto parla di peccato come ingiustizia sociale, che si maschera di un’apparente fedeltà
religiosa.

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Ci sono delle divinità particolari che stuzzicano Israele ad allontanarsi da Dio e sono le divinità
fenice, i culti al Dio Baal , con sacrifici cruenti di uccisioni di persone, Israele si lascia trascinare
dall’emotività cultuale di questi riti, anche Osea condanna e rimprovera il peccato di idolatria e
politeisti, chiamandoli peccati sociali e religiosi con i quali rompono la fedeltà e peccano di
apostasia.
Israele si fida di opere d’arte, statue dice Geremia e non del Dio vivente d’Israele.
Il libro della sapienza ci parla del nemico di Dio, il diavolo che penetra nel popolo come morte
fisica e spirituale.
Il Siracide invece parla del peccato come peccato della prima coppia Genesi 3 , Eva ed ogni donna è
considerata portatrice di peccato che ha introdotto la morte, nasciamo da una donna e per causa sua
subiamo la morte.
La prima coppia voleva sostituirsi a Dio, “ut Dii” affinché fossero “come degli dei” , e Dio geloso
cerca di tenere a bada questi semi-dei con la morte. L’uomo deve tutto a Dio perché lo soccorre
sempre nel dramma del peccato , implicato in prima persona. L’atteggiamento di Dio dopo il
peccato originale cambia non è più quello della Genesi 1,2, un amore fedele alle sue creature, che
permette di essere guardato anche in faccia, ma ora appare come un Dio in collera e geloso, che
nasconde il suo volto.
Questo perché vuole che l’uomo scopra il senso della colpa, Dio gli ha chiesto una piccola prova di
obbedienza, ma l’uomo ha trasgredito implicando una mancanza di responsabilità ad un impegno
preciso. Allora Dio vuole fare scoprire la vergogna a l’uomo, nasce così una coscienza sporca
bisogna lavare le vergogne commesse dinanzi a Dio. Il peccato ha una duplice azione: nell’uomo lo
esclude da Dio, diviene un allontanato da Dio, invece in Dio, perché Dio sperimenta la gelosia.
Salvare per Gesù significa ricollegare quel filo spezzato da Adamo e Eva a Dio, Dio si rifà amico
dell’uomo nel Figlio sperimentando la natura umana, avvertendo la tensione al peccato, Gesù ne ha
compreso l’umiliante situazione del peccato. Guardare Lc 19, Zaccheo, che va incontro a Gesù
sentendosi sporco nella coscienza e cercando un rapporto d’amicizia con Dio, Zaccheo intuisce
grazie a Dio del suo peccato e va verso Dio.
Se Cristo ha sofferto per l’uomo poiché bisognava annientare un peccato originale, allora c’é un
secondo uomo che ha sbagliato il tiro, ciò lo deduce Paolo, quest’uomo è Adamo. Paolo parte da
Cristo per arrivare ad Adamo, il suo testo Rm5, 12- 21 qui esprime la teologia della salvezza , la
storia della salvezza è incentrato sul superamento della salvezza di una a-soteria che Gesù ha
annientato.
Per Paolo deve esistere una energia salvifica che ha permesso al peccato di Adamo di ripercuotersi
sulle altre generazioni umane. Paolo si serve di espressione “ef’ hoi pantes hemarton” e in latino “in

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quo omnes peccaverunt”. Tale parole possono essere tradotte in due modi: 1) in greco “ef’ hoi” si
può considerare una congiunzione semplice accompagnata dal pronome relativo, allora si traduce
con “in questo” in latino “in quo” che sull’interpretazione di Agostino significa tutti gli uomini
hanno peccato in Adamo, la teoria del peccato originale. 2) invece può essere letta come un'unica
proposizione causativa “efhò” cioè “perché” tutti hanno peccato, cioè sono i peccati attuali degli
uomini, al peccato sociale.
Chi ci salva da tale condizione di peccatori? Gesù con la sua morte e resurrezione.

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Lezione del 22 Maggio 2018

21. IL PECCATO ORIGINALE

Rm 5,12 il testo completo ci presenta un periodo interrotto, Paolo vuole esprimere una certa
tesi ma lascia interrotto il discorso. In questa pericope manca la preposizione principale, infatti
esiste solo la preposizione subordinata comparativa. << quindi, come a causa di un solo uomo il
peccato è entrato nel mondo e , con il peccato, la morte, poiché tutti hanno peccato[…]>>.
Analizziamo questa affermazione di Paolo che in greco si traduce “ef’ hoi pantes hemarton” e in
latino “in quo omnes peccaverunt”. Le parole greche “ef’ hoi” si può considerare una
congiunzione semplice accompagnata dal pronome relativo, diviene un'unica proposizione
causativa “efhò” cioè “perché” tutti hanno peccato, gli uomini hanno commesso peccati attuali.
Invece in latino “in quo” non può considerarsi una preposizione causativa, ma sull’interpretazione
di Agostino si traduce “nel quale”, cioè tutti gli uomini hanno peccato in Adamo. Si tratta di una
solidarietà corporativa, ossia tutta l’umanità era già tutta nella generazione di Adamo, ora il peccato
di Adamo si trasmette agli uomini attraverso la generazione naturale degli uomini. Se invece la
traducessimo con la preposizione causativa così come è in greco “efhò”, significa che tutti gli
uomini hanno peccato, cioè non solo che il peccato originale di Adamo si è propagato in
generazione in generazione , ma anche perché tale peccato ha reso noi uomini in una condizione di
peccato, cioè ontologicamente siamo peccatori, poiché esiste un peccato strutturale di fondo,
appunto il peccato originale.
Ora soffermiamoci su quali siano state le conseguenze subite da Adamo ed Eva, e che tutta
l’umanità riceve, dopo aver commesso il peccato originale. L’esclusione dal paradiso terrestre
significa la mancanza e la perdita di certi doni e qualità che possedevano i nostri progenitori. Questi
doni erano di tre tipi: doni naturali, doni preter-naturali, cioè al di là, erano dati in più rispetto ai
doni naturali semplicemente per una libera gratuità e generosità di Dio, e doni sovra-naturali, cioè
quelli che andavano ad arricchire i doni naturali. I doni naturali sono la ragione e il libero arbitrio,
i quali rimangono intatti anche se invigoriti dopo il peccato originale. Adamo ed Eva dopo la
cacciata dall’Eden continuano ad essere creature razionali e volitivi anche se la volontà si è
indebolita poiché incline più a compiere il male. I doni preter-naturali sono: 1) l’immortalità, ciò
non escludeva l’esperienza della morte, ma essa consisteva solo in un trapasso dalla terra dell’Eden
al regno di Dio, nell’eternità di Dio, senza nessuna sofferenza o dramma. 2) integralità morale, ossia
il pieno dominio della concupiscenza da parte dell’uomo, di quelle tentazioni che spingono a
compiere il male. 3) la scienza infusa, cioè i nostri progenitori conoscevano direttamente tutte le

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cose per puro dono divino, non necessitavano di dovere conoscere mediante l’esercizio
dell’intelligenza e della memoria. 4) l’assenza del dolore, Eva avrebbe partorito senza provare i
dolori del parto e ciò garantiva ad Adamo ed Eva sempre una sanità fisica e psichica. Questi doni
preter-naturali vengono esclusi dall’uomo dopo il peccato originale e non saranno restituiti all’uomo
anche dopo aver eliminato il peccato originale con il battesimo. Infine ci sono i doni sorva-
naturali erano quattro: 1) l’amicizia con Dio, cioè la possibilità di parlare con Lui, 2) la grazia, cioè
l’amore di Dio, 3) la divinizzazione, cioè la possibilità di diventare figli di Dio come Gesù, 4) la
visione beatifica, cioè la possibilità di guardare Dio faccia a faccia, come facevano Adamo ed Eva
prima del peccato nell’Eden. Questi 4 doni l’uomo li perde con il peccato originale, poiché Dio li
esclude dalla struttura antropologica dell’uomo, ma saranno restituiti con il battesimo.
Questa dottrina del peccato originale diventerà dottrina definitiva e ufficiale con il concilio
di Trento. Il limite del concilio di Trento è quello di non dire che tale condizione peccatrice
dell’uomo a causa del peccato originale è possibile liberarsi con il battesimo. Nel magistero della
chiesa esiste un testo che ha racchiuso in maniera sintetica la dottrina del peccato originale è il
documento di papa Paolo VI, la sua omelia del 30 giugno 1968 dopo la fine del concilio vaticano II.
Questa omelia racchiude la nuova professione di fede, il credo di Paolo VI, e riguardo al peccato
originale affermava: << Noi crediamo che in Adamo tutti hanno peccato: il che significa che la
colpa originale da lui commessa ha fatto cadere la natura umana, comune a tutti gli uomini, in uno
stato in cui essa porta le conseguenze di quella colpa, e che non è più lo stato in cui si trovava
all’inizio nei nostri progenitori, costituiti nella santità e nella giustizia, e in cui l’uomo non
conosceva né il male né la morte. È la natura umana così decaduta, spogliata della grazia che la
rivestiva, ferita nelle sue proprie forze naturali e sottomessa al dominio della morte, che viene
trasmessa a tutti gli uomini; ed è in tal senso che ciascun uomo nasce nel peccato. Noi dunque
professiamo, col Concilio di Trento, che il peccato originale viene trasmesso con la natura umana,
«non per imitazione, ma per propagazione», e che esso pertanto è «proprio a ciascuno» >> .
Quindi ogni uomo nasce nel peccato originale ed è soggetto alla morte, tale peccato viene trasmesso
negli uomini per propagazione, cioè mediante l’atto sessuale. Ora esiste la possibilità di liberarsi da
questo peccato originale? Il Papa continua il discorso affermando: << Noi crediamo che nostro
Signor Gesù Cristo mediante il Sacrificio della Croce ci ha riscattati dal peccato originale e da
tutti i peccati personali commessi da ciascuno di noi>> questa affermazione conferma e tiene come
vere entrambe le interpretazioni su Rm 5,20 quella in greco con “efhò”( perché) e quella in latino
con “in quo”(nel quale). Quindi con il Battesimo noi veniamo liberati non solo dal peccato “in
quo” quello di Adamo, ma anche dai tutti i nostri peccati commessi “efho”. Risulta importante
sapere che Gesù Cristo con il suo sacrificio ci ha liberati dal peso di tutti i nostri peccati. La novità

