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Introduzione alla teologia fondamentale – Fisichella

Introduzione

La teologia fondamentale ha per scopo lo studio della rivelazione cristiana e della sua credibilità. Il
teologo svolge il ministero dell’intelligenza critica della fede.

Perché credo? La risposta oggi è sempre più evasiva, si lega a giustificazioni emotive e non a riflessione e
studio su ciò che dovrebbe costituire l’essenza del vivere del credente.

La teologia fondamentale tende a creare maggiore conoscenza di questa problematica e fornire gli
strumenti necessari per motivare la scelta di fede.

Capitolo I

La teologia che ci ha preceduto è come lo stare nel deserto (paragone), e ci deve insegnare che aver
posto eccessivamente l’accento sulla ragione fa perdere il senso del mistero che deve esprimersi da sé.

Apologetica nella manualistica

Con Aternis Patris 4 agosto 1879 Leone XIII abbiamo il momento che da lo slancio a questa teologia
detta manualistica (o Scolastica). Con Dei Filius si aveva condannato il razionalismo e il fideismo.

Per poter svolgere questo ruolo apologetico si era scelta la filosofia di Tommaso. La filosofia porta a
conoscere verità naturali (preambula fidei) che sono verità universali.

La filosofia deve garantire lo statuto epistemologico alla teologia -> per compiere il ruolo apologetico.

Si farà riferimento principalmente al Magistero che diventa norma assoluta e, insieme alla presunta
superiorità del pensiero di Tommaso, diventa critica verso il resto del mondo e non criticabile.

La materia veniva trattata seguendo 3 dimostrazioni:

1. Dimostrazione religiosa, del valore oggettivo della religione e la necessità di ognuno a credere.
Destinatario: l’ateo.
2. Dimostrazione della superiorità del cristianesimo rispetto alle altre religioni, garantita dai segni quali
miracoli, profezie, risurrezione. Destinatario: il non cristiano per fargli scegliere il cristianesimo.
3. Dimostrazione che la chiesa voluta da Cristo è quella cattolica e necessità di aderirvi per la salvezza.
Destinatario: non cattolici.

Il metodo apologetico era usato come attacco contro ogni posizione che si discostava e come difesa
delle posizioni del magistero. Sposa il metodo deduttivo.

In questo modo si legava la teologia ad una filosofia, non si curava la frattura tra fede e ragione, la
rivelazione era presentata come una somma di dottrine, la credibilità fondata sui segni e si slegava dalla
persona di Cristo. Cristo era visto solo per le sue caratteristiche di superiorità ed eccezionalità.

Quando all’apologetica mancarono i nemici, dovette recuperare una diversa identità.

(p. 13 - 24)
Riscoperta dell’unità

Con il Vaticano II c’è un rinnovamento, sancito principalmente dalla Dei Verbum, che porta la riflessione
teologica a ritornare in modo genuino alle fonti. Recupera un senso della rivelazione come unità inscindibile
tra evento storico, salvifico e unico (p. 77). La “riscoperta” si può riassumere in tre grandi questioni:

1.Riscoperta della persona di Gesù Cristo: si passa all’assunzione di categorie di pensiero


personalistiche che mettono in risalto la persona di Gesù. Non è più un Cristo esclusivamente eccezionale,
ma consapevole della missione donata dal Padre e mostra il vero volto misericordioso di Dio, che si dona in
maniera totale e disinteressata. (p. 25 – 26)

2.Riscoperta della Chiesa ministro della parola: è la mediazione della rivelazione, popolo di Dio, santa e
bisognosa di purificazione, tutti i battezzati sono chiamati a testimoniare e non solo il clero. (p. 27)

Riscoperta del destinatario della rivelazione: il destinatario è l’uomo, tutti gli uomini, e l’obiettivo della
rivelazione è la salvezza di tutti gli uomini. La teologia fondamentale è terreno di incontro con tutti, data
questa prospettiva. (p. 28 - 29)

Riscoperta della scrittura: C’era stato il divieto tridentino di tradurre la scrittura in volgare. Invece
adesso torna ad essere il centro e viene tradotta per renderla disponibile a tutti i fedeli. La teologia riscopre
la Scrittura come “anima” del suo ricercare il mistero (DV24). Non più una riflessione fondata sui principi
della philosophia perennis ma che si fonda sull’intelligenza della Parola di Dio. (p. 30)

CAPITOLO II

Il Contesto

Il contesto in cui si colloca la teologia fondamentale è la modernità. Con tale termine si identifica
storicamente il periodo dalla scoperta dell’America (1492) alla rivoluzione Francese (1789) e poi lo sviluppo
della tecnica dal XIX secolo. In tale ambiente si riscontra un pensiero caratterizzato da una mentalità che ha
caratteristiche proprie: efficienza, razionalità, consenso pubblico come criterio di verità. Questo caratterizza
ancora il pensiero del nostro presente. La filosofia ingloba anche la religione e diventa criterio ultimo di
ogni forma di sapere. Dio diventa una ipotesi inutile. Cartesio -> Kant -> Hegel -> Nietzche -> Heiddeger … la
“liberazione” dell’uomo dalla “verità rivelata” per avere una autonomia autosufficiente. Successivamente si
riscontra il problema della tecnica: l’uomo acquisisce una “potenza” che però deve imparare a controllare
per farne un uso retto. (p. 31 – 38)

