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La collana, diretta da Claudio Stercal,

promossa dal "Centro Studi di Spiritualit"


della Facolt Teologica dell'Italia Settentrionale (Milano)
CENTRO
STUDI
DI
SPIRITUALIT
ISBN 88-7105-194-7
Copyright 2005 Edizioni Glossa Srl 20121 Milano
Via dei Cavalieri del S. Sepolcro, 3
Tel. 02/877.609- fax 02/72003162
E-mail: informazioni@glossaeditrice.it
www.glossaeditrice.it
Giuseppe Angelini -Antonio Montanari
Cristina Smonelli Cesare Vaiani
ASC SI E
GU A
CR STIA
LL'AG RE
INTRODUZIONE
Cesare Vaiani
dice
CHE COSA FATE PI DI NOI?. ASCESI
CRISTIANA E NOVIT DELL'EVANGELO
3
Antonio Montanari 9
INTRODUZIONE 9
l. RADICI COMUNI: FILOSOFIA E ASCESI CRISTIANA 17
1.1. Dall'ascesi filosofica all'ascesi cristiana
dei primi secoli 19
1.2. Filosofia e ascesi cristiana: continuit
o rottura? 24
1.3. Lo sviluppo del monachesimo primitivo 28
2. UN MODELLO DI VITA ASCETICA CRISTIANA:
LA VITAANTONII 32
2.1. Un monachesimo essenzialmente ascetico 34
2.2. "Fuga mundi" o carit fraterna? 38
2.3. Rinnegamento o trasfigurazione del corpo? 41
CONCLUSIONI
GLI "IDEALI ASCETICI". PERTINENZA
E LIMITI DELLA LETTURA ASCETICA
DEL CRISTIANESIMO
48
Giuseppe Angelini 53
l. PRIMA ISTRUZIONE DELLA QUESTIONE 53
1.1. L'agire del cristiano come esercizio 57
v
1.2. Le questioni sottese
2. IL PUNTO DI VISTA DEI FILOSOFI
2.1. Due figure alternative di ascesi
2.2. L'ascesi come "contro natura"
3. L'ASCESI NELLA VICENDA DEL PENSIERO
60
63
65
69
TEOLOGICO 74
3.1. Il passaggio moderno della teologia 77
3.2. La tradizione antica 81
4. BREVE RIPRESA TEORICA 85
LA VITA PERFETTA ED IL SUO ESERCIZIO.
LE OMELIE SULL'ECCLESIASTE DI GREGORIO
DI NISSA COME ITINERARIO ASCETICO
Cristina Simonelli
l. LA VITA PERFETTA
2. Le Omelie sull'Ecclesiaste
2.1. I prologhi: il ponos della theoria
2.2. Vanit delle vanit
97
98
105
109
113
2.3. Il momento opportuno 117
3. LA FATICA DELL'ASCOLTO E DELLA PAROLA 121
3.1. La cavit nella roccia 122
3.2. La virt che mira alla precisione
della parola 125
3.3. Momento per parlare, momento per tacere 127
4. ANCHE L'ASCESI VANIT? 130
BIBLIOGRAFIA SCELTA
Antonio Montanari
VI
135
Ascesi
e figura cristiana
dell'agire
Cesare Vaiani
Introduzione
L
a riflessione su "Ascesi e figura cristiana dell'a-
gire" propone un tema di notevole rilevanza per
la spiritualit e, pi in generale, per la stessa vita cri-
stiana.
Assumendo il termine "ascesi" nel suo pi ampio e
antico significato di "esercizio", si possono segnalare
alcuni degli ambiti toccati dal riferimento a questo
tema; la semplice elencazione, che qui proponiamo a
modo di breve introduzione, potr documentare la
vastit dei riferimenti possibili nella storia del cristia-
nesimo.
Alcuni riferimenti pi o meno impliciti ad un impe-
gno che pi tardi sar qualificato come "ascetico" si
trovano gi nel Nuovo Testamento, almeno in termini
di esigenze radicali proposte da Ges a quanti vo-
gliono seguirlo; anche l'et patristica segnata da si-
gnificative prove di ascetismo, che rivelano stretti
contatti con la morale insegnata e praticata da diverse
scuole filosofiche e che si cristallizzano da p prima
nella figura del martire, poi in quella degli asceti e
infine soprattutto nell'ideale monastico.
La vita monastica, e pi tardi la vita religiosa, diven-
teranno cos un luogo classico dell'impegno ascetico,
con il rischio di collegare in maniera anche troppo
esclusiva ascesi e vita religiosa; anche se non possi-
3
bile, in linea di principio, accettare una tale identifi-
cazione tra ascesi ed esperienza resta vero
che la declinazione storica dell'impegno ascetico ri-
manda in maniera consistente al monachesimo e ai
suoi ulteriori sviluppi.
L'attenzione alla dimensione ascetica della vita cri-
stiana continua e si sviluppa in et medievale, talvolta
con l'assunzione di pratiche molto austere, come la
disciplina o altri strumenti di penitenza, che spesso
erano legate alla disciplina penitenziale. La direzione
che l'impegno ascetico assume nel tardo medioevo
sar soprattutto quella della conformit a Cristo, spe-
cialmente nei suoi aspetti di passione e d sofferenza;
la povert assume un significato importante in questa
ascetica conformit a Cristo.
Da segnalare anche l'incremento dell'importanza attri-
buita alla relazione tra impegno ascetico e vita di pre-
ghiera, che gi in epoche precedenti aveva avuto il suo
ruolo: con lo sviluppo di metodi di orazione sempre
pi articolati, la crescita spirituale viene sempre pi
misurata con uno sviluppo della pratica dell'orazione.
Nella storia della spiritualit, l'impegno ascetico co-
nosce anche una serie di pugnac opposizioni: alcune
tendenze paganizzanti dell'umanesimo colto, come
pure certe prospettive dell'umanesimo cristiano,
guardano con sospetto a tutto ci che sa di ascesi; e
pi tardi si dovr registrare l'opposizione all'asceti-
smo da parte dei libertini, degli illuministi, dei liberi
pensatori o dei positivisti dell'Ottocento, fino alla po-
sizione assolutamente singolare di Nietzsche.
Accanto a tali opposizioni, che provengono pi chia-
ramente dalla cultura ambiente, talvolta dichiarata-
mente ostile al cristianesimo, si devono registrare ten-
4
sioni anche all'interno degli stessi movimenti spin-
tuali cristiani: tutto l'episodio del quietismo e della
sua condanna coinvolge precise prese di posizione
nei confronti dell'ascetica, sminuita nel suo
1
Valore o
anche francamente eliminata, perch ritenuta alterna-
tiva o nociva rispetto all'opera di Dio nell'uomo. An-
che la diffusione del giansenismo si nutre di una pro-
spettiva ascetica severa e rigorosa, nutrita di un certo
pessimismo e di un timore reverenziale di fronte a
Dio, che nella sua sostanza molto distante dal vero
ascetismo cristiano, ma che assume l'austero paluda-
mento di una reazione al rilassamento dei costumi
cristiani.
Un ulteriore elemento che si unisce all'ascetismo cri-
stiano dell'Ottocento la prospettiva della ripara-
zione: in molti autori l'impegno in pratiche ascetiche
si unisce al dovere della riparazione delle offese fatte
a Dio. Il culto del Sacro Cuore offrir molti agganci in
questo senso, e in molti casi questa idea della ripara-
zione sar assolutamente dominante nella pratica del-
l'ascesi. In questa stessa direzione, a partire dal signi-
ficato riparatore di alcune pratiche penitenziali, si svi-
luppa la consapevolezza del significato apostolico
delle opere di piet e di penitenza; l'Apostolato della
Preghiera, ad esempio, sottolineer lo stretto collega-
mento tra pratiche ascetiche, vita di piet ed efficacia
apostolica.
Con la crescita di importanza del ruolo del laicato
nella Chiesa anche le prospettive ascetiche si muovono
da un ambito che era sostanzialmente quello dei reli-
giosi ad una prospettiva pi estesa e allargata, con
f' estensione ai laici di pratiche che erano prima tradi-
zionalmente riservate ai religiosi o ai chierici, quali le
5
settimane di esercizi spirituali, la pratica della dire-
zione spirituale o la coltivazione di devozioni varie.
Il Novecento sar anche segnato dallo sviluppo delle
diverse scuole di psicologia sperimentale, che spesso
si mostrano molto critiche e diffidenti nei confronti
dell'idea stessa di ascetismo, talvolta prospettato
come forma patologica di disprezzo di s e di nega-
zione della propria personalit. Certamente il nostro
attuale approccio alla dimensione ascetica molto in-
fluenzato da queste critiche, che mettono in guardia
nei confronti di un accostamento ingenuo e si pon-
gono in quella prospettiva di sospetto che contraddi-
stingue tanta parte della nostra cultura.
In ambito cristiano, il Novecento sar anche segnato
da una certa messa in questione dell'individualismo
tradizionalmente connesso all'impegno ascetico, con
una generale sottolineatura della dimensione eccle-
siale e comunitaria della vita cristiana e una forte cri-
tica di un ascetismo individualista e troppo centrato
su se stessi.
Abbiamo sinteticamente elencato i principali ambiti
toccati dal riferimento all'ascesi cristiana solo per ri-
chiamare l'estensione di tale riferimento: possiamo
davvero affermare che non si pu guardare alla storia
della spiritualit o pi semplicemente alla storia del
cristianesimo senza parlare di ascesi e del suo signi-
ficato.
Una tale constatazione riguarda ovviamente anche
una serie di questioni pi propriamente teologiche,
che rimandano soprattutto all'ambito dell' antropolo-
teologica: ricordiamo il tema del rapporto tra gra-
zia e libert, dove allo spazio della libert viene fatto
risalire anche tutto ci che riguarda l'impegno asce-
6
tco e l'esercizio della volont, e che nella trattazione
teologica rimandava spesso al rapporto tra ambito na-
turale e soprannaturale; con dei rimandi che,;talvolta
toccano anche l'opposizione fede-opere, con tutte le
implicanze relative a questo dibattito all'interno della
Riforma.
Un'altra maniera in cui si talvolta declinato un
aspetto del medesimo problema quello del rapporto
tra ascetica e mistica, anche in questo caso intese ri-
spettivamente come lo spazio dell'azione umana e
dell'impegno virtuoso di fronte all'azione gratuita e
imprevedibile della grazia.
Su questo ampio sfondo s posta anche la Giornata di
studio su "Ascesi e figura cristiana dell'agire", orga-
nizzata dal Centro Studi d Spiritualit della Facolt
Teologica dell'Italia Settentrionale di Milano il 20 gen-
naio 2005, che ovviamente non ha voluto n potuto
affrontare e risolvere ogni problema, ma semplice-
mente aiutare la riflessione su qualche punto specifico.
In questo volume sono raccolti, oltre ai due interventi
proposti in quell'occasione da Antonio Montanari e
Giuseppe Angelini, anche un ulteriore studio relativo
all'et patristica, a cura di Cristina Simonelli, ed una
bibliografia, curata da Antonio Montanari.
I primi due studi, di carattere pi storico, approfondi-
scono il tema in riferimento ai primi secoli cristiani:
Antonio Montanari, con dichiarata consapevolezza
delle diverse letture contemporanee del fenomeno
dell'ascesi, studia i rapporti tra ascesi filosofica e
ascesi cristiana dei primi secoli e l'assunzione della
prospettiva ascetica nel monachesimo primitivo, de-
dicandosi poi ad illustrare un testo eminente, quale la
Vita Antonii, come modello di vita ascetica; Cristina
7
Simonelli mette a fuoco le riflessioni di Gregorio di
Nissa a proposito dell'itinerario ascetico, con partico-
lare riferimento alle sue Omelie sull'Ecclesiaste.
Mentre i primi due contributi illustrano il senso del-
l'ascesi nell'ambito dell'et patristca, il saggio d
Giuseppe Angelini mette a fuoco l'evoluzione del
concetto di ascesi nell'et moderna e contemporanea,
con riguardo al contesto filosofico (in particolare Kant
e Nietzsche) e teologico, e ne prospetta una conside-
razione in chiave sistematica. Il tema dell'ascesi, in-
tesa soprattutto come esercizio, viene riletto in riferi-
mento alla costitutiva mediazione pratica dell' origi-
naria identit umana e al senso che in essa assume il
desiderio.
Il volume si chiude, infine, con una utile rassegna
bibliografica, curata da Antonio Montanari, che ap-
profondisce la nozione di ascesi negli articoli di dizio-
nari, nei saggi monografici e negli studi relativi alle
diverse epoche storiche, come pure in alcuni contri-
buti che per varie ragioni rientrano nel tema.
Come spesso capita, nella teologia e anche nella vita,
l'approfondimento di un singolo elemento diviene oc-
casione per uno sguardo pi ampio all'insieme cui
quell'elemento appartiene: nel nostro caso l'indagine
sull'ascesi cristiana ci riporta al pi ampio tema del-
l'agire cristiano, che parte integrante di una conce-
zione di fede non solo intellettuale, ma globalmente
vitale. Alla fede, intesa come fondamentale vissuto
cristiano, appartiene anche quell'esercizio che la tra-
dizione chiama ascesi; approfondirne il senso appar-
tiene al compito della riflessione teologica e giova
perci alla vita del cristiano.
8
Antonio Montanari
Che cosa fate i di i?
Ascesi cristiana
e novit de Evang lo
INTRODUZIONE
Si racconta che alcuni filosofi un giorno vollero mettere
alla prova i monaci. Ne pass uno ben vestito, e gli dis-
sero: "Tu, vieni qui!". Ma quello, indispettito, li ricopr d
ingiurie. Ne pass un altro, un monaco libico, e gli dissero:
"Tu monaco, vecchio malvagio, vieni qui!". E quello and
di corsa. Cominciarono allora a prenderlo a schiaffi, ed
egli rivolse loro l'altra guancia (cfr. Mt 5,39). Allora i filo-
sofi subito si levarono e si prosternarono dicendo: "Ecco
un vero monaco!"; e, fattolo sedere in mezzo a loro, lo
interrogarono dicendo: "Che cosa fate voi pi di noi nel de-
serto? Digiunate, ma anche noi digiuniamo; vegliate, ma
anche noi vegliamo. Tutto quello che fate voi, lo facciamo
anche noi. Che cosa dunque fate pir di noi nel deserto?".
L'anziano rispose: "Speriamo nella grazia di Dio e custo-
diamo il nostro cuore". Ed essi dissero: "Questo noi non
possiamo farlo", e se ne andarono avendo ricevuto giova-
mento
1
<<Che cosa fate pi di noi?. Rispondendo a questa
domanda, sembra che fin dall'antichit i monaci ab-
l Collezione anonima, N 342, in l PADRl DEL DESERTO, Detti editi e
llediti, a cura di 5. CHlAL - L. CREMASCHI, Magnano, Ed. Qiqajol1,
2002, 75-76.
9
biano sentito il bisogno di chiarire in che cosa consiste
la "differenza'' che caratterizza l'ascesi cristiana, ri-
spetto a quella praticata dai filosofi coevi, come atte-
sta in modo emblematico questo apoftegma.
Effettivamente, l'ascesi si presentata fin dalle sue
origini - e continua a manifestarsi - come un feno-
meno complesso, e non facilmente riducibile a un
unico modello, che ha caratterizzato il modo di vivere
di uomini appartenenti a contesti sociali, culturali e
religiosi molto diversi. Anche se ci si limita alla tra-
dizione cristiana, si deve per constatare che, fin dagli
inizi, tendenze diverse hanno percorso la storia della
spiritualit. Bastano pochi esempi per rendersene
conto. Ho scelto quattro apoftegmi: due sulla veglia
e il sonno e due sul digiuno e il cibo, per mostrare
come l'atteggiamento degli antichi non era univoco
su questi temi.
Il padre Daniele raccontava che il padre Arsenio passava
tutta la notte vegliando. Quando, verso la mattina, lana-
tura sentiva il bisogno di dormire, diceva al sonno: "Vieni,
servo malvagio". Si un po' di sonno stando se-
duto; ma subito si levava
2

Alcuni anziani si recarono da abba Poimen e gli chiesero:


"Se vediamo dei fratelli che sono presi dal sonno durante
la preghiera comune, vuoi che li scuotiamo perch riman-
gano desti durante la veglia?" rispose: "Io, se vedo un
fratello vinto dal sonno, metto la sua testa sulle mie ginoc-
chia e lo lascio riposare"
3

Il padre Giovanni Nano ha detto: "Quando un re vuole


conquistare una citt nemica, prima di tutto taglia l'acqua
e i viveri; cos i nemici, estenuati dalla fame, gli si assog-
gettano. Avviene la stessa cosa per le passioni della carne:
2
Arse11io 14, in I PADRI DEL DESERTO, Detti, a cura di L. MoRTARI,
Roma, Citt Nuova, 1972, 70-71.
3
Aff. Poimetz 92, in I PADRI DEL DESERTO, Detti editi e inediti, cit., 74.
10
se l'uomo vive nel digiuno e nella fame, nemici sono resi
impotenti contro l'anima"'.
Un anziano disse: "Se il tuo corpo debole, fa' ..il tuo do-
vere verso di lui, perch non finisca per ammalarsi e tu ti
ritrovi a chiedere ad altri il tuo cibo, diventando cos un
peso per chi ti serve"
5

Che cos', dunque, l'ascesi cristiana? Ad alcuni uo-


mini, l'ascesi parla di libert, di bellezza e di gioia.
quanto accadeva, ad esempio, non solo ai monaci siri
del V-VI secolo, ma anche, pi di recente, al pensatore
ortodosso Pavel Florensky (1882-1943) o al filosofo
russo Nicolai Berdyaev (1873-1948)
6
Dobbiamo tutta-
via constatare che la maggior parte dei nostri contem-
poranei ha una percezione radicalmente diversa del-
l' ascesi e, in particolare, dell'ascesi cristiana. Basta
poco, infatti, per percepire che, nel linguaggio cor-
rente, ''ascesi" non significa tanto libert, quanto in-
vece autocontrollo estremamente rigoroso; non signi-
fica bellezza, ma severa astinenza; non significa gioia,
ma austerit. Anche per il cristiano comune, "ascesi"
4
Giovanni Nano 3, in I PADRI DEL DESERTO, Detti, cit., 75.
5 N 593/49, in I PADRI DEL DESERTO, Detti editi e inediti, cit., 71.
s Agli occhi di Giacomo di (c. 449-521), l'ascesi di Simeone lo
Stilta avrebbe favorito una della bellezza del santo (JACOB
OF SERUG, Homly 011 Smeon t/te Stylite, in V.L. WIMBUSH [a cura di],
Ascetic Behavior in Greca-Roman Antiquity; A Sourceboak [Studies in Ant-
and Christianity], Minneapolis, Fortress Pr., 1990, 21-22); anche
Florensky collegava l'ascesi con la bellezza, affermando che essa
come effetto una personalit non solo buona, ma anche bella (P.
Salt of t!ze Earlh: Or a Narrative on the E/der of Gethsemane
Skete Heromonk Abba Isidore, Platina, Calif, 1987, 11.); infine Nicolas
Berdyaev definiva l'ascesi una concentrazione di forze interiori orien-
tate alla padronanza di s ed orientate alla liberazione della persona
umana (cfr. D.A. LowRIE, Christian Existentalism: A Berdyaev Anthology,
London, Allen & Unwin, 1965, 86-87). Cfr. K. WARE, The Way of the
Ascetics: Negative or Affrmative?, in V. L. WIMBUSH- R. VALANTASIS (a
cura d), Ascetcism, New York, Oxford Universty Press, 1995, 3-15.
11
sinonimo di mortificazione, di abnegazione o di altri
termini che connotano una privazione, come la soffe-
renza o le pratiche penitenziali. Essa, inoltre, suggeri-
sce un forte volontarismo, e il volontarismo spesso
inteso come negazione del primato di Dio e della gra-
zia.
Oggi, dunque, l'ascesi sembra essere diventata inca-
pace di mostrare il proprio volto evangelico. E se le
cose stanno effettivamente cos, allora si comprende
anche il disagio nei confronti d certe espressioni che
l'ascesi cristiana andata assumendo. Il fatto stesso
che oggi fra i cristiani si eviti di parlare di ascesi ne
la conferma pi eloquente
7
per significativo che
oggi si parli di ascesi in altri contesti, magari ripropo-
nendo l'antico concetto filosofico di ascesi, come ha
fatto in diverse occasioni Michel Foucault.
Egli, ad esempio, nel 1982, dedicava il corso tenuto al
Collge de France alla cura di s, un concetto che, pi
del socratico "conosci te stesso", stato, nella cultura
greca e latina, il perno intorno al quale venivano or-
ganizzate le "pratiche" della filosofia, cio quell'in-
sieme di tecniche, di esercizi e allenamenti che erano
ritenuti necessari alla formazione dell'uomo maturo
8

In quel contesto, passando in rassegna le grandi
scuole flosofiche dell'antichit, il flosofo francese
7
Cfr. M. BELLET, "S tu veux etre parfait...", Christus 22 (1975) 14;
J.C. GUY, Un discuter, Christus 22 (1975) 16-21.
' La cura di - in greco epimeleia heautau, in latino cura sui -, ha
ampiamente caratterizzato l'atteggiamento filosofico nell'Antichit. Lo
si riscontra infatti nel Pitagorismo, in Socrate e Platone, poi negli Stoici,
in Epicuro e nei Cinici, come pi tardi ha determinato anche una certa
prassi cristiana. Il corso di Miche! Foucault stato pubblicato nel2001 in
un volume intitolato L'hermneutique du su jet (M. FouCAULT, L'hermneu-
tique du sujet, Paris, Seuil-Gallimard, 2001; tr. it., L'ermeneutictl del sog-
getto, Milano, Feltrinelli, 2003).
12
metteva in luce l'importanza che il pensiero greco/
prima, e poi quello latino avevano assegnato al prin-
cipio di "a vere cura di se stessi", cio di occuparsi
attivamente della propria crescita spirituale e di "al-
lenarsi" per affrontare gli eventi futuri, senza la-
sciarsi intimorire e senza lasciarsi trascinare dalle
emozioni che tali eventi avrebbero potuto suscitare.
Si trattava/ dunque, d un vero e proprio addestra-
mento, volto al raggiungimento della piena padro-
nanza d s, all'autoformazione dell'uomo libero. A
questo riguardo, Michel Foucault distingueva tre pe-
riodi:
1) il primo costituito dal momento socratico-plato-
nico, nel quale la cura di insieme al precetto sacra-
tic o del "conosci te stesso", veniva trasmessa dal fi-
losofo al discepolo. L' Alcibiade il testo che rappre-
senta la scoperta e la prima grande teoria della cura
di s
9
;
2) il secondo quello rappresentato dai primi due
secoli della nostra era (cio il periodo che precede
immediatamente la diffusione del cristianesimo e
l'apparizione dei primi grandi pensatori cristiani,
come Tertulliano e Clemente Alessandrino), in cui lo
stoicismo romano - da Musonio Rufo fino a Marco
Aurelio - diffonde il principio generale della "cura
di s", non solo come nozione, ma anche come una
pratica e un'istituzione. Si tratta cio di un impera-
tivo, inteso come arte di vivere, che si impone ormai
a tutti
10
;
9
M. FoUCA!ILT, L'ermeneutica del soggetto, ci t., 28-30.
10
Ib., 71-73.
13
3) il terzo periodo, infine, che comprende il III e IV
secolo, quello in cui la filosofia passa dall'ascetismo
pagano all'ascetismo cristiano. questo il tempo in
cui al modello platonico della cura di s si va contrap-
ponendo un nuovo modello, quello "ascetico-mona-
stico"
11

Michel Foucault convinto che il III e IV secolo come
del resto tutto il cristianesimo - non hanno pi come
meta il rapporto pieno e compiuto del soggetto con se
stesso, finalizzato alla sua maturazione umana, ma in-
sistono sulla rinuncia a se stessi e la sottomissione alla
legge. E se oggi il contenuto predominante del termine
"ascesi" viene largamente percepito come negativo
nel senso cio di mortificazione, abnegazione, soffe-
renza o penitenza, come dicevamo -, secondo il filo-
sofo francese ci sarebbe dovuto al fatto che la nostra
nozione di ascesi risulta pi o meno modellata e im-
pregnata dalla concezione cristiana
12
Mentre,
l'an ti ca ascesi filosofica si proponeva l'obiettivo di
<<porre se stessi, e nel modo pi esplicito, pi forte,
pi continuo e pi ostinato possibile, come fine della
propria esistenza
13
, l'ascesi cristiana si sarebbe in-
vece presentata con <<una funzione del tutto diversa,
e precisamente una funzione di rinuncia a s
14
Sem-
pre secondo Michel Foucault, l'ascesi cristiana consi-
sterebbe in una certa forma di pratica, che deve avere
11
Ib., 225-226. Foucault riconduce la perdita dell'idea antica di
cura di s al cristianesimo nel suo complesso e alla "societ discipli-
nare" da esso prodotta (C. HoRN, L'arte della vita t!ell'anlichl. Felicit e
morale da Socrale ai neoplalouici, Roma, Carocci, 2004, 215 [or. tedesco,
Miinchen 1998]).
12
Ib., 291-292.
13
Ib., 2.92.
14
Ib., 2.93.
14
come elementi, come fasi, come tappe di success1v1
progressi, delle rinunce sempre pi severe e, come
obiettivo finale, e passaggio al limite, la rilfuncia a
s. Noi, insomma- conclude il filosofo-, intndiamo
l'ascesi come una progressione nelle rinunce, per
giungere infine alla rinuncia essenziale, che la rinun-
cia a s
15

Questo , in sintesi, il pensiero espresso da Michel
Foucault ne L'ermeneutica del soggetto. Se per si os-
serva il fenomeno da lui descritto con occhi liberi da
pregiudizi
16
, ci si rende facilmente conto che
lemento negativo di "rinuncia", che gli sembra pre-
giudicare il pieno sviluppo dell'umanit, in realt non
corrisponde al concetto cristiano di ma a ci
che la tradizione monastica antica definiva apotaxis o
apotag (rinuncia)
17
Certamente la rinuncia (apotaxis)
ha costituito, fin dalle origini, un elemento caratteri-
stico della conversatio monastica, tanto che la tradi-
zione ha definito i monaci apotaktikoi
15
tuttavia,
non pu essere immediatamente identificata con l'a-
scesi, come attestano ad esempio alcune pagine di san
15
Ib., 281.
16
Il pensiero di Miche! Foucault su questo tema, sembra essere
profondamente influenzato dall'aspra critica di Nietzsche all'ascesi cri-
stiana (cfr. P.H. VAN NEss, Ascelicism and Cultural-Crtical Perspective, in
V. L. WIMBUSH- R. VALANTAS!S [a cura di], Ascelcism, cit., p. 591).
17
Da apotassein (rinunciare). Cfr. P. MIQUEL, Lessico del deserto. Le
parole della spiritualit, Magnano, Qiqajon, 1998, 175-181; M. SHER!DAN,
Il mondo spirituale e iHtelletluale del pr-imo monachesimo egiziano, in A.
CAMPLANI (a cura d), L'Egitto cristiano: aspetti e problemi in et tardo
antica (SEA 56), Roma, Tnstitutum Patrstcum Augustinianum, 1997,
195, nota 75.
18
Cfr. A. LAMBERT, Apotactites et Apotaxamnes, in Dictiotmnire d' Ar-
chologie Chrtie1111e et de Liturgie, vol. I, Pars, Letouzey, 1907, 2604-2626;
J. GRIBOMONT, Saint Basile el le monachisme ettlhousiate, Irnikom> 53
(1980) 123-144.
15
Basilio, per il quale l' apotaxis costituisce solo la prima
fase di un itinerario articolato, che affonda le sue ra-
dici nella rinuncia battesimale ed ha il suo scopo ul-
timo nell'assimilazione a Cristo:
[La rinuncia] il trasferimento del cuore umano alla vita
della citt celeste [ ... ]. E, ci che pi conta, essa principio
della nostra assimilazione al Cristo, che, essendo ricco,
per noi si fece povero (cfr. 2Cor 8,9). Poich, se noi non
realizzassimo tale assimilazione, ci sarebbe impossibile
appropriarci quel genere di vita che secondo il vangelo
del Cristo
19

Ho voluto porre queste premesse ci possano


aiutare ad acquisire la consapevolezza non solo delle
diverse tendenze che si intersecano nella storia della
spiritualit antica, riguardo al tema dell'ascesi, ma
anche della complessit che caratterizza le sue rilet-
ture odierne.
evidente che, nelle pagine seguenti, non potremo
trattare dell'ascesi in tutti i suoi aspetti e, pertanto,
ci limiteremo a cogliere il nostro tema attraverso un
breve segmento di storia della spiritualit. Il nostro
percorso, che si soffermer essenzialmente sul mona-
chesimo antico, si svolger in due tappe: anzitutto
dovremo chiarire il contenuto del termine askesis,
per poter precisare in che senso esso stato assunto
dal cristianesimo primitivo; in un secondo tempo ci
soffermeremo sulla prassi del monachesimo primi-
tivo, che cercheremo di illustrare attraverso quel cele-
bre modello di vita ascetica che la Vita Antonii.
19
BASILIO DI CESAREA, Regulae fusius tractatae, 8, in BASILIO Dl CE-
SAREA, Opere Asccticlle, a cura di U. NERI- M. B. ARnoLr, Torino, UTET,
1980, 251.
16
l. RADICI COMUNI: FILOSOFIA E ASCESI CRISTIANA
Non facile offrire una definizione esplicita dell'a-
scesi cristiana, perch il sostantivo askesis non viene
mai utlizzato nel Nuovo Testamento e il verbo askein
ricorre una sola volta, in At 24,16, sulla bocca di Paolo,
nel suo discorso davanti al governatore romano,
quando afferma: Per questo mi sforzo (ask8) di con-
servare in ogni momento una coscienza irreprensibile
davanti a Dio e davanti agli uomini>>. L'idea di "eser-
cizio", inteso come autodisciplina, per ben pre-
sente nel Nuovo Testamento; un testo emblematico
quello di lCor
Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma
uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo
da conquistarlo! Per ogni atleta temperante (egkrateue-
tai) in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corrut-
tibile, noi invece una incorruttibile. Jo dunque corro, ma
non come chi senza meta; faccio il pugilato, ma non come
chi batte l'aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo
trascino in schiavit perch non succeda che dopo avere
predicato agli altri, venga io stesso squalificato (1 Cor 9,24-
27).
In questo testo, diverse espressioni alludono all' askein
-esercizio o addestramento- degli atleti in vista della
loro partecipazione ai giochi sportivi
20
Evidente-
mente, l'addestramento degli atleti richiedeva vari
generi di restrizioni e profonda abnegazione, allo
scopo di competere per vincere. questo lo sfondo
metaforico al quale Paolo rimanda e che la tradizione
ha applicato al concetto cristiano di ascesi. Ci sembra
2
Cfr. H. WINnrscH, Aslceo, in Grande Lessico del Nuovo Testamento,
vol. 1, Brescia, Paideia, 1965, 1316-1317.
17
dunque opportuno soffermarci - anche se brevemente
su questo contesto culturale, non solo per questa
ragione, ma anche perch un'ormai classica tesi sto-
rio grafica ha voluto porre in rapporto di derivazione
diretta l'ascesi cristiana con le correnti del pensiero
ellenistico.
Recentemente, questa teoria stata ripresa da Samuel
Rubenson, secondo il quale l'ascetismo cristiano risa-
lirebbe ad una tradizione molto pi antica del Nuovo
Testamento, in quanto affonda le sue radici in un'ere-
dit comune a tutto il mondo ellenistico, cristianizzata
fin dal primo secolo
21
Ma anche Pierre Hadot, osser-
vando il fenomeno da un altro punto di vista - quello
della filosofia antica sostiene che il II secolo attesta
una progressiva e sempre pi estesa trasformazione
del cristianesimo in filosofia
22
Questo processo
avrebbe poi subito una brusca accelerazione ad Ales-
sandria d'Egitto tra la fine del 200 e gli inizi del 300.
Ci poteva accadere perch la filosofia di quest'epoca
veniva intesa essenzialmen.te come un discorso inse-
parabile da una condotta di vita: un discorso che si
articola e si affina entro una "scelta", un'opzione esi-
stenziale23. Anzi, si trattava di un vero e proprio
"esercizio spirituale", fondato su ascesi (askesis) e vi-
sione di Dio (theoria theou). Inoltre, il filosofo veniva
considerato, per definizione, atopos (inclassificabile),
in quanto non rientrava nelle abituali categorie sociali
21
S. RuBEXsON, Christian Asceticism aud the Emerge11ce of lite Molla-
stic Tradtion, in V. L. WrMBUSH- R. VALANTASIS (a cura di), Asceticism,
cit., 49.
21
P. HADOT, Qu'est-ce que la philosoplrie antique?, Paris, Gallimard,
1995, 358.
23
Cfr. ib., 18.
18
e politiche del tempo
24
Si spiegherebbe cos l' appro-
priazione del termine philosophia da di alcuni
movimenti ascetici, sino a farne un sinonimQ di vita
monastica. Evidentemente, in questo contesfo, il ter-
mine philosophia dev'essere inteso come "sapienza di
vita" o "sapienza per la vita", una sapienza, cio, che
si esprime attraverso una vita evangelica
25