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riguarda la soluzione sacramentale, infatti Paolo VI afferma: << Noi crediamo in un sol Battesimo
istituito da Nostro Signor Gesù Cristo per la remissione dei peccati. Il battesimo deve essere
amministrato anche ai bambini che non hanno ancor potuto rendersi colpevoli di alcun peccato
personale, affinché essi, nati privi della grazia soprannaturale, rinascano «dall’acqua e dallo
Spirito Santo» alla vita divina in Gesù Cristo>>. Si afferma che il battesimo deve essere
amministrato anche ai bambini per liberarli dal peccato originale poiché non sono macchiati di
peccati personali e affinchè con battesimo ricevano anche il dono sovrannaturale, cioè essere
partecipi della natura divina. Dunque il magistero ci dice che esiste la condizione concreta e reale
per essere risanati e liberati dal peccato originale.

22. LA GIUSTIFICAZIONE

Come concretamente è possibile liberarsi da questa condizione di peccatori a


prescindere dal battesimo? Facciamo un viaggio biblico per capire cosa si intende con il termine
“giustificazione”. Rimanda al termine giuridico di giustizia, in cui il giudice è colui che esercita la
giustizia, dichiara giusto colui che ha ragione e dichiara colpevole, ingiusto colui che ha torto ed è
chiamato a pagare con una pena la sua colpa. Nella Bibbia, nell’ Antico Testamento non sempre il
termine giustificazione viene inteso nell’accezione di carattere giuridico, ma piuttosto significa
trasformare un individuo che ha sbagliato, che è colpevole poiché si trova in una condizione di
allontanamento da Dio in quanto ha disobbedito alla sua Legge, viene trasformato dall’azione di
Dio stesso in una persona risanata, giusta, santa meritevole dell’amore di Dio e del favore degli
uomini. Invece nel Nuovo Testamento si riprende lo stesso significato di trasformare una persona da
peccatore a giusto, da ingiusto a persona giustificata, liberata da ogni colpa, avviene solo ed
esclusivamente grazie alla persona di Gesù Cristo. Testimonianza di ciò è il corpus paolino che
concentra la giustificazione sulla persona di Gesù Cristo. Paolo sottolinea che l’opera di Gesù
Cristo è l’offerta di Dio gratuita grazie alla quale ogni uomo può essere liberato dai suoi peccati
indipendentemente da ogni sua opera buona che può compiere
.
22.1. Testi biblici Antico Testamento
Giustizia di Dio= salvezza dalla sua condizione di colpevolezza di colui che ha trasgredito
la Legge del Signore. Tale atto di giustificazione da parte di Dio ha origine dal fatto che il Signore
non dimentica mai di aver promesso al popolo d’Israele di essere sempre fedele alla sua alleanza di
amore. Quindi per fedeltà Jahvè è sempre pronto a trasformare gli uomini disobbedienti, che hanno

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offeso l’amore di Dio prostituendosi ad altre divinità, in uomini giusti. Dt 32 il cantico di Mosè,
Dio salva il popolo di Israele, qui Dio non esclude anche il castigo dei peccati. Possiamo concludere
che Jahvè è misericordioso, verso la sua sposa infedele che è il popolo d’Israele, ma nello stesso
tempo esige anche che la sua sposa, il popolo di Israele ritorni a fare la volontà di Dio, alla sua
fedeltà. Per cui il popolo d’Israele vede i castighi di Dio, come esempio la persecuzione o la guerra
da parte di popoli stranieri come mezzi della giustizia di Dio, come rimprovero che richiami il
popolo d’Israele peccatore a ritornare alla sua condizione di innocenza originaria, quindi ritornare
alla fedeltà dell’alleanza d’amore con Dio. Pertanto queste maniere forti e vendicative di Dio sono
espressioni della sua volontà di amore che richiama il suo popolo a ritornare alla fedeltà
dell’alleanza promessa. L’esempio tipico di uomo fedele a Dio nell’AT, cioè colui che non si è mai
allontanato dall’amicizia di Dio, non ha mai trasgredito la sua alleanza è Abramo. Abramo è colui
che ci dimostra come Dio giustifica tutti coloro che si affidano al suo progetto di salvezza. È
importante notare come Abramo non si mantiene fedele all’alleanza d’amore con Dio soltanto a
vantaggio di se stesso, soltanto per garantire immunità dalla vendetta di Dio lui e la sua famiglia;
ma la fedeltà di Abramo a Dio si estende a vantaggio di tutti i popoli della terra. Pertanto attraverso
ad Abramo noi veniamo a conoscenza di un unico progetto universalistico di salvezza da parte di
Dio. la salvezza di Dio non riguarderà solo il popolo d’Israele ma si estende a tutti i popoli della
terra. Dio offre la sua misericordia a tutti i popoli gratuitamente senza un torna conto.

22.2. Nuovo Testamento


L’autore centrale è Paolo, che cosa intende Paolo per giustizia di Dio? colloca la giustizia
sulla prospettiva dell’agire generale di Jahvè. Che cosa opera il nostro Dio? cosa ha fatto questo
Jahvè che ora si chiama Gesù Cristo, perché chiamato il Kyrios? L’agire generale di Dio è
caratterizzato dall’amore, dalla bontà, dalla salvezza, da tutti quei termini positivi che possono
indicare un rapporto di fiduciosa e fiduciale amicizia con Dio. Qui il rapporto tra Dio e l’uomo non
è più tra due contraenti dove l’uomo essendo inferiore deve necessariamente soccombere, ma qui
Dio è veramente un amico che liberamente e gratuitamente senza un torna conto personale offre le
sue positive prestazioni al suo amico più debole, si interessa anche del benessere altrui.
L’atteggiamento richiesto all’uomo è quello della fedeltà nei confronti di Dio, cioè abbandonarsi
fiduciosamente nelle mani del progetto dell’amico, il quale agisce verso l’uomo solo per garantire il
bene dell’altro senza nessun tornaconto( parabola del buon sammaritano). Bisogna precisare che
con san Paolo, all’uomo viene richiesto di essere fedele non alla Legge di Dio, a delle asserzioni
teologiche, ma fedeltà nei confronti di Dio. In quanto la giustificazione dell’uomo non scaturisce
dall’osservanza della Legge, ma dal quel legame esistenziale che l’uomo istaura con Gesù di

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Nazareth, il Kyrios. Paolo quando parla della giustificazione per fede intende l’azione trasformante
di Dio nel profondo dell’essere dell’uomo, cioè tutte le volte che io trasgredisco il Signore, grazie a
Dio vengo trasformato definitivamente e completamente in una creatura nuova. Per Paolo questa
nuova condizione, non intende come una trasformazione definitiva eterna, ma di una trasformazione
reale temporale, cioè dura tutto il tempo in cui io sono capace di restare fedele a questo amore che
Dio mi ha offerto. Quando non sono più capace di restare fedele a questo amore offerto, posso
rivolgermi nuovamente a Dio chiedendo nuovamente il perdono e nuovamente l’azione
trasformante e Lui nuovamente mi trasformerà e mi perdonerà( con sacramento confessione).
La giustificazione dell’uomo è opera ed evento di un Dio trinitario. In quanto il Padre è colui
che progetta l’azione trasformante e salvifica dell’uomo, il Figlio è colui che compie l’opera di
salvezza del Padre con il mistero pasquale redentivo sulla croce, lo Spirito Santo è colui che la
riattualizza nel tempo rendendola efficace, sempre viva. Lo Spirito Santo è colui che nel tempo
compie e realizza questa azione trasformante dell’uomo peccatore in uomo giustificato, cioè giusto.

