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DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO

ANTOLOGIA DI TESTI PW: patresecclesiae MANUALE: PATRES ECCLESIAE pagg. 1-146

X ESAME Tre domande: domanda 1. Generale, domanda 2. Testo, 3. Domanda. Tot. 15 min. ___________________________________________

Pag. 2 concetto “padri della Chiesa” cit. Cotelier 1672, pagg. Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica Tavola storica Pagg. 7
Pag. padri apostolici = letteratura spirituale-pastorale del cristianesimo Didaché (schema delle due vie e istruzioni sui sacramenti)
Pagg. Epistola di Barnaba (critica all’interpretazione giudaica letteraria dell’AT)
Pag. Clementis, I (ruolo della Chiesa di Roma: intervento fraterno o ministero pietrino?)
Pag PASTORE DI ERMA (angelo della penitenza, differenza tra perdono e penitenza)
Pag. Ignazio di Antiochia (critica contro gli gnostici e i doceti sull’incarnazione di Gesù; unità della Chiesa; il martirio)
Pag. Policarpo (il Martirio) e PAPIA di Gerapoli (l’importanza della tradizione)
Pag. I padri apologisti = spiegazione scientifica del cristianesimo pag. ARISTIDE di Atene (distinzione di cristiani, pagani e giudei) Pag. GIUSTINO
(rapporto tra la filosofia e rivelazione e rapporto di subordinazione tra il Figlio e il Padre), pag. TAZIANO il Siro (demolitore della filosofia) Pag. ATENAGORA (nega
il modello di subordinazione di Giustino)

Pag. TEOFILO di Antiochia (Cristo come logos immanente presso il Padre), pag. A DIOGNETO (invito a convertirsi e Cristo il mediatore)
Pag. SCRITTI APOCRIFI [pag. 75 manuale: Testamento di Simeone, Ascensione di Isaia, Protovangelo degli Egiziani] e GNOSTICISMO [Ireneo contro Marcione]
Pag. IRENEO da Lione [Il figlio e lo Spirito come “le due mani” del Padre. La resurrezione del corpo di Cristo].
Pag. CULTURA ASIATICA (Melitone di Sardi) (stoicismo, concezione antropomorfa di Dio, MONARCHIANISMO, Cristo vero uomo) e Pag.
SCUOLA ALESSANDRINA (metodo esegetico di tipo allegorico, negazione resurrezione millenarismo alla Ireneo, il primato dell’anima, Sapiena
= logos, Chiesa sposa di Cristo).
Pag. GIUDEOELLENISMO, FILONE (allegoria, filosofia deriva dal logos) pag. Clemente Alessandrino (Protrettico rivolto ai battezzandi,
doppia manifestazione del logos agli ebrei mediante l’AT e ai pagani con FILOSOFIA. PEDAGOGO grado successivo, la morale per la corretta
fede) pag. ORIGENE (creazione non ante tempo del figlio ma eterna, Genesi 1 anima e Genesi 2 corpo. Metodo allegorico TESTO=LETTERALE,
ANIMA=significato morale e SPIRITO=significato spirituale)

1 PATROLOGIA I (PATRISTICA)
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ROMA:
Tertulliano pag. (Adversus Scapulam > libertà religiosa; APOLOGETICUM < difesa del cristianesimo; de Presciptionem hereticum > confutaione
eresie. Trinità UN UNUM, cioè una cosa sola, NON UNUS, cioè un’unica persona, in riferimento all’unità di sostana e non alla singolarità del
numero)
Pag. Minucio (dialogo tra Ottavio e Cecilio) Ippolito (il Padre sopra ogni cosa, il Figlio per mezzo di ogni cosa e lo Spirito in ogni cosa. I profeti
hanno ricevuto dal Logos la retta Sapienza, il logos si è incarnato per la redenzione degli uomini, l’anticristo)
pag. Lattanzio (due Nascite di Cristo: una eterna e una nella storia. DE OPIFICIO DEI, DIVINAE Istitutiones Dio ha creato il figlio con le stesse
virtù, l’invidia è il male di tutti i mali)
pag. Arnobio di Sicca (natura neutra dell’anima: immortale o mortale a seconda se si conforma ai precetti di Gesù oppure no)
pag. Cipriano (sostiene la successione apostolica, l’unità della Chiesa come salvezza; rifiuta il battesimo degli eretici)
pag. Navaziano (si fa consacrare vescovo in opposizione a Cornelio “antipapa”)

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N. B. 19.05.2022 ULTIMA LEZIONE, APPELLI: 31.05.2022 17/06/2022 E 28/06/2022 Lezioni assenze: il 31/03/22 vangeli apocrifi

INTRODUZIONE. Se noi parliamo di “padri della Chiesa” significa che noi ci poniamo nell’ottica di figli. Non avrebbe senso parlare di padri se noi
ci volessimo mettere allo stesso livello e gli volessimo quasi criticare. Studio critico e scientifico ma non è uno studio che vuole “fare a fettine” i padri
della chiesa per giudicarli ma ci poniamo in un atteggiamento di rispetto e di chi sa di essere inseriti in una tradizione che è passata in modo privilegiata
in questi autori e che ci fa scoprire la rivelazione di Dio nella storia. Questa espressione affonda le sue ragioni già nell’Antico testamento; pensate a
cosa vuol dire il termine padre. I padri sono in primis i Patriarchi. Quando Dio si presenta a Mosè gli dice io sono il Dio dei vostri padri di Abramo,
Giacobbe e Isacco; i padri sono innanzitutto i patriarchi, coloro che hanno ricevuto la rivelazione di Dio e la trasmettono agli altri, sono testimoni
della fede dell’alleanza della fede con il suo popolo. Pensate i patriarchi sono i padri della chiesa. I padri non sono solo i maestri del passato ma anche
maestri. Pensate al libro dei proverbi, il rapporto tra maestro e Dio è “ascoltami figlio”. Il maestro è padre. Tutta la bibbia, libri sapienziali, è inquadrato
sotto questa dimensione che ci sono dei padri che educano alla fede. Padre come sapiente, patriarca del mondo ebraico antico continua ad esserci. E’
vero che Gesù rivendica una paternità di Dio che è esclusiva “non chiamate nessuno padre” ma si tratta di qualcosa quasi una figura retorica ma non
esclude di riconoscere qualcuno ma lui stesso riconosce la fede dei padri, di Abramo, e ammette che sono figli di Abramo. Anche San Paolo si rifà ai
padri, a coloro che sono i maestri nella fede, ricevuta da Dio fin dall’Antico Testamento ma anche lui stesso inizia il concetto di generalizzazione, per
lui è una sorta di evangelizzazione nei confronti dei discepoli che sono figli. Anche lui riconosce a monte Abramo come padre di tutti. Questo concetto
torna, anche noi diciamo Abramo padre della fede. Compare per la Pima Volta II LETTERA DI PIETRO, CAP. 3, vers. 4, il titolo di padri riferito ai
cristiani di prima generazione. Finora i padri erano i grandi sapienti, patriarchi, maestri nell’Antico Testamento; lo è Paolo in quanto evangelizzatore
a partire da questo tempo, anche a coloro che ci precedono semplicemente nella fede, non è detto che sono stati testimoni di Cristo. A partire dal II
sec. anche i VESCOVI, coloro che ci precedono nella fede, non è detto che siano stati oculari testimoni di Cristo sono padri. Patriarca non è soltanto
Abramo, Isacco e Giacobbe ma anche tutti i patriarchi della Chiesa Antica, poi possono esserci ancora oggi. Il termine ha a che fare con la terminologia
di padre. Anche lo stesso termine di papa, dal II al VI sec., tutti i vescovi potevano essere chiamati papa. Quando troverete l’espressione papa in un
testo antico si può riferire ad un vescovo diverso dal papa di Roma. C’è un padre della Chiesa Ireneo, antecedente all’inizio del IV sec., è la prima
volta in cui parla. Ireneo si rivolge a POLICARPO, “gnosticismo” concezioni eretiche lontane dalla Chiesa.
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Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica V, 20, 4-8 AUTORE: Ireneo

Eusebio spesso cita altre opere che non ci sono pervenute, in questo caso cita questo testo in cui Ireneo spiega il suo rapporto con il suo maestro
POLICARPO. Ireneo, è stato nominato dottore della Chiesa dal Papa Francesco, è uno dei pochi casi un padre della chiesa parla di sé e di coloro che
considera, a sua volta, padri (testo da conoscere e studiare). Innanzitutto, si rivolge al suo discepolo Florino, era passato allo Gnosticismo passa a
delle concezioni eretiche lontane dalla Grande Chiesa. Ireneo scrive a Florino per distoglierlo da queste dottrine scrivendo quello che avevano
sperimentato come discepoli di Policarpo.

Cfr. Paragrafo 5. Ireneo scrive di come potesse rimandare alla memoria i dettagli puntuali della predicazione di Policarpo e, il suo collegamento, con
gli apostoli; qui si fa riferimento all’apostolo Giovanni. Si dice, che fosse discepolo di Giovanni questo dimostrerebbe il riferimento direttamente tra
il tempo degli apostoli, Ireneo e Policarpo. Si tratta di qualcuno che è testimone diretto di Gesù risorto. Alla fine di II sec. Lo stesso POLICARPO è
definito “maestro dell’asia e padre dei Cristiani” da un pagano che lo sta accusando. Questo è il modo di essere di Policarpo, perché padre? Perché
è maestro e perché lui stesso ha saputo essere figlio della Chiesa, a sua volta è stato discepolo del Signore. Il carattere di paternità è possibile perché
ha monte c’è il rapporto di filiazione e perché è testimone con la propria vita infatti martire di fatto perché muore ucciso per la sua fede. Le cose
che fa Policarpo si possono individuare in ordine cronologico: ASCOLTA da parte degli apostoli ciò che riguarda il Signore; LO COMPRENDE
non è un ascolto passivo ma qualcosa proprio che fa parte che diventa parte della sua esperienza, LO RICORDA (lo rielabora) e LO
ANNUNCIA. E’ il tipico atteggiamento di un maestro.

Cfr. Paragrafo 7. La testimonianza è in primis orale non è quella scritta ma trasmissione di viva voce di chi ha visto e quindi creduto. Per questi
personaggi la scrittura è l’antico testamento e poi il nuovo per necessità perché il Vangelo è la trasmissione di Cristo per avere una sicurezza di
oggettività. La stessa cosa San Paolo. E’ importante questo aspetto dell’oralità, la testimonianza di POLICARDO è conforme alle scritture. IL TESTO
GRECO DICE CHE le dottrine di Florino SONO SINFONICHE mentre nel par. 4 si dice che non sono sinfoniche.

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Concezione incipiente di quella che potremmo dire tradizione viva della Chiesa. I padri della Chiesa sono coloro che danno una risposta al teorema
apostolico. C’è già una rinuncia degli apostoli, i padri della chiesa, avendo questo riferimento si pongono da figli a sviluppare questo annuncio per
farlo arrivare. Volume N. 54 Anno2020, Rivista "Augustinianum".

A partire dal IV secolo i padri della Chiesa assumono un significato dogmatico. Nel II e III sec. Il padre ha una portata molto ampia, quasi un maestro
di vita che fornisce risposte su tutta l’esperienza cristiana. Per varie necessità a partire dal IV sec. i padri si concentrano su un aspetto, ossia il contributo
che possono dare allo sviluppo del dogma cristiano perché le dispute teologiche si pongono avendo una base comune uguale, ossia la scrittura nei
primi secolo era qualcosa di discusso. Serve qualcun altro, oltre la scrittura, che abbia l’autorità di dirimere queste questioni. Il criterio teologico il
cd. Consensus patrum, consenso dei padri, proprio perché ci hanno preceduti nella fede ciò su cui erano d’accordo. Sarà tanto più vero o conforme
alla fede apostolica quello che è più vicino all’opinione della maggioranza o tutti padri che ci hanno preceduti.

Agostino scrive contro Giuliano, controversia pelagiana, Cfr. Agostino, Contra Iulianum II, 10, 34 Movimento classicismo per spiegare
esattamente questo elemento della viva tradizione.

Cfr. Vincenzo di Lérins, Commonitorium 28, 6. Bisogna tenere dai padri ciò che è stato detto sempre da tutti e per tutto. La comunione nella
fede non è solo sincronica ma diacronica, cioè non è una fede che ho soltanto con i miei contemporanei ma è una comunione che passa
attraverso il tempo con coloro che ci hanno preceduto. Un criterio per individuare ciò che è vero nella fede. Da qui capiamo le NOTE

TEOLOGICHE che caratterizzano i padri. Chi sono i padri della Chiesa, quali caratteristiche hanno? I Quattro elementi:

1. ortodossia di dottrina, aver professato una buona fede;


2. santità di vita, l’intenzione di seguire quella che è la radice apostolica della fede cristiana;
3. approvazione ecclesiastica, non si autoproclama ma viene riconosciuto come padre i suoi discepoli;

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4. antichità, un criterio meno teologico perché possono esserci padri della Chiesa anche nel XXI sec. Tendenzialmente si mette un termine verso
la fine dell’epoca antica e tardo medioevo, quindi metà VIII sec. Come termine ultimo per il periodo patristico, un po' per sottolineare anche
quel periodo di maggior unità della Chiesa e anche per dire che sì c’è una prima risposta che poi si ripetono e i problemi sono nuovi.