1.1. Dall'ascesi filosofica all'ascesi cristiana dei primi se-
coli
N eli' etimo greco, il termine askesis ha abitualmente un
senso positivo e indica lo sviluppo di capacit, di doti
umane in ambito morale, professionale, sportivo o mi-
litare. Al tempo di Omero significava la pratica di
un'arte o l'abilit, mentre pi tardi, in Grecia, avrebbe
assunto il significato pi ampio di "esercizio" o "al-
lenamento"
26
Sappiamo che, in generale, tutto ci che
21 Cfr. B. McGINN, Asceticism and Mysticism in Late Anliquity aud tlte
Early Middle Ages, in V.L. WrMBUSH K VALAXTAsrs (a cura di), Asceti-
cism, cit., 63-64.
'-' Cfr. G. BARDY, "Pitilosophie" et "Piri/osophe" dans le vocabulaire
chrtien des premiers sicles, in Mlanges M. Vller, Revue d' Asctique
et de Mystique 25 (1949) 97-108; R. HoLTE, Balitude et sagesse. Saint
Augusti11 et le problme de la fin de l'homme dans la philosophie ancietme,
Paris, Institut des tudes Augustiniennes, 1962, soprattutto il c. xxrx:
La sagesse comme idal de vie chrtienne, 361-380; G. PENCO, La vita
ascetica come "filosofia" nell'antica tradizione monastica, Studia mona-
stica 2 (1960) 79-93; P. MARA VAL, Introduction, in GRGOIRE DE NYSSE,
Vie de Saiute Macriue (SC 178), Paris, Cerf, 1971, 90-103.
'6 Per la storia del termine si possono vedere gli studi di M. 0LPHE-
GALUARD -M. VrLLE!l, Ascse, Asctisme, in Dictionnaire de Spiritunlit, t.
I, Paris, Beauchesne, 1932, 916-981; L.T. LORi, Spritual Termilogie in tlre
Latin trans/ations of the Vita Antouii, Njmegen, Dekker & van Vegt, 1955,
63-69; K.S. FRANK (a cura di), Askese rmd Mihrchtum in der allw Kirche
(Wege der Forschung 409), Darmstad, Wissenschaftliche Buchgese!l-
schaft, 1975; B. LoHSE, Askese uud Monc/rtum in der Antike rmd in der alten
Kirche, Minchen - Wien, R. Oldenburg, 1969; A. MEREDITH, Asceticism
19
serviva all'educazione politica dell'uomo, in quanto
cittadino, serviva anche al suo addestramento morale
e viceversa e, pertanto, l'ascesi, in quanto allena-
mento, faceva parte della paideia dell'uomo libero 27
ed era orientata al ruolo che egli avrebbe dovuto svol-
gere nella citt, come padre di famiglia e cittadino
perfetto, capace d governare se stesso e gli altri 28
Queste convinzioni erano cos diffuse che era diven-
tato un luogo comune affermare che, in un'arte o in
una la sola mathesis - cio l'apprendimento,
Cllristan and Greek, Journal of Theologcal Studi es 27 (1976) 313-332; J.
GRIBOMONT, Askese. IV: Neues Testamwt rmd Alte Kirche, in Theologische
Ren/enzyclopiidie, vol. 4, Berlin, Muller, 1979, 204-225; P. HADoT, Exercices
sprituels et philosophie nntique, Paris, d. tudes 19872 .
Per quanto riguarda le traduzione del termine bisogna rilevare
che esso non aveva nell'Antichit un preciso corrispettivo latino. La
difficolt eloquentemente attestata, non solo dalle traduzioni latine
della Vita Antouii- dove il termine studium dev'essere continuamente
precisato da altre determinazioni, come fa il traduttore Anonimo, op-
pure viene omesso, come preferisce fare in diverse occasioni Evagrio -,
ma anche da Girolamo che, in alcuni casi, preferisce mantenere il ter-
mine greco (cfr. GIROLAMo, Com. i11 Eph. 3,6,12). Su questo problema si
possono vedere le pagine di A. DE VoGU. Histoire littrare du mouvement
monastique. Premire Pnrtie: Le monnchisme latin, t. I. De la mort d'Antoine
In fin du de frme Rome (356-385), Paris, Cerf, 1991, 33-35.
27
nel suo significato letterale e originario, significa "edu-
cazione" come tecnica con cui l fanciullo viene preparato alla vita. Nel
mondo ellenico, l termine and sempre pi arricchendosi di significato,
fino ad esprimere l'ideale della formazione umana; non solo prepara-
zione alla cultura, ma la cultura stessa in quanto "valore" della perso-
nalit. Platone aveva definito la paideia come quella determinata for-
mazione che, a partire dalla giovinezza, conduce l'uomo alla virt, in-
l'amore e il desiderio per la condizione del perfetto
cittadino, il quale capace di comandare e di obbedire come giusto
farlo>> (PLATONE, Leggi I,643e, in PLATONE, Tutti gli scritti, a cura di G.
REALE, Milano, Bompiani, 2000, 1476). Cfr. H.I. MARROU, Storia dell'edu-
cazione nella antichit, Roma, Ed. Studium, 1971
3
; C. HORN, L'arte della
vita nell'antichit, cit., 42-56.
" Cfr. M. FoucAULT, L'uso dei piaceri. Storia della sessualit 2, Milano,
Feltrinelli, 2000
5
, 81-82.
20
la conoscenza - non poteva essere sufficiente senza
askesis, cio senza un vero allenamento
29

Gli studiosi ritengono che il termine "ascesi" sia en-
trato nel pensiero cristiano attraverso l'ebreo Filone, il
quale aveva distribuito le tre funzioni della pedagogia
sofistica - mathsis, physis e asksis - assegnandole ai
tre patriarchi, Abramo, Isacco e Giacobbe. Quest'ul-
timo, in particolare, era diventato, per Filone, il tipo
dell' askts, cio il lottatore spirituale, a motivo di
quanto si legge in Gen Il patriarca rappresenta
cos l'emblema di colui che si sforza di vincere le pas-
sioni, al fine di ricevere il nome di Israele. E, siccome
l'etimologia tradizionale di Israele "colui che vede
Dio", Giacobbe viene anche a rappresentare colui che
capace di dedicarsi alla vita contemplativa
30

In ambito cristiano, il primo a servirsi del termine
ascesi, sembra essere stato Origene, il quale, nelle
Omelie su Geremia, indicava cos coloro che
vano la continenza e le austerit
31
Ci accadeva tra
il II e il III secolo, un'epoca in cui il cristianesimo
soprattutto nel contesto alessandrino - andava orga-
nizzando il proprio discorso in modo analogo a quello
delle scuole filosofiche coeve. Come, infatti, i plato-
nici - almeno dai tempi di Plutarco proponevano
una sequenza di letture dei Dialoghi di Platone corri-
z Cfr. ib., 77.
30 Cfr. FILONE ALESSANDRINO, Leg. Al/. III,19-26. In questo testo si
preannuncia ci che tardi sar il concetto ecclesiastico di ascesi.
Difatti in questo del corpo e dello spirito l'accento p s t ~
sul dominio delle passioni e sulla temperanza (H. WrNDISCH, Askeo,
GLNT, vol. l, cit., 1315; cfr. E. BRHIER, Les ides philosoplliques et religieu-
ses de Philou d' Alexandrie, Paris, Librairie Alphonse Picard & Fils, 1908,
265ss.; M. SHERIDAN, Il mondo spirituale e intellettuale dd primo mounche-
simo egiziano, cit., 197-198).
3
1 ORIGENE, In Jeremiam 20,7.
21
spandente alle tappe del progresso spirituale, cos an-
che i cristiani facevano leggere ai loro discepoli la
Scrittura secondo un ordine ben preciso
32
La progres-
sione scandita dai tre libri: Proverbi, Ecclesiaste, Can-
tico dei Cantici corrispondeva, secondo Origene, alle
tappe successive dell'etica, che dona una preventiva
purificazione; della fisica, che insegna ad elevarsi ol-
tre le cose sensibili; e infine dell' epoptica
33
o teologia,
che conduce alla visione di Dio e alla contempla-
zione
34
Questa trasposizione era stata facilitata dalle
nuove connotazioni che le filosofie di quest'epoca in
particolare il medio e neo-platonismo -andavano as-
32
Cfr. L HADOT, Introduction Smplicius, Commentaire sur /es Cat-
gories, Leiden, Brill, 1990, t. I, 36-44; Io., Les utraductions aux commentai-
res exgetiques chez /es auteurs noplatoniciens et /es auleurs chrtiens, in M.
TARDlEU, Les rgles de /'interprtation, Pars, Cerf, 1987; P. HADOT, Che
cos' la filosofia antica?, Torino, Einaudi, 1998, 229-230.
33
11 termine epoptica deriva dal greco ephornn (=vedere o guardare
in alto). Questo verbo, come i suoi composti, appartiene al linguaggio
dell'iniziazione (ta epoptika) ad esempio nei misteri di Eleusi (cfr. PLA-
TONE, Convivio 210). Epopteuein (= contemplare) indicava la visione ri-
agli epopt, cio a coloro che erano stati iniziati ai gradi supe-
riori. E noto che gi Clemente Alessandrino, prima di Origene, aveva
i termini dell'iniziazione pagana (Pratr. 1,10,3; Pedag. H,8,3;
V,71,2).
34
A partire dal commento origeniano sul Cantico, era in valsa l'a-
bitudine di tracciare un cammino di progresso spirituale classificando i
libri salomonki in relazione alle scienze profane: ai Proverbi corrispon-
deva l'etica, all'Ecclesiastico la fisica e al Cantico la logica o la teologia.
Oltre che in Origene, questa prassi si riscontra in Clemente Alessan-
drino, Basilio, Didimo l Cieco e Gregorio di Nissa e, pi tardi, verr
ripresa anche da Evagrio traccia un analogo cammino nel
commento a Pr 22,20 (EvAGRE LE PoNTIQUE, Scholies aux Proverl,es, a
cura d P. GHIN [SC 340], Paris, Cerf, 1987, 29). Cfr. P. HADOT, La divi-
sion des parties de la pltilosoplrie datJs l'Antiquit, Museum Helveticum
36 (1979) 213-221; H. DE LUBAC, Exgse Mdivale, t. I, Paris, Aubier,
171-177; A. MHAT, Clemeut d'Alexandrie et les sens de l'crture
Mla11ges patris{iques offerts au cardinal Jean Danilou,
J. FOXTAINE C. KANXENG!ESSER, Paris, Beauchesne, 1972, 355-
365.
22
sumendo: anzitutto un vivo interesse per le problema-
tiche religiose e le speculazioni teologiche, e poi l' as-
sunzione di una colorazione mistica e di forme asceti-
che rilevanti.
Sappiamo inoltre che, anche nel didaskaleion orige-
niano, la vita comune del maestro con i suoi discepoli
era da un'accurata ascesi, che presentava non
poche analogie con quella praticata nelle scuole filo-
sofiche coeve, come ci informa, ad esempio, l'Encomio
di Origene, tradizionalmente attribuito a Gregorio
Taumaturgo, indirizzato al maestro a conclusione del
ciclo di studi presso il didaskaleion di Cesarea:
Tra tutte, le cose pi importanti, quelle di cui pure si d
pena l'intera dei filosofi come da una bella pian-
raccogliendo da tutte le altre discipline e dalla
pratica filosofica grandi frutti- sono costituite dalle
divine virt riguardanti l'etica, da cui nasce la condizione
di calma e di equilibrio delle passioni dell'anima. [ ... ] E
non solo a ma anche con le azioni, in un certo
modo, governava i nostri impulsi, grazie proprio alla con-
siderazione e all'esame razionale degli impulsi e delle
dell'anima; proprio in virt di tale esame, la no-
stra anima naturalmente raddrizzarsi dalla sua disar-
monia e da disordinata che mutarsi in una condizione di
riflessione e di ordine
35

Nel Contro Celso si trova poi la metafora dell'atleta, per


descrivere il comportamento del cristiano; una meta-
fora destinata pi tardi a diventare un luogo comune
per parlare del monaco:
Celso conseguente con se stesso, quando aggiunge che
molto difficile cambiare una natura [ ... I Se
Js GREGORIO TAUMATURGO, Encomio di
contio di Origene, a cura d M. RIZZI, Milano,
23
9,115-118, in ID., EH-
Paoline, 2002, 154-155.
per alcuni veramente arduo il cambiare, s deve per
riconoscere che la causa di questo risiede nella loro vo-
lont[ ... ]. Molto infatti pu la determinazione e l'esercizio
dell'individuo per quelle cose che a prima vista paiono
difficilissime e, per usare un'iperbole, quasi impossibili.
La natura umana, se ha desiderio di camminare su una
corda tesa, sospesa in mezzo al teatro, portando anche
su di s dei ben grandi, ci riesce con l'esercizio e
con l'impegno: non dovrebbe allora essere capace
di vivere conforme alla virt, anche se in un tempo prece-
dente era pessima?".
In questa pagina si trovano associati i termini prosoch
e asksis- impegno/ attenzione ed esercizio-, che pi
tardi verranno a caratterizzare anche la vita monastica
del deserto. Questa trasposizione graduale permette
di comprendere come il termine "asceta" sia passato a
designare i monaci, e l'ascesi sia stata intesa a lungo
come quella prassi che deve caratterizzare la vita di
coloro che si sono consacrati a Dio.
1.2. Filosofia e ascesi cristiana: continuit o rottura?
Tra filosofia e ascesi cristiana si riscontra, dunque,
continuit o rottura? Formulata in questo modo, la
domanda non cerca una risposta, ma si pone come
una provocazione. Infatti, tra filosofia e ascesi cri-
stiana non c' semplice continuit, ma neppure aperta
e dichiarata rottura. Se, infatti, da una parte sembra
possibile cogliere lo sviluppo graduale che ha con-
dotto dall'ascesi filosofica a quella cristiana e poi mo-
nastica, dall'altra non si pu ignorare che, sebbene
l'ascesi abbia rivestito un ruolo considerevole nel mo-
0RIGENE, Contra Celsmn 3,69, in lo., Contro Celso, Torino, UTET,
1971,281-281.
24
nachesimo primitivo, il monachesimo non pu essere
identificato immediatamente con l'ascesi e neppure si
deve dimenticare che il fenomeno monastico si pre-
senta, fin dalle origini, come una realt complessa e
variegata, frutto di una lunga gestazione.
Nel corso degli ultimi cent'anni sono state offerte
molte interpretazioni sul monachesimo e sono stati
fatti molti tentativi per trovare un'unit sottesa alle
forme e alle pratche apparentemente diverse del
primo monachesimo
37
Forse, per, non sar mai pos-
sibile spiegare fino in fondo perch, negli ultimi anni
del III secolo, un certo numero di cristiani ha abban-
donato le citt e le comunit cristiane per ritirarsi nel
deserto. Anche per questo motivo, non avendo ancora
trovato una risposta esauriente o perlomeno soddisfa-
cente, la questione riguardante le origini del mona-
chesimo si ripropone periodicamente
38

Negli ultimi trent'anni, il problema delle origini del
monachesimo stato formulato in modo innovativo
da uno specialista della Tarda Antichit, Peter Brown,
il quale, in una serie di studi a partire dall'opera
intitolata The Rise and Function of the Holy Man in
Late Antiquity
39
e poi con il pi noto The Body an d
Society. Men, Women, and Sexual Renunciation in Early
Christianity
40
- ha aperto una nuova via, considerando
" M. SHERIDAN, Il mondo spirituale e intellettuale del primo monache-
simo egiziana, cit., 189-192.
'" Per la presentazione che segue siamo debitori dello studio di A
VEILLEux,. Les origines du monncltisme chrtien, Louvain 97 (1999) 20-23.
" P. BROWN, The Rise ond Fuuction of t/te Haly Mart iu Late Antiquity,
Journal of Roman Studies 61 (1971) 82-101.
40 Io., Tl!e Body nnd Society: Meu, Womw, nnd Sexual Remwciation in
Early Christanity, New York, Columbia University P r e ~ s 1988;. tr. i t., Il
Corpo e In societ: uamiui, donne e nstinwza Sl!SS!iale ttel pnmo cnstwnestmo,
Torino, G. Einaudi, 1992.
25
il fenomeno dell'ascesi cristiana all'interno di un pre-
ciso contesto culturale molto pi ampio rispetto alla
prassi precedente. Evidentemente, lo scopo che Peter
Brown si proponeva con questi studi era di portata
ben pi vasta che non le semplici origini del mona-
chesimo, tuttavia, il suo modo di accostarsi ai princi-
pali protagonisti del movimento monastico ha fatto
scuola e ha inevitabilmente cambiato il nostro modo
di accostarci alla storia del monachesimo
41
.
Nella scia aperta dagli studi di Peter Brown, ormai
arricchita dalle nuove conoscenze sul movimento
ascetico in Persia, Mesopotamia e Siria
42
, dalla sco-
perta di una biblioteca copta a N ag Hammadi sul
luogo del primo insediamento monastico paco-
miano43, dagli apporti di Samuel Rubenson che hanno
permesso di conoscere meglio l'ambiente culturale di
Antonio e dei suoi compagni
44
, si sviluppata una
41
Questo approccio stato ripreso negli studi di diversi autori re-
centi, tra i quali possiamo ricordare ad esempio quello di Susanna Elm
sull'ascetismo femminile, un aspetto del monachesimo spesso trascu-
rato dagli storici del passato (S. ELM, Virgins of God: T/w Making of Asce-
ticism in Late Antiquity, Oxford, Oxford Classica! Monographs, 1994), o
quello di David Brakke sui rapporti fra l'ascesi egiziana e la politica
antiariana di Atanasio (D. BRAKKE, Athanasius and tlze Poli ti es of Asceti-
cism, Oxford, Oxford Early Christian Studies, 1995).

12
Cfr. le opere di A. V66Bus, History of Asceticism in the Syrian
Orient. A contribution lo tlze History of Culture in t/w Near East, t. L The
Oright of Asceticism. Early monasticism in Persia, t. II, Early monasticism in
Mesopotamia a11d Syria (CSCO 184 e 197), Louvain, Peeters, 1958 e 1960,
che hanno rivelato un mondo monastico fino ad allora quasi scono-
sciuto. Si pu vedere a questo proposito l'articolo di J. GRIBOMONT, Le
monacltisme au sein de I'glise el! Syrie et en Cappadoce, in Io., Saint Basile,
Evangile et Eglise [Spritualit Orientale 36], t. I, Bgrolles en Mauges,
Abbaye de Bellefontaine, 1984, 3-20: 12-13.
43
Cfr. A. VEILLEUX, Monacltisme et gHose, Collectanea Cisterciensia>>
46 (1984) 239-258 e 47 (1985) 129-151.
44
L'importanza dello studio delle Lettere appare sempre pi evi-
dente per la conoscenza della personalit di Antonio. Samuel Rubenson
26
nuova attenzione nei confronti del movimento asce-
tico della Tarda Antichit
45
.
L'interesse attuale per l'ascesi inoltre attestato da
varie iniziative, tra le quali merita di essere segnalata,
per la sua importanza, la costituzione- intorno al1980
-di un gruppo di professori e di ricercatori, all'interno
dell'American Academy of Religion, con lo scopo di
studiare l'ascesi in tutte le sue varie sfaccettature, tra
le quali trova posto anche il monachesimo cristiano.
Ad essi si deve l'organizzazione di una conferenza in-
ternazionale, svoltasi a New York nel 1993, sul tema:
"La dimensione ascetica nella vita religiosa e nella cul-
tura", i cui contributi sono confluiti in un imponente
volume, pubblicato nel1995 con il titolo Asceticism
46
.
Da tutti questi studi, risulta ormai chiaro che il mona-
chesimo cristiano fa parte di un fenomeno molto pi
ampio, che quello dell'ascesi cristiana, e che questa-
a sua volta - non pu essere studiata senza essere
ha dimostrato che Antonio e i suoi discepoli non erano- come a lungo si
pensato- degli illetterati, ma avevano profondamente assimilato l'in-
segnamento filosofico e teologico della Chiesa alessandrina e dei suoi
didaskaloi; emerge tuttavia una figura non alternativa a quella della bio-
grafia atanasiana, che anzi viene confermata in molti tratti (cfr. S. Ru-
BENSON, Tlte Letters of St. Antony. Origenist Theology, Monastic Tradition
and t/te Makillg of a Saint [Bibliotheca Historico-Ecclesiatica Lundensis
24], Lund, Lund University Press, 1990, 141-144).
" Cfr. A. VEILLEUX, Les origines du nwltachisme cltrtien, cit., 22.
46
V. L. WrMBUSH- R. VALANTASIS (a cura di), Asceticism, New York,
Oxford University Press, 1995. Il contenuto del volume organizzato
intorno a quattro temi maggiori che percorrono le varie tradizioni reli-
giose: l. le origini e il significato dell'ascetismo, esplora le motivazioni e
gli impulsi che sono all'origine dei comportamenti ascetici; 2. l'erme-
neutica dell'ascetismo, si sofferma su testi e retoriche e ne valuta i pre-
supposti; 3.l'estetica dell'ascetismo, documenta le risposte e le pratiche
date agli impulsi ascetici, come anche l'arte delle pratiche ascetiche; 4.
infine, la politica dell'ascetismo, analizza le dinamiche di potere messe
in atto dall'ascetismo.
27
collocata nel contesto pi generale dell'ascesi umana e
delle numerose manifestazioni che essa an da t a as-
sumendo nei primi secoli della nostra era. Affron-
tando la lettura di queste pagine, bisogna per essere
consapevoli che, mentre alcuni studiosi si accostano al
tema con una profonda comprensione del monache-
simo cristiano, altri sembrano invece attratti dalla
semplice analisi del fenomeno ascetico, indipendente-
mente dalle motivazioni che potevano animare coloro
che vi si dedicavano. Dunque, pur trattandosi di studi
seri e condotti con rigore scientifico impeccabile, non
si pu ignorare che essi talvolta trascurano esplicita-
mente e deliberatamente la dimensione propriamente
spirituale di quei monaci di cui si occupano
47
Alcuni
autori sembrano inoltre ampiamente influenzati, nella
loro interpretazione dell'ascesi, dalle teorie di Michel
Foucault, alle quali, fin dall'inizio, abbiamo voluto
accennare.
1.3. Lo sviluppo del monachesimo primitivo
Con l'atteggiamento critico che sgorga da questa con-
sapevolezza, possiamo ora accostarci al fenomeno
monastico, che ha caratterizzato la Chiesa dei primi
secoli e del cui sorgere gli storici non sembrano ancora
in grado di offrire le ragioni
48
Forse possibile spie-
" Lo ha notato Columba Stewart, un ottimo conoscitore delmona-
chesimo antico e, in particolare, di Cassiano, in uno studio del 1996: C.
STEWART, Ascetcsm and Spirituality in Late Antiquity. New Vision. Impasse
or Hiatus?, Christian Spirituality Bulletin 4 (1996) 11-15.
48
Cfr. J.-C. GuY, Introduction, in Les Apophlegmes d es Pres. Collection
Sistematique (SC 387), Paris, Ceri, 1993, 13-18. Nella descrizione delle
origini del monachesimo ci serviremo della sintesi di A. VEtLLEUX, La
tlzologie de l'ablmtiat c11ol1itique et ses implications lilurgiques, Supple-
ment de la Vie Spirituelle 86 (1968) 351-393.
28
gare i fattori che sono intervenuti per favorire e orien-
tare il suo sviluppo, ma effettivamente pi difficile
fornire le spiegazioni circa le origini di questo nuovo
modo di vivere. Si pu solo constatare il fenomeno che
si impone allo sguardo attento dell'osservatore.
Certamente, il cristiano pu affermare che questa no-
vit, che ha caratterizzato la Chiesa alla fine del III
secolo, non pu essere frutto del caso: se infatti alcuni
uomini hanno lasciato le loro citt per dimorare nel
deserto - cio in un luogo che, per le sue caratteristi-
che, risulta inabitabile -, non certamente per cedere
a non si sa quale "pulsione malsana" come preten-
deva ancora nel V secolo il poeta pagano Rutilio Na-
manziano49 -,ma perch lo Spirito li spingeva a farlo
e, con questa decisione, essi inauguravano un modo
nuovo e complementare di vivere il Vangelo. questa
la sola lettura capace di cogliere il fenomeno in tutta
la sua senza limitarsi a percepirne la sem-
plice forma esteriore.
Sebbene, fin dal IV secolo, l'ascesi cristiana sia stata
strettamente collegata al movimento monastico, non
si pu ignorare che alcune forme di ascetismo esiste-
vano gi prima delmonachesimo. Fin dai primi secoli,
infatti, l'ascesi cristiana si manifestata, nelle varie
Chiese, secondo modalit talvolta piuttosto radicali.
Ges stesso, del resto, vivendo con i suoi discepoli,
aveva inaugurato una forma di vita comunitaria che
aveva qualcosa in comune con la prassi dei rabbini del
suo tempo, ma che proponeva esigenze radicali ai suoi
seguaci. Quando poi, dopo la morte di Ges, alcuni
cristiani vollero mettersi alla sua sequela, adottando
RUTILIO NAMANZlANO, De redt!l suo, l, 439-452 e 515-526.
29
in modo permanente le esigenze radicali proposte dal
Maestro, in realt essi tenevano sotto lo sguardo non
solo l'esempio di Ges, ma anche le forme di ascesi
che caratterizzavano diversi ambienti - e tra questi
senz' altro le scuole filosofiche - del loro tempo
50

noto che alcune forme radicali di ascesi si sono svi-
luppate abbastanza presto nel cristianesimo antico,
soprattutto nelle Chiese giudeo-cristiane, maggior-
mente sensibili al radicalismo evangelico lucano e
paolino
51
In queste comunit, si praticavano infatti
non solo la povert e il digiuno, ma anche forme di
continenza assoluta, che - almeno per un certo pe-
riodo- venivano richieste come condizione per essere
ammessi a ricevere il battesimo
52
Pi tardi, si si tue-
50
].D.M. DERRET, Primitive Christianity as an Ascetic Movement, in
V.L. WIMBUSH- R. VALANTASIS (a cura di), Asceticism, cit., 88-118.
" Cfr. A. GurLLAUMONT, Perspectives actuel/es sur [es origiues du mo-
naclzisme, in A11x origines du Monaclzisme Clzrtien. Pour Ulle fenomrwlogie
du monaclzisme (Spiritualit Orientale 30), Bellefontaine, Abbaye de Bel-
lefontaine, 1979, 216-227; Io., Monachisme et tlzique judo clzrtienne, Re-
cherches de Sciences Religieuses 60 (1972) 199-218. In questo articolo
l'autore mostra come il monachesimo si sia costituito a partire dall'i-
deale paolina del celibato per Dio. Da qui deriva anche il suo pro-
gramma di unificazione spirituale espresso nei termini scritturistici di
"semplicit".
52
Alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, Arthur Vi:ii:ibus
ha segnalato l'esistenza di tali comunit a Edessa e a Osroene intorno
all'anno 100 (A. V bonus, History of ascetism in the Syriau Orient. A con-
trilmtion to the History of Culture in t/IC Near East [Corpus Scriptorum
Christianorum Orientalium 184, 197, 500. Subsidia; 14, 17, 81], Lovanii,
E. Peeters, 1958-1988). Qualche anno dopo, Jean Gribomont dimostrava
il carattere ortodosso di queste primitive correnti encratite, anteriori
alle eresie che prenderanno poi questo nome. In Siria, infatti, i figli
del patto costituivano gruppi ascetici che vivevano in seno alla comu-
nit ecclesiale, come tutti gli altri cristiani, sotto la giurisdizione ordi-
naria e immediata della gerarchia locale (J. GRIBOMONT, Le monaclzisme
au sein de l'Eglise en Syrie et en Cappadoce, cit., 3-20; O. HENDRIKS, L'acti-
vit apostolique des premiers moiues syriens, Proche Orient Chrtien 8
[1958] 3-25).
30
ranno all'interno di una corrente analoga- sebbene in
modo meno ingenuo- non solo l'ascetismo di Eusta-
zio e quello di Basilio in Cappadocia
53
, ma fnche il
monachesimo pacomiano dell'Alto Egitto
54
, e ci non
sorprende se si pensa alla diffusione che ebbe in que-
sti secoli la letteratura apocrifa di tratto encratita. Se-
condo Jean Gribomont, il contributo pi positivo delle
cristianit orientali alla preistoria monastica dovrebbe
essere infatti ricercato proprio nel contesto delle co-
munit encratite, pi che nei comportamenti eccen-
trici dei mangia tori d'erba, degli anacoreti senza tetto,
degli stiliti o degli altri prodigi di austerit
55
Quando
poi nel IV secolo, i cristiani incominciano a ritirarsi
nel deserto o si raggruppano in fraternit per vivere la
vita monastica, diventa sempre pi chiaro che la mo-
tivazione della loro ascesi la sequela di Cristo e lo
scopo di sottoporsi all'azione dello Spirito. O, al-
meno, questa la motivazione che si ricava dalla let-
teratura del deserto, se non ci si limita all'aspetto
esteriore di certi comportamenti, certamente condi-
zionati dal contesto religioso e socio-culturale nel
quali sono inseriti
56

53
Cfr. J. GRIBOMONT, Le monaclzisme ai sein de l'Eglise en Syrie et en
Cappadoce, cit., 18-24. Si possono vedere a questo proposito le interes-
santi note di M. Aubineau, in GRGOIRE DE NYssE, Trait de la Virginit,
cit., 534-541.
54
A. VEILLEUX, La liturgie dans le cnobitisme pachomien au IV' sicle
(Studia Anselmiana 57), Roma, Pont. Ateneo Sant'Anselmo, 1968.
55
J. GRIBOMONT, Le monachisme au sein de l'glise en Syrie et en Cap-
padoce, cit., 17.
56
Cfr. A. VEILLEUX, Les origines du monachisme chrtien, cit., 22.
31
2. UN MODELLO DI VITA ASCETICA CRISTIANA: LA VITA
ANTONII
Sebbene alcune forme di ascetismo - come abbiamo
visto - esistessero gi prima del monachesimo, diffi-
cilmente l'ascesi cristiana potrebbe essere studiata se-
paratamente dal monachesimo, poich stato proprio
nella tradizione monastica dell'Egitto del IV secolo,
che le forme e i concetti relativi alla pratica e alle
teorie dell'ascesi cristiana sono state formulate per
la volta
57