22.3. Problematica riguardo sulle opere buone compiute dall’uomo


Si aprì un dibattito tra i cattolici e i luterani, poiché i primi dichiarano la necessità delle
opere buone, i secondi affermano la non necessità. Nacquero delle domande: È possibile che le
opere buone compiute dall’uomo non servono per la sua salvezza finale? l’uomo può peccare
fortemente per essere più fortemente perdonato da Dio? poiché Lutero affermava “pecca fortiter,
crede fortius” se tu pecci fortemente crederai con maggior forza. *Nota personale ( caro Lutero
mio, non hai letto Rm 6,12-18? Paolo afferma: dopo che si è giustificati per grazia da Dio non
possiamo essere schiavi del peccato ma offrire i nostri corpi a Dio per essere schiavi di giustizia)
La lettera di Giacomo afferma definitivamente che le opere buone sono necessarie per
ottenere la salvezza finale. In quanto le opere buone manifestano la fede <<io con le mie opere ti
mostrerò la mia fede>> (Gc 2,18). Lutero rifiuta di inserire questa lettera nel canone biblico poiché
la considera come apocrifa, allora il suo pensiero sulla giustificazione è fondato solo sul corpus
paolino e quindi afferma che la grazia di Dio è totalmente illimitata e totalmente libera dalle buone
opere dell’uomo. La conclusione a questa problematica è possibile trovarla nella Dichiarazione
Congiunta tra la chiesa cattolica e la chiesa luterana mondiale del 1999. In questo documento si
afferma una sostanziale coincidenza tra il pensiero cattolico e quello luterano. Tale coincidenza si
può stabilire in questi termini:
1) Dio giustifica l’uomo gratuitamente senza le opere buone preventive dell’uomo, infatti
nel battesimo Dio giustifica l’uomo senza le sue opere buone.

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2) la definizione di opere buone dell’uomo sono quelle che l’uomo compie nel fare il bene,
solo dopo aver ricevuto la giustificazione di Dio. Con tali opere l’uomo manifesta a Dio la volontà
di vivere nel suo amore e di fare la Sua volontà. Queste opere buone dopo il battesimo, quando si è
credenti adulti possono mettere in atto azioni meritorie davanti a Dio in vista della salvezza finale.
3) Questo significa che il credente accoglie e vive non in modo passivo la giustificazione da
parte di Dio, ma in modo attivo. Il discorso di Paolo sulla libera, gratuita e autonoma azione
giustificatrice di Dio sull’uomo potrebbe indurre, letta erroneamente ad una passività spirituale da
parte dell’uomo, come è già successo con la confraternita religiosa dei Liberi in Spirito( gli
Entusiasti) ai tempi di Lutero, i quali affermavano che se anche la loro vita fosse la più immorale
alla fine Dio li avrebbe totalmente giustificati quando sarebbero giunti al Suo cospetto. Poiché la
misericordia gratuita di Dio è più grande in modo sproporzionato di tutte le opere dell’uomo, anche
dei loro peccati. Bisogna fare una correzione teologica, non esiste la gratuità totale della
giustificazione da parte di Dio, dichiarando un paradiso a buon mercato accessibile a tutti; ma che
l’uomo, singolarmente, è chiamato una volta giustificato a manifestare concretamente nella sua vita
i frutti di questo favore che Dio ci ha concesso perdonandoci i peccati. Tutto ciò avviene nel
sacramento della confessione, dove il confessore dà al penitente ormai perdonato, la penitenza, la
quale spinge il penitente con uno stile di preghiera e di opere buone a comportarsi in maniera
adeguata alla condizione di giustificato che Dio ha appena realizzato in lui.
4) tra il corpus paolino e la lettera di Giacomo almeno teologicamente non esiste
contraddizione dottrinale, è stata solo un interpretazione errata di Lutero, il quale parla di salvezza
per sola fide, rifiutando apriori ogni opera buona.

22.4. Autori vari che hanno affrontato il tema della giustificazione


Agostino d’Ippona, dovette affrontare il tema della giustificazione per difendersi dall’eresia
di Pelagio, monaco britannico, il quale affermava che l’uomo può liberarsi dai suoi peccati,
redimersi con le sue sole forze senza alcun intervento da parte di Dio. Qui si tratta di una forma di
auto-redenzione, di auto-giustificazione infatti l’uomo essendo stato fatto ad immagine e
somiglianza di Dio ha nella sua coscienza questa scintilla divina, luce superiore,(neo-platonismo)
che anche quando pecca l’ho orienta nuovamente nel compiere il bene e quindi ad intraprendere
questo cammino di ascesi di virtù.( si ritorna alla vita virtuosa degli stoici, dei platonici)
Risposta di Agostino= tutti gli uomini indipendentemente a quale stato civile appartengono
sono una massa di dannati a partire dalla nascita. Anche il bambino appena partorito senza aver
commesso peccato mortale o veniale è già in una condizione di peccato di dannazione e deve essere
liberato dall’azione gratuita e libera di Dio che si realizza nella passione, morte e resurrezione di

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Gesù Cristo, quindi è necessaria l’immersione nel battesimo del bambino. Con battesimo ci si
immerge nella morte e resurrezione di Cristo come afferma Paolo nella lettera ai Romani. Non
esiste persona al mondo che possa liberarsi da questa sua condizione di peccatore con le sue sole
forze. Tutti gli uomini dal momento che nascono sono ontologicamente bisognosi della grazia
giustificatrice di Dio che avviene attraverso Gesù. [da qui nasce la teoria del Limbo elaborata
erroneamente nel medioevo: che i bambini che muoiono senza ricevere il battesimo sono destinati
all’Inferno, in un luogo dove esiste il minor grado possibile di sofferenza( il Limbo). Tale teoria è
stata corretta da papa Benedetto XVI, il quale afferma che bisogna crede che vi sia una via di
salvezza per i bambini morti senza battesimo]
Una volta battezzato l’uomo rientra nella categoria di divinizzato, trasformato in figlio di
Dio, riceve quella parte di doni che aveva prima della cacciata dall’Eden cioè i doni sovra-naturali.
Se Paolo nelle sue lettere non parla di una giustificazione da parte di Dio definitiva ed eterna, ma di
una giustificazione reale e temporanea, di conseguenza bisogna definire che il battesimo non è una
giustificazione puntuale che avviene una sola volta nella vita e per sempre. Ma tutto il potenziale
salvifico che il cristiano riceve dal battesimo, lo deve esplicitare, migliorare, completare durante
tutta la sua vita terrena. Il cristiano non può cadere nella tentazione degli Entusiasti, cioè dopo il
battesimo sono totalmente giustificato quindi posso condure anche una vita immorale, sarò
comunque salvato.
Riguardo alla concupiscenza, Agostino affermava che dopo il battesimo, l’uomo era liberato dal
peccato originale però tracce o residui del peccato originale nell’uomo rimanevano, un segno
tangibile era questa forza istigativa forte al male, al peccato, ma essa non era il peccato originale.
L’uomo è chiamato ad essere allenato al superamento delle tentazioni. Invece Lutero affermava che
la concupiscenza era chiaro segno che l’uomo non era stato liberato dal peccato originale anche
dopo il battesimo, il peccato originale rimaneva, identificava la concupiscenza con il peccato
originale. Per Agostino nel giudizio finale saranno salvati e quindi riceveranno la giustificazione
totale, cioè candidati al Paradiso, non tutti gli uomini già giustificati da Dio mediante il battesimo,
ma i giusti, coloro che dopo avere ricevuto tale giustificazione da Dio mediante il battesimo hanno
sviluppato e completato tale grazia ricevuta vivendo con una grande fede in Dio e compiuto tante
opere buone. Invece coloro che non hanno né sviluppato e né completato tale grazia giustificatrice
ricevuta dal battesimo, vivendo conformemente da figli di Dio e compiendo opere buone, saranno
eternamente dannati.

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Lezione del 25 Maggio 2018

23. LA GIUSTIFICAZIONE NEL NUOVO TESTAMENTO

Che cosa dobbiamo pensare quando leggiamo i testi di Paolo e il suo concetto di giustizia
che utilizza per indicare il rapporto nuovo che si stabilisce tra Dio e il peccatore.
quando Paolo parla di "Giustizia di Dio" ne parla sempre sullo sfondo generale dell'agire dell'uomo
di Dio, un agire che è contraddistinto dalla volontà, dall' amore, dalla salvezza, da tutti i termini
positivi che si possono inventare quando si vuole indicare una relazione buona, bella, edificante
piacevole, tra due persone. Tutti i termini positivi che possiamo inventariare nel nostro pensare
devono essere partecipati in una maniera infinita, totale, totalizzante ai rapporti che Dio e l'uomo
realizzano tra di loro sempre per iniziativa divina.
Cristo è venuto ad incarnarsi soprattutto per indicare questo tratto della persona di Dio, cioè la
volontà di stabilire una relazione totale di amore, di bontà e benevolenza. L'uomo risponde a questa
iniziativa di Dio soltanto con un atteggiamento che si compendia nella parola " Fede ". La fede è
propriamente il tipo di relazione, vera, esatta, precisa, congruente tra Dio e l'uomo, per cui Paolo
quando vuole indicare con estrema precisione il tipo di rapporto che passa tra l'uomo e Dio usa la
parola " Fede" come dire affidamento totale, abbandono completo nelle mani di questa Persona
creatrice che vuole stabilire un rapporto benevolo insieme con la creatura umana.
In questo modo Paolo si contrappone radicalmente al pensiero ebraico-giudaico, in cui il rapporto
tra l'uomo e Dio non era stabilito in base ad una relazione sentimentale ma era invece inteso in
maniera giuridica come osservanza di una legge esterna all'uomo: la legge di Mosè, i 10
comandamenti, e tutti gli altri 608 comandamenti, rappresentavano in modo congruo, esatto, di
stabilirsi dell'uomo giusto con Dio. Se io osservo la legge, a cominciare dai 10 comandamenti, io
divento giusto, io divento santo, io ottengo la possibilità di vedere Dio.
Paolo invece scardina completamente questa visione giuridica di fondo della legge: la legge mi sta
d'avanti e mi costringe all'obbedienza ( se io disobbedisco vengo punito, cado in peccato ). Paolo
invece intende l'osservanza di un sentimento interiore all'uomo, soggettivo e non oggettivo. Non c'è
nessun testo davanti a me che mi parli di fede e di amore, ma c'è un sentimento dentro di me che mi
fa sentire amato e capace di amare a mia volta Dio e la parola con cui io esprimo il mio amore, il
mio ringraziamento a Dio per la sua iniziativa di salvezza è la "Fede". Dunque "Fede" come
espressione interiore della volontà libera dell' uomo.

