Sei sulla pagina 1di 48

La Modernità

Il termine moderno deriva dall’avverbio latino “modo”, che si traduce come “recentemente, ora”. In ambito
storiografico il termine si riferisce al periodo della storia occidentale che inizia dopo L’umanesimo ed il
rinascimento (metà 1500). In ambito filosofico, la modernità si identifica comunque in quel periodo di
riflessione di cui Cartesio è il padre ed Hegel la sua più compiuta sintesi.

La modernità si caratterizza per alcune istanze e problematiche di fondo:

1.la ricerca di un paradigma di ragione “forte”, ossia fondatrice di una conoscenza universale e necessaria.

2.la ricerca di principi solidi ed universali che permettano di capire le strutture della conoscenza umana e
della realtà naturale.

3.il problema gnoseologico (=conoscenza) ossia la ricerca dei principi che costituiscono e determinano la
conoscenza umana (Kant, per esempio, si chiede “che cosa posso conoscere?).

4.il problema del metodo (=il percorso) cioè di quella via che permetta ad una conoscenza certa ed
indubitabile (nel 1617 Cartesio pubblica il “Discorso sul metodo”, manifesto emblematico della modernità
filosofica).

5.il distaccamento della filosofia dalla teologia. La filosofia non è più considerata ancella della teologia e la
ricerca filosofica segue metodologie di studio autonome dalla teologia, laicizzando quindi le scienze e gli
studi filosofici stessi. Lo studioso Weber parla di “disincanta mento del mondo” (natura ed uomo non
vengono più presi in esame solo in riferimento ad una prospettiva religiosa) che si esplica nella
razionalizzazione tecnico-scientifica del mondo.

6.l’autonomia della ragione, cui corrisponde l’autonomia del singolo (l’uomo dà la legge estetica a se stesso
indipendentemente dai valori religiosi), quindi del principio etico di autodeterminazione.

7.la fiducia nella ragione e nel progresso scientifico e tecnologico .

Le date da considerare quando si parla di modernità sono:

-1453:caduta di Costantinopoli in mano ai turchi

-1492:scoperta dell’America

In ambito filosofico la datazione non è semplice e ci sono alcune considerazioni da fare:

1.Per Ritter l’iniziatore dello spirito moderno è Petrarca che in un’epistola del 1336 descrive la sua salita al
Monte Ventoso in Provenza. Nella descrizione di Petrarca, Ritter evidenzia gli albori dell’atteggiamento
tipico moderno di osservazione della natura e la sua contemplazione come paesaggio.

2.per Kiblansky la modernità prende le mosse da Cusano che nel 1440 scrive “De docta ignorantia” (=sapere
di non sapere), che apre le porte alla filosofia critica dell’età moderna che è cosciente dei limiti di ogni
conoscenza morale. Con la filosofia di Cusano si ha il definitivo superamento della filosofia scolastica.

3.per Koyrè la data di inizio è il 1543 con la pubblicazione del “De rivolutionibus orbium caelestium” di
Copernico. L’uomo non è più al centro e fine dell’universo, ma si trova alla periferia.
4.per Lauth la data è ben precisa: 11 novembre 1619. E’ la data in cui Cartesio racconta la sua scoperta del
principio del cogito con il “Discorso sul metodo”. Lauth sostiene che la scoperta cartesiana del cogito è
un’anticipazione del pensiero di Kant e dell’idealismo tedesco. Per Lauth la modernità filosofica è un
percorso che si dispiega partendo dal “cogito” di Cartesio, trova il suo centro nell’ “ich denke” di Kant e la
sua piena maturazione nell’”io puro “ di Fichte.

L’avvenimento più importante tra ‘500 e ‘600 e che dette inizio all’età propriamente moderna fu cmq la
rivoluzione scientifica che inaugurò un nuovo tipo di indagine. Infatti se la scienza antica è qualitativa e
finalistica, quella moderna è quantitativa e meccanicistica indagando solo gli aspetti oggettivamente
misurabili della realtà. Tale scienza non si rivolge più a cercare la causa finale dei fenomeni, ma guarda solo
alle cause effettive. La realtà diviene quindi come una grande macchina con tanti ingranaggi che
trasmettono il movimento attraverso un’azione materiale dell’uno sull’altra. La visione meccanicistica si
chiarisce in Isaac Newton che definisce appunto l’universo come una grande macchina che funziona
secondo leggi universali ed oggettive. In contrapposizione alla scienza rinascimentale,secondo cui la
presenza dell’anima è in tutte le cose e perciò l’uomo ha in sé tutti gli elementi di cui è composto l’universo
(=pampsichismo), la scienza moderna pone il mondo-macchina regolato da rapporti di causa-effetto e da
movimenti che l’uomo può calcolare e studiare con esattezza; basti pensare che secondo Galilei e Newton,
ogni fenomeno della realtà è regolato da leggi trascrivibili in modelli matematici. Gli scienziati moderni si
concentrano su ciò che misurabile ed esprimibile matematicamente e la tecnica (l’intervento artificiale sulla
natura) diviene strumento per dominare la natura stessa, sostituendo alla pretesa di un dominio misterioso
della natura, la realtà di un dominio razionale.

Le figure più importanti sono:

1.Copernico(1473-1543): elabora la teoria eliocentrica spostando la terra da una posizione centrale ad una
condizione pari agli altri pianeti. Così l’uomo non è più cento dell’universo e fine stesso del creato. Freud
evidenzia in Copernico la prima grande umiliazione subita dall’uomo moderno, quella appunto
cosmologica. L’umiliazione biologica è determinata invece dall’evoluzionismo di Darwin e quella psicologica
da Freud stesso con la scoperta dell’inconscio per cui l’io non “sarebbe padrone a casa propria.

2.Bacon(1561-1626):è considerato il profeta della rivoluzione tecnologica moderna. Nella sua opera
“Novum organum”, egli sostiene che solo attraverso la scienza l’uomo può conoscere la natura e dominarla,
il suo motto è “sapere è potere”. L’aspirazione di B. è quella di una grande instaurazione dell’impero
dell’uomo sul mondo. Per fare ciò è necessario compiere un’opera distruttiva al fine di liberarsi dai
“fantasmi della mente” e perciò discostarsi dalle dottrine filosofiche del passato che non si basano su
presupposti dimostrabili. E’ necessaria però anche un’opera costruttiva che si basi sull’osservazione dei
fenomeni particolari per arrivare a riconoscere una legge scientifica universale valida per tutti i fenomeni
osservati.

3.Galilei(1564-1642): fu sostenitore della concezione copernicana e per questo fu processato due volte
dall’Inquisizione. La sua opera “Dialogo sopra i due sistemi” fu bandita. Quest’opera si articola in 4 giornate
di congressi dove si parla appunto dei due grandi sistemi:tolemaico e copernicano. I dialoghi sono tenuti da
3 interlocutori che rappresentano 3 concezioni filosofiche: uno aristotelico che difende il sapere della
tradizione; lo scienziato copernicano (è Galileo stesso) e l’ultimo che rappresenta il pubblico aperto alle
novità e che vuole ascoltare comunque le ragioni di entrambe le parti. E’ importante notare come cmq
Galileo non intenda staccarsi nettamente dalla religione affermando che la natura e la Scrittura (i sacri testi)
vengono da Dio e per questo non si deve aver paura di conoscere la natura e le sue leggi perché sono
volute da Dio stesso. Per G. tra fede e scienza intercorre “una discordia non discordante” e se la Scrittura ci
insegna come arrivare in cielo, la scienza ci insegna come va il cielo.

4.Newton(1642-1727): anche N. ebbe problemi con la chiesa anglicana a causa della sua opera “Principi
matematici di filosofia naturale”. Per replicare all’accusa di ateismo egli affermò che il mondo è una grande
macchina che non può non essere scaturita dal progetto e dalla potenza di un Essere intelligente e potente;
perciò l’ordine del mondo mostra con evidenza l’esistenza di un Dio potente e vivo che dura dall’eternità e
regge ogni cosa che è o può essere.

Il protestantesimo
La riforma protestante segnò la fine dell’unità religiosa in Europa. Il padre della riforma protestante fu
Lutero. Tuttavia a partire da lui sono poi sorte diverse varianti che quindi ci inducono a parlare non tanto di
protestantesimo quanto di protestantesimi. Da evidenziare è come nel ‘300-‘400 sorgono movimenti
religiosi ed altrettante figure che in Europa anticiparono molti aspetti della riforma:

1.D’Ockam(1280-1349):era un francescano inglese e con il suo pensiero segna la dissoluzione della


scolastica medievale. Egli critica infatti la ricerca di armonia tra ragione e fede. Per Ockam la ragione umana
non è in grado di fornire dimostrazioni necessarie che rendano razionale l’atto di fede; egli insiste sul fatto
che tra sapere razionale e fede religiosa ci deve essere una netta separazione. Lutero condannerà tutti i
filosofi ad eccezione di Ockam sui cui testi egli si è formato.

2.Wyclif(1330-1384):fu tra i maggiori esponenti della corrente antipapale inglese.Egli sostenne con forza un
egualitarismo religioso-sociale rifacendosi ai passi degli Atti degli apostoli secondo i quali “i primi cristiani
stavano tutti insieme e dividevano ogni cosa”.Egli proclamò la piena supremazia della Scrittura sul papato
ed ogni altra gerarchia terrena.

3.Hus(1369-1415):seguì gli insegnamenti di Wyclif e dette vita ad un vero e proprio movimento religioso:
l’hussitismo che nel ‘500 confluì nella riforma luterana.

4.Devotio moderna:movimento spirituale nato nei Paesi Bassi a metà del ‘300 e chiamato moderna proprio
perché si trattava di un nuovo tipo di spiritualità che cercava di conciliare la vita contemplativa con quella
attiva, ossia la vita religiosa con le occupazioni lavorative tipiche della borghesia. Per i suoi fedeli l’aspetto
più importante è sempre la lettura della Sacra Scrittura considerata come unica via per conoscere davvero
Cristo. Si sosteneva inoltre l’esigenza di un ritorno alla vita religiosa autentica fondata sull’interiorità.

5.Erasmo da Rotterdam(1469-1536): è uno dei maggiori esponenti dell’umanesimo evangelico che si


caratterizza nel particolare interesse per la Sacra Scrittura e per la riforma morale e spirituale della chiesa.
Per E. il cero soldato di Cristo è colui che attinge la sapienza dalla lettura e meditazione dei testi sacri. La
sua opera più conosciuta è “ L’elogio della follia”, scritto satirico che condanna la società del suo tempo e
soprattutto i vizi di ecclesiastici e principi. Nel 1524 papa Clemente VII chiede ad E. di intervenire contro
Lutero ed egli scrive un opuscolo, “De libero arbitrio” secondo cui il peccato originale non ha influito
completamente sulla libertà dell’uomo e perciò ogni individuo può cooperare alla propria salvezza.

Polemica tra Erasmo e Lutero


Si basa su scambi epistolari e l’argomento dibattuto è proprio il libero arbitrio. Lutero risponde ad Erasmo
con un altro opuscolo “De servo arbitrio” dove nega la capacità dell’uomo di poter concorrere alla propria
salvezza, sostenendo che l’uomo peccatore non può salvarsi con le sue sole forze. Infatti Lutero ribadisce
che solo la fede in Dio può salvare l’uomo e per questo la vera e piena libertà appartiene solo a Dio senza il
cui aiuto l’uomo non è in grado di operare il bene. Solo Dio è unico detentore del libero arbitrio poiché non
è stato toccato dal peccato originale.

Lutero
I capisaldi della teologia luterana sono sostanzialmente 3:

1.dottrina della sola fide: dopo il peccato di Adamo l’uomo è talmente decaduto che da solo non può fare
niente. Nasce dall’elaborazione del principio paolino secondo cui il “giusto vivrà mediante la fede”. Ne
deriva che solo la fede, e non le opere, è necessaria per la salvezza. Da questa concezione deriva anche il
forte attacco di Lutero contro la pratica delle indulgenze( acquistando indulgenze si aveva uno sconto della
pena per l’anima del defunto).

2.dottrina della sola Scriptura: la Scrittura è l’unica fonte di verità. L’uomo non può conoscere Dio tramite la
sola ragione naturale; tutto ciò che noi sappiamo di Dio e del rapporto dell’uomo con Dio si trova nella
Scrittura che è perciò autorità infallibile. A tal riguardo L. preparò una traduzione in tedesco di tutti i testi
biblici per poter dare un accesso diretto di questi a un grande numero di persone.

3.dottrina del sacerdozio universale:dopo il battesimo tutti divengono sacerdoti e non c’è più distinzione tra
religiosi e laici. Per L. tra uomo e Dio esiste un rapporto diretto ed immediato che non implica la necessità
di un ruolo intermediario giocato dai sacerdoti. A tal riguardo non esiste più un’interpretazione unica ed
univoca della Scrittura, ma ciascuno è libero di interpretarla secondo la propria esperienza personale.
Tuttavia il principio del libero esame delle scritture non si è mai realizzato completamente poiché ben
presto il luteranesimo divenne religione di Stato con un culto ufficiale ed ufficiale interpretazione delle
scritture.

Se L. si ribellò con forza all’autorità della chiesa, altrettanto non fece nei confronti delle istituzioni politiche
e quindi con i principi degli stati tedeschi. L. sosteneva infatti che non ci si poteva ribellare a chi detiene il
potere, perché non c’è nessuna autorità che non provenga da Dio. A tal riguardo negli stati tedeschi di fine
‘500 tutti i cittadini dovevano necessariamente professare la religione decisa dall’autorità politica ed i
prìncipi dovevano controllare direttamente la vita religiosa dei sudditi. Da ricordare è la “guerre dei
contadini” che contestava a L. di dimenticare i poveri e gli oppressi a favore del potere politico. L. si schierò
con i prìncipi tedeschi e la rivolta finì con una strage di contadini.

Giudizi su Lutero ed il Luteranesimo


-Fichte: in uno scritto del 1807 egli considera Lutero come uno dei primi capisaldi del rinnovamento
religioso e spirituale in Germania. Con L. emerge lo spirito nazionalistico tedesco che intende disfarsi del
dominio culturale del mondo latino e quindi della chiesa cattolica.

-Hegel: vede nel luteranesimo un momento di purificazione e razionalizzazione della religione cristiana.
Inoltre L. ha il merito di aver reso il cristianesimo una religione di stato e quindi lo stato ha il diritto/dovere
di occuparsi della vita religiosa dei cittadini.

-Nietzsche: pensa che la riforma sia come un ritorno al Medioevo ed al suo spirito di ascesi e penitenza. Per
questo il luteranesimo ha avuto un’influenza negativa nella cultura tedesca, avendo infatti cercato di
sradicare le conquiste più positive del rinascimento quali la libertà di espressione, la vittoria dell’istruzione
ed il disprezzo dell’autorità.

Calvino
Nel 1533 dopo aver letto gli scritti di Lutero, Calvino aderisce alla riforma. La sua dottrina è esposta nell’ “
Istitutio religionis cristianae” e nel “Catechismo di Ginevra”. Egli si basa molto più di Lutero sull’idea di
predestinazione che è “eterno consiglio di Dio” e secondo la quale l’uomo è predestinato da Dio fin dalla
nascita ad essere un eletto o un dannato. Poiché il destino dell’uomo è già scritto non gli resta altro che
dedicarsi all’attività lavorativa considerata unico segno tangibile della salvezza eterna .Secondo la tesi di
Max Weber il calvinismo contribuì non poco alla nascita del capitalismo moderno. Infatti, poiché il mezzo
migliore per raggiungere la sicurezza di essere un eletto era il lavoro, i calvinisti videro nella produzione
della ricchezza e nel successo lavorativo, il segno tangibile della predestinazione. La ricerca di tale segno
incrementò l’attività produttiva contribuendo così allo sviluppo del capitalismo.

Il concilio di Trento e la seconda scolastica


Il concilio di Trento durò dal 1545 al 1563 e fu convocato dalla chiesa cattolica per rispondere alle
provocazioni della riforma protestante e per arginarne la diffusione. I Padri Conciliari ribadirono la validità
dei 7 Sacramenti e difesero strenuamente l’idea di TRANSUSTANZIAZIONE (=vera trasformazione del pane e
del vino nel corpo e sangue di Cristo), contro la concezione luterana di CONSUSTANZIAZIONE (=permanenza
del pane e del vino pur realizzandosi la presenza di Cristo). Si posero inoltre in opposizione all’idea
calvinista che riduceva l’eucarestia ad un simbolico ricordo dell’ultima cena. Con il concilio si riaffermò
anche l’infallibilità del papa e la validità della tradizione. Il concilio e la controriforma diedero rinnovato
slancio alla scolastica e fu soprattutto in Spagna che si radicò la cosiddetta “seconda scolastica” dove uno
dei suoi maggiori rappresentanti fu Francisco Suarez. Inoltre, opponendosi al luteranesimo che ribadiva la
netta divisione tra ragione e fede, la seconda scolastica si impegnò per una nuova armonia tra queste due
riproponendo il pensiero di Tommaso D’ Aquino.

La nascita della politica moderna


Nasce tra il ‘500 ed il ‘600 parallelamente agli sviluppi della scienza sperimentale. I principali presupposti
sono:

1.il distaccarsi della politica dalla teologia: il pensiero politico è elaborato iuxta propria principia, non si
basa più sull’autorità delle sacre scritture, ma è elaborato secondo metodologie d’indagine autonome.

2.individualismo politico: la volontà degli individui deve essere la fonte ultima della legittimità del potere.

3.il contrattualismo:nasce l’idea che all’origine dello Stato ci sia un contratto liberamente stipulato da tutti
gli individui. Da un primitivo “stato di natura” (=anteriore alla convivenza sociale e politica), gli uomini
avrebbero deciso di uscire per vivere in società mediante un accordo reciproco e per sottomettersi ad
un’autorità. I principali pensatori moderni che supportarono tale tesi furono: Hobbes, Locke, Rousseau e
Kant. Secondo questi il potere non ha origine in Dio ma negli uomini che con un contratto formano la
comunità politica e di comune accordo affidano ad un re o ad un’assemblea il governo. Le diverse forme di
contrattualismo dipendono dalle diverse interpretazioni della situazione di partenza in cui sono collocati gli
individui (quindi lo stato di natura) e le regole secondo cui si accordano. Per i contrattualisti moderni gli
individui entrano in società per garantire e proteggere i loro diritti naturali quali la vita e la proprietà
privata. Inoltre nella modernità il contrattualismo è strettamente legato al giusnaturalismo.

4.giusnaturalismo o giusrazonalismo: con il venir meno dell’unità religiosa in occidente si cerca di fondare il
diritto a partire dalla natura umana e quindi dalla ragione che è l’unica cosa comune a tutti gli uomini ed in
grado di unirli a prescindere dai loro valori morali e religiosi. In Ugo Grozio si identifica il fondatore del
moderno giusnaturalismo. Egli parla di un diritto internazionale che si fonda sulla comune identità degli
uomini e quindi sulla loro ragione. Per Grozio la legge naturale proprio perché fondata sulla natura
razionale che accomuna tutti gli uomini, sarebbe valida anche se Dio non esistesse.

Importante è anche la figura di Machiavelli che inaugura l’espressione “la politica per la politica”,
intendendo con ciò che la riflessione politica deve essere autonoma e fine a se stessa, quindi deve
considerare con realismo che le finalità politiche sono la conquista e la conservazione del potere. Nella sua
opera il “ Principe” (1513), afferma che la riflessione politica deve sempre considerare la realtà così come è
di fatto e non come dovrebbe essere per conformarsi ai valori morali. Il princeps ideale di Machiavelli deve
essere “golpe et lione” ed il suo unico scopo deve essere quello della conquista del potere con ogni mezzo.