Decretum Gelasianum1 è un documento fine V e VI secolo, attribuito al Papa Gelasio, oltre all’elenco dei libri canonici della scrittura , oltre ad
affermare l’importanza dei primi concili ecumenici, c’è una lista dei padri probabiles, cioè coloro che sono utilizzabili come prove della fede e
sono approvati dalla Chiesa.

Altro elemento che ci fa vedere come i padri assumono un ruolo dogmatico, i Florilegi dogmatici brevi sentenze, frase dei padri che vogliono
supportare le tesi contrapposte in dibattiti, soprattutto cristologici, sono tra il IV e VII secolo. Se io estraggo dall’opera di un padre perché danno
ragione alle mie tesi faccio sì che assumono un’importanza anche oggi dogmatica e rischiano di impoverire i padri la vita, le opere. Se avete in mente
il metodo scolastico i padri vengono utilizzati come autorità dogmatiche, ha poca profondità storica vuole avere un’importanza teoretica vuole avere
una precisione del linguaggio da un punto di vista del concetto teologico e quindi un padre può essere tranquillamente visto come miniera per citazioni
per suffragare tesi. Non succede solo per padri, anche per la bibbia e anche i filosofi (es. Aristotele) è una tendenza di pensare ma che ha una sua
logica.

Uno snodo nello studio della ripresa dei padri avviene nella riforma luterana. Il principio della scrittura di Lutero sembra esautorare i padri perché
se noi abbiamo detto i padri sono nel solco della tradizione rispondo per primi al dogma apostolico, se diciamo che basta la scrittura a che servano i
padri. C’è una selezione dei padri secondo altri criteri, sulla base di coloro che sono conformi al senso originario della scrittura. Non si eliminano i
padri in sé, si giudica tutto sull’idea di conformità che si ha. Se si intende l’evoluzione della Chiesa come una degradazione del modello originario i
padri tanto più si va avanti nel tempo più si allontanano dalla purezza. Questa tendenza è molto segnata dal pensiero luterano. LA RIFORMA
CATTOLICA, che reagisce in modo deciso, SOTTOLINEA CHE I PADRI DELLA CHIESA HANNO RAGIONE DI ESISTERE proprio

1
Decretum Gelasianum - Wikipedia
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PERCHE’ TESTIMONIANO UNA CONTINUITA’ NELLO SVILUPPO DELLA TRADIZIONE, TESTIMONIANO IL FATTO CHE LA
STESSA CHIESA DEGLI APOSTOLI SI E’ SVILUPPATA IN MODO ORGANICO FINO AD ARRIVARE AI GIORNI NOSTRI. Non si
tratta di altro organismo, di una degradazione ma si tratta della stessa chiesa. Nei secoli successivi abbiamo uno sviluppo dei padri della Chiesa,
talvolta come argomento di dibattito questo portato a confrontarsi.

Arriviamo dal XIX sec. si parla di una NEO-PATRISTICA, ossia ad un recupero dei padri nel modus persona non solo dogmatico ma per la vita
e fede. (XVIII es. Rosmini, Newman).

CHE COS’E LA PATROLOGIA E IL SUO STATUTO EPISTEMOLOGICO?

Che cos’è la patrologia? L’affinamento dello studio della fisiologia influenzasse la vita della Chiesa.

La patrologia non è letteratura cristiana antica. La storia della letteratura cristiana ha lo stesso oggetto materiale ma non lo stesso formale. La nostra
prospettiva è sì studiare gli autori di quel periodo anche nel loro pensiero teologico. La letteratura cristiana antica considera come suo oggetto proprio
anche il Nuovo Testamento perché è scritto, cristiano e antico. Noi non lo studiamo a patrologia perché è altra cosa. Abbiamo un metodo teologico e
non solo storico. La teologia sistematica dogmatica utilizza i testi dei padri della chiesa ma in funzione delle tesi, come fa la scuola medievale
scolastica, come autorità teologiche utilizza per vedere cosa può essere utile per proposte teologiche. Costruzione del pensiero teologico. La patrologia
a cavallo tra il versante logico letterario-storico e quello teologico, è una pretesa difficile ma interessante perché cerca di tenere insieme discipline che
potrebbero essere difficili. Vita, opere e soprattutto pensiero teologico inserito in un contesto storico, un po' quello che è lo statuto epistemologico.
La difficoltà sarà tenere insieme questi due aspetti. E’ una sfida ma mi sembra interessante.

PATROLOGIA E PATRISTICA. Patrologia ha un interesse sulla vita e opere dei padri mentre Patristica si occupa del pensiero teologico
dei padri. Non ci sono solo padri della chiesa, nel periodo antico, non tutti hanno le quattro caratteristiche di ortodossia ecc. Ci sono autori eretici,

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apocrifi, anonimi (autori sconosciuti) e pseudoepigrafi. Tutti questi autori fanno parte del nostro corso? Sì, perché non comprende soltanto i padri
della Chiesa in senso stretto. Ci fermiamo a metà VIII sec. C’è un periodo vuoto perché non è più medioevo

Dei padri e scritti cristiani dal I all’VIII metà secolo. In Oriente l’Impero bizantino è consolidato (Giustiniano) e in occidente arriva Carlo Magno
(sacro romano Impero). C’è qualcuno mette la fine del periodo patrizio all’età scolastica.

Tenendo presenti questa cronologia:

1° PERIODO PRENICENO: 325 A. C. CONCILIO di NICEA

IL CONCILIO di NICEA è il PRIMO CONCILIO ECUMENICO UFFICIALE

2° PERIODO CONCILIO DI CALCEDONIA 325 A. C. al 451

3° TARDA PATRISTICA 451 ALLA META’ DELL’VIII sec. D. c. morte di Beda il Venerabile (753) e di Giovanni Bamasceno (750).

4° Patrologia greca e latina, noi abbiamo una prospettiva limitata per motivi storici.

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70 – 150 d. c. PADRI APOSTOLOGICI. Lo scritto è un appoggio per la predicazione. Non troveremo una grande opera di teologia sistematica.
Testimoni di una teologia che ha lo stesso tempo. Teologia molto quotidiana che ha la preoccupazione alla fedeltà rispetto al peccato originale. Ciò
che gli unisce è la fede in Cristo. Sono testimoni della diffusione del nuovo testamento.

10/02/2022

PADRI APOSTOLOGICI 17/02/2022

La denominazione di Padri Apostolici è di tipo moderna, cioè i padri apostolici non si autoproclamavano a differenza degli apostoli.

Compare con COTELIER nel 1672.

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I TRE NUCLEI:

1.DIDACHE’ ed EPISTOLA DI BARNABA che affrontano un problema presente negli Atti degli Apostoli che ruolo ha la radice giudaica nel
cristianesimo che sta nascendo e in che senso si distinguono dai giudei ebrei?

2.1CLEMENTIS (+ letteratura clementina) e PASTORE di ERMA; due testi che sono stati composti in Roma ma in greco tra I e II sec. D. c.
Uno spostamento di asse da Gerusalemme all’occidente

3.ANTIOCHIA-ASIA MINORE: IGNAZIO di ANTIOCHIA, POLICARPO di SMIRNE e PAPIA di Gerapoli.

L’Antiochia oggi è in Turchia, storicamente era nella zona regione Siria. Era la terza città dell’Impero. La prima comunità cristiana si sviluppa
lì. Dove San paolo fa i suoi viaggi pastorali.

N. 1 ANTOLOGIA TESTI Traduzione: Insegnamento degli apostoli Didaché 1-16. DIDACHE’A differenza degli atti non ha un autore specifico
ma possiamo dire che è stato compiuto a più fasi fra 50-60 e fine I secolo, stesso periodo degli atti degli apostoli. Non è un testo ispirato, è vero che

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in alcune traduzioni è stato ritenuto un’opera come se fosse un libro dell’antico testamento in oriente. E’ stato sviluppato in Siria. Quando è lingua
siriaca si può dire che sia siriaco con certezza altrimenti no. Il periodo e il contesto socio-culturale-religioso si tratta della comunità giudeo-
cristiana, si tratta di comunità i cui appartenenti sono ebrei che credono in Cristo, che sono di cultura circoncisi, seguono la legge, seguono la sinagoga
e si fanno battezzare, seguono la via cristiana come si diceva all’epoca. Qualcuno dice potrebbe essere una comunità neocristiana e si rivolge a
qualcuno che è pagano, potrebbe essere. Sicuramente, la matrice giudaica ebraica è molto forte, il modo di esprimersi è vicino al Vangelo di
Matteo, che è stato composto in contesto simile, e qualcuno suppone che siano stati composti negli stessi ambienti. Chi ha scritto la Didaché ha
presente il Vangelo di Matteo o almeno ha presente le sue traduzioni. Il genere letterario non è molto diverso.

Come è strutturato? Ha sedici capitoli. La suddivisione non si trova nel testo greco ma è moderna.

Capitoli 1-6 contiene l’istruzione morale per i catecumeni, ossia coloro che devono essere battezzati, cristiani cfr. “avendo in precedenza esposto tutti
questi precetti” vuol dire che le cose dette prima sono rivolte ai catecumeni. Sono dei capitoli che affrontano le coordinate degli aspetti morali
fondamentali per un cristiano o chi si prepara ad esserlo. LO SCHEMA E’ QUELLO DELLE DUE VIE come Deuteronômio 1:30. La via del
bene, se vuoi essere felice, e del male; chiamate la via della vita e della morte. Se vuoi essere felice devi evitare la via della morte. Questa è la
parte più antica del testo e qui il collegamento con gli Idioma di Gesù, cioè i suoi detti nel Vangelo. Già dal Capitolo I sembra di leggere con un
ordine diverso molti versetti del Discorso della Montagna 2 (ci sono tutti gli insegnamenti dall’amare i nemici ecc). C’è una ripresa dei
comandamenti dell’antico testamento e una concentrazione sulla giustizia, sull’uso dei demoni e un’insistenza sul dover respingere l’ideotria,
argomento tipicamente testamentario. Il distinguersi dagli altri che non sono cristiani (cfr. cap. 2 punto 2. non farai morire il figlio per aborto). LA
DIFESA DELLA VITA, UNO DEGLI ELEMENTI FONDAMENTALI DELLA MORALE CRISITIANA. Qui il collegamento con la morale. Poi un
antefatto un modo di porsi dei cristiani alla morale.

2
MATTEO 5:1–7:29 LUCA 6:17-49, Il Discorso della Montagna di Gesù | Vita di Gesù (jw.org)
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PARTE CENTRALE DEL TESTO 7-10 ISTRUZIONE LITURGICA del BATTESIMO (cap. 7), DIGIUNO e PREGHIERA (8) ed EUCARESTIA
(9-10).

LA FORMULA DEL BATTESIMO è FATTA NEL NOME DELLA TRINITA'. Prima negli atti degli apostoli formule più generali es. nel nome
Cristo. ACQUA VIVA MA NON E' UNA REGOLA ASSOLUTA. La prassi normale del battesimo è battezzare in acqua corrente fredda, è più
importante battezzare che non che ci sia acqua fredda. Se non puoi in un modo fai in altro. C'è il BATTESIMO ANCHE per INFUSIONE. IL
BATTESIMO HA IN SE' L'IDEA DI UN'IMMERSIONE, dice o immergi qualcuno o se non è possibile versa sul capo acqua.

Alla fine di questo capitolo c’è la condizione del digiuno, prima di essere battezzati devono essere a digiuno. 2° lunedì e 5° giovedì (1° g. domenica
settimana). Chi sono gli ipocriti? Sono i farisei. Facevano digiuno il II e V giorno della settimana, cioè? Lunedì e Giovedì. Non fate così ma digiunate
il IV mercoledì e il giorno della preparazione il Venerdì. Per differenziarsi. Sul giorno della preparazione teologico la passione. Non pregate come i
farisei gli ipocriti. Cosa pregano tre volte al giorno gli ebrei? Si sostituisce la preghiera degli ebrei (Shemà)3 con il padre nostro. NON CI INDURRE
è la traduzione letterale. OGGI NON CI ABBANDONARE perché abbiamo deciso di abbandonare la traduzione letterale dal testo greco "non farci
entrare in tentazione" (cfr. Cap. 8).

I capitoli 9 e 10 sono ancora più famosi.

Capitolo 9 PREGHIERA PRIMA SUL CALICE e POI SUL PANE SPEZZATO CHE è FATTA SUL MODELLO DEL KADDHISH, la preghiera
ebraica fatta prima del pasto, come se fosse una preghiera di benedizione. Prevede prima una preghiera su Dio, poi sul pane. Schema che si trova nel
rituale giudaico, soprattutto nella cena pasquale.