L'ascesi praticata nel deserto egiziano era caratteriz-
zata anzitutto dall' anakoresis, una prassi che gi fa-
ceva delle "tecniche del s" proposte dalla filo-
sofia antica
58
, ma che resta continuamente esposta a
una lettura ambigua e al pericolo di una solitudine
narcisistica. Spesso, infatti, l'aspetto dominante sem-
bra essere quello della negazione del mondo. Quando,
ad esempio, abba Arsenio chiede a Dio come potr
salvarsi, gli vene detto: Fuggi dalle creature umane
e sarai salvo. La motivazione che spinge Arsenio
verso l' anacores sembra essere esclusivamente la
propria salvezza e, per raggiungere questo scopo, gli
viene detto di evitare ogni contatto con amici o altre
creature umane. Addirittura, sembra che Arsenio non
57 Cfr. S. RuBENSON, Christian Asceticism and the Emergence of the
Monastic Tradition, cit., 49.
ss Gi Platone, ad esempio, nel Pedone, parla della pratica dell' ana-
kiirsis, finalizzata al raccoglimento e alla concentrazione dell'anima in
se stessa (PLATONE, Pedone 83a); Marco Aurelo dedica una lunga pagina
al tema dell'anakorsis eis heauton, cio al ritirarsi in se stessi (MARCO
AuRELIO, Pensieri IV,3); infine, tra i cinici, si pu ricordare Diane di
Prusa, il quale ha dedicato diversi discorsi al tema dell'ascesi e del ritiro
in se stessi, come ad esempio il discorso 20 peri auakiirseiis (cfr. M.
FoucAULT, t'ermeneutica del soggetto, cit., 41.44.81).
32
si ponga neppure il problema riguardo alla necessit
di aiutare il prossimo. Quando, infatti, una nobile si-
gnora romana viene a visitarlo e gli chiede di ricor-
darla nelle sue preghiere, Arsenio risponde: Pre-
gher Dio perch liberi dalla memoria di te il mio
cuore. Anche abba Macario l'Egiziano, a questo ri-
guardo inesorabile: <<Fuggi dalle creature umane,
ripeteva; e quando gli chiesero che cosa ""r'>u,.u,.a
questo, egli rispose: <<Significa sedere nella propria
cella e piangere per i propri peccati.
Testi come questi, presi isolatamente, sembrano sug-
gerire che il monaco non avverta alcuna responsabi-
lit nei confronti della salvezza altrui: sufficiente
che pensi a se stesso e si penta dei propri peccati. Se
per pagine non vengono estratte dal loro con-
testo, ci si accorge che le motivazioni della solitudine
non sono cos banali. Nell'antichit, infatti, la vita
eremitica era concepita come un gradino ulteriore ri-
spetto alla vita comunitaria e questi due "stadi" pos-
sono essere rappresentati simbolicamente da due lo-
calit, rese celebri dagli apoftegmi: il deserto di Nitria
e quello delle Celle (Kellia). A Nitria, pur non vivendo
in fraternit, i monaci non conducevano una vita
esclusivamente eremitica. Si trattava piuttosto di
una forma di vita semi-anacoretica, nella quale non
mancavano l'aiuto dei fratelli e il sostegno di un pa-
dre spirituale. Il vero deserto, quello che garantiva
una solitudine pi profonda, era invece quello delle
Celle. In realt, non si trattava di una vera alternativa,
poich era convinzione comune che la solitudine esige
una gradualit e, pertanto, coloro che desideravano
inoltrarsi nel deserto delle Celle per vivere l' anaco-
resi, dovevano aver trascorso almeno qualche anno
33
nel deserto di Nitria. A da questo sfondo, si
comprende allora che quando Arsenio sembra "fug-
gire", in realt, agli occhi di molti dei suoi contempo-
ranei egli sta compiendo qualcosa di estremamente
importante. Se, infatti, si inoltra nel deserto, solo
per incontrare Dio e realizzare l'unione con lui attra-
verso preghiera e questo il suo modo d aiutare gli
altri. E dunque estremamente significativo che Arse-
nio, il Padre del Deserto che rappresenta il modello
dell' anacoresi nella sua forma pi intransigente,
venga abitualmente presentato negli Apoftegmi anzi-
tutto come un uomo d preghiera.
Queste precsazioni possono ora aiutarci a cogliere il
senso pi genuinamente cristiano dell'ascesi o, al-
meno, a evidenziare quella irriducibile tensione che
caratterizza, su questo tema, le fonti antiche.
2.1. Un monachesimo essenzialmente ascetico
Tra le fonti del monachesimo antico, una testimo-
nianza particolare rappresentata dalla Vita Antonii,
scritta dal vescovo di Alessandria Atanasio, verso il
356-357, cio poco dopo la morte del santo
59

tanza di quest'opera, per il nostro tema, data non
solo dal suo carattere esemplare e dall'influsso note-
vole che ha esercitato sulla tradizione successiva, ma
anche dal fatto che proprio con la Vita Antonii il ter-
mine askesis entra con forza e a pieno titolo nella let-
teratura cristiana
60

" Edizione critica del testo greco in ATHANASE o' ALEXANDRIE, Vie
d'Autoine (SC 400), a cura di G.J.M. BARTELINK, Paris, Cerf, 1994.
60
Basta scorrere l'Index des mots grecs nell'edizione di Bartelink (SC
400, 395-396) per rendersi conto della centralit del concetto di dsksis in
quest'opera di Atanasio: il verbo, nelle sue varie forme, ricorre infatti
sei volte ed il sostantivo trenta nove volte. Ci giustifica l'affermazione
34
Accostandosi alla Vita Antonii, non si pu ignorare il
problema della sua storicit, messa in dubbio gi alla
fine del XIX secolo da Helmut Weingarten
61
Qggi, la
Vita viene abitualmente concepita come una composi-
zione letteraria il cui scopo d delineare un ideale
monastico, presentato sotto l'aspetto di un personag-
gio storico
62
pertanto inevitabile che, attraverso le
sue pagine, traspaiano anzitutto le idee di Atanasio e
che, di conseguenza, sia praticamente impossibile se-
parare i fatti dalle idee
63

Per quanto riguarda il nostro tema, possiamo notare
che il vocabolo asksis fin dalle prime righe
del prologo, con il quale Atanasio risponde alle richie-
ste dei monaci occidentali, offrendo informazioni sul
genere di vita del beato Antonio: come inizi la vita
ascetica, chi era prima di dedicarsi all'ascesi, quale fu
la fine della sua vita e le cose che s dicono di lui per
poter emulare il suo zelo
64
Sebbene il vescovo di
di Adalbert de Vogu, secondo la quale agli occhi di Atanasio il mona-
chesimo essenzialmente ascetico (A DE Vocu, Histoire littrnire du
mouvement monastique dans I' Antiquit, t. I, cit., 32; cfr. G. CouiLLEAU,
La libert d'Antoine, in Commandame11ts du Seigneur et libration vangeli-
que, Roma, Pont. Ateneo S. Anselmo, 1977, 29, nota 52).
" Cfr. H. WEINGARTEN, Urspnmg des Miinchtums im nachostantini-
schen Zeitalter, Gotha, Perthes, 1877.
62 Cfr. S. RuBENSON, Christia11 Asceticism and the Emergwce of the
Monastic Tradition, cit., 50. Del resto, gi Gregorio di Nazianzo, aveva
intuito che la Vita di Antonio non altro che una monastica scritta
sotto forma di racconto: Atanasio compose [ ... ] vita del divino An-
tonio per dare regole alla vita monastica in forma di narrazione>> (GRE-
GORIO DI NAZIANZO, Orazio1ze 21,5, in Io., Tutte le Orazioni, a cura di C.
MORESCHINI, Milano, Bompiani, 2002
2
, 511).
61 Cfr. G.J.M. BARTELINK, Inlroductioll, in ATHANASE D' ALEXANDRIE,
Vie d' Antoine, cit., 42.
'' Cfr. Vita Antonii, Pro!. 2., 106. Sulla nozione di ascesi nella Vita
Antortii, cfr. A. DE Vocu, Hisloire littraire du mouvelltelll monastique, t. I,
cit., 26-35.
35
Alessandria non offra alcuna definizione dell'ascesi,
attraverso queste pagine appare ormai chiaramente
che con questo termine viene indicata la condotta di
vita dei monaci d'Egitto. Ci che per sembra pi in-
teressante lo stretto rapporto che Atanasio istituisce,
solo poche pagine pi avanti, tra ascesi ed Evangelo.
infatti dalla parola evangelica ascoltata nella "casa
del Signore" Se vuoi essere perfetto, va', vendi
tutto quello che possiedi e dallo ai poveri; poi vieni
eseguimi e avrai un tesoro nei cieli (Mt 19,21)- che
scaturisce la vita ascetica di Antonio
65
: una vita con-
dotta ai margini del proprio villaggio, com'era ancora
abitudine in quel tempo.
Si dedic all'ascesi (nskesis) davanti a casa sua, vigilando
su di s (prosochu) e sottoponendosi a una dura disci-
plina. Allora, infatti, non c'erano ancora in Egitto tante
dimore di solitari e il monaco non conosceva ancora il
grande deserto. Chi voleva vigilare (prosecheill) su se
stesso si dedicava all'ascesi (asksis) in soltudine, non lon-
tano dal proprio
In queste righe si trovano di nuovo associati - in
modo certamente non casuale, dato il precedente ori-
geniano che gi abbiamo notato nel Contro Celso - i
termini prosoclze e askesis (impegno/attenzione ed
esercizio), che ora vengono a caratterizzare la vita
monastica di Antonio
67

Subito dopo, descrivendo gli elementi che caratteriz-
zano l'ascesi iniziale del giovane monaco, Atanasio
65
Vita Antonii 2,3, 111. Da allora il testo di Ml19,21 diventato un
lopos ricorrente nei racconti di vocazione monastica.
66
Vita Anto1Iii 3,2, 113.
67
Cfr. M. SHERIDAN, l/ mondo spirituale e intellettuale del primo moHa-
c/zesimo egiziano, cit., 193-197.
36
elenca anzitutto il lavoro, la preghiera e la lettura
delle Scritture
68
Quindi aggiunge ci che Antonio im-
para mettendosi alla scuola,dei c:1e :o
preceduto nello zelo e nell asces1, e cwe: l
l'assiduit nella preghiera, la mitezza, l'amore per 11
prossimo, le veglie, la lettura delle Scritture
69
, la per-
severanza, i digiuni, l'abitudine di dormire sulla nuda
terra, la dolcezza, la magnanimit, la fede in Cristo
70
e
l'amore vicendevole
71

Ci che per pi conta, per Atanasio, che Antonio
destinato a diventare <<maestro di molti in quella vita
ascetica che aveva appreso dalle Scritture
72
E il cam-
mino progressivo che porta Antonio a diventare
maestro di molti, struttura in modo ben preciso an-
che la Vita Antonii, nelle quattro tappe del suo pro-
spirituale:
1) dapprima il ritiro ai margini del proprio villaggio
(3-7);
2) poi l'uscita dal villaggio per vivere in un sepolcro
(8-10);
3) quindi la partenza verso la solitudine, che vede
Antonio inoltrarsi nel deserto, sino a raggiungere il
monte Pispir, situato a est del Nilo (11-15), localit
che, pi avanti, verr chiamata "la montagna este-
riore" (to ex6 oros) (61,1; 72,2; 73,1; 84,2.5; 89,2; 91,1);
4) infine, assediato dalle folle e temendo di insuper-
birsi per i prodigi che il Signore operava per mezzo
'" Vita Anto11ii 3, 6-7 .
, questo il senso assunto dal verbo philologein in ambito cristiano.
?o n termine eusebeia indica abitualmente 111 AtanasiO la fede
cristiana
71 Cfr.
n Vita Antonii 46, 6.
37
suo, Antonio parte per un nuovo luogo di ritiro. Dopo
un viaggio di tre giorni e tre notti, egli giunge nella
parte pi orientale del deserto arabico, a circa 30 km
dal mar Rosso. Antonio am quel luogo e vi si stabil,
vivendo da solo, nella parte interna della montagna
(to es oros). Questo nuovo ritiro viene definito da
Atanasio "il deserto interiore" (49,4) o "la montagna
interiore" (49-51).
Giocando sull'ambiguit del termine greco es - che.
significa "interno", ma anche "interiore"-, Atanasio
tratteggia il percorso di Antonio come un cammino
che, attraverso la ricerca della solitudine, lo porta a
inoltrarsi nella parte "pi interna del deserto", fino a
scoprire il "deserto interiore" (eis th1 esteran eremon).
In questo modo, le indicazioni geografiche che scan-
discono i quattro momenti della Vita Antonii, rivelano
anche le tappe del suo cammino spirituale, che un
cammino di interiorizzazione dell'esperienza del de-
serto.
2.2. "Fuga mundi" o carit fraterna?
Vorrei toccare ora alcuni punti critici dell'ascesi di
Antonio. Il primo quello che riguarda il rapporto
fra ascesi e carit fraterna. Sono realmente elementi
inconciliabili?
Mi sembra di poter individuare una risposta nella
narrazione della quarta tappa della Vita di Antonio,
un momento essenziale nel quale il protagonista sco-
pre "il deserto interiore". Pur vivendo gi in una lo-
calit deserta, il monastero del monte Pispir, Antonio
vuole passare ad una solitudine ancor pi completa.
38
In questo passo decisivo, il Signore interviene in
modo manifesto per dirigere il suo cammino:
Quando vide che molti lo molestavano e che non poteva
nascondersi come voleva, Antonio, temendo di insuper-
birsi per le cose che il Signore faceva per mezzo suo, e
che gli altri lo stimassero pi del giusto, pens e subito
volle andare nella Tebaide superiore, presso gente che non
lo conosceva. Prese del pane dai fratelli e si sedette sulla
riva del fiume, guardando se per caso passasse una nave
su cui imbarcarsi.
Mentre era immerso in questi pensieri, gli giunse una voce
dall'alto: Antonio, dove vai? E perch te ne vai?. Non ne
rimase turbato ma, quasi fosse abituato a essere chiamato
in quel modo, l'ascolt e rispose: Perch le folle non mi
permettono di vivere in pace (erem.ein), voglio andarmene
nella Tebaide superiore; qui ho molti fastidi e soprattutto
mi vengono chieste cose che oltrepassano le mie forze. La
voce allora gli disse: Anche se salirai nella Tebaide, anche
se, come pensi di fare, te ne andrai verso le Bucolie - una
regione acquitrinosa nel delta del Nilo -, dovrai soppor-
tare una fatica maggiore, due volte pi grande. Ma se vuoi
veramente vivere in pace (eremei11), va' verso il deserto
interiore (eis es8teran erem8n). [ ... ]
Dopo aver camminato tre giorni e tre notti, raggiunse una
montagna molto alta ai cui piedi scorreva dell'acqua lim-
pida, dolce e freschissima. Intorno vi era una radura e
poche palme selvatiche (49,1-5).
Antonio, ispirato da Dio, am quel luogo; [ ... ] rest solo
sul monte e nessuno stava con lui. [ ... ] Ormai considerava
quel luogo come la sua casa (50,1).
In questo modo, la vocazione eremitica viene appro-
vata e confermata da Dio stesso e cos, Antonio
prende possesso non solo dell'alta montagna, ma an-
che del "deserto interiore". In questo modo, infatti,
viene interpretato questo episodio dalla versione la-
tina della Vita, nella quale le parole della voce celeste
vengono tradotte: Si auten1 vere secedere vis, et in si-
39
lentio esse, vade mmc in desertum interiorem. Ci che
viene proposto ad Antonio, dunque, non tanto un
deserto geografico, bens il deserto interiore del
cuore, dove possibile in silentio esse, nonostante la
presenza di altri.
Se, di nuovo, la solitudine di Antonio destinata a
diventare relativa, la presenza dei fratelli, per, non
costituisce pi un ostacolo e neppure gli impedisce di
essere l'uomo del deserto, perch Antonio ha ormai
conquistato quel "deserto interiore" che nessuno gli
pu pi strappare. Un nuovo tratto si aggiunge cos
alla vita di questo monaco esemplare: l'ospitalit.
Vedendo che molti salivano da lui, si mise a coltivare an-
che alcuni ortaggi, perch chi veniva a trovarlo ricevesse
qualche conforto dopo la fatica di quel difficile cammino
(50,7). [ ... ]Da allora, [i monaci] andavano da lui; e osavano
venire sul monte anche altri fratelli afflitti da malattie. A
tutti i monaci che venivano a trovarlo raccomandava co-
stantemente di aver fede nel Signore, di amarlo, di tenersi
lontani dai piaceri impuri e dai piaceri della carne [. .. ] di
fuggire la vanagloria, di pregare incessantemente, di reci-
tare i salmi prima e dopo il sonno, di imprimere nel loro
cuore i precetti delle Scritture (55,1-2).
Anche il ritratto che ci offrono gli Apoftegmi presenta
Antonio come un uomo che avverte una profonda
compassione per gli altri e un senso diretto della re-
sponsabilit: Dal prossimo - egli insegna - ci ven-
gono la vita e la morte. Perch se guadagniamo il fra-
tello guadagniamo Dio, ma se scandalizziamo il fra-
tello pecchiamo contro Cristo
73
Questa visione
inoltre confermata dall'insegnamento sulla carit fra-
terna trasmesso dalle lettere:
73
Antonio 9, 226.
40
[Il Padre] ci ha radunato da tutte le nazioni per far risor-
gere i nostri cuori dalla terra e per insegnarci che noi tu t ti
facciamo parte di un'unica natura e siamo membra gli uni
degli altri. Per questo dobbiamo amarci gli
uni gli altri perch chi ama il suo prossimo ama Dio e chi
a1na Dio ama se stesso
74

2.3. Rinnegamento o trasfigurazione del corpo?


Un ulteriore problema legato al concetto cristiano di
ascesi, riguarda la concezione del corpo. Peter Brown,
nel suo volume Il corpo e la societ, notava il disagio
che anche oggi colpisce il lettore, di fronte alla greve
e insistente fisicit dei racconti riguardanti gli asceti,
racconti che hanno indotto gli studiosi odierni a ve-
dere nel "disprezzo della condizione umana" e nel-
l'"odio per il corpo" i moventi primari delle priva-
zioni fisiche volontariamente subite dai monaci
75

innegabile che anche l'ascesi rifletta l'antropologia
professata e, quindi, risenta della cultura platonica
dominante nell'ambiente alessandrino dei primi se-
coli, la quale si prestava ad affermare un dualismo a
favore dell'anima, schiava di un corpo difficile da do-
mare e destinato alla morte. Non si pu per ignorare
l'insistenza con cui il cristianesimo delle prime gene-
razioni- proprio perch doveva tracciare una propria
strada all'interno di un ambiente culturale fortemente
impregnato di platonismo- si continuamente richia-
mato al pensiero biblico, che imponeva rispetto per il
corpo, realt buona, creata da Dio. Lo dimostra, ad
74 ANTONlO, Lettera 4,9, 266.
75 P. BROWN, Il carpo e la societ, cit., 201. Nel testo che abbiamo
citato, Brown si riferisce a E.R. Dooos, Pngan and Christian in an Age of
Anxiety, Cambridge, Cambridge University Press, 1965, 35.
41
-
esempio, il fatto che, quando gli asceti del deserto -
considerati gli atleti di Cristo - sono stati proposti
come ideale per tutti i cristiani, i migliori maestri
non hanno cessato di raccomandare la moderazione
e di denunciare gli eccessi evidenti di alcune pratiche
ascetiche
76

Agostino, ad esempio, nel trattato De moribus Ecclesiae
catholicae, composto a Roma all'inizio del 388, contro
l'insolenza dei manichei che si gloriavano per la pu-
rezza di costumi dei loro eletti, dedica alcune pagine
alla vita monastica, per mostrare sia il valore dell'a-
scesi cristiana, sia la santit di vita degli anacoreti:
Non dir niente uomini che ho ricordato poco fa, i
quali, ritiratisi in assoluta solitudine lontano da ogni
sguardo umano, contenti del solo pane che viene portato
loro a determinate ore e dell'acqua, abitano le terre pi
deserte, godendo del colloquio con Dio, a cui si sono uniti
con le menti pure e felicissimi di contemplare quella sua
bellezza, che pu essere percepita solo dall'intelletto dei
santi. Di come dico, non parler, poich ad alcuni
sembra che abbiano abbandonate le cose umane pi di
quanto non convenga, senza capire quanto a noi siano di
giovamento lo spirito impegnato nella preghiera e la vita
dedita di coloro dei quali non ci consentito
Certamente Agostino era stato affascinato dall'ideale
monastico del deserto, come attesta ad esempio l'im-
portanza che le Confessioni attribuiscono alla Vita An-
76
Cfr. M. DESI'LAND, Le corps et I'Occfdeul. U11 survol, <Religiologi-
quesn 12 (1995) 210.
77
AGOSTINO o'IPPONA, De moribus Ecclesiae calliolicne !,31,66, n
SANT'AGOSTINO, Polemica con i Manichei (NBA XXX/l), Roma, Citt
Nuova, 1997, 97.
42
tonii nel contesto della sua conversione, tuttavia, quel
modo di vivere era superiore alle sue forze, come egli
stesso costretto ad ammettere in un'altra pagina del
De moribus: Hoc excedit nostram tolerantiam}>. Egli,
dunque, ammirava quegli austeri monaci del deserto,
ma mai aveva pensato di doverli imitare.
Troviamo un altro esempio di equilibrio in materia di
ascesi, nel De virginitate di Gregorio di Nissa, un trat-
tato composto per offrire una dottrina spirituale alle
comunit basiliane della Cappadocia. Il capitolo 22,
ad esempio, sorprendentemente intitolato: "Non bi-
sogna esercitarsi nell'astinenza (aslcein ten eglcrateian)
al di l del necessario, infliggendo al corpo rigori ec-
cessivi, se LJUesto nuoce alla contemplazione". Inoltre,
al capitolo Gregorio ammonisce chi si ac-
cinge a vivere la vita monastica, a osservare la misura
dell'astinenza (egkrateias metra), come si pu appren-
dere dagli di chi esperto:
Come infatti chi desidera imparare la lingua di un popolo
non pu fare da maestro a se stesso, ma deve farsi istruire
dagli esperti e riesce a parlare la stessa lingua degli stra-
nieri solo se si abitua lentamente ad ascoltarla, cos a mio
avviso non si pu imparare la severit di questo tipo di
vita [ ... ] se non ci s lascia guidare da chi riuscito a rea-
lizzarla
78

Michel Aubineau, nell'edizione del De virginitate da


lui curata per la collana "Sources Chrtiennes", av-
verte che bene ricordarsi di queste pagine per por-
tare un giudizio pi sfumato ed equo sul "platani-
76
GREGORIO DI NISSA, De virginitate, 23,2, in GREGORIO DI NISSA
GIOVANNI CRISOSTOMO, La vergiuil (Testi Patristic 4), a cura di S.
LILLA, Roma, Citt Nuova, 1990
2
, 111.
43
smo" di Gregorio di N issa
79
Il platonismo
1
infattC nei
primi secoli dell/era cristiana/ va inteso non tanto
come una dottrina, quanto invece come un patrmonio
culturale indistinto/ una sorta di koin platonica/ che si
esprime con delle immaginC un vocabolarib e una
mentalit comune che, negli autori cristiant si fonde
con la cultura biblica
80

Tornando ora alla Vita Antonii1 mi sembra di poter dire
che generalmente in questo testo si pu notare un at-
teggiamento positivo nei confronti del corpo, sebbene
non manchino alcune pagine pi imbarazzanti a que-
sto riguardo. Atanasio ci informa, ad esempio/ che
Antonio si vergognava di alcune funzioni del corpo:
Al momento d mangiare, di dormire o di soddisfare le
altre necessit del corpo, si vergognava, pensando alla
natura spirituale dell'anima. Pii:t volte
1
poi, quando stava
per mangiare con molti altri monaci, ricordandosi del nu-
trimento spirituale (cfr. 1Cor 10,3), rifiutava l cibo e si
allontanava, ritenendo vergognoso che altri lo vedessero
mangiare. Diceva che occorre prestare ogni cura all'anima
piuttosto che al corpo, concedere poco tempo al corpo per
i suoi bisogni e dedicarsi, invece, interamente all'anima e
cercare ci che le utile, affinch non sia trascinata dai
piaceri del corpo; il corpo che deve diventare schiavo
dell'anima"
I sentimenti di disprezzo o di vergogna nei confronti
del corpo, sembrano essere di chiara matrice neopla-
tonica. In realt, si possono scorgere anche in queste
righe chiare allusioni bibliche come lCor 9,27, a cuL
M. AUBINEAU, nota 4, in GRGOJRE DE NYSSE, Trai/ de la virgnit
(SC 119), Paris, Cerf, 1966, 521.
50
Cfr. M. AUBINEAU, flltroduclioll, in GRGOIRE DE NYSSE, Tmit de la
virgi11it; cit., 99.
" Vita Antonii 45,2-3, 166.
44
subito dopo, Atanasio aggiunge alcune citazioni
esplicite della Scrittura:
Questo, infatti, ha detto il Signore: "Non dateyi pensiero
per la vostra vita
1
di quello che mangiatei n per il vostro
corpo, come lo vestirete" (Le 12,29-31). "Non cercate che
cosa mangerete o che cosa berrete e non affannatevii tutte
queste cose le cerca la gente del mondo, ma il Padre vostro
celeste sa che ne avete bisogno. Cerca te piuttosto il suo
Regno tutto il resto vi sar dato in aggiunta" (Mt 6,31-
33)
82

Secondo il vescovo di Alessandria, l'ascesi condotta


dal grande monaco del deserto non risulta dannosa
per il suo corpo. Lo si pu constatare/ ad esempio, al
capitolo 14, quando gli amici e i parenti del santo
pongono fine a una lunga reclusione, durata ven-
t'anni, forzando la porta del fortino nel quale egli si
trovava e costringendolo a mostrarsi:
Antonio usc come un iniziato ai misteri (memustagogme-
nos) nel segreto del santuario (adutall) e come ispirato dal
soffio divino (theop/wroumenus)
83

Gli studiosi hanno notato che il ritratto di Antonio,


tracciato in questa pagina, presenta tratti comuni
con quello di Pitagora tracciato da Porfiro
84
L'inten-
zione va probabilmente colta nel desiderio di contrap-
porre al filosofo il santo cristiano
85
. Mi sembra per
importante insistere anche sull'importanza della me-
tafora atanasiana della penetrazione nel santuario
sz Vira A11tonii 45,7, 167.
" Vita A11tollii 14,2, 131.
" Cfr. PORFJRIO, Vita di Pitngom 34-35.
"' Cfr. A. DE VoGU, Histoire lttmire drr nwuvement monnstique dans
l' nntiquit, t. L, cit., 45-47.
45
(aduton), che opera nel monaco una vera "mistago-
' come suggerisce il testo greco, nel quale tutta
la frase riecheggia le idee ellenistiche dell'iniziazione
misterca
86
Questo fatto interessante, soprattutto se
collocato nel contesto alessandrino del IV secolo,
quando le religioni misteriche stavano arrivando al-
l' esaurimento del loro ciclo vitale e il termine "mista-
gogia" andava assumendo un'importanza particolare
in ambito patristico, legato ai riti dell'iniziazione cri-
stiana.
In questa pagina, Atanasio sembra dirci che il silenzio
di quei lunghi anni di solitudine era stato per Antonio
una vera "mistagogia" che non solo lo aveva iniziato,
ma lo aveva condotto a penetrare in profondit nel
Mistero di Cristo. Anche il corpo dell'asceta usciva
trasfigurato da quell'esperienza, come se in lui la
creazione avesse potuto ritrovare i suoi tratti primor-
diali e la sua conformit al disegno del Creatore. An-
tonio, uscendo, ormai capace di trasmettere agli altri
quell'esperienza che l'ha trasformato.
[Gli amici che avevano abbattuto la porta], quando lo vi-
dero, rimasero meravigliati osservando che il suo corpo
aveva l'aspetto abituale e non era n per man-
canza di esercizio fisico, n dimagrito a causa dei e
della lotta contro i demoni. Era tale e quale l'avevano co-
nosciuto prima che si ritirasse in solitudine. E anche il suo
86
Luciano di Samosata, nei Philopseudes 34, ci informa di un certo
Pancrates, uomo mirabile per il sapere e versato in tutta la dottrina degli
Egiziani, il quale era rimasto ventitr anni nei santuari (adutois) s t t ~ r
rane, in cui Isde l'aveva iniziato ai misteri della (cfr. V. DESPREZ,
Le monachisme primilif. Des origiues jusq'au concile [Spiritualit
orientale 71]. Bgrolles en Mauges, Abbaye de Bellefontaine, 1998, 188,
nota 92; B. McGtNN, Storia della Mistica cristiano in Occidente. Le origini
{I-V secolo], Genova, Marietti, 1997, 181, nota 15).
46
spirito era puro; non appariva triste, n svigorito dal pia-
cere, n dominato dal riso o dall'afflizione
87

La Vita si conclude con la descrizione di un ,ultimo


ritratto di Antonio, l'uomo di Dio che mantenne
identico zelo nell'ascesi dalla giovinezza alla vec-
chiaia:
Non si lasci vincere nemmeno durante la vecchiaia dal
desiderio di cibi raffinati, n si lasci indurre dalla debo-
lezza del corpo a cambiare il modo di vestire o di lavarsi
anche solo i piedi. Tuttavia si conserv in ottima salute.
Aveva occhi sanissimi e ci vedeva bene, non era caduto
nessun dente[ ... ]. Ma'ni e piedi erano sani e appariva sem-
pre pi vivace e forte di quanti si nutrono di cibi svariati e
usano lavarsi e indossare vesti diverse".
Johannes Roldanus, commentando questa
della Vita Antonii, si diceva propenso a credere che
la vitalit del vecchio monaco dovesse essere conside-
rata come un segno dell' aphtarsia (incorruttibilit) fu-
tura
89
. Questo ci sembra verosimile, dal momento
'7 Vita Antoni 14,3, 131.
" Vita A11tonii 93,2, 217. In realt, questo ritratto che ci ha lasciato
Atanasio, viene contraddetto dal racconto trasmesso dalle Vite di Paco-
mio, secondo il quale il corpo di Antonio, nel 347, era gi
debilitato. Si legge infatti che quando Pacomio, il fondatore cenobi-
tismo egiziano, mor era i19 maggio 347-, una delegazione guidata dal
suo discepolo Teodoro si rec ad annunciarne la morte al vescovo Ata-
nasio. Passando da Pispir, sapendo che Antonio s trovava l, andarono
a salutarlo. Egli, essendo malato, stava abitualmente coricato, ma in
quell'occasione si alz per salutare i suoi visitatori. Antonio aveva al-
lora 95 anni (cfr. V. DESPREZ, Le monaclzisme primtif, ciL, 167 e nota 83;
184).
89
Cfr. Sap 2,23-24: Dio ha creato l'uomo per l'incorruttibilit (aph-
tharsia), l'ha fatto a immagine d ci che gli proprio. In questo testo
l'autore riprende in modo originale il tema dell'uomo creato a immagine
di Dio (Gen 1,26) servendosi di un'espressione ricercata: aphtllarsia (=
incorruttibilit o eternit), che sembra insistere sulla eternit divina.
L'imago Dei, che il Creatore ha impresso nell'uomo, sembra dunque
47
che Atanasio ripete spesso che vede fin d'ora agire
nell'uomo le energie della divinizzazione, grazie al-
l'incarnazione di Cristo. L'esplicita menzione della
buona salute di Antonio sarebbe allora una prova ul-
teriore dell'affermazione di Atanasio, secondo la
quale il corpo coinvolto nella salvezza e che il suo
ideale ascetico non si fonda sul dualismo spirito-ma-
teria
90