Thomas Hobbes
Nasce nel 1588 quando “ l’armata invincibile” spagnola è alle porte e perciò afferma che “sua madre
insieme a lui partorì anche la paura”. E’ per questa ragione che la sua teoria dell’assolutismo ha radici nel
terrore delle guerre e delle rivoluzioni della sua epoca. Hobbes può essere definito appunto come il teorico
di un assolutismo politico e cioè di una sovranità che ha poteri assoluti e proprio in virtù dei suoi poteri è in
grado di mantenere nello stato l’ordine sociale e la pace. Rilevante in H. è che conobbe personalmente
Galileo e fu in amicizia con Bacon. Da queste amicizie scaturisce il pensiero politico di H. che può essere
definito come una forma di materialismo e meccanicismo corporeistico. Egli, negando la metafisica e la
trascendenza divina, afferma che l’unica realtà esistente è quella della materia e la filosofia si configura
come scienza dei corpi e dei loro movimenti. Per comprendere bene il suo pensiero è necessario analizzare
la sua concezione di stato di natura, condizione in cui gli uomini primitivi vivono prima di fare un patto
(contratto) e costituire la società civile e quindi lo stato. Per H. nello stato di natura gli uomini si trovano in
una condizione di guerra di tutti contro tutti ed in una situazione dove ogni uomo è un lupo per l’altro
uomo, la vita è breve e brutale. Per uscire da tale situazione è necessario stabilire un patto di unione. Dopo
il patto di unione, per garantire il rispetto delle leggi, i cittadini stipulano un patto di “soggezione” con il
quale rinunciano ai loro diritti originari e delegano tutto il potere nelle mani di un uomo legittimato perciò a
divenire re o sovrano assoluto. Il sovrano, che ha potere assoluto ed illimitato è al di sopra della giustizia
stessa ed anche la chiesa deve assoggettarsi. Il sovrano può legiferare anche in ambito religioso ed ogni
cosa che egli comanda è cosa giusta. Inoltre il sovrano non è sottoposto a nessun’altra autorità ed è sciolto
da ogni costrizione della legge. Per H. lo stato è un prodotto storico il cui unico fine è la conservazione della
pace, dell’ordine e dell’esistenza degli individui. Fra le sue opere più importanti troviamo il “Leviatano”
(mostro biblico descritto nel libro di Giobbe) che tratta il problema della legittimità e della forma dello stato
e nel cui frontespizio si vede come il corpo del sovrano è composto da tutti gli individui che sono entrati
nello stato civile stipulando un contratto.
John Locke (1632-1704)
In ambito filosofico è considerato il padre dell’empirismo, ma in ambito politico viene definito come il
padre del liberalismo. Nel 1690 pubblica 2 trattati sul governo. Il primo nasce come critica all’opera di
Robert Filmer che asseriva che avendo Dio creato Adamo ed avendogli dato potere, questo potere si è
trasferito da lui ad i grandi patriarchi e quindi ai re il cui potere ha perciò origine divina. Secondo L. le idee
di Filmer non sono altro che giustificazioni ideologiche della monarchia e legittimano il potere stabilito dalla
tradizione. L. infatti sostiene che la legittimità di un governo è data solo dal consenso esplicito di tutti i
cittadini che hanno tra l’altro il diritto di revocare tale consenso. Nel secondo trattato L. formula una teoria
liberale dello stato caratterizzata dall’idea di una democrazia rappresentativa dove gli individui sono i soli
che possono giustificare la costituzione di uno stato. Come per Hobbes, anche per L. lo stato nasce grazie al
passaggio da uno stato di natura ad uno stato civile tramite un contratto. Tuttavia l’idea che L. ha dello
stato di natura è diversa da quella di Hobbes. Per L. nello stato di natura gli uomini non sono in continuo
conflitto, ma liberi e godono dei benefici della proprietà privata, in una condizione sociale di piena
uguaglianza. In tale stato vengono inoltre riconosciute delle leggi naturali universalmente valide. Inoltre gli
uomini hanno proprietà già nello stato di natura poiché la terra è cosa che appartiene a tutti e gli individui,
tramite il loro lavoro hanno il diritto di impossessarsene. Tuttavia nello stato di natura la proprietà privata è
sempre minacciata in quanto non ci sono leggi riconosciute da tutti gli uomini che siano in grado di
garantire e proteggere la proprietà. In tal senso lo stato civile nasce come necessità che tuteli la proprietà
privata e quindi la conservazione della vita e della libertà di tutti gli individui. A tal riguardo lo studioso
Norberto Bobbio, paragona lo stato di L. ad un contratto stipulato fra uomini d’affari. Se per Hobbes lo
stato civile è voluto dagli individui per garantire l’ordine e la loro stessa vita, per L. lo stato civile nasce per
garantire la proprietà privata. Altra importante differenza tra questi due filosofi è che L. non attribuisce allo
stato un potere assoluto che spetta piuttosto ai singoli individui. E’ inoltre lecito per L. che i singoli individui
si ribellino se lo stato e le sue istituzioni non hanno come fine il bene comune. I cittadini hanno perciò il
diritto di insurrezione contro uno stato che tenti di sottrargli la propria proprietà e la libertà e quindi di
costituire un nuovo stato. Con questo pensiero di L. si sancisce la piena sovranità del popolo e lo stato deve
farsi garante dei diritti inalienabili tra cui spiccano la proprietà privata, la libertà di pensiero e di stampa. E’
possibile quindi affermare che con L. si riscontra una prima e compiuta fondazione del liberalismo moderno
e dello stato di diritto.

Cartesio (1596-1650)
E’ considerato il padre della filosofia moderna poiché le problematiche speculative che con lui sorgono,
saranno poi presenti in tutti i principali autori della modernità filosofica. Infatti senza di lui non sarebbero
poi sorti l’empirismo,il razionalismo ed il criticismo kantiano. C. edificò un tipo di sapere non più incentrato
sull’essere (come voleva la filosofia antica e medievale), ma sulla razionalità umana e cioè sul pensiero. Ciò
vuol dire che il pensiero è la condizione di possibilità affinché l’essere stesso possa costituirsi. Possiamo
quindi dire che C. inaugura il “soggettivismo moderno” (=concezione filosofica che pone il soggetto al
centro della riflessione filosofica e lo identifica come condizione di possibilità per pensare l’essere
oggettivo).

C. studiò in un collegio di gesuiti ed ebbe quindi una formazione filosofica essenzialmente basata sui
principi della scolastica medievale e barocca. Tuttavia egli notò che mancava una rigorosa metodologia che
conducesse ad un sapere certo ed indubitabile. Secondo C. la filosofia deve rifarsi ai principi della
matematica e nella sue opera le “Regulae” egli parla appunto di metodologia della ricerca scientifica dove il
metodo matematico è l’unico in grado di portare la mente umana all’acquisizione di un sapere certo.Nel
1637 scrive il “Discorso sul metodo” dove egli esprime le sue principali argomentazioni filosofiche.
Nell’opera sono inoltre enucleate le 4 regole fondamentali che il filosofo deve seguire nella ricerca della
verità. Da sottolineare è come queste regole siano tratte dalla matematica.

1.EVIDENZA: intuizione chiara e distinta di tutti gli oggetti del pensiero e l’esclusione di ogni elemento in cui
il dubbio fosse possibile. Perciò riconoscere come vere solo le conoscenze che la mente distingue in
maniera certa.

2.ANALISI: dividere ogni difficoltà da esaminare in più parti possibili per meglio risolverla.

3.SINTESI: condurre i pensieri in modo ordinato secondo una gerarchia dal più semplice al più complesso.

4.ENUMERAZIONE e REVISIONE: fare enumerazioni e revisioni complete e generali per essere certi di non
aver tralasciato niente.

Meditationes de prima philosophia (1641)


E’ una sorta di percorso spirituale in cui C. si impegna per scoprire i principi primi quindi certi ed
indubitabili. L’opera è suddivisa in 6 meditationes di cui le prime tre sono molto importanti per capire le
principali argomentazioni filosofiche di C.

I-il dubbio: per C. il dubbio è una certezza. C. sostiene che siccome i sensi sono fallaci e possono ingannarci,
dobbiamo dubitare. E’ infatti proprio dal dubbio che deriva una certezza immediata ed evidente, quella del
cogito(=pensiero). Per C. infatti si può dubitare di tutto, anche del dubbio stesso e che l’unica cosa di cui è
impossibile dubitare è il pensiero che dubita, in quanto dubitare vuol dire pensare e pensare significa
esistere come realtà pensante che dubita. C. rinforza tale certezza con la sua famosa espressione “cogito
ergo sum”. Quindi l’uomo, partendo dal dubbio, arriva alla certezza di essere una res cogitans ossia una
sostanza pensante.

II-il cogito: con C. il pensiero diventa autosufficiente perché è in esso stesso che ha il fondamento ed il
principio di validità e quindi non ha bisogno di appoggiarsi al mondo esteriore, è autonomo rispetto alle
cose sensibili e diviene cardine di ogni certezza. Con la centralità del soggetto come principio della certezza
conoscitiva, C. viene considerato l’iniziatore del razionalismo. C. afferma inoltre che l’uomo, in quanto
essere pensante svolge la sua attività mentale tramite idee che si dividono in 3 gruppi:

-innate: intuizioni originali presenti in noi fin dalla nascita che offrono certezze assolute quali l’idea
di Dio ed i principi matematici.

-avventizie: idee che derivano dall’esperienza sensibile e che proprio per questa ragione, non sono
certe, non hanno validità oggettiva (idea di albero, casa ecc.)

-fittizie: sono idee prodotte dalla fantasia, sono immaginarie e non hanno nessun riscontro reale
(idea di ippogrifo, chimera).

III-l’esistenza di Dio: la certezza che il cogito ci offre non permette tuttavia di superare ogni dubbio: la
ragione è certa solo della propria esistenza, ma rimane incerta per ogni altra conoscenza e non può quindi
costituire l’intero sistema del sapere. Ne consegue che dalla certezza della res cogitans non è possibile
arrivare altrettanto certamente all’esistenza della res extensa, ossia la materia che esiste nello spazio (le
cose extramentali). A tal riguardo C. ha bisogno di trovare un principio valido universalmente ed
oggettivamente. Questo principio che offre garanzia assoluta di verità è Dio, che per C. è essere
infinitamente buono e vero e quindi non può ingannare l’uomo. L’idea di Dio è idea di una sostanza infinita,
immutabile e dalla quale ogni cosa è stata creata. C. fornisce 3 prove per l’esistenza di Dio:

I prova:è a posteriori (ricavata dall’esperienza) e parte dalla constatazione dell’imperfezione umana. Infatti
Dio è causa dell’idea di perfezione posseduta dall’uomo. Infatti l’uomo non potrebbe considerarsi
imperfetto se non avesse l’idea di perfezione.

II prova: considera Dio come causa dell’esistenza umana. Anche questo è a posteriori poiché l’uomo
riconoscendosi imperfetto è dipendente da un essere assoluto che lo sostiene.

III prova: tende a dimostrare l’esistenza di Dio deducendola dalla stessa idea di divinità. E’ una prova a
priori poiché non è ricavata dalla realtà concreta delle cose, bensì trova nel concetto di Dio l’evidente
certezza della sua esistenza. C. riprende questa argomentazione da S.Anselmo che afferma che Dio è
qualcosa di cui nulla di maggiore può essere pensato e quindi un concetto che l’uomo di per se stesso non
può creare. Quindi il concetto di Dio arriva all’uomo da dio stesso. Inoltre dio essendo essere perfetto deve
necessariamente esistere altrimenti non sarebbe perfetto.

Dualismo di res cogitans e res extensa


Per C. la sostanza è ciò che esiste di per se stessa e non ha bisogno di altro essendo autosufficiente e causa
di se stessa; perciò la sostanza in senso proprio è Dio, sostanza prima appunto. Tuttavia C. pensa che sia gli
esseri razionali e spirituali che le cose materiali possono essere considerati sostanze, queste vengono
chiamate sostanze seconde in quanto prodotte da Dio. Le sostanze seconde si dividono in 2 ordini:

1.res cogitans: è la sostanza pensante e quindi gli uomini come esseri razionali, spirituali e liberi. Il
fondamento della res cogitans è naturalmente il pensiero ed è caratterizzata dalla libertà, poiché il puro
pensiero è causato dal volere ed il volere è prerogativa dell’uomo libero.

2. res extensa: è costituita da tutte le cose materiali. Il suo fondamento è l’estensione (=estendersi della
materia nello spazio), ed è caratterizzata da necessità e determinismo in quanto le leggi dell’universo
(=delle cose materiali) sono regolate da rigidi meccanismi di causa-effetto e da leggi fisiche quindi prive di
libertà.

Nell’uomo la res cogitans (=pensiero,anima) e res extensa (=corpo) convivono e si relazionano l’una
all’altra. Dovendo spiegare tale relazione C. dà una risposta poco convincente. Per C. l’anima risiede nella
ghiandola pineale (sta nel cervello) ed è attraverso questa che anima e corpo entrano in relazione. Da tale
concezione cartesiana si distaccano altri rami di pensiero.

-occasionalismo: un importante esponente è Malebranche. Egli sostiene che dio(sostanza prima) è l’unica
causa dell’accordo tra i movimenti del corpo e l’idee dell’anima.E’ infatti dio che in occasione di una
sensazione corporea (es.calore), aziona nello spirito l’idea conseguente (es.dolore) e viceversa. Poiché dio
muove anima e corpo, l’uomo può conoscere la cose esterne ed operare su di esse solo attraverso
l’intervento di dio.

-materialismo: sostiene che l’unica realtà è quella della res extensa. L’uomo non è libero bensì è un fatto
della natura sottoposto alle sue leggi. L’esistenza di dio e dello spirito non sono realtà conoscibili, esiste
solo la materia.
-spiritualismo: si afferma che l’unica realtà originaria è quella dello spirito (esprit) caratterizzata dalla
libertà. Dio è creatore del mondo fisico e dell’anima umana che partecipa della libertà divina.

Da sottolineare è come Hegel attribuisca a C. la paternità della modernità filosofica e gli attribuisce il merito
di aver superato il realismo ingenuo della scolastica medievale.

Cartesio, S.Agostino e Campanella


In C. troviamo delle affinità con il pensiero di s.Agostino, quest’ultimo infatti afferma “se mi rendo conto di
sbagliare, allora mi rendo anche conto di esistere”. Agostino sosteneva inoltre che l’uomo non deve
perdersi nelle cose esteriori visto che la verità abita solo nella sua interiorità. Tuttavia se Agostino utilizza il
cogito per provare la certezza del nostro essere e che in noi c’è un’immagine della trinità, C. laicizza il cogito
e l’interiorità. Un’anticipazione del cogito cartesiano viene scorto anche nel filosofo rinascimentale
Campanella, che parla del superamento dello scetticismo attraverso la consapevolezza del sensus inditus
ossia il senso interiore, immediato ed innato che è coscienza di sé e quindi autocoscienza. Tuttavia se
Campanella mira solo a superare lo scetticismo ed afferma che la conoscenza certa si origina
dall’esperienza, C. sostiene invece che la conoscenza indubitabile si origina dalla ragione pura che è
indipendente ed autonoma rispetto all’esperienza empirica.

Cartesio padre del razionalismo


Il razionalismo comprende tutte quelle dottrine che riconoscono nella realtà un principio intellegibile la cui
evidenza non è di tipo empirico, ma razionale cioè coglibile per mezzo del solo pensiero. Si sviluppò
soprattutto nell’Europa occidentale ed i maggiori esponenti furono: Spinoza, Leibniz e Wolf. Il razionalismo
afferma quindi il primato del pensiero sull’essere: l’essere oggettivo(=la natura) è conosciuto e determinato
tramite i principi del pensiero che è sia umano, sia pensiero di dio. Hegel fu il primo a definire razionalismo
il pensiero che si origina da C. ed arriva fino Leibniz.

Al razionalismo si contrappone l’empirismo che basa la conoscenza sull’esperienza. Questo si sviluppa in


Inghilterra ed i maggiori esponenti sono: Locke, Berkeley e Hume. Dall’empirirsmo e dal razionalismo
troveremo poi una sintesi nel criticismo kantiano.

Spinoza (1632-1677)
Spinoza era di origini ebraiche e si formò nella sinagoga di Amsterdam dove nacque. Da ricordare è che
1656 venne scomunicato ed espulso dalla comunità ebraica per eresie pratiche ed insegnate: egli infatti
sosteneva un’interpretazione razionalistica della religione e ne escludeva la matrice soprannaturale. S. creò
un sistema filosofico razionalistico basato sull’identità assoluta tra Dio e natura: Deus sive Natura. Ne deriva
che il principio immanente/presente in ogni cosa è il deus sive natura, dio che si identifica completamente
con la natura. Per le sue caratteristiche, tale sistema è sia una forma di monismo(=uno solo) e che quindi
scorge nella realtà un unico principio costitutivo, sia una forma di panteismo (=tutto è in Dio e dio è in
tutto), dove dio è appunto l’unica sostanza e tutte le altre cose altro non sono se non modi, intesi come
modificazione di quest’unica sostanza che è il deus sive natura. Le fonti del pensiero di S. sono
essenzialmente: i testi biblici,il Talmud (testo sacro dell’ebraismo), il pensiero rinascimentale e quello
cartesiano. Tra le sue opere più importanti troviamo:

-Principia philosophiae: riesposizione dei principi di Cartesio elaborata secondo un ordine geometrico.
-Tractatus theologico-politicus: censurato dal governo olandese. Qui S. espone le sue concezioni sulla
religione e sulla politica. E’ importante notare che non vi è sovrapposizione di problematiche, ma ciò che
egli trae dalle sue dottrine teologiche è analogo a ciò che discende dalle sue teorie politiche ossia la libertà
di pensiero e la tolleranza. Con tale opera S. intende liberare l’uomo dalla schiavitù della superstizione e
riportarlo alla sua libertà di pensiero. Analizzando i testi biblici, egli intende dimostrare che questi indicano
solo come comportarsi ma non contengono la verità in quanto tale. Secondo S. i testi biblici vanno
analizzati sotto il profilo filologico; in tal senso gli unici precetti che la Scrittura insegna sono quelli
dell’obbedienza a dio e l’amore per il prossimo. Per quanto riguarda la politica S. difende lo stato di diritto
cioè quello che garantisce i diritti fondamentali di ciascun individuo quali la libertà religiosa ad esempio.
Seguendo le orme di Hobbes, anche S. sostiene la nascita della società civile a partire dall’uscita dallo stato
di natura. Per S. grazie ad un conatus (=impulso vitale di autoconservazione), gli uomini, desiderosi di
sfuggire a continui conflitti, stipulano un patto sociale (=contratto). Tuttavia dal patto sociale non si giunge
allo stato assolutistico di Hobbes, poiché per S. i diritti fondamentali rimangono inalienabili (pensare e
giudicare liberamente). Il fine dello stato è quindi che gli uomini usino liberamente la propria ragione
mettendo da parte odio ed inganni a beneficio della loro libertà e della pace. Nella cultura filosofico-
giuridica del ‘600 S. è tra i più importanti teorici del liberalismo, dello stato di natura e della tolleranza.

-Ethica more geometrica demostrata: edita da amici di S. dopo la sua morte. Qui S. espone i capisaldi del
suo sistema filosofico. Da sottolineare è che si tratta di un’etica intesa come ricerca della beatitudine
dimostrata secondo un ordine geometrico. L’andamento espositivo dell’opera si rifà a quello degli
“Elementi” di Euclide ed è perciò scandito da assiomi, definizioni e scolii (=delucidazioni); per tale ragione
può essere definito come un metodo deduttivo-geometrico. Per S. il fine dell’etica (e quindi di tutta la
filosofia) è la visione delle cose capace di liberare dalle passioni ed arrivare perciò ad uno stato superiore di
pace e tranquillità. S. intende superare il dualismo di Cartesio tra res cogitans e res extensa, infatti nel
primo libro dell’Ethica egli afferma che solo dio può essere concepito come sostanza e perciò sia la res
cogitans che quella extensa sono solo attributi di tale sostanza. Infatti per S. la sostanza è causa sui ossia
causa di se stessa che può essere concepita in sé e per sé.Tale sostanza è inoltre increata infinita ed unica
quindi Dio ed universo insieme (deus sive natura). Ispirandosi al naturalismo rinascimentale di Giordano
Bruno, S. chiama “ natura naturante” la stessa sostanza intesa come Dio (potenza generatrice) e “natura
naturata” la stessa sostanza intesa come mondo che è la realtà che si manifesta ed attua. In S. dio ed il
mondo si identificano ma ,contrapponendosi alla dottrina cristiana, non è dio che crea il mondo bensì lo
conserva in sé identificandosi con la sua stessa produzione. Inoltre l’unica sostanza (dio) essendo inifinita
ha anche infiniti attributi di cui l’uomo ,nella sua limitatezza, ne conosce solo 2 :il pensiero e l’estensione. La
sostanza ed i suoi attributi costituiscono la “ natura naturante” che si manifesta in tutte le cose particolari
come “natura naturata”.