Capitolo 10 nr. 1-5 C'è una preghiera prima del banchetto, il KADDHISH, poi dopo un'ulteriore ringraziamento. C'è un parallelo giudaico, rendimento
di grazie dopo il pasto fatta in tre parti nel rituale giudaico. I PARTE LA PREGHIERA DI COLUI CHE NUTRE, è IL RIFERIMENTO A DIO, che

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LE TRE PREGHIERE QUOTIDIANE TEFILLOTH - EBREI CREDENTI IN GESU' (google.com)

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vi dà cibo e bevanda; la II PARTE BENEDIZIONE della TERA ed è spiritualizzata. Non è più la terra d'Istraele, Terra promessa nel senso fisico ma
l'abitazione di Dio nei nostri cuori. Come se il cuore di colui che si è saziato possa essere la nuova terra promessa. La III benedizione di Gerusalemme,
ed è sostituita dalla Chiesa. Si riprende una preghiera giudaica, dopo il pasto, sostituendola con dei passi cristianizzati4.

N. 6 - CAP. X. "chi è santo si avanzi" PERCHE'? Se noi intendiamo il cap. 9 come la I preghiera eucaristica nella storia, espressa nel testo, lì in mezzo
-tra 9 e 10- ci dovrebbe essere la comunione, la distribuzione dell'eucarestia, se noi intendiamo il 9 come consacrazione dell'eucarestia, in termini
moderni, il 10 dovrebbe essere fatto dopo la comunione; che senso avrebbe questo cap. 10, se è già finito tutto, cosa significa "Chi è santo si avanzi,
chi non lo è si penta"? C'è chi dice sia una preghiera eucaristica, non ha il ricordo dell'istituzionalizzazione dell'eucarestia, ossia la cena, ma ha gli
elementi istituzionalizzanti dell'eucarestia, in ordine giudaico, vino e acqua. (cfr. San Paolo) Il banchetto agàpe aperto a dei "simpatizzanti" della
comunità cristiana, avverrebbe dopo. Non verrebbe raccontato il momento dell'eucarestia. Non bisogna raccontare i riti propri della comunità come
se fossero segreti o da non divulgare a chi non è battezzato. I due modi sono: la I preghiera eucaristica oppure tutto ciò che riguarda la propedeutica
all'eucarestia in quanto ben noto ai destinatari del testo istituzione della cena o perché chi lo doveva sapere non c'era bisogno di dirlo ad altri. Per
alcuni autori sarebbe l'agape il ringraziamento dell'eucarestia, che avverrebbe dopo e non verrebbe raccontato il momento dell'eucarestia.

Capitoli XI-XV: istruzioni sulla vita comunitaria. CAP. XI maestri, apostoli e profeti: predicatori itineranti. Non figure fisse in una comunità
cristiana ma itineranti. I maestri sono coloro che insegnano la parola degli Apostoli. Quest’ultimi sono coloro che sono inviati, che hanno un mandato
da parte di qualcuno e che vanno ad annunciare il Vangelo. Capitolo XIII sui profeti, anche qui si trovano negli atti degli apostoli. E’ concesso loro
fare preghiere, figure problematiche non tutti sono autentici come nel Deuteronomio ci sono i falsi profeti. Falsi profeti si riconoscono nel loro
modo di vita. Cap. XII la possibilità di svolgere un mestiere. Nel capitolo XIV. La domenica, il giorno del signore. Lì c'è lo spezzare il pane dopo
aver confessato i nostri peccati. Riconciliazione e vita confraternita. Ministeri itineranti più arcaici. Quelli stabili sono gli episcopi – presbiteri e
diaconi. Ha molti agganci con la tradizione ebraica. Capitolo XVI Sezione escatologica, ossia la parusia del signore arriva in modo imminente. Molti

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LE TRE PREGHIERE QUOTIDIANE TEFILLOTH - EBREI CREDENTI IN GESU' (google.com)

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legami con la tradizione giudaica, come se fosse uno schema da cristianizzare; da una parte continuità e dall’altra distinzione tra comunità giudea e
cristiana.

(estratto) DIDACHE’ dal manuale di Berthold Altaner 1964 VI edizione ristampa

Primo manuale catechetico di morale, liturgia e di diritto ecclesiastico; servì come modello la cui origine si deve ricondurre ai secoli posteriori. Come
la didachè questi scritti pretendono di risalire fino agli Apostoli. NON CONTIENE LA PREDICAZIONE EVANGELICA MA SOLTANTO
RISPONDE ALLE PRIMORDIALI ESIGENZE DI UNA COMUNITA’ NASCENTE CIRCA LE OBBLIGAZIONI MORALI e RITUALI. PARTE
I: SOMMARIO della CATECHESI MORALE sotto la figura delle 2 VIE: della VITA e della MORTE; PARTE II: LITURGICA Battesimo, digiuno,
Eucarestia e obblighi rispetto agli altri membri della Comunità 11-15. Epilogo: ammonimento alla vigilanza con la prossima parusia.

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N. 2 ANTOLOGIA TESTI Epistola di Barnaba 4, 6-8; 7, 1-12, 7 E’ un trattato antigiudaico. La forma è epistolare ma non con un
destinatario preciso, come le lettere paoline. E’ una lettera che assomiglia a quelle cattoliche, cioè quelle lettere del Nuovo Testamento che hanno un
destinatario ampio. Viene attribuita a Narnaba nonostante sia stato uno dei compagni di Paolo, dei primi è colui che va insieme a Paolo ad
evangelizzare i pagani ad Antiochia. E’ un’opera contro i giudei. Non abbiamo informazioni chiarire sul tempo in cui è stata composta inizi II secolo,
il 70 d. c. tra distruzione del tempio di Gerusalemme e la ricostruzione di Gerusalemme, nel 138 d. c. una nuova rivolta giudaica (lo capiamo dal
tempo che sembra essere stato distrutto)5. L’ambiente potrebbe essere alessandrino. Uno dei tratti è l’analogia allegorica. E’ divisa in due sezioni.

1-17 SEZIONE TEORICA (porta avanti una tesi): i giudei con la loro interpretazione letterale del vecchio testamento non hanno capito niente e hanno
fatto il loro tempo, adesso noi gli sostituiamo addirittura l’Alleanza antica è stata spezzata così come gli ebrei con l’ideotria hanno già disatteso questa
alleanza ora viene distrutta come erano state distrutte le tavole da Mosè. Quindi l’interpretazione dell’antico testamento non porta da nessuna parte. I
giudei sono stati ingannati da un demone e vengono chiusi nella carne della lettera (qui riecheggia la lettera di Paolo sullo spirito). Propone
un’interpretazione allegorica e tipologica dell’Antico Testamento di taglio cristologico. Prima cosa: l’antico testamento è valido. In sintesi,
INCAPACITA’ DEI GIUDEI DI COMPRENDERE LA SCRITTURA VS INTERPRETAZIONE ALLEGORICO.

18-21 SEZIONE PRATICA: riprende di fatto lo SCHEMA DELLE DUE VIE. C’è sempre una distinzione tra la via del bene e del male. Qui l’elemento
antigiudaico non è evidente. Prima cosa il vecchio testamento è valido. L’antica alleanza come parte integrante di Dio. Tutto l’antico testamento parla
di Cristo. Tutto ciò va inteso in senso allegorico o tipologico. Tipologica prende un fatto, personaggio e lo individua come figura anticipazione di
Cristo, cioè la realizzazione di quel tipo che si trova nell’Antico Testamento es. Isaia è tipo Cristo, Isacco che sta per essere sacrificato da Abramo.
Interpretazione teologica parte dal fatto, dal personaggio reale ciò vale anche a posteriore (es. che fa anche Dante di San Francesco). L’allegorica
interpreta qualcosa dell’antico testamento come un’altra cosa di Cristo, cioè il tipo mantiene il significato che ha quel fatto o personaggio in sé ne dà

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Tempio di Gerusalemme - Cathopedia, l'enciclopedia cattolica
15 PATROLOGIA I (PATRISTICA)
DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
un altro mentre quello allegorico svuota il significato di base e ne dà uno solo. Esempio Isacco ha valore in sé, figlio di Abramo e quindi uno dei
patriarchi, ma vuol dire anche Cristo. Esempio il non mangiare la carne non ha valore in sé ma assume valore cristologico (tipologico).

La scuola alessandrina privilegia questa interpretazione tipologica e allegorica. Il filone alessandrino utilizza l’indirizzo allegorico all’antico
testamento. Cfr. Paragrafo 7. Quindi noi cristiani siamo gli unici. Interpretazione vuole reagire all’apposizione alle prese di posizioni contro i cristiani.
Mosè spezza le tavole della legge. Ma finito quel tempo sono stati rigettati perché è arrivata la Chiesa. La tesi dell’Epistola di Barnaba. Tanti
appartenenti alla comunità della Didaché andavano in sinagoga. Dalla tipologia si passa all’allegoria. interpretazione allegorica. LA GIOVENCA è
Gesù, cfr. cap. 8 n. 2. CAP. 9 Interpretazione allegorica delle orecchie. Circoncisione diventa l'ascolto interiore di quella rivelazione che sostituisce
l'antica alleanza. 318 è un segno della persona di Gesù. 318 in greco è I.H.T. interpreta come 18 nome di Gesù e in T c'è la Croce. Interpretazione
assolutamente allegorica. Cfr. CAP. 9:8 l'unico che si salva è Abramo perché ha creduto in Gesù Cristo. cfr. CAP. 10, prescrizioni alimentare non
vanno intese in senso letterale. Tutto è inteso in senso spirituale, in senso allegorico per evitare che i cristiani abbiano a che fare con degli uomini che
assomigliano agli animali. CFR. 10:10 Dice già nei salmi si interpretava in senso allegorico, Davide come Mosè, Abramo è Gesù Cristo. CFR. 11:11
TUTTE LE VOLTE CHE C'E L'ACQUA C'E' IL BATTESIMO E OGNIVOLTA CHE C'è IL LEGNO NELL'ANTICO TESTAMENTO C'è LA
CROCE. NOI CRISTIANI SIAMO GLI UNICI, I GIUDEI HANNO FATTO IL LORO TEMPO. TUTTO PARLA DI CRISTO, VA INTESO IN
SENSO SPIRITUALE E QUINDI NOI CRISTIANI SIAMO GLI UNICI PERCHE' ABBIAMO TITOLO, SONO STATI RIGETTATI.

LE OPERE DI SALOMONE sono state considerate giudei. Che cosa sono? Sono delle poesie, lodi attribuite a Salomone. Siamo nel II secolo. Un
testo che riprende gran parte delle prassi giudaiche, si rileggono si reinterpretano alcune prassi secondo la liturgia cristiana. Non esistono soltanto
queste due posizioni estreme. Altri padri apologici sono in una via di mezzo né un rifiuto così totale. La tipologia è sempre l’obiettivo, l’allegoria non
è sempre fine a sé stessa. Al centro di questi autori c’è Cristo. La teologia è sempre prevalente all’allegoria. Un’interpretazione simbolica le vicende
dell’uomo contemporaneo rispetto al suo vissuto. Non è questo il metodo dei padri della Chiesa. Per loro è decisivo il riferimento cristologico. Tutto
può essere riletto a partire da questo. La priorità del fatto cristologico sia un punto su cui insistere.

16 PATROLOGIA I (PATRISTICA)
DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO

Estratto manuale come sopra

Le ODI DI SALOMONE consistono in 42 inni che esprimono l’antica pietà mistica ispirata da San Giovanni. APPARTENGONO AGLI SCRITTI
APOCRIFI del Nuovo Testamento.

L’EPISTOLA di BARNABA fu scoperta in lingua greca. I PARTE è DOGMATICA: i precetti dati da Dio per i sacrifici, la circoncisione e i cibi
devono intendersi in senso spirituale; invece dei sacrifici esterni Iddio richiedeva la contrizione del cuore, invece della circoncisione della carne quella
del cuore e degli orecchi. I giudei, tratti da un cattivo angelo, avrebbero interpretato male la volontà di Dio, interpretando e applicando alla lettera la
Legge. Conseguentemente, l’autore vede adombrata in tutti i fatti e nelle istituzioni dell’A. T. la << magnificenza di Gesù Cristo >>. Così ad esempio,
i 318 servi che Abramo circoncise significano lui Gesù sulla croce. II PARTE è di carattere MORALE, al pari della DIDACHE’, LE DUE VIE <<
delle tenebre e della luce >>. E’ oggi accertato che Barnaba non fu l’autore. Infatti San Paolo, di cui Barnaba era il compagno, vedeva nelle istituzioni
dell’A. T., e particolarmente nella circoncisione; un’opera di Dio; inoltre la lettera fu composta dopo la distruzione di Gerusalemme a cui è molto
difficile che abbia assistito Barnaba , zio dell’evangelista Marco.

Lettera di Clementis, I, 24/02/2022 N. 3 antologia testi

17 PATROLOGIA I (PATRISTICA)
DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
SLIDE Lettera ufficiale di Roma della Chiesa alla Chiesa di Corinto, scritta per mezzo di Clemente intorno probabilmente agli anni 96-97 (morte di
Domiziano) per risolvere un conflitto intorno alla comunità di Corinto. Questioni: valore dell’intervento romano (primitivo esercizio del primato petrino
o correzione fraterna? E identità di Clemente (vescovo di Roma? Presbitero in episcopato collegiale? Portavoce della comunità?