CoNCLUSIONI
Che cosa fate pi di noi?. Concludendo queste ri-
flessioni, possiamo ora cercare di rispondere a questa
domanda, indicando alcuni elementi che nell' Anti-
chit hanno caratterizzato l'ascesi cristiana, distin-
guendola dagli "esercizi spirituali" proposti dalla
coeva cultura profana.
La complessit dell'ambiente culturale dei primi se-
coli e le letture parziali o tendenziose, che alcuni
autori propongono oggi di quel contesto, rendono
piuttosto cauti nell'accogliere le loro teorie che, attra-
verso l'enfatizzazione dei classici greci, pongono in
atto una critica pi o meno velata dell'ascesi cristiana.
Se, infatti, da un lato risulta innegabile che l'ascesi
cristiana antica affonda le sue radici nella prassi asce-
consistere nell'incorruttibilit o eternit- e non solo dell'anima -, es-
sendo l'eternit ci che proprio di Dio.
90
J. RoLDANUS, Le Christ et 1'/wmme dans la thologie d'At/zanase d'A-
lexandrie, Leiden, Brill, 1968, 320 (abbiamo ripreso la traduzione di que-
sto testo riportata in ATANASIO DI ALESSANDRIA, Vita di Antonio, a cura
di L. CREMASCHI, cit., 218, nota 196,). Anche Peter Brown sembra con-
fermare questa lettura, quando osserva che i Padri del deserto <<ritene-
vano che la presunta trasfigurazione raggiunta sulla terra dai pochi
grandi asceti prefigurasse la trasformazione finale del proprio corpo
nel giorno della risurrezione (P. BROWN, Il Corpo e la societ, cit., 201).
48
tica della cultura filosofica circostante, dai testi esa-
minati emerge, non meno evidente, la preoccupa-
zione, da parte dei cristiani, di precisare la ~ i f f e
renza" che caratterizza la qualit evangelic delle
loro pratiche ascetiche.
Nel nostro percorso non potevamo ignorare che l'a-
scesi cristiana, fin dalle sue origini si presentata
come un fenomeno non univoco, percorso da ten-
denze piuttosto diverse, alcune pi rigide e altre, in-
vece, pi moderate. Per questo motivo ho evitato di
raccogliere dati frammentari- che sarebbero risultati
inevitabilmente avulsi dal loro contesto - per farli
convergere intorno a un tema, e ho preferito soffer-
marmi su alcune pagine significative della Vita Anto-
nii, al fine di cogliere l'ascesi monastica del deserto
nelle sue motivazioni e nel suo senso pi genuina-
mente cristiano. Si trattato evidentemente di un tra-
gitto parziale, limitato da scelte precise, che per non
poteva ignorare l'irriducibile tensione che caratte-
rizza, riguardo al nostro tema, non solo le fonti anti-
che, ma le pagine stesse della Vita.
La lettura di questo testo ci ha permesso di constatare
che l'ascesi non viene mai definita, ma semplicemente
indicata come una condotta di vita, una politeia.
stato poi interessante osservare lo stretto legame che
Atanasio ha voluto istituire tra ascesi ed Evangelo.
dalla parola evangelica di Mt 19,21, infatti, che il ve-
scovo fa scaturire la vita ascetica di Antonio (VA 2,3);
inoltre, non solo l'ascolto della Parola di Dio costitui-
sce uno degli elementi portanti dell'austera ascesi ini-
ziale di Antonio (VA 3,6-7), ma il vescovo convinto
che quel genere di vita pu essere appreso solo dalle
49
Scritture e solo in esse trova il suo fondamento e le sue
motivazioni (VA 46,6)
91
Toccando poi alcuni punti
critici della politeia del deserto egiziano, ci siamo sof-
fermati dapprima sul rapporto fra ascesi e carit fra-
terna e, successivamente, su quello fra ascesi e corpo,
due aspetti emblematici di un disagio oggi diffuso
riguardo al tema ascetico. Dalla Vita e dall'insegna-
mento di Antonio risulta evidente che l'ascesi non
pu contrapporsi al precetto evangelico della carit
fraterna, come del resto il corpo- realt buona creata
da Dio- non pu essere nemico dell'anima; l'ascesi ha
invece il compito di trasformarlo, rinnovarlo e sotto-
metterlo alla potenza dello Spirito, perch un corpo
interamente purificato ha gi ricevuto in parte quel
corpo spirituale che riceveremo alla risurrezione dei
giusti
92
Alcune pagine pi imbarazzanti della Vita
Antonii- che non abbiamo voluto ignorare- attestano
non solo la tensione che caratterizza la riflessione ata-
nasiana sul nostro tema, ma anche la difficolt di of-
frire una soluzione adeguata al problema dell'incon-
tro tra Evangelo e cultura profana e, in particolare,
con il "platonismo" che, pur offrendo uno strumento
alla riflessione cristiana, risulta ancora talvolta di dif-
ficile armonizzazione con il pensiero biblico. La con-
sapevolezza di questo fatto permette ad Atanasio di
affermare con chiarezza alcuni dati irrinunciabili del
pensiero cristiano, come ad esempio la realt della
91
evidente che Atanasio vede nell'ascesi di Antonio una disci-
plina che proviene dalla Scrittura e da essa sola. [. .. ] Derivata dalle
Scritture, _l'ascesi antoniana un'illustrazione di e la prova che
s ~ non Impongono nulla di (A. DE Histoire litt-
ralre du mouvement nw1lastique, I, cit., 32-33).
92
ANTONIO, Lettera 1,4, cit., 242-244.
so
carne assunta dal Figlio di Dio, posta come principio
rinnovatore della nostra umanit, che esclude ogni
dualismo nocivo. Ci conferma che il vescovo, pur
utilizzando gli strumenti della cultura alessandrina
e, quindi, risentendo di un'inevitabile impronta pla-
tonico-origeniana -, non ne subisce ingenuamente
l'influsso, ma se ne serve come di un patrimonio
espressivo, consapevolmente ed evangelicamente ri-
letto. L'atteggiamento verso il corpo, nonostante le
inevitabili tensioni a cui ho accennato, risulta per-
tanto fondamentalmente positivo: l'ascesi ha lo scopo
di ripristinarlo nel suo stato naturale, cio nella sua
vera condizione, voluta da Dio.
Concludendo qui il percorso che, in queste pagine, ci
ha permesso di tracciare un segmento di storia della
spiritualit, sono consapevole che questa rilettura de-
gli autori antichi non dar immediatamente le rispo-
ste ai nostri problemi e neppure ci esimer dalla fatica
di ripensare oggi il tema dell'ascesi. Lo scopo che d
siamo proposti in queste pagine, infatti, non voleva
essere quello di ricercare "l'attualit" di una dottrina
antica, quanto invece il tentativo di comprenderla in
profondit, per poter intuire, anche nella cultura
odierna, un adeguato cammino d fede.
51
Giuseppe Angelini
Gli n ideali ascetici''"'
Pertinenza e limiti
della lettura ascetica del cristianesimo
l. PRIMA ISTRUZIONE DELLA QUESTIONE
I
l titolo scelto per la presente riflessione, gli "ideali
ascetici", intende suggerire un proposito ambi-
zioso, fin troppo ambizioso per un contributo mode-
sto e assai preliminare come il presente. E tuttavia un
proposito inevitabile, con il quale la riflessione teolo-
gica deve in un modo o nell'altro cimentarsi; soprat-
tutto quando essa si proponga di produrre un chiari-
mento dell'idea di ascesi.
L'espressione "ideali ascetici" di Nietzsche, come a
tutti noto; a tale espressione egli ha affidato il compito
di esprimere in maniera sintetica la sua comprensione
del cristianesimo, e insieme la critica di esso. La ridu-
zione del cristianesimo agli "ideali ascetici" comporta
infatti certo anche una critica; ma non solo una critica;
essa raccomanda insieme anche un positivo apprezza-
mento del cristianesimo. Gli "ideali ascetici" avreb-
bero infatti consentito al cristianesimo di realizzare
il primo esperimento, e fino ad oggi addirittura l'u-
nico esperimento riuscito, di realizzare un obiettivo
arduo, e insieme inevitabile: quello di rendere l'uomo
interessante per se stesso, di renderlo dunque capace
addirittura di volere.
53
La comprensione del cristianesimo quale ideale asce-
tico di vita appare certo impertinente, quando riferita
al vangelo stesso di Ges. Prima ancora, essa appare
imprecisa; l'uso stesso del generico plurale, "ideali
ascetici", intende discretamente suggerire tale va-
ghezza del concetto. E tuttavia quella comprensione
ha indubbie ragioni di pertinenza, quando sia riferita
alle concrete forme assunte dalla tradizione storica
del cristianesimo. Mi riferisco qui in particolare alle
forme pratiche nelle quali stato proposto l'ideale
cristiano di vita, come anche e soprattutto alle dot-
trine, e alle dottrine intorno alla morale in particolare.
Appunto delle dottrine, soltanto di quelle, intendo
qui occuparmi.
La lettura del cristianesimo, che Nietzsche propone,
rimanda ad un compito che appare inevitabile per la
teologia, e anche di grande rilievo: quello appunto di
precisare il senso e il rilievo che l'impegno ascetico
assume nell'economia della vita cristiana. Che l'impe-
gno pratico del cristiano comporti in ogni caso anche
un momento ascetico, appare indubbio. Per momento
ascetico intendiamo, in primissima battuta, il mo-
mento del sospetto nei confronti della spontaneit
dei desideri, e della stessa spontaneit dell'agire.
Tale sospetto si traduce in fretta nell'impegno a sosti-
tuire la conoscenza oggettiva, e dunque la legge, alla
vaghezza degli impulsi. Una tale sostituzione
esercizio, e dunque ascesi
1
Che l'impegno pratico
1
Il termine greco ascesi significa alla lettera esercizio; il suo primo
uso si riferisce agli esercizi del corpo, siano essi quelli propri dell'atleta
o quell propri del soldato; la trasposizione esercizi mirati al rag-
della virt abbastanza (cfr. EPITTETO in spe-
Ill, 3, 16; Euc/1. 47); il termine non appartiene per al vocabo-
54
del cristiano possa per essere inteso nel suo insieme
come impegno ascetico, parrebbe da escludere. Di
fatto sembra invece che le dottrine morali della tradi-
zione cristiana abbiano in molti modi raccom
1
andato la
comprensione del momento pratico in termini asce-
tici. Rimane per altro da precisare che cosa voglia
dire impegno ascetico: da intendere come impegno
che ha la figura dell'esercizio, secondo il significato
letterale del termine
2
? Oppure da intendere come
impegno alla rinuncia, secondo l'accezione del ter-
lario del N uovo Testamento; una volta sola ricorre il verbo corrispon-
dente (askein) in Al 24,16 (Per questo mi sforzo di conservare iH og11i llto-
mCHto una coscie1tzn irreprellsibilc davn11li a Dio e davn11ti agli llomini), in
contesto che suggerisce con efficacia il nesso tra momento dell'esercizio
ascetico e momento dell'impegno morale della vita tutta; all'origine
prossima dell'uso di ascesi nella tradizione cristiana sta probabilmente
Filone di Alessandria; egli distingue nell'educazione tre momenti,
noti alla sofistica (istruzione, natura e ascesi) e li riferisce tre
patriarchi, Abramo, !sacco e Giacobbe; modello dell'atleta/asceta il
terzo, che lotta con Dio; gi in Filone l'ascesi associata all'enkrtcin
(padronanza di s), un termine che, nella tradizione stoica in
!are, indica il senso sintetico della virt; in tal senso, la virt intesa
come attitudine al dominio delle passioni, e dunque come libert dalle
p a t ' ~ ' ' Il termine enkrteia, gi presente nel Nuovo Testamento, sar
grande impiego nella tradizione ascetica cristiana, dunque nella let-
teratura monastica; documentazione sintetica per queste indicazioni si
trovano nell'articolo askeo, di H. WINDISCH, in Grmtde Lessico del Nuovo
Testame11to, vol. L Brescia, Paideia, 1965. 1313-1318.
Il contributo di A. Montanari, in stesso volume, opportu-
namente ricorda la distinzione tra (nskesis) e rinuncia (apol11xis),
riferendosi in particolare a testi di Basilio (cfr. n. 19); ricorda ancora la
distinzione tra prosocl1 e tiskesis, attenzione ed esercizio, che iusieme
caratterizzano la vita monastica del deserto (vedi 14, n. 17); ricorda
poi che l'esercizio (skesis) dell'astinenza esige il riconosci-
mento della misura che all'astinenza deve essere imposta (citazione
del de Virgi11itate di Gregorio di Nissa, alla n. 78); tutti questi luoghi
attestano come l'ascesi della tradizione cristiana antica non possa essere
ridotta alla figura della rinuncia; rimane altro operante anche in
tutte queste distinzioni la prospettiva secondo la quale ci si
accosta a Il' ascesi; e in ogni caso il senso che il termine ascesi/ ascetico
assume nella storia del cristianesimo moderno non pu spiegarsi per
55
mine divenuta prevalente, e registrata dalla stessa
espressione di Nietzsche? L'esercizio mira a realizzare
l'obiettivo della padronanza di s; la rinuncia mira
invece alla cancellazione di s.
Il nostro obiettivo appunto quello di precisare la
denuncia, e quindi le ragioni di parzialit
che la prospettiva ascetica mostra in ordine ad una
pi adeguata del senso e del valore del-
l' agire cristiano.
La lettura del cristianesimo in termini ascetici oggi
generalmente respinta dai addirittura con
indignazione; appare infatti come una mortificazione
insopportabile dell'immagine che assume la vita sca-
ttuente dalla fede nel vangelo. E tuttavia insieme
riconosciuta con certa facilit la pertinenza della de-
nuncia per riferimento alle forme storiche del cristia-
nesimo; le immagini della vita cristiana di fatto pro-
poste da una lunga tradizione, dottrinale e pratica
insieme, hanno effettivamente alimentato l'imrnagine
del cristianesimo quale ascetismo, quale dottrina che
insegna il sospetto nei confronti di httto ci che ap-
pare spontaneo, e dunque raccomanda la rinuncia.
Minore attenzione portata al profilo pi formale,
quello per il quale ascesi significa esercizio, e non
subito rinuncia; mentre proprio questo secondo pro-
filo appare il pi determinante per intendere il suc-
cesso storico della declinazione ascetica del cristiane-
simo.
riferimento alla filologia e all'uso che di quel lessico ha fatto la lettera-
tura cristiana antica.
56
1.1. L'agire del cristiano come esercizio
N ella storia del pensiero cristiano a proposito dell'a-
gire la linea dominante effettivamente privilegia il
modello ascetico per intendere in genere quale sia la
figura del momento pratico della vita cristiana. Esso
inteso nella prospettiva della lotta alle passioni, rivolta
all' obiettvo di realizzare la padronanza di s (cnkr-
teia). Tale modello di comprensione conferisce all'im-
pegno pratico tratti assai dubbi. Esso compreso in-
fatti, e quindi anche apprezzato, ponendosi pregiudi-
zialmente nell'ottica della relazione che il soggetto
intrattiene con s stesso; pi l'agire
compreso nella prospettiva della delle fa-
colt umane, e quindi del loro possibile conflitto; non
invece compreso nell'ottica pi radicale della sua
relazione con Dio, e rispettivamente con il prossimo.
Pare in tal modo pregiudicata la possibilit di com-
i due aspetti dell'agire cristiano, che paiono
invece quelli assolutamente qualificanti.
(a) Il primo aspetto il nesso dell'agire con la fede:
tale nesso tanto stretto, da assumere addirittura i
tratti della pura e semplice identit; non chi dice, ma
chi fa; fede vera soltanto quella che come tale si atte-
sta attraverso le corrispondenti forme
(b) Il secondo aspetto il nesso dell'agire con l'amore:
la figura sintetica dell'agire cristiano certamente
quella dell'amore del prossimo, e non invece la padro-
nanza di s.
cristiana dell'agire, irriducibile nel suo com-
alla forma di un mero esercizio, dispone tutta-
via prospettive di fondo che virtualmente consentono
di illuminare il senso e il valore dello stesso momento
57
ascetico dell'agire. La nostra lotta non certo, in ul-
tima istanza, contro creature fatte di sangue e di carne, ma
contro i Principati e le Potest, contro i dominatori di
questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del cl:e
abitano nelle regioni celesti (Ef 6,12); soltanto 11 nfen-
mento a questi spiriti del male consente di
forma pertinente e non manichea le stesse d1VlS10lll
interiori, che innegabilmente insidiano le creature fatte
di sangue e di carne. .
II tema dell'ascesi non pare sia stato fino ad ogg1 og-
getto di una riflessione teologica proporzionata al ri-
lievo obiettivo che esso ha in ordine alla compren-
sione del cristianesimo in genere, e in ordine alla com-
prensione del suo destino in epoca moderna in
particolare. Il momento ascetico stato assolutamente
qualificante per rapporto alle forme storiche effettive
del cristianesimo: pensiamo anzi tutto al monache-
simo antico, e poi alle forme della vita religiosa in
genere. Siccome d'altra parte proprio queste forme
di vita hanno assunto un valore paradigmatico per
rapporto alla figura della perfezione cristiana, la ri-
nuncia assume valore centrale nelle stesse forme della
vita cristiana in genere.
Nella percezione della nuova cultura "laica", emanci-
pata dalla tutela della teologia,
venisse la denuncia di Nietzsche, SI e m moltl mod1
affermata l'equazione tra cristianesimo e visione
tica della vita. Tale percezione ha assunto sempre pi
frequentemente con il progredire dei in.
niera pi o meno esplicita, la figura d1 una cntlca;
essa era diretta secondo i casi al cristianesimo stesso,
oppure (e con maggiore frequenza) alle sue forme sto-
riche.
58
Nonostante questo stretto intreccio tra ideale cristiano
e ideale ascetico, la precisa
di ascesi ha sten-
tato alquanto a divenre di uso corrente nella' lingua
della teologia. Essa diventata di uso corrente nella
lingua cristiana soltanto nella stagione moderna; l' af-
fermazione del termine pare comandata da due di-
verse e successive istanze. Anzi tutto quella di elabo-
rare una riflessione circa l'esperienza dell'agire che
prendesse espressamente in considerazione il destino
sintetico del soggetto, e dunque il suo destino di per-
fezione, e integrasse in tal modo quella considerazione
soltanto oggettiva dei comportamenti, che si produce
per comparazione alla legge; fu formulato in tal modo,
a procedere dal XVII secolo, il programma di una teo-
logia ascetica; appunto quel programma segn la prima
affermazione del dell'ascesi nella lingua della
teologia. La successiva istanza nvece quella costi-
tuita dall'apologetica del cristianesimo di contro alle
critiche che ad esso venivano d'essere una mera asce-
tica, e addirittura una sospetta ascetica, mortificante
per rapporto al compito della positiva promozione di
tutto ci che umano.
L'affermazione recente del lessico dell'ascesi non
stata accompagnata per altro da apprezzabili tentativi
di chiarimento concettuale della categoria, n tanto
meno da tentativi di istruire le complesse questioni
teologiche, che il chiarimento dell'idea di ascesi obiet-
tivamente solleva. Cos pare quanto meno ad una
prima e preliminare considerazione.
59
1.2. Le questioni sottese
Nell'uso corrente del lessico dell'ascesi, nell'uso
stesso che Nietzsche fa dell'aggettivo ascetico, appare
decisamente dominante il significato che si riferisce
alla rinuncia piuttosto che quello che si riferisce al-
l' esercizio. Come ascesi interpretata ogni forma di
rinuncia deliberata, sia essa riferita ai piccoli conforti
della vita ordinaria, oppure sia riferita in radice ad
ogni forma di piacere, e al principio stesso del piacere
quale criterio dell'agire. Per qualificare questa se-
conda concezione pi radicale dell'ascesi si ricorre
talvolta al termine spregiativo di ascetismo. L'ampio
spettro degli usi che conosce il termine indicativo
della sua innegabile imprecisione
3
Solo quando sia
intesa nella sua accezione pi radicale l'ascesi (o l'a-
scetismo) assume la consistenza di forma sintetica
secondo la quale pensare l'impegno pratico in ge-
nere; assume quindi la consistenza di un ideale di
vita. La concezione dell'impegno morale quale impe-
gno ascetico non s'identifica per di necessit con la
figura del rigorismo.
A livello di dottrine, ci pare meriti la qualifica di
concezione ascetica dell'impegno morale ogni dot-
trina la quale intenda un tale impegno per riferi-
mento al soggetto stesso; pi precisamente, per rife-
rimento alla padronanza di s che esso consente di
realizzare.
3
Una definizione di ''ascesi" generalmente condivisa oggi non
esiste, cos francamente dichiara J. BERGMAN, alla voce Askese. I, di
TRE. Theologisc/ze Renlenzyklopiidie, Band 4, Berlin- New York, De Gruy-
ter, 1979, 195-198; questa introduzione alla voce (realizzata a pi mani)
costituisce una sobria e pertinente istruzione della questione.
60
In tal senso, assume facilmente figura ascetica, o forse
addirittura assume di necessit forma ascetica, ogni
morale della virt, ogni dottrina morale cio che scorga
il criterio supremo per gli apprezzamenti di bene e di
male riferiti all'agire nel guadagno che l'agire stesso
consentirebbe in termini di facolt dell'uomo. Buono
sarebbe dunque l'agire che accresce le facolt del sog-
getto; cattivo sarebbe invece l'agire che incrementa la
sua soggezione a poteri estranei. Una dottrina di que-
sto genere valuta l'impegno pratico ponendosi pre-
giudizialmente nella prospettiva appunto dell' eserci-
zio delle facolt. Alternativa rispetto ad una conce-
zione ascetica dell'agire la dottrina che apprezza
l'agire per riferimento al suo oggetto, dunque al bene
che esso persegue, non invece per riferimento al ri-
lievo che l'agire stesso assume per rapporto alle fa-
colt del soggetto.
Venendo al caso del cristianesimo, il superamento
della concezione ascetica esige che si precisi la diffe-
renza di fondo tra la morale cristiana e ogni morale
della virt. Alla luce dei testi del Nuovo Testamento,
tale differenza appare netta. Nella storia effettiva del
pensiero cristiano la morale stata invece di fatto in-
tesa spesso in termini di dottrina della virt, e quindi
nell'ottica di una concezione ascetica. In che forme
questo accaduto? Sotto la pressione di quali fattori?
Con quali vantaggi e insieme con quali inconvenienti?
Il riferimento a Nietzsche intende appunto registrare,
attraverso il suo interprete maggiore e pi radicale, la
lettura frequentemente data delle dottrine morali pro-
poste dalla tradizione cristiana quali dottrine asceti-
che. Una tale lettura trova largo riscontro nella perce-
zione del cattolicesimo convenzionale che appare oggi
61
pi diffusa; trova riscontro ancor pi nelle letture che
sono date del protestantesimo convenzionale
4
Contro
un cristianesimo cos inteso il rifiuto appare genera-
lizzato. Tale rifiuto si accompagna ad immagini del
cristianesimo di segno alternativo, che appaiono per
altro esse stesse sospette. Tali immagini possono es-
sere ricondotte, in primissima approssimazione e in-
dulgendo allo schema (lo schema in tal caso aiuta tut-
tavia l'intelligenza), a due tipi ideali.
Il primo tipo ideale quello che intende il cristiane-
simo tutto come una morale, pi precisamente come
una dottrina dell'amore del prossimo, dunque come
'
1
A livello di lessco e anche di dottrina, l'ascesi stata oggetto di
grande disprezzo da di Lutero, e poi in tutta la tradizione evan-
gelica; tale disprezzo per altro essere interpretato; esso stretta-
mente legato alla negazione della pertinenza cristiana dell'ideale mona-
stico, e quindi della vita l'ascesi rifiutata in tal
senso quella legata alla canonica dei voti e della
vita religiosa; essa comporterebbe una sottile superbia; e tuttavia L utero
non negava certo la pertinenza evangelica di esercizi di penitenza ordi-
nati alla realizzazione pratica della conversione battesimale; cfr. a tale
riguardo B. LoHsE, Mii11clztum mzd Refonnation, Gottingen, Vandenhoeck
& Ruprecht, 1963; o anche la breve sintesi di M. SEITZ, Askese VII. Luther,
nella gi citata voce di TRE. Tlteologsclte Realenzyklopt'idie, Band 4, 239-
241, dove possibile trovare ulteriore bibliografia; sotto altro profilo,
occorre rilevare come ad una concezione precisamente asce-
tica del momento vita cristiana in genere la dottrina Iute-
rana che afferma radicale sterilit delle opere in ordine alla giustifi-
cazione e alla salvezza; escluso che le opere possano giovare alla sal-
vezza, l'apprezzamento dell'agire appare possibile unicamente in
considerazione del rilievo che esso assume come mero esercizio in vista
di altro; l'ascesi mondana della tradizione riformata in particolare bene
illustra per cos dire allegorica che assume l'apprezza-
mento opere mondane in nessun modo propiziano l'ele-
zione, e tuttavia l'attestano; la distinzione che Kant proporr tra un'a-
scetica morale (riconosciuta come necessaria) e un'ascetica monaca/e (che
invece ripudiata, vedi ir1jra, pp. 65-68) a suo modo interpreta quale sia
la figura di ascetismo che la tradizione luterana perentoriamente rifiuta,
quella che accorda alle opere di penitenza l'indebito compito di realiz-
zare l'espiazione della colpa.
62
umanistica; l'uomo sarebbe per l'uomo l'in-
teresse supremo; questa l'immagine del cristiane-
simo propria della teologia liberale di matriae confes-
sionale protestante, ma anche l'immagine propria di
una diffusa coscienza cattolica di indirizzo liberale.
Il secondo tipo ideale invece quello che intende il
cristianesimo quale dottrina mistica, dunque come.
dottrina relativa all'esperienza di Dio; l'im-
magine del cristianesimo raccomandata dalle grandi
figure della santit cattolica del Cinquecento; e in di-
versi termini anche l'immagine proposta dal pieti-
smo e dalle molte correnti di rinnovamento interiore.
Che l'una o l'altra lettura possa il nocciolo
centrale del vangelo di Ges Cristo appare assai dub-
bio, fino a che esse siano pensate disgiuntamente.
2. IL PUNTO DI VISTA DEI FILOSOFI
Il progetto perseguito dalla letteratura teologica re-
cente sul tema dell'ascesi, per altro abbastanza scarsa,
appare per lo pi quello di senz' altro alla
determinazione del concetto; ci si pone in tal senso in
una prospettiva subito teorica, dunque nella prospet-
tiva di una riflessione antropologica fondamentale
senza luogo e senza tempo
5
La scelta appare decisa-
5
Vedi in tal senso il caso emblematico della voce Ascesi, Ascetica
redatta da L. BoRRIELLo, in Dizoua1'io di mistica, a cura di L BoRRIELLO -
E. CARUANA- M.R. DEL GENIO N. SUFFI, Citt del Vaticano, Libreria
Editrice Vaticana, 1998; le voci simili di enciclopedie hanno in genere
una sezione dedicata alla storia; essa assume la figura ingenua di una
storia delle idee, che scarsa o nulla attenzione dedica al contesto pratico,
entro il quale le idee sono state elaborate e la cui considerazione sarebbe
invece indispensabile per produrne un'ermeneutica pertinente; segna-
liamo le voci: Aszetik del texikon fiir Theologie und Kirc/ze (sia nella
prima edizione del 1957, ad opera di K. THRULAR, vol. 1, Freiburg im
63
mente ingenua, fortemente esposta al nominalismo.
L'idea di ascesi sottesa alla tradizione cristiana, e allo
stesso uso tecnico che del termine fanno i teologi in
epoca contemporanea, appare infatti obiettivamente
plasmata da una complessa vicenda storica, la quale
riguarda insieme le dottrine e le pratiche, reciproca-
mente legate da un nesso profondo e complesso, che
non si pu troppo precipitosamente sciogliere. Il rife-
rimento a tale vicenda appare in tal senso assoluta-
mente indispensabile in ordine alla stessa istruzione
della questione teorica.
In ogni caso, quando ci si ponga nella prospettiva im-
mediata della chiarificazione concettuale, dovrebbe
essere ricordata, come conferente alla prima istru-
zione del concetto, la distinzione proposta da Kant
tra due diversi modi di concepire l'ascesi. Tale distin-
zione merita d'essere ricordata, perch anticipa una
distinzione che, seppure in altri termini, ritorna con
insistenza nella stessa letteratura teologica recente, in
forma per altro concettualmente meno chiara rispetto
Herder, 968-973, che nella terza edizione rinnovata del 1993 a
cura J. WEISMAYER e P. [MHOF, vol. l, Freiburg- Base!- Rom- Wien,
Herder, 1120-1122); Ascetica di Sncrnmeutum Mundi (di F. WuLF, vol. l,
Brescia, Morcelliana, 1974, 422-436); e per riferimento alla tradizione
la voce Askese del Renllexikon fiir Antike und C/zristeutum
da H. STRATHMANN e A. KEsELING, vol. l, Stuttgart, Hiersemann
1950, 750-795); da rilevare per altro che la gran parte delle
recenti di teologia in genere, e di teologia morale in specie,
unve,uunn alcuna voce intitolata all'ascetica; nelle stesse enciclo-
pedie carattere specialistico, dedicate cio a quella teologia che oggi
si chiama ormai correntemente teologia spirituale, le voci pi interes-
santi dell'ascesi sono quelle dedicate al tema della fuga
le voci Fuite du monde di Z. ALSZEGHY, in
Dictiounaire t. V, Paris, Beauchesne, 1964, 1575-1605;
Fuga dal mondo di T. MORAL CONTRERAS, in Dizionario teologico della
vita cousacrata, Milano, Ancora, 1994, 809-823.
64
a quella proposta da Kant. La distinzione si racco-
manda come persuasiva in quanto congruente con l'o-
biettivo di rispondere all'esigenza largamen,te perce-
pita di evitare l'ascetismo. La distinzione 'kantiana
merta d'essere ricordata anche per un secondo mo-
tivo: essa dispone a meglio intendere la stessa tesi
radicale espressa poi da Nietzsche; questa tesi infatti
ha una parentela storica obiettiva con il sospetto ten-
tativo di Kant di salvare insieme capra e cavoli.
2.1. Due figure alternative di ascesi
La distinzione contenuta nell'ultimo paragrafo della
Metafisica dei costumi
6
, l dove Kant propone una
breve dell'idea di ascesi. Secondo una
accezione, l'ascetica intesa quale momento
necessario della vita morale; cos intesa, l'ascesi defi-
nisce una forma pertinente della vita morale; la se-
conda accezione invece si riferisce ad una nozione di
che riconosce in essa la forma sintetica di
tutti i doveri, e dunque dell'intera esperienza morale,
e questa una nbzione di ascetica che si deve ripu-
diare. Le due nozioni sono rispettivamente qualificate
come ascetica morale e ascetismo monaca/e.
6
Si tratta del 53 della Parte seconda, Principi mctafisici della dot-
trina della virt; ci riferiamo alla trad. i t. G. Vidari, I. KANT, Metafisica dei
costumi, Bari, Laterza, 1970, 365-366; come la distinzione sia
stata ripresa da A. TANQUEREY, di Teologia Ascetica e Mistica,
Roma Tournai - Parigi, Societ di Giovanni Evangelista Descle &
Cie., 1928, n. 619 (edizione digitale, all'indirizzo http://www.freakne-
t.org/martin/libri/Compendio), interpretandola per altro secondo la
distinzione cattolica convenzionale tra via comune e via dei consigli;
K. RAHNER, Il patire c l'ascesi (1949), in Io., Saggi di spiritualit, Roma,
Paoline, 1965, 97-140, distingue invece tre diversi di ascesi, tutti
approvati, definiti per rapporto al rispettivo morale, cultuale
e mistica; in ogni caso l'ascesi ha i tratti dell'esercizio in vista di altro.
65
(a) L'ascetica morale l'esercizio necessario alla colti-
vazione della virt. La virt, rispettivamente la sua
coltivazione, mirano all'obiettivo <<di essere arditi e
sereni (animus stremws et hilaris) nell'adempimento
dei propri doveri. La definizione rimanda ad una
sottesa concezione della morale; l'imperativo morale
nella prospettiva di Kant ha la fondamentale
del dovere, e non invece quella della virt; definito
cio, in prima battuta, senza alcun riguardo al sog-
getto empirico, ai suoi desideri, in genere alle forme
della sua esperienza sensibile o passiva; in tal senso,
l'imperativo categorico esclude pregiudizialmente
che possa essere riconosciuto un qualsiasi rilievo as-
siologico al fattore patologico; i referti della esperienza
sensibile (patologica appunto) sono in tal senso radi-
calmente irrilevanti in ordine alla definizione del
bene. E tuttavia Kant riconosce poi anche come la pra-
tica effettiva dei doveri richieda disposizioni sogget-
tive corrispondenti, le quali sono costituite appunto
dalle virt; tali disposizioni conferiscono alle facolt
del soggetto, dunque alla sua la
forma psicologica pi propizia alla pratica dei doveri.
Fino a che non intervenga una tale disposizione, la
dei doveri appare come impedita per un lato
dalla debolezza, e per altro lato dalla tristezza. Il ri-
lievo riconosciuto da Kant alla virt rimane tuttavia
rigorosamente subalterno rispetto all'imperativo cate-
gorico, il quale espresso dalla ragione a priori. Pro-
prio tale tratto a priori riconosciuto all'imperativo ca-
tegorico conferisce alla sua dottrina della virt, e
quindi alla sua stessa dottrina circa l'ascesi morale, ri-
lievo soltanto accessorio e strumentale. Egli qualifica
tale ascetica come una dietetica, e cio come un eserc-
66
zio volto non immediatamente al bene, ma soltanto
alla salute morale del soggetto.
Dall'ascetica morale cos e giudicata come ne-
cessaria, Kant distingue l'ascetismo monaca le, che de-
scrive in questi termini:
L'ascetismo monacale invece, che per un timore supersti-
zioso o per un ipocrita orrore di se stesso, usa mortificare e
torturare il proprio corpo, non ha per fine la virt, ma
una specie di espiazione fanatica che consiste nell'inflig-
gere punizioni a se stessi onde, invece di pentirsi moral-
mente (vale a dire prendere la risoluzione di correggersi),
si vuole espiare cos le proprie colpe.
L'ascetica morale, qualifcata anche come una <<ginna-
stica etica, proprio perch funzionale alla virt, mira
unicamente al pentimento, e cio alla conversione delle
intenzioni del soggetto; non comporta invece in alcun
modo un positivo apprezzamento della
Pentirsi di qualche cosa (. .. ), e imporsi una penitenza
esempio, il digiuno), non per bisogno di dieta, ma per
un'intenzione pia, sono due atti che hanno connotati mo-
rali molto diversi; l'ultimo, che ha qualche cosa di triste,
di cupo, di arcigno, rende la virt odiosa e allontana da
essa i suoi partigiani. Il regime (la disciplina) che l'uomo
esercita su se stesso, pu essere dunque meritorio ed
soltanto grazie alla serenit che l'accompagna
7