Altro tema importante è la soggettività: la modernità è attenta ai valori legati alla dignità del soggetto e
alla persona umana. Esasperando l’individuo si arriva però al soggettivismo, esasperando l’individuo e le
sue capacità. (p. 38)

Anche i teologi e i cristiani non sono immuni a queste derive del pensiero moderno.

L’occasione perduta

Il documento La formazione teologica dei futuri sacerdoti, segna l’ingresso ufficiale, nel Magistero, della
teologia fondamentale. Viene detto che la teologia fondamentale ha come proprium di studio la rivelazione:
a livello ecclesiale tende ad ottenere l’adesione di fede, a livello generale vuole aprire uno spazio di dialogo.
Il concetto di dialogo di andava sempre più diffondendo nei documenti del Magistero. Comunque,
nonostante gli sforzi del vaticano II, pur avendo con forza riproposto la rivelazione come centro per la
teologia, il termine “teologia fondamentale” non venne utilizzato espressamente. (p. 39 – 41)

Necessità della teologia fondamentale

La necessità della TF si può evidenziare se si riflette su alcune situazioni particolari:

1.Apologetica dell’atto di fede. A partire dal concilio si ricercano studi per un senso biblico del concetto
di fede ma non si presentano le motivazioni per cui si crede. Non facendolo si va verso un fideismo. La fede
(DV 5) è atto in cui azione di grazia e libertà personale si corrispondono. La rivelazione è comunicazione di
Dio e si risponde ad essa con il dono di se. La TF deve mostrare la fede come forma di conoscenza. (p. 42 –
44)

Perché giustificare la fede? Per il fenomeno delle sette che corrispondono a chi vuole una strada facile
da seguire, senza dover ragionare o essere responsabile. Per la differenza con le altre religioni, in quanto il
cristianesimo ha una sua specificità. Un altro rischio è il sincretismo. (p. 44 – 45)

2.Provocazione circa il senso. Il problema del senso oggi è molto sentito. L’indifferenza caratterizza il
nostro tempo. Si parte con la perdita del senso della vita sacramentale, poi dicotomia prassi morale e poi
ateismo. La TF può rispondere alla domanda di richiesta di senso della vita: essere-per-l’altro perché lo si
ama, la resurrezione è evento nuovo, da senso alla vita. (p. 45 – 46)

3.Fondazione di una pastorale globale. Teologia e azione pastorale sembrano in disinteresse l’una per
l’altra. Ma è necessario che dialoghino e collaborino in quanto strettamente legate. (p. 46 – 47)

Un senso da percorrere

Quale carattere epistemologico ha la Teologia Fondamentale? La TF essendo teologia è scienza e sapere


critico, è la scienza del “perché?”. (Non comprendo bene il discorso che fa, sembra presumere il carattere
scientifico senza darne effettiva spiegazione) (p. 47 – 51)

CAPITOLO III

Carattere teologico della fondamentale

La TF nella sua paradossalità costruisce e impiega uno strumento scientifico che le permette di
raggiungere dei risultati universalmente comunicabili. Non è da confondere con le scienze empiriche o
sperimentali. Si avvale di altre scienze: per provare la solidità storica, per valutare il senso, per comprovare
l’attendibilità dei testimoni, consolida i fatti attraverso la tradizione ininterrotta. Non dispone del suo
oggetto di ricerca a piacimento, perché è sull’orizzonte del mistero. (assenso che testimonia la verità??? P.
54 2° capoverso … per comprendere meglio andare agli autori dell’ultimo capitolo) (p. 52 – 54)

Un teologo fondamentale senza fede sarebbe uno storico dell’evento, perché mancherebbe la pretesa
di rivelazione divina. Il teologo si approccia alla rivelazione credendo, avendo la certezza che sia vero. E’
esperto nel senso che si relaziona in profondità con l’oggetto di studio. Nello studio della TF ci sono due
dimensioni: 1. Dommatica, elabora l’oggetto di studio alla luce della rivelazione e dei principi che da essa
provengono; 2. Apologetica, si ricerca l’intelligenza di ciò che già si crede. Si elabora il contenuto della
rivelazione per chi non ha la stessa esperienza di fede in modo che possa percepirlo come portatore di
senso. (p. 52 – 56)