Rimaniamo alla situazione di Roma tra la fine I e II sec. D. C. una comunità cristiana di lingua greca, fatta da personaggi che vengono dall’oriente al
mediterraneo giudaizzante e siamo vicini al contesto siriaco o della Didaché di Barnaba. E’ imprescindibile l’Antico Testamento ed è imprescindibile
il legame con la tradizione giudaica precedente, questo è un elemento costante della comunità romana dei primi tre secoli. Il documento che no i
sappiamo essere stato composto a Roma è la I Clementis che è ampia, poi ci sarà una II Clementis apocrita più ampia delle lettere paoline. E’ una
lettera ufficiale del vescovo di Roma alla Comunità in realtà non è Clemente l’autore materiale non è fatta a titolo proprio ma della Chiesa di Roma
all’Oriente scritta per mezzo di Clemente; questa espressione ci viene consegnata da Ireneo.

Siamo intorno al 96-97 alla morte di Diocleziano Imperatore, 97-98 l’Impero Traiano periodo tranquillo per i cristiani non ci sono persecuzioni
anzi, dopo la persecuzione di Nerone del ’60, la comunità è tranquilla ma deve intervenire perché la comunità di Corinto non è tranquilla non per
persecuzioni esterne ma conflitti interni. Se leggiamo la lettera di Paolo ai corinzi già è evidente come in quelle comunità ci fossero dei conflitti.
Queste divisioni, nonostante l’intervento dell’apostolo, ritornano a distanza di qualche decennio. Sembra che il punto di aggancio a Corinto fosse la
destituzione di un presbitero. Allora la comunità di Corinto probabilmente fa presente tale situazione alla comunità di Roma che si sente di intervenire.
Già questa pone una questione che rimane ancora aperta: che senso ha questo intervento? Uno potrebbe dire questa è la prima attestazione di esercizio
del ministero pietrino. Clemente, vescovo di Roma, il Papa, interviene a livello giurisdizionale per risolvere un conflitto in una chiesa. Il termine viene
usato in maniera a tecnica, per cui non possiamo affermare con certezza che sia il papa ad intervenire qui. Forse di dovrebbe parlare di un intervento
di correzione fraterna, una comunità che interviene per dare aiuto ad altra. Roma ha una sua consapevolezza del ruolo non perché è la Capitale
dell’impero ma perché è il luogo dove è morto lo stesso apostolo che ha costituito la comunità di Corinto, ossia San Pietro. In questo senso, non c’è
un primato così evidente del ministero pietrino ma c’è un richiamo alla comune radice apostolica di Roma che giustifica un suo intervento. C’è un
primo indizio di quello che poi, nei secoli successivi, sarà effettivamente. E’ un intervento di correzione fraterna con una certa consapevolezza del

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DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
suo ruolo, Roma come luogo del martirio di San Pietro diventa un modello da seguire e può intervenire anche al fuori. Clemente non sappiamo chi
sia, ci viene di dire che sia il Papa perché ci viene presentato come il vescovo di Roma da Ireneo. Clemente ci viene presentato da Ireneo di Lione,
come terzo successore di Pietro6. Ireneo dice che è il terzo vescovo di Roma, colui che succede come unico responsabile della Chiesa di Roma. Ireno
ha un modello ben definito di struttura gerarchica della Chiesa dove c’è in ogni comunità un vescovo aiutato da un presbiterio e al cui servizio i
diaconi. Questo è il modello in questi stessi anni è conosciuto ad Antiochia. Non è detto che questo modello fosse già strutturato a Roma, anzi ci sono
molti studiosi che dicono che non sia il papa come intendiamo oggi, che ha una responsabilità superiore ai vescovi, ma l’ufficio di vigilanza era
affidato ad un collegio di presbiteri, si parla di un episcopato collegiale, (perché c’è questa ipotesi?) perché, da una parte, Clemente non si identifica
come il vescovo di Roma e, poi, Ignazio IGNAZIO d'Antiochia7 quando scrive una lettera ai romani, a differenza delle altre comunità dell’Asia
minore, indica il nome del vescovo invece quando parla di Roma non indica il nome del Vescovo ma si rivolge a tutta la comunità. Questi indizi
portano molti studiosi a ritenere che si tratti di un esercizio collegiale dell’episcopato, e che quindi Clemente potesse essere uno dei presbiteri che
insieme vigilavano sulla Chiesa di Roma, come se fosse un primus inter pares è possibile? Si, ci sono diversi studi che ci fanno pensare che l’episcopato
con un solo vescovo- papa sia presente alla fine del II sec. Poi abbiamo una struttura molto giudaizzante della comunità di Roma, con modello
sinagogale, rimane una comunità. Non è così scontato una tesi o l’altra. (Il fatto che Ireneo abbia inserito Clemente nella lista dei papi sembra che
fosse un primus inter pares). Sono ipotesi, non c’è nessuna testimonianza sicura sull’esistenza di un episcopato collegiale. Sono tutti indizi che ci
fanno convergere. Esempio parla di vescovi e diaconi, come nella didaché, e dopo fa riferimento Clemente ai diaconi; quindi a Roma ci sono vescovi-
diaconi e presbiteri però non è facile comprendere se i presbiteri siano sinonimi dei vescovi o distinti. Se sono sinonimi allora c’è un collegio di
vescovi e presbiteri di cui uno è Clemente, è possibile. Probabilmente, nelle comunità le diverse strutture vanno con i diversi decenni vanno
uniformandosi. Questo testo è stato considerato canonico, come la didaché, Codex Alexandrinus che è del IV era considerato parte integrante del
Nuovo Testamento. Lettera scritta a Roma per Corinto ma che ha avuto una certa diffusione.

6
Ireneo di Lione, Eusebio di Cesarea; CLEMENTE I, santo in "Enciclopedia dei Papi" (treccani.it) dopo Lino e Acleto
7
IGNAZIO d'Antiochia, santo in "Enciclopedia Italiana" (treccani.it)

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DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
La Comunità cristiana di Roma scrive, per mezzo di Clemente, a quella di Corinto. Non viene nominato un vescovo perché forse a Corinto esisteva
una struttura come a Roma. Nell’Asia Minore, i vari luoghi citati da Ignazio, lì c’era un vescovo come lo intendiamo noi cioè attorniato da presbiteri.
Bisogna vedere cosa prevalesse. Se il modello è Gerusalemme ci sono gli apostoli che formano un collegio, il fatto che gli apostoli formano un collegio
ma quando c’è una discussione c’è Pietro che prende la parola forse poteva dare l’idea di questo collegio. Il fatto che si imponga uno è un modello
paolino, in cui c’è l’apostolo che si rivolge alla comunità e che lascia qualcuno per supplire la sua mancanza ove non può più essere presente. I
documenti di questo periodo non ci fanno vedere nel dettaglio le situazioni, spesso sono delle ipotesi cercando di raggiungere il verosimile. Quando
è Ignazio che dice che io sono il vescovo e parla di questa struttura lì siamo sicuri. Sicuramente nella Chiesa antica non si parla di episcope o presbitere.
Nella lettera ai romani San Paolo parla di diaconos, che è una donna. Bisogna capire se ha valore tecnico. Di solito è un servo o ministro. Talvolta è
utilizzato a riferimento a donne fino ai primi secoli. Bisogna capire si tratta di un ministero istituito e come oppure no. Istituito con l’apposizione delle
mani, gesto negli atti apostoli dai sette da cui derivano, teologicamente, diaconi poi ci possono essere quelli istituiti senza l’apposizione. Si tratta
qualcosa di analogo al lettorato accolitato. Bisogna capire non è assolutamente semplice. Ci sono attestazioni in cui i diaconi donne sono coloro che
accompagnano i battezzandi. E’ difficile arrivare ad una conclusione, un vescovo imponiamo le mani anche alle donne. In questo testo il i diaconi
sono i collaboratori dei vescovi. Scrive ad una comunità proveniente dall’Oriente di lingua greca.

Il testo si divide in due grosse parti. 1-3 Esordi, I PARTE: 4-38 esempi dell’AT e cultura pagana che mostrano una via d’uscita dal conflitto in cui la
comunità di Corinto versava, es. che fanno vedere i danni della discordia ed invidia e il beneficio della comunità, se uno dei problemi era la divisione
interna faccio vedere i personaggi dell’AT che sono finiti male per motivi di discordia e i personaggi che hanno contribuito. Antico Testamento perché
è imprescindibile la radice ebraica per la comunità cristiana di Roma e cultura pagana perché si mette in dialogo. Sono esempi mitologici legati ai
poemi omerici, molto spesso ci sono esempi di letteratura pagana (Omero ecc.).

II PARTE: 39-61 ripresa della situazione a Corinto ed esortazione all’obbedienza; si inserisce la questione dei ministeri ecclesiastici e preghiera finale;

62-65 conclusione.

20 PATROLOGIA I (PATRISTICA)
DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
L’AT è interpretato in senso letterale, anche per questo stiamo molto distanti dall’Epistola di Barnaba. C’è una qualche incursione di tipo tipologico,
al cap. 12 vediamo Rab che mette fuori da casa propria filo per indicare che la sua casa non doveva essere distrutto durante alla presa di Gerico.
Clemente è il primo che utilizza questo filo per indicar il sangue di Cristo.

Cfr. CAP. 40: NEL NUOVO TESTAMENTO IL SOMMO SACERDOTE è CRISTO, cfr. LETTERA AGLI EBREI, IL PASSAGGIO SUCCESSIVO
è CHI LEGGE LA LETTERA AGLI EBREI, sa che il Sommo sacerdote è solo uno, è Clemente. Il passaggio successivo è confrontare le due strutture.
Il sommo sacerdote- sacerdote- leviti AT. Questa corrispondenza non si trova. Dietro c’è l’idea che l’AT è l’anticipazione di ciò che viene rilevato
nel NT quindi possiamo comprendere quello che è stato detto nell’AT. (Prima dell’arrivo del vangelo c’era una comunità giudaica a Roma, ebraica.
Il cristianesimo si insedia in questo contesto con il giudaismo). A Roma c’era una comunità giudea, prima dell’arrivo dei vangeli, composta da ebrei
e orientali. C’è una forte comunità ebraica prima dell’arrivo del cristianesimo e dei primi missionari, questo vuol dire che gli ebrei che erano già
stanziati mantengono la loro cultura e anche quelli che dal paganesimo diventano cristiani stanno in un contesto in cui è forte il contatto con la
componente giudaica, anche se non sono circoncisi o ebrei di origine ma diventa un aspetto tradizionale della comunità romana. Il fatto che non ci sia
questa terminologia nel Nuovo Testamento viene cestinato da Lutero in quanto non è parte della rivelazione del Nuovo Testamento. Le basi che pone
Clemente, attraverso la tipologia, ci fa vedere che è tutto un discorso analogico e che non c’è una corrispondenza univoca.

-Pausa- Poi parliamo delle altre opere attribuite a Clemente.

Tema che già si ritrova nelle lettere paoline. Qui emerge la resurrezione della carne. Cristo non è solo spirito ma anche è anche carne. Se la carne
di Cristo è vera anche dopo la resurrezione vuol dire che pure la nostra resurrezione sarà vera e non sarà solo spirito ma anche una vera resurrezione
della carne. La ritrovate uguale in Ireneo. Era un tema fortemente ricorrente nel II secolo. Emerge anche qui una sorta di cristologia pneumatica, qui
si dice spirito come se Cristo fosse lo pneuma o spirito che prende carne. E’ una terminologia piuttosto arcaica.

II CLEMENTIS, è probabilmente la più antica omelia. Probabilmente il contesto è quello GIUDEOCRISTIANO e SIROPALESTINESE. Qui il valore
della Chiesa ha un significato teologico profondo. A interessa la I lettera.

21 PATROLOGIA I (PATRISTICA)
DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
Pseudo-clementine (III e IV sec.). Vengono attribuiti molte cose che non hanno che fare con lui.

Estratto manuale come sopra

Gli scritti dei Padri apostolici mostrano intimi rapporti con le scritture ispirate, nel loro contenuto e nell’espressione, soprattutto con le lettere degli
Apostoli. Sono redatti in greco e rivelano una tendenza pratica di carattere parenetico in forma epistolare. Possono raggrupparsi sotto il nome di <<
letteratura pastorale >>. Gli autori si sforzano di spiegare ai fedeli la magnificenza dell’opera salvifica di Cristo, inculcano il dovere dell’obbedienza
verso i superiori ecclesiastici, mettono in guardia contro il pericolo dello scisma e dell’eresia. Lontana è ancora la preoccupazione – che ispirerà gli
APOLOGISTI del II secolo- di dare una spiegazione scientifica del Cristianesimo. I LETTERA DI CLEMENTE E’ STATA AGGIUNTA AL
CODEX ALEXANDRINUS della BIBBIA del 1056. Secondo Ireneo, Clemente sarebbe stato il terzo successore di Pietro (EH 126). Venne utilizzata
nella lettera di S. Policarpo, e fu evidentemente composta negli ultimi anni di Domiziano, o poco dopo. MOTIVO della sua composizione furono i
disordini scoppiati nella comunità cristiana, dove alcuni giovani membri si erano ribellati contro i presbiteri ch’essi avevano destituito arbitrariamente.
II PARTE 37-61. Viene alle discordie dei Corinti ed esorta alla sottomissione ai superiori gerarchici ecclesiastici istituiti dagli Apostoli o dai loro
successori. 1. CI TROVIAMO DI FRONTE A UNA MANIFESTAZIONE DELLO SPIRITO, DELLA FORZA e della rivendicazione della Chiesa
di Roma ad un posto speciale tra le altre comunità perché luogo di martirio di San Paolo e San Pietro. 2. LA COMUNITA’ NON HA IL DIRITTO
DI DESTITUIRE I PRESBITERI PERCHE’ NON DERIVANO DA ESSA IL POTERE CHE HANNO RICEVUTO DAGLI APOSTOLI I QUALI
A LORO VOLTA HANNO OPERATO SECONDO LE ISTRUZIONI DI CRISTO.