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24. LEGAME ESISTENZIALE CON CRISTO

La parola "obbedienza" rientra in questi due modi di concretizzare la salvezza ( - Forma


giuridica e forma esperienziale sentimentale )?
Si, ma è bene sottolineare che si tratta di due obbedienze assolutamente diverse.
1) La prima è un'obbedienza estrinseca, esteriore all'uomo, di tipo giuridico, con un codice di leggi
che un giudice deve far applicare e che vengono osservate o trasgredite dall'uomo ( in base a questa
trasgressione o obbedienza l'uomo viene giudicato).
2) La seconda, invece, è un’obbedienza d'amore. E' un dire "Si", un accettare l'amore che viene da
Cristo nei miei confronti. Io obbedisco a quest'amore rispondendo con pari amore. Allora
l'obbedienza è qualcosa di soggettivo, interiore, intrinseco all'uomo molto vicino alla parola amore e
mentre questa parola non si può applicare al rapporto tra l'uomo e la legge, si può invece e si deve
applicare la parola "amore" quando io parlo del rapporto tra me e Gesù Cristo che mi ha salvato con
il suo mistero pasquale. Allora ciò che fa veramente "Nuovo" il nuovo testamento è questa
concezione profonda dell'amore quale tramite nei rapporti tra Dio e l'uomo.
Quando Paolo vuole esprimere lo scopo ultimo di quest'opera di amicizia e amore con Dio, usa la
parola "giustificazione" che significa "completamento" del rapporto amorevole tra Dio e l'uomo
mediato dall'opera di Gesù Cristo. Dunque la giustificazione non è altro che il rinnovamento del
patto di amore tra Dio e l'uomo. Con la "giustificazione" l'uomo peccatore, debole, fragile, grazie
alla sua fede diventa, finalmente, sostanzialmente, ontologicamente un uomo nuovo! L'obbedire
all'amore di Cristo fa del cristiano una persona nuova, cioè non una persona la cui cartella penale è
stata stracciata, ma i peccati sono conservati nella sua memoria e il giudice conserva ancora una
copia della sua sentenza per sempre, no non è così! Il rapporto che si stabilisce con la
giustificazione attraverso Gesù è un rapporto di totale rinnovamento della persona umana, l'uomo
da debole e caduto nel peccato diventa forte e liberato dal peccato perchè Gesu Cristo con la sua
opera di morte e resurrezione ha operato questa trasformazione, questo trasmutamento di sostanza.
Dio lo può fare perchè il Creatore e allora dopo il peccato di Adamo ed Eva, grazie all'amore e
all'evento pasquale di Cristo ricrea ciò che ha creato precedentemente, quindi con Cristo ci troviamo
d'avanti ad una vera e propria ricreazione di quello che era stato creato all’origine: Adamo ed Eva
nel paradiso terrestre. Tale opera di ricreazione è definitiva, anche se questo non significa che non si
debba ritornare mai più a peccare ( come affermava la prima lettera di Giovanni "se voi siete in
Cristo non peccherete più"), per Paolo il peccato può ritornare ma la forza del battesimo, attraverso

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il sacramento della penitenza, riesce a liberare l'uomo dai peccati attuali e lo riporta all'innocenza
originaria che ha ricevuto con il battesimo.
Possiamo, dunque, dire che la giustificazione consente all'uomo di realizzare un rapporto particolare
con Dio sui tre termini che noi indichiamo per sottolineare, caratterizzare il tempo: Il passato, il
presente, il futuro.
In che senso la giustificazione si ripara in queste tre tracce del tempo?
Il passato è l'evento Gesù Cristo, che si è incarnato, è morto ed è risorto per me;
Il presente è l'azione dello spirito santo, che come terza persona trinitaria che crea la vita, dà la
possibilità della ricreazione (Simbolo Niceno-Costantinopolitano: " Credo nello spirito santo che è
signore e dà la vita "), ricrea nuovamente nel presente, nell'oggi;
Il futuro sarà la manifestazione definitiva dei rapporti che si sono stabiliti nella storia tra l'uomo e
Dio, quindi ciò che è salvezza e ciò che non è ancora salvezza verrà definitivamente stabilito nel
giorno ultimo del ritorno del messia.
Nella vita storica dell'uomo il passato, il presente e il futuro devono vedersi come contemporanei,
perchè contemporaneamente realizzano l'opera della giustificazione, cioè trasmettono all'uomo la
giustizia di Dio, l'amore benevolo di Dio.
Con la riforma protestante, a cominciare dalle 95 tesi di Lutero, si aprì un dibattito che era stato
durante il medioevo affrontato ma poi messo da parte: era il problema del valore delle opere
buone, delle opere di misericordia spirituali e corporali che potevano servire per accedere alla vita
eterna. L'uomo durante la vita guadagnava dei meriti attraverso le opere buone, la presenza alla
celebrazione dell'eucarestia, la confessione, attraverso le rare volte per le quali era consentito agli
uomini del medioevo di cibarsi dell'eucarestia (cosa rara che veniva concessa dai confessori soltanto
a coloro che si manifestavano come i più liberi dalle colpe), l'elemosina e l'acquisto delle
indulgenze, attraverso tutto questo sistema di opere esteriori l'uomo si guadagnava l'ingresso in
paradiso.
Quindi Dio era, in qualche modo, costretto a giustificare l'uomo perchè gli si presentava d'avanti
con il complesso delle opere buone compiute.
La base biblica sulla quale la teologia cattolica tradizionale si fermava e che utilizzava per
giustificare quest'insegnamento era la Lettera di Giacomo 2,14-26, dove ripetutamente Giacomo
afferma che la fede senza le opere è morta, è invisibile, non è possibile manifestare la fede che io ho
nel mio cuore se non la trasmetto alle opere buone che io compio ( sicuramente la fede è necessaria
per la salvezza ma non può essere eliminata per le opere ). Lutero invece capovolge questo
ragionamento e afferma che le mie opere buone non possono mai essere considerate buone se non
c'è già stata l'adesione di fede a Dio attraverso il Cristo, altrimenti le opere buone sono sempre

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malvagie d'avanti a Dio perché sono compiute dall'uomo che porta sempre in se il segno del peccato
originale.
Lutero infatti non crede che il battesimo possa eliminare il peccato originale; egli pensa che
nell'uomo, seppur giustificato per mezzo della fede, il peccato originale rimane con tutta la sua
forza, ecco perchè l'uomo è definito da Lutero "Contemporaneamente giusto e peccatore". Dunque
il peccato originale rimane e lo dimostra la "Concupiscenza" cioè la tentazione a peccare, per
Lutero questa tentazione continua dell'uomo a voler peccare è il segno che il peccato originale
rimane nell'uomo.
La teologia, invece, tradizionale-cattolica affermava che attraverso il battesimo il peccato originale
veniva definitivamente eliminato, rimaneva si la concupiscenza ma quest'ultima non era il peccato (
sentire la tentazione di compiere un peccato non significa compiere il peccato, essere in peccato. Io
cado nel peccato soltanto se soccombo alla concupiscenza). Quindi, sostanzialmente, la
concupiscenza mi viene lasciata da Dio per mantenermi sempre in allenamento contro i peccati che
possono sorgere nel mio cuore, nella mia coscienza, nella mia volontà (e questo è descritto molto
bene nel concilio di Trento).
Trento affermerà che la concupiscenza viene mantenuta da Dio per combattere il male, che le nostre
virtù (dentro di noi) si allenino a combattere il male e a far prevalere il bene che è dentro di noi.
Questo tipo di ragionamento veniva utilizzato dai teologi cattolici per confutare una caratteristica
della teologia luterana secondo la quale non essendoci più bisogno di opere meritevoli per
guadagnarsi il paradiso, l'uomo veniva salvato in una maniera passiva, senza dover fare
assolutamente alcuna opera buona, poichè tutte le opere buone possibili ed immaginabili erano state
compiute da Cristo, l'unico uomo nato senza il peccato originale e quindi senza la concupiscenza.
Prima di lui una sola persona si trovava nelle sue stesse condizioni ed era sua madre, la Vergine
Maria, liberata dal peccato originale in previsione di ciò che avrebbe compiuto suo figlio Gesù (
poichè nell'eterno disegno di salvezza di Dio era presente l'opera di un Dio fatto uomo fin dalla
concezione, allora Dio aveva pensato anche dall'eternità ad una donna dalla quale far nascere il
figlio dell'uomo incarnato).
Lutero, dunque, finiva per affermare che la giustificazione avveniva in una maniera completamente
passiva: L'uomo non doveva assolutamente compiere nessun'opera, era necessario soltanto credere e
affidarsi così come si era (giusti o peccatori) alle mani di Dio, i peccati dell'uomo non avevano
nessun valore d'avanti a Dio perchè i meriti di Cristo erano stati molto più abbondanti dei peccati di
ciascuno.
D'avanti a questa "passività" spirituale ( aspettarsi da Dio la liberazione dei peccati e l'ingresso nella
vita nuova, senza far nulla ), la teologia cattolica tradizionale affermava che, invece, l'uomo doveva