S.definisce MODI quelle forme individuali di esistenza dove si esplica la sostanza infinita, quindi gli individui
pensanti (=uomini) e gli oggetti materiali (=corpi) sono dei modi dove l’attributo pensiero e l’attributo
estensione della sostanza si determinano e parcellizzano rispettivamente. Inoltre tra i vari modi del
pensiero sussiste una perfetta corrispondenza perché sono espressione della medesima sostanza. L’ordine
e la connessione delle idee è quindi lo stesso che l’ordine e la connessione delle cose. In tal senso l’anima
(=pensiero) ed il corpo concordano perfettamente nell’uomo.

Per S. esistono 3 gradi di conoscenza:

1.sensitiva o immaginativa: forma in cui l’uomo conosce le cose nella loro individualità particolare,
distaccate dall’ordine universale di cui ciascuna di essa fa parte. E’ una conoscenza inadeguata dove lo
spirito è passivo in quanto subisce l’influsso degli oggetti esteriori e nell’attività pratica è schiava delle
passioni dei sensi. In questo senso più il grado di conoscenza si eleva ai principi primi (=contemplazione
dell’unica sostanza) più l’uomo si libera dalle passioni della sensibilità. Alcuni interpreti hanno scorto in tale
concezione spinoziana, analogie con la psicanalisi di Freud.

2.razionale: comporta il superamento delle passioni da parte dell’uomo che attraverso la ragione
comprende la fallacia delle impressioni sensibili; quindi le razionalizza e le riunisce in principi universali
adeguandovisi con spirito stoico.

3.intuitiva: nell’intuizione intellettuale l’uomo conosce l’ordine divino di tutte le cose e lo accetta con gioia.
A questa terza forma corrispondono nella morale:

a. L’amor dei intellectualis: è l’amore intellettuale di Dio, tutte le cose sono viste sotto il segno della
necessità divina. L’amore intellettuale della mente verso dio è l’amore stesso di dio e con cui dio ama se
stesso.

b. la beatitudo: è felicità suprema di chi si è elevato all’amore intellettuale di dio.

S. venne elogiato dagli illuministi come libero pensatore all’insegna della tolleranza e della democrazia. Altri
lo criticarono come esponente di un sistema astratto. Certo è che il pensiero di S.influenzò fortemente
pensatori come Schelling e Gothe.

Leibniz (1646-1716)
Nacque a Lipsia da famiglia protestante e qui studiò all’università sotto la guida del maestro aristotelico
Thomasius. Studiò anche matematica e giurisprudenza e si laureò ad Altford nel 1666 anno in cui scrisse
“Dissertatio de arte combinatoria”. A tal riguardo l’arte combinatoria è intesa da L. come caratteristica
universale, infatti il suo scopo è quello di trovare un linguaggio simbolico universale e in grado quindi di
risolvere tutte le controversie. Tale linguaggio deve esprimersi in termini matematici ed essere come una
lingua capace di esprimere tutti i concetti. Questo fu tuttavia un progetto che L. non portò mai a termine.
Inoltre alla base dei suoi principi ci fu sempre e comunque quello di far conciliare la filosofia aristotelica con
quella moderna. Conobbe Newton con il quale si verificò un dissapore dovuto al primato della scoperta del
calcolo integrale o infinitesimale. Conobbe anche Spinoza e si impegnò alla riunificazione della chiesa
cattolica con quella protestante ma non vi riuscì.

Monadologia
Si tratta di un opuscolo scritto nel 1714. Dopo gli sviluppi della scienza moderna due concetti in particolare
della metafisica aristotelico-scolastica apparivano compromessi:

1.quello secondo cui ogni cosa della realtà avesse un fine o una causa finale

2.quello di sostanza intesa come forma sostanziale.

L. riprende questi due concetti e li rivendica come validi, perenni e fondamentali. A tal proposito L. intende
conciliare il meccanicismo con il finalismo e la nuova scienza della natura con i principi della metafisica,
primo fra tutti l’esistenza di dio e la libertà dell’uomo. L. criticando Spinoza e recuperando la concezione
aristotelica e cristiana, prospetta una visione finalistica dell’universo; in dio e nell’uomo esiste una libertà di
scelta che li rende autonomi, inoltre nella natura i fatti (accadendo secondo un principio di causa-effetto)
sono contingenti, ossia possono essere o non essere, accadere o meno; i fatti sono piuttosto voluti dalla
volontà e dalla libertà creatrice di dio.In tal senso l’ordine dell’universo non è necessario, ma contingente
(implica una diversa possibilità) e dio ha scelto il nostro mondo tra tanti possibili come il migliore ed il più
perfetto. Importante per capire il pensiero di L. è inoltre la distinzione che egli fa tra:

-verità di ragione: riguardano la logica e la matematica, sono assolute e necessarie e si fondano sul principio
di non contraddizione.

-verità di fatto: fanno riferimento alla verità naturale e storica e si fondano sul principio che niente accade
senza una causa o un determinato motivo.Esse sono possibili ma non necessarie e riguardano la storia
dell’uomo.

Ed ancora, al monismo di Spinoza L. contrappone una pluralità di sostanze individuali: le MONADI.

Il nome monadi deriva dal greco monos cioè unico ed indivisibile. Per L. tutto l’universo è composto da tali
sostanze individuali. Le monadi sono i vari atomi della natura e perciò elementi di tutte le cose. Tuttavia
queste non prendono le mosse dall’atomismo materialistico, infatti mentre gli atomi sono materiali, le
monadi sono immateriali, indivisibili,inestese e possono iniziare o finire solo tramite l’intervento di
dio.Inoltre sono realtà viventi, mondi dotati di spiritualità interiore e di una propria attività (=energia
cinetica). Caratteristica essenziale di ogni monade è l’individualità.

Principio dell’identità degli indiscernibili: in natura non vi sono due cose assolutamente uguali, che siano
perfettamente l’una come l’altra. E’ quindi necessario che ogni monade sia diversa dall’altra poiché se
esistessero due indiscernibili, esse coinciderebbero e formerebbero un’unica sostanza. Dalla individualità di
ciascuna monade deriva quindi la varietà infinita del creato.

Gerarchia delle monadi: le infinite monadi che costituiscono l’universo sono diverse tra loro per grado di
perfezione. A seconda di tale grado, L. segue una gerarchia ascendente dalla natura inorganica fino a dio
passando senza intervalli (la natura non fa salti) dal mondo vegetale a quello animale allo spirito umano. Il
grado di perfezione delle monadi è determinato dalla chiarezza e dalla distinzione delle loro percezioni.
Ogni monade ha quindi una sua attività percettiva ed una autoconsapevolezza che essa ha di sé e della sua
attività percettiva. . Le monadi sono quindi come piccoli mondi chiusi, autosufficienti, senza finestre
sull’esterno ed ognuna di esse rappresenta e rispecchia dentro di sé tutto l’universo ma partendo ognuna
da un punto di vista particolare. L. le classifica quindi in base alla maggiore o minore chiarezza con cui esse
percepiscono l’universo. Le monadi più in basso nell’ordine di perfezione universale hanno percezioni così
oscure (proprie della materia inorganica) da non esserne consapevoli o confuse (sono avvertite ma non
spiegate nelle loro cause) la cui percezione non è del tutto consapevole. Le monadi più in alto nell’ordine
sono quelle con percezioni chiare (proprie della coscienza) cioè quelle delle quali l’anima umana è
consapevole; esse spiegano i fatti e tutte le cose. Il più alto grado di perfezione e consapevolezza è
naturalmente dio.

Appercezione (o autocoscienza):è il grado di conoscenza chiara e distinta. L. intende qui la consapevolezza


delle proprie percezioni. E’ opportuno sottolineare come la percezione sia per L. lo stato interiore della
monade che si rappresenta le cose esterne e come l’appercezione sia invece la coscienza o conoscenza di
quello stato interno.L’appercezione è la caratteristica propria di dio e dello spirito umano anche se in
quest’ultimo sono tuttavia presenti anche le percezioni oscure o confuse che stanno nel nostro
inconscio.Nel momento in cui la monade anima diventa cosciente della propria attività riflessiva e
rappresentativa (=momento dell’appercezione), l’io diviene cosciente di se stesso e dei propri atti
(=autocoscienza).

Innatismo virtuale: se per Cartesio l’anima umana possiede idee innate e Locke rifiuta l’innatismo
affermando che l’intelletto umano è una tabula rasa sul quale si imprimono idee che man mano ci derivano
dall’esperienza, L. sostiene che tutte le idee sono inizialmente contenute nelle monadi in modo incosciente;
esse sono quindi presenti non allo stato attuale, bensì virtuale o potenziale in forma di piccole percezioni,
inclinazioni e rimangono tali nelle monadi inferiori (=animali). Per le monadi superiori (=anima dell’uomo),
invece, possono via via acquisire coscienza mediante la riflessione e raggiungere quindi l’appercezione
divenendo attuali. Ancora in contrapposizione a Locke, L. afferma che nulla è nell’intelletto che non sia
stato prima nei sensi tranne l’intelletto stesso che è a priori. L’anima predispone quindi in modo innato
l’intelletto. Infatti l’uomo come tutti gli altri organismi, è costituito da un insieme di monadi partendo da
una centrale (superiore per grado) che è l’anima e da altre molteplici monadi (di grado inferiore) che
formano il corpo. Inoltre le monadi non avendo “ finestre” non comunicano con l’esterno e non hanno
rapporti tra di loro, è solo dalla propria interiorità che traggono la rappresentazione di tutto l’universo.

Dottrina dell’armonia prestabilita: è la risposta al sorgere del problema dell’armonia fra monade-anima e
monade-corpo e dell’accordo tra monadi di un organismo con le monadi di un altro organismo. Tale
armonia è stata predisposta da dio fin dall’eternità facendo sì che le modificazioni intere di ciascuna
monade combacino perfettamente con le modificazioni di tutte le altre monadi. Lampante è l’esempio di L.
per cui due orologi sincronici sono indipendenti tra di loro ma creati comunque da uno stesso orologiaio
con identico meccanismo e quindi funzionano in perfetto accordo.

La teodicea
Opera del 1710 in cui L. espone la sua dottrina sulla giustizia divina(=teodicea) intesa come una
giustificazione di dio o meglio una difesa di dio dall’accusa di aver prodotto il male nonostante la sua
infinita bontà. Partendo dal presupposto che dio è la monade suprema quindi ragione sufficiente che spiega
tutto il creato,egli ha scelto il nostro fra tutti quelli possibili, come mondo migliore. Ora essendo dio
infinitamente buono ed essendo il nostro il migliore dei mondi possibile, perché esiste il male? L. risponde
affermando che la realtà creata, pur essendo la migliore possibile, è comunque limitata e finita e non è
perciò preclusa dal male. Se dio avesse creato una realtà perfetta avrebbe creato un altro se stesso.
Rifacendosi alla dottrina del male di S.Agostino, L. distingue 3 forme di male:

1.male metafisico: è la conseguenza della natura finita delle creature. E’ necessario altrimenti le cose si
identificherebbero con dio.

2.male morale: è il peccato, imputabile quindi all’uomo che fa cattivo uso della libertà che dio gli ha donato.
E’ conseguenza del male metafisico poiché l’uomo, essere imperfetto, limita la sua capacità di compiere e
volere il bene.

3.male fisico: è il dolore, le sofferenze e le malattie. Anche queste sono conseguenza del male metafisico e
dell’imperfezione delle creature. Questo è tuttavia necessario perché costitutivo della creazione stessa.

Hume (1711-1776)
L’empirismo inglese: Hegel configura in Locke il fondatore.Per gli empiristi la ragione umana è limitata
dall’esperienza e proprio a quest ‘ultima è necessario attenersi. In tal senso l’empirismo è definito anche
come “filosofia del limite” in quanto mostra i limiti della conoscenza umana secondo l’esperienza.
L’esperienza è quindi fonte ed origine del processo conoscitivo e strumento di verificazione delle idee
dell’intelletto che risultano valide solo se si possono dimostrare vere empiricamente. L’empirismo è anche
una forma di anti-innatismo, nessuna idea in noi è innata poiché tutto deriva solo ed esclusivamente
dall’esperienza. Anche l’esistenza di dio, in quanto non dimostrabile, non è accettata.

Hume nasce ad Edimburgo e qui frequenta la facoltà di giurisprudenza. Si dedica fin da giovane alla lettura
di Locke e Berkeley cercando fin da subito di elaborare un nuovo tipo di filosofia scientificamente fondata.
Infatti perno della concezione di H. è che uno degli elementi fondamentali della filosofia deve essere il suo
confronto con le scienze empiriche e sperimentali. Tentò la carriera universitaria ma non ebbe mai una
cattedra a causa del suo scetticismo e sospetto ateismo. Negli ultimi anni di vita ad Edimburgo si dedicò alla
filosofia politica e della religione. H. è considerato come il più radicale degli empiristi che sfocia poi nello
scetticismo in quanto per H. anche usando la ragione non si può essere certi delle cose fisiche in quanto
l’esperienza riguarda il passato e non le cose future.

Scienza della natura umana


Opera in cui H. vuole elaborare tale scienza sia in campo conoscitivo che morale. Per H. l’uomo possiede
solo l’esperienza e l’osservazione ed è solo attraverso questi strumenti che lo stesso H. intende evidenziare
le leggi scientifiche dei fatti psichici e della morale con tale chiarezza quale quella con cui Newton spiegò la
fisica e l’astronomia. In questo trattato egli intende perciò inserire il metodo sperimentale di ragionamento
negli argomenti morali. Questa nuova scienza della natura umana deve quindi descrivere i fenomeni
conoscitivi e morali (le percezioni, le idee, le passioni dell’uomo) che devono essere riportati ad una natura
comune fondamentalmente uguale per tutti gli uomini. L’originalità della filosofia di H. sta nel tentativo di
applicare alla studio della natura umana il metodo sperimentale. Significativa è l’espressione di H. secondo
la quale se un libro non contiene numeri o ragionamenti sperimentali, è sicuramente da buttare perché solo
fonte di inganni.

H. inizia il suo trattato asserendo che la conoscenza si origina con le sensazioni dalle quali derivano le
percezioni. Quest’ultime si dividono in:

- impressioni: chiamate impressioni sensibili poiché derivano dalla sensibilità. Esse sono originarie ed
immediate e comprendono le emozioni, le passioni ecc. Sono i mattoni su cui si costruisce ogni nostra
conoscenza ed ogni nostra affermazione dell’essere deve basarsi su queste.

- idee: sono la riproduzione, il ricordo delle impressioni e su queste si fondano.

Secondo H. un fatto osservabile è che le idee tendono ad associarsi fra di loro come per Newton con la
forza di gravità. Tale associazione tra idee è governata secondo 3 leggi:

1.legge di somiglianza: si associano idee di cose simili tra loro.

2.continuità spazio-temporale: si associano idee di cose tra loro vicine nello spazio e nel tempo.

3.causalità: si associano cause ad effetti. Due fatti che si sono sempre sperimentati l’uno dopo l’altro
inducono a pensare che questi siano necessariamente legati da un rapporto causa-effetto.

H. può spiegare tutti i fenomeni della vita psichica rifacendosi a tali leggi, come per esempio il formarsi dei
nomi universali ( i concetti ed i termini di portata generale e quelli che in filosofia sono chiamati universali,
non hanno una loro propria esistenza prima o scollegata dalle cose, ma vengono concepiti solo come
NOMI). E’inoltre importante sottolineare come per H. la memoria sia la facoltà di conservare le impressioni
e trasformarle in idee e l’immaginazione sia la facoltà di collegare le idee tra loro che tuttavia non è una
facoltà attiva in quanto si limita a collegarle semplicemente in base all’abitudine cioè quando constata che
una certa associazione si ripete costantemente.

H. sostiene inoltre che il collegamento e la combinazione di idee semplici originano idee complesse che
costituiscono il contenuto del pensiero umano.Per H. ci sono tuttavia idee complesse importanti a cui
l’uomo attribuisce sbagliando validità oggettiva. Queste sono:

- idea dello spazio e del tempo: non avendo origine dalle impressioni non hanno validità oggettiva. Le
impressioni sensibili (tatto e vista) unendosi tra di loro nella mente umana, inducono l’uomo a credere che
lo spazio esista oggettivamente come un’ estensione continua. Allo stesso modo l’udito porta a pensare che
singoli istanti privi di durata siano successivi l’uno all’altro costituendo una continua durata senza
interruzione.

-idea di causa ed effetto: H. critica l’idea della connessione che si stabilisce in questioni di fatto tra le idee di
due cose particolari (es. fumo e fuoco). Per H. il principio di causa non è nelle cose stesse, ma è solo un
nostro modo di pensare. Ciò scaturisce dalla nostra abitudine a considerare due fatti necessariamente
connessi da un rapporto di causa-effetto. L’abitudine imprime in noi la credenza. Mediante
l’immaginazione, l’uomo si abitua a fenomeni che ha osservato ripetutamente succedersi con regolarità ed
ha stabilito un rapporto necessari tra di essi. A tal riguardo Kant sosterrà che il nesso di causa-effetto è una
categoria dell’intelletto con la quale l’uomo può ordinare i fatti dell’esperienza che altrimenti resterebbero
in uno stato caotico.

-idea di sostanza (materiale e spirituale): anche qui si rifà alla dottrina della credenza. Per H. è solo una
costante uniformità di sensazioni (valore, sapore) che induce a credere che esista di per sé una realtà
materiale immutabile che riunisca e sostenga le qualità percepite mediante le impressioni. Per H. le
impressioni offrono solo qualità sensibili e particolari ed al di là di queste non è possibile conoscere una
sostanza che sia il sostrato delle qualità sperimentate, né autorizzano a supporla. Ne deriva che il
convincimento della sostanza materiale e spirituale è imputabile all’immaginazione. La sostanza spirituale
da canto suo, è solo una credenza che induce ad immaginare un sostrato, cioè l’anima, che sostiene tutte le
nostre percezioni psichiche ed i nostri sentimenti. Quindi l’uomo altro non è se non un fascio di percezioni
oltre le quali niente è oggettivo. In tal senso noi non abbiamo esperienza del nostro io (cartesianamente
inteso), ma solo dei nostri stati di coscienza. Ne deriva che ciò che ci assicura della nostra esistenza e della
nostra identità personale è solo una credenza, cioè la convinzione che uno ha di se stesso di essere sempre
la stessa persona.

Critica al concetto di identità personale


Concezione radicale in H. in quanto afferma che “per quanto io mi addentri in ciò che chiamo me stesso,
altro non trovo se non una particolare percezione ed altro non colgo se non l’atto di percepire. Dentro di
me non c’è niente che permanga nel tempo e perciò nessuna identità personale”. E’ a causa di queste idee
che H. fu accusato di scetticismo avendo appunto negato qualsiasi verità. Tuttavia egli si definì come uno
scettico moderato in quanto non negava l’esistenza delle cose e delle persone, ma solo la loro conoscibilità.
Critica della religione
Per H. la religione,come la morale non ha nessun fondamento razionale. Dimostrare l’esistenza di dio non è
possibile poiché le prove si basano sull’estensione dell’idea di causalità al di là dell’esperienza. La religione
si basa quindi solo sui sentimenti ed in particolare su quello di terrore sperimentato dagli uomini primitivi di
fronte a fenomeni inspiegabili e misteriosi.