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DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO

PASTORE DI 8ERMA è il fratello del vescovo Pio, intorno al 140, vescovo a Roma lo sappiamo dal canone o frammento. Scrive quest’opera che
a livello letterario si presenta come un'apocalisse ma non è un’apocalisse poi il contenuto è di altro genere. E' il più ampio fra i padri apostoloci. Ha
avuto grande successo, considerato da alcuni letteratura canonica. Non tanto l'apocalisse ma il problema alla penitenza. Io sono battezzato ricevo il
perdono dei peccati. Intorno al II secolo si pone il problema: Se io pecco dopo il battesimo cosa succede? Si pone il problema dei cristiani che
commettono gravi peccati. Cosa succede sono dannato? Per rispondere a questi problemi. L'ANGELO DELLA PENITENZA, che si presenta come
un pastore, ANNUNCIA UN GIUBILEO STRAORDINARIO, UN'UNICA POSSIBILITA' DI PENITENZA DOPO IL BATTESIMO. Non è un
ultimatum. Siamo in un contesto in cui la Chiesa deve fare i conti con i peccati dei suoi figli. Il ritardo il battesimo fino al punto di morte, fino al V
sec., poi con la consapevolezza che si può ripetere questa penitenza farà venire meno questa prassi cd. “battesimo clinico”. E’ un testo stratificato. E’
diviso in

5 visioni; Uso dell’ALLEGORIA, il testo parla di pietre per indicare i vari tipi di cristiani da scartare e quelle no.

12 precetti; --------------------------------------------------------------------------------------------------------

10 Parabole o Similitudini. Il precetto avviene con il Battesimo mentre la Penitenza dopo il Battesimo.

8
Pastore d'Erma - Cathopedia, l'enciclopedia cattolica I GRAVI PECCATI SONO: APOSTASIA, ADULTERIO E OMICIDIO.

Creatio ex nihilo - Cathopedia, l'enciclopedia cattolica ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------

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DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
DIFFERENZA DA QUELLA CHE è LA LITURGIA ORTODOSSA. In questo stesso periodo si forma una comprensione del ministero di Cristo si
sviluppa in forma molto minimale. Dicono Gesù non è né lo spirito che prende carne né un angelo ma un puro o semplice uomo che, a un certo punto
– al battesimo al Giordano, viene investito dallo spirito santo. Il dire, parlo della cristologia pneumatica, che si identifica con lo spirito divino che
prende carne. Da quel momento è figlio di Dio. Questi testi sono una testimonianza già di una reazione a forme di comprensione minimali di Gesù.

03/03/2022 IGNATIO DI ANTIOCHIA Vescovo già alla fine del I sec. parte per Roma per subire il Martirio dell’Imperatore TRAIANO
(dal 98 al 117): durante il viaggio probabilmente fra il 107 e 117 scrive 7 lettere: 4 da Smirne, sponda orientale del mare Egeo, (Efesini, Magnesii,
Tralliani, Romani) e 3 da Troade, in Grecia, (ai Filadelfiesi, Smirnesi e Policarpo). E’ vescovo nel modo come lo intendiamo oggi, ossia mono
episcopo in una comunità; questo vuol dire che ad Antiochia quando lui era vescovo la struttura della Chiesa è quella che conosciamo oggi ossia il
ministero è strutturato con i gradi dell’episcopato e presbiterato, che sta attorno ad un unico vescovo, diaconato che collaborano con il vescovo. Questo
perché avviene? E’ un dato normale che si è sviluppato oppure è un dato nuovo? Quella struttura che si può concepire a Roma di un episcopato
collegiale esisteva ad Antiochia oppure no? Chi sostiene questa tesi che riprende la prassi della sinagoga. A un certo punto per contrastare gli eretici
è necessario un unico personaggio che si impone. Secondo questa ricostruzione Ignazio è il primo che forza questa struttura collegiale e diventa un
vescovo in senso unico. Chi ha questa prospettiva tende a sottolineare l’aspetto di Ignazio che si impone e che andrebbe a destrutturale un episcopato
che era collegiale. Prospettiva data da molti studiosi di matrice protestante. Questa tesi ha avuto un certo successo. Non bisogna uniformare tutte le
realtà cristiane, c’erano alcune con struttura più collegiali e altre, come Antiochia, ove fin dall’inizio della successione apostolica c’era
un’organizzazione in cui c’era uno solo, l’erede dell’apostolo. Antiochia era una comunità paolina, le comunità a cui scrive sono comunità paoline
d’origine o con forte influsso paolino. Le due interpretazioni non si devono assolutizzare. Anzi il fatto che lui non si richiami a Gesù ma piuttosto al
significato di quel ruolo che ha fa propendere che si riferisca alla successione apostolica. A differenza del Pastore di Erma, per introdurre una prassi
–la possibilità di ricevere la penitenza per i peccati dopo il battesimo- che prima non c’era; per farlo non si richiama agli apostoli ma tramite un angelo
della penitenza per introdurre una prassi che prima non esisteva. Qui, invece, si ribadisce ciò che già esisteva ma che qualcuno metteva in discussione.
(Questo modo di ragionare è il modo di affrontare le questioni soprattutto alla storia antica perché non abbiamo una ricostruzione ma non vanno

24 PATROLOGIA I (PATRISTICA)
DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
interpretate in modo assoluto). E’ uno dei padri della Chiesa più citato nel Vaticano II circa il ruolo e la natura sacramentale dell’episcopato. Sulla
sua vita sappiamo poco. Gli scritti di Ignazio sono di stile epistolari. Sono attribuite 7 lettere. Fino al IV sec. sono conosciute poi scompaiono nel
medioevo. Poi ricompaiono quando viene inventata la stampa (1455 in Germania). Viene stampata una recensione lunga, addirittura comprende 13
lettere come le lettere paoline ma si tratta di una recensione fittizia. Nell’800 è stata trovata una recensione breve, alcune tre in siriaco e sette attestate
da altri padri. Sono state ritrovate in alcuni manoscritti nel 500-600 ci fu una grande produzione di stampa in cui venivano stampate le opere dei padri.
Viene riscoperto nel XX sec. in vista del Vaticano II.

TEMI TEOLOGICI:

 CRISTOLOGIA, DIVINITA’ DI CRISTO E REALTA’ PER EFFICACIA DELLA SALVEZZA DI TUTTO L’UOMO (Trall. 9-10; Smirn.
1-4; 6-7);
 ECCLESIOLOGIA, UNITA’ DELLA CHIESA (Phil. 4), definita cattolica (Smirn. 8). SCANSIONE GERARCHICA A TRE LIVELLI
(VESCOVO-PRESBITERI-DIACONI; Magn. 6; Trall. 2-3; Smirn. 8); ruolo della Chiesa di Roma che presiede alla carità (Rom. Inscr.);
 SPIRITUALITA’ DEL MARTIRIO (Romani): mezzi di identificazione. I martiri muoiono per Cristo. Non c’è una vera e propria riflessione
sul martirio, il primo che lo fa è proprio Ignazio da Antiochia. L’unica riflessione era sul vecchio testamento. Si proietta sul martire cristiano
i tratti della passione di Cristo (n. 12 testo antologia).

Ignazio dà un contributo alla cristologia sulla divinità di Cristo. Si oppone a quella cristologia giudaica che considera Gesù un semplice uomo adottato
<dallo Spirito santo. Fa dispendere il martirio dalla concretezza della rivelazione e incarnazione di Gesù Cristo, cd. scuola asiatica, che sottolinea la
verità materiale di Cristo. Cfr. cap. 1-4 testo n. 14 antologia (Smirnesi). Ci sono passi del Vangelo (Lc. 24,39) che mostrano la concretezza della carne.
Cfr. Capp. 6 e 7, Ignazio critica i doceti le conseguenze mancate dell’incarnazione, se Cristo non si è veramente incarnato che senso ha occuparsi del
prossimo nella sua concretezza? Che senso ha la carità? Che senso ha? E’ una cosa spirituale? No, Cristo si è incarnato veramente. Ignazio non solo
ci aiuta a comprendere dell’incarnazione ma anche le sue conseguenze, vuol dire che evidentemente i doceti e gli gnostici non si occupavano di ciò.

25 PATROLOGIA I (PATRISTICA)
DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
In termini teologici, per gli gnostici e doceti la morale non era importante perché la morale è staccata rispetto alla teologia, alla fede. La Carità non è
fondamentale, si può esprimere anche in senso spirituale per loro. Non riconoscono che l’eucarestia è la carne del nostro signore Gesù. Cfr. 7 Non
solo la morale è svalutata per i doceti ma anche l’impianto sacramentale non ha senso. Dal cardine della resurrezione deriva l’efficacia della salvezza
del mondo. Anticipa il tema fondamentale a livello teologico della salvezza per dire che la rincarnazione è vera e completa. Nel IV secolo i padri
diranno tutto ciò che non è stato assunto dal verbo non è stato redento se cristo non ha preso un corpo come fa a salvare il corpo, soprattutto, del
prossimo di cui mi devo prendere cura. I doceti e gli gnostici mettono in discussione la reincarnazione e depauperano tutto il resto. Ignazio si oppone
a coloro che riducono Cristo come un semplice uomo.

Parte il suo discorso dall’unità della Chiesa, perché Dio è uno solo. Cfr. n. 13 antologia Filadelfiesi cap. 4.1. Una sola eucarestia, uno solo è Dio,
Cristo, uno solo è il Vescovo unito al presbiterio e diacono. Dall’unità di Dio deriva l’unità della Chiesa, il tutto attraverso la mediazione dello Spirito
santo. Concretamente potremmo pensare che ci fosse la domenica una sola messa, una sola eucarestia perché uno è il vescovo, una è l’eucarestia ma
attenzione a non assolutizzare. (Esempio San Paolo fa riferimento a cristiani che si riunivano in domus per celebrare l’eucarestia). Siamo ancora in
periodo prima di Costantino, il cristianesimo non era ancora religione di Stato.

Cfr. Smirnesi cap. VIII La Chiesa è definita Cattolica. Il primo ad utilizzare questa espressione è proprio Ignazio. Il termine Cattolica sta per completa
o universale, che presenta e custodisce l’intera verità e tutti i mezzi di salvezza.

Cfr. Tralliani, cap. 1-3., il vescovo è il tipo del padre o Gesù; presbiteri come gli apostoli, collegio presbiteri-collegio apostoli. L’eucarestia
normalmente era presieduta dal vescovo che può essere delegata ai presbiteri.

- Ignazio esclude che Gesù sia stato un semplice uomo (dirà “lui è veramente Dio”) e per non eliminare la sua umanità dirà (“si è veramente
incarnato”).

IL RUOLO DI ROMA

26 PATROLOGIA I (PATRISTICA)
DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
Interessante è il modo in cui scrive ai romani cfr. Romani inscr. Cioè l’intestazione introduzione della lettera. Non c’è il nome del vescovo di Roma,
nelle altre c’è il nome del vescovo locale. Tale elemento sorregge la tesi che in quel momento a Roma non ci potesse essere uno inteso come vescovo
mono episcopo. Questo fa presumere che a Roma non ci fosse un vescovo come ad Antiochia, qualcuno per giustificare ciò ritiene che la sede vescovile
di Roma fosse scoperta oppure che non conoscesse la struttura episcopale di Roma. <<Chiesa che presiede nella regione dei Romani, degna di Dio,
di venerazione, di beatitudine, di lode, di successo, di candore e che presiede alla carità >> agate è sinonimo di Roma; probabilmente fa riferimento a
un ruolo eminente di Roma ma soprattutto perché è il luogo di martirio di Paolo e Pietro. Roma è luogo speciale perché luogo del martirio degli
apostoli.

I martiri muoiono per Cristo. Fino a quel momento non c’è una vera riflessione sul martirio prima di Ignazio. Per lui essere martire significa
identificarsi con Cristo. L’unica riflessione biblica è nel Nuovo Testamento sulla morte di Gesù inteso come un testimone fedele. Si proietta sul martire
cristiano i tratti della passione di Gesù, testo n. 12. Così come nell’eucarestia di Gesù si manifesta il suo sacrificio, così in Ignazio il suo sacrificio.