Il fatto che ci sia un destinatario non credente conduce alla considerazione che due elementi devono
essere oggetto di studio della TF: 1. Necessità di presentazione critica dell’atto del credere; 2.
Presentazione dell’oggettività del contenuto che è dato per rivelazione e che può essere semplicemente
accolto dal credente e come atto gratuito di Dio. (ma se nel linguaggio odierno “oggettivo” è sinonimo di
“reale”, che si fondi su esperienza diretta, sperimentabile, aderente ai fatti, che non dipende dal soggetto,
allora a cosa servirebbe la fede? Intendiamo altro per “oggettivo” in TF? … per comprendere meglio andare
agli autori dell’ultimo capitolo) L’unità tra le due dimensioni è ciò che sa rendere ragione della fede a
chiunque. Quindi la TF deve avere una metodologia che sappia comunicare con il credente e esprimere i sui
dati anche al di fuori dell’orizzonte della fede. (p. 56 – 57)

Il problema del metodo

Metodo. Per Dogmatica un metodo che investiga, per Apologetica un metodo che ricerca.

Oggetto di indagine è il mistero di Dio nella dinamica e logica della autorivelazione.

Il metodo deve analizzare i dati che sono in nostro possesso per raggiungere criticamente alla verità
che viene già accolta dalla fede. (in altri termini deve giustificare quello che già so, difendere da critiche
esterne o da autocritiche)

La storicità non va intesa come puro evento storico, ma partendo dal fatto che l’evento del Cristo è un
unicum, un qualcosa di mai visto e che si realizza una volta per tutte. E’ necessario indagare anche come
questo dato storico sia giunto a noi. E’ inoltre necessaria una metodologia esegetica perché il messaggio
dell’autore possa giungere a noi secondo i suo intento. La storiografia, archeologia, ermeneutica dovranno
ricostruire con maggiore oggettività il dato ricevuto.

Inoltre la metodologia non può fermarsi al solo contenuto, ma deve sapere anche a chi ci si sta’
rivolgendo. Così si dovranno dare al credente ragioni per credere e per analizzare con una intelligenza
critica il contenuto della rivelazione, al non credente motivi per poter credere, evidenziare che c’è un
“cumulo di probabilità” o una serie di ragioni per cui “credere” renda la vita pienamente umana. (p. 57 –
61)

Metodo di integrazione

La storia ha conosciuto diverse proposte: 1.Immanenza di Blondel (guarda il destinatario e la


trascendenza. Come immanenza e trascendenza si incontrano, cioè come il messaggio che viene dalla
trascendenza si incontra con il destinatario); 2.Trascendentale di Rahner; 3.Psicologico di Newman;
4.Correlazione Tillich (la rivelazione in correlazione con il destinatario).

Metodo di Integrazione. Indica la possibilità di rendere intero ciò che ancora non è. Utilizza diversi punti
di vista. Non assolutizza il dato storico, non elimina i segni come valenza teologica, ma li assume nel
metodo perché riferiti alla centralità del mistero. (p. 61 – 65)

CAPITOLO IV
Scopo del capitolo è evidenziare che la Teologia Fondamentale è necessaria per l’itera teologia perché la
relaziona criticamente all’evento della rivelazione.

Rivelazione fondamento della teologia

Come si è evoluto il concetto nei secoli. A inizio secolo rivelazione: “comunicazione di verità religiose
che Dio fa agli uomini, personalmente o per mezzo di un angelo”. E’ una concezione che si aveva nel
periodo illuministico. (p. 66 - 67)

Evoluzione del concetto di rivelazione

Nell’antico testamento l’espressione privilegiata è “parola di Jahvé”, centrale è l’ascolto perché non si
può vedere Dio e restare in vita. Ascoltare invece è comune. La parola quasi non si distingue da chi la
pronuncia, mi dice tutto ciò che è la persona che la pronuncia. (p. 67 – 69)

Nel Nuovo Testamento la novità è la persona di Gesù di Nazareth. Dio ha parlato per mezzo del figlio.
Contenuto e soggetto che lo esprime sono identici. E’ Dio stesso che parla. La rivelazione non è più solo
udibile ma anche visibile. Il mistero si è fatto conoscere. (p. 69 – 70)

Il Periodo Patristico è incentrato sull’evento della salvezza. 1. Si preoccupano di precisare i contenuti e


le terminologie riguardanti la rivelazione. Ireneo ci mostra che c’è una dinamica nella rivelazione: il Logos
rivela Dio perché lo conosce, lo fa nella forma umana perché unica forma di comunicazione. 2. Dimensione
Apologetica (Clemente, Origene, Atanasio, Cirillo) iniziano una mediazione filosofica dei confronti del dato
rivelato.