Legge di Hume
E’ vietato dedurre da proposizioni descrittive (esprimenti una conoscenza), proposizioni prescrittive
(esprimenti una norma o un comando). L’etica non può basarsi su alcuna conoscenza. H. afferma che è
scorretto passare da proposizioni formulate con il verbo “essere” a proposizioni formulate con il verbo
“dovere”, avendo quindi un passaggio erroneo dall’ambito dell’ “ essere “ all’ ambito del “dover essere”.

Da aggiungere infine che H. fu il motore che mosse per primo il pensiero di Kant dando un particolare
indirizzo alle sue ricerche nel campo della filosofia speculativa.

Da ricordare è che l’illuminismo inglese si concentrò di più sul dibattito di ordine morale e religioso. Una
caratteristica importante dell’illuminismo inglese si trova nel deismo (dottrina per la quale sono accettabili
solo gli aspetti razionali della religione).

Giambattista Vico (1668-1744)


Nacque a Napoli e frequentò una scuola di gesuiti dove apprese lo studio dei classici greci e latini e grazie ai
quali conobbe anche la scolastica barocca di Suarez. Si laurea a Napoli in giurisprudenza e nel 1699 ottiene
la cattedra di retorica nella stessa università. Tra le sue opere si annoverano le “Orazioni inaugurali” che
erano appunto dei discorsi che V. teneva all’inizio di ogni anno accademico. La più importante è la settima
nella quale V. mostra la sua posizione decisamente critica nei confronti del cartesianesimo, assai diffuso a
Napoli. Tuttavia la sua maggiore opera è la “Scienza nova” di cui ne farà 3 edizione e l’ultima uscita nel 1744
poco dopo la sua morte.

Innanzi tutto dobbiamo sottolineare come con V. abbiamo la riscoperta della prospettiva storica dell’uomo.
All’io trascendentale di Kant, V. contrappone l’uomo storico. Dobbiamo considerare come l’epoca di V. sia
caratterizzata e dominata dal razionalismo e dall’empirismo e perciò come la cultura sia sostanzialmente
rivolta ai problemi della natura fisica e della conoscenza umana. Ecco che V. pone a nostro servizio la sua
originalità presentandoci una posizione filosofica alla cui base sta la riscoperta del mondo storico e
spirituale dell’uomo. L’indagine di V. è quindi basata sulla storia umana e sulle sue leggi e ricalca il modello
delle leggi della geometria euclidea.Le sue riflessioni sui principi che regolano la storia dell’umanità gettano
le basi dello storicismo ossia quel movimento di pensiero tipicamente tedesco che vede Herder ed Hegel
come suoi fondatori e che si svilupperà nell’800.

La critica a Cartesio
V. riteneva che la fisica sperimentale e la filosofia di Cartesio a nulla servissero per la filosofia dell’uomo.
Perciò mentre Cartesio sosteneva che l’essenza vera e profonda dell’uomo fosse la razionalità, V.
rispondeva asserendo che l’uomo è costituito anche da sentimenti, pulsioni e fantasia creativa.Ed ancora,
mentre Cartesio sosteneva che solo ciò che è razionale e può essere ridotto ad idee chiare e distinte può
essere oggetto della scienza, V. rispondeva che anche la storia, la retorica, la poesia ed il mito potevano
essere oggetto di vera scienza, di una scienza nuova. Per V. infatti la scienza è comprendere le cose
attraverso le cause e l’uomo può conoscere le cause solo delle sue azioni, di ciò che egli stesso ha prodotto,
ossia la storia. A tal proposito l’uomo non può conoscere completamente la natura visto che questa non è
un suo prodotto e solo dio può conoscere tutti i fatti della natura perché è lui che li ha creati. A sostegno
della sua tesi, V. afferma che il “il vero è il fatto stesso” e che “il vero ed il fatto convergono l’uno nell’altro”.
Ne consegue che solo la storia può essere oggetto di vera scienza e l’uomo non può conoscere
scientificamente né la natura, né dio, né il proprio io poiché non li ha prodotti.

La scienza nova
In questa opera V. espone i principi di un nuovo ambito di indagine scientifica che è la storia umana. La
scienza viene accompagnata dall’aggettivo “nuova” poiché nella modernità si parlava solo di scienza della
natura. V. riconosce quindi il mondo della storia (da lui chiamato anche mondo delle nazioni o mondo
civile) come oggetto della conoscenza umana. La scienza della storia è al tempo stesso:

-concreta: si avvale della filologia che è conoscenza del certo. In questo senso V. cita Tacito che ha
esaminato la storia solo dal punto di vista dell’esposizione degli avvenimenti, ma trascurandone le ragioni
ideali.

-universale: si avvale della filosofia che ricostruisce i principi eterni attraverso i quali lo spirito umano si è
sviluppato nella storia stessa. La filosofia è quindi scienza del vero. V. cita Platone che si è occupato dei
principi filosofici dell’andamento della storia tralasciando la realtà concreta.

A questo punto è chiaro che la finalità dell’indagine è come dice V. “inverare il certo”, ossia ricondurre i fatti
particolari a leggi universali che li spieghino e “accertare il vero” ossia ricostruire i fatti particolari a cui tali
leggi si applicano. E’ quindi necessario operare una sintesi tra le prospettive di Tacito e quelle di Platone.

Storia della mente e storia dell’uomo (le 3 età della storia)


Nel primo dei 5 libri della “ scienza nova” V. parla di DEGNITA’ che corrispondono ad assiomi, principi
fondamentali ed universali della storia. Alle degnità V. pone analogamente gli stadi in cui si sviluppa la
mente umana e gli stadi in cui si sviluppa la storia, le une riflettono le altre. La mente umana si sviluppa in 3
fasi di cui ciascuna è dominata da una diversa facoltà:

1-senso(=bambino): corrisponde all’infanzia. Gli uomini sentono senza avvertire, in modo oscuro e confuso.

2-fantasia(=adolescente): qui gli individui si esprimono con “animo perturbato e commosso” quindi con
l’emotività e la creatività dell’immaginazione.

3-regione(=uomo adulto): qui gli uomini riflettono con “mente pura” ossia con chiarezza ed insieme
distacco, senza l’influenza del sentimento.

A queste corrispondono altrettante fasi della storia:

-età del senso=età degli dei (primitivi),(metafisica naturale): corrisponde alla preistoria, quando l’uomo era
ancora “ un bestione” dominato dagli istinti, dal senso e perciò incapace di dare vita ad istituzioni o stato. E’
chiamata così perché in essa gli uomini interpretavano i fenomeni naturali come manifestazioni della
potenza divina
-età della fantasia=età degli eroi (Omero),(metafisica fantastica): è l’età delle grandi inimicizie e del
riconoscimento della divinità. V. descrive il passaggio dalla prima età a questa sostenendo che: i bestioni,
udito il rumore del tuono, alzarono gli occhi al cielo,raffigurandosi l’esistenza di un dio e per la prima volta
assunsero la posizione eretta. In tal senso la religione produsse il primo progresso nella vita degli uomini. E’
l’età descritta da Omero in cui nacquero per la prima volta i 3 elementi principali comuni a tutte le nazioni:
religione, matrimoni e sepolture. In questa età è viva la sapienza poetica e la produzione dei miti(=prodotti
appunto dalla fantasia) a cui V. attribuisce grande importanza ritenendoli come un’immagine poetica di
valore universale. Se per la filosofia di quel tempo il mito altro non era se non una fonte di inganno, per V.
la mente umana rappresenta poeticamente nel mito il fantastico che viene assunto come simbolo valido
per tutti (Achille è l’universale fantastico del coraggio). E’ per questo che V. parla di Omero; tuttavia
secondo V. Omero non è realmente esistito e le sue opere altro non sono che l’espressione della poesia
primitiva delle popolazioni greche. V. elabora anche una teoria del linguaggio che, in contrapposizione alla
tradizione razionalistica che lo vedeva solo come un arteficio volto solo alla comunicazione, egli considera
come una creazione spontanea ed immediata prodotta dalla fantasia e dall’ingenium .

-età della ragione=età degli uomini (metafisica ragionata): qui la fantasia è subordinata alla ragione. Gli
uomini hanno coscienza critica ed osservano il mondo con mente pura e mediante la filosofia ne ricercano i
principi universali. In questa età la prosa si sostituisce alla poesia e si consolidano le istituzioni
politiche,sociali e religiose.

(la legge dei 3 stadi storici di V. è vista come un’anticipazione dell’AUFHEBUNG di Hegel, una dialettica
storica per la quale ogni età supera la precedente, conservandone dei tratti, per un maggiore sviluppo della
razionalità).

Questi 3 stadi sono l’uno successivo all’altro, tuttavia può accadere che arrivati al terzo stadio avvenga una
regressione dovuta al fatto che la società si corrompe nuovamente e decade.In tal senso ad un corso
(sviluppo di un popolo attraverso le 3 età) può succedere un ricorso (ritorno di un popolo all’età iniziale)
che implica di ricominciare da capo lo sviluppo. La storia è quindi fatta di corsi e ricorsi.Un esempio di
ricorso storico è per V. il medioevo.

Eterogenesi dei fini


Per V. la storia è fatta dagli uomini, tuttavia c’è un senso in essa che gli uomini non producono; su di essi
infatti agisce una “mano invisibile” che guida le loro azioni verso il meglio, verso un fine superiore. Questa è
la mano di dio che trasforma i fini particolari perseguiti consapevolmente dagli uomini, in mezzi di fini
universali voluti da dio stesso.

Vico e S.Agostino:Entrambi intendono dare un senso alla storia, ma s.Agostino si basa sulla rivelazione
cristiana, mentre V. sulla ragione. Con la sua filosofia V. ha voluto elaborare i principi universali ed eterni
attraverso i quali si sviluppa l’umanità.

Vico e lo storicismo: egli è stato considerato come un precursore dello storicismo sia italiano che tedesco.
La differenza sta tuttavia negli storicismi che considerano la storia umana senza alcun intervento
Provvidenziale.

Infine è da sottolineare che a suo tempo V. non è stato molto considerato anche se Herder ed Hegel
mostrano delle analogie con la sua filosofia. Una sua rivalutazione si ha con Benedetto Croce e Giovanni
Gentile in Italia, con Cassierer e Gadamer in Germania, con Chateubriand e Michelet in Francia.
Conquista del mondo storico
In età romantica si considerò l’Illuminismo come un movimento anti-storico. A causa della loro esaltazione
del concetto di ragione, gli Illuministi non si dedicarono ad una reale comprensione della storia. Tuttavia nei
primi decenni del ‘900, studiosi come Cassierer, hanno evidenziato l’importanza della riflessione sulla storia
nella cultura illuministica. Nel ‘600 gli studiosi erano attenti alla raccolta ed alla critica filologica delle fonti
ma non alle cause della storia. Gli illuministi, inoltre, interpretarono le sacre scritture generalmente come
un documento storico escludendone così l’aspetto provvidenziale.

Idea di progresso
E’ una caratteristica che si ritrova in larga parte della storiografia illuministica. Secondo tale idea, l’umanità,
fin dai suoi albori, sarebbe sempre progredita per il meglio, quindi ciò che guida la storia è il progresso,
l’evoluzione dell’uomo verso il meglio. L’idea moderna di progresso nasce da una disputa nel ‘600 fra
mondo classico e mondo moderno dove il primo veniva considerato come età dell’oro che i moderni
potevano solo imitare. In contrapposizione i moderni sostenevano che rispetto al mondo antico si erano
fatti enormi progressi in campo scientifico e politico.

Boyle (Francia, 1627-1706)


Egli cercò di dare un metodo rigorosamente scientifico ( di tipo cartesiano) alla conoscenza della storia che
invece il cartesianesimo non considerava come scientifica. Secondo lui , lo storico deve abbandonare ogni
pregiudizio religioso ed ideologico ed essere imparziale, attenendosi solo alla realtà dei fatti riportati sui
documenti. Dal 1692 si dedica alla scrittura del “Dizionario storico e critico” che risulta essere fra i primi
esempi di storiografia razionalistica moderna.

Condorcet (Francia, 174-1794)


Con lui si ha la più compiuta teorizzazione settecentesca del progresso. In una sua opera egli ricostruisce
tutta la storia universale tenendo sempre presente l’idea di un progresso che è continuo ed inarrestabile.
Nella storia è quindi presente un movimento progressivo ed il cammino dell’uomo coincide con quello della
ragione. C.individua 10 epoche nella storia dell’umanità che si dispiegano in graduali progressi del sapere.
Grazie al progresso abbiamo la certezza che il genere umano non ritornerà alla sua antica barbarie.
Secondo C. Cartesio, Leibniz e Locke sono stati i protagonisti della IX epoca battendosi contro gli errori e la
tirannia. La X epoca si configura invece con il trionfo dei lumi e della ragione, l’Illuminismo, che porterà
l’umanità verso il completo sviluppo delle scienze e istituzioni politiche democratiche e giuste.

Ferguson (Inghilterra, 1723-1815)


La sua opera più importante è il “Saggio sulla storia della società civile” che fu prontamente tradotta in
tedesco e conosciuta da Kant, Hegel e Marx. F.divide la storia umana in 3 stadi: selvaggio, barbarico,civile.
L’ultimo stadio è caratterizzato dal ruolo centrale della proprietà privata, dalla subordinazione ad un potere
statale, dalla divisone del lavoro e dall’economia di scambio. F. intende la storia come un continuo
progresso fondato nella natura stessa dell’uomo poiché nell’uomo è insita la tendenza al perfezionamento.
Reimarus (Germania, 1694-1768)
Escluse ogni rivelazione. Con lui inizia la ricerca storica su Gesù ed il cristianesimo primitivo. Per R. Cristo fu
solo un personaggio storico e solo in seguito venne divinizzato. Egli fu un deista (sostenitore della religione
naturale fondata sulla sola ragione).

Lessing (Germania, 1729-1781)


Fu uomo con svariati interessi: storia, estetica ecc. In contrapposizione a Reimarus egli non vide le religioni
positive( positivo intervento di dio) come meri inganni, bensì manifestazioni delle esigenze degli uomini
nella loro storia e per questo bisogna averne una reale comprensione storica. Uno dei principali problemi
posti da L. fu la questione di come una verità eterna possa entrare nella storia. In tal senso L. cerca di
rispondere con la sua opera “L’educazione del genere umano” sostenendo che la rivelazione per il genere
umano corrisponde all’educazione per il singolo individuo, perciò ha il compito di incrementare le
potenzialità dell’uomo per portarlo alla perfezione. La rivelazione viene quindi ad acquisire funzione
pedagogica. La rivelazione religiosa fa rispettare all’umanità le leggi della moralità e quindi le religioni
rivelate (religioni in cui dio si svela all’uomo mediante le opere espresse nella storia ed interpretate dai
profeti), sono tappe del processo di sviluppo morale della storia umana.

Per L. l’educazione del genere umano si è sviluppata attraverso 3 grandi fasi:

-fase del giudaismo: dominata dall’idea di premi e castighi divini concessi già in questa vita per ottenere
l’obbedienza esteriore del popolo di dio. E’ una sorta di sillabario per bambini.

-fase del cristianesimo: i premi e le pene sono spostati nella vita futura al fine di incentivare la convinzione
interiore e la purezza del cuore. Questa fase esprime una pedagogia più matura. Cristo è il primo maestro,
miglior pedagogo ed insegna l’intima purezza del cuore (L. tuttavia non assegnerà a dio la divinità)

-fase del nuovo vangelo eterno: corrisponde al regno dello spirito dove premi e castighi non saranno più
necessari affinchè l’uomo faccia il bene. L’umanità è moralmente adulta, non più bisogno delle religioni e sa
amare la virtù di per se stessa.

Per L. ogni religione rivelata scomparirà quando sorgerà la religione razionale e si consoliderà un’etica
autonoma.

Herder (Germania, 1744-1803)


Era un pastore luterano discepolo di Kant. In lui si ritrovano anche diversi concetti lessinghiani, oltre ad
avere punti in comune con Vico poichè si occupò di linguistica cercando in particolare di individuarne il
nesso con la storia. Fu anche un rappresentate della cultura del sentimento e del cuore. Scrive due iportanti
opere : “Ancora una filosofia della storia per l’educazione umana” e “Idee per una filosofia della storia
dell’umanità”. La sua filosofia della storia mostra novità rispetto a quella illuministica:

-come la natura progredisce secondo un disegno teleologico, così anche la storia dell’umanità si sviluppa
alla stessa maniera.Dio opera sia nella natura che nella storia.

-il progresso è visto come opera di dio che porta l’umanità ad una piena realizzazione

-nel corso della storia ogni particolare fase ha un proprio significato. A tal riguardo H. rivaluta anche il
Medioevo come età pervasa dal sentimento e solidarietà tra gli uomini( si pensi ai comuni).
-alla concezione di stato H. contrappone quella di popolo che è come un organismo, un’unità vivente che si
basa su lingua, cultura e religione. Il popolo è la base di ogni stato.

Alcuni storici vedono in H. le basi del nazionalismo tedesco, infatti secondo lui ciascun popolo ha tradizioni
proprie ed un linguaggio unico da custodire come bene prezioso.

Rousseau (1712-1778)
Nasce a Ginevra, nel 1741 si stabilì a Parigi dove collaborò alla stesura di alcune voci dell’enciclopedia. Nel
1750 partecipa ad un concorso dell’Accademia delle scienze di Digione riguardo al tema se le arti e le
scienze abbiano contribuito a purificare i costumi. In questo conteso R. scrive “ Discorso sulle arti e sulle
scienze” e vince il concorso diventando quindi famoso. In seguito partecipa ad un altro concorso
dell’accademia e scrive un discorso della disuguaglianza degli uomini che egli intende con la differenza tra
servo e padrone; tuttavia non vince tale concorso. Le sue opere più importanti sono “Il contratto sociale” e
“L’Emilio”. Tali opere furono condannate sia dal parlamento parigino che da quello di Ginevra ed egli si
rifugiò in Inghilterra presso Hume. Nel periodo della vecchiaia scrive opere autobiografiche quali “Rousseau
giudice di Jean-Jacques” (quindi giudice di se stesso) e le “Confessioni” opera introspettiva dove R.
commenta gli avvenimenti più salienti della sua vita. Il carattere malinconico di R. lo individua come un pre-
romantico infatti egli, distaccandosi dalla concezione illuminista per cui la natura umana è solo ragione,
afferma che questa è anche sentimento e spontaneità creativa. A tal riguardo R. afferma che la ragione del
cuore non sbaglia mai ed ama solo il bene. Inoltre egli rifiuta categoricamente la concezione illuminista
della storia come progresso, sostenendo che è proprio questo che ha creato la disuguaglianza tra gli
uomini.

Lo stato di natura
Nel suo “Discorso sulle scienze e sulle arti” R. espone un presupposto fondamentale di tutta la sua filosofia,
ossia che l’uomo è naturalmente buono e solo le istituzioni lo rendono malvagio. Da ciò deriva la sua critica
alle scienze e alle arti che corrompono i costumi e sono solo armi nelle mani dei tiranni. Alla corruzione
dell’uomo nella civiltà, egli contrappone l’uomo nello stato di natura,un uomo primitivo che chiama “il
buon selvaggio” e che egli considera del tutto innocente perché non toccato dai vizi della società e del
progresso. Tuttavia è necessario soffermarsi sul fatto che per R. lo stato di natura non esiste realmente e
quindi come realtà storica, esso è piuttosto un’ipotesi necessaria per spiegare la natura dell’uomo e la sua
attuale corruzione. Da sottolineare è come l’uomo primitivo di R. non è propriamente buono o cattivo, ma
solo innocente perché segue il suo istinto. Altra caratteristica della natura dell’uomo è la socialità ed egli
non è quindi in continua lotta con gli altri come lo voleva Hobbes.

Ottimismo antropologico: fa riferimento alla naturale innocenza dell’uomo.