--- Estratto manuale come sopra

L’autenticità è confermata da Policarpo, Ireneo, Origene ed Eusebio. Le lettere pongono vescovi singoli a capo delle Comunità cristiane considerando
l’episcopato non in modo collegiale. In tutte le lettere, tranne quelle ai Romani, raccomanda l’unità concretata nella stretta aderenza alla Gerarchia
che comprende vescovi, presbiteri e diaconi. La Chiesa Cattolica come intera società dei credenti. Nel passo della lettera ai Romani 3,1 si parla di
un’attività di vigilanza della Chiesa di Roma sulle altre Comunità. Si rivela la preminenza e la specialità della chiesa romana. Nel passo Roma 4,3
vengono nominati gli Apostoli Pietro e Paolo con la loro autorità presso i romani, e se attesta la dimora a Roma.

27 PATROLOGIA I (PATRISTICA)
DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO

ULTIMI PADRI APOSTOLICI

POLICARPO di SMIRNE morì il 23/02/167 o 168 ed è considerato il principale padre del I secolo. E’ più importante come figura e martire ---
Vescovo di Smirne già al tempo del viaggio di Ignazio a Roma (107-117), che gli scrive una lettera; maestro di Ireneo; sappiamo da Eusebio da
Cesarea che durante il pontificato di Aniceto (155-166) va a Roma per discutere sulla data della Pasqua portando la sua tradizione orientale e lì avrebbe
incontrato Marcione, quest’ultimo personaggio molto discusso. Secondo lui la pasqua si celebra nello stesso giorno degli ebrei (ossia il 14 “i quarti
decimali”). A Roma prendiamo la prima domenica successiva al 14. Ci è pervenuta una lettera ai Filippesi, scritta in accompagnamento all’invio di
quelle di Ignazio a Filippi. Inoltre, possediamo il resoconto del suo martirio, il Martyrium Polycarpi, scritto dopo la sua morte non da lui, che inaugura
la letteratura martiriale --- Ignazio non utilizza parla come uno che morirà per Cristo, il testo che racconta l’uccisione di Policarmo utilizza questo
sostantivo per indicare un cristiano che muore per la propria fede. Nel cap. 9 il proconsole romano invita a Policarpo a rinnegare la sua fede e gli
proferisce “dì abbasso gli atei”. Per atei si riferisce ai cristiani, nei confronti ai pagani che credevano tanti dei i cristiani erano senza Dio perché non
accettavano di sacrificare gli dei. Poi saranno i cristiani ad accusare i pagani di essere atei perché non credono un unico Dio.

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DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
Papia di Gerapoli (vescovo di Gerapoli in Frigia) 125-140 scrive 5 libri “Esposizione dei detti del Signore”, di cui sono pervenuti frammenti tramite
Ireneo e Eusebio di Cesarea. Tra questi, sono famose soprattutto le notizie dei Vangeli secondo Matteo e Marco. Per Eusebio mira al millenarismo –
PAPIA aveva l’intenzione di scrivere il passaggio dalla tradizione orale a quella scritta nel Nuovo Testamento. Lui aveva accesso a qualcosa che per
noi è inaccessibile, ossia il momento della fissazione dei canoni del Nuovo testamento. Lui fa un accenno al vangelo degli ebrei. Nell’inizio del II
secolo quei libri ancorano erano in fase di redazione. Cita i vangeli canonici. Testo n. 17 antologia. L’importanza della tradizione. E’ un testimone
che per gli antichi la viva voce dei testimoni è ancora più importante dallo scritto. Aveva qualcuno che era stato discepolo degli apostoli. Sono una
fonte importante perla vita dei cristiani, sono relativamente pochi i testi riferiti a quegli anni. Pensate a cosa succedeva fino agli anni 60 del I secolo,
Ipocarpo nel II secolo. Il passaggio successivo è vedere come i cristiani rispondono alle accuse che sono loro rivolte dai giudei e pagani.

I padri apologisti, il primo San Paolo (pagg. 91-100 manuale Patres Ecclesiae). Quando viene imprigionato a Cesarea predica difendendo il
cristianesimo. Gli scritti apologetici del II secolo sono redatti in forma di discorsi o dialoghi, elaborati secondo la retorica greca e destinati agli
imperatori. Respingono le calunnie pagane, svelano l’assurdità dei riti o miti idolatrici, difendono il monoteismo e la dottrina della Resurrezione.
Dimostrano che la filosofia pagana, poggiata sulla ragione ottenebrata dall’azione maligna non ha potuto che scoprire una parte della verità mentre
per contro il Cristianesimo dischiude la verità. PROVE DEL CRISTIANESIMO. 1. Efficienza etica del Cristianesimo, l’amore verso il prossimo. 2.
Predizione di Cristo e dei profeti. 3. Prova dell’Antichità e connessione fra V. T. e N. T., cioè il contenuto profetico presente nel V. T. trova responso
e completezza nel N. T. quindi il Cristianesimo non è una religione nuova, perché Mosè è vissuto prima dei saggi greci.

--------Mondo ellenistico- imperiale I e II sec. forte anelito religioso: salvezza ultraterrena, culti mistici e sincretismo religioso tendente a un certo
monoteismo (vs. politeismo religioso) > cristianesimo (esclusività religiosa). Persecuzione e accuse popolari contro i cristiani --------------------------

C’è un forte anelito religioso cioè molti uomini avevano il bisogno di essere salvati, in maniera ultra umano, es. i riti misterici. Un sincretismo religioso
che porta a valorizzare i culti orientali, egiziani ecc. Lì dentro il cristianesimo capite come avesse un grosso nemico ma potenzialmente un alleato. Se

29 PATROLOGIA I (PATRISTICA)
DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
c’era questo desiderio questo sincronismo, che convergevano in una medesima realtà divina, i cristiani potevano intercettare la cultura del tempo.
Questi sacrifici venivano svolti per placare gli dei ed evitare catastrofi ecc. I cristiani adorano soltanto un Dio e non partecipano a ciò. CON L’INIZIO
DELL’ATTIVITA’ LETTERARIA DEGLI APOLOGISTI IL CRISTIANESIMO ABBANDONO’ CON PIENA CONSAPEVOLEZZA IL CAMPO
PRIMITIVO E CON ABILE ADATTAMENTO ALLE CORRENTI FILOSOFICHE DELL’EPOCA INTRAPRESE UNA SUA TEORIZZAZIONE.
Alcuni scritti di filosofi pagani del II secolo: Frontone di Cirta (Min. Fel., Oct. 9, 6; 31,2); il platonico (Celso) intorno al 178 replica di Origene.

SCHEMA APOLOGISTA:

- Difesa dalle accuse rivolte al cristianesimo;


- Attacco contro l’ateismo e il giudaismo;
- Presentazione della fede cristiana.

10/03/2022 9Il mondo ellenistico-imperiale e le accuse ai cristiani fra I e III secolo: -forte anelito religioso: salvezza ultraterrena, culti misterici
sincretismo religioso tendente a un certo monoteismo (vs. politeismo tradizionale) > vs. Cristianesimo (esclusività religiosa): persecuzioni e accuse
popolari ai cristiani: “atei ed empi” (crimen di ateismo); riunioni promiscue e antropofaghe; essere nemici dell’imperatore, sconvolgere pax deorum.

Questo periodo I e III secolo è caratterizzato da una forte tensione religiosa che si nota nel contesto imperiale attraverso questo anelito alla salvezza
eterna. I pagani di quel periodo non credevano alle divinità omeriche e continuavano a fare i sacrifici perché erano ritenute civilmente obbligatorie. Il
cristianesimo riesce ad intercettare questa esigenza alla salvezza ponendosi anche dei nemici, visto che crede in un solo Dio. Gli ebrei avevano
l’esenzione dai sacrifici pagani ma per una ragione politica perché la Giudea non era terra romana nativa. L’ateismo lo vedevamo anche in Policarpo
che veniva invitato a disconoscere gli atei, cioè coloro che non credono nel vero Dio cristiano. Esisteva proprio un crimen era possibile incolparlo,

9
Cfr. IL PENSIERO CRISTIANO DELLE ORIGINI JOHN N.D. KELLY IL MULINO 1975

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DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
c’era la lesa religione romana. Un’accusa più popolare di tenere delle riunioni promiscue e antropofaghe. Perché con il loro comportamento
sconvolgevano la pace degli dei. Queste sono accuse popolari ma ci sono accuse più filosofiche. Il periodo imperiale della filosofia è un periodo di
sincretismo, si mescolano e si influenzano e dà luogo ad una filosofia più complessa e si possono individuare certe: il PLATONISMO influenza i
padri della Chiesa (cosmologia e antropologia= l’uomo è fatto da corpo e anima) e STOICISMO (soprattutto la morale, es. Senaca, o lettera in latino
tra San Paolo e Senaca, e dottrina Logos –(cioè cos’è il principio che regola il mondo) o Pneuma =spirito), gli aristotelici, i pitagorici, gli epicurei ecc.
Tutte queste correnti nel condannare il Cristianesimo perché il Cristianesimo così come pretende di essere l’unica vera religione, detto in altri termini,
il Dio adorato sia l’unico vero, pretendono che la loro fede sia la vera filosofia che porta una verità superiore a quella dei filosofi, questa è una pretesa
esigente. Soprattutto i platonici accusano i cristiani di essere una fede illogica, senza logica. Queste accuse sono a livello di ellite e difficili da confutare
e hanno portato a scrivere molte opere che sono andate perdute, citate dagli apologisti: [DA NON RICORDARE] Luciano di Samosata, De morte
Peregrini (c. 170); Celso (Discorso vero, 177-180); Porfirio, (III secolo) Contro i cristiani; Giuliano l’Apostata, Contra Galilacos (c. 360). Questo
discorso vale fino a quando diventa religione ufficiale dell’impero. Viene considerata illogica perché nell’epistemologia platonica noi possiamo
conoscere la verità mediante scienza mediante una conoscenza razionale. Mettere all’apice la fede come conoscenza per i platonici è un grado di
conoscenza fallace. In Platone era un livello basso fallace di conoscenza. E’ il contrario del logos.

I cristiani si difendono non solo in negativo ma facendo vedere la verità che il cristianesimo porta. Il loro compito è rispondere alle accuse rivolte al
cristianesimo. Gli apologisti non solo si difendono, ad es. non c’è contraddizione nell’obbedire all’impero e Dio, ma rivolgono un attacco al
paganesimo che in quanto tale è illogico e immorale, non la nostra fede, es. se leggiamo i miti greci, e contro il giudaismo. Cercano di dimostrare
la verità del cristianesimo, cioè che è superiore alla filosofia greca che è fondata sul logos che è umano mentre il cristianesimo sul logos di
Cristo. Sono i temi grossi dell’apologetica. Le apologie vanno avanti fino al V secolo. La caratteristica dele apologie del II secolo è che o sono
antigiudaiche, o dialoghi, oppure sono apologie non in generale ma rivolte direttamente all’imperatore, tra cui Giustino, (nel periodo degli Antonini
fino a Marco Aurelio), per dire se tu sei l’autorità politica e hai la possibilità politica di incentivare o disincentivare le persecuzioni guarda che noi
non facciamo nessun male anzi se stai cercando la verità siamo noi che la diffondiamo anziché cercarla altrove.

31 PATROLOGIA I (PATRISTICA)
DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
GIUSTINO è la figura molto importante.

I primi apologisti sono ateniesi. Quadrato e ARISTIDE DI ATENE. Sono apologie rivolte ad Adriano (125): i contenuti sono scarni. partono
dall’unicità di Dio (motore immobile di Aristotile) per dire che Dio è unico.

ARISTIDE di Atene. Testo n. 18 Successivamente, se al capitolo I presenta l’unicità di Dio, nel cap. 2 dice che ci sono tre generi di uomini: coloro
che sono completamente in errore (pagani), coloro che hanno ricevuto in parte la rivelazione di Dio ma non sono arrivati alla pienezza (giudei) e i
cristiani che hanno conosciuto Dio in pienezza. Difesa dalle accuse rivolte al cristianesimo; attacco contro l’ateismo e il giudaismo e presentazione
della fede cristiana. Parte dal riferimento di Gesù e trasmettono il contenuto della fede cfr. cap. 15 n. 3 (la storia della salvezza, in particolare
l’incarnazione, la trinità). Accanto alla fede subito la morale. La prima apologia che abbiamo.