Il tema della rivelazione nei Padri è onnipresente: Parola di Dio, tradizio, regula evangelii, regula fidei. La
comunicazione del contenuto rivelato è aiutata e permessa dalla filosofia. In tutti gli apologeti ci sono due
“anime”: quella cristiana e quella greca. (p. 70 – 71)

Nel periodo della Scolastica, tra le vari scuole filosofico-teologiche, c’è la grande intuizione Anselmiana
fides quaerens intellectum. (La ragione non è autosufficiente, deve rivolgersi alla fede. Ma chi crede non
azzera la ragione, anzi la valorizza fino in fondo cercando il più possibile di rendersi "ragione della propria
fede"). Nel medioevo si riscontra un “ordine” nel pensiero, una cooperazione e integrazione continua. Si
parlerà di rivelazione come “illuminazione” (Bonaventura). Con Tommaso si parla di “operazione salvifica”,
tramite la quale Dio fornisce le verità utili e necessarie per la salvezza, ma così si crea una prima
separazione tra rivelazione e salvezza, cosa invece che i Padri tenevano unite (il Dio che si fa conoscere è il
Dio che salva). (p. 71-73)

Nel XVI secolo, il concilio di Trento si preoccupa delle fonti della rivelazione, con il termine evangelium si
indica la globalità della persona di Cristo che viene trasmessa non solo attraverso le scritture ma anche
attraverso un insegnamento. (p. 73)

Il periodo post-tridentino. L’intuizione tomista dei preambula fidei non riesce a mantenere compatta la
fede e la ragione. L’umanesimo, e poi l’Illuminismo, concepisce la ragione in modo differente. La ragione si
relazione con la “religione naturale”, da cui il deismo inglese. Così la riflessione teologia si trova a dover
riflettere su un duplice campo: i problemi della Riforma e le filosofie o l’autorità della ragione. La rivelazione
non veniva più pensata come una duplice azione, azione di Dio nel rivelarsi e illuminazione interna. Il
contenuto rivelato veniva oggettivato, e le verità divine erano percepibili attraverso i segni. Si sceglie un
metodo che non valuta il fatto ma solo il suo contenuto: al contenuto si crede, e i segni danno la certezza
della origine divina. Il primo ad accorgersi che questa via non era percorribile fu Pascal. (p. 73 – 75)
Vaticano I. La Chiesa era in cerca di certezze per difendersi dagli attacchi sistematici al fondamento,
ovvero la possibilità di una rivelazione soprannaturale. La Dei Filius presenta una visione gnoseologica della
rivelazione, con lo scopo di presentare la rivelazione come “soprannaturale”, ed è vera in virtù di questo.
Inoltre, essendo soprannaturale, esce dal controllo e dall’autonomia della ragione. L’atto di fede è
obbedienziale ma libero: è possibile perché i miracoli e le profezie sono segni certi della rivelazione e
adeguati all’intelligenza di tutti. E’ in risposta ad una critica esterna, il razionalismo. (p. 76 - 77)

Vaticano II. Recupera un senso della rivelazione come unità inscindibile tra evento storico, salvifico e
unico. La Dei Verbum riporta la teologia al suo elemento essenziale, la rivelazione, la sua oggettività e la sua
credibilità.

Un elemento essenziale è il suo cristocentrismo: la persona di Gesù Cristo è il centro (DV 2 e 4). In lui
stesso Dio comunica all’umanità perché è Dio.

Un secondo elemento è la storicità, il figlio si incarna e deve quindi inserirsi nella storia, accettare la
temporalità. Tre elementi caratteristici: 1. Riacquisizione del principio dell’incarnazione, che porta alla
conseguenza teologica dell’umanizzazione di Dio, l’assunzione di un linguaggio e di una cultura. Infine la
comunicazione di un senso della vita che si realizza si ci si avvicina a Cristo; 2. Concetto di economia della
salvezza, per cui si dà un progresso e una dialettica rivelativa, finalizzata verso il centro definitivo che è la
venuta di Cristo; 3. Gesù di Nazareth ha computo progressivamente la sua missione.

Un terzo elemento è la sacramentalità della rivelazione, è un mistero, nasce dall’azione gratuita di Dio. Il
trascendente si apre all’uomo non solo come conoscibilità ma come partecipazione e comunione (è una
novità del cristianesimo) (p. 77 – 80)

Mettere al centro la rivelazione porta ad almeno tre conseguenze:

1.La rivelazione è il fondamento del pensare teologico. È un fondamento dinamico, da un movimento


iniziale, che è il fatto stesso della rivelazione, ne deriva uno storico. La realtà del fondamento non può
essere rifiutata ne dimostrata, ma va “creduto” nella certezza di conoscenza che non si limita alla sola
forma razionale. La rivelazione come fondamento si impone come evidenza, che viene accolta mediante la
fede. La Chiesa manifesta tale evidenza, pertanto la teologia ha anche una dimensione ecclesiale. (p. 81 –
83)

2.La novità è una caratteristica costante della rivelazione. La rivelazione è non solo automanifestazione
ma contemporaneamente contenuto oggettivo che viene offerto al credente. a. E’ una novità riguardo al
contenuto perché un popolo viene scelto e il comunicare di Dio è in vista della salvezza. Un’altra novità è la
risurrezione; b. E’ una novità dal punto di vista della comprensione, che tocca innanzi tutto il linguaggio che
esprime e il linguaggio che riflette sulla fede. (p. 84 – 87)