Origine della disuguaglianza


R.sostiene che nello stato di natura tutti gli uomini vivevano felici in quanto tutti uguali e con tutte le
proprietà in comune. E’ proprio con l’avvento della proprietà privata che si origina la disuguaglianza.
L’uomo spinto dal possesso recintò un pezzo di terra rivendicandone la proprietà e vietandone l’uso agli
altri, originando così la divisione tra servi e padroni. Nello stato di natura la disuguaglianza dipende solo
dalla forza fisica, ma con il progresso e la proprietà privata legittimata dallo stato e dalle istituzioni, la
disuguaglianza prende campo sempre più. (tale concezione roussoniana influenzerà la dialettica servo-
padrone di Hegel ed i primi scritti di Marx). R. afferma ancora che le istituzioni andrebbero rovesciate per
restituire all’uomo la sua naturale condizione di uguaglianza. R. in tal senso fu un sovversivo che ispirò la
rivoluzione giacobina.

Contratto sociale
Per R.l’uomo pur essendo nato libero è dappertutto in catene ed a tal riguardo egli intende riportare tra gli
uomini uno stato simile a quello di natura costituito dal contratto sociale. Lo scopo di tale scritto è quello di
gettare le basi di un nuovo assetto polico-istituzionale partendo da un patto, detto appunto contratto
sociale, il cui fondamento sia l’equità e sia in grado di ricondurre il più possibile l’uomo alle condizioni
naturali di libertà ed uguaglianza. Rifacendosi al contrattualismo di Locke e di Hobbes, R. presenta tuttavia
una concezione innovativa del contratto. Come sappiamo il contrattualismo sosteneva la fondazione della
società politica attraverso un duplice patto: quello di associazione e quello di sottomissione. Il patto di R. è
invece solo di unione. Con tale patto ogni individuo cede i propri diritti a tutti gli altri individui e nessuno
viene perciò a trovarsi in condizione di superiorità. In tal senso gli individui si costituiscono in un “io
comune” dove ciascun “io particolare” trova al sicuro i propri diritti e la propria libertà.

Volontà generale
Dall’unione nell’ “io comune” di tutti gli individui si origina la “volontà generale” che non è la somma di ogni
singola volontà, ma volontà dell’intera società, unica ed indivisibile, considerata come fosse quella di un
unico individuo. E’ quindi la volontà che tende al bene in sé, non è la volontà della maggioranza, ma della
collettività. Tutti gli uomini devono essere sottomessi a tale volontà poiché ognuno obbedendovi,
obbedisce a se stesso. Nel contratto sociale ogni individuo è parte indivisibile dal tutto e tutti gli uomini
formano un solo corpo ed un solo spirito. R.sottolinea che la legge ha validità assoluta ed incondizionata
proprio perché fatta dalla volontà di tutti. (Kant ha sicuramente ripreso da R. tali concetti, basti pensare al
suo imperativo categorico del dovere morale e fondato sulla libertà).

Sovranità popolare
Per R. il corpo sociale nato dal patto di unione, è il popolo ed è solo questo è il sovrano legittimo del potere
e lo esercita in maniera assoluta ed illimitata. Il popolo riunito in assemblea costituisce lo stato che detiene
tutti i poteri. La volontà generale del popolo è “retta ragione” ed è sempre una volontà buona.

Democrazia totalitaria?
Questo è un quesito che sarà ampiamente dibattuto riguardo alla filosofia di R. Con la dottrina del contratto
di R. si esprime la forma più radicale di democrazia che risulta non essere più una forma liberale non
riconoscendo a nessun individuo diritti inalienabili da parte dello stato. Si parla perciò di democrazia
totalitaria in quanto i poteri ed i diritti sono prerogativa del popolo inteso come totalità e in cui lo stato si
identifica. Ma in realtà R. condannando ogni forma di dispotismo condannava anche il totalitarismo.

L’Emilio
Opera che mostra le idee di R. in campo pedagogico. Egli sosteneva l’ideale di “ un’educazione negativa”
consistente nel lasciare la natura del fanciullo libera di svilupparsi senza alcuna costrizione. Partendo dallo
stesso presupposto che l’uomo è buono per natura o almeno innocente, R.sostiene che l’educazione deve
cercare di non interferire nella spontanea espressione della natura del fanciullo; questo deve perciò essere
lasciato libero dai maestri e dalle scuole e deve piuttosto avere la natura come unica maestra. Nel quarto
capitolo di quest’opera R. esprime il suo pensiero religioso che è una forma di deismo, rifiutando così il
concetto di rivelazione soprannaturale e le istituzioni della chiesa. Sempre riguardo alla religione, ma
tornando al contratto sociale, R. ammette che ci sia una professione di fede puramente civile cui comunque
spetta al sovrano(al popolo) dettarne i canoni, ma non intesi come dogmi piuttosto come sentimenti di
sociabilità senza i quali non è possibile essere un buon cittadino ed un fedele suddito. A tal riguardo R.
sostiene l’obbligatorietà di questo credo civile.

Kant (1724-1804)
Nasce a Konigsberg nella prussia orientale. Studia i classici greci e latini e riceve una rigorosa educazione
religiosa di tipo pietista ( religione del cuore e dell’interiorità, contesta il luteranesimo). All’università studia
filosofia, matematica e teologia ed principi di fisica newtoniana. La sua produzione viene suddivisa in 3
periodi:

1-arriva fino al 1760 e prevale l’interesse per le scienze naturali. In una sua opera descrive la formazione del
sistema solare a partire da una nebulosa primitiva. Questa teoria verrà ulteriormente sviluppata da Laplace
e prenderà appunto il nome di “teoria di Kant-Laplace”.

2-arriva fino al 1781. Sono gli anni in cui si avverte la forte influenza dell’empirismo inglese. In particolare
Kant si rifà a Locke e Hume ed alla loro critica alla metafisica scolastica. A tal riguardo è importante
sottolineare che Kant definisce Hume come colui che lo ha svegliato dal sonno dogmatico modificando così
l’indirizzo delle sue ricerche. Da ricordare è anche la “Dissertazione” del 1770 dove si delinea il dualismo
kantiano tra sensibilità ed intelletto. Per Kant la conoscenza ha due radici:

-sensibilità: è la sfera della ricettività. L’uomo apprende ciò che proviene dall’esperienza extra-soggettiva
attraverso le percezioni empiriche. Tuttavia allo stadio della sensibilità tali percezioni sono ancora prive di
forma e per conoscerle devono essere sottoposte alle categorie dell’intelletto.

-intelletto: sono le 12 categorie, gli “a priori” della conoscenza. Sono le forme logiche che l’uomo possiede
indipendentemente dall’esperienza.

3-si apre con la pubblicazione nel 1781 della “ critica della ragion pura”. E’ il periodo che poi porterà a
compimento il sistema di filosofia trascendentale in tutte le sue parti: conoscenza, morale, estetica e
religione.

Definizione di filosofia trascendentale


Per K. trascendentale è ogni conoscenza che non si occupa degli oggetti, bensì del nostro modo di
conoscerli. Tale conoscenza deve essere possibile a priori. I principi a priori sono le categorie dell’intelletto
che permettono di conoscere le cose dell’esperienza ed inversamente parlando le cose empiriche possono
essere conosciute solo tramite i principi a priori dell’intelletto che sono appunto le categorie. Con la
filosofia trascendentale K. vuole determinare:

-origine o fonti della conoscenza=sensibilità ed intelletto

-l’estensione della conoscenza=ciò che è conoscibile e ciò che invece va oltre, i limiti della conoscenza
quindi.
-condizioni di possibilità della conoscenza=dottrina dello schematismo trascendentale

Non dobbiamo dimenticare che la filosofia trascendentale è anche filosofia dei limiti, limiti oltre i quali la
conoscenza umana non può arrivare.

Le 4 domande
Obiettivo principale di K. è quello di rispondere a 4 fondamentali domande:

1-che cosa posso conoscere? (was kann ich wissen)=si tratta del problema gnoseologico al quale K. vuole
rispondere con la “critica della ragion pura”.

2-che cosa debbo fare? (was soll ich tun)= è il problema morale che K. tratta principalmente nella “critica
della ragion pratica”.

3-che cosa posso sperare? (was darf ich offen) =è il problema religioso che K. affronta nella “critica del
giudizio” e nella “Religione entro i limiti della semplice ragione”.

4-chi è l’uomo? (was ist der Mensch)= è il problema antropologico ed è questa in effetti la domanda che da
sola può racchiudere tutte le altre ed investe tutti i campi della filosofia.

Il criticismo (dal greco:io giudico) di K. può essere definito come trascendentale ed è appunto l’esame della
ragione sulle capacità ed i limiti di essa nell’attività conoscitiva, nell’agire morale, nell’attività basata sul
sentimento di armonia e finalità della natura.

Critica della ragion pura


Qui k. intende dimostrare come non sia possibile conoscere la metafisica, l’ambito del soprasensibile che
egli chiama NOUMENICO, ossia ciò che pensabile ma non conoscibile in termini oggettivi. L’unica
conoscenza dell’uomo è quindi quella FENOUMENICA cioè dei fenomeni. Tutto ciò che va oltre l’esperienza
(Dio,immortalità dell’anima:sono noumeni) può essere oggetto di fede religiosa ma non conosciuto
scientificamente. Ed ancora K. vuole qui giudicare le possibilità che la ragione pura ha di conoscere la
metafisica servendosi solo delle categorie e quindi dei concetti puri dell’intelletto.

K. parla di 3 gradi della conoscenza:

1-estetica (=percezione tramite i sensi) trascendentale= è la sensibilità, l’intuizione sensibile accompagnata


dall’aggettivo trascendentale è resa possibile dalle forme a priori (universali) di tale conoscenza sensibile
che sono lo spazio ed il tempo. Per K. lo spazio ed il tempo non sono qualcosa di oggettivo ma sono due
forme a priori della soggettività (=indipendenti dall’esperienza)e sono le condizioni necessarie di ogni
conoscenza empirica. Le intuizioni sensibili sono la condizione fondamentale dell’esperienza ma per avere
una conoscenza vera e propria degli oggetti tali intuizioni devono essere schematizzate dalle categorie
dell’intelletto.

2-analitica trascendentale (intelletto)= il termine analitica indica che viene compiuta un’analisi delle forme
pure dell’intelletto, vengono quindi analizzate le categorie (=principi trascendentali della conoscenza) che
per K. sono appunto i concetti puri dell’intelletto. Le categorie sono le forme logiche a priori,universali e
necessarie, attraverso le quali l’uomo opera la sintesi conoscitiva dei tanti dati sensibili. In poche parole le
categorie permettono il concreto atto conoscitivo. K.evidenzia 12 categorie ricavandole dalla tavolo dei
giudizi della logica aristotelica dove però sono solo 10 e sono i predicati generali dell’essere.Tuttavia per K.
le categorie non sono altro che forme logiche pura (=riguardano il pensiero) e costituiscono il contenuto
universale dell’intelletto. Sono quindi concetti a priori contenuti nell’intelletto e fondamento
trascendentale (universale e necessario) della possibilità conoscitiva dell’uomo.

3-dialettica trascendentale (=ragione)= per K. il termine “dialettica” assume un significato negativo. Questa
indica l’attività della ragione che oltrepassando i limiti dell’esperienza pretende di conoscere la metafisica
(=dio,anima ecc.). Per K. invece la ragione umana ha dei limiti oltre i quali non può spingersi e quindi non
potrà mai conoscere la metafisica le cui idee sono prive di contenuto empirico e non possono conoscersi
scientificamente.

(Per Hegel quella di K. è una filosofia incerta, di difficile interpretazione, che non coglie la realtà nella sua
interezza e non comprende lo sviluppo storico-dialettico dello spirito umano).

Dottrina dello schematismo trascendentale


Dottrina che tenta di spiegare come avviene l’atto conoscitivo. In K. abbiamo un radicale dualismo tra
sensibilità ed intelletto ( sono distinti,separati). E’ con l’introduzione dello schema che K. tenta di sanare
questo dualismo. Lo schema deve essere omogeneo sia con l’intelletto che con la sfera sensibile. E’ un
prodotto dell’immaginazione che fa applicare alle categorie dell’intelletto i fenomeni sensibili. Lo
schematismo trascendentale quindi, altro non è se non una necessaria mediazione tra i due ambiti distinti
della conoscenza, cioè l’ambito a priori (categoria) e quello a posteriori (sensibilità) permettendo così il il
giudizio conoscitivo. Tuttavia, K. sottolinea come lo schematismo sia una sorta di arte nascosta nel
profondo dell’animo umano e quindi non potremo mai scoprirlo veramente.

L’ “io penso” (ich denke)


Nella critica della ragion pura K. definisce “l’io penso” come il fondamento della filosofia trascendentale.
Questo è appercezione pura, ossia l’attività con la quale il soggetto ha coscienza della propria attività
conoscitiva. E’ la rivoluzione copernicana operata da K. dove il soggetto conoscente non ruota più intorno
all’oggetto, ma lo illumina attraverso la sua attività a priori. Vedremo poi come Fichte trasformerà questo
“io penso” in “io puro” quindi quell’ “io universale” che è condizione di possibilità dell’essere stesso.

Critica della ragion pratica (1788)


Insieme all’opera “ Fondazione della metafisica dei costumi” (1785) questa è l’opera in cui K. delinea il suo
pensiero etico e risponde alla domanda “che cosa debbo fare”.

Metafisica dei costumi: studio della parte a priori dell’azione morale, cioè della sua forma pura
(=imperativo categorico) ed universale (= legge morale).

Condizione prima ed unica della moralità è la legge morale che è universale( uguale per tutti) e razionale
(riconosciuta dalla ragione).

Imperativo categorico

Forma pura della legge morale, forma a priori della ragione e quindi non proviene dall’esperienza. E’ innato
e costitutivo della ragione stessa. E’ un comando assoluto ed incondizionato. Per K. l’azione umana ha un
valore morale (=è buona) solo se si rifà alla forma pura dell’imperativo categorico che è universale e
necessario. All’imperativo categorico si contrappone l’imperativo ipotetico che è un comando condizionato
poiché rivolto ad un fine particolare. A tal riguardo K. rifiuta ogni dottrina che si fondi sull’imperativo
ipotetico come ad esempio l’edonismo ( etica di Epicuro che ha come scopo il piacere dei sensi) o l’etica
religiosa ed eteronoma per la quale le azioni buone sono fatte solo allo scopo di salvarsi dalla dannazione
eterna. K. rifiuta anche la morale fondata sul sentimento poiché quest’ultimo è qualcosa di soggettivo e non
può garantire l’universalità.

Autonomia dell’etica

L’autonomia è la caratteristica fondamentale dell’etica kantiana. Questa è quindi indipendente dalla


religione e non si fonda sui suoi comandamenti; l’unico fondamento che ha è in se stessa. Tuttavia
possiamo notare come tale concetto provenga da un passo del Vangelo di Luca dove Gesù dice “perché non
giudicate da voi stessi ciò che è giusto?”. L’etica cristiana pone il dovere etico come un comando divino che
incita a fare del bene per ricevere premi eterni, in tal senso l’etica kantiana intende purificare l’etica
cristiana.

Formalismo etico

La morale di K. è formale poiché si basa sull’imperativo categorico e non si cura né del contenuto né del
risultato dell’azione che risulta morale solo perché si adegua alla legge del “dovere”. “Dovere” che esige
sottomissione ma che non suscita ripugnanza o spavento e che propone un’unica legge che trova da se
stessa accesso all’animo. In tal senso K. ci propone una specie di “culto del dovere” che comunque
presuppone sempre la libertà e la libera scelta. In definitiva quindi l’imperativo categorico altro non fa che
comandare di fare il proprio dovere e di farlo unicamente per dovere e non per un premio.A tal riguardo K.
ci propone l’esempio della bugia che anche quando è detta a fin di bene, non è mai comunque eticamente
giustificabile. Da criticare a K. (lo fa Scheler) è che non considera i risultati dell’azione, ma guarda solo alla
forma dell’azione.

Le 3 formule dell’imperativo categorico

1-ogni azione deve essere fatta secondo un principio etico che abbia validità universale

2-si deve agire in modo da trattare l’umanità, sia la propria persona che la persona altrui, sempre come fine
e mai unicamente come mezzo. Qui K.introduce il concetto di persona umana a cui si deve assoluto rispetto
in quanto portatrice di una dignità assoluta.

3-questa formula è una chiarificazione della prima, cioè agisci in modo che il tuo agire sia legge universale.

Regno dei fini

Per “ regno” K. intende l’unione sistematica di diversi esseri razionali mediante leggi comuni. E’ l’insieme di
tutte le persone prese in considerazione come fini e mai come mezzi e da questa legge governato. In
questo regno ognuno è sia suddito che legislatore. La persona è caratterizzata dalla sua costitutiva libertà.
E’ un mondo intellegibile e soprasensibile ( non si identifica con la natura fisica).

I postulati della ragion pratica

La parola “postulato” deriva dal latino “postulo” cioè “chiedo”. Il postulato è un principio non dimostrabile
ma richiesto e perciò viene ammesso perché spiega fatti che non possono essere contestati. I postulati
della ragion pratica sono quindi principi che permettono la moralità e che pur essendo indimostrabili
teoricamente sono oggetto di fede o meglio oggetto di fede morale. [ La moralità postula la libertà di
volontà poiché il dovere può essere seguito solo da chi è libero. Per K. la libertà è un fatto della ragione che
deve essere necessariamente presupposto. La libertà è una legge che ha già in sé la sua dimostrabilità ed è
legge della ragion pratica. La libertà è ratio essendi (ragione di essere) della legge morale, dove quest’ultima
è ratio conoscendi (il motivo per cui la conosciamo). Se non ci fosse libertà non troveremo in noi la legge
morale].

I postulati:

1.la libertà della volontà umana: se l’uomo non fosse libero non sarebbe un essere morale.

2.l’esistenza di dio: dio è il garante che ad una vita virtuosa corrisponda la felicità eterna. Per K. il sommo
bene è unione di virtù e felicità, ma egli si rende anche conto che in questa vita tale unione non si realizza
mai. A tal riguardo dobbiamo quindi postulare un’altra vita dove un giudice onnipotente (dio) ed eterno sia
in grado di premiare la virtù e punire il vizio.

3-l’immortalità dell’anima: condizione per poter avere un premio eterno da dio. Se l’anima non fosse
immortale non potrebbe ottenere la grazia eterna. In tal senso la moralità esige che sia pensabile una vita
senza termine.

Il primato della ragion pratica

Nella critica della ragion pura K. considera la metafisica come inconoscibile e le sue idee non sono
empiricamente conoscibili in quanto sfuggono all’esperienza. Nella critica della ragion pratica K. invece
pone come postulati ed esigenze della moralità, quelle stesse idee della metafisica che aveva confermato
come inaccessibili alla ragione teoretica. Ecco quindi il primato della ragion pratica che consente all’uomo
di partecipare di un mondo che gli è precluso sotto l’aspetto conoscitivo. E’ proprio nella ragion pratica che i
problemi della metafisica divengono realtà necessarie e non permangono come semplici idee.

Critica della ragion pura: K. espone i limiti conoscitivi oltre i quali la ragione non può spingersi e determina
le condizioni conoscitive del mondo fenomenico

Critica della ragion pratica: K. determina l’essenza noumenica dell’uomo costituita dalla legge morale.

Lampante è l’affermazione di K. nella quale afferma: “2 cose riempiono l’animo di ammirazione crescente
più spesso e più a lungo il pensiero si ferma a contemplarle: il cielo stellato (mondo delle leggi fisiche) e la
legge morale (libertà).

Critica del giudizio


Risponde alla domanda “ che cosa posso sperare”. Qui K. vuole creare un’unità tra i risultati della critica
della ragion pura e quelli della critica della ragion pratica e quindi sanare il dualismo tra il mondo della
natura e quello morale dell’uomo. K. distingue:

1.giudizio determinante (sintetico a priori): è quello proprio dell’attività conoscitiva di cui K. parla nella
critica della ragion pura. E’ il giudizio che si mette in atto per conoscere gli oggetti attraverso le categorie.