Gli apologisti si muovono in un contesto non cristiano. Pag. 95 e 96 manuale Patres ecclesiae. I cristiani adorano in unico Dio, sostengono gli
apologisti, che ha creato tutte le cose mediante il Logos cioè quella ragione universale di cui parlano certi filosofi greci. Adorano Gesù perché è il
logos stesso di Dio, sua potenza e sapienza, non un uomo ordinario. Gli apologisti strappano la ragione logos a coloro che se ne pretendono proprietari,
provando che essa è un bene proprio del cristianesimo e che è accessibile a chiunque voglia riconoscerla. Il logos non è solo presente ovunque come
ragione creatrice non solo è presente nell’uomo che partecipa in modo speciale al logos, essendo dotato di ragione, ma si è fatto carne in Gesù.
10
GIUSTINO del II secolo, nato verso il 100 in Palestina a Flavia Neapolis di formazione ellenistica è seguace di diverse scuole filosofiche; intorno
al 130 si converte al Cristianesimo e inizia la sua attività di filosofo itinerante (cfr. testo n. 23). Verso il 140 (epoca del PASTORE di Erma) giunge a
Roma dove fonda una scuola filosofica cristiana; incontra l’opposizione del filosofo Crescente, anticristiano, lo denuncia ed è condannato a morte dal
prefetto Giunio Rustico (165). Lo ricordiamo come martire. Pioniere della filosofia cristiana. Ha scritto: APOLOGIA all’imperatore Antonino Pio,
Marco Aurelio e Lucio. Due Apologie (I e II 153-160) forse la seconda è la ripresa sintetica della I. Vuole difendere i cristiani. APOLOGIA I è divisa

10
Pag. 95 manuale.
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DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
in tre arti: difende i cristiani dalle accuse (4-12), poi espone la dottrina (13-60) si dedica molto perché da filosofo vuole sostenere la verità cristiana e
gli ultimi capitoli riguardano il culto cristiano –cosa fanno i cristiani con la descrizione del Battesimo e l’eucarestia- (61-68). Cfr. testo n. 23, cap. 2.
Parlando con questo rabbino Trifone, racconta di essere passato prima dagli stoici fino ai platonici (cap. 3) perché ciò che lo animava era la ricerca
della verità, come nei secoli successivi farà San Agostino. Nel cap. 3. 1incontra un anziano con cui intrattiene un dialogo e con Trifone riporta questo
dialogo. Questo anziano intercetta la sua domanda, un dialogo socratico molto vicino al metodo socratico e lo porta a dare una definizione di Dio.
Prima dice cos’è la filosofia? La conoscenza del vero e dell’essere (3.4). Dio? Ciò che permane sempre identico a sé stesso e che è la causa dell’essere
di tutte le altre realtà. Sono definizioni platoniche. Cap. 6. CAP. 7 Dove trovo il vero maestro? Punto più scettico perché metto da parte tutte le varie
filosofie. Finora questo anziano aveva parlato soltanto di filosofia. <<profeti… miracoli… hanno annunciato Suo Figlio, Cristo>>. Sono arrivati ad
introdurre il tema dell’annuncio di Cristo. Cap. 8 arriva a far capire a Giustino che il cristianesimo sia la vera filosofia salvifica. Qui c’è tutto il
percorso umano di Giustino. Lui fa il filosofo cristiano, è il primo che consapevolmente da filosofo a declinato la filosofia in termini cristiani. San
Paolo non si percepiva così e la filosofia era qualcosa di ingannevole.

Testo n. 19 APOLOGIA. I ACCUSA AI CRISTIANI: cap. 4 è irragionevole che noi siamo perseguitati soltanto per via del nostro nome di cristiani;
cap. 5 richiama Socrate, modello dei cristiani perseguitati. II ACCUSA: 6-7 di essere atei, cioè non credete negli dei. III ACCUSA: di attendere un
regno. Qui fa la parte dell’apologista ma non solo. Spiega il positivo del cristianesimo perché è quella più ragionevole.

DOTTRINA DEL LOGOS. Il logos, che è il verbo di Dio, è già stato conosciuto nell’A. T. attraverso le sue manifestazioni, ogni volta che Dio si è
manifestato es. quando ha parlato ad Abramo o con Mosè. Lui parlerebbe di manifestazioni del logos in modo parziale viene rivelato ai giudei
mentre si manifesta a pieno nel logos che si è incarnato in Cristo nel Nuovo testamento. Come inserire in questo schema i filosofi greci? Anche
loro hanno ricevuto dei semi della verità, “in germe”, di cui Cristo è il fiore maturo e i semi della pianta sono disponibili nei filosofi. Se sono
disponibili nei filosofi noi li possiamo conoscere. Tutto quello che hanno detto di buono appartiene ai cristiani. Coloro che non hanno conosciuto
Cristo ma hanno detto qualunque cosa di buono stavano annunciando Cristo senza saperlo perché avevano ricevuto un seme della verità. Es. noi
potremmo riconoscere in Platone il seme di Cristo o perché questi “semi” gli ha desunti da Mosè o dallo spirito santo. I filosofi potevano prendere

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DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
spunto da quel seme di verità per conoscerlo. Non dice che erano per loro una preparazione del Vangelo ma che servono a noi per riconoscere che al
di fuori del cristianesimo ci sono elementi di verità e se ci sono io posso utilizzarli perché sono già dei Cristiani. Gli stessi filosofi greci avevano in
modo consapevole fatto dei passi avanti per la verità perché per loro la filosofia funziona come la bibbia per i giudei cioè come preparazione alla
pienezza (è uno sviluppo di questa teoria che viene sviluppata dopo). Ciò che di vero, santo e bello si trova al di fuori dell’annuncio di Cristo parla
già dell’annuncio cristiano appartiene già alla nostra fede cfr. n. 20 e 22 antologia dei testi. Il testo n. 20 i filosofi traggono le loro idee da Mosè,
osservato per il tramite dell’A. T. Mosè che è precedente ai filosofi e loro potevano conoscerlo e l’hanno usato. In realtà sappiamo difficilmente
Platone conosceva la dottrina degli ebrei, ma tradizionalmente si tramanda così. Viene detto così addirittura si prende un passo della Repubblica.

N.22 APOLOGIA, cap. 9, << LOGOS diffuso >>, sono i filosofi, e poi c’è Logos maggiore che è Cristo. Cap. 13 n. 4 testo N. 22. Noi possiamo
riconoscere da cristiani possiamo riconoscere un anticipo della pienezza che è Cristo nella filosofia.

DIALOGO CON L’EBREO TRIFONE apologia contro i giudei in forma di dialogo; qui non si rivolge all’imperatore ma ha la possibilità di attingere
all’A. T. per parlare con un ebreo, non è un monologo come l’apologia. I primi capitoli sono dedicati alla sua conversione. Giustino la utilizza in
dialogo apologetico ai giudei. Utilizzo cristiano dell’A. T. (esegesi tipologica 9-47, adorazione di Cristo come Dio 48-108; cristiani come nuovo
Israele (109-142); generazione del Padre (immagini della parola umana e del fuoco) come Mediatore (noto come subordinazione funzionale). Giustino
utilizza la dottrina del logos che non solo si espande ai filosofi ma è anche preesistente alla creazione perché è quella potenza razionale che
viene dal Padre e che viene generata senza che il Padre subisca una diminuzione di sé. (Siamo alle origini del Dio da Dio, luce da Luce, Dio vero
da Dio vero). Logos vuol dire anche parola, come quando la pronuncio si genera ma non mi diminuisce così avviene del figlio rispetto al Padre cfr.
61 n. 2 (testo 24). Dio sta parlando a qualcuno che è diverso da lui, argomento classico per dire che c’è una pluralità di persone in Dio. Cfr. N.
1 cap. 62 non c’è solo un altro oltre il Padre ma uno che è razionale e che capisca ciò che gli dice il padre; il logos, non è solo un attributo di
Dio, che è ragionevole ecc., ma è qualcuno di distinto da Dio pur rimanendo con il Padre un solo Dio. L’antico testamento parla di una sofia
-n. 4 cap. 62- la sapienza di Dio qui non è solo un attributo di Dio ma è il logos stesso. Per Giustino e la tradizione alessandrina il logos equivale
a sapienza. Chi è la sapienza? Il verbo preesistente, il Cristo cioè che deve incarnarsi. Quando dice che è stato generato prima di tutte le creature

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DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
sta dicendo qualcosa di diverso da quello che diciamo con il credo. Qui il verbo precede la creazione, cioè è generato prima della creazione. Dio
all’inizio è uno solo poi decide di creare il mondo e genera suo figlio e lo rende mediatore tra sé stesso e il mondo creazione (si parla di
subordinazione funzionale) il figlio è subordinato ma non è subordinato perché è inferiore, sono sullo stesso piano non è di una sostanza diversa
dal padre, ma ha un ruolo subordinato il padre è colui che tiene in mano l’universo il figlio è colui mediante il quale tutte le cose sono state
create ed è il mediatore delle creature, se volessimo inserire lo spirito santo lo schema è: il padre decide genera il figlio in vista della creazione
lo spirito santo è colui che ordina la creazione. A noi questo non soddisfa. Nell’Apologia il logos come si è manifestato nei filosofi greci e dall’altra
come tale logos sia il figlio del padre, la sapienza dal padre generata dal fuoco e generata prima della creazione come mediatrice. Da lì verrà molto
della teologia cristiana. Atteggiamento costruttivo mentre quello di Taziano è distruttivo. Pag. 93 manuale teoria del logos.

TAZIANO il Siro (125-189) già discepolo di Giustino a Roma fonda la setta degli encratiti; Diatessaron e Oratio ad Graecos opera polemica
antiellenica. Mette insieme i pezzi dei vangeli e ne fa uno. Nel mondo siriaco si legge questa rielaborazione. Viene criticato l’uso del vino e dell’acqua
nell’eucarestia. Condanna in tronco tutta la filosofia, i greci hanno rubato le altre cose da altri popoli es. matematica ecc. Testo n. 25. Taziano unisce
i quattro vangeli creando così un unico vangelo come per fare una storia unica di Gesù. Parlavamo di Taziano che è l’alternativa a Giustino per quanto
riguarda il rapporto con la cultura greca. Se Giustino ha un atteggiamento propositivo con la filosofia, Taziano è l’opposto. Tertulliano, non può
esserci alcun rapporto tra filosofia e fede, tra Atene e Gerusalemme.

Altri padri apologisti: ATENAGORA di Atene. Scrive agli imperatori, Marco Aurelio, perché vuole opporsi alle accuse fatte ai cristiani. Si concentra
su quella di ateismo, cioè di non credere agli dei, di incesto. Presenta una trilogia più equilibrata rispetto a Giustino. In Giustino parlavamo di un
rapporto di subordinazione c’è il Padre, il Dio Sommo, che volendo creare il mondo genera anche il Figlio che diventa il mediatore del mondo

17/03/2022
Per Giustino c’è un
RAPPORTO di 1. DIO padre del figlio e dello spirito Secondo Atenagora c’è un rapporto di
SUBORDINAZIONE creazione tra padre –figlio – spirito santo;
tra PADRE- FIGLIO- 2. IL FIGLIO che è Gesù è il MEDIATORE.
SPIRITO Santo il loro rapporto secondo intellectus fidei
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DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
3. mentre LO SPIRITO Santo ordina la creazione

ATENAGORA di Atene pone il padre, figlio e spirito santo tutti sullo stesso livello cioè evita quello che è un pericolo di pensare il figlio subordinato
al Padre. Parla del Figlio come “mente e verbo del Padre”, quindi senza che ci sia una gerarchia che potrebbe essere ascendente tra di loro. Pone
l’attenzione sul loro rapporto reciproco e non tanto sulle diverse funzioni. Anticipa la soluzione che sarà più tardiva del IV secolo, << c’è una
precedenza prima il padre perché è l’origine di tutta la divinità >>, cioè c’è una precedenza del padre non come superiore ma perché è l’origine del
figlio e dello Spirito. Nel Vangelo di Matteo il battesimo avviene in nome della trinità. Come spiegare la credenza in Dio e come metterlo in rapporto
con il Figlio e lo Spirito, come spiegare l’unità di Dio e il rapporto tra di loro? Mediante Intellectus fidei, recepisco il dato della fede e ne devo
rendere ragione, cioè andare in profondità rispetto al dato rivelato e custodito dalla Chiesa. L’unico passo nel NT dove compare la trinità è Mt 28 o
nelle lettere paolino. Si tratta di una espressione non dottrinale, cioè meno spiegata, anche per questo nasce la teologia che tiene presente la rivelazione
del N.T. e si affaccia al V.T. In realtà si tratta di spiegare come Dio si rivela ma anche come già dall’inizio nell’A.T. c’era questa struttura passi che
possono anticipare la trinità (cfr. Sap. 7, 25). C’è bisogno di spiegare per un motivo apologetico e catechetico ciò che si ha appreso come professione
di fede. N. 26 antologia.