3.La Storicità di Gesù di Nazareth è principio essenziale e costitutivo per il sapere della fede. Parlando
di storicità di Gesù si vuole parlare della sua autoconsapevolezza mediante la quale egli presenta se stesso
e la sua vita. La comunità che interpreta non può permettersi di inventare o tradire il nucleo storico. Inoltre
parlare di storicità di Gesù comporta vedere la globalità della sua persona, il suo messaggio proviene a noi
anche attraverso il suo comportamento. Vedendo, tramite la fede, in Gesù Dio stesso, l’evento della
passione, morte e resurrezione assume la pretesa di essere la chiave risolutiva dell’enigma della storia
personale e universale. (p. 87 – 90; a p. 89-90 c’è un breve riassunto dei temi)

LA FEDE COME CONOSCENZA E SAPERE


La teologia fondamentale si pone come disciplina che costituisce per la teologia intera la sua struttura
epistemologica. Un primo compito è mostrare che esiste una forma di conoscenza che si esprime attraverso
il credere. Dalle espressioni “io credo che…” si può dedurre che esprima un certo tipo di conoscenza. Nel
contesto teologico credere vuol dire conoscere e accettare il contenuto della rivelazione. (p. 90 – 91)

Insegnamento della scrittura

Il valore dell’evento storico è uno dei punti ermeneutici costitutivi per la comprensione dei testi
veterotestamentari. Credere in Jhwh è conoscere le sue opere. Credere-conoscere per l’uomo dell’antico
testamento voleva dire anche “affidarsi”.

Nel Nuovo Testamento è ancora più chiaro: l’incontro con Gesù è fonte di conoscenza sulla propria
esistenza personale. A Gesù bisogna abbandonarsi come bambini, che conoscono più intuitivamente. Ne
vangelo di Giovanni credere-conoscere è di portata determinante: sono termini affini e interscambiabili. Il
significato di tale posizione è difficilmente conciliabile con le teoria gnoseologiche moderne.

La forma di conoscenza che viene dalla fede crea comunione e conduce all’amore. (p. 92 – 93)

Nella teologia paolina, il tema del credere esprime una dimensione soteriologica (discorso sulla salvezza)
centrata sul mistero della Pasqua del Signore. La fede definisce l’essere cristiano: inizia con il battesimo che
rende giustificati, tale giustificazione è un processo che assimila al Signore. La fede è per tutti, tutti sono
chiamati alla salvezza mediante l’atto di fede. La fede si esplica nell’accettazione del Vangelo e nella sua
predicazione. La chiesa esprime questa fede nelle diverse azioni, nella testimonianza e nelle azioni
liturgiche. “credere-conoscere” e “credere-fidarsi” esplicitano la globalità di un unico atto. L’uomo può
comprendere solo se crede e la sua vita ha senso se posta in cammino tra due punti: la giustificazione per la
Pasqua e il ritorno glorioso del Signore. (p. 93 - 95)

Conseguenza teologiche

Due temi sono implicati nel concetto di fede come un conoscere e un sapere: la relazione con la verità,
che implica l’oggettività del sapere, e la relazione con la libertà, che implica un orizzonte personale in cui si
compie un atto che informa l’esistenza.

Fede e verità

Nella relazione con la verità si incontrano due mondi di pensiero:

a. Greco: la verità è esperienza della perfezione (della divinità e/o del mondo) davanti al quale l’uomo
può rapportarsi attraverso la contemplazione;
b. Cristiano: la verità è la manifestazione e rivelazione di Dio, in un evento storico che porta con se la
caratteristica di un compimento finale. La verità si esprime allora storicamente, viene unita a
categorie temporali. La rivelazione è quindi un evento teso tra promessa e compimento. La
creazione (passato) attesta la bontà di Dio e la possibilità di conoscerlo. L’incarnazione (presente) è
la sintesi di ogni possibile rivelazione di Dio. La realizzazione del regno (futuro) è la piena
conoscenza di Dio.

Questa concezione della verità conduce a concepire la fede come una forma di conoscenza. L’accesso a
Dio è dato attraverso la storicità dell’evento Cristo. E’ la verità quindi che rivendica la fede come forma
mediante la quale si conosce ciò che essa rivela, e tale rivelazione si manifesta nella storia. (p. 97-99)

Fede e libertà
Nella persona sono presenti diverse forme di conoscenza, una di queste è il discernimento. E’ forma di
conoscenza mediante la quale si raggiunge il giudizio pratico, cioè quello che è in grado di correlare la scelta
personale con la verità ideale del proprio esistere. La comprensione della verità che deriva dalla rivelazione
richiede una scelta, una presa di posizione nei confronti di questa verità. L’adesione a questa verità
comporta anche un impegno in un comportamento di obbedienza e di fedeltà. La scelta con la quale si
accetta la rivelazione sarà una scelta di “fede”: questo indica un conoscere capace di rischiare e
scommettere sulla scelta di una personale obbedienza che affida a questa rivelazione la propria esistenza e
il suo senso ultimo. La libertà consiste nell’accettare di riconoscere la propria dipendenza dalla verità
rivelata e dalla forma che è in grado di farla conoscere: la fede.