2.giudizio riflettente: è un giudizio con il quale l’uomo riflette sull’oggetto già conosciuto tramite il giudizio
determinante. E’ un giudizio “ secondo” che fa da ponte tra mondo naturale e mondo della libertà (legge
morale), diciamo che unisce l’esteriore con l’interiore. Tale giudizio si esprime in 2 forme:
- giudizio estetico (o di gusto)= giudizio di ciò che è bello (che K. considera come la pace delle forme e nasce
dal sentimento di proporzione ed armonia delle forme) e ciò che è sublime ( che K. considera come
disordine e sproporzione nei confronti della natura; nasce da un sentimento di sconvolgimento)

-giudizio teleologico= si tratta di comprendere la natura in termini finalistici. E’quando si prendono in


considerazione i fenomeni della natura come se (als ob) fossero orientati verso un fine, secondo una
direzione unitaria. Tale giudizio è una sorta di proiezione dei nostri sentimenti sulla natura. In tal senso nel
giudizio teleologico la natura appare come opera di un’intelligenza divina e creatrice, perciò come un’opera
di dio dove l’uomo diviene il fine stesso della natura. In tal senso la natura avrebbe come fine la
costituzione del regno della libertà e quindi il regno dell’uomo che per K. è la massima espressione della sua
filosofia.

Fichte (1762-1814)
Studiò teologia e diritto e fu fortemente influenzato da Kant di cui fu un accanito sostenitore; tuttavia se ne
discostò per formulare dei concetti propri. Nel 1794 scrive “ Sul concetto di dottrina della scienza” dove
afferma che la filosofia è una scienza ed in quanto tale deve costituirsi come rigorosa e deve assumere una
solida forma sistematica a partire da un principio fondamentale. La filosofia deve essere un sapere che
riflette su se stesso. Con la ricerca del principio fondamentale sul quale deve reggersi la filosofia, F. vuole
portare a compimento la filosofia trascendentale di Kant che egli sosteneva essere incompleta soprattutto
per la separazione tra ragione ed intelletto , natura e spirito, sensibile e soprasensibile. Quello che F. vuole
fare è tornare all’origine, cercare il principio primo della filosofia per unire ciò che Kant ha diviso. F.
riconosce a Kant il merito di aver proposto una filosofia trascendentale che pone l’essere nella sua
necessaria correlazione con la coscienza. Nel pensiero trascendentale di F. infatti, l’essere e la coscienza
sono indisgiungibili ed ogni affermazione sull’essere deve trovare nella coscienza trascendentale la sua
condizione di possibilità. Possiamo dire che l’essere e la coscienza sono come le due metà della stessa mela,
infatti il semplice essere è sempre e soltanto una metà di cui l’altra è il pensiero di esso. F. trova nell’ “io” il
principio primo che è trascendentale, quindi universale e fondamento di ogni singolo uomo . L’essenza di
questo “io” che F. chiamerà “io puro”, è di essere pura volontà e tale libera volontà costituisce il
fondamento di ogni singolo atto conoscitivo dell’individuo. La filosofia trascendentale di F. si basa quindi
sulla facoltà del libero volere ed il suo pensiero può essere definito come una “ scienza della libertà”. A tal
proposito F. dirà che il suo sistema è dall’inizio alla fine un’analisi del concetto di libertà. In tal senso il
concetto di libertà è fondamento di tutta la nostra conoscenza teoretica.

Nelle lezioni “Dottrina della scienza novo metodo” (lezioni tenute a Jena nel periodo 1796-1798) F. fa
un’importante distinzione fra :

-volere empirico: è ciò che determina ogni singolo atto conoscitivo, ma per sussistere ha bisogno di un
volere puro.

-volere puro: è la condizione suprema di possibilità di ogni atto volitivo e conoscitivo. E’ fondamento della
coscienza, il punto di partenza dal quale ogni altra cosa può essere dedotta. F. lo definisce come “assoluta
autonomia e libertà”.( Nei sui scritti tale “assoluta autonomia” sarà espressa con differenti terminologie ma
il concetto rimarrà pressoché invariato).

F. paragona la coscienza umana ad una linea che si estende nel tempo dove il volere puro è l’essenza stessa
della coscienza, la sua origine non temporale. Il volere puro è la facoltà che consente i singoli atti
conoscitivi: questi danno luogo alla rappresentazione conoscitiva ed originano il tempo quale vissuto
interiore della coscienza.

L’assoluto
Siamo nel periodo in cui F. è a Berlino perché cacciato dall’università di Jena essendo stato accusato di
ateismo. Qui visse dando lezioni private.

L’assoluto altro non è che l’ “io puro”, la genesi del reale, origine stessa della vita della coscienza umana,
cioè di ogni singolo io empirico e finito. Nella “Dottrina della scienza” del 1804 , l’assoluto viene qualificato
come “NOI” ossia fondamento intelligibile (=che può essere conosciuto solo attraverso l’intelletto) di tutti
gli esseri liberi e razionali. L’assoluto si schematizza e si manifesta in ogni persona ed è quindi ciò che
accomuna tutti gli esseri razionali. F. afferma che noi viviamo proprio immediatamente nello stesso atto di
vita e siamo quindi lo stesso essere, unico ed indiviso. Tutti gli uomini sono quindi accumunati
dall’appartenenza allo stesso regno della ragione e della volontà. E’ importante sottolineare che F. non
abbia inteso elaborare una filosofia dell’assoluto, ma una filosofia della manifestazione dell’assoluto nella
coscienza umana, mantenendo la sua prospettiva ancorata al punto di vista del finito e non cercando mai di
determinare interamente la natura stessa dell’assoluto. L’assoluto in sé resta per F. indeterminabile ed
inconoscibile e la filosofia può dedurne la presenza solo a partire dalla sua manifestazione nella coscienza.
L’assoluto è quindi Dio. Nella visione trascendentale, la coscienza umana diviene consapevole di essere
manifestazione dell’assoluto e quindi immagine di Dio. Tale consapevolezza fonda una “morale superiore”,
cioè un agire morale che partecipa alla vita divina e all’assoluta libertà. Dobbiamo inoltre tenere presente
come F. dopo essere stato accusato di ateismo, affermi cha tra la sua “Dottrina della scienza” ed il “Prologo
di S. Giovanni (=che F. ritiene come il più puro dei documenti del cristianesimo), vi sia una concordia non
discordante. Il rapporto tra Dio e logos descritto nel prologo può essere come un approfondimento del
rapporto tra l’assoluto e la coscienza umana che si scopre manifestazione dell’assoluto stesso. Infine
dobbiamo ancora sottolineare che per F. la filosofia non riassorbe mai in sé la fede.

Schelling (1775-1854)
A 15 anni viene ammesso al seminario di Tubingen dove divide la stanza con Hegel e Holderlin. Il suo
pensiero si sviluppa a partire da Kant e Fichte. L’intento principale di S. è quello di unire la filosofia dello
spirito di Kant e Fichte con la filosofia della natura elaborata da Spinoza. La sintesi di S. vuole essere
appunto tra il soggettivismo assoluto fichtiano e l’oggetivismo assoluto di Spinoza (=la realtà esiste
indipendentemente dalla conoscenza).

La natura di Schelling
Secondo S. un errore fatto da Fichte è quello di aver considerato la natura come un non-io non valutando
quindi la sua identità. Infatti per S. la natura deve essere considerata di per se stessa, secondo i suoi propri
principi autonomi.Per S. lo spirito è natura invisibile che costituisce l’anima del mondo e la natura è spirito
visibile. A tal proposito egli cerca di superare la visione meccanicistica della natura per cui essa non è
“morta materia” , ma viva, animata da forza e prodotta da un’intelligenza inconscia che operando
all’interno di essa si sviluppa teleologicamente. La natura è quindi prodotto di uno spirito che opera al di
fuori del nostro spirito, è inconscia.
Idealismo estetico oggettivo (l’arte per S.)
E’ Hegel che definisce così il pensiero di S. Oggettivo per le sue considerazioni ed estetico per il valore che S.
conferisce all’arte. S. legge la “critica del giudizio” di Kant in cui viene definito il bello ed il sublime. Nella
sua opera “Sistema dell’idealismo trascendentale” S. concepisce l’arte e l’intuizione estetica (=principio che
determina l’arte) come unico organo con cui l’uomo può penetrare l’assoluto ed è solo attraverso l’arte che
l’uomo può cogliere l’unità di spirito e natura, soggetto ed oggetto che la coscienza riflessiva ha
necessariamente diviso. L’arte porta alla conoscenza del “sommo vero” cioè vera conoscenza e vera
filosofia.

Filosofia dell’identità
Se in un primo momento S. cerca di pervenire ad un’identità di natura e spirito, prima rintracciando nel
mondo naturale la struttura dello spirito(=filosofia della natura) e poi partendo dal soggetto per arrivare
all’oggetto (=sistema dell’idealismo trascendentale), adesso egli parte invece dall’unità assoluta , quindi il
fondamento dell’intera realtà è nell’assoluto inteso come UNI-TOTALITA’ di spirito e natura, soggetto ed
oggetto, conscio ed inconscio. In definitiva per S. l’assoluto è una coincidenza degli opposti, un’identità
originaria di due realtà opposte e la filosofia altro non è se non un sapere dell’assoluto fondato
sull’intuizione di esso. In tal senso possiamo definire la filosofia dell’identità come un panteismo dove
appunto il principio è in tutte le cose. La ragione è identità assoluta di spirito e natura un UNO-TUTTO che è
radice originaria di ogni realtà.

Dall’infinito al finito (il concetto di “caduta”)


Ora il problema che si pone S. è spiegare come e perché dall’identità assoluta ed infinita possa nascere il
finito e quindi i singoli e differenti enti del mondo. S. risponde rifacendosi alle concezioni dei mistici
tedeschi (=mistica renana) e nel suo scritto “Filosofia e religione” egli introduce il concetto di caduta.
Secondo tale concetto le cose distaccandosi dall’infinito (=distacco da Dio) cadono e divengono finite.
L’origine del mondo finito dipende quindi da “un’originaria caduta” dall’assoluto mediante un salto.
Tuttavia S. non riesce a spiegare bene il perché di tale caduta.

La concezione di Dio
In opposizione al panteismo spinoziano, adesso S. concepisce dio come vita e come persona.
Antropomorfizzando dio ne consegue che come l’uomo egli è soggetto al divenire e come nell’uomo è
presente il male anche in dio troviamo il male ed il negativo. Da notare come per S. il male non sia una
mancanza di perfezione o una privazione di essere, piuttosto affonda le sue radici nel fondamento stesso di
dio. Tale concezione parte dalla considerazione che S. fa del testo dell’Esodo in cui Jawè (dio) dice di se
stesso “io sarò colui che sarò”. Ne deriva che gli stessi testi biblici contengono una concezione per la quale
dio è un essere dinamico che si sviluppa nel tempo. A questo punto S. distaccandosi dalla filosofia
dell’identità dove il finito era solo mera apparenza di fronte alla perfezione ed alla necessità dell’assoluto,
adesso restituisce al finito e perciò al mondo dell’uomo, una realtà propria dove anche il male e la libertà
individuale vengono considerati come reali.

Filosofia positiva
Restando sempre in tema religioso, S. estende il concetto di rivelazione a tutte la religioni storiche
(comprese quelle politeistiche) e l’arco storico delle religioni è inteso come una sorta di “rivelazione
progressiva di dio”. Nello sviluppo della storia umana, dio si è quindi rivelato progressivamente per arrivare
fino alla religione cristiana considerata da S. come la forma più compiuta di rivelazione. Quest’ultima fase
del suo pensiero è definita da S. stesso come “filosofia positiva” o “empirismo filosofico”. Con ciò S. intende
porre il suo pensiero su ciò che è “posto”, sull’esperienza e le realtà storiche concrete e non più sul
semplice a priori speculativo. A tale filosofia positiva S. contrappone la filosofia di Hegel che egli definisce
come “negativa”. Basandosi solo sulla ragione e sulle strutture dialettiche dimenticando quindi la realtà
storica e concreta. [Hegel con un’aspra critica, definirà la filosofia dell’identità di S. come “una notte in cui
tutte le vacche sono nere” poiché non emerge il dispiegarsi (attraverso la dialettica) dello spirito nelle
natura e viceversa]. In questo ultimo periodo della filosofia di S. il suo pensiero è un pensiero esistenziale e
religioso dove il dio di cui tale filosofia si occupa è un dio-persona, il dio cristiano che crea il mondo e poi lo
redime tramite l’incarnazione del suo stesso figlio. Inoltre nella filosofia positiva S. concepisce la totalità del
tempo divisa in 3 epoche che si rifanno al pensiero neoplatonico:

1.l’UNO IN SE’= dio come assoluta identità e spirito personale

2.l’UNO IN SE’ NEL MONDO= il mondo è manifestazione di dio nella natura e nella storia (è l’età presente)

3.IL RITORNO IN SE’ DELL’UNO IN SE’= è il ritorno necessario a dio di tutte le cose,la fine del tempo storico
(= età futura).

Jacobi (1743-1819)
Insieme ad Hamann sono figure che si oppongono al razionalismo per affermare le esigenze del cuore, della
sensibilità e quindi la fede (GLAUBE) in dio che sia trascendentale e personale. Da tenere presente è che J.
fu il primo ad introdurre il termine nichilismo nell’ambito della filosofia. Con questo termine J. Intenderà
quella filosofia che nega la realtà oggettiva dell’essere e delle cose.

Il pensiero di J.è importante perché:

-dette nuovo slancio all’interesse per il pensiero di Spinoza nella Germania di fine ‘700

-propose una teoria della fede (glaube) intesa in duplice senso:

1.conoscitivo= la fede conoscitiva è certezza immediata nell’esistenza delle cose extra-soggettive. Si tratta
di quel realismo conoscitivo affermato dalla scuola scozzese del “senso comune” il quale è istinto originario
con cui la mente umana riconosce in maniera intuitiva ed immediata i principi fondamentali della
conoscenza (=realtà esterna,libertà dell’agire e l’idea di dio).

2.religioso= è la fede religiosa teistica che è intima esigenza dell’uomo. E’inoltre intesa come “salto
mortale” nel totalmente altro.

“Il salto mortale”


Per J. la fede è raggiungibile solo attraverso un “salto mortale”, possiamo dire sovradimensionale, che va al
di là dei limiti del razionale. L’uomo disfacendosi della ragione e dell’intelletto compie un salto mortale per
affermare le esigenze l’esigenze del sentimento. J. dice che non è un salto a testa in giù nell’abisso, ma
piuttosto un balzare via da un terreno piano oltre (uber) la rupe e l’abisso per ritornare al di là di essi,
nuovamente in piedi, sani e salvi. Non si tratta quindi di precipitare nell’irrazionalità, ma piuttosto compiere
un salto partendo dal terreno della filosofia speculativa, che consenta di superare gli esiti a cui essa
necessariamente porta, al fine di recuperare un razionalismo “sano”.

Il confronto con altri filosofi


Interessante è notare come J. si confronterà continuamente con tutti i più grandi filosofi del suo tempo. A
partire dalla sua duplice concezione della fede, J. si confronta con Kant e Fichte il cui estremo
soggettivismo viene interpretato come una sorta di “spinozismo rovesciato” poiché se Spinoza riduceva
tutto al Deus sive natura, Kant con l’ ich denke e Fichte con l’io puro si rifacevano in tutto al soggetto. Per J.
l’essere (=l’oggetto) è indipendente dalla soggettività,la mente conosce, ma non costituisce. Perciò J. si
oppone radicalmente al pensiero moderno per tornare alle cose così come sono in se stesse. Ed ancora egli
vede in Schelling ed Hegel forme di spinozismo e radicale panteismo che negano la fede del dio biblico e
della sua trascendenza.

Le opere
Oltre a due romanzi epistolari dai quali traspare la sua sensibilità pre-romantica, J. scrive altre importanti
opere:

-“Lettere sulla dottrina di Spinoza” grazie alle quali il pensiero spinoziano torna in auge in Germania. Per J.
essere uno spinoziano vuol dire essere un ateo (Spinoza identifica dio con la natura) ed un determinista in
quanto riduce tutta la realtà al meccanicismo della natura. Inoltre per J.la libertà dell’uomo non è
deducibile all’interno di un sistema meccanicistico e razionalistico ma può essere solo oggetto di fede, di
un’intima attestazione.

-“David Hume e la fede” in cui J. vede un’anticipazione della sua fede conoscitiva.

-“Le cose divine e la loro rivelazione” che è uno scritto diretto a Schelling e nel quale J. usa per la prima
volta il termine “nichilismo”.

Concetto di Glaube
Alla ragione dialettica e speculativa degli idealisti, J. contrappone una fede che è ragione intuitiva in grado
di percepire l’essere immediato delle cose, l’esperienza diretta di se stessi, del mondo esteriore e della
propria libertà. Il suo pensiero si basa sulla concezione di una fede razionale naturale, un sentimento che
mai parte dall’intelletto, ma dal cuore. J. dice: “come io sono convinto dell’oggetività dei miei sentimenti
del bello, del buono e di una libertà che domini la natura, allo stesso modo sono convinto dell’esistenza di
dio”. Per J. l’atteggiamento giusto da tenere è quello di una “dotta ignoranza” con la quale l’uomo
riconosce i propri limiti conoscitivi.La scienza del “non sapere” rende l’uomo consapevole che ogni suo
sapere è imperfetto e tale deve rimane in quanto è un non sapere che sa. Lontano dall’opera imperfetta del
sapere umano ci porta solo la fede nella rivelazione. A tal riguardo Hegel criticherà il pensiero di J.
articolandolo come “una poltiglia del cuore”. Senza nessuna mediazione dialettica.

Idealismo come nichilismo: la critica di J. nei confronti di Fichte è molto forte, infatti lo accusa di ateismo ed
interpreta il suo idealismo trascendentale come una forma di compiuto nichilismo o di uno spinozismo
rovesciato che alla fine nega la trascendenza di dio e la libertà stessa dell’uomo.
Hegel (1770-1831)
E’ importante sottolineare che gran parte della storia e della cultura occidentale successive ad Hegel non
può essere ben compresa se prima non ci si sofferma sul suo pensiero. Da con confronto diretto con H.
nascono infatti il marxismo, l’esistenzialismo ed anche diverse correnti filosofiche post-moderne ed egli
ricapitola allo stesso tempo in se tutte le culture e le filosofie a lui precedenti. Tutto in H. , dalla natura
all’uomo e alla storia, rientra in un progetto voluto da una RAGIONE ASSOLUTA, uno spirito che opera
indipendentemente ed al di sopra dei singoli individui razionali. H. è il filosofo che interpreta tutta la realtà
in termini razionali : “tutto ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale”, perciò realtà e razionalità
si coappartengono. Inoltre sono molti gli interpreti che vedono nel sistema filosofico hegeliano una
compiuta secolarizzazione (=laicizzazione) del cristianesimo.

H. nasce a Stoccarda nel 1770 dove compie i primi studi e dove ancora ragazzo, si interessa al mondo greco
classico. All’università a Tubingen divide la stanza con Shelling ed Holderlin con i quali seguì le vicende della
rivoluzione francese ed insieme piantarono un olivo per celebrare la libertà. Nel 1806 terminò la sua opera
“Fenomenologia dello spirito” che contiene i principali elementi del sistema hegeliano (fenomenologia= dal
greco “ manifestarsi “ e perciò l’opera parla di come si manifesta lo spirito). Nell’ultimo periodo della sua
vita che si svolge a Berlino pubblica “Lineamenti di filosofia del diritto”. Tuttavia postume sono state
pubblicate le sue numerose lezioni tenute all’università di Berlino.

I capisaldi speculativi
1.per H. la realtà in quanto tale è spirito (GEIST) infinito

2.compito della filosofia è studiare la vita stessa dello spirito che nella sua intima essenza è dialettica

3.l’elemento centrale della dialettica (=come si manifesta lo spirito nel mondo) è l’ AUFHEBUNG, cioè il
“superare conservando”.