La distinzione proposta da Kant appare, ad una prima


lettura, assai chiara e insieme persuasiva. Ad una let-
tura pi attenta, essa si scontra con le note obiezioni
di fondo, che molte volte ormai sono state elevate nei
confronti della sua dottrina dell'imperativo catego-
rico quale imperativo espresso dalla ragione a priori.
7 L KANT, Metafisica dei costumi, 366.
67
Quando si riconosca che l'imperativo morale in realt
non pu essere in alcun modo espresso dalla ragione
pura, quando si riconosca che quell'imperativo si
rende manifesto invece unicamente attraverso le
forme effettive dell'esperienza, e dunque attraverso
le forme dell'esperienza sensibile (psicologica), ap-
pare virtualmente disposto lo spazio per riconoscere
come agli stessi esercizi ascetici debba essere ricono-
sciuto un rilievo maggiore rispetto a quello mera-
mente dietetico; la virt non dispone semplicemente
alla pratica ilare dei doveri, concorre invece a rendere
possibile la stessa conoscenza del bene. Una tale co-
noscenza non pu essere affatto considerata come ga-
rantita dalla a priori.
La difficolt irrisolta iscritta nel pensiero di Kant con-
duce Schopenhauer, in maniera in certo senso pi con-
seguente, ad accreditare all'ascesi stessa una portata
decisamente pi radicale; essa corrisponderebbe in-
fatti alla scelta radicale che deve esprimere il sog-
getto, quando egli abbia raggiunto la consapevolezza
del carattere cattivo che assume la sua volont nella
forma originaria, quella per cui essa volont di vi-
vere:
La sua volont muta indirizzo, non afferma pi la sua
propria essenza, nel fenomeno, bens la
rinnega. Il processo, con cui ci si manifesta, il passaggio
dalla virt all'ascesi. Non basta pi a quell'uomo amare
altri come se stesso, e far essi quanto fa per s; ma
sorge in lui un orrore per di cui espressione il
suo proprio fenomeno, per la volont di vivere, per il noc-
ciolo e l'essenza di quel mondo riconosciuto pieno di do-
lore. Quest'essenza appunto, in lui medesimo palesantesi
e gi espressa mediante il suo corpo, rinnega; il suo
agire sbugarda ora il suo fenomeno, entra con esso in
aperto contrasto. Egli, che non altro , se non fenomeno
68
della volont, cessa di volere, si guarda dall'attaccare la
sua volont a una cosa qualsiasi, cerca di rinsaldare in se
stesso la massima indifferenza per ogni cosa"
L'apologia della visione ascetica della vita proposta
da Schopenhauer tra i precedenti prossimi di quella
criminalizzazione degli ideali ascetici che suggerisce
Nietzsche, e che si contro lo stesso amore del
prossimo, e contro il cristianesimo in genere.
2.2. L'ascesi come "contro natura"
Nella prospettiva di la comprensione del
cristianesimo tutto in tenmm di ideali ascetici corri-
sponde al giudizio per il quale esso sarebbe morale
contro natura>>
9
, radicalmente ostile alla vita. Alla ra-
" A. ScHOPENHAUER, ll maudo come volont e rapprese11tazimre, 68,
vol. II, Roma- Bari, Laterza, 1991, 410; una breve sintesi del pensiero di
Schopenhauer, che efficacemente illustra la della ragione ascetica
e la sua valenza polemica nei confronti ragione idealistica, offre
la conferenza di W. SCHIRMACHER, La ragioue ascetica.
uell'idealismo tedesco, Verifiche 12 (1984) 263-279, in re-
te (http:// www.egs.edul faculty l schirmacher l schirmacher-la-r_agione-
ascetica.html); a cura dello stesso si pu vedere anche Etluk uud Vennmft:
Sclwpenlmuer in unserer Zeit, Schopenhauer-Studien 5, Wien, Passagen
Verlag, 1995, che contiene il suo contributo Tiigliche Etili/c: Sclwpallrauers
Mystk nus Erfalmmg. . .
' n tema attraversa tutta la sua produz10ne; trova la sua prtma
radice nella rivendicazione del primato del dionisiaco rispetto all'apol-
lineo nella Nascita della trngedia; prende la forma della critica
mente rivolta a quella sorta di platonismo per il popolo_ che il
cristianesimo in Umauo troppo umano, Aurora, La gaw sctenzn, e soprat-
tutto nelle opere espressamente dedicate alla critica della visione mo-
rale del mondo, Al di Iii del bene e del male del 1886 e Genealogta della
morale del 1887; trova per altro le sue espressioni pi violente negli
scritti ultimi (1888) L'anticristo e Il Crepuscolo degli idoli, nei
la stessa formula del cristianesimo come contro natura;
testi emblematici: <<Questo una specie di delirio della volont nella
crudelt che non ha assolutamente eguali: la volout dell'uomo
d colpevole e riprovevole fino all'impossibilit dell'espiazione,
69
dice di tale ostilit sarebbe il risentimento proprio dei
deboli; a fronte della impossibilit di realizzare il loro
desiderio, essi accusano i forti e il loro desiderio; esso
sarebbe desiderio malvagio. Il meccanismo posto cos
in essere conduce alla criminalizzazione del desiderio
in genere, o meglio degli "istinti", o anche, detto in
termini pi sobri, alla prima consistenza psicologica
dell'esperienza umana.
Merita che sia sottolineato questo aspetto: nella pro-
spettiva di Nietzsche non possibile immaginare in
la sua volont di infettare e intossicare col problema della pena e della
colpa le pi profonde radici delle cose, la sua volont di pensarsi casti-
se.nza che il castigo possa mai essere equivalente alla colpa, per
taghars1 una volta per tutte la via di uscita da questo labirinto di "idee
fisse'_', la sua volont di erigere un ideale- quello del "Dio santo" -, e di
acqmstare una tangibile certezza della propria assoluta indegnit di
fronte a lui. Oh dissennata e triste bestia, l'uomo! Quali fantasie le ven-
gono in mente, e non appena si vede un poco impedita di essere bestia
dell'azione, quale contro natura erompe, quali parossismi di follia quale
bestialit dell'idea! ... Tutto ci di smisurato interesse, ma anche di una
tristezza nera, fosca, sfibrante; dobbiamo davvero impedirci a forza di
scrutare troppo a lungo in questi abissi. Qui c' malattia, non v' dubbio
la pi tremenda malattia sia infuriata sino a oggi nell'uomo ... ,
logia della morale, 2, 22, trad. it. di F. Masini, in Opere di Friedrich Nietz-
sc/ze, VI**; Milano, Adelphi, 1968, 293; La morale della rinuncia a s la
morale della rovina par excellence, il fatto "io perisco" tradotto nell'im-
perativo "dovete perire tutti" -e non solo nell'imperativo!. .. Questa mo-
rale, l'unica che fino ad oggi sia stata insegnata, la morale della rinuncia
a s, tradisce una volont della fine, nega la vita nel suo ultimo fonda-
mento. [ ... ] Definizione della morale: morale - l'idiosincrasia di alcuni
dcadents, che hanno la mira segreta di vendicarsi della vita - e ci rie-
scono, Ecce Homo, Perch io sono un destino>>, 7, in Opere di Friedrich
Nietzsche, VI***, Milano, Adelphi, 1970, 383; Ma attaccare le passioni
alla radice significa attaccare alla radice la vita: la prassi della Chiesa
ostile alla vita ... , TI crepuscolo degli idoli, ib., 79 ( il primo paragrafo di
una sezione intera1nente dedicata alla Morale co1ne contronatura>>, 77-
8_3); di Nietzsche intorno alla morale in genere ci consen-
d1 nmandare ad un nostro contributo, G. ANGELINI, TI conflitto tra
venta e valore uella critica di Nietzsc/ze alla morale, Teologia>> 3 (1978) 256-
291.
70
alcun modo la distinzione tra ascesi e morale; ogni
morale, che come dire ogni riferimento dell'agire
ad un imperativo categorico indifferente alle forme
dell'esperienza sensibile, avrebbe come tale la neces-
saria forma di un'ascetica; proporrebbe infatti per l'a-
gire una norma di carattere ideale, definita dunque
nella sua consistenza a prescindere dal riferimento
agli "istinti", e in genere a prescindere da ogni riferi-
mento alla consistenza psicologica dell'esperienza
umana. La visione ascetica e/ o morale della vita
ricondotta alla figura fondamentale di una strategia
per esorcizzare gli istinti della bestia umana e il loro
carattere di necessit violento. La naturale lotta del-
l'uomo contro l'uomo in tal modo trasformata nella
lotta contro gli istinti, o -per esprimersi nella lingua
pi devota e convenzionale- nella lotta contro le pas-
sioni.
La rappresentazione del momento ascetico della vita
quale lotta contro le passioni, e rispettivamente della
morale tutta quale ascesi, corrisponde alla tradizione
assolutamente dominante nella filosofia greca antica.
Maestro eminente sotto questo profilo Platone, il
quale per altro riprende la pi antica tradizione pita-
gorica. Alla tradizione pitagorica espressamente si ri-
ferisce il Fedone, il dialogo giovanile di Platone espres-
samente dedicato al tema dell'anima. Esso illustra in
maniera assai chiara il nesso tra concezione ascetica
dell'agire e riduzione del desiderio vero dell'uomo
alla figura di desiderio della verit, dunque di deside-
rio che per sua natura proprio dell'anima ed per-
seguito dalla conoscenza. Per rapporto a tale deside-
rio le necessit del corpo sono valutate come un fasti-
dio:
71
Sembra che c sia un sentiero che ci porta, mediante il
ragionamento, direttamente a considerazione:
fino a quando noi possediamo il corpo e la nostra anima
resta invischiata in un male siffatto, noi non raggiunge-
remo mai in modo adeguato quello che ardentemente de-
sideriamo, vale a dire la verit. Infatti il corpo ci procura
innumerevoli preoccupazioni per le necessit del nutri-
mento; e poi le malattie, quando c addosso, ci
~ - ' ' ' ' ~ ~ u u u la ricerca dell'essere. Inoltre, esso ci riempie
di amori, di passioni, di paure, di fantasmi di ogni genere
e di molte vanit, di guisa che, come suoi dirsi, veramente,
per sua, non CI e neppure pensare in modo
sicuro alcuna cosa. In effetti, guerre, tumulti e battaglie
non sono prodotte da nu!I'altro se non dal corpo e dalle
sue Tutte le guerre si per brama di
ricchezze, e le ricchezze noi dobbiamo di necessit procac-
carcele a causa del corpo, in quanto siamo asserviti alla
cura del corpo. E cos noi non troviamo il tempo per occu-
parci della filosofia, per tutte queste ragioni. E la cosa
di tutte che, se riusciamo ad avere dal corpo
un momento di tregua e riusciamo a rivolgerei alla ricerca
di qualche cosa, ecco che, improvvisamente, esso ci caccia
in mezzo alle nostre ricerche e, dovunque, provoca turba-
mento e confusione e ci stordisce, s che, per colpa sua, noi
non possiamo vedere il vero.
L'esercizio pratico mira in tal senso a staccare l'anima
dalla cura del corpo; un tale obiettivo non pu essere
raggiunto compiutamente in vita:
Ma risulta veramente chiaro che, se mai vogliamo vedere
qualche cosa nella sua purezza, dobbiamo staccarci dal
corpo e guardare con la sola anima le cose in s medesime.
E allora soltanto, come sembra, ci sar dato di raggiungere
ci che vivamente desideriamo e di cui ci diciamo amanti,
vale a dire la saggezza; ci quando saremo morti, e non
fino a quando siamo vivi. [ ... ] E nel tempo in cui siamo in
vita, come sembra, noi ci avvicineremo tanto pi al sapere
quanto meno avremo relazioni con il corpo e comunione
con esso, se non nella stretta misura in cui vi sia
necessit, e non ci lasceremo contaminare dalla natura
72
del corpo, ma dal corpo ci manterremo fino a quando
il dio stesso non ci abbia sciolti da esso.
L'adempimento del desiderio dell'anima esige dun-
que che, nel tempo presente, si produca la sua
purificazione:
E la purficazione, come detto in un'antica dottrina, non
sta forse nel separare il pi possibile, l'anima dal corpo e
nell'abituarla a raccogliersi a restare sola in s medesima,
sciolta dai vincoli del corpo, e a rimanere nel tempo pre-
sente e in quello futuro sola in s medesima, sciolta dal
corpo come da catene?
10
Desiderano una tale separazione dell'anima dal corpo
soltanto e soprattutto quelli che si occupano retta-
mente di filosofia perch questo , appunto, l'impe-
gno dei filosofi: separare e riscattare l'anima dal
corpo. La conoscenza, intesa come reminiscenza
delle idee eterne e immutabili, realizza un azzera-
mento del tempo, che strettamente legato alla qua-
lit innata che avrebbero le idee stesse. La qualit
eterna delle idee comporta in radice il loro distacco
dalle forme dell'esperienza, mediante le quali pure
com' riconosciuto esse sono richiamate alla memoria.
Alla tradizione platonica ampiamente si riferiscono le
dottrine ascetiche del cristianesimo, come sviluppate
in particolare a margine della forma di vita monastica.
Sussiste un nesso stretto tra l'interpretazione del cri-
stianesimo proposta da Nietzsche in termini di ideali
ascetici e l'interpretazione di esso come platonismo
per il popolo.
111
L'antica dottrina menzionata quella orfica; i testi citati sono
FedotJe 668-67 A. D, citiamo da PLATONE, Fedoue, tra d. G. REALE, Milano,
Bompiani, 2002, 113-117.
73
3. L'ASCESI NELLA VICENDA DEL PENSIERO TEOLOGICO
Per istruire la questione dell'ascesi nella prospettiva
precisamente teologica, appare indispensabile rife-
rirsi alla tradizione cristiana complessiva, e non su-
bito e solo alla tradizione di pensiero della filosofia.
La parola ascesi, e soprattutto l'aggettivo corrispon-
dente entrata nel lessico tecnico della teologia sol-
tanto in epoca moderna; ci riferiamo all'espressione
teologia ascetica, che genera poi abbastanza in fretta
l'uso sostantivato di ascetica. Una precisa storia del-
l'uso cristiano di tale lessico non pare sia stata ancora
scritta fino ad oggi. Scoperto appare in particolare lo
studio della stagione antica, la quale ha rilievo asso-
lutamente determinante in ordine alla successiva de-
clinazione ascetica della figura complessiva della vita
cristiana. La riflessione della grande scolastica, che
costituisce nella sostanza il primo e maggiore mo-
mento di formalizzazione concettuale del lessico cri-
stiano, per molti aspetti fino ad oggi il pi decisivo,
non fa uso tecnico di tale lessico; tanto meno avverte
la necessit di formalizzare il concetto.
Il lessico entra nell'uso corrente - come si diceva -
soltanto in epoca moderna; allora esso assume anche
un significato in qualche modo tecnico. Ci riferiamo,
pi precisamente, al momento in cui prende forma (o
in ogni caso prende un nome) la disciplina teologica
che si occupa della perfezione; essa designata, non a
caso, come teologia ascetica e mistica
11
Tale disciplina
n Per una sintetica ricostruzione della vicenda che presiede alla
nascita della disciplina rimandiamo a G. Morou, Teologia spirituale, in
Dizionario Teologico Interdisciplilzare, Torino, Marietti, 1977, 36-66, in par-
ticolare 37-42.
74
non ha mai goduto di un'elaborazione teorica di ca-
rattere fondamentale proporzionalmente precisa; la
sua identit appare decisamente segnata dal riferi-
mento alla teologia morale, come definita nella sta-
gione moderna, e quindi dalla distinzione nei suoi
confronti. La teologia morale si occupa esclusiva-
mente della dottrina della legge, e lo fa nella prospet-
tiva prossima della disciplina penitenziale della
Chiesa; non si occupa della perfezione, n in genere
del soggetto e del destino da lui realizzato attraverso
le forme del proprio agire; per di pi, essa non pre-
vede un capitolo di carattere fondamentale dedicato
all'istituzione delle categorie generali necessarie per
intendere l'agire umano. Teologia ascetica e teologia
mistica sono accomunate invece esattamente dall'in-
teresse per la perfezione cristiana, e dunque per il sog-
getto e per il suo destino.
I due ambiti della vita cristiana, rispettivamente defi-
niti dall'ascetica e dalla mistica, erano certo virtual-
mente definiti nella rispettiva identit assai prima che
si costituisse formalmente la nuova disciplina. Gi
definito nella tradizione precedente era anche il rap-
porto gerarchico tra le due forme di esperienza cri-
stiana. Per ci che si riferisce in specie al termine
ascesi, divenuto tecnico soltanto in epoca recente (mo-
derna, o addirittura contemporanea), esso appare per
altro lato gravido di una densit semantica larga-
mente disposta dalla lunga storia cristiana prece-
dente. Come precisare tale densit semantica?
La voce dei filosofi (di Kant, Schopenhauer e Nietz-
sche) offre certo un apporto prezioso all'obiettivo di
istruire il compito di dare una definizione concettuale
dell'ascesi, e quindi anche per istruire le questioni
75
teoriche che quella definizione propone alla tradi-
zione delle dottrine antropologiche proprie dell'Occi-
dente. E tuttavia alla considerazione dei filosofi
sfugge la densit semantica della concreta esperienza
ascetica, che la tradizione cristiana ha di fatto alimen-
tato in Occidente. La sostituzione precipitosa del con-
cetto alle molte immagini, che nutrono il senso del-
l'impegno ascetico nella tradizione cristiana, induce
difficolt insormontabili per il pensiero. Si ripropone
a tale il vizio caratteristico e antico di ogni
pensiero intellettualistico. Tali difficolt non possono
essere mediante le risorse di un pensiero
concettualistico. Per risolvere quelle difficolt anzi
tutto necessario restituire densit semantica a quel
lessico che ha reso possibile la sua affer-
mazione nel cattolicesimo contemporaneo; soltanto in
seconda battuta sar possibile produrre il ripensa-
mento teorico necessario.
L'affermazione del lessico ascetico nella lingua re-
cente della teologia, come gi si accennato, non
stata accompagnata da consistente impegno teorico.
Che le forme della pratica cristiana abbiano concorso
e fino ad oggi concorrano a determinare la densit
semantica del lessico ascetico nella lingua teologica,
e pi in generale nella lingua tutta dell'Occidente,
appare a priori del tutto probabile; in modL
per quali vie e con quale pertinenza cristiana si sia
prodotto questo apporto cristiano alla declinazione
del senso moderno di ascesi, rimane invece da deter-
minare. E pu essere determinato unicamente
correndo la storia.
76
3.1. Il passaggio moderno della teologia
Procediamo dalla vicenda pi recente, e cio dal feno-
meno che vede la rapida affermazione del s,'intagma
teologia ascetica e mistica nella della scuola cat-
tolica contemporanea. Tale affermazione appare stret-
tamente legata al precedente che porta alla
distinzione tra teologia ascetica e teologia mistica.
Tale distinzione si afferma soltanto nella prima parte
del Novecento, con una tale facilit per, che si pu
comprendere soltanto sullo sfondo dell'uso prece-
dente dei due termini, il quale non rappresentava
per ancora la legge Ci riferiamo in tal senso
ad alcune opere che, a procedere dal XVII secolo,
s intitolano alla teologia mistica
12
; per esempio il
Summarium asceticae theologiae ad mentem D. Bonaven-
turae (Krakow, 1655) del frate minore Crisostomo Do-
brosielski, o la Theologia ascetica (1659) del gesuita
Christophe Schorrer
13
In questo primo momento l'e-
spressione teologia ascetica assume il senso di rifles-
sione teologica a proposito dell'agire rivolto al fine
ultimo dell'uomo, dunque alla perfezione cristiana.
Cos formalmente la definisce Schorrer: scientia ope-
randi convenienter suo fin ultimo, cui respomiet 1 volun-
tate virtus, quae universinz est habitus, sve constans et
perpetua voluntas operand convenienter suo fini (p. 3).
ci riferiamo alle indicazioni offerte
asctique) di J. DE GunJERT, in Dic-
t. 1, Paris, Beauchesne, 1937, 1010-1017, dalla
dipendere tutte le voci analoghe dei di-
successivi.
Tl1eologin ascetica sive Dactrina spirilualis wti-
versa ex suis mcthodica et brevifcr deducfa el od usum parata n
Cl
11
istoplwro Scltorrer, Societatis lesu, Romae, 1658 (2" edizione in 2 vo-
lumi, Augsburg, 1720).
77
Sottolineiamo i due tratti della definizione: il carattere
solo formale della nozione di fine ultimo; la connota-
zione dell'agire corrispondente per riferimento al ver-
sante soggettivo, e dunque alla virt.
La teologia ascetica si occupa dunque dell' operari del
cristiano, di un aspetto dunque della vita cristiana che
parrebbe ovvio assegnare alla competenza della teo-
logia morale. Come intendere il fatto che si privilegi
invece la categoria di ascetica? Proprio in quel mede-
simo secolo XVII prendeva figura la theologia moralis,
la quale assumeva per la figura di riflessione sul
lecito e sull'illecito, dunque sulla legge. La considera-
zione propria della theologia moralis ha in tal senso
profilo decisamente oggettivo, e addirittura oggettivi-
stico; nel senso dell'agire essa non si occupa con at-
tenzione del destino del soggetto, e addirittura del
suo destino buono; ma unicamente nell'ottica del pos-
sibile peccato, inteso appunto quale trasgressione
della legge. Essa lascia in tal senso scoperto lo spazio
di una considerazione "edificante", della quale si oc-
cupa appunto l'ascetica.
Appare quanto meno probabile intendere la nascita
della teologia ascetica in stretta connessione a quelle
trasformazioni moderne, che appunto nel Seicento co-
minciano a prendere corpo; in particolare pensiamo a
queste due circostanze: (a) la crisi di quell'universo
culturale condiviso, che prima di allora costituiva in-
sieme l'orizzonte ovvio della vita individuale; la na-
sci t a dell'ascetica corrisponde sotto tale profilo alla
nascita de la morale stessa nella lingua dei filosofi;
(b) correlativa a tale crisi l'emergenza del soggetto
a tema centrale del pensiero. Il soggetto pensato,
tendenzialmente, senza alcun riferimento al sistema
78
di rapporti entro il quale di fatto esso prende forma. Il
tratto per cos dire narcisistico della teologia ascetica
corrisponde ad un tratto analogo a quello gi /proprio
della nozione di virt presso i filosofi paganf
In un momento successivo la delimitazione del tema
ascetico si prad uce per differenza rispetto al tema
della mistica, e insieme per correlazione a quel tema.
Siamo ormai nel Settecento; l'opera pi influente a
tale riguardo il Direttorio ascetico e mistico di Gio-
vanni Battista Scaramelli
14
; questo genere di scritti si
diffonde nell'Ottocento e nel Novecento; ricordiamo il
Trait de la vie intrieure di Andr-Marie Meynard,
espressamente diviso in due libri
15
, i manuali di Na-
val16, A. Tanquerey
17
, O. Zimmermann
18
L'ascetica
definita come dottrina della perfezione ordinaria e
attiva; essa si distingue dalla dottrina della perfezione
straordinaria e passiva, della quale si occuperebbe la
teologia mistica.
Rilievo significativo in ordine alla formalizzazione di
questa polarit tra ascetica e mistica hanno avuto, se-
condo ogni verosimiglianza, gli sviluppi della rifles-
sione spirituale realizzati nei due secoli precedenti.
14
Si tratta di due opere distinte, il cui titolo originario : Direttorio
ascetico in cui s'iltsegna il modo di condurre l'Anime per vie ordinarie della
grazia alla perjezio11e christimza, indirizzato ai direttori delle Anime, Napoli,
1752; Il direttorio mistico i11dirizato a' direttori di quelle anime che Iddio
conduce per la via della contemplazione, Venezia, 1754.
15
A.-M. MEYNARD, Trait de la vie interieure 011 Petite somme de tho-
logie asctique et mystique d'apres l'esprit et les pri11cipes de Saint Thomas
d' Aqui11, del 1885, successiva edizione rivista e ampliata da P. GREST,
Paris, Lethielleux, 1924.
16
Theologiae asceticae et mysticae cursus, Torino, Marietti, 1920.
17
Prcis de thologie asctique et mystique, 2 voli., 1923-1925; tradotto
in tutte le lingue.
18 Grundriss der Aszetik, Freiburg, Herder, 1933.
79
Mi riferisco in particolare alle dispute del Seicento
intorno al quietismo. A procedere dalle grandi figure
di esperienza mistica del Cinquecento, e rispettiva-
mente e quindi dalla formalizzazione riflessa che tali
esperienze conobbero nei diversi disegni del "cam-
mino di perfezione" allora proposti, l'esperienza mi-
stica assume il rilievo di vertice del cammino cri-
stiano. Si tratta di un vertice assai singolare, per la
verit; esso non assume infatti la figura del fine del-
l' agire; e neppure la figura di perfezione dell'impegno
ascetico. La tesi che identifica la perfezione cristiana
nell'esperienza mistica nega di fatto, almeno virtual-
mente, che la perfezione cristiana abbia forma morale.
La perfezione del cristiano non sarebbe perfezione
dell'agire, e neppure perfezione che si possa attingere
grazie all'agire. La difficolt di correlare il momento
dell'agire con una figura passiva di esperienza, come
sarebbe quella mistica, obiettiva. Appunto entro
questo orizzonte si produce la disputa sul quietismo.
All'origine prossima di tale disputa stanno certo le
nuove forme della vita cristiana, e in particolare il
tendenziale scollo di quella vita, nelle sue forme ec-
cellenti, dalle condizioni storiche, sociali ed ecclesia-
stiche che l'hanno resa possibile. All'origine remota, e
pi precisamente all'origine dottrinale assai pi che
pratica, sta invece una frattura secolare, che le dot-
trine cristiane in molti modi hanno prospettato tra
momento pratico e momento teorico o contemplativo
della vita.
so
3.2. La tradizione antica
Per intendere tale tradizione dobbiamo riferirei alle
origini della dottrina della perfezione poste
gi in epoca patristica. Allora si afferm lo schema
ternario del cammino cristiano, che distingueva un
inizio, un progresso e appunto la perfezione
19
Allora
prese forma, in maniera correlativa, la distinzione tra
vita attiva e vita contemplativa; la distinzione aveva i
tratti di un'opposizione, ma insieme anche di una ge-
rarchia. Appunto come ripresa moderna della coppia
attivo e contemplativo deve essere intesa la coppia
ascetica e mistica.
L'impegno ascetico si riferisce al secondo momento
della vita cristiana. Il primo momento, degli inizi, e
dunque della conversione, perde comprensibilmente
di rilievo nella lunga stagione in cui cristiani si nasce.
Di pi, occorre dire che gi nella stagione antica il
momento iniziale non aveva ricevuto attenzione para-
gonabile agli altri due momenti da parte del pensiero
riflesso. Merita per altro che sia almeno segnalato l'o-
biettivo e solo virtuale interesse che il momento ini-
ziale ha per rapporto a tutta la vita cristiana. La con-
versione, strutturata dal battesimo, e dunque dal pre-
cedente processo catecumenale, rispettivamente dalla
19
Il pi noto manuale di teologia ascetica e mistica, quello di A.
Tanquerey, adotta appunto questo schema delle tre vie nella sua seconda
parte, e nota espressamente la sua corrispondenza alla tradizione uni-
versale del cristianesimo: Come con S. Tommaso gi notammo, si pos-
sono ridurre a tre i gradi di perfezione, secondo che si comincia, si pro-
gredisce o si arriva al termine della vita spirituale sulla terra. Intesa in
questo largo senso, la divisione delle tre vie fondata nello stesso tempo
sull'autorit e sulla ragione, A. TANQUEREY, Compendio di Teologia Asce-
tica e Mistica, che rimanda ai precedenti nn. 340-343 per la caratterizza-
zione sommaria delle tre vie, purgativa, illuminativa e unitiva.
81
professione monastica, intesa come un mutamento
dei costumi; dal costume pagano si passa a quello
cristiano. La conversione si riferisce dunque alle
forme pratiche obiettive del vivere; appunto tali
forme forniscono una sorta di chiglia necessaria per
la navigazione successiva
20

Il secondo momento della vita cristiana invece og-
getto di interesse assai diffuso nel pensiero antico;
esso riguarda infatti il tempo disteso della pratica mo-
nastica, e rispettivamente della pratica di tutti i cri-
stiani. Esso in diverso modo qualificato appunto
come momento pratico, o attivo. Per rapporto a tale
secondo momento, l'agire del cristiano concepito in
termini ascetici. Solo questo secondo momento com-
porta il profilo del progresso, dunque di una disten-
sione temporale dell'agire.
Ascetica appare tale concezione, nel senso che,
quando ci si riferisca a questo secondo momento, al-
l'agire non riconosciuta un'intenzione di carattere
teologale; esso non quindi neppure apprezzato in
prospettiva propriamente teologale; considerato e
2
Ci riferiamo all'immagine proposta da Clemente di Alessandria,
in un passo de Il pedagogo che suggerisce il senso della distinzione tra tre
ministeri del Logos: <<Ci sono infatti nell'essere umano tre cose: i costumi,
le azioni e le passioni. Il L6gos che converte (pmtreptik6s) s' preso carico
dei costumi: guida della religione, egli sta sotto l'edificio della fede
come la chiglia sta sotto la nave. A causa di lui, noi siamo pieni di gioia,
abbandoniamo le nostre antiche credenze e ringiovaniamo in vista della
salvezza; noi uniamo le nostre voci a quella del profeta, che canta
"Quanto Dio buono per Israele, per quelli il cui cuore retto" (Sal 72,1).
Un L6gos dirige anche tutte le nostre azioni: il L6gos consigliere (ypo-
tlzetik6s); e un L6gos guarisce le nostre passioni: il L6gos pacificante
(paramythetik6s); ma sempre l'unico in tutte le sue funzioni, il mede-
simo L6gos che strappa l'uomo alle sue abitudini naturali e legate al
cosmo, e che lo conduce come pedagogo alla salvezza senza uguali della
fede in Dio (I, 1,1-2).
82
apprezzato invece unicamente nella prospettiva delle
sue ricadute antropologiche; pi precisamente, per
rapporto agli effetti che tale agire ha sull' atFtudine
del soggetto a volere liberamente.
In tal senso, per riferimento a questo secondo mo-
mento della vita cristiana, l'apprezzamento dell'agire
si riferisce al criterio del bonum utile. Soltanto per ri-
ferimento a questo secondo momento d'altra parte
prevista una considerazione tematica dell'agire, come
subito si vedr; sicch al criterio dell'utile riferito in
genere l'apprezzamento pratico. La testimonianza pi
esplicita e influente in materia, e insieme la pi pro-
blematica, quella di Agostino. Come noto, egli af-
ferma il teorema radicale secondo cui delle creature
non sarebbe in alcun modo lecito fruire; tale esclusione
definisce il tratto puritano e rigoristico della dottrina
morale del maestro di lppona. L'agire per sua natura
si riferisce sempre di necessit alle creature, che sono
oggetto di conoscenza sensibile; una tale conoscenza
non pu in alcun modo prescindere dall'esperienza
del piacere e del dolore, che le creature procurano;
occorre per che tali esperienze passive in nessun
modo assumano il rilievo di criteri dell'agire. In tal
senso, canone del sapere pertinente a proposito del-
l'agire sarebbe esclusivamente l'utile.
Alla scientia, sapere che si occupa dell'agire, si con-
trappone dunque la sapientia, che si occupa della ve-
rit eterna, o in senso equivalente si occupa di Dio
stesso. Un tale sapere realizza insieme la figura del
fruire, e dunque della beatitudine. La conoscenza
della verit comporta certo una scelta, e assume in
generale i tratti della fede. La scelta addirittura
quella suprema, quelia che sola realizza in pienezza
83
la figura della volont del bene, e quindi della libert;
soltanto il volere che ha come suo oggetto immediato
l bene stesso, o il fine, o meglio ancora Dio, realizza la
della beatitudine. E tuttavia questa figura del
volere figura di un volere senza agire. L'ideale mo-
rale del cristiano in tal senso un ideale di carattere
contemplativo, e non attivo.
L'ideale contemplativo non suscettibile d'essere mai
compiutamente raggiunto nella presente condizione
dell'uomo, soggetta alla mutevolezza delle impres-
sioni alla distensione del tempo e alla fine
all'incombere della morte. Mentre suscettibile di rea-
lizzazione sarebbe invece l'ideale della vita
attiva. Cos aveva suggerito espressamente Ori-
gene, in un testo del commento ai Numeri che inter-
preta allegoricamente la dimore di Giacobbe e le tende
di Israele
21
La tesi che afferma la possibilit di attin-
gere gi al la perfezione dell'azione e delle
opere s'intende sullo sfondo di una sospetta identifi-
cazione delle opere stesse con l'azione; suppone cio
" Riportiamo questo Se ci s chiede quale sia la
differenza tra le dimore e le tra e Israele, ecco all'incirca in
che cosa consiste. Una dimora una abitazione solida, stabile, circo-
scritta da limiti fissi; le tende sono le abitazioni dei nomadi sempre in
cammino, che ancora non hanno trovato il punto d'arrivo del loro viag-
gio. In tal modo dunque Giacobbe rappresenter gli uomini perfetti
nell'azione e nelle opere, mentre si identificheranno in Israele coloro
che cercano la sapienza e la scienza. Gli esercizi attivi si fermano a
determinati limiti, poich la perfezione delle opere ha una fine; si dir
dunque, di colui che ha compiuto tutto il suo dovere e raggiunto il
limite della perfezione delle che questa sua perfezione la sua
dimora, la sua bella dimora. contrario, per coloro che si impegnano
nella sapienza e nella scienza non c' termine agli sforzi; infatti dove
pu essere il limite della d Dio? Pi ci s avviciner, pi se ne
scoprir la profondit; pi si scruter e si capir il suo carat-
tere ineffabile e incomprensibile, OlUGENE, sui Numeri, XVII, 4,
traduzione nostra.
84
la rappresentazione delle opere quali opera
definite nella rispettiva identit a
loro riferimento alla qualit del soggetto
pone in tal senso quella rappresentazione
stica delle opere, che per un lato raccomandata dalle
forme di aggettivazione sociale del significato dell'a-
gire e per altro lato alimenta il distacco delle opere
stesse dalla fede, e dunque l'immagine farisaica della
giustizia. Occorre in tal senso denunciare il
legame che intercorre tra la distinzione della
dagli esercizi attivi, della teoria dunque dalla
da un lato, e la conseguente concezione farisaica della
giustizia dall'altro.
4. BREVE RIPRESA TEORICA
Alla tradizione di pensiero relativa ai due momenti
della vita cristiana, attivo e contemplativo, e all'ere-
dit platonica sottesa, dev'essere riconosciuto rilievo
architettonico per rapporto alla moderna scansione
della dottrina relativa alla perfezione cristiana in
ascetica e mistica. Per rapporto a tale tradizione s'im-
pone alla teologia, a quanto ci pare, il compito di rea-
lizzare un mutamento di paradigma abbastanza pro-
fondo
22