CAPITOLO V – LA PROVOCAZIONE SUL SENSO

La storia della teologia fondamentale può essere vista come una incessante provocazione rivolta ai
diversi destinatari circa il senso della vita. Pietro, nella sua prima lettera, incita a dare ragioni della
speranza, sollecita i credenti a mostrare che il senso della vita consiste nel Vangelo, che è stato creduto
come parola di salvezza.

Non esiste altra possibilità per conoscere Dio al di fuori di quella strada che lui stesso ha costruito per
farsi conoscere. Il senso della vita è vivere liberamente nell’amore. Solo un amore come quello che da la
vita è in grado di chiedere una fiducia totale e definitiva.

Nella misura in cui la riflessione teologico-fondamentale sarà in grado di riproporre con un linguaggio
nuovo capace di comunicare e di provocare circa il vero senso della vita, essa avrà raggiunto il suo scopo di
esistere come riflessione sulla fede.

Leggiamo alcuni esempi di apologie da considerarsi “epocali” perché con la loro forza argomentativa
hanno saputo provocare generazioni di persone.

Blaise Pascal

In un periodo in cui tutto sembrava ruotare intorno al culto della ragione, Pascal emerge come una
figura di contrasto. Pascal farà esperienza del “Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”. L’amore che scopre
in questa esperienza lo segna per tutta la vita.

Lo scema di Pascal prevede due parti articolate in modo da evidenziare la situazione dell’uomo e la
condizione cristiana. Centro della prima parte è far sperimentare all’uomo la sua precarietà, la sua nullità di
fronte all’infinito. (p.110) L’uomo è estraneo a se stesso perché non si conosce, e se si conosce rimane un
enigma a se stesso, sembra “essere sperduto in questo angolo remoto della natura”.

Un secondo passaggio è quello di sperimentare concretamente le reali condizioni della propria


esistenza: sopraffazione, ipocrisia, menzogna impediscono la ricerca della giustizia e della verità. L’errore
sembra essere la condizione normale dell’esistenza, nei rapporti personali l’uomo è simulazione e
menzogna.

Il desiderio dell’uomo rimane la realizzazione della felicità, ma l’unica strada che gli si presenta è quella
del divertimento (divertissement) perché questo gli consente di non pensare. “Gli uomini non avendo
potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno deciso, per rendersi felici, di non pensarci” ( pensieri
168). Il divertimento non è altro che una fuga davanti al vero problema dell’esistenza.
Tutto questo percorso ha l’obiettivo di far pervenire alla accettazione dell’incomprensibilità
dell’esistenza se fondata su se stessa. L’uomo deve vivere coscientemente la contraddizione e
l’incomprensibilità.

Nonostante questa miseria l’uomo è grande e ciò che lo rende tale è la sua capacità di pensare: ” … ma
quand’anche l’universo intero lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre più nobile di ciò che lo uccide,
perché egli sa di morire e conosce la superiorità che l’universo ha su di lui; l’universo invece non sa nulla.”

Chi potrà spiegare tutte queste contraddizioni? “tutte queste contraddizioni […] sono ciò che mi ha
condotto più presto alla religione vera” (pensieri 424)

Si entra così nella seconda parte, la pars costruens dell’ipotesi cristiana. Pascal non vede il cristianesimo
come un insieme di dottrine ma come un incontro con una persona. Per Pascal non sarà la metafisica a
condurre a Dio, né le prove dell’esistenza di Dio.

Si parte dal peccato originale che diventa per lui felix culpa: l’uomo è riportato al peccato originale come
forma delle sue contraddizioni ma non viene lasciato solo ma salvato.

Il secondo passo è il riconoscimento della grazia, senza la conversione del cuore non è possibile
riconoscere e accettare il mistero di Dio.

Solo a questo punto parla della persona di Gesù Cristo, che è vera soluzione dell’enigma della condizione
umana. Il Dio della visione pascaliana è il Dio che si nasconde, che cela la condizione di doverlo cercare
sempre di più.

L’ultimo passo da compiere sarà quello di riconoscere l’amore come il criterio atto a spiegare il grande
mistero di Dio e dell’uomo.

Da questa presentazione scaturisce l’ultima e decisiva provocazione, la scommessa. La decisione che


Pascal chiede di prendere non è posta sul piano razionale, ma sulla totalità della persona in cui vengono
ascoltate anche le “ragioni del cuore” … avete scommesso pe una cosa certa, infinita, per la quale non
avete dato nulla” (p. 104-117)

JOHN HENRY NEWMAN

Si converte dall’anglicanesimo al cattolicesimo. Le 1879 pubblica Apologia pro vita sua. Ovvero una
storia dello sviluppo delle mie opinioni religiose. “Dal momento in cui divenni cattolico […] ho goduto una
perfetta pace e tranquillità; non mi è venuto più un sol dubbio.” La sua opera rimane una pietra miliare
nella storia della teologia.