Da notare è che H. criticherà Fichte dicendo che il suo “io” non giunge mai a compimento. Opponendo il
“non-io” all’ “io” Fichte pone un limite che non viene mai interamente superato e quindi H. lo chiama
“cattivo infinito” rimanendo appunto un sistema irrisolto che non trova mai una sintesi. La dottrina della
scienza di Fiche non riesce mai a superare la scissione tra io e non-io (tra soggetto ed oggetto) ed è quindi
bisognoso di un completamento che inizialmente H. scorge in Schelling. Infatti all’inizio H. sostiene il
pensiero di Schelling e della sua filosofia dell’identità. Tuttavia con la “Fenomenologia dello spirito” H.
critica ampiamente Shelling definendola come “una notte in cui tutte le vacche sono nere”. H. intende
quindi portare ad una sintesi i risultati cui ero giunti Fichte e Shelling. Partendo da una TESI che è
l’idealismo etico soggettivo di Fichte, ponendo in ANTITESI Schelling con il suo idealismo estetico
soggettivo, H. pone la SINTESI con il suo idealismo assoluto, o panlogismo dove soggetto ed oggetto, natura
e spirito sono in ogni cosa. Per H. in Fichte e Schelling manca una concezione dello Spirito e della realtà
come dialettica (=consiste nell’interazione tra due principi contrapposti ed è usata come strumento di
indagine della verità) cioè il movimento dinamico e circolare dello spirito, il suo divenire. Tale movimento
conta 3 momenti essenziali: TESI,ANTITESI e SINTESI che costituiscono il momento triadico della dialettica.
Per H. tuttavia la realtà è costituita dall’ Assoluto che alla fine del processo dialettico comprende se stesso
come Spirito. I 3 momenti dello sviluppo dell’ assoluto sono:
1.TESI: l’IDEA= puro logos, pura ragione, l’Assoluto in sé. E’ il momento di dio prima della creazione, è la
Ragione assoluta prima del suo dispiegarsi

2.ANTITESI:la NATURA=l’idea fuori di sé, l’Assoluto che si oggettivizza

3.SINTESI: lo SPIRITO= l’dea che ritorna in sé e quindi l’Assoluto che comprende se stesso come Spirito e
processo dialettico

In tal senso la filosofia è “scienza dell’ assoluto” e del suo manifestarsi nel reale. Le discipline che studiano
questi 3 aspetti della dialettica sono:la logica, la filosofia della natura e la filosofia dello spirito. E’ facile
notare come in questi 3 momenti della dialettica hegeliana sia possibile scorgere forti affinità con la
dialettica neoplatonica e quella della teologia cristiana:

IDEA(=Hegel)=l’UNO(neoplatonismo)=PADRE(trinità della teologia cristiana)

NATURA(=Hegel)=il REALE come emanazione dell’UNO(neoplatonismo)=FIGLIO(trinità teologica cristiana)

SPIRITO(=Hegel)=EPISTROPHE’:il ritorno delle cose all’UNO(neoplat.)=SPIRITO SANTO(trint. Teol. Crist.)

Per H. così come per il neoplatonismo e la teologia cristiana, il movimento dialettico e circolare è vita stessa
dello Spirito. Ecco che quindi la dialettica è per H. lo strumento per capire il reale e tutto ciò che ci circonda.

AUFHEBUNG: concetto essenziale per comprendere la dialettica hegeliana. Letteralmente significa


“superare conservando”. Infatti la tesi e l’antitesi vengono superate nella sintesi, ma non completamente
eliminate.L’aufhebung è l’organo stesso della dialettica hegeliana.

L’importanza degli scritti giovanili


Nel 1907 lo studioso Nohl pubblica per la prima volta una serie di manoscritti hegeliani con il titolo “Scritti
teologici giovanili”; questi H. li scrisse durante il periodo che passò a Berna e Francoforte dove era
precettore. Nohl è spinto ha pubblicare tali scritti dal suo maestro Dilthey che nel 1905 aveva già pubblicato
il volume “Storia della giovinezza di Hegel”. Per DILTHEY in questi scritti il pensiero di H. è molto
interessante, in quanto contiene allo stato embrionale la dialettica e la costruzione del sistema hegeliano;
ma sono anche ricchi di affascinanti temi come la vita, l’amore ed il destino:argomenti che poi non
ritroveremo nell’Hegel adulto. Nel 1951 invece Jean Wahl si occuperà degli scritti teologici giovanili di H.
pubblicando “La coscienza infelice nella filosofia di Hegel”. Wahl afferma che in tali scritti è possibile
scorgere in H. un romantico dove ciò che egli chiama “Ragione” è qui prima di tutto chiamato “Amore”.

Il periodo di Berna(1793-1796)
Il primo scritto è “Religione popolare e cristianesimo”.Per religione popolare H. intende quella della Grecia
classica che H. contrappone al cristianesimo intesa in forma negativa come continuazione dell’ebraismo.La
religione popolare ha 2 caratteri essenziali:

1.è una religione soggettiva, in essa non c’è coercizione o canoni da rispettare come avviene invece nella
religione oggettiva (ebraismo e cristianesimo) i cui contenuti sono appunto oggettivati in un libro (le Sacre
Scritture) e vi è un apparato autoritario di sacerdoti che li divulga.

2.è una religione pubblica e nazionale che lascia liberi di esprimersi. Si manifesta nei costumi di un popolo e
non implica un rapporto esclusivo tra uomo e dio ma piuttosto un rapporto comunitario
Da notare come questo ideale di religione si ritrova appunto nella polis greca. Per H. la Grecia è la patria
della libertà e riprendendo l’ideale dell’amico Holderlin , la vede come una terra del sogno dove si vive in
serenità. I pagani sono stati nostri maestri in tutto ciò che c’è di grande,bello e libero. I greci, essendo
uomini liberi, obbedivano a leggi che loro stessi si erano dati.L’individuo poteva riconoscersi in una
comunità coesa dove ognuno faceva parte di un tutto vivente e la religione contribuiva a tenerli ancora più
uniti. Per questo H. individua nella Grecia classica l’incorruzione storica degli ideali illuministici quali
tolleranza e piena autonomia del singolo.

Cristo in H.

H. scrive una “Vita di Gesù”: parafrasando i vangeli ed escludendo gli eventi che avevano del
soprannaturale, ci mostra Cristo come uomo che è semplicemente maestro di virtù e umanità. H. toglie a
Cristo la sua natura teandrica (=dio che diviene uomo) e gli attribuisce la stessa natura dell’imperativo
categorico di Kant per il quale l’alterità deve essere considerata come persona e mai come mezzo. E’ da
sottolineare come quest’opera si concluda con la crocifissione di gesù non facendo accenno alla
resurrezione che è la dimostrazione della divinità di Cristo. E’ ancora da notare come H. scorga
nell’insegnamento di Cristo il germe della corruzione del cristianesimo, ponendo Pietro e gli altri a capo
della chiesa costituendo così un corpo sacerdotale che nel tempo è divenuto dogmatico ed autoritario.

Il periodo di Francoforte
H. si trasferisce a Francoforte nel 1797. In questo periodo inizia un indirizzo di pensiero per il quale se prima
il cristianesimo era oggetto di un giudizio negativo da parte di H. , adesso viene riconsiderato ed il modello
negativo rimane solo nella religione ebraica. E’ proprio in questo periodo che H.pianta il seme della
dialettica quale motore del processo storico.

La coscienza infelice
Per H. l’ebraismo in tutta la sua storia è contraddistinto da una “coscienza infelice” che si caratterizza nella
netta separatezza da dio, avvertito come totalmente altro ed un signore irraggiungibile. Lo spirito
dell’ebraismo è quindi uno spirito di scissione che si evidenzia con:

1.scissione nei confronti della natura:l’ebreo non riesce ad avere una visione sacrale della natura poiché dio
è trascendenza assoluta e non abita in essa.

2.scissione nei confronti degli altri popoli:gli ebrei non costruirono nessun tipo di relazione con altri popoli
tenendosi essi stessi separati dagli altri.

3.scissione nei confronti di Dio: dio è alterità totale, non è possibile nemmeno farne una rappresentazione
artistica. Il rapporto che intercorre tra dio e popolo di Israele e di tipo signore-servo.

Questa permanente scissione è ciò che determina la coscienza infelice del popolo ebraico il cui destino è
tragico e può suscitare solo orrore. H. fa notare come la moralità kantiana ha lo stesso carattere di scissione
e sottomissine tipico dell’ebraismo e quindi anche la moralità kantiana è coscienza infelice. A questo punto
H. sostiene che è l’amore predicato da Cristo il compimento della legge morale ed il suo superamento, ciò
significa che in una vita cristiana profondamente vissuta l’uomo non ha più bisogno di leggi morali e civili.
Gesù disprezzava l’asservimento del popolo ebraico a comandi oggettivi; Gesù predica l’amore che è
superiore alle leggi e per questo amare dio è come sentirsi senza limiti nell’infinito. Inoltre H.scorge nell’
“ultima cena” la riconciliazione di Cristo con l’uomo, qui tutta l’umanità si riunifica e viene redenta. A
questo punto è facile notare come il cristianesimo sia per H. la sintesi tra mondo greco classico ed
ebraismo.

Il frammento di sistema
Manoscritto del 1800 in cui Dilthey e Nohl scorgono la genesi della dialettica hegeliana. H. in una lettera a
Schelling afferma infatti che le sue intuizioni giovanili devono essere rielaborate in un sistema scientifico
rigoroso. In questo primitivo sistema la religione è ancora superiore alla filosofia poiché in grado di
superare ogni scissione ed ogni lacerazione del reale. E’ infatti la religione che è in grado di innalzare l’uomo
dal finito all’infinito e quindi allo Spirito che riconcilia opposizioni e scissioni.

Fenomenologia dello spirito


L’idea di fondo è quella di “ vero come intero”, ma l’intero è solo l’essenza che si completa mediante il suo
sviluppo; l’assoluto è perciò il risultato del processo dialettico con il quale l’uomo lo comprende per ciò che
è in verità. I principi cruciali sono:

1.la ricerca filosofica si occupa della verità e dell’assoluto, quindi la filosofia è scienza dell’assoluto.

2.la verità si raggiunge solo comprendendo la totalità quindi l’intero dove il parziale si iscrive.

3.l’intero è un’idea che si realizza dinamicamente, non è un sistema statico.

4.la verità, che è assoluto, si configura come un risultato.

5.al risultato si può e si deve arrivare poichè l’assoluto non è un’immobile oggettività, ma soggetto che si
sviluppa gradualmente nel corso storico umano.

In tal senso la fenomenologia dello spirito è la descrizione di come l’assoluto, che è spirito e ragione, si
manifesta nel corso della storia umana. Quindi l’opera enuclea il processo che la coscienza umana deve
compiere per arrivare a comprendere se stessa come Assoluto. Tale processo si articola in 6 momenti dove
il soggetto è sempre l’assoluto ma che in ognuno di essi si conosce in un determinato modo in quel
particolare momento. Soltanto al termine del processo la coscienza arriva a conoscere se stessa
completamente come assoluto. E’ inoltre opportuno notare come la fenomenologia dello spirito contenga
in abbozzo una prospettiva storicistica in quanto lo spirito assoluto si manifesta gradualmente nella storia
umana determinando gli aspetti culturali e filosofici di ciascuna epoca. Questo implica che i valori di
ciascuna epoca non sono assoluti, ma transitori e che l’individuo per elevarsi all’assoluto deve prendere
coscienza della sostanza spirituale dl proprio tempo. Ogni tappa viene presentata come inadeguata e quindi
è necessario passare alla tappa successiva; ogni tappa è quindi un aufhebung della precedente.

Le tappe:

1.coscienza conoscitiva: la coscienza soggettiva conosce il mondo e quindi l’oggetto come altro da sé. E’ la
distinzione tra io cosciente ed oggetto conosciuto che si dispiega in 3 fasi:

-certezza sensibile: è la conoscenza più vera e corrisponde all’apprensione immediata degli oggetti. L’io si
scopre separato dall’oggetto conosciuto che esiste indipendentemente dalla sua coscienza soggettiva.

-percezione sensibile: permette di conoscere l’oggetto nelle sue molteplici proprietà. L’io avverte che
l’elemento unificante dell’oggetto percepito sta nella coscienza che tiene unite le diverse proprietà.
-l’intelletto: è la forza che ordina l’intero mondo empirico, è a priori ed attraverso questo la coscienza si
accorge che ciò che gli si opponeva come oggetto non è diverso da se stessa; la coscienza diviene così
autocoscienza. L’io scopre la presenza dell’alterità e quindi di altre autocoscienze.

2.autocoscienza: l’io diviene cosciente di se stesso.

3.ragione:è l’organo che può sintetizzare i vari momenti conoscitivi. E’ superiore all’intelletto che è solo
analitico.

4.Spirito. È l’intersoggettivo. E’la ragione che si manifesta concretamente nella storia e nelle istituzioni
umane.

5.religione: è rappresentazione figurata dell’assoluto.

6.sapere assoluto: è piena comprensione del concetto di assoluto e di come questo si manifesta nella storia
umana.

Sintetizzando: ogni coscienza conoscitiva è autocoscienza che superando le sue intime scissioni, si scopre
come ragione che si realizza come spirito, quest’ ultimo tramite la religione raggiunge il suo vertice nel
sapere assoluto.

Dialettica servo-padrone
Quando la coscienza diviene autocoscienza e conosce altre autocoscienze, nasce tra queste un rapporto
conflittuale. Ogni diversa autocoscienza ha desiderio di dominio sulla natura e sugli altri individui. Per H.
nello stato originario ognuno tende alla morte dell’altro, è una lotta per la vita e per la morte. Tale lotta è
necessaria in quanto ogni coscienza deve elevare a verità la propria certezza di essere di per sé e cioè
indipendente. Se ne deduce che quell’individuo che non ha messo a rischio la propria vita nella lotta non
può giungere alla verità di essere di per sé. Ancora a partire da questa lotta si stabiliscono dei rapporti di
potere tra gli individui e perciò alcune autocoscienze per conservare la propria vita, riconoscono la
supremazia di altre autocoscienza che divengono così padroni. E’ tuttavia possibile un capovolgimento della
situazione in quanto la liberazione della condizione servile può avvenire per H. attraverso il lavoro. Il servo
attraverso il suo lavoro si rende progressivamente conto che può dominare la natura e trasformarla in suo
prodotto, cosa che il padrone non può fare non lavorando appunto. Il signore, incapace di provvedere hai
propri bisogni diviene quindi dipendente dal servo. Ora il servo prende coscienza della propria
indipendenza dalla natura e quindi dal proprio padrone conquistando così la sua libertà. E’ facile notare
come tale concezione hegeliana sia divenuta oggetto di interpretazione da parte di molti marxisti, come
spiegazione dell’origine delle classi sociali e delle sue conseguenti lotte. Inoltre alla figura del servo padrone
H. ne aggiunge altre che corrispondono a diverse forme e livelli di realizzazione della libertà:

-stoicismo: la libertà è qualcosa di totalmente interiore. Il saggio stoico non si cura della sorte e
dell’esistenza naturale

-scetticismo: lo scettico dubita di ogni verità sulle realtà a lui esteriori e quindi la libertà sta nella negazione.

Enciclopedia delle scienze filosofiche


In quest’opera H. espone in maniera completa il suo sistema. L’oggetto generale della trattazione del
sistema è la totalità della realtà intesa come ragione assoluta ed infinita. Questa ragione è chiamata da H.
IDEA. Si parla quindi di idealismo assoluto, ossia tutto ciò che conosciamo , l’universo intero è costituito
dall’idea, tutto il reale è dispiegamento dell’idea. L’idea può essere considerata in 3 modi diversi:

1.la LOGICA= è l’idea in sé

2.la NATURA= è l’idea che si oggettivizza nel reale

3.lo SPIRITO= è l’idea che torna in sé divenendo consapevole di se stessa e del processo dialettico
compiuto.

Nel paragrafo 18 dell’Enciclopedia H. afferma che l’idea si rivela come pensiero puramente e
semplicemente identico a se stesso e ad un tempo come attività (dialettica) che si contrappone a se stessa
per essere per sé e che nell’Altro che crea è presso se stessa.

La logica

Costituisce la prima parte del sistema e viene trattata anche nella “Scienza della logica”(1812-1816). La
logica è la parte più astratta e di difficile comprensione dell’Enciclopedia. La logica comprende la struttura
stessa del reale. La tesi di fondo è che pensare ed essere coincidono. Questo vuol dire che la logica ci parla
dell’essere oggettivo (=reale) a partire dall’idea che lo pone e lo costituisce. in H. si parla perciò non di
logica formale,ma di logica trascendentale che indaga le condizioni di possibilità e sviluppo stesso della
realtà. H afferma che la logica è la scienza dell’idea pura, è pensiero del pensiero. In tal senso la logica ha
come oggetto di studio il logos, cioè la ragione prima del suo incarnarsi ed oggettivarsi nel mondo. E’ un po’
come la visione di dio come era prima della creazione della natura.

Le 3 principali tappe della logica sono:

1.essere: si costituisce nella celebre triade di: essere (tesi), non-essere (antitesi) e divenire (sintesi). L’essere
è la disposizione originaria del pensiero da cui tutte le altre discendono. Ma è un essere privo di
determinazioni e quindi non può che trapassare nel suo opposto:il non-essere. Il divenire è la sintesi di
questi due opposti in quanto presuppone un continuo passaggio dall’essere al non-essere e viceversa.

2.essenza

3.concetto

Diversamente da Aristotele, H.basa la sua logica proprio sulla contraddizione, sul momento della negazione,
che è il fondamento della dinamicità del pensiero, ciò che lo spinge all’Aufhebung e tale contraddizione ,
nella dialettica hegeliana, viene sempre risolta in un’unità superiore. Quello che H. vuole farci capire con la
logica è che la realtà è originata dal concetto, ossia dall’idea.

Filosofia della natura

E’ esposta nella seconda parte dell’Enciclopedia ed è appunto la seconda parte del sistema. Per oggettivarsi
l’idea deve farsi altro rispetto a sé, deve quindi uscire dall’ “in sé”.[ A tal riguardo molto interpreti non si
spiegano perché l’idea in sé ha dovuto passare ad altro da sé]. H. definisce la natura come esteriorità nei
confronti dell’idea, come il negativo dell’idea stessa. E’ l’antitesi del sistema hegeliano. Da notare è come
Hegel:

-non accetta l’identificazione di dio con la natura; questa non è altro che una “caduta” (abfall) dell’idea da
se stessa.
-criticando Schelling, H. sostiene che la natura non si può mai identificare con lo spirito poiché la natura è
determinismo e necessità mentre lo spirito è caratterizzato dalla libertà

-la natura per H. è organizzata in chiave teleologica e vitalistica; infatti il vertice della natura è la formazione
della vita che è presupposto per l’evoluzione di forme spirituali più complesse fino a quella umana.

La triade in cui si articola la natura è:

1.meccanica: studia i corpi ed i loro movimenti nello spazio

2.fisica: comprende anche il magnetismo, l’elettricità e la chimica

3.organica:studia i presupposti da cui si origina la vita.

Da notare è come in questa concezione H. criticherà Newton che esclude la possibilità della dialettica e del
finalismo all’interno della natura: per H. tutto nella natura è predisposto in funzione della vita.

Filosofia dello spirito

Dopo essersi estraniata nella natura, l’idea può completare il suo ciclo dialettico ritornando in se stessa
arricchita dall’esperienza della negazione. Qui l’idea è in sé e per sé. L’idea dopo la caduta nella natura,
ritorna in sé e si auto-comprende nel concetto:ecco lo spirito.