" Il mutamento di fatto si gi prodotto; ha assunto per altro la
forma di un nuovo cominciamento, e poco si esercitato nel compito
della rinnovata interpretazione delle categorie raccomandate dalla tra-
dizione secolare del cristianesimo; probabilmente proprio per questo
motivo il rinnovamento della teologia spirituale stenta a raggiungere
consensi. Il consenso pi sicuro quello che s riferisce al
carattere cristocentrico della riflessione in materia; un tale consenso al
di sopra di ogni sospetto, ma ancora molto forl_llale, esposto quindi .a
determinazioni e in ogni caso poco umvoche; Il carattere cn-
stocentrico non giustificare la rimozione del momento antropolcr
85
Tale mutamento corrisponde, pi precisamente, al
compito di rendere ragione del rapporto originario e
intrinseco che lega la fede alle forme pratiche della
vita. Non possibile pensare la fede quasi essa avesse
la fisionomia di una scelta operata unicamente in in-
teriore homine
23
; non possibile pensare l'agire este-
gico, e dunque del cimento con le questioni poste dal confronto con le
forme universali dell'esperienza religiosa e umana in genere; l'ascetica
appartiene appunto al numero di tali forme; di fatto, il ripensamento
cristocentrico e rispettivamente biblico della teologia spirituale assume
spesso un dubbio carattere kerygmatico, nel senso che postula un'atti-
tudine della parola biblica a significare in maniera univoca a monte
rispetto ad ogni confronto con quelle determinazioni dell'esperienza
umana che non possono essere riferite originariamente alla tradizione
biblica; per riferimento al tema dell'ascesi, ad esempio, per determi-
narne il senso cristiano non si pu procedere in maniera esclusiva dai
detti evangelici sul rinnegamento, sulla croce e sulla sequela. La pre-
sente riflessione intende appunto correggere tale difetto.
2
' Noli foras ire, redi ad teipsum; in i11teriore /w mine habitat veri las, dice
Agostino (De vera religione, XXXIX, 72; il pensiero in molti modi ri-
preso nelle Confessioni, per esempio: Et ecce hztus eras et ego foris ibi te
quaerebanz et in ista formosa, quae fecisti, deformis inruebanz. Mecunz eras, et
tecwn non eram. Ea me tenebant longe a te, quae si in te no11 esseni, non
esseni. Vocasti et e/amasti et rupisti surditatem meam coruscasti sple11duisti
et fugasti caecitatem meam, flagrasti, et duxi spiritzmz et mzlzelo tibi, gustavi et
esllrio d sitio, tetigisti 11ze, et exarsi in pacenz tuam (Confessiolli 10, 38); il
tema dell'interiorit della verit, assolutamente qualificante del pen-
siero di Agostino, ripreso all'inizio dell'epoca moderna da Lutero,
anche al fondo del pensiero di Cartesio, e quindi della moderna filosofia
del soggetto; appunto per rapporto a tale interiorit la conoscenza em-
pirica appare pregiudizialmente dequalificata a conoscenza estraniante
e solo spettacolare; insieme alla conoscenza del mondo pregiudizial-
mente squalificato ogni apprendimento che si produca attraverso l'a-
gire, e dunque attraverso l'incerta distensione del tempo; sembra quasi
che per Agostino la sfera interiore dell'anima assuma la consistenza di
qualche cosa di diverso dal mondo; Cristo /za liberato il mondo dal mondo;
in tal modo disposto lo spazio per una concezione della conoscenza
della verit, e dunque del rapporto religioso, della fede stessa, forte-
mente esposta a interpretazioni gnostiche; prevedibilmente, stride con
questa concezione dell'interiorit il posto essenziale che Agostino, con
tutta la tradizione cristiana, accorda alla carne di Cristo, rispettiva-
mente al corpo di Cristo che la Chiesa. Sull'incidenza che il pensiero
86
riore quasi esso si aggiungesse soltanto in seconda
battuta alla scelta interiore, realizzando in tal modo
il debito di tradurre la scelta interiore in comporta-
menti esteriori corrispondenti. Quando la 'fede sia
pensata subito e solo in termini interiori, pensare il
rapporto tra fede e opere diventa semplicemente im-
possibile; mentre pensare un tale rapporto appare
come compito assolutamente irrinunciabile per ade-
rire all'ottica propria della fede cristiana.
Il principio della mediazione pratica non vale soltanto
per l'idea di fede, per altro; la stessa idea di cono-
scenza, e quindi quella di verit, non pu essere pen-
sata altrimenti che a procedere dal riferimento ad evi-
denze originariamente dischiuse dalle forme dell'e-
sperienza pratica. La comprensione pi adeguata del
momento ascetico, che indubbiamente connota l'espe-
rienza cristiana, rimanda in tal senso ad un ripensa-
mento teorico generale a proposito dell'uomo, et qui-
dem a proposito del senso dell'agire. Tale ripensa-
mento deve anzitutto svincolarsi dallo schema
pregiudicante di un'antropologia delle facolt, che
per altro lo schema corrente della tradizione dottri-
nale. Qualifichiamo come antropologia delle facolt
ogni teoria antropologica che semplicemente postuli
il soggetto e subito si occupi delle sue facolt. Quando
di Agostino esercita sul pensiero di Lutero, e attraverso di lui sulla
vicenda civile europea moderna in genere, si veda l'interessante saggio
di G. CoTTA, La nascita dell'individualismo politico. Lutero e la politica della
modemit, Bologna, Il Mulino, 2002, in particolare al capitolo secondo,
Uomo e Dio: il problema antologico e la volont "in opposizione"
dell'uomo, 43-63; il saggio dipende per altro in misura cospicua dai
precedenti E. DE NEGRI, Il pensiero di Lutero, rivelazione e dialettica, Fi-
renze, La Nuova Italia, 1967, e G. MrEGGE, Llltero giovane, Milano, Fel-
trinelli, 1977.
87
si proceda da un postulato siffatto, accade che il sog-
sia inevitabilmente ridotto a soggetto gramma-
a sostantivo; in tal modo appare impossibile
rendere ragione del rilievo identificante che assume
la vicenda pratica del soggetto distesa nel tempo; un
tale rilievo invece con tutta evidenza raccomandato
dalla fenomenologica. Attraverso la qua-
lit delle sue azioni il soggetto conferma, o depreca-
bilmente la attraverso la distensione dei
l'identit con se stesso; tale identit fin dal-
l' origine resa manifesta e insieme realizzata mediante
le forme non deliberato. Detto altrimenti,
resa manifesta e insieme realizzata mediante le forme
psicologica. Appunto la registrazione
di tale inevitabile rimando all'identit psicologica im-
pone la correzione corrente del dovere
morale come definito dal riferimento alla legge uni-
versale e astratta. A tale correzione legato il supera-
mento di ogni che riduca il momento mo-
rale dell'agire alla ascetica.
L'agire soltanto conferma l'identit originaria, o non
si deve dire piuttosto che esso progressivamente la
realizza? Tra le due affermazioni non si d contraddi-
zione. Un'identit del certo presente e ope-
rante fin dai prirni inizi della vita e tuttavia
essa presente e come una speranza, e ri-
spettivamente come un compito. Non a caso, pro-
messa e comandamento costituiscono le prime forme
della parola di Dio nella tradizione mosaica. Appunto
per riferimento al profilo del di realizzare
liberamente un'identit, in prima battuta
al soggetto dall'iniziativa di Dio, deve
essere intesa la forma morale della e dunque il
88
senso radicale dell'agire. Il dovere dell'uomo ha fin
dall'inizio e per sempre questa indimenticabile forma:
esso dovere di corrispondere a quell'immagine di s,
che fin dall'inizio ha consentito il suo primo accesso
alla coscienza di s. Per esprimere tale teorema pos-
siamo ricorrere ad una figura tipica della tradizione
cristiana, e cio la vocazione: la verit ultima del do-
vere morale in genere quella della risposta alla vo-
cazione, al nome cio con il quale l'uomo fin dall'i-
nizio chiamato.
In ordine al chiarimento di questa dialettica, tra il gi
e il non ancora dell'identit del soggetto, rilievo stra-
tegico assume la considerazione del tempo. L'identit,
assegnata dalla vocazione originaria, di fatto realiz-
zata unicamente ad una scelta; appunto in tale
scelta consiste l'atto della fede. Perch siano disposte
le condizioni necessarie di tale atto necessario che
maturino i tempi propizi; necessario che si realizzi
per il singolo quella del tempo pieno, che non a
caso figura qualificante per intendere il tempo d
Ges, il tempo dunque della rivelazione di
Dio nella storia.
Appunto sullo sfondo della necessaria mediazione
storica e pratica del dev'essere inteso anche
il tratto agonistico, che senza ombra d dubbio carat-
terizza la scelta della fede, e quindi insieme
credente. Appunto per riferimento a tale tratto
stico deve essere compreso il senso e la il"''-"''"""
momento ascetico della vita cristiana. Il tratto
stico, di cui si dice, rimanda all'eredit storica del
peccato; rimanda dunque in ultima istanza alla dot-
trina del peccato originale. Quel tratto agonistico non
pu essere invece inteso nella sua ultima verit
89
quando ci si ponga in un'ottica genericamente antro-
pologica, quando si proceda cio solo e subito dalla
considerazione della complessit umana, delle molte-
plici facolt e del loro possibile conflitto, o rispettiva-
mente dall'egemonia che facolt superiori (l'anima, o
lo spirito, o la mente, o la ragione, o la volont) deb-
bono realizzare rispetto a facolt inferiori (il corpo, la
carne, le passioni). Appunto lo schema dottrinale, che
sopra abbiamo qualificato come "antropologia delle
facolt", produce lo scorporo pregi udiziale della lotta
interiore rispetto alla lotta contro le potenze spirituali
avverse. Quando ci si ponga nella prospettiva della
fede cristiana, si deve dire, come precisa Paolo, che
la nostra battaglia infatti non contro creature fatte di
sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potest,
contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro
gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti (Ef
6,12). Solo il riferimento a questi spiriti del male con-
sente di intendere le divisioni obiettive che innegabil-
mente insidiano le creature fatte di sangue e di carne in
maniera non manichea.
Nelle molteplici forme dell'agire, l'intenzione ultima
dell'uomo, la punta della sua anima, si riferisce certo
a Dio stesso; si riferisce insieme ai suoi fratelli, perch
soltanto attraverso di essi possibile a ciascuno cono-
scere quale sia la volont a suo riguardo del Padre
comune. E tuttavia la realizzazione di questa intentio
profundior possibile soltanto a prezzo di un esorci-
smo degli inganni della carne e del sangue.
Il senso di questa espressione neotestamentaria, carne
e sangue, deve essere chiarito, distinguendo due di-
versi livelli di considerazione. Ad un primo livello,
l'espressione indica l'eredit adamitica, e dunque la
90
concreta e sospetta figura che i significati radicali del
vivere assumono alla luce della tradizione culturale
universale. La tesi che riconosce alla pagina di Genesi
sul peccato di Adamo la consistenza di un'irtterpreta-
zione teologale dell'esperienza civile universale sem-
bra debba essere ormai considerata come un' acquisi-
zione sicura della ricerca biblica e teologica recente
24

" La proposta stata inizialmente avanzata soprattutto dal famoso
e discusso saggio di P. ScHOONENBERG, La potenza del peccato del 1962
(Brescia, Queriniana, 1971', riprodotto con il titolo L'uomo nel peccato, in
Mysterium salutis. Nuovo corso di dogmatica come teologia della storia della
salvezza, a cura di J. FEINER - M. Li:iHRER, vol. IV, Brescia, Queriniana,
1967-1978, 589-719), che prometteva il superamento tra le opposte e
aporetiche tesi della qualit solo "condizionale" del peccato universale
o rispettivamente della sua qualit "attuale"; illustrazione delle due
linee si trova ad esempio in M. FucK - Z. ALSZEGHY, Il peccato originale,
Brescia, Queriniana, 1972; la tesi di Schoonenberg suscit da principio
molte obiezioni, anche giustificate; come una censura delle nuove tesi fu
inteso in particolare il discorso pronunciato da Paolo VI in occasione del
Simposio sul mistero del peccato originale>> (11 luglio 1966, testo sul
sito del Vaticano); i difetti delle nuove prospettive sono da riferire per
altro, a nostro giudizio, al difetto delle categorie antropologiche, che
sarebbero invece indispensabili per rendere univoca la tesi del nesso
radicale tra tradizione culturale e qualit delle decisioni personali; ha
tentato un approfondimento di carattere metodologico in tal senso K.
RAHNER, Il peccato di Adamo (1968), in Nuovi saggi, IV, Roma, Paoline,
1973, 335-356, ma ancora troppo formale ("trascendentale"); la giusta
intuizione, che occorre cio ricondurre il tema del peccato originale al
tema biblico del peccato del mondo, rimasta fino ad oggi alquanto acerba
appunto a motivo del difetto di approfondimento di carattere antropo-
logico; per intendere la figura del peccato insinuata dalla metafora del-
l' <<albero della conoscenza del bene e del male>> sarebbe indispensabile
chiarire il nesso radicale tra "conoscenza" e agire, e quindi la necessaria
figura credente che deve assumere l'agire, per non condurre all'evi-
denza tragica dell'ineluttabile vanit dello sforzo umano per vivere;
per una recensione del dibattito di quegli anni si possono vedere S.
UnnrALI, Peccato originale e peccato personale, <<La Scuola Cattolica>> 107
(1979) 450-488; S. WrEDENHOFER, Forme principali dell'attnale teologia del
peccato originale, <<Communio>> 14/118 (1991) 8-24; al tema stato dedi-
cato il V Corso di Aggiornamento per Docenti di Teologia Dogmatica
promosso dall'ATI, Questioni sul peccato originale, Padova, Ediz. Messag-
gero, 1996.
91
E tuttavia la pagina in questione, per realizzare l'o-
biettivo di rendere ragione del peccato che compro-
mette fin dai suoi inizi la storia dei figli di Adamo,
deve impegnarsi insieme nel compito di determinare
la qualit del peccato; appunto per rapporto alla de-
terminazione della qualit antropologica del peccato
si realizza il secondo livello della determinazione
della nozione vivere secondo la carne.
Il peccato inteso nella pagina di Gen 3 come sogge-
zione della coppia originaria alla suggestione sedu-
cente di un preciso progetto di vita, quello che pro-
mette la possibilit di giungere alla determinazione
del bene e del male attraverso semplici esperimenti,
senza la necessit di determinazione della li-
bert umana, e di una determinazione che abbia addi-
rittura il tratto della fede. Il suggerimento del ser-
pente pu essere infatti cos parafrasato: metti in
bocca tutto ci che suscita il desiderio dei tuoi occhi
e della tua bocca; soltanto attraverso questo esperi-
mento verrai a capo dell'enigma del bene e del male,
sar per te possibile verificare la reale attitudine di
tutte le cose attraenti a onorare la promessa muta
che esse esprimono nei tuoi confronti. Il peccato in
tal senso la concupiscenza, intesa quale scelta pregiu-
diziale e incauta di accordare alla testimonianza degli
occhi e della bocca il credito di valere quale principio
della conoscenza del bene e del male
25

25
La letteratura esegetica, e quella in genere, sul testo di
Ge11 3 appare deludente; il passaggio dalla alla comprensione
stenta a prodursi; la comprensione propriamente teologica del testo
pare facilmente compromessa da assunti assai dubbi; in-
terpretiamo tale stato di cose come il del difetto generale d
istruzione della riflessione teologica a proposito dell'agire; per l'inter-
pretazione qui velocemente suggerita rimandiamo al nostro manuale
92
Il peccato dunque, inteso come dell'uomo di
venire a capo della differenza tra bene e male me-
diante l'esperimento del desiderio, assume insieme
la qualit di scelta raccomandata al singolo d'alla tra-
dizione complessiva entro la prende consa-
pevolezza di s. Il peccato ha sotto tale proflo la fi-
gura della conformazione alla mentalit di questo se-
colo (cfr. Rm 12,2). I due profili insieme quello di
carattere antropologico fondamentale e quello di ca-
rattere antropologico culturale convergono nell'esito
di conferire al peccato stesso la figura di un inganno;
nell'iniquit si inciampa (come si Os 14,2),
assai pi d'essere essa oggetto di scelta consapevole
e deliberata; nell'iniquit si cade ingannati dal pro-
prio desiderio spontaneo. Pur spontaneo, esso non
affatto innocente; in ogni caso l'innocenza non pu
essere in alcun modo garantita dalla
Il rimedio all'inganno del peccato non pu essere
certo quello radicale, che consisterebbe nell' emanci-
in linea di principio dal desiderio spontaneo. Il
rinnegamento cristiano di s non pu essere in alcun
modo inteso quasi consistesse nel rinnegamento del
desiderio che ci costituisce; esso si riferisce piuttosto
a quella immagine di s che corrisponde alle
compromesse dello desiderio spontaneo. Alla
della propria identit infatti, e dunque an-
che alle prime forme del desiderio, l'uomo giunge non
Teologin morale folldomwtnle. Trndizione, Scrittura e teoria, Milano, Glossa,
1999, 368-377, e al commentario di G.J. WENHAM, Gwesis 1-15, World
Biblica! Commentarv, Waco (Texas), Word Books, 1987, 63ss; una sintesi
teologico biblica h ~ si legge fino ad oggi con interesse proposta da P.
GRELOT, Riflessioni sul problema del peccato originale (1968), Brescia, Pai-
deia, 1994
2

93
sorretto unicamente da pretese facolt naturali, ma
grazie ad una vicenda concreta, la quale d figura
all'accadere della grazia preveniente nella sua vita.
Tale vicenda porta iscritti in s, di necessit, i tratti
della eredit di Adamo. Il rimedio a tale eredit so-
spetta suppone dunque che si produca un discerni-
mento della qualit spontanea del desiderio, e quindi
anche un discernimento della corrispondente qualit
del soggetto. Per intendere il senso e la necessit di
tale discernimento necessario che si riconosca anzi-
tutto come il desiderio umano assuma sempre la pro-
pria figura determinata grazie ad una vicenda.
Di tale vicenda sono rilevanti insieme aspetti legati
alla vita personale e quelli legati alla storia univer-
sale; tra quella e questa sussiste in ogni caso uno
stretto legame. Soltanto quando si abbiano occhi per
riconoscere la mediazione esercitata da tale vicenda,
sar anche possibile riconoscere come sulle forme del
desiderio spontaneo pesi l'eredit del peccato univer-
sale. Sar quindi possibile discernere il senso vero del
desiderio originario dal senso dubbio che esso ha di
fatto assunto in forza della storia.
Dalle forme originarie del desiderio certo non si pu
prescindere. Quel desiderio, d'altra parte, realizza la
propria configurazione unicamente attraverso le
forme dell'agire libero. La configurazione intenzio-
nale del desiderio, che condizione imprescindibile
della sua appropriazione al soggetto stesso, non pu
realizzarsi mediante immagini e parole; esige di ne-
cessit opere effettive. Per questo appunto la positiva
formazione del desiderio buono chiede qualche cosa
come un esercizio, o un'ascesi. Le opere ascetiche non
valgono certo per la pena che costano, ma per la loro
94
attitudine a rendere manifesto quel senso spirituale,
che la verit del desiderio stesso fin dall'inizio. Il
tratto agonistico che assume l'impegno pratico, che
rende ragione del momento ascetico della Vita cri-
stiana, deve essere compreso nell'ottica della lotta
contro lo spirito del male, e non invece in un'ottica
troppo angusta, quale sarebbe quella suggerita dalla
considerazione della complessit antropologica. La
complessit certo innegabile, ma non spiega la se-
riet del conflitto nel quale ogni figlio di Adamo
oggettivamente coinvolto.
95
Cristina Simonelli
a vita perfetta
il suo esercizio
Le Omelie sull'Ecclesiaste
di Gregorio di N issa come itinerario ascetico
Rabbi Meir, pilastro dell'ortodossia e coautore della
Mishna, aveva per maestro di l'eretico Elsha
ben Abuyah, detto Asher, che "lo straniero".
Un sabato Rabbi Meir si trovava insieme al suo maestro
e come al solito i due erano in una profonda
discussione. L'eretico procedeva in groppa a un asino e
Rabbi Meir, non potendo cavalcare il festivo, gli
camminava a fianco, talmente assorto nell'ascoltare le
sagge parole che scaturivano dalle labbra dell'eretico da
non accorgersi che erano giunti al confine oltre il quale,
stando alle norme rabbiniche, nessun ebreo poteva avven-
turarsi di Sabato. Ma il grande eretico si volse verso il suo
allievo ortodosso e gli disse: "Abbiamo raggiunto il con-
fine, dobbiamo dividerci: non accompagnarmi oltre. Torna
indietro!". Rabbi Meir fece dunque ritorno alla comunit
ebraica, mentre l'eretico sul suo asinello, oltre
i confini del giudaismo
1

Affascinante quadretto che allude ad una dialettica


fra confine ed orizzonte: l'eretico, lo straniero che
varca il confine e si allontana verso l'orizzonte, cono-
sce l'osservanza, misura di contati, cui rimanda
1
I. DEUTCHER, L'ebreo 11011 ebreo, Milano, Mondadori, 1969, 38.
97
il discepolo. Meir, a propria volta, diventa rabbi per-
ch sa che l'orizzonte la vocazione dell'osservanza.
Una parabola, questa, utile, mi sembra, ad introdurre
una riflessione sull'esercizio della vita cristiana, nella
duplice dimensione di disciplina e ulteriort. Il tema
largamente presente nella letteratura patristica: ne
seguiamo una traccia attraverso alcuni scritti di Gre-
gorio di Nissa, con particolare attenzione alle Omelie
sull'Ecclesiaste.
1. LA VITA PERFETTA
Mi hai chiesto, carissimo, di descriverti qual la vita per-
fetta... assolutamente impossibile la perfe-
zione, perch la perfezione, come si detto, non definita
da alcun lmite e il solo limite della virt l'infinito. Come
pu dunque uno arrivare al limite se non pu
trovare questo limite? Tuttavia non il ragiona-
mento d ha dimostrato che il fine cui tendiamo irrag-
uur.LOJac, dobbiamo trascurare il precetto del che
dice: "diventate perfetti com' perfetto il vostro padre ce-
leste"
2

Nell'incipit della Vita di Mos, in risposta alla richiesta


di un non identificato ammiratore-discepolo,
la "vita perfetta"
3
viene accostata subito al tema del-
l' epectasi, a ragione individuato come uno punti qua-
2
GREGORIO DI N ISSA, Ln vita di Mos, a cura di M. SIMONETTI, Mi-
lano, Mondadori, 1984, 1,3, p. 9 e 1,8-9, p. 13.
3
ben comprensibile il disagio che questo concetto suscita oggi:
Uno dei concetti di fondo che caratterizzano la nostra cultura il con-
cetto di perfezione. L'idea che l'uomo pu e deve essere perfetto ... So-
prattutto con i Padri si crea una moralizzazione della nerfPzicm<
(R. VINCO, del limite: dalla cultura della nPrtnw,,r
Esperienza e Teologia>> 17
98
lificanti la maturit della riflessione del Nisseno :
sar la teofana sul Sinai a permetterne una delle de-
clinazioni pi potenti e suggestive
5
Nel
sopra citato, il concetto di "vita perfetta"
grammaticamente sottoposto ad un duplice vaglio. In
primo luogo, infatti, la "perfezione" non si presenta
come uno "stato", raggiunto o comunque raggiungi-
bile, ma come una tensione, un cammino inesausto. In
secondo luogo, attraverso la citazione di Mt 5,48 viene
svelato lo sfondo neotestamentario del linguaggio
4 Cfr in particolare J. DANILOU, L'essere e il tempo in Gregorio di
Nissa, Roma, Archeosofica, 1991, 137-162; C. DEsALVO, L'oltre uel pre-
sente. Ln filosofia dell'uomo in Gregorio d Nissa, Milano, Vita e Pensiero,
1996, 256-268; A. BoNATO, La co1wscenza mistica nelle Omelie sul Cantico di
Gregorio di Nissa, Teologia 30 (2005) 49-74. Significativo anche che
epektnss sia l titolo della miscellanea dedicata a J. Danlou: Epcktasis.
Mlanges patristiques offerts au Cardinal J. Danilou, edd. J. FoNTAINE- C.
KANNENGIESSER, Paris, Beauchesne, 1972.
s L'anima supera continuamente s stessa nell'ascesa, tesa in
avanti (synepekteinomen), come dice (cfr. Fil 3,13), per il de-
siderio dei beni celesti e indirizzer pi in alto il suo volo.
Desiderando infatti, grazie a ci che ha conseguito, di non rinun-
ciare all'altezza superiore, rende incessante la sua tensione alle realt
celesti, rinvigorendo sempre con i risultati gi conseguiti l'impulso al
volo (Vita di Mos, II,237) ... Mi sembra che succeda lo stesso all'anima
dalla passione d'amore verso ci che bello per natura ... per cui
amante della bellezza accogliendo ci che via via gli appare
come immagine della bellezza brama di potersi saziare proprio del mo-
dello originario e con richiesta temeraria che supera i limiti del deside-
rio, vuole godere della bellezza non attraverso e riflessi ma
faccia a faccia. La voce di Dio acconsente alla con le stesse
parole con cui rifiuta, rnostrandogli con queste parole un incom-
mensurable abisso di pensiero. Infatti la di Dio accetta di
saziare il desiderio, ma non gli promette requie e saziet (. .. ) Mi sembra
che la parola divina indichi questo concetto: poich il tuo desi-
sempre a ci che pi grande, c' presso di me tanto posto
che corre interiormente non potr mai smettere di correre. Ma la
corsa in altro senso immobilit; fermati gli dice presso la roccia. Que-
sta pi straordinaria di tutte le cose, come immobilit e movimento
possano identificarsi (Vita di Mos, II,240-243).
99
della perfezione, sfondo che ne sottende continua-
mente il tema e ne precisa significato e limiti.
Il riferimento al Discorso della Montagna non co-
munque l'unico sfondo del tema: bisogna perlomeno
ricordare il riferimento a Ef 4,13, <<finch arriviamo
tutti all'unit della fede e della conoscenza del Fio-lio
o
di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che
conviene alla piena maturit di Cristo e a Coll,28-29,
<<affinch io possa presentare ogni uomo perfetto in
Cristo, per questo mi affatico e lotto. Cos, ad esem-
pio, in un passo del De instituto christiano
6
:
L'uomo deve quindi sempre elevarsi fino a diventare per-
fetto, come dice l'Apostolo ... (Ef 4,13) ... Altrove il Signore
proclama "Diventate dunque perfetti, come perfetto il
Padre vostro celeste". Anche l'Apostolo esorta a correre
verso questa perfezione dicendo ... Col 1,28-29 7
Sembra pertanto che Gregorio accetti con riserva il
vocabolario della perfezione
8
: lo accoglie, ma nello
6
Sulla questione dell'attribuzione a Gregorio del De iustituto cfr. J.
GRIBOMONT, Le "De instiluto christiano" elle messa/iauisme de Grgoire de
Nysse, in Studia Patrislica V, Texte und Untersuchungen 80, Berlin, Aka-
demie Verlag, 1962, 312-322 e M. CANVET, Le De iusliluto christiano est-il
de Grgoire de Nysse? Problmes de critique interue, Revue des tudes
grecques 62 (1969) 404-423.
7
GREGORIO DI N IssA, Fine, professione e perfezione del cristiano (CTP
15), a cura di S. LILLA, Roma, Citt Nuova, 1996', 26; cfr. anche p. 29 e il
trattatello La professioue clzristiana, riportato nella stessa edizione, p. 72;
O m. Caut. XIII (GREGORIO DI N ISSA, Omelie sul Cautico dei Caulici, a cura
di C. MORESCHINI, Roma, Citt Nuova, 1988, 295), che cita Ef 4,11-13 e
poi 4,15-16, cos che la crescita fino alla "perfezione" diventa edifica-
zione nell'agape. Nelle omelie sul Cantico, molti riferimenti alla per-
fezione sono guidati dal commento a una sola la mia colomba, la mia
perfetta (Cl 6,9).
8
In questa direzione anche il breve De perfectioue, in cui la perfe-
zione messa in relazione con il cammino per diventare quello che
indica il nome di "cristiano": Non si rattristi quindi colui che vede
nella nostra natura la tendenza al cambiamento: trasformandosi sempre
100
stesso tempo lo mette in relazione ad una cristifica-
zione e ad un cammino. Gli schemi speculari della
ferita e dello slancio, gli ossimori della corsp immo-
bile e delle tenebre luminose, le metafore della ferita
d'amore e della inabitazione rappresentano, nel corso
della sua opera, modalit per indicare insieme la con-
formazione a Cristo, l'inesauribilit e la relazionalit
di tale processo, che poi la vita cristiana tout court
9

Se dunque la "vita perfetta" dinamica di relazione,
tensione sul confine e apertura all'orizzonte, per ri-
prendere le immagini iniziali, questa proposta cono-
sce anche la "misura dei passi conta ti"? Si deve forse
intendere questo vertice come la "libert degli spiri-
tuali", nel senso della licenza attribuita ai messaliani,
non pi sottoposti alla fatica dei giorni e delle
opere Io?
Gli scritti monastici di Gregorio mettono certamente a
tema anche questo aspetto della correlazione fra pra-
tica ascetica e dinamica spirituale. Ne tratta il giova-
nile De verginitate - che mette in guardia dalla man-
in un essere migliore e salendo di gloria in gloria subisce un c'ambia-
mento che lo renda sempre pi grande e migliore giorno dopo gwrno e
sempre pi perfetto, senza mai farlo giungere limite della
perfezione. La vera perfezione consiste infatll propno m'questo, nel non
fermarsi mai nella propria crescita e nel non cucoscnverla entro un
limite (GREGORIO DI NISSA, Fine, professione e perfezione del cristiano,
115)
' GREGORIO DI NrssA, Om.Cmzl. IX, 232: <<La sposa ha in s ttn'acqua
che trapassa, di modo che essa possiede insieme la profondit del pozzo
e il continuo movimento del fiume.
to Si rimproverava ai cosiddetti messaliaui anche l'idea che gli "spi-
rituali", raggiunta l'impassibilit e la "piena certezza" non avessero
necessit di sottostare ad alcuna norma etica. Sul complesso fenomeno,
che coinvolge non solo aspetti dottrinali ma anche ecdesiastici
e dedinazioni culturali, cfr. A. GuiLLAUMONT, Messalzeus, m D1clwuuazre
de Spiritualit X, Paris, Beauchesne, 1980, 1074-1083; J. GRmOMONT, Le
dossier des orighzes du messalianisme, in Epeklaszs, 611-625.
101
canza di misura nell'ascesi e dall'orgoglio che ne pu
derivare
11
- e il De instituto christiano il cui titolo per
esteso suona "Sul fine secondo Dio e sulla vera
ascesi"
12
Vorremmo per raccogliere qualche spunto
su tale correlazione non immediatamente in scritti
monastici, ma nelle omelie del ciclo di "Salomone",
soffermandoci in particolare sulle Omelie sull'Ecclesia-
ste, il cui uditorio sembra essere un'assemblea larga-
mente ecclesiale e non specificamente monastica.
Un percorso articolato
Come noto, la lettura del Cantio dei Cantici viene
proposta come terza tappa di un cammino di lettura
dei "libri di Salomone", che corrisponde ad altret-
tante "tappe" della vita cristiana. Questo cammino
messo da Origene in relazione con la tripartizione
della filosofia in etica, fisica ed epoptica: tale itinera-
rio, largamente accolto nel mondo cristiano, ha radici
sia nella lettura giudaica della Scrittura
13
che nei per-
corsi delineati dai commentari neoplatonici
14
La [i-
come conoscenza della natura delle cose, diventa
secondo Pierre Hadot, il momento proprio degli
"esercizi spirituali", perch il paziente ed insieme
11
GREGORIO DI N ISSA, La verginit (CTP 4), a cura di S. LILLA, Roma,
Citt Nuova, 1990
2