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in qualche modo collaborare all'opera di giustificazione di Dio. Dio salvava gratuitamente e
attivamente ( non passivamente ) attraverso un' "attiva" collaborazione dell'uomo che si esplicitava
attraverso la lotta contro il peccato o ( nella forma più grave) nel rifiuto della fede. Il pericolo di
perdere la fede era incombente nell’uomo perché il peccato originale rende il libero arbitrio e la
volontà deboli d’avanti alle tentazioni e una di queste tentazioni poteva essere allora quella di voler
abbandonare la via di Dio, l’obbedienza a Dio. Allora anche in questo caso, secondo Lutero,
rimaneva sempre aperta l’iniziativa di Dio e la perdita della fede non escludeva la salvezza, mentre
per la teologia cattolica l’abbandono della fede costituiva un peccato vero e proprio che non
consentiva più l’ingresso nella vita eterna, non giustificava più il singolo peccatore.
Dopo questa visione generale del concetto di fede e giustificazione nella teologia Luterana e nella
teologia cattolica-ortodossa, soffermiamoci adesso sulle parole del concilio di Trento, in
particolare sul decreto “de iustificatione” che venne accettato e controfirmato dai padri di Trento
nella sessione sesta, il 13 Gennaio 1547. Questo testo ebbe un’elaborazione travagliata che conobbe
5 rifacimenti, riformulazioni (a dimostrazione dello sforzo e dell’impegno che i padri di Trento
hanno messo per cercare di stabilire i punti fondamentali dell’opera di giustizia compiuta da Dio nei
confronti dell’uomo) e il decreto prodotto alla fine va considerato come un elaborato decisivo,
dogmatico per la teologia cattolica, di fatti non si può fare a meno del concilio di Trento per quanto
riguarda la dimensione del peccato originale e della sua giustificazione. Le tesi fondamentali che i
padri di Trento mettono in evidenza sono le seguenti:
- Il peccato originale è una realtà compiuta dall’uomo alle sue origini, ( Questo era già
stato affermato in un precedente decreto sul peccato originale controfirmato dai padri di Trento un
anno prima Giugno 1546 ) quindi a causa del peccato originale l’uomo nasce peccatore e da
peccatore debole non può salvarsi da solo perché il suo libero arbitrio (la capacità di scegliere tra il
bene e il male), la sua volontà rimangono, non vengono eliminati, ma indeboliti, cioè capaci di fare
il male, capaci di disobbedire qualunque volontà di Dio.
- Cristo (con la sua incarnazione) interviene a redimere l’uomo. Ma quest’intervento
di Dio non è automatico, occorre infatti una positiva azione di Dio per consentire all’uomo di
superare la debolezza del peccato originale, l’uomo deve rinascere in Cristo e se non lo fa esso
rimane soggiogato, segnato per sempre dal peccato originale. Dunque l’uomo per salvarsi ha
bisogno di essere giustificato dall’evento Cristo, dall’evento pasquale.
- Con la giustificazione che riceve da Dio l’uomo passa, cambia da uno stato all’altro:
Da uno stato di peccato ad uno di grazia, cioè da uno stato di relazioni disturbate tra Dio e l’uomo
(peccato) ad una situazione di relazioni positivamente ristabilite nel momento della grazia, della
giustificazione. Questo passaggio di stato avviene concretamente attraverso il sacramento del

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battesimo o almeno attraverso il desiderio di esso. Dunque la giustificazione non solo rimette i
peccati ma rende l’uomo santo e rinnovato e questa ”rinnovazione-santificazione” non si manifesta
all’esterno dell’uomo ma è un fatto interiore, di rapporto profondo, coscienziosamente profondo del
rapporto tra l’uomo e Dio. Quindi la giustificazione è un episodio della vita intrinseca dell’uomo,
una volontà, una coscienza intrinseca dell’uomo che riconosce la sua indegnità rispetto a Dio e
accetta la sua iniziativa di salvezza, in questo modo la giustificazione comporta la collaborazione di
Dio e dell’uomo (L’uomo deve attivamente compiere un atto di abbandono e di fede in Dio per
poter ottenere la giustificazione dei suoi peccati).
- Negli adulti la giustificazione va necessariamente preparata rispetto al battesimo dei
bambini: i bambini vengono battezzati perché essi, per il fatto stesso che nascono, nascono con il
peccato originale che si trasmette di padre in figlio (di generazione in generazione). In un adulto c’è
bisogno di una particolare preparazione perché si suppone che l’adulto abbia nella sua vita
commesso altri peccati rispetto al peccato originale, questo comporta la delineazione di due
condizioni: la condizione del bambino (dove era presente solo la macchia del peccato originale e
non quella di altri peccati recenti, reali) e quella dell’adulto (che molto probabilmente, quasi
sicuramente, ha commesso altri peccati oltre a quello originale). In merito a tutto questo, l’iniziativa
di Dio è sempre gratuita ma l’uomo deve positivamente liberarsi da ogni male, da ogni peccato
attraverso il sacramento della penitenza o attraverso l’esecuzione di opere penitenziali, quindi
l’adulto si prepara a ricevere la grazia di Dio mediante una purificazione interiore.
Tra questi presupposti il concilio di Trento ne indica alcuni, tutti interiori:
- Anzitutto la fede: il battezzato adulto deve possedere la capacità di affidare tutta la
propria vita a Dio, gettarla nelle sue braccia, farsi guidare dal Cristo nel cammino verso la
perfezione e verso la felicità eterna nel regno di Dio
- Il pentimento dei peccati: Chi chiedeva il battesimo doveva manifestare in maniera
chiara ed evidente che era pentito seriamente delle cattive azioni che aveva compiuto nella sua vita,
ma non solo, doveva avvertire profondamente il suo rifiuto per il peccato, l’avversione totale da
parte dell’uomo al peccato (es: Quando recitiamo l’atto di dolore … propongo con il tuo aiuto di
non offenderti mai più… o come quando si afferma il valore dell’indulgenza plenaria). Inoltre, c’è
sempre da considerare la volontà sacrante di Dio dentro il sacramento della penitenza, per cui se
l’uomo ritorna a “cadere” ( dopo il peccato originale) può essere riportato ad una condizione di
grazia mediante il sacramento della penitenza che sostituisce e continua l’opera del battesimo.
Dunque, questo significa che la vita dell’uomo sulla terra era una continua vicissitudine di bene e di
male e pur essendo stata ottenuta la liberazione generale dalla disobbedienza di Dio (per cui l’uomo
ora può obbedire veramente a Dio), quest’atto di trasformazione restava non definitivo, nel senso

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che era definitiva solo la perdita del peccato originale non la caduta nel peccato “attuale” , quindi
dei peccati “secondari”. Quindi la vita del cristiano era una continua tensione verso il bene, verso la
purificazione in quella che viene chiamata (da questo momento in poi) la “sequela Christi” , cioè
seguire l’insegnamento di Gesù Cristo, assimilarsi (per quanto possibile) alla vita e alla dottrina di
Gesù. Infatti, continua Trento, la giustificazione che noi possediamo e che Dio ci concede è la
stessa giustificazione che Dio compie nei confronti del Cristo uomo. Anche il Cristo uomo è stato
giustificato attraverso il concepimento verginale di sua madre già libera dal peccato originale, fin
dall’eternità. Allora il Cristo riceve dalla madre vergine la liberazione dal peccato originale e la
giustificazione che noi otteniamo durante il battesimo è esattamente la stessa giustificazione che ha
operato il Cristo liberandosi ed essendo liberato dal peccato originale.
Lutero, in questo punto, diversificava la giustificazione di Cristo e quella nostra:
- La giustificazione di Cristo era avvenuta in una maniera “miracolosamente” divina
ed era assolutamente superiore alla bassezza dell’uomo perché in Cristo non era presente il peccato
originale.
- La giustificazione, invece, che riceve l’uomo è atipica, di natura inferiore, perché
l’uomo è già stato disobbediente al peccato originale cosa che invece non è successa a Cristo.