Lo spirito che è l’umanità nel suo insieme, nel corso della storia, diviene sempre più consapevole che tutto il
reale è fondato sul logos, l’idea, la ragione, l’assoluto. Per H. l’Assoluto stesso è lo spirito (GEIST) che
conosce gradualmente se stesso nel corso della storia. L’essenza dello spirito è la libertà e poiché lo spirito
è l’umanità, ne consegue che la storia umana è un graduale e concreto sviluppo della libertà nel mondo.
[Benedetto Croce riprenderà questa concezione di H.dove la storia dell’umanità è storia della libertà].
Anche la filosofia dello spirito ha la sua triade:

1.spirito soggettivo: è la consapevolezza che lo spirito ha di sé in quanto singolo individuo: ogni singolo
uomo diviene consapevole di sé, della propria attività coscienziale e della sua libertà. Qui H. parla anche
dell’anima intesa come principio vitale che è alla base dello sviluppo biologico dell’uomo.

2.spirito oggettivo: è come la libertà si oggettivizza nella storia e quindi nelle istituzioni umane. (Questa
parte sarà ampiamente trattata da H. con i “Lineamenti di filosofia del diritto” del 1821).

3.spirito assoluto: è il momento in cui lo spirito diviene compiutamente consapevole di sé come totalità
della realtà razionale e perciò come assoluto. Si divide in 3 momenti:

-dell’arte: è intuizione dell’assoluto, ma lo comprende solo in forma simbolica e non nel concetto

-della religione:rappresenta l’assoluto nel sentimento ma non ancora nel concetto

-della filosofia: è comprensione razionale del compiuto dell’assoluto, lo comprende nel concetto. Tuttavia
per H. è la sua l’unica filosofia in grado di comprendere pienamente l’assoluto.

Dallo spirito soggettivo allo spirito oggettivo

Come già detto la tappa dello spirito soggettivo termina con la scoperta della libertà da parte dell’individuo
e quindi del suo libero volere:quest’ultimo per H. tende necessariamente ad oggettivarsi, realizzandosi nel
mondo esterno a sé. In questo passaggio avviene anche la realizzazione della libertà umana nelle istituzioni
e nella storia. Dalla sfera individuale H. passa quindi al mondo del diritto, della società e delle istituzioni. La
libertà si realizza quindi nella sua dimensione esterna in norme morali e giuridiche e nelle relazioni familiari
ecc.

Lo spirito oggettivo

La triade che caratterizza lo spirito oggettivo è:

1.DIRITTO(tesi):viene considerata la persona nella sua capacità esteriore di possedere una proprietà,
stipulare un contratto, di commettere un torto ed essere legalmente punito con una pena. E’ il momento
della libertà oggettiva. La persona è considerata come giuridica.

2.MORALITA’(antitesi): contiene il proponimento e la colpa. E’ il momento della libertà soggettiva.

3.ETICITA’(sintesi): comprende famiglia, società civile e stato.

Il diritto
H. nei “Lineamenti di filosofia del diritto” parla appunto del diritto come realizzazione oggettiva della libertà
definendolo appunto come il regno della libertà oggettivata. Il termine non si riduce al semplice ambito
delle leggi,è piuttosto un articolato sistema che riguarda ogni tipo di relazione intersoggettiva. Gli uomini,
uscendo dalla singolarità instaurano rapporti, bisognosi gli uni degli altri. Lo scopo del diritto è quello di
produrre un sistema delle libertà individuali che consenta ad ogni individuo di oggettivare la propria libera
volontà senza interferire con quella degli altri. Per H. la libertà esteriore di una persona è caratterizzata dal
possesso di una proprietà e se una persona non possiede alcun bene non è veramente libera. E’ da notare
inoltre come in H. la persona sia propriamente giuridica ed è tale in quanto può esercitare la sua libera
volontà sulla sua proprietà privata e sul suo corpo. Il corpo umano è infatti una proprietà originaria di cui
tuttavia lo Stato può esigerne il sacrificio per chi compie un illecito.

Moralità
Alla sfera del diritto si contrappone quella della moralità. Questa riguarda la libertà interiore e si riferisce
quindi sempre alla coscienza morale. Criticando la morale kantiana come astratta e formale, H. vuole
erigere una scienza speculativa dei doveri, determinando universalmente anche quali siano i doveri nei
confronti della famiglia, della società e dello stato. Il dovere universale di kant non ci dice niente sui singoli
doveri particolari che devono invece essere effettivamente compiuti. Inoltre H. critica ogni tipo di morale
basata sul “ buon cuore”, sull’intenzione poiché in esse la determinazione del bene stesso è prerogativa
dell’arbitrio del soggetto.

Eticità
E’ il superamento dialettico della morale. Solo sull’eticità (SITTLICHKEIT) si può fondare una dottrina
filosofica dei doveri poiché è in questa che il singolo individuo viene considerato nelle dimensioni concrete
della famiglia, della società e dello stato. Nell’eticità gli individui non sono più considerati astratte persone
giuridiche o coscienze morali, ma sono membri di un tutto di cui sono parti indissolubili. La vita stessa
dell’individuo è vita della comunità etica.
Famiglia, società e stato
Questi 3 elementi sono per H. in necessaria successione. La famiglia, i cui membri costituiscono un unico
organismo, è la prima concreta espressione di società organica. La società civile sorge con il dissolvimento
della famiglia che coincide con il conseguimento della maturità da parte dei figli. La società civile si fonda e
si legittima all’interno dello STATO e delle sue istituzioni.

Famiglia

La famiglia per H. ha un fondamento naturale costituito dall’unione sessuale e la generazione fisica.


Tuttavia la famiglia si spiritualizza nel matrimonio e nell’educazione dei figli, manifestando così la sua intima
sostanza etica. Da notare che la famiglia di cui H. parla è quella propriamente borghese tipica dell’età
moderna costituita da genitori e figli e non patriarcale. Il punto di partenza per la costituzione della
famiglia è il libero consenso delle persone a diventare una sola, rinunciando alla loro singolarità. E’
importante sottolineare come la famiglia non si fondi sull’amore romantico e passionale, ma su un amore
etico ossia quello che si caratterizza come necessario e fecondo per tutta la società e per lo stato. Da tale
amore scaturisce una corretta educazione dei figli che li eleva dall’immediatezza naturale per condurli
all’autonomia ed alla personalità libera potendo poi così uscire dalla famiglia stessa. Raggiunta la maturità i
figli escono appunto dalla famiglia dando così vita ad un’altra famiglia e alla società civile.

Lo stato

Questo è la sintesi tra famiglia, intesa come unica persona (tesi) e società civile dove i singoli individui
escono dalla famiglia (antitesi). Per H. lo stato è incarnazione dello spirito ed è superiore all’insieme dei
singoli individui che formano la società civile moderna. Per H. la società civile non è altro che “un sistema
dei bisogni” dei singoli individui. Infatti, usciti dalla famiglia, i singoli individui pensano solo ai propri
particolari interessi da cui nasce un antagonismo che comunque è necessario in quanto permette lo
sviluppo economico. Lo studioso Badeschi ribadisce come in tal senso la società civile sia sfera di scissione.
Ancora parlando di società civile, H. introduce anche le problematiche inerenti il lavoro e l’economia.
Riprendendo la “dottrina della mano invisibile” di Smith, H. sostiene che se anche ciascuno è convinto di
lavorare per il proprio interesse, egli in verità contribuisce a soddisfare anche i bisogni degli altri; nella
società agisce quindi una “mano invisibile” che opera al di là delle intenzioni dei singoli.

Senza lo stato i singoli individui non sarebbero che atomi dispersi. Lo stato è perciò manifestazione della
ragione assoluta (dello spirito quindi) nella storia, è l’idea stessa che si manifesta nel mondo. Per H. lo stato
è spirito che sta nel mondo ed in quest’ultimo si realizza come coscienza. LO STATO E’ L’INGRESSO DI DIO
NEL MONDO. H.divinizza quindi lo stato. Per tale ragione lo stato non è concepito in funzione dei cittadini
che altro non sono se non momenti accidentali e passeggeri. Lo stato viene quindi ad identificarsi come
espressione di totalità, di un popolo nella sua totalità. Per H. gli individui hanno senso e significato solo
all’interno dello stato e tutto ciò che l’uomo è lo deve ad esso. Rifiutando la dottrina contrattualistica di
stato, H. sostiene che lo stato è un Intero in cui ogni singola frazione (gli individui) ha senso solo se fa parte
di esso. A tal riguardo H. critica anche la democrazia che definisce come un governo sconsiderato delle
masse. Egli predilige piuttosto una monarchia costituzionale, dove il sovrano non comanda arbitrariamente,
ma fonda la propria volontà sulla volontà popolare che fa sentire la propria voce tramite le due camere in
cui è diviso il potere legislativo. E’ infine opportuno sottolineare come da molti interpreti H. sia stato
talvolta accusato di totalitarismo ed in altri casi esaltato come un liberale.
Charles Taylor
Nasce a Montreal nel 1931 e studia ad Oxford. Nelle sue opere è centrale il tema del valore dell’identità
umana. Recuperando aspetti dello storicismo di Hegel e dell’ermeneutica di Gadamer (=ha riflettuto
sull’esserci, sul qui e ora), T. è convinto che l’identità è culturalmente mediata e non può essere distaccata
dal contesto. L’obiettivo di T. è quello quindi di ridefinire l’identità umana in relazione alla COMUNITA’.

Nella sua opera “Il disagio della modernità” (1991) T. analizza il soggetto morale e l’eredità della modernità.
Il disagio della società moderna è rappresentato secondo T. da 4 specifici punti:

1.la rivoluzione scientifica

2.la secolarizzazione

3.la crisi della metafisica

4.l’individualismo.

Questi 4 elementi sono secondo T., ciò che ha contribuito nell’illuminismo a sradicare il soggetto dalla sua
cultura storica di appartenenza.. i moderni teorici liberali come ad esempio Locke, si sono dimenticati come
in realtà l’uomo sia “un animale comunitario”, un animale socievole quindi che non può non essere preso in
considerazione se non in relazione alla sua vita di comunità. Ecco che quindi egli sostiene che la formazione
dell’identità dell’io avviene sempre all’interno di una comunità storica e di una specifica cultura.

Altra opera importante di T. è “Hegel e la società moderna”, dove egli descrive inizialmente l’atmosfera
storica e speculativa in cui Hegel elabora il proprio pensiero. Proseguendo T. analizza la filosofia politica di
Hegel evidenziandone la sua validità anche ai giorni nostri, ma non prendendo in esame l’aspetto dello
spirito assoluto di Hegel,bensì quello oggettivo che si incarna nelle istituzioni e nella comunità. Lo stato che
H.propone è uno stato composto da una totalità in cui ogni singolo individuo trova la propria realizzazione
proprio perchè facente parte di un unicum, una comunità che è come un centro di gravità a cui gli individui
ruotano attorno. T. analizza anche il pensiero di libertà di Kant che rimane comunque astratto e relegato
nell’interiorità. Solo con Hegel la libertà si oggettivizza, diventa comunitaria. Nella parte conclusiva della sua
opera T. rimarca come il pensiero di Hegel sia da considerarsi attuale, in quanto questi ricerca la
soggettività che si forma a partire dal concreto contesto storico e comunitario in cui si trova ad operare.

T. ci parlerà anche del rapporto tra Marx ed Hegel. Se Marx travisò Hegel presentandolo come unicamente
interessato al pensiero astratto, è comunque innegabile come il pensiero del primo nasca comunque da un
ripensamento del secondo. Se entrambi hanno in comune l’idea di una compiuta e radicale realizzazione
della libertà nel mondo, si differenziano nel fatto che H. fu in realtà filosofo della riconciliazione e della
sintesi, mentre il pensiero di Marx sfocia nel rivoluzionario. E’ noto infatti come Marx dia maggiore
importanza alla pratica (=azione) rispetto alla teoria.

Il dopo Hegel
Come sappiamo Hegel muore alla fine del 1831. Poco dopo la sua morte i suoi discepoli si dividono in due
fazioni che David Strauss definirà come DESTRA e SINISTRA hegeliana.
-destra= l’italiano Abbagnano la definisce come “la scolastica dell’hegelismo”, cioè la ragione hegeliana
viene usata per spiegare e giustificare i dogmi del cristianesimo. E’ l’ala conservatrice e moderata che vede
nella filosofia di Hegel la giustificazione dello stato prussiano.

-sinistra= è l’ala progressista e rivoluzionaria sia in ambito religioso che politico. Si concentra sulla dialettica
hegeliana come necessità di superare lo stato esistente per creare un nuovo ordine dove la società sia
emancipata dalle mitologie religiose tradizionali. Un esponente è Marx ed è noto come egli consideri la
religione come “oppio del popolo” poiché nasce quando gli uomini soffrono e sono socialmente oppressi.
La critica che Marx muove alla religione (=detta critica del cielo) deve trasformarsi in critica della politica e
dell’economia (=critica della terra). Per Marx è necessario cambiare le condizioni di vita dell’uomo
permettendogli così di allontanarsi dall’universo chimerico della fede.

E’ inoltre importante sottolineare come sia stato lo stesso Hegel ad analizzare per primo l’epoca moderna
ed il suo dispiegarsi. Per Hegel la filosofia moderna inizia con Cartesio, trova in Kant il suo centro e arriva a
compimento nel suo stesso sistema hegeliano. Hegel sostiene inoltre che la modernità stessa, sviluppando
a pieno i suoi principi, compie un’autocritica. Per Hegel le caratteristiche principali del pensiero moderno
sono:

1.il soggettivismo: la modernità ravvisa nel soggetto le condizioni essenziali per la conoscenza.

2.l’idea di una ragione conoscitiva forte.

3.la concezione finalistica della razionalità

4.l’idea di graduale liberazione dalla tradizione religiosa

5.la fiducia nella scienza.

Il postmoderno
Uno dei motivi per cui si parla di postmodernità è perché la modernità non sarebbe riuscita a portare a
termine i progetti e gli ideali che la caretterizzano:la totale emancipazione dell’uomo, una conoscenza
intera del reale ecc. Habermas la definirà come un progetto incompiuto.

Nietzsche (1844-1900)
Ancora Habermas considera N. come l’entrata della cultura occidentale nel postmoderno. In N. infatti
troviamo:

1.una forte critica ad Hegel ed al suo storicismo

2.N. è un teorico della “morte di dio” quindi il pensiero che pone dio come fondamento del mondo deve
essere superato.

3.al cristianesimo e alla sua morale N. sostituisce l’ideale di super-uomo o “oltre-uomo”, quindi una morale
basata sull’individualismo e sugli elementi pulsionali dell’esistenza, quindi la liberazione delle passioni.

4.se kant compie una critica della conoscenza, N. fa una critica della morale dove tutti i valori che
caratterizzano l’occidente devono essere superati, primi fra tutti quelli cristiani.
5.per N. non esistono fatti ma solo prospettive e quindi non possiamo conoscere niente in maniera assoluta

6.in N. troviamo un nichilismo che egli stesso definisce attivo poiché basato sull’eroica rinuncia a qualsiasi
fede consolatoria.

Nonostante egli promuova un pensiero rivoluzionario, all’insegna delle passioni sotto l’aspetto morale, si
rende tuttavia conto che il nichilismo, l’emancipazione da ogni mitologia, altro non produce se non un
insicurezza continua e non permette di tranquillizzarsi su qualcosa e riposarsi un po’.

Lyotard
E’ stato proprio lui ad introdurre il termine “ postmoderno” con una sua opera del 1979 “La condition
postmodern” e con la quale designa l’atmosfera culturale e speculativa contemporanea. Secondo L. le
filosofie postmoderne vogliono allontanarsi dalle grandi narrazioni che hanno caratterizzato la modernità ,
L. le chiama “meta narrazioni” e ne individua 5:

1.il cristianesimo

2. l’illuminismo

3.l’idealismo

4.il marxismo

5.il capitalismo

Tutte queste narrazioni rimangono incompiute e vane. L. afferma che il progetto di realizzazione di
universalità si è distrutto con Auschwitz. L. fa notare come nelle reali mostruosità accadute qui non ci sia
niente di razionale e che queste abbiano tutt’altro che una finalità. E’ infine importante sottolineare come
per L. l’idea di anima come sostrato metafisico del soggetto e l’idea del pensiero come elemento spirituale
presente nell’uomo, non sono altro che racconti. A tal riguardo il postmoderno può essere considerato
anche come la fine della filosofia.

Vattimo
E’ un filosofo torinese che afferma che la fine del progetto filosofico della modernità ha come conseguenza
quella di un “pensiero debole”. Al pensiero forte delle verità assolute della modernità, V. contrappone un
pensiero debole, non dogmatico, volto piuttosto alla “pietas” ed alla tolleranza. Un pensiero che quindi ci
riporta all’eredità cristiana di rifiuto della violenza ed esaltazione della solidarietà.

Kosellek
Nei suoi lavori si occupa principalmente del periodo che va da metà ‘700 a metà ‘800, periodo in cui in
campo filosofico si avvicendano illuminismo, idealismo e storicismo. Egli considera questo come un periodo
“cerniera” che determina il dispiegarsi della modernità sotto il profilo storico. Il metodo di indagine che lui
utilizza è chiamato “semantica storica” in quanto indaga il percorso del significato delle parole nella storia.
Per K. è la storia spirituale che determina l’evoluzione della società. Inoltre la storia secondo K. deve essere
indagata come una storia della “struttura”: ciò si basa sull’idea che esistano, in una data situazione,
elementi permanenti che combinati tra di loro determinano sia l’asse portante della manifestazione storica
di un qualsiasi avvenimento sia la chiave per decifrarne il significato ed il funzionamento interno. Questo
significa che lo storico deve indagare le strutture universali degli avvenimenti e le loro manifestazioni nel
tempo. Ne consegue che la storia non va studiata solo nella sequenza dei fatti, o nello sviluppo
consequenziale dello spirito che ne scaturisce, ma in modo che emergano le strutture universali delle azioni
umane che in campo politico hanno prodotto determinati cambiamenti. Nel suo volume “Critica
illuministica e crisi della società borghese” egli descrive innanzitutto le caratteristiche dell’assolutismo
politico ed analizza poi il pensiero politico degli illuministi da cui scaturisce lo spirito utopistico e
rivoluzionario dove la storia ha una finalità che è tutta umana. Nel secondo capitolo dello stesso volume
K.parla della nascita della società borghese moderna all’interno dei regimi assolutistici. K.individua in Locke
il padre spirituale dell’illuminismo borghese ed il primo che teorizzò la nascita di uno stato di Diritto
caratterizzato da tolleranza e dalla divisione dei poteri. Le 2 formazioni sociali che giocarono un ruolo
decisivo nell’età dell’illuminismo furono:

1.la Republique des lettres= repubblica dei letterati e degli intellettuali

2.la massoneria=i principali elementi che contribuirono alla nascita dell’associazione sono:

-dio è grande architetto dell’universo e ci eleva a lui con un contatto diretto.

-“i fratelli” sia aiutano a vicenda senza distinzione in base al credo religioso

-la società deve essere basata sugli ideali tipici dell’illuminismo quali libertà di pensiero, lotta al pregiudizio
e tolleranza. Nonostante la massoneria si fosse diffusa in tutta Europa, presentava caratteristiche proprie a
seconda dei vari stati. Principale avversaria della massoneria fu la chiesa il cui contrasto duro per tutto l’
‘800.

Dobbiamo inoltre ricordare come il ceto della borghesia fosse costituito da commercianti, uomini d’affari e
banchieri che raggiungendo ricchezza e prestigio sociale potevano anche comprare un titolo nobiliare.
Nonostante essi giocassero un ruolo da protagonisti in campo economico, erano totalmente esclusi dalla
politica. Essi si incontravano allora in luoghi apolitici, come biblioteche, salotti e accademie dove lo spirito
poteva muoversi liberamente senza l’ufficialità del pulpito. Essi crearono così le proprie istituzioni i cui
compiti principali erano di carattere sociale. Nell’ultima parte del suo volume K. constata come la filosofia
della storia laica e progressista sia prodotto culturale del ‘700 proponendo una nuova costruzione della
storia; una filosofia della storia non più cristocentrica e dove la salvezza dipende dall’emancipazione
politico-sociale dell’uomo sulla terra. Perciò la filosofia della storia del ‘700 prese le mosse dal cristianesimo
laicizzato, dagli ideali di tolleranza ed emancipazione e dalle idee della natura di Rousseau.

Potrebbero piacerti anche