Contemporaneo di Hume e Locke media la categoria “esperienza” per fa accedere al mistero della fede
cristiana. “In fatto di religione un uomo può parlare solo a proprio nome -> l’esperienza lo autorizza per se -
> non può pretendere di far legge per tutti -> lui è soddisfatto e probabilmente anche gli altri sarebbero
soddisfatti -> perché la verità è una” (p. 121)

Il centro del suo studio è la fede del credente nell’atto di voler ricercare i principi che permettono di
verificare la certezza della propria decisione di fede.

Il lavoro è in risposta a due obiezioni del liberalismo:

1. Se la religione si propone di giungere all’esercizio dell’amore e dell’adorazione, perché è necessaria


la professione di fede?
2. Perché la certezza di adesione alla fede deve essere sottoposta alla certezza delle prove che essa
fornisce?

Si è di fronte alla difficoltà del mostrare la necessità dell’atto di fede professato e della sua intellegibilità.

Newman risponde analizzando le capacità del conoscere umano, che è di triplice ordine

1. La proposizione, che può essere nozionale o reale;


2. L’apprensione, il cui contenuto sono gli oggetti percepiti dai sensi, Quella nozionale permette il
progresso della conoscenza speculativa, quella reale il mantenimento del sapere. Con questa si
creano le immagini che combinandosi suscitano nuove forme di pensiero (ricorda il pensiero di J.
Locke, idee semplici e complesse)
3. L’assenso, l’atto con cui si accetta una proposizione. Quello reale spinge il soggetto all’azione, quello
nozionale lo proiettano alla contemplazione delle sue immagini mentali.

Al primo assenso corrisponde la religione che impegna il soggetto a vivere (un orizzonte universale, la
religione naturale), al secondo corrisponde la teologia che esprime la riflessione dell’intelletto (un orizzonte
in cui la religione naturale viene illuminata dalla rivelazione).

La conoscenza di Dio, che proviene dalla rivelazione, non è conoscenza speculativa ma reale che provoca
ad una responsabilità morale e richiede l’impegno di una vita.

Successivamente Newman analizza la relazione tra assenso e inferenza. Con l’assenso si accetta una
proposizione in modo assoluto, con la seconda in modo condizionato. Ora, secondo Newman si può dare
assenso indipendentemente dall’inferenza (per Locke si può assentire solo a proposizioni ritenute vere in
forza delle prove addotte).

Dall’assenso semplice si deve passare alla certezza. Inizia così l’investigazione, che a differenza del
“dubbio” non mette in discussione la verità a cui si è prestato l’assenso, ma vuole comprendere la
credibilità di quanto ha asserito senza revocarne la verità.

Come avviene? Newman introduce i concetto di illative sense, che è in grado di cogliere il punto di
convergenza di una serie di dati che, se presi singolarmente, potrebbero dare solo probabilità ma, alla luce
dell’illative sense, che li coglie come un tutto, generano certezza.

La rivelazione è un insegnamento autorevole, che fa fede a se stesso, non necessità di “prove” esterne, è
una totalità, un’evidenza, una universalità che si dà da sé.

Quindi i punti essenziali del pensiero di Newman sembrano essere:

1. La religione naturale, che è possibile scoprire presente in ognuno se si riflette sulla coscienza, sulla
sofferenza e sul sacrificio;
2. Il cumulo delle probabilità, che costituisce il principio essenziale del ragionamento di Newman
(infatti è da questo cumulo di probabilità che l’illative sense può generare la certezza della fede) (p.
128 c’è la conclusione di Newman)

La fede è considerata come un atto globale, un insieme di sentimento, di ragione e di vita. La fede come
risposta personale e necessità per tutti gli uomini perché corrisponde all’universalità che è la nota della
rivelazione stessa. (p. 118-129)
Hans Urs Von Balthasar

Balthasar ha voluto esprimere l’irriducibilità di Dio ad ogni discorso umano, inoltre ha saputo individuare
i motivi reali della crisi del mondo contemporaneo. Merito di questo autore è aver saputo recuperare il
valore “teologico” ovvero la capacità di porsi in ascolto della rivelazione. Centro dell’opera di Balthasar è
l’amore totale e gratuito, per sempre più incomprensibile, ma unico credibile, rivelato nella morte di Gesù
di Nazareth.

Analizza la nostra epoca e il mondo contemporaneo, la separazione tra i valori perenni che hanno
costituito la “spiritualità” e le nuove forme del sapere: il risultato è la perdita dell’identità cristiana per la
cultura europea. (p. 129-131)

Principi epistemologici

La Fondamentale è prettamente teologica, teologia fondamentale e teologia dogmatica sono


inseparabili, l’apologetica è già carica di dogmatica quando intraprende il tentativo di rendere plausibile a
colui che non crede l’immagine della rivelazione divina.