Per Trento invece l’unica opera di Dio era quella che attraverso Gesù Cristo interveniva fino
a noi, ecco perché la giustificazione è un percorso esistenziale, durante il quale il giustificato agisce
diversamente da coloro che non sono stati liberati dal peccato originale. Quindi l’agire esteriore del
giustificato deve manifestare (attraverso le virtù fede, speranza e carità) la sua trasformazione da
peccatore a giusto.
Per quel che riguarda i meriti (se le opere buone fossero considerate dei meriti per ottenere il
perdono dei peccati e l’ingresso nella vita eterna) Trento affermava che esisteva un solo merito ed
un solo esecutore dei meriti che era Gesù Cristo (qui la visione di Trento è molto simile a quella
luterana). I meriti che ha potuto ottenere Gesù Cristo attraverso la sua passione, morte e
resurrezione, sono di tipo infinito, infinitamente più grande, più elevato rispetto a quelle piccole
opere (meriti) che compiono gli uomini condizionati e contaminati dalla loro condizione di
peccaminosità continua, persistente. Quindi quando la chiesa decide di concedere l’indulgenza
parziale o totale ai suoi fedeli, opera proprio lavorando sui meriti di Cristo.
Per Lutero, invece, le indulgenze non avevano nessun significato perché erano opere buone
con le quali si voleva accedere in paradiso pagando. Per la teologia romana invece i meriti di Cristo,
di Maria e di tutti i santi erano talmente infiniti da costituire una massa di grazia, di
“giustificazione” di valore infinito e a questa “massa” poteva accadere soltanto il pontefice romano

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e solo lui poteva misurare in quale modo essa dovesse venir distribuita tra i credenti (es.100 giorni
di indulgenza, 200 gg di indulgenza, 1 anno di indulgenza, indulgenza plenaria completa). Quindi
l’indulgenza poteva essere disposta o a tempo ( 100gg, 200gg, ecc), nel senso di espiazione della
pena del purgatorio (prima di entrare in paradiso), o poteva essere plenaria cioè una indulgenza che
escludeva totalmente le pene che dovevano essere ancora espiate dal credente che, non era giunto in
paradiso ma, si trovava ancora in purgatorio a liberarsi dalle pene dei suoi peccati commessi sulla
terra.
Dunque per “giustificazione per mezzo di Cristo” significava tutto quello che Gesù aveva
compiuto, attraverso il mistero pasquale, a favore dell’uomo e solo questo poteva meritare all’uomo
la sua giustificazione, la sua salvezza. E’ da Gesù e dal merito di Gesù che proviene la virtù del
peccatore, una virtù che si manifesta anche qui esteriormente, estrinsecamente e colui che è stato
liberato dal merito di Cristo, dalle sofferenze di Cristo, da tutto ciò che ha sopportato Cristo ai
tempi della sua passione, sono visibili attraverso le virtù che vengono operate dall’uomo (in modo
specifico le 3 virtù teologali di fede, speranza e carità).
La riflessione attuale nei confronti del peccato tridentino (senza volerne mettere in dubbio il
valore dogmatico) mette in rilievo alcuni punti fondamentali.
- E’ molto ben chiaro il rapporto tra grazia di Dio e libertà dell’uomo: L’uomo
rimane sempre libero di decidere sulle iniziative di Dio. Dio sa bene che l’uomo può rifiutare
l’offerta di libertà di salvezza dal peccato che Dio gli propone. Per Lutero questo era impossibile:
La libertà umana non avrebbe mai potuto, da sola, decide se accettare o rifiutare alcun incontro con
Dio. L’iniziativa dell’incontro con l’uomo poteva venire solo da Dio, l’uomo non aveva
assolutamente nulla da disputare d’avanti a Dio, aveva solo peccati, era Dio che si avvicinava al
peccatore e gli offriva la possibilità della salvezza.
- La fede: Rispetto a Lutero, per fede, non viene più considerata solo la fede
“fiduciale”, cioè l’abbandono definitivo, passivo, completo, sentimentale dell’uomo a Dio, ma
veniva inserito nel quadro della più grande dogmatica teologica secondo la quale la fede non era
soltanto una fede fiduciale ma anche una fede dogmatica, cioè una fede che si componeva di tanti
articoli di fede quanti erano quelli stabiliti dal credo Niceno-Costantinopolitano. Quindi fede
significava anche adesione intellettuale a certe decisioni e a certe sentenze dogmatiche stabilite dal
magistero della chiesa.
- Punto debole del concilio di Trento: un punto debole presente nel decreto di Trento è
il fatto che non si sottolinea l’impegno e l’attività di Cristo nella liberazione dell’uomo dal peccato.
Nel decreto si evidenzia soprattutto l’iniziativa di Dio e Cristo viene considerato soltanto come
mediatore della salvezza, quasi come se non ci fosse nessuna iniziativa da parte di Cristo per salvare

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il peccatore. Infatti, quando il dibattito sulla giustificazione ritorna negli anni 60 (non più con
Lutero, ma da parte di alcuni autori protestanti) il discorso ricomincia proprio da questo punto: “
Che senso ha la presenza di Cristo nell’opera della giustificazione dell’uomo “?
Colui che ha ripreso la discussione sulla giustificazione attraverso l’operato di Gesù è Karl Barth.
Per questo autore ciò che è importante sottolineare prima della giustificazione dell’opera di giustizia
di Dio è l’opera che Cristo ha compiuto prima ancora di venire nel mondo. Dio infatti ha
preordinato un progetto di salvezza attraverso il quale Gesù Cristo avrebbe dovuto portare tutte le
genti (non solo i giudei, cristiani, ma tutti i popoli della terra) ad unirsi tutti insieme nell’obbedienza
al padre, riconoscendo l’amore libero e liberante del padre e la sofferenza che Cristo aveva subito
per mantenersi obbediente al progetto del padre, quindi nel processo della giustificazione Dio era il
centro, ma l’operatore materiale, concreto era Gesù Cristo liberatore universale.
Per Barth tutta la creazione, ogni popolo della terra fino alla fine della storia, è stata già
giustificata dall’opera di Gesù Cristo, poiché se non ci fosse stata una giustificazione previa di Gesù
Cristo non si potrebbe assolutamente pensare né al peccato originale, né alla caduta dei progenitori,
ne alla salvezza attraverso il Cristo. Quindi Cristo è il centro della creazione dell’uomo, del tutto,
così come l’ha voluta Dio. Dio ha ceduto a Cristo i propri poteri sananti, i propri poteri liberatori ed
è Cristo che ne ha fatto il centro della sua obbedienza: Gesù ha obbedito al potere salvifico di Dio,
ad un progetto di Dio che includeva tutti gli uomini di tutte le età.
L’autore cattolico che si è immediatamente avvicinato alla prospettiva cristologica di Barth
e ne ha fatto nella teologia cattolica un primo uso intelligente e decisivo è Hans Küng con il suo
volume “La giustificazione”. Per la prima volta nella teologia cattolica ci si allontanava dalle
affermazioni di Trento per sottoporle ad una riflessione profonda che riuscisse a mettere in ombra,
la presenza fortemente teologica di Dio nel decreto sulla giustificazione e fare in modo che questa
presenza onnipervasiva di Dio (teologica), diventasse cristologica, ovvero che tutto il programma di
liberazione dell’uomo fosse affidato alle mani del Cristo.
Un altro autore che ha cercato di rivedere il modello teologico di Trento alla luce del
pensiero di San Tommaso è Otto Herman Pesch. Nel suo volume “Martin Lutero introduzione
storica e teologica” , egli cerca di osservare come le posizioni di Lutero non erano in verità
contrapposte a quelle di Tommaso, ma erano semplicemente dei punti di vista differenti, divergenti,
che sostenevano in ogni caso una preferenza della figura cristologica rispetto alla figura teologica
della dottrina della giustificazione. Secondo questo autore Martin Lutero non ha voluto (almeno agli
inizi della sua opera di riformatore) contrastare la teologia cattolica classica e se nel prosieguo della
controversia si è allontanato da essa lo ha fatto soltanto perché le sue lezioni erano sempre delle
lezioni di tipo esegetico (commento alla lettera ai romani, agli ebrei, commenti ai salmi ecc.) ,

101
dunque attraverso questa base esegetica, ma non dogmatica, Lutero poteva arrivare a raggiungere
delle soluzioni che allora sembravano contrastanti con la teologia cattolica, mentre oggi sembrano
soltanto delle diverse interpretazioni di una stessa fede, di uno stesso contenuto teologico.
Nel complesso possiamo dire che il ventesimo secolo ha guardato a Trento come un punto di vista
indiscutibile dal quale però ci si poteva aspettare una diversa interpretazione.
Grazie al dialogo ecumenico anche noi cattolici abbiamo imparato a leggere i testi di Tommaso e
del concilio di Trento in una maniera meno schematica, meno obbligante, meno oggettiva ma
maggiormente aperta a bisogni nuovi, interpretazioni ed esegesi nuove attraverso tutto il risultato
che nel frattempo (da Trento in poi e da Barth) le esegesi della teologia andavano compiendo
nell’approfondimento dei loro studi. Ecco perché si giunge a quel documento della dichiarazione
congiunta sulla dottrina della giustificazione, che è stata controfirmata dalla chiesa cattolica e dalla
federazione luterana mondiale il 31 ottobre 1999. Nel terzo capitolo di questa breve dichiarazione
congiunta si espone l’accordo sulla giustificazione raggiunta, un accordo che però lascia entrambe
le parti libere di poter interpretarlo nella maniera che, secondo la loro tradizione teologica, è
possibile fare. Ciò che è importante di questa dichiarazione è dire che le diverse prospettive (quella
luterana e quella cattolica) non sono in contrasto, ma sono semplicemente delle differenti
interpretazioni di una medesima fede nella giustificazione di Dio da parte di Gesù Cristo e del suo
mistero Pasquale, senza nessun merito da parte dell’uomo, senza nessun tornaconto da parte di Dio,
gratuitamente e da una volontà salvifica di Dio che proveniva fin dall’eternità, precedente alla
creazione del mondo. Dio non è intervenuto sul mondo perché l’uomo ha peccato, Dio sarebbe
comunque entrato nel mondo anche se l’uomo non avesse peccato per fare l’esperienza
dell’incarnazione dell’uomo.
Un’altra conseguenza di questa dichiarazione congiunta è quella di eliminare le scomuniche a
vicenda che le due chiese si erano scambiate nel periodo più aspro della polemica, ogni chiesa
aveva scomunicata l’altra. Il numero 15 della dichiarazione afferma (come pensiero centrale della
dichiarazione congiunta) che Cristo è la nostra giustizia, obbedisce alla volontà del padre e si
ottiene attraverso lo spirito santo (dunque una dichiarazione profondamente trinitaria), quindi a
partire dall’evento di Gesù Cristo che ci ha manifestato questa realtà trinitaria dell’opera della
giustificazione da parte di Dio. Così noi accettiamo l’interpretazione trinitaria perché è stata una
liberazione ottenuta da Cristo, se Cristo non viene messo al centro del piano, del progetto
giustificante di Dio allora si perde questa possibilità di interpretazione trinitaria. La fede nella
salvezza operata da Cristo, a prescindere dai nostri meriti, ci rende accettati da Dio: Noi diventiamo
luoghi della presenza dello spirito santo e esso rinnova le nostre esistenze e ci rende capaci (una
volta penetrato dentro di noi con la liberazione del peccato) di compiere opere buone. Quindi, per la