12
GREGORIO DI NISSA, Fine, professione e perfezione del cristiano, 21.
13
M. HARL, Les trois livres de Sa lamon dans l es Prologues des Commen-
taires sur le Cantque des Canlique, Berlin, Akademie Verlag, 1987, 249-
269.
14
I. HADOT, Les inlroduclioHs aux commenlaires exgtiques cltez /es
auleurs noplatoniciens et les auteurs cllrtiei!S, in Les rgles de l'inlerprla-
tion, a cura di M. TARDIEU, Paris, Cerf, 1987,99-122.
102
acuto apprendistato del pensiero che nel fenomeno
impara ad intravedere la realt profonda
15

Per quanto riguarda Gregorio, non abbiamo ,un suo
commento ai Proverbi
16
, ma in qualche modo l I Ome-
lia sul Cantico delinea l'intero percorso:
C' un altro Salomone ... il suo nome pace ... si serv di
quel Salomone come d un suo strmnento e per mezzo suo
a noi, prima nei Proverbi e poi nell'Ecclesiaste e
successivamente nella filosofia del Cantico dei Cantici,
che ora ci sta davanti, mostrando con le sue parole, con
metodo e con ordine, l'ascesa verso la perfezione
17

Di tale metodo ed ordine (lwdos Jcai taxis) viene data


in paragone alle et dell'uomo
interiore. interessante notare come in questo conte-
sto venga attribuita ai Proverbi la funzione di protret-
tico: l'ascolto dei Proverbi deve infiammare il princi-
piante, "giovane" nel cammino della fede, all'amore
15 P. HADOT, La physique camme exercise spirituel ou pessimsme et op-
timisme clwz Marc-Aurle, in Exercises spirituel et pltilosophique antique,
Paris, Etudes Augustiniennes, 1987', 119-133.
16 Si possono invece consultare Sco/ii di Evagrio sia ai Proverbi
(SC 340), a cura di P. GHIN, Paris, 1987, che all'Ecclesiaste (SC 397),
a cura di P. GHIN, Paris, Cerf, 1993. Basilio cos si esprime: l Proverbi
educano i costumi e correggono le insegnano attraverso
molteplici e saggi precetti quello deve essere fatto. L'Ec-
clesiaste si occupa dello studio della natura
vanit di questo mondo, affinch noi non
passeggere n logoriamo la nostra vita con DrE!OCCUJJazaOJ1l
vane. Infine il Cmrlico dei Cmrtici mostra il modo di nPrfP7.icmr>
anime: contiene infatti l'unione perfetta della sposa e ov-
vero l'intimit e familiarit (oikeiosis) dell'anima con il Verbo Dio (In
principium Proverbiarrtm [PG 31,385-424]. cit. in M. GIRARDI, Basilio di
Cesarea esegeta dei proverbi, Vetera Christianorum 28 [1991] 25-60: 28-
29); cfr. E. CAvALCANTI, Dall'etica classica all'etica cristiana: il Commeuto
al prologo del Libro dei Proverbi di Basilio di Cesarea, Studi e Materiali di
Storia delle Religioni 56 (1990) 353-378.
'
7
GREGORIO DI NISSA, Om. Cartt. I, 41.
103
per Donna sapienza. Addirittura come un pronubo il
testo comincia a condurre il giovane ad abitare con
tale donna ... lo esorta a non pi separarsi da lei.
Vengono ricordati anche i precetti, ma quasi di pas-
saggio: Insieme con queste parole il testo introduce
anche i rimanenti consigli per mezzo di certe sue sen-
tenze, affermative e concise. L"'abitudine di vita pi
perfetta" che dovrebbe scaturirne, render ancora pi
allettante la beatitudine che deriva dalla relazione con
la Sapienza. Poi viene la seconda tappa:
Allora aggiunge la filosofia che propria dell'Ecclesiaste a
colui che per mezzo dell'educazione procurata dai Pro-
verbi stato incitato a sufficienza a desiderare la virt. E
dopo aver biasimato in questo scritto l'atteggiamento de-
uomini che sono tutti rivolti alle cose apparenti e dopo
aver detto che vanit tutto ci che stabile e trapassa,
giudica che l'impulso e il desiderio dell'anima nostra
verso la bellezza invisibile al di sopra di tutto quello
che viene afferrato dalla sensazione".
In questo caso la prospettiva particolare con cui Gre-
gorio presenta la funzione del primo libro salomonico
dettata in buona parte dall'attenzione data al tema
nuziale nel ciclo omiletco sul Cantico, in cui il "fi-
glio" e "sposo della Sapienza" chiamato a diventare
"sposa del Verbo". Anche nel percorso delineato nella
I omelia sull'Ecclesiaste, tuttavia, Gregorio mostra di
muoversi con libert nel solco della tradizione orige-
niana
19
I Proverbi rappresentano infatti in questo
" GREGORIO DI NISSA, Om. Cnn!. l, 45.
19
Su quanto resta dei commenti di Origene all'Ecclesiaste, cfr. S.
LEANZA, L'esegesi di Origene al Libro dell'Ecclesiaste, Reggio Calabria,
Edizioni Parallelo, 1975. Pi ampiamente, !D., L'Ecclesiaste nell'inlerpre-
/nzionc dell'aulico ctisliarzesimo, Messina, Edas, 1978.
104
contesto un "esercizio" (melet) che prepara alla gara
(ag8n) dell'Ecclesiaste, ma nell'insieme dei due libri
che Gregorio intravede sia un'etica che una fi?ica, in-
tesa quest'ultima, come rapport au monde e rfle-
xion sur la piace de l'homme dans le monde
20

Anche a partire da questa considerazione, ci s pu
domandare quale sia il senso globale dell'itinerario.
Si deve pensare ad una mera successione di momenti,
o non saremmo piuttosto davanti ad una sorta di pro-
gresso che non abbandona, ma assume le tappe pre-
cedenti? In questo caso, la via pratica rappresentata
dalla fatica dell'Ecclesiaste non sarebbe cosa dei prin-
cipianti, ma attenzione costante dei progredenti ed
anche degli spirituali.
In altri termini, si vuole indagare se la proposta rap-
presentata dalle omelie sull'Ecclesiaste, nei diversi
aspetti in cui viene articolata, possa essere conside-
rata una modalit di esercizio della vita perfetta,
quale momento ascetico ineludibile nella diastemati-
cit inerente alla vita umana.
2. LE OMELIE SULL'EccLESIASTE
opinione comune che le Omelie sull'Ecclesiaste pre-
cedano di diversi anni quelle sul Cantico: diversi ele-
menti spingono a questa conclusione, come il metodo
esegetico utilizzato e la prospettiva simile a quella
operante negli seri tti degl anni 379 l 381
21
D'altra
parte, l'utilizzo del concetto di diastema per indicare
20
F. VINEL, Introdllctioll, in GRGOIRE DE NYSSE, Homlics sur I'Eccl-
sinste (SC 4"16). Paris, Cerf, 1996, 52.
21
Ib., 15-23. Cfr. GREGORY OF NYSSA, Homi/ies 011 Ecc/esinstes. Ati
English \1ersio11 witlr S11pportit1g Studies. Proceedings of the Seventh In-
105
l'estensione spazio-temporale di ogni realt creata
come caratterizzante la sua finitezza rispetto a Dio,
farebbe collocare predicazione e redazione delle ome-
lie posteriormente al Contro Eunomio
22

A pi nel corso delle omelie si accenna alla
"lettura ascoltata": il percorso nasce all'interno di
un'assemblea liturgica. L'autore stesso definisce l'Ec-
clesiaste un libro per la chiesa
23
: come suggerisce
Franoise Vinel, questo potrebbe significare qualcosa
di pi di un semplice recupero dell'etimologia del
titolo di "Ecclesiaste". La dimensione comunitaria
percorre infatti tutta la raccolta, chiaramente ripartita
in due blocchi distinti, che commentano rispettiva-
mente Ecci 1-2 (om. I-V) ed Eccl (Om. VI-
VIII)
24
Per il discorso del re, utlizza i ter-
mini exomologsis, exagoreusis ed il verbo stliteu: Vi-
nel propone di leggervi un percorso di "esame di co-
scienza" e di "conversione", che sarebbe coerente con
l'impostazione penitenziale delle chiese di Cappado-
ternational Colloquium on Gregory of Nyssa (St. Andrews, 5-10 Septem-
ber 1990), a cura di s.e. HALL, Berlin, de 1993.
E. PEROLI, Il Platollismo e filosofica di Gregorio di
Nissa, Milano, Vita e Pensiero, 1993, 43-51; DESALVO, L'oltre nel pre-
sente, 111-131. D'altra parte, invece, l'idea della conoscenza di Dio "per
spingerebbe a collocarle prima del Contro Eunonomio: in ogni
caso, redazione risale al primo periodo della produzione del Nisseno.
23
H de tou bibliou toutau didaskalia pros moniht blepei tn ekklesiastikn
politeian (Om. 1,2,18-20; d'ora in avanti, tutte le citazioni delle Omelie
sull'Ecclesiaste si riferiscono all'edizione di F. Vinel) ascoltiamo dunque
le sue parole, noi che siamo chiesa>> (Om. II,1,19-20). Traduzione italiana
in GREGORIO DI NrssA, Omelie sull'Ecclesaste (CTP 86), a cura di S.
LEANZA, Roma, Citt Nuova, 1990.
24
Anche il Midrash Rabbah sul Qoelet conosce la suddivisione 1,1-
3,13: Gregorio potrebbe aver accolto una suddivisione del testo larga-
mente utilizzata, in ambito giudaico e cristiano: F. VrNEL, htlroductiott,
24. Di diversa opinione S. LEAI".'ZA, Introduzoue, in GREGoRIO m NrssA,
Omelie sull'Ecclesiaste {CTP 86), Roma, Citt Nuova, 1990, 17-19.
106
eia nel IV secolo. Anche se non si pu agevolmente
rintracciare il contesto celebrativo all'interno del
le omelie sono state bisogna/ammet-
tere che i riferimenti alla conversione dopo' il batte-
simo ed anche l'invito a "lasciarsi riconciliare con
Dio" sono largamente presenti
25
Questa dimensione
comunitaria e pubblica, messa a pi riprese in evi-
denza, rappresenta comunque un'originalit della let-
tura di Gregorio: la recezione catenaria dell'opera non
accoglier i testi di questo tenore, confermando cos la
non convenzionalit dell'interpretazione. In questo
orizzonte anche il rimando alla dimensione personale
prende pi ampio respiro.
Dal punto di vista del contenuto il primo blocco
caratterizzato dall' exomologhesis di Salomone, che ri-
guarda gli ambiti rispetto ai quali va esercitato il di-
scernimento (mataiots mataiottn ... ), mentre il se-
condo caratterizzato dalla riflessione sul kairos, mo-
mento opportuno chiamato a diventare il buon
2s F. VrNEL, Introdttction, 72-75. Il tema appare con insistenza, anche
se non esplicitato come in testi quali Didnscnlin/Costituzioni rrpostoliclte,
all'interno dei si rintracciare un percorso celebrativo ed anche
un dossier presumibilmente utilizzato in pi di una
chiesa, dal momento che si trova pressoch identico anche in altri con-
testi (ad in AFRAATE, Exp. 7 "Su coloro che si convertono",
APHRAATE LE PERSAN, Les Exposs, J [SC 349], a cura di M,J, PIERRE,
Paris, Cerf, 1988, 413-440; cfr. C. SrMONELLI, Dia di misericordia, amico
degli uomini. La penitenza in DdascaliafCostituzon Apostoliche, Espe-
rienza e Teologia 8 [1999] 45-57). Del resto Gregorio utilizza costante-
mente un procedimento d questo genere: come si pu facilmente veri-
ficare, i molti riferimenti battesimali ed eucaristici presenti delle Omelie
sul Cantico sono sempre finalizzati al significato spirituale, legato anche
alla pratica sacramentale, ma il cui contesto celebrativo non si rico-
struire in modo Cfr A. CoRTEsi, Le omelie sul dei
Cantici di Nissa. Proposta di 1!11 itinerario d vita lmttesimale
(SEA 70), Roma, Institutum Patristicum Augustinianum, 2000.
107
momento della scelta opportuna (eukairos)
26
. Data
questa caratterizzazione del materiale, la akolouthia
delle due parti sembra presentarsi pi come distin-
zione e correlazione dei livelli dell'argomentazione
che come mera successione di temi. La presentazione
infatti del discorso sul tempo, nelle omelie che com-
mentano Ecci 3,1-8, non indica semplicemente la ne-
cessit della scelta che segue l' examen de conscience
17
,
ma rappresenta una prospettiva trasversale sul senso
del tempo come appropriato e dunque "umanizzato"
dalla scelta. Nello stesso modo, perci anche gli am-
biti indicati dall'esame del Salomone/Ecclesiaste
sulla vita personale e comunitaria, non sono solo am-
biti previ, ma diventano in certo modo coestensivi alla
fatica della pratica.
Ambedue i livelli sono ulteriormente legati dalla pro-
spettiva cristologica, dalle allusioni alla prassi batte-
simale ed eucaristica e dal rimando ad un'ulteriorit
che allude alla durata come relazione al "tempo di
Dio", cifrata dal "fissare gli occhi in Lui":
I-V VI-VIII
Buon pastore e pecora per- Lasciatevi riconciliare ... egli
d uta
18
la nostra Pace (VIII,6)
Battesimo
29
Eucarestia (VIII, 2,134-147)
Apocatastasis (I, 13) (VIII,8,47ss) Ai6n
26
Cfr. S. TARANTO, L'esegesi morale di Gregorio Nisseno nelle "Omelie
sull'Ecclesiaste" (VI-VIII), Annali di Studi Religiosi 5 (2004) 411-462.
2
7 F. VrNEL, Introduction, 75.
2a Om. II,2,2-3; [[,4,33-39.
29
Om. Il,1,5-17: il tema battesimale resta sullo sfondo, raccolto at-
torno alle denon1inazioni di vita, resurrezione, luce, via in questo passo,
ed presente "in obliquo" ogni volta che Gregorio accenna ai membri
108
In questo quadro complessivo la lettura dell'Ecclesia-
ste proposta da Gregorio alla chiesa individua un per-
corso ascetico a pi livelli: come esercizio di ascolto ed
interpretazione, come pratica di vita secondo il Van-
gelo, come attitudine ad abitare la liminarit dell'esi-
stenza.
2.1. I prologhi: il ponos della theoria
Gli inizi- quasi due prologhi- delle due parti si cor-
rispondono ed introducono il linguaggio dell' eserci-
zio faticoso:
Ecco ci proposto alla spie-
gazione l'Ecclesiaste e la fa-
tica (ponos) della the6ria
pari solo alla grandezza
dell'utilit (I,l,l-4)
Questo l'inizio delle parole
che ci sono proposte eis tlze6-
rian ... Se la fatica (ponos) della
nostra ricerca non piccola, il
guadagno che proviene dalla
fatica sar all'altezza della fa-
tica stessa ... (VI, l, 1-5)
La fatica, il ponos, apre lo scenario di entrambe le se-
zioni. Nel primo passaggio, poi, il ponos si allarga in
una costellazione di termini che lo precisano, come la
pratica (melete) e l'allenamento in palestra che prepara
alla gara ginnica vera e propria:
come coloro che si sono affaticati nell'allenamento della
palestra (hai en paidotribou tn palaistrilcn elcponesantes) si
spogliano per partecipare a pi grandi sudori e fatiche nelle
gare ginniche (en tois ag6si tois gymnikois), cos mi sembra
che l'insegnamento dei Proverbi sia una pratica che allena
ed abitua le nostre anime alle gare dell'Ecclesiaste J('.
della Chiesa a cui sono indirizzate le parole dell'Ecclesiaste ed alla
necessit di "recuperare" la grazia accolta (VII,6,25-28).
'" Om. 1,1,13-18.
109
,..,
Fatica e pratica sono applicate sia alla ricerca esege-
tica che al percorso richiesto ai singoli e, per l'Eccle-
siaste, alla vita della comunit, intesa come vita eccle-
siale virtuosa:
ma l'insegnamento di questo libro riguarda solo la vita
della chiesa (ecclsiastike politeia), perch mostra come con-
durre una vita virtuosa (an tis ton en aretei katortlu3seie
bion)
31

Anche il secondo "prologo" parla di arte ed equipag-


giamento per la vita cristiana:
resta da sapere come condurre una vita secondo la virt,
ricevendo da questo testo come un'arte (tccJmn) ed un
equipaggiamento per il cammino (ephodion)
31
Vi dunque un contesto previo per il quale
utilizza il linguaggio dell'esercizio e della fatica e che
viene proposto alla chiesa come percorso ascetico: la
pratica dello scrutare le Scritture, con attenzione, con
impegno, con la modalit tenace e perseverante pro-
pria di chi si esercita, appunto, con un allenatore. Il
"prologo", infatti, della I omelia e cos d tutta l'opera
si dilunga in questa prospettiva:
31
Om. 1,2,19-21.
32
Om. VI,1,13-14: la lezione accolta ha in realt ephado11, via, per-
corso. Con techne per potrebbe correlarsi anche l'ephodion viatico, am-
piamente utilizzato anche in contesto catechetico, ad esempio nella con-
segna del simbolo ed utilizzato anche in Insf. parlare della Croce
come viatico: Paghi del vintico della croce di necessario cari-
carsela con gioia e con una buona speranza e seguire il Dio salvatore ... In
nessun caso bisogna diminuire l'intensit dello sforzo o abbandonare la
gara che c'impegna o pensare alle cose fatte in al contrario,
oc.corre dimenticare queste cose e, come dice impegnarci m
CIO che c1 sta davanti... (Fine, professione perfezolle del cristiano, 44).
110
Se dunque la pratica (meleti!) riesce solo a prezzo di tali
fatiche e sudori, che cosa ci si dovr aspettare rispetto alle
gare vere e proprie? E sicuramente anche se uno immagina
ogni sorta di iperboli non riuscir a rendere appieno con la
parola quali fatiche (ponous) il contesto (stndion) d'i questo
scritto richieda a coloro che gareggiano allo scopo d i otte-
nere, mediante la propria perizia atletica, una fermezza d
33
pensiero ...
Il riferimento immediato alla lettura del testo e la du-
plice ripresa del comando del Signore di "scrutare le
scritture" (Cv 5,39) indirizza alla pratica della lettura
ed interpretazione del testo biblico, come primo evi-
dente significato. Questo tema, largamente presente
nel contesto patristico, assume qui un tratto tipico di
Gregorio, preoccupato non solo della lexis e della
"corretta"- in quanto spirituale interpretazione del
testo, ma anche della fatica del pensiero che nella let-
tura rintraccia una coerenza. La finalit della theria,
infatti, propriamente rintracciare l' akoloutltia: dove
per coerenza si intenda in primo luogo la consequen-
zialit presente nel singolo testo e nell'insieme degli
scritti biblici, ma anche la coerenza globale dell'inter-
pretazione rispetto all' aikonomia del venirc incontro
di Dio in Cristo e, di conseguenza, anche la pertinenza
ed armonia del cammino cristiano
34
A questo mira
anche il passaggio introduttivo citato, quando fa rife-
rimento alla fermezza di e, in modo ancora
pi preciso e suggestivo, alla necessit di salvaguar-
dare: la rettitudine del senso nella complessit del
pensiero (en pasi namatas symplaki)
35

~ Om. !,1,18-25.
" ]. DANILou, L'essere e il
allegoria. Uu contributo alla storia patristica, Roma, Institutum
Patristicum Augustinianum, 1985, 145-156.
35
Om. I, 1,25-26.
111
Altrettanto significativo, per il tema che qui interessa,
l'affermazione che questo "lavoro" pu essere com-
piuto anche se ci troviamo katopin, al di qua della
verit: il tema potr apparire scontato artificio reto-
rico, per la dialettica che si instaura fra "la rettitudine
del senso che viene dalla verit" e l'essere, appunto,
"al di qua della verit". Risulta tuttavia pertinente
rispetto a quanto si vuoi mettere in evidenza, ossia
la dimensione ascetica della vita cristiana: nella con-
sapevolezza di un katopin, inteso come stadion, in-
sieme spazio e misura creaturale, sta la possibilit e
insieme la necessit dello scrutare per cogliere signifi-
cati e connessione dei significati, come ascesi della
lectio e del pensiero teologico.
Questa prospettiva appare coerente non solo con l'im-
postazione globale di Gregorio, ma anche con il resto
del commento. Nell'introduzione alla confessione di
Salomone nella II omelia, infatti, riesce solo
a prezzo di una certa forzatura ermeneutica ad inter-
pretare il limite intravisto "nella" stessa ricerca della
sapienza come limite visto "per mezzo" della sa-
pienza. Il cammino di acquisizione della in-
trapreso da Salomone collocato nell'ordine dell'"e-
sercizio", con tutti i termini correlati. Infatti Salomone
<<nei primi tempi della sua vita si applicato alla pai-
deia con impegno (sdwl), senza ritrarsene anche se si
pu ottenere solo a prezzo di impegno e fatiche (ponn
spoudas); poi ha fatto uso della libera scelta dello spi-
rito
36
per accrescere il proprio sapere, anche se anche
36
Nel testo biblico pronircsis tou pneumatos indica "una scelta di
vento", ma il tenore stesso dell'espressione permette a di uti-
lizzarla anche altrimenti: in V,S-6, tuttavia, dona al lemma
giorativo che ha nel testo commentato.
112
questo esigeva fatiche
37
Dopo aver poi esposto come
Salomone abbia preferito la sapienza alla potenza,
Gregorio descrve la sequenza in cui si articola la fa-
tica per acquistare sapienza: conoscere quant ha pro-
dotto chi ci ha conoscenza delle "parabole
e della scienza" 1,17) come conoscenza per ana-
logia, di cui l'uso evangelico delle parabole offre un
esempio
38
Questa pratica, fa crescere insieme alla sa-
pienza anche la capacit di soffrire, ma permette il
discernimento (lcrisis) di quanto "sotto il sole"
39

2.2. Vanit delle vanit
Il discernimento esercitato per mezzo della sapienza
riguarda molteplici ambiti di vita ecclesiale rispetto
ai quali si chiamati ad operare una buona scelta
nel momento opportuno. Tali ambiti delineano cos
una fisica dai tratti nettamente in quanto finaliz-
zata alla scelta umana. La realt d tutte le cose un
richiamo (Sap 13,1)
40
per l'uomo che vi inserito, crea-
tura spirituale e materiale
41
, la cui realt profonda
vocazione, nel senso di possibile adeguamento dello
" Om. II,5,41-48.
38
Cfr. il commento alla
DESALVO, L'oltre nel prcseule,
" Om. II,6,49-51.
alla virt dell'Ecclesiaste" in C.
"" significativo il ruolo svolto da versetto di Sapienza:
posto all'inizio e alla conclusione della I ed ancora alla fine della
seconda ed ultima sezione, rappresenta una chiave di lettura dell'intero
ciclo, orientandone l'interpretazione non al della realt
creata, ma alla sua lettura come accesso,
alla relazione con Dio.
41 Fra i molti possibili contesti, cfr. l'essere umano come "diplous"
in Om. VI,10,19-20: epeid toinyn diplous me11 ho anthropos, ek pyches lego
kai smntos (duplice infatti l'essere umano, intendo dire che costituito
di anima e di corpo).
113
statuto d immagine (Gen 1,26). La tensione negativa
presente nella continua della vacuit delle
vicende umane, non riguarda immediatamente la con-
sistenza delle cose, ma il rapporto che l'uomo ha con
esse. Tale rapporto fatto di fatica, e la fatica trova un
senso in ci che della realt fondamento svelato: il
concludersi sull'apocatastasi della I omelia, apre nella
II la spiegazione di ci che la l'evento del Cri-
sto medico e pastore, venuto a cercare la pecora per-
duta, cio tutta l'umanit.
Questa la prospettiva su cui si apre dunque la con-
fessione di Salomone, adesso non solo tipo del
ma anche personaggio "storico", la cui vi-
cenda biografica non sta nell'ordine delle vite esem-
plari, ma nell'ordine dello svolgimento etico delle vite
umane, nel momento in cui, poste di fronte alla scelta,
sperimentano libert e fragilit insieme. La possibilit
di questa scelta sar l'oggetto della seconda sezione,
basata sul kairos come tempo etico; in prima
parte l'insegnamento, offerto nella forma della confes-
sio, riguarda gli ambiti rispetto ai quali salomone-eccle-
siaste venuto meno nell'esercizio della vita cristiana.
Tali ambiti non riguardano unicamente atteggiamenti
interiori, ma anche azioni pubbliche. La vita "secondo
la virt" connessa perci a diversi ordini di que-
stioni: corretta valutazione del valore della scala degli
esseri, resistenza ai pathe, ma anche impegno ad evi-
tare appropriazioni indebite ed ingiustizie.
Vorremmo soffermarci in particolare su questi ultimi
ambiti, che sono trattati nella IV omelia. Il discorso di
Salomone inizia nella III omelia con la denuncia del
lusso di abitazioni e giardini e dell'uso eccessivo di
vino. Prosegue nella IV omelia con la denuncia non
114
del cattivo uso della schiavit, ma dell'istituzione
stessa della schiavit, in un passaggio molto lungo,
di cui riportiamo solo alcuni stralci:
Ho comprato schiavi e schiave ed ho dei servtori nella
mia casa. Vedi l'enormit del crimine? Una parola di que-
sto tipo grida direttamente contro Dio ... Che vuoi dire? Tu
condanni alla schiavit l'essere umano la cui natura li-
bera e sovrana (eleuthera kai autexousios) e fai leggi che si
oppongono a Dio ... Colui che nato per essere signore
della terra, colui che dal creatore stato posto in posizione
di comando, tu lo sottometti al giogo della schiavit, tra-
sgredendo e rovesciando il comando di Dio. Tu hai dimen-
ticato i limiti del tuo potere ... hai comprato ... dimmi,
quante monete hai dato? Quanti pezzi d'oro per l'imma-
gine di Dio? Dio dice: 'Facciamo l'uomo a nostra imma-
gine e somiglianza'. Colui che a somiglianza di Dio, che
comanda tutta la terra e che ha ricevuto da Dio in eredit il
potere su quanto sulla terra, chi pu venderlo, dimmi, o
comprarlo? A Dio solo questo potere: che dico,
neanche a Dio stesso! Perch, scritto, 'non si pente dei
suoi doni'. Dio stesso non asservirebbe mai la natura
umana, Dio che deliberatamente ha chiamato a libert
noi, un tempo schiavi del
42
La confessione prosegue poi con la denuncia dell'a-
more smodato per l'oro e le in cui Grego-
rio intravede ancora una volta un travalicare i limiti
assegnati al proprio potere. Il desiderio delle ric-
chezze diventa condanna aperta del prestito ad inte-
resse:
e l'idea perversa del prestito ad interesse, che senza ti-
more di esagerare possiamo definire e omicidio?
che differenza c' fra il procurarsi di nascosto col furto i
beni altrui uccidendo chi si e acquisire beni ai
-'1 Om. IV,1, 1-105.
115
quali non si ha diritto utilizzando un contratto che impone
interessi? ".
E la confessione-denuncia prosegue descrivendo il
tale visto qualcuno nella necessit, si atteggia a
offrendo un prestito: poi im-
pone mteress1 talmente iugulatori da ridurre sul la-
strico o costringere alla schiavit la propria vittima.
con somma ipocrisia, facendo prevalere
lillegallta attraverso un pubblico contratto, pubbli-
chiamato filantropo, benefattore, salvatore.
E stata osservata la vicinanza di contenuto e modalit
fra lo svolgimento di questi temi nelle omelie e
diatriba cinico-stoica
44
, come per anche la forza e
l' originalt del passaggio contro la schiavit rispetto
ad altre prese di posizione ecclesiastiche coeve
45
Per
riguarda le ingiustizie sociali ed il prestito ad
il riferimento pi prossimo nella produ-
ZIOne di Gregorio sono le sue omelie De pauperibus
amamils e Contra usurarios
46

Lascia piuttosto perplessi, tuttavia, la veloce elimina-
zione della tematica sotto la rubrica di "esegesi mo-
ralizzante"
47
Certo tale definizione legata alla con-
testualizzazione delle omelie: l'assenza di temi sociali
IJ IV, 3,1-75.
"' C. DESALVO, L'oltre nel presente, 146.
., "' T.J. ?ENNis, relationsltip betwceu Gregory of Nyssa's a//ack 011
:/a, et Y wlns lwnuly 011 Ecclesiastes and lts trcntise de homiuis optficio,
m Studw PatnstJca XVII, 3, Oxford, Pergamon Press 1982 1065-107?
46 G 1 , -
DI NrssA, De beueficentin e In lllud Qualcnus fecistis 1111;
ex lus fcCJs/Js mtht (note anche come De p11upcrbus I e Il) a cura ct A v
H GNOI . ' l . AN
ECK, X, Letden, Brii!, 1967, 91-127; Io., Contra usuraros, a cura di
E. GEBHART, GNO IX, Leiden, Brii!, 1967, 195-207. Cfr. S. HOLMAN The
Hrmgry are dymg. Beggnrs n mi Bis!wps i11 Roman Cappadocia, Oxford' Ox-
ford Umversrty Press, 2001. '
47
F. VrNEL, Iutroducton, 22.
ll6
nella produzione matura, ad esempio nelle Omelie sul
Cantico, considerata indizio per la datazione del te-
sto. Non si pu negare che sia possibile vedee nei
temi sociali mostrati qui e nelle omelie citate un inte-
resse estemporaneo, ben presto superato ed assorbito
in pi privati e stereotipati elenchi di virt. C' anche
spazio, tuttavia, per un'altra lettura: si pu cio ipo-
tizzare che nell'itinerario dei libri Salomonici, intesi
non come gradini di una scala, bens come momenti
ineliminabili della vita cristiana, resti assegnato lo
spazio di un esercizio di vita cristiana che riguarda
anche discernimento e pratica nella vita ecclesiale e
nella vita civile. Come afferma Gregorio nel corso
delle omelie, per tale pratica <dl momento opportuno
tutta la vita
48

2.3. Il momento opportuno
La riflessione sul"momento opportuno" collegata al
livello letterale del testo a disposizione di Gregorio,
che presenta in successione i termini clzronos e kairos:
c' un tempo (chronos) per tutto ed un momento op-
portuno (lcniros) per ogni cosa sotto il cielo>> (Eccl 3,1).
n tempo indistinto della confessione di Salomone, pu
aprirsi ad un tempo, definibile etico, che riguarda la
singola scelta come aperta alla totalit del proprio si-
gnificato. n tema abbozzato nella VI omelia e poi
viene ripreso nella VII, attraverso il tema del "sa-
bato": non astensione dalle opere, ma, in senso spiri-
tuale, unico in questo caso accettabile per Gregorio, il
buon momento della scelta del bene. Rispetto, ad
4
" Om. VII,5,17.
117
esempio, agli ambiti precedentemente delineati, il sa-
bato la decisione messa in atto di rifiutare schiavit
ed usura.
La riflessione sul tempo, la cui estensione, connatu-
rata alla creazione stessa, connota anche la vita
umana
49
, diventa cos meditazione sul tempo appro-
priato dal soggetto e sulla temporalit del soggetto
stesso, che in kairoi come eukairoi diventa se stesso
facendo esperienza dell'aio n. Anche il termine aJn
offerto dal testo biblico commentato, Dio ha posto
nel suo cuore ton ai8na>> (Ecci 3,11), ed spiegato da
Gregorio come "durata": che, dice Gregorio, un
concetto di estensione>> (diastematikon ti noema). La
qualit di tale "durata" sembra risiedere nel fatto
che, in questa lettura, aion il tempo come luogo della
relazione con Dio, un po' come nell'antropologia tri-
cotomica di Origene lo pneuma dell'uomo, che non
una "parte", ma indica la sua dimensione relazionale.
Nel passaggio gi ricordato dell'VIII omelia, infatti, la
riflessione sull'aOn si apre al godimento del ban-
chetto: il banchetto imbandito dalla sapienza, ma an-
che, attraverso l'esplicita citazione di Gv 6,55, l'euca-
restia . Ancora una volta esperienza nello spazio-
tempo creaturale, non fuori di esso, ma che del dia-
stema rivela l'apertura, insieme origine, fondamento e
49
Om. Vl,3.
50
Il passo si riferisce al "banchetto della vita", in senso escatolo-
gico, ma strettamente connesso col richiamo fatto in precedenza, Om.
Vlll,2, 134-147: Se colui che per sempre s offre a noi come cibo,
perch, avendolo ricevuto in noi stessi, diventiamo quello che Egli .
Dice infatti: 'la mia carne vero cibo e il mio sangue vera bevanda'.
Chi ama questa carne non sar carnale e chi ama questo sangue sar
liberato dal sangue sensibile. Infatti la carne del Logos ed l sangue che
in questa carne, non hanno una grazia unica, ma diventano dolci per chi
li gusta, appetibili per chi li desidera e seducenti per chi li ama.
118
vocazione. Del resto l'omelia conclude tutta la rac-
colta sull'ardita speranza di <<fissare gli occhi su
Dio>> (VIII,9, 16): questo aion, non sottratto alla. crea-
turalit, ma aperto alla relazione con Dio, perch Dio
ha voluto abitarlo
51