La teologia non avrà come “ancilla” la filosofia, ma come sua base epistemologica avrà quel sapere che
viene dalla fede e successivamente potrà recuperare il sapere filosofico.

La rivelazione viene spiegata nella relazione dinamica tra tre letture. La prima è l’estetica, che però deve
svilupparsi in una “drammatica” e in una “logica”, per poter cogliere la Gestalt nella sua interezza.

1. L’estetica, il pullchrum ha come corrispondente forma di conoscenza la percezione (Wahrnehmung).


Ciò che appare (Ersheinung) è ciò che costituisce la verità in se. Ciò che appare
“fenomenologicamente” è ciò che è “ontologicamente”.
2. La forma di conoscenza data dalla percezione crea la relazione tra soggetto e oggetto. E’ la recezione
che si attua nel soggetto: l’essere non è posto da soggetto, che si trova in una posizione di passività
davanti ad esso.
3. Nessuna possibilità per il soggetto di oggettivizzare la Gestalt, pena la perdita di conoscenza del
reale. Essa rimane un “tutto”, e come tutto porta in se le condizioni di possibilità di esistenza e di
credibilità.

E’ solo a questo momento che avviene il rapimento, scorgiamo la Gestalt come splendore e gloria, siamo
incantati da essa e da essa e in essa “rapiti”.

La percezione (Wahrnehmung), ciò che appare (Ersheinung) e il tutto (Gestalt) definiscono la Teologia
Fondamentale come una “dottrina della percezione”, che è Estetica, dottrina della percezione della
Gestalt di Dio che si rivela.

Individuazione delle tematiche

Gestalt è Gesù di Nazareth nello svolgimento dei suoi 33 anni, espressione ultima e definitiva dell’amore
del Padre.
Dio è completamente libero, il suo amore completamente gratuito, la precomorensione del soggetto
non aggiunge nulla all’oggettività della rivelazione, tutto nella creatura e nel creato è in prospettiva di
questa comunicazione d’amore.

L’unico criterio interpretativo che viene dato alla teologia è solo ed esclusivamente Gesù di Nazareth,
nella sua testimonianza del suo rinviare al fondamento della sua missionem ka vita trinitaria di Dio.

Gesù è l’unico segno di credibilità della sua persona e del suo messaggio: si presenta in quella forma
espressiva di amore che è in grado di convincere, coinvolgendo il soggetto in questo mistero d’amore.

Amore diventa ermeneutica di tutta la teologia.

Alla percezione della Gestalt della rivelazione deve corrispondere l’evidenza soggettiva che si esprime
nella fede del credente.

La fede, risposta totale e completa a Dio che si rivela (DV5) è pertanto l’atto più semplice che l’uomo
possa compiere.

Prospettive

Tre caratteristiche possono contrassegnare questo progetto:

1. Una netta presa di posizione contro il soggettivismo. La teologia di von Balthasar, come tutta la
teologia, è caratterizzata dall’oggettività della Gestalt che è la persona di Gesù di Nazareth;
2. La caratterizzazione trinitaria della rivelazione. Il tema dell’analogia è presente in tutta la teologia di
Balthasar, che permette di parlare di Dio senza privarlo della sua natura di mistero e dà al credente
la possibilità di parlare del reale;
3. E’ una risposta al senso dell’esistenza. Alla libertà di Dio corrisponde la piena consapevolezza del
creato di sapere che non può darsi una completezza autonoma. Questa consapevolezza rende
possibile l’atto antropologicamente più significativo: la libertà di decisione del voler accogliere una
libertà più grande come pienezza di senso.

(p. 129 …)

CREDERE – Perché credo?

Cerco di rispondere alla domanda -> utilizzo un linguaggio, anche tecnico, relativo alla riflessione -> ricado,
in questo senso, in una riflessione filosofica utilizzando termini filosofici e anche una impostazione di
pensiero -> quando vacillano le fondamenta del ragionamento (ad esempio la “devastazione del mito
dell’evidenza” da parte di Gianni Vattimo) rimane comunque che io credo. La fede, la conoscenza di Dio che
viene dal credere rimane intatta. Cerco di spiegarla, ma anche quando non ci riesco più rimane per me una
certezza indiscutibile. Per questo non può venire solo dal ragionamento -> ma questo è valido per ogni
credenza. Allora dov’è la differenza?

Utilizziamo parole in contesti diversi: alle pg. 98 -100 quando Fisichella parla di verità, evidenza, di concetti
diversi, ok, sono d’accordo. Ma se poi vogliamo confrontarci con “il mondo” che utilizza questi concetti in
modo diverso allora o entriamo nel discutere la diversità di questi concetti, oppure in quel CONTESTO
esprimiamo la nostra fede.
Gv 17, 20-26

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