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prima volta, veniamo a conoscere quando il protestantesimo ha anche dato un’importanza alle opere
buone, non più secondo la visione restrittiva di Lutero (nessun’opera buona ha valore d’avanti a Dio
perché l’uomo rimane sempre un peccatore), ma nella dichiarazione congiunta si afferma che le
opere buone sono la manifestazione dell’avvenuta salvezza dell’uomo da parte di Dio, dunque le
opere buone non servono a meritare la vita eterna ma sono espressioni della giustificazione ottenuta
liberamente, gratuitamente, amorevolmente da parte di Dio.
In conclusione, qui non si parla di un’identificazione assoluta delle due correnti di pensiero ma
piuttosto di un’unità nella diversità, per cui le chiese possono continuare ad usare il loro proprio
linguaggio, le loro proprie categorie teologiche, le loro proprie sottolineature particolari (es: gli
aspetti della tesi della giustificazione), quello che è importante è che con questo testo si chiude
definitivamente la divisione intransigente tra riforma protestante e chiesa cattolica. Dunque, tutto
questo, può far sperare realmente, fiduciosamente, in una unità all’interno della chiesa, quella unità
che Cristo stesso richiede, con molte pecore di diversi ovili che si possano riunire insieme
rimanendo accanto (l’uno vive accanto all’altro) tutti quanti, preservati, difesi e considerati con
amore dal Cristo unico pastore.

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Lezione 29 Maggio 2018

25. CONSIDERAZIONI TEOLOGICHE DOGMATICHE SULLA GIUSTIFICAZIONE DEL PECCATORE E

L’EFFETTO DELLA GRAZIA DI DIO NELL’UOMO PECCATORE INCAPACE DI SALVARSI DA SOLO.

1) La prima considerazione che va fatta è che il Dio biblico sperimentato sia nel NT che AT
non è un “deus ex machina” cioè che opera al di fuori di sè lasciando la creazione, e così anche la
storia dell’uomo, senza più interessarsi ad essa, alla sua rovina. Ma sin dall’eternità ha pensato e
voluto la creazione con una profonda volontà di manifestarsi o meglio di farsi conoscere ad altre
creature e di far conoscere ad esse il traboccante amore di cui godeva all’interno della Trinità,
Padre, Figlio e Spirito Santo.
Nel suo auto-comunicarsi Dio fa sperimentare all’uomo il suo amore, un amore talmente
grande che non può essere totalmente compreso dall’uomo se non attraverso delle mediazioni,
nell’antico testamento la grande mediatrice diviene la Legge Sinaitica, Dt 6,7 “tu amerai il tuo
Dio” e non obbedirai, perché il primo rapporto che Dio vuole stabilire con l’uomo è un rapporto di
Amore, un rapporto che continua nella vita della creazione e dell’uomo, non si allontana mai da
essa rimane trascendente il Dio creatore dall’uomo, ma che al contempo si fa immanente nella sua
creazione, scende nella sua creazione cosi come nell’Eden Dio scendeva nel giardino a discutere
con i suoi ultimi elementi creati, l’uomo e la donna manifestando la Sua trascendenza, ma anche la
sua vicinanza. Il punto più alto di questa immanentizzazione del trascendente è l’incarnazione del
Figlio pensata da sempre nell’eternità. Come quell’azione attraverso la quale Dio e l’uomo
divengono una cosa sola pur rimanendo intatta la trascendenza di Dio e la posizione dell’uomo, che
attraverso di esso non diventava Dio ma rimaneva nella sua qualità di creatura immanente, creatura
sensibile, dipendente da Dio. Avente comunque una costante assimilazione all’immagine e
somiglianza di Dio dal momento che tutta la vita dell’uomo era destinata a questo scopo, ad un
processo di coscientizzazione, attraverso il quale l’uomo si sente vicino all’immagine per cui è stato
creato, che non è il Padre ma l’immagine della sua sostanza, l’irradiazione della sua gloria rivelata
nel volto del Figlio, Gesù Cristo, che da sempre è stato generato.
2) In maniera sintetica Karl Rahner ha voluto unificare questa condizione, affermando che
ogni uomo nasce sulla terra in un ambiente sacro col figlio di Dio, quello che egli chiama
esistenziale soprannaturale, gravido del soprannaturale, gravido anche del desiderio di Dio di
risanare la condizione peccaminosa dell’uomo qualora avesse disobbedito alla sua legge. <<Io amo
Dio se osservo la legge del Sinai.>> Dio sa bene che all’interno della creazione ci sarebbe stata una
disobbedienza dell’uomo, lo sapeva dall’eternità; allora Dio si manifesta dall’eternità come il Dio

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che vuole salvare l’uomo dalla sua condizione. Quando Dio interviene a sanare la condizione
dell’uomo vi è un momento in cui Dio viene in un frammento della storia della salvezza, ma poi
Dio interviene in tutta la storia della salvezza, imponendo al mondo per il suo bene e non perché ne
è il padrone, una storia sacra che si avvicini sempre di più al modello di Dio. Affinché questo piano
possa realizzarsi Dio pensa ad una comunione speciale di uomini che possa realizzare nel mondo
una comunità di salvezza in grado di raggiungere tutti i luoghi e gli uomini della terra, questa
mediazione la chiama chiesa, Ekklesia, il popolo di Dio che raduna tutti gli uomini che sono stati
liberati dal peccato originale e trasferirli cosi sulla via della salvezza definitiva. Una chiesa nata dal
mistero pasquale e ravvivata dal dono dello Spirito Santo, Dio sa bene che il compito affidato alla
chiesa è immane, pertanto non aspetta che la chiesa si organizzi per raggiungere tutti gli uomini
della terra ed ogni angolo della stessa; ma realizza anche all’interno di altri popoli, culture, religioni
delle forme di salvezza, di liberazione dal male, delle forme di redenzione dal peccato delle origini.
Allora il compito della chiesa è prendere coscienza di queste altre forme, vie di salvezza predisposte
da Dio per la liberazione degli uomini. Ogni religione si presenta per l’uomo come una via di
redenzione, una realtà di uscita dal suo stato di abbandono, di colpa, di peccato, di insoddisfazione,
di inautenticità con una netta differenza che queste altre religioni pongono al centro di quest’opera
di salvezza la persona dell’uomo, sono forme di auto- redenzione, l’uomo comprende il basso
valore morale della sua vita e cerca attraverso i miti, i riti, le preghiere, i racconti, le filosofie, le
meditazioni profonde, di elevarsi.
Nel popolo che Dio ha unito fortemente a se nella storia salvifica si verifica l’ipotesi
contraria: non è l’uomo che cerca di auto-redimersi, ma è Dio che si propone all’uomo come unico
e solo redentore, questo è ciò che caratterizza il cristianesimo che solo un Dio può salvare l’uomo,
all’interno della chiesa, all’interno del popolo che egli si è scelto. Cosa compie Dio di particolare
nella storia della salvezza all’interno del suo popolo? Compie due azioni, anzitutto quella di
liberazione, libera dal peccato che lo tiene legato nel compiere azioni malvagie, e fa in modo cosi
che l’uomo possa diventare ogni giorno sempre di più uomo, l’offerta sanatrice e liberatrice di Dio
non mortifica l’uomo nella sua personalità, nelle sue capacità elevate ma queste capacità elevate,
queste capacità dell’uomo li vuole sviluppare sempre di più, cioè vuole che l’uomo diventi sempre
di più una persona umana cioè un soggetto sempre più autonoma e responsabile della propria storia.
Un soggetto che collabori sempre di più con l’azione sanante e liberante di Dio. Allora qui manca
non solo il concetto di auto-salvezza di auto-soteria ma manca anche l’elemento della
personificazione dell’uomo presso le altre religioni e culture. Le altre religioni presentano delle
forme di liberazione umana, ma queste forme di liberazione umana, di auto-redenzione sono viste
sempre più come forme di annullamento della personalità umana, l’uomo deve soffrire, deve