Non perci tanto l'esame delle azioni individuate
per ogni kairos, la cui ripetizione scandisce il testo, a
connotare la lettura di Gregorio, quanto la pregnanza
del termine. I singoli !cairoi vengono infatti spiegati
con un'interpretazione di tipo spirituale, che, pur per-
mettendo suggestivi sviluppi, conduce anche una ad
una certa dispersione. Pi che i singoli passaggi, dun-
que, la riflessione sul tempo ad emergere dalla se-
conda parte della raccolta.
Appare cos particolarmente apprezzabile, anche se
forse non del tutto compiuto, il tentativo di Gregorio
di <<fermare il fotogramma>>: possibile non dissiparsi
nei tempi
52
, perch il tempo abitato dal Medico delle
" II riferimento, per quanto riguarda queste omelie, _ai ':'olti
cristologici, a partire da quell sopra citati dc:' mistero d1 Dw che s1 e
manifestato nella carne e del pastore venuto 111 cerca della pecora per-
duta, ma anche la ripetuta affermazione del ruolo di Medico svolto dal
Figlio, e della offerta della vita nella resurrezio;1e. Lo stesso s.chema
ritrova in tutta la produzione di Gregono: sull 1mp1anto stonco-s.alvi-
fico dei "trattati spirituali" (Vita Moysis e Iu Cm:t) cfr. A. CAr-:EVET,
Grgoire de Nysse et biblique, Paris, Augusttmen-
nes, 1983, 273-287; per lo sviluppo del tema a parttre dalla sequenza
delle teofanie in Vita Moyss, cfr. TH. B6HM, Tlteona, Unmdlicllkell, Auf-
stieg. Philosophische Implikatiouen zu De Vita Moysis Gregor Nyss_a,
Leiden, Brill, 1996, 235-264; interamente volto ad ev1denztare !l tema m
Orato catechetica, R.J. KEES, De Lehre von der Oikonomia Galles in der
Oratio Cateclretica Gregors vo1r Nyssa, Leiden, Brill, 1995. .
" Difficile resistere alla tentazione di far riferimento ad Agostmo,
in cui il tema del tempo come distentio animi (Couf. 11,26,33) pu essere
accostato al tema dell'aversio-conversio, passaggio dall'esteriorit all'in-
teriorit, dalla dissipazione alla relazione, dalla frammentariet alla
comunione, ancora sullo sfondo di Fi/3,13, il testo "dell'cpectas!": Dis-
119
nostre vite, che lo apre ad una relazione, disponibile
non in frammenti, ma nei "tempi opportuni" della
disposizione di s, che Dio non vuole violentare
53

La globalit di questo impianto, non produce, infatti,
fuga al di l della considerazione antropologica della
scelta, che ne sarebbe altrimenti fagocitata: in uno
spiritualismo, in questo caso veramente vacuo. Sembra
di poter collegare questo concetto al katopin, visto in
precedenza: la densit di questo "al di qua" l' econo-
mia ed ogni fuga che salti la storicit della relazione in
questo modo dischiusa, si rivelerebbe ben poco spiri-
tuale, in quanto incapace di vera theria.
Nello stesso tempo il rimando alla dimensione esca-
tologica impedisce che questa esperienza si possa
considerare compiuta in se stessa, autosufficiente: la
ricerca <<del bene in cui non si prospetta saziet n
sperimenta nausea (lcoros leni plsmon)>>
54
, l'apertura
sulla vertiginosa visione dall'alto della montagna,
che introduce a lode e silenzio
55
sono, in Gregorio,
silui in temporc ... ecco la mia vita dissipazione (distcntio) e la tua mano
mi ha raccolto nel mio Signore, il Figlio dell'uomo, mediatore fra Te,
Uno e noi i molti, mediatore dei molti attraverso molte vie, affinch per
lui mi stringa a Colui che in Lui mi ha stretto a s e, liberato dai giorni
vecchi, mi raccolga nella sequela dell'Unico, dimentico del passato, non
pi rivolto alle cose che si succedono e passano, ma proteso verso ci
che mi sta davanti, non in dissipazione, ma in tensione dello spirito (11011
distcntus, scd cxtentus) ... (Co11[. 11,29,39).
53
Cfr. sopra, Om. IV,1,54-56.
54
Om. II,8,44.
55
Om. VII,S. Analoga immagine nella VI Omelia sulla Beatitudini:
La mia mente, quando guarda dalla sublime voce del Signore, come
da un'alta montagna alla profondit inesauribile dei suoi pensieri,
prova la stessa impressione che verosimile sperimentino coloro che
da un'altissima vetta si rivolgono all'infinita vastit del mare (GREGO-
RIO DI NrssA, Commmlo al Nuovo Testamento, a cura di A. PENATI BER-
NARDINI, Roma, Caletti, 1992, 99). Suggestivo il confronto con un padre
di altra epoca e contesto, come !sacco di Ninive, in cui i gradi della
120
premessa e promessa di ulteriori sviluppi. Che sono
poi gli sviluppi delle opere della maturit, in cui la
liminarit cifra della condizione umana, nelle figure
di sempre incompiuta apertura operata dallo Spirito.
3. LA FATICA DELL'ASCOLTO E DELLA PAROLA
La lettura dell'Ecclesiaste rappresenta dunque un'a-
scesi proposta alla chiesa, quanto meno nella triplice
prospettiva individuata. Vorremmo adesso, a partire
dalle stesse omelie, ma permettendoci uno sguardo
pm ampio, soffermarci in particolare sul primo
aspetto: l'ascesi come pratica della le etio, rigore del
pensiero e consapevolezza del limite di entrambe
come vocazione. Questo pu in prima battuta appa-
rire semplicemente come riprova che il pensiero pa-
tristico sia soprattutto rivolto a questo tipo di atten-
zione e solo sporadicamente recuperi pi ampi temi,
come la denuncia della schiavit sopra evidenziata.
Senza negare del tutto questo limite, possiamo tutta-
via accogliere questi inviti come una sorta di
della sospensione": richiamo alla radice di ascolto ed
ulteriorit di ogni prassi, da una parte e, d'altra parte,
confessione della ineliminalibile fisicit di ogni atti-
vit, anche dell'ascolto e del pensiero.
conoscenza e della preghiera si aprono allo stupore, cifrato anche come
non-conoscenza e non-preo-hiera e l'ascesi si apre alla misericordia: cfr.
la presentazione di S. Dall'ascesi eremitica alla misericordia iufi-
nita. Ricerche s11 [sacco di Ni11ive e la sua fortuna, Firenze, L.S. Olschki,
2002, in particolare i capitoli "Conoscenza e stupore" (119-141) e
"Ascesi e lotta spirituale" (173-221).
121
3.1. La cavit nella roccia
La fatica dell'ascolto/lettura e il sudore dell'interpre-
tazione sono proposti come l'esercizio che d forma
alla vita della chiesa. Origene maestro in questa pro-
spettiva secondo cui il rapporto con il testo esercizio
in cui avviene l'incontro fra la libert umana e il
Verbo:
Mi sembra che ogni parola della Scrittura divina sia simile
a un seme, la cui natura sia tale che, una volta che sia stato
gettato in terra, rigenerato in spiga o in qualunque altra
specie del proprio genere, si moltiplica e si diffonde: e
questo con tanto maggiore abbondanza quanto pi un
esperto agricoltore abbia speso di fatica per i semi...
cos che avviene per la parola che ci stata letta dai libri
divini: se trova un agricoltore esperto e diligente, pur se al
primo contatto sembra piccola e insignificante, quando
comincia ad essere coltivata e trattata con perizia spiri-
tuale, cresce in albero e si espande in ram! e virgulti ...
cos vengano ... e attirati dalle sue spiegazioni vorrebbero
abitare tra questi rami, nei quali non c' bellezza di parole
ma regola di vita ... Se il Signore si degnasse di concedermi
l'arte della coltivazione spirituale, se mi facesse dono del-
l' abilit di coltivare la terra, basterebbe una soltanto delle
parole che sono state lette ...
56

Nello stesso senso i molteplici schemi utilizzati dal-


l' Alessandrino per indicare il progresso spirituale
57
, a
cui tanto deve l'elaborazione dell' epectasi in Gregorio,
hanno sempre spazio per l'esercizio, sia esso indicato
55
0RIGENE, Omelia sull'Esodo 1,1, in Omelie sull'Esodo (Opere di Ori-
gene 2), a cura di M. SrMONETTI, Roma, Citt Nuova, 2005, 41.
57
G. LETTIERI, Progresso, in Orige1re. Dizionario, a cura di A. MoNACI
CASTAGNO, Roma, Citt Nuova, 2000, 379-392.
122
nella marcia nel deserto, nella costruzione del taber-
nacolo interiore
58
, nella sosta presso il pozzo:
Prova anche tu che ascolti ad avere un tuo proprio[pozzo e
una tua propria fonte, affinch tu pure quando prenderai
in mano il libro delle Scritture possa cominciare ad espri-
mere anche dalla tua propria intelligenza una qualche
comprensione. Secondo quanto hai imparato in chiesa,
tenta anche tu di bere dalla fonte del tuo spirito, dentro
di te c' la fonte dell'acqua viva. Dunque anche tu purifica
il tuo spirito per bere finalmente anche dalle tue fonti e
per attingere acqua viva dai tuoi pozzi
59

In questo stesso senso, la teofania di Es 33, che tanta


importanza ha nel pensiero di Gregorio e che abbiamo
ricordato come metafora della vita spirituale, riceve
una suggestiva interpretazione in Isacco di Ninive:
<<La cella del monaco, secondo la parola dei padri,
la cavit della roccia dove Dio parl con Mos>>
60

Esemplare, certo, la lezione monastica su questo ver-
sante: la "cella" da non abbandonare diventa cifra di
un esercizio paziente, che resiste alla tentazione della
fuga
61
, che anche tentazione di superficialit, di let-
ss Cfr. ORIGENE, Omelia sull'Esodo IX. Cfr C. NocE, Omelia IX, in
Omelie sull'esodo. Letture origeniane, a cura di M. MARITANO - E. DAL
CovaLO, Roma, LAS, 2002, 57-73.
5
' ORIGENE, Omelia sulla Gwesi, XII, 5, in Omelie sulla Ge11esi (Opere
di Origene 1), a cura di M. SrMONETTI, Roma, Citt Nuova, 2002, 315.
'" IsAcco or NrNIVE, Prima collezione 24, citato in S. CHIAL, Dall'a-
scesi eremitica, 182, nota 325.
61
Esemplare e spesso citata a proposito la spiegazione sull'accidia
data da Evagrio: Il demone dell'accidia, che chiamato anche meridiano
(Sal90,6b), il pi pesante tra tutti i demoni e incalza il monaco intorno
all'ora quarta e circonda la sua anima fino all'ora ottava. E dapprima fa
s che il sole sembri lento nel suo moto o immobile, mostrando il giorno
di cinquanta ora. Poi lo forza a volgere di continuo gli occhi alle finestre
e a balzar fuori dalla cella e a fissar il sole - di quanto disti dall'ora
nona ... ancora gli getta dentro odio per il luogo e per lo stesso genere di
vita ... portandogli davanti agli occhi le pene dell'ascesi e, come si dice,
123
tura della Scrittura come conferma delle proprie at-
tese. Sembra esserci, cos, un reciproco rimando fra
cella e ascolto l studio: alla cella si attribuisce quanto
proprio della vita cristiana, nella sua radicale di-
mensione di ascolto e attesa della teofania, e viceversa
la vita cristiana pu rileggere la propria esperienza
come "cella", non solo nel senso della cameretta se-
greta del Peri euchs di Origene
62
, ma come pi ampio
habitare secum in quanto pazientemente aperti all'a-
scolto
63
Invito alla cavit nella roccia come "cella"
da non abbandonare dunque invito ad ognuno a
non fuggire verso conclusioni che non conoscano la
fatica dell'ascolto e dell'analisi.
In questo stesso ordine di considerazioni, il fatto che i
termini utilizzati per l'esercizio provengano da altri
mette in moto ogni mezzo perch il monaco, lasciata la cella, fugga dallo
stadio (lCor 9,24) (EVAGRlO, Pratico 12, in EVAGRlO PoNTICO, Per co/lo-
scere lui, a cura di P. BETTIOLO, Magnano [BI], Qiqajon, 1996, 196-197).
Simile ordine di considerazioni nel testo attribuito a Gregorio, che con-
nette accidia ed orgoglio: "Ora gli fa credere pesanti i comandamenti
della Scrittura e odiosa la cura dei confratelli, ora, facendogli abbando-
nare le cure dei suoi compagni di servit, lo solleva fino alla millanteria
e all'orgoglio e produce in lui l'illusione di aver adempiuto ai coman-
damenti di Dio e di essere grande nei cieli (Fine, professione e perfezione
del cristitmo, 50).
62
0RIGENE, La preghiera, a cura di N. ANTONIONO, Roma, Citt
Nuova, 1997, l 01 s.
" Stesso scambio simbolico presentato nei Detti, presenti in varie
recensioni, secondo cui il santo monaco viene inviato dal tale o dalla tale
nella citt che nelle occupazioni conserva il "ricordo di Dio". Cfr. Sin-
c/etica19, in Vita e Detti dei Padri del deserto, a cura di L. MoRTARI, Roma,
Citt Nuova, 1999', 482: Disse la madre Sincletica: molti di quelli che
vivono sul monte fanno ci che fa la gente del mondo e si perdono.
possibile, vivendo assieme a molti, praticare con la volont una vita
solitaria e, vivendo da soli, essere con la mente in mezzo alla folla>>
Antonio 24, in Vita e Detti, 88: In citt c' uno che ti somiglia: dl
professione medico, d il superfluo ai bisognosi e tutto il giorno canta
il trisaghion con gli angeli>>.
124
contesti, come l'esercizio fisico, il lavoro che dissoda
la terra, la pratica filosofica pu illuminare anche un
altro aspetto della questione. La disposizione peces-
saria per ascoltare e per perseverare nell'ascolto, in-
fatti, non diversa di fronte ad un testo biblico o ad
un testo profano, ad un lavoro, ad una persona. La
"fuga", il non esercitato ascolto, produce letture-con-
ferme, nello stesso modo in cui produce opere male
eseguite e non comunicazione fra le persone.
Cos nelle Omelie sull'Ecclesiaste Gregorio pu inter-
pretare <<un tempo per cercare, un tempo per perdere
come indicazione che la ricerca stessa il guadagno
del cercare, in quanto luogo dell'incontro con Dio:
Gioisca il cuore di quanti cercano il Signore. So dunque
con queste parole che cosa devo cercare: il trovare infatti
il fatto stesso di cercare senza sosta (lze heuresis estin auto to
aei zetein). Perch cercare non una cosa e trovare un'altra,
ma il guadagno della ricerca la ricerca stessa ... il mo-
mento opportuno per questa ricerca tutta la vita'".
Se dunque "la vita intera" chiamata ad essere bet
hammidrash e cavit nella roccia, allora la tentazione
di trascurarne la pratica esperienza del koros e del
"demone di mezzogiorno", mentre l'accoglierla la
prima ascesi proposta alla chiesa.
3.2. La virt che mira alla precisione della parola
noto, quanto meno a partire dal paragone proposto
fra costituzione dell'uomo, livelli di appartenenza ec-
clesiale e livelli di interpretazione della Scrittura, che
'" Om. Vll,5,11-15 e pi ampiamente tutto il contesto, estremamente
suggestivo.
125
per Origene la "semplicit" ha accezione negativa e
lungi dall'indicare l'unificazione, semplifi-
cazione e superficialit
65
Per questo i "semplici"
sono invitati a diventare sempre pi "spirituali", ab-
bandonando la semplice ripetizione di formule, ma
cercando la comprensione della fede ed esercitando
la ricerca rispetto a quanto non chiaro
66
Esemplare
in questo senso l'introduzione al Peri arclton:
Occorre sapere che gli Apostoli, che predicarono la fede di
Cristo, su alcuni punti che ritennero necessari espressero
in forma chiarissima il loro insegnamento a tutti i credenti,
anche a quelli che erano meno alla ricerca delia
scienza divina: ma la dimostrazione razionale dei loro
enunciati lasciarono da indagare a coloro che avessero
meritato i doni sublimi dello e soprattutto avessero
ottenuto dallo Spirito santo il dono della parola, della sa-
e della scienza; di altre verit affermarono l'esi-
stenza ma ne tacquero modalit e origine, certo perch i
pi diligenti fra i loro discendenti, amanti della sapienza,
potessero dedicarsi a un esercizio in cui mostrare i frutti
del loro ingegno
67

In questo senso il rigore del pensiero ascesi, che si


manifesta anche nella disciplina della parola
68
: come
rappresentato, ad esempio, da Pambo, che intreccia
irriducibile i cestini e riflette prima di connettere si-
gnificati con la stessa attitudine con cui misura i gesti
necessari per il lavoro. Racconta infatti Palladio che
65
Cfr. 0RIGENE, I Principi IV,1,1; cfr. M. SrMONETTI, Scrittura sacra e
A. MoNACI CASTAGNO, Semplici, in Origeue. Dizionario, rispettivamente
423-437 e 440-443.
66
Cfr. L. PERRONE, Metodo, in
6
7 0RIGENE, I Principi, a cura di
120s.
Dizionario, 276-281.
StMONETTI, Torino, UTET, 2002
3
,
68
L'evocativo suggerimento in U.G. GrELI DERUNGs, Poesia come
discipli1m della parola. Temi e variazioni, Servitium>> 158 (2005) 103-109.
126
alle domande che gli venivano rivolte, sulla Scrittura
o su questioni inerenti alla pratica, non rispondeva
mai subito, ma diceva "Non ho trovato ancora". E
meditava a lungo sulla questione
69
, quasi covndola:
aveva infatti la virt che mira alla precisione della
parola (ten eis to akribes tou logou)
70

Non diversamente la <<parola incaricata di interpre-
tare)) (ermeneutike fon) e la ricerca della <<rettitudine
del senso nella complessit del pensiero))
71
, la sapien-
ziale inventio dell' akoloutltia sono esercizio di un mini-
stero ecclesiale, la cui postazione, per parafrasare l'A
Diogneto, non lecito abbandonare
72

3.3. Momento per parlare, momento per tacere
La parola che interpreta tuttavia in relazione al si-
lenzio, per diversi aspetti: perch nel silenzio si avva-
lora e pu tentare di evitare la vacuit, come si diceva.
Ma anche perch la parola che interpreta ha un com-
pito che la sorpassa e mentre ne mostra l'umile neces-
sit, ne denuncia contemporaneamente ogni pretesa
di possesso, simulacro di idolatria. Per questo, nello
stesso passo sopra ricordato, Gregorio mentre intro-
duce la "parola che interpreta" come compito, af-
ferma anche che questa parola sperimenta difficolt
e fatica, anzi, confrontata con lo smisurato oggetto,
69
Significativamente il verbo meleta (cfr. Sal 1,2) ed il
dente termine melete diventano sinonimo di meditazione,
pratica di frequentazione, traducibile anche come ruminatio o cova: L.
MoRTARr, Introduzioue, in Vita e Detti, 24-25.
70
PALLADIO, La Storia Lausiaca, a cura d G.J.M. BARTELINK, Milano,
Mondador, 1974,51.
n Dm. Ecci. I, 1 ,26.
n A Diogneto 7, a cura di E. NoRELLI, Milano, Paoline, 1991.
127
addirittura aphasia e sip. Proprio il contesto, tutta-
via, impedisce di leggere questo silenzio come sem-
plicemente contrapposto alla parola: ne invece da
una parte matrice che genera, dall'altra grembo che ac-
coglie il sovraccarico di i:>L)';.tlJ.u,.a
Se il tema cos declinato dal Nisseno, non certo
esclusivamente suo. Basta qui solo accennare alla ri-
flessione sulle possibilit ed i limiti del linguaggio
teologico elaborata da di Nazianzo
73
A que-
sto sembra alludere anche l'idea stessa di padri pneu-
matofori, la cui preghiera si manifesta come fuoco e
luce. Del padre Sisoes raccontavano che mentre stava
per morire e i padri si erano seduti accanto a lui, il suo
volto risplendette come il sole ... . Anche in questo
caso, ancora una volta, la "perfezione" non fuga,
ma consapevolezza di sempre rinnovati inizi: agli an-
ziani che protestano d fronte al suo proposito di far
penitenza, risponde: non sapevo davvero di avere
cominciato ...
74

Se il riserbo della parola in relazione al suo corretto
uso, entrambi, parola e silenzio, sono infatti, tanto pi
contemplativi quanto pi hanno consapevolezza di
non poter abbandonare la terra, come nel suggestivo
episodio attribuito a Poemen. Un anacoreta molto sti-
mato e ricercato si reca in Egitto per ricambiare una
sua visita: <<Poemen lo ricevette con gioia e, dopo es-
sersi salutati, si sedettero. Lo straniero cominci a
parlare della Scrittura e di cose spirituali e celesti.
Ma il Poemen volt la faccia e non gli diede
Cfr. il suggestivo percorso negli scritti del Nazanzeno, che pre-
senta il teologo come profeta, amico e poeta>>: G. L'\ITI, Per me la vita la
Parola, Esperienza e Teologia 2 (1996) 137-142.
7
' Sisoes 14, in Vita e Detti, 451.
128
risposta. Vista la delusione dell'anacoreta, un fra-
tello chiede all'abba, che finemente re-
plica: parla di cose celesti; io invece ,sono di
quaggi e parlo di cose terrene. Se mi avesse parlato
delle dell'anima, gli avrei risposto. Ma le
cose spirituali, queste io non le so ... >>
75

Cos le spirituali della maturit del nisseno pi
volte ricordate, raccolte nella corsa immobile, nella
profondit del pozzo che scorre, nella reciproca ina-
bitazione del Cantico, non negano la fatica del pen-
siero, ma mentre la accolgono e ne mostrano la voca-
zione, ne vengono a propria volta evangelizzate. Non
diversamente Gregorio nelle Omelie sull'Ecclesiaste
la vertigine sull'abisso sperimentata dal-
l' alto della vetta, quando la parola chiamata al di
l della parola, e sperimenta l'"impossibile interpre-
tazione" come imperfetta adeguazione, dialettica di
parola e silenzio cifrata nello stupore. E significativa-
mente il passaggio, commento a <<momento per par-
momento per tacere>>, dopo aver mostrato come
anche la lode sfumi nel silenzio, finemente conclude
senza ritrarsi dal compito assegnato: adesso mo-
mento di parlare ...
76

E forse non fuori luogo accostare a questa n'"""'"'"'lr-
tiva, quella, pure gi ricordata, della relazione fra sa-
pienza e dolore. Salomone accrescendo la propria sa-
pienza, si dice, ha accresciuto anche la propria capa-
cit di soffrire. Non il dolore che distrugge e neanche
la "cattiva tristezza" che una forma di akedia
77
Piut-
75 Poernen 8, in Vita e Detti, 373-374.
76
GREGORIO DI NISSA, Om. Ecci. VII,S,78.
77
Disse anche: "Vi una tristezza utile e una tristezza dannosa.
Tristezza utile quella che ci fa piangere per i nostri peccati e per
129
tosto il dono delle lacrime, carisma dello Spirito, parto
della creazione (Rm 8,16ss): madre della gioia in spe-
ranza
78

4. ANCHE L'ASCESI VANIT?
Di fronte al fascino rappresentato dalle figure definite
"mature" e che potrebbero mostrare, se non di-
sprezzo, quanto meno superamento del tenace o forse
pedante esercizio ascetico, resta pertinente la do-
manda, apparentemente elusa da Gregorio con l' astu-
zia esegetica sopra evidenziata: "vanit delle va-
nit" ... in fondo anche l'ascesi pu essere vanit?
Sembrano essere soprattutto due i contesti da racco-
gliere a questo proposito: in primo luogo riprendendo
quanto ha introdotto questo percorso, rispetto al tema
della perfezione, accolta con "riserva" da Gregorio.
La riserva mostrata sta ad indicare che "perfezione"
non un traguardo, ma un cammino: dunque l'ascesi
pu effettivamente essere "vacua", ma nella misura in
cui ignori l'inesauribilt del cammino o, per ripren-
dere la parabola iniziale, il suo orizzonte.
Questa prospettiva, la cui l'elaborazione nelle grandi
opere del Nisseno stata volte richiamata, riceve
nel De instituto christiano, in dipendenza dalla sua
fonte monastica rappresentata dalla Grande Lettera,
una declinazione pi descrittiva, forse non sempre
l'infermit del prossimo e fa s che non veniamo meno dalla risoluzione
di giungere alla perfezione del bene. Ma c' anche una tristezza che
viene dal nemico: del tutto assurda e certuni la chiamano accidia.
Bisogna dunque estinguere questo spirito soprattutto con la preghiera
e con la salmodia"" (S nel etica 28, in Vita e Detti, 484-485).
78
GREGORIO DI NISSA, Om. Ecci. Vl,9,5-7, 330, nel contesto del com-
mento un tempo per piangere, un tempo per ridere.
130
ben calibrata nelle sue connessioni, ma con il notevole
pregio di esplicitare la dinamica pneumatologica del
percorso
79
:
Finch non approderemo tutti all'unit della fede e della
conoscenza del Figlio di Dio, nell'uomo perfetto, nell'et
propria della pienezza di Cristo, per non essere dei
bambini sbattuti e trascinati nella malvagit dai venti di
tutti gli insegnamenti ... Altrove sempre l'Apostolo dice:
Non adeguatevi a questo secolo, ma trasformatevi rinno-
vando la vostra mente, fino a considerare quella che la
volont buona, accettabile e perfetta di Dio (Rm 12,2). Per
volont perfetta di Dio egli intende la formazione dell'a
nima per la religiosit, anima che la grazia dello Spirito fa
forire in bellezza, unendosi alla forma che essa stessa si
d con le fatiche
80

In questo scritto monastico, in dipendenza appunto


dalla sua fonte, particolarmente sottolineata l'azione
battesimale dello Spirito che, senza espropriare la no-
stra umanit, le d forma, conformandola a Cristo.
Questa prospettiva non tuttavia assente dalla pro-
duzione pi nota di Gregorio:
Siffatta vita conformata dalla grazia dello Spirito santo.
Dunque la massima lode degli occhi consiste nell'esser
stato conformato l'aspetto della loro vita secondo la grazia
dello Spirito santo: la colomba infatti lo Spirito santo
8
\
Confessare l'azione dello Spirito in questo percorso di
vita cristiana, vuoi dunque dire per Gregorio sconfes-
sare o superare il linguaggio dell'esercizio? Non sem-
79 Ho rilevato alcuni tratti di questa dinamica in C. SIMONELLI,
Conformati dalla grazia dello Spirito Santo (Gregorio di Nissa, In Cant
VII), Teologia>, 1 (2005) 49-74.
so GREGORIO DI NlSSA, Fine, professione e perfezione del cristiano, 26-
27.
., GREGORIO DI NrssA, Om. Cant. VII,181.
131
bra che sia cos. In realt, al contrario, anche nelle
Omelie sull'Ecclesiaste, una risposta alla domanda
sulla vanit dell'ascesi quanto meno abbozzata. L'e-
sercizio certo non salva, ma, si potrebbe dire, profe-
tizza: in quanto prepara, denuncia e testimonia.
Prepara, non prima, ma "previamente"; ossia non
tanto in una successione cronologica, ma in una di-
sposizione, una diathesis costante. E, ancora, l' eserci-
zio denuncia ogni tentativo di fuga in un misticismo
che un cattivo infinito, senza consapevolezza della
inelminabile diastematicit dell'esistenza umana. E
testimonia che in quanto donne e uomini di questa
"estensione" siamo chiamati alla resurrezione.
Da questo punto prospettico, anche il dialogo instau-
rato con un testo distante nel tempo oltre che nella
cultura, come un qualsiasi testo patristico, pu essere
a propria volta esercizio di dialogo con i linguaggi e le
vicini nel tempo, ma comunque distanti. E,
come tema circoscritto indotto da questo pi ampio
si potrebbe alludere alla profezia straniera
di pratiche, anche molto laiche e feriali, che possono
dar corpo all'ascesi, indicando nuovi rami di antiche
radici.
Le pratiche e la speranza
anche il momento di riprendere il tema, per
del percorso di esercizio rappresentato
per anche dall'impegno civile, ad esempio
contro la schiavit e l'usura. Si detto che l'ascesi
. Frutto di questa profezia, per Gregorio,
la speranza: cos condotta rettamente la nostra pra-
tica, ci donata la della gioia, annunciata nella
132
speranza. E, come dice l'Apostolo, la speranza non
delude>>
82

La speranza che invita al cammino sta fra i p ~ s s e la
meta, prospettata ma non posseduta. Ed inviba a cer-
care tracce e segnal. In questo caso, invita anche al-
l'ingresso in punta dei piedi in altri linguaggi, in cui ci
lasciamo guidare dall'uso attuale di un termine cos
accreditato nei percorsi antichi: si parla diffusamente
di pratiche per indicare relazioni stabilite, buone abi-
tudini, politiche che mostrino la falsa separa-
zione di teoria e prassi.
In senso, sembra utile qui alludere alle prati-
ricordandone alcune: la revisione critica dei lin-
e soprattutto dei propri, come pratica di
non-violenza
83
e la stessa arte del dialogo
84
sono pra-
tiche la cui non ha bisogno di com-
menti. Di ascesi inoltre s deve parlare in rapporto alla
salvaguardia del creato, seguendo Ignazio IV Hazim,
che mette in relazione antichi linguaggi e nuovi pro-
blemi:
L'ascesi quindi per assicurare quel conte-
nimento dei bisogni che sia di rispettare mag-
giormente la terra, i suoi ritmi e la vita che le propria, sia
di operare condivisione a livello mon-
diale. Condivisione abbozzata nella nascita e nell'im-
pegno di piccoli gruppi... L'ascesi necessaria anche per
dare un fondamento a con la
natura che molti che
s' GREGORIO DI NrssA, Om. Ecci. VI,9,60-62.
" Dmwe disarmanti, a cura di M. LANFRANCO M.G. DI RIENZO,
Napoli, Intra Moenia, 2003 .
s< Si allude, anche ma evidentemente non unicamente, alla raccolta
di scritti di IGNAZIO IV HAZIM, patriarca ortodosso di Antiochia.
L'arte del dialogo co11 la creazione, gli !W111illi, e/dese, a cura di S. CHIAL,
Magnano (BI), Qqajon, 2004.
133
potr costituire l'unica barriera contro la "barbar
1
"e" _
. , con
tra Il massacro del mondo vegetale e animale 85
E come non ricordare l'esortazione a trasformare l'e-
roico proposito olimpico di raggiungere traguardi
sempre pi veloci, pi alti, pi forti nell'invito a "di-
sarmare" e "digiunare", in uno stile pi lento, pi
dolce, pi profondo
86
?
Misura di passi contati, aperti alla speranza.
" IGNAZIO IV HAZIM, Trasfigurare la creazione in L'arte del dialogo
93-94. ' '
86
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2. G. Colombo, Un'isola teologica. La teologia di Carlo
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3. L Biffi, I.:Eucarstia. Comunione della Chiesa alla pas-
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Progetto grafico di Sara Salteri
Finito di stampare nel mese di dicembre 2005
da Arti Grafiche Tibiletti snc -Azzate (VA)

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