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morire, deve perseguire altri modelli di liberazione per raggiungere il modello da lui stesso
preparato. Il Dio cristiano invece aiuta per un atto totalmente gratuito senza nessun tornaconto che
l’uomo diventi sempre più uomo sempre più persona, cioè essere capace di mettersi in relazione con
gli altri rendendolo sempre più responsabile delle proprie scelte, decisioni libere e volontarie. Se
Dio entra nella storia dell’uomo allora la libertà ottiene una particolare accentuazione di significato,
quando l’uomo si riconosce liberato autonomamente da Dio per un atto di volontà amorosa e senza
tornaconto, un atto gratuito da parte di Dio, l’uomo riesce a comprendere come la sua liberta più
alta, la sua forma di libertà maggiore, quella libertà che viene da una volontà superiore è la libera
volontà di mettersi a disposizione della volontà del Dio liberante, questo non significa che Dio
costringa l’uomo ad essere simile a se, ma significa semplicemente che Dio dona all’uomo una
libertà così alta tale che l’uomo possa rinunciare ad ogni forma di auto-redenzione, forme autonome
di salvezza, invece si possa affidare totalmente alla forma di salvezza voluta da Dio. Questa
posizione dell’uomo si chiama fede, cioè libertà e volontà sono messe a disposizione di Dio dopo
averlo conosciuto come unico salvatore del mondo, come unico creatore dell’uomo. Questa libertà è
una libertà non solo per il singolo, una liberazione che avviene solo per me che voglio liberarmi dal
male, ma avviene sempre come liberta per l’altro, cioè una libertà che io sperimento, che mi dona
una così grande gioia, un così grande desiderio di trapassare i miei limiti e mi fa conoscere la
liberazione che Dio mi ha concesso liberamente tale da volerlo comunicare all’altro. Nasce così lo
spirito missionario, la grazia che io ho sperimentato singolarmente mi spinge ad annunciare all’altro
questo dono sperimentato nella propria vita, Grazia liberante che mi spinge a rendere partecipe
anche coloro che tengono a salvarsi, a redimirsi senza però trovare il modo giusto. Divengo cosi
mediatore di salvezza perché Dio si e fatto a me vicino, prossimo. E vero che se guardiamo con
occhi smarriti, disincantati la realtà che ci viene presentata dal mondo dobbiamo dire che questa
opera di salvezza di liberazione dell’uomo non è sempre stata realizzata, così anche da parte della
chiesa popolo di Dio, nonostante questa imperfezione attuale da parte della chiesa e del
cristianesimo, la fede deve continuamente affermare il suo primato su tutte le altre forme di
salvezza. La missione evangelizzatrice della chiesa non può fermarsi neppure dinanzi agli errori e
alle colpe della chiesa stessa perché la chiesa rimane il primo popolo voluto da Dio per essere
liberato, sciolto dalle catene del male. Lasciare operare la salvezza di Dio nell’animo di un uomo
nell’anima di un popolo, nell’anima di una società non significa come nelle altre religioni e culture
compiere sacrifici inauditi incredibilmente elevati. L’unica cosa che Dio ci richiede per essere
salvati è semplicemente la fede in Dio, solo la fede salva e dona l’amore gratuito di Dio all’altro;
non sono le opere né i riti né i sacrifici, ma soltanto l’abbandono fiducioso in Dio, Padre, Figlio e
Spirito. E questo che vuole Dio anche per noi Cristiani che lo abbiamo conosciuto più da vicino

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attraverso la mediazione di Gesù Cristo. Non opere buone continuamente raccolte per radunare
meriti attraverso i quali guadagnarsi la salvezza; le opere buone non raccolgono nessun merito, solo
Gesù Cristo ha raccolto meriti dinanzi a Dio attraverso la sua vita, la sua morte e la sua resurrezione
per la nostra salvezza. Detto ciò possiamo trarre una conclusione liberante, una conclusione gioiosa
per la nostra vita; se Dio è presentato in una maniera così positiva, che vuole la liberazione del suo
essere creato, vuole dire che la storia dell’uomo all’inizio non è una storia di peccato, ma una storia
di liberazione dal peccato, il racconto biblico non si apre con il racconto del peccato dei nostri
progenitori ma con l’inno esultante della creazione di Dio. Solo successivamente, su questo fondo
così ottimista, è avvenuta una degenerazione, una macchia rispetto alla volontà salvifica di Dio, ma
anche questa macchia, questa degenerazione è destinata ad essere sanata, tutta l’opera di Dio dopo il
peccato originale è una corsa affannosa di Dio verso l’uomo che si è allontanato sempre di più da
lui. Questo continuo rincorrere l’uomo da parte di Dio si realizza in una persona specifica che è
quella del figlio di Dio incarnato, Gesù Cristo, la mia fede in Gesù Cristo è l’unico presupposto che
Dio ci chiede per poterci innestare nella via della salvezza. L’unico modo che ha l’uomo per
collaborare all’opera della salvezza è quella di conformarsi sempre di più a Lui con una vera e
propria sequela Christi, cioè porgere, mettere le nostre orme lasciate da Lui davanti a noi; Cristo
inizia un percorso di liberazione e lascia dinanzi a noi le orme sulla sabbia dei suoi piedi perché
anche noi possiamo seguirlo verso la via della liberazione totale.
Ci sono tre espressioni attraverso il quale la sequela Christi diviene vita esistenziale,
comportamento quotidiano, la via della fede, la via della speranza e la via della carità. La fede mi
aiuta ad essere cosciente sempre di più di essere un figlio di Dio pronto ad essere responsabile della
mia vita nei confronti di Dio e degli altri. La speranza mi riempie della sicurezza che alla fine del
mondo quando ritornerà il Signore il giudice escatologico, il progetto di Dio si concluderà
positivamente, cioè l’amore di Dio avrà la meglio sulle forze del male. La carità in fine fa del
giustificato l’uomo che offre continuamente se stesso in favore degli altri, questo offrirsi dell’uomo
nei confronti dell’altro noi possiamo identificare anche come “le opere buone” ma sempre tenendo
presente che la mia opera compiuta attraverso la carità che viene da Dio e l’amore che è stato
riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato, non vale a guadagnarmi
la via eterna. Ma la carità cristiana è una carità completamente gratuita, donata senza nessun
tornaconto, affinché non solo si renda visibile Gesù Cristo attraverso la mia vita ma tutti diveniamo
figli di Dio amati da Lui.

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SOMMARIO

1. INTRODUZIONE................................................................................................................ 2

2. QUANDO NASCE LA RIFLESSIONE TEOLOGICA INTORNO ALL’UOMO E COME VIENE


ALLA LUCE IL CONCETTO DI ANTROPOLOGIA TEOLOGICA................................................. 3

3. ELEZIONE-PREDESTINAZIONE DELL’UOMO ................................................................ 7

4. IL CONCETTO DI ELEZIONE E PREDESTINAZIONE NELLA SACRA SCRITTURA ......... 8

4.1. PREDESTINAZIONE NELL’AT ........................................................................................................................... 8

4.2. PREDESTINAZIONE NEL NT .............................................................................................................................10

5. TEOLOGIA E MAGISTERO: TEMA DELLA PREDESTINAZIONE .................................. 14

6. AMARTOCENTRISMO DI AGOSTINO LA DOPPIA PREDESTINAZIONE. ...................... 17

7. ELEZIONE E PREDILEZIONE ........................................................................................ 24

8. LA CREAZIONE: ANTICO TESTAMENTO ....................................................................... 29

9. L’UOMO: CREATO A IMMAGINE E SOMIGLIANZA DI DIO ........................................... 32

10. LA MEDIAZIONE DI GESÙ CRISTO NELLA CREAZIONE .......................................... 38

11. IL TEMA DELLA CREAZIONE NELLA TEOLOGIA CRISTIANA................................. 46

12. SITUAZIONE DEL XIII SECOLO E SAN TOMMASO .................................................... 53

13. L’UOMO NELLA CREAZIONE ..................................................................................... 56

14. DISCORSO SULL’ANTROPOS-STUDIO SULL’ESSERE UOMO INSERITO NEL MONDO


59

15. DISCORSO SULL’ANTROPOS NEL NUOVO TESTAMENTO ......................................... 63

16. DATO STORICO TEOLOGICO DEL MODELLO DI CRISTO NEI PADRI DELLA CHIESA
67

17. PROBLEMATICA SUL RAPPORTO ANIMA E CORPO ................................................. 71

18. CONCETTO DI PERSONA ............................................................................................. 74

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19. LA MODERNITÀ E LA CONTEMPORANEITÀ XIX E XX SECOLO .............................. 78

20. L ‘UOMO PECCATORE ................................................................................................. 83

21. IL PECCATO ORIGINALE ............................................................................................ 86

22. LA GIUSTIFICAZIONE ................................................................................................ 88

22.1. TESTI BIBLICI ANTICO TESTAMENTO ................................................................................................................88

22.2. NUOVO TESTAMENTO......................................................................................................................................89

22.3. PROBLEMATICA RIGUARDO SULLE OPERE BUONE COMPIUTE DALL’UOMO ............................................................90

22.4. AUTORI VARI CHE HANNO AFFRONTATO IL TEMA DELLA GIUSTIFICAZIONE .........................................................91

23. LA GIUSTIFICAZIONE NEL NUOVO TESTAMENTO ................................................... 93

24. LEGAME ESISTENZIALE CON CRISTO ....................................................................... 94

25. CONSIDERAZIONI TEOLOGICHE DOGMATICHE SULLA GIUSTIFICAZIONE DEL


PECCATORE E L’EFFETTO DELLA GRAZIA DI DIO NELL’UOMO PECCATORE INCAPACE
DI SALVARSI DA SOLO. ....................................................................................................... 104

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