TEOFILO di Antiochia (120-185) scrive un’apologia riferita a un suo amico pagano che viene invitato a convertirsi, un’opera più teologica, nella
quale compare la trinità, nel NT non c’è il nome Trinità ma le singole entità padre, figlio e Spirito. Avviene qui con Teofilo, verso il 180. Distinzione
tra il Logos immanente e il verbo capace di parlare che è traducibile come il verbo proferito o capace di parlare. Secondo lo schema di Giustino,
Dio è uno poi perché vuole creare il mondo genera il figlio. TEOFILO dice in realtà già prima c’era questo verbo che era immanente in Dio Padre
anche prima che venisse proferito. C’è una sorta di generazione ante tempus, il verbo è generato prima del tempo sempre in vista della creazione
ma non viene ancora propriamente proferito. Quando viene proferito? Nel momento in cui inizia la creazione. Quindi prima viene generato
“dentro” dentro Dio (verbo immanente) nel tempo o quando inizia la creazione nello stesso tempo viene proferito. Continuano ad essere in una
sorta di subordinazione il figlio rispetto al padre ma sempre più tali ricostruzioni vanno a spiegare in che senso il logos sia Dio che si incarna. Cfr.
testo n. 27 (Ad Autolico II). Inizia con la creazione << Dio creò tutto dal nulla >> (cfr. Pastore di Erma). Teofilo è vicino a Giustino in questa teologia

36 PATROLOGIA I (PATRISTICA)
DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
del verbo, ma a differenza di egli che identifica il logos = sapienza, per Teofilo la SAPIENZA è DIVERSA DAL LOGOS FIGLIO, cioè la sapienza
= Spirito Santo invece il LOGOS = FIGLIO Gesù. [Questa teologia verrà consacrata da Ireneo, che parlerà delle due mani. Dio è la testa, tutto parte
dalla sua volontà, e operativamente per creare il mondo e tutto nella storia della salvezza utilizza le sue due mani il figlio e lo spirito santo]. Il modello
di Giustino continuerà con la scuola alessandrina, quello di Teofilo in Ireneo. Il resto del brano è allegorico. Dio- il verbo- la sapienza corrisponde
alla trinità. Quando compare il verbo? N. 22. Unione e distinzione apre un discorso che possa tenere insieme le entità divine. Il logos è anche il figlio
si salva il fatto che non sia solo un attributo di Dio. Il discorso è che, non sono solo attributi ma siccome l’A. T. parla di questa trilogia, non sono solo
potenze di Dio ed è una teologia cristologica. Gesù realizza il passaggio è il verbo distinto dal Padre ma che al contempo Dio è con lui, che è mediatore
di tutto. Se fosse solo lo spirito sarebbe difficile perché non si manifesta come una persona, invece Gesù sì. Essendo Gesù il figlio e il verbo è qualcuno
distinto. Il verbo proferito diventa il verbo incarnato, cioè Gesù. A livello trinitario significa che Gesù è Gesù è la manifestazione della natura divina.

il PADRE

Da una parte c’è il FIGLIO dall’altra c’è

identificato con il logos immanente LO SPIRITO Santo che è identificato come SAPIENZA

A DIOGNETO. Molto citato nel XX secolo, anche nel Concilio Vaticano II. Fornisce uno spaccato come si riconoscono i cristiani. Nel 2020 è
uscita una nuova edizione di F. Ruggiero. Non è una lettera, è un testo che mettiamo nel genere apologista ma a livello di genere letterario è un
discorso protrettica, di preparazione (Aristotele) esortativo o propedeutico alla filosofia. Siamo in un discorso che vuole esortare qualcuno a
convertirsi alla fede cristiana. Ha una finalità apologetica che è funzionale a ciò. L’autore scrive a questo personaggio Diogneto che è un pagano gli
scrive non solo per difendere la fede cristiana ma soprattutto per invitarlo a convertirsi, a comprendere la bontà del cristianesimo e a prendere una
decisione. Questo personaggio aveva posto domande all’autore. Il greco è molto più elaborato e ornato degli autori precedenti. Un critico del XIX
sec. Norden 1898 ha affermato “fra quanto di più brillante i cristiani hanno scritto in greco”. Gli ultimi due capitoli fanno parte di un altro testo. Il
problema è che è tutto di seguito e quindi è difficile capire, potremmo ipotizzare una lacuna dopo il capitolo 10. A differenza dei primi che si rivolgono

37 PATROLOGIA I (PATRISTICA)
DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
a un pagano per mostrargli il cristianesimo questi ultimi sembrano rivolgersi a qualcuno che è già cristiano, pertanto si tratta di un’omelia e si utilizza
l’esegesi allegorica (tratti che abbiamo visto nell’epistola di Barnaba, Giustino). Potrebbe essere quest’ultima parte una sezione o parte di un’omelia
alessandrina. La data plausibile è 210, ci sono allusioni in autori successivi. Anche il luogo è incerto si ipotizza Asia minore, Alessandria o Roma.
Quest’opera è stata attribuita a Giustino come compositore. Dire Roma non esclude che possa essere stato uno straniero, non cittadino romano. NON
SI RIVOLGE ALL’IMPERATORE. Dionigi sembra appartenere a ceti benestanti, probabilmente è un funzionario di corte. CHI è l’AUTORE?
Qualcuno dice è Policarpo, o Clemente Alessandrino. Oggi si dice che non si riesce a dare un nome ma possiamo dire qualcosa della sua teologia
forse un << un teologo in contatto con circoli sostenitori di una concezione “radicale” della novità cristiana, nutrito in particolare di tradizione
paolina, persuaso che i credenti siano i soli per fede in grado di accedere a una reale conoscenza ed esperienza del Figlio inviato dal Padre a
salvare gli uomini >> (F. Ruggiero). Sottolinea la novità cristiana ed è antigiudaico, ama San Paolo. IL DESTINATARIO è DIONETO. A Roma
verso la fine del II secolo c’è un Diogneto maestro di Marco Aurelio. Ci è rimasto solo un manoscritto. L’opera è stata copiata più volte, l’ultima
risale nel XIV scoperto a Costantinopoli da Tommaso di Arezzo, un frate domenicano, 1435 – 1437). Fino ad arrivare alla biblioteca di Strasburgo e
non abbiamo quel manoscritto. Questo manoscritto era stato copiato nel VI lacunoso in due punti (7, 6-7; 10, 8). TESTO N. 28 ANTOLOGIA, traduzione
italiana del 2008. Ci sono anche gli ultimi due capitoli che sono di altri autori ignoti.

Cap. 1 pone tre domande: l’identità di Dio, chi è Dio e perché non credono agli idoli pagani e non si accontentano del giudaismo, (tanto da morire
come martiri)? Oltre alla domanda sulla fede, c’è anche la morale. In che cosa consiste la morale cristiana. Quale amore si portano? In che cosa
consiste la morale cristiana. Per l’uomo antico le cose vere sono le cose che provengono dal passato o che esistono da sempre, le cose nuove generavano
sospetto e i cristiani erano nuovi, quindi perché i cristiani sono comparsi al mondo ora e non prima? Perché ci tengono i cristiani a distinguersi
dai pagani e giudei? Cap. 2-4; 7-10. Questione due cap. 5- 6, 10 l’amore. Cap. 8-9 novità della religione cristiana. La domanda fondamentale è la
prima cap. 1, 2-4, 7-10. Come va in polemica con l’idolatria dei greci. Viene chiamato superstizione. L’autore si rivolge a Diogneto. Poi contro il
rito giudaico, cap. 3. perché la fede ebraica avviene in maniera irragionevole con sacrifici dei pagani; non ha ricevuto una rivelazione di Dio;
non hanno gli strumenti per comprendere Dio, non avendo ricevuto accolto la rivelazione di Gesù.

38 PATROLOGIA I (PATRISTICA)
DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
Lo stile dei cristiani nel mondo: cap. 5 la cittadinanza terrena e celeste. Sono elencate le varie persecuzioni. Nonostante sono perseguitati eppure sono
“anima” nel mondo cap. 6.

Non ci sono manifestazioni di fede pubblica dei cristiani perché siamo ben prima di Costantino.

SOLO DOPO AVER DEMOLITO GLI IDOLI PAGANI E L’IMPERFEZIONE DELLA FEDE GIUDAICA E LA BONTA’ DELLO STILE
CRISTIANO CHE DIVENTA NECESSARIO NEL MONDO ANNUNCIA CHI è DIO nel cap. 7 è l’invio del Figlio.

Piano salvifico di Dio (7-9): Dio creatore invia agli uomini il Demiurgo e Mediatore della Creazione (Figlio / uomo) per la loro salvezza (invio
testimoniato dei martiri) << lo inviò come Dio e come uomo >> cfr. 7.4. Dio si fa conoscere pienamente con il figlio. DIO è CREATORE PER
MEZZO DEL FIGLIO (nel Demiurgo platonica). La materia è creata dal Padre e plasmata dal figlio. (Prologo di Giovanni 1… per mezzo del figlio
avviene la creazione. Non agisce solo il padre ma tutta la trinità).

Cap. 8, la conoscenza di Dio che si manifesta attraverso il figlio e come si conosce? Attraverso la fede, non attraverso i filosofi. La fede è suscitata
dal figlio e dai martiri che la testimoniano.

Cap. 8, 7-9, 6: Dio, benevole verso gli uomini e magnanimo, nel tempo prestabilito (Galati 4, 4) si rivela per mezzo del Figlio è colui che non solo è
mediatore ma anche colui che viene consegnato come riscatto per noi. Dio si rivela nella creazione, nella fede e nel Figlio. Questa è la proposta della
fede dell’autore A Diogneto a questo autore pagano.

Cap. 10, conclusioni. Diogneto potrà amare Dio, il prossimo e diventare “imitatore di Dio” convertendosi nella fede cristiana.

39 PATROLOGIA I (PATRISTICA)
DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
COSA VA RICORDATO: A DIOGNETO

- NON E’ UNA LETTERA, E’ uno scritto apologetico FINALIZZATO ALL’INVITO A CONVERTIRSI;


- CHI è IL DIO DEI CRISTIANI? Un Dio distinto dai greci e dai giudei, si vuole distinguere i cristiani dalle credenze, idolatria dei
giudei e pagani.
- CHI SONO I CRISTIANI? L’ANIMA DEL MONDO (cfr. Platone) che tengono coevo il mondo.
- Fine II secolo, forse è il maestro di Marco Aurelio.

40 PATROLOGIA I (PATRISTICA)
DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
24.03.2022 SCRITTI APOCRIFI e GNOSTICISMO_ APOCRIFI A. T.: TESTI CHE NON FANNO PARTE DEL CANONE BIBLICO (CFR.: C.
170-180) MA AFFERENTI A PERSONAGGI FITTIZI o PROTAGONISTI DELL’A.T. E N.T. Possiamo parlare nel II sec. d. c. di canone biblico
perché abbiamo questo testo, N. 29 antologia testi Frammento Muratoriano, testo importante per lo studio patristico. Si chiama così perché è stato
valorizzato da un filosofo modero Muratoriano. In quel periodo diventa chiaro, a Roma, qual è il canone del NT perché in un’epoca antica c’è una
distinzione tra testi canonici e quelli non.

FRAMMENTO MURATORIANO: parte con dei puntini parte che non possediamo, ove probabilmente parlava dei Vangeli di Matteo e Marco. Per
l’autore ci sono soltanto quattro Vangeli, perché quattro sono i punti cardinali e le dimensioni del mondo, hanno una portata universale. Simbologia
dei vangeli anche a livello simbolico. Ci sono 4 Vangeli, 1 solo libro degli atti degli Apostoli, ci sono lettere paoline e poi apocrife. Si aggiungono
altre lettere canoniche: Lettera ai Giuda, libro della Sapienza, Apocalisse di Giovanni e di Pietro. Vengono esclusi il Pastore di Erma e gli scritti
gnostici. Alcune cose possono essere letti, altre utili ma non leggerle in Chiesa e altri sono censurate. Il concetto di canone indica la norma, ciò che
va approvato e ciò che va estirpato. Il discorso è che alcuni sono scritti dagli Apostoli, in particolare Paolo e Pietro. Luca e Giovanni seguono i primi
due.

In antichità, il termine “apocrifo” vuol dire:

-nascosto/segreto;

-non ufficiale;

-pseudoepigrafo, cioè attribuito falsamente ad un personaggio;

-può essere anche falso/eretico, non comprende tutti gli scritti apocrifi.

Gli apocrifi dell’AT riguardano personaggi dell’AT, quelli del NT riguardano personaggi del NT. Gli apocrifi cristiani riguardano di più personaggi
del NT ma esistono pure degli apocrifi dell’AT, che possono essere di tradizione giudaica o di origine cristiana che riguardano l’AT. Alcuni testi del

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DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
AT sono stati ripresi in ambito cristiano. Per i cristiani l’AT è il testo greco, la versione dei LXX, traduzione del III sec. che venne composta
dall’ebraico in greco nella scuola alessandrina. Per loro quello è il testo ispirato dell’AT. Quindi prendendo questa versione ci sono anche i testi
deuteronomici, cioè composti in greco, non hanno un originario ebraica ma greca come il libro della Sapienza. AT cristiano (versione greca dei LXX)
diverso AT giudaico (testo ebraico + versione greche di Aquila, Simmaco e Teodozione); i giudei vedono che i cristiani usano la versione più antica
utilizzano questa seconda con delle aggiunte. Non fanno parte dei canoni! Si discute sulla datazione, tra il II e I sec. a. c.

DA RICORDARE: LIBRO DI ENOC O ENOC ETIOPICO (1ENOC) O PENTATEUTICO ENOCHIANO, ha origine giudaica, è un testo con
ampie stratificazioni e composto tra V-I sec. a.c., è ritenuto ispirato secondo alcuni cristiani fino al III secolo, ancora oggi la Chiesa di Etiope lo
considera parte dell’AT, è stato interpolato in senso cristiano. ENOC è un personaggio della Genesi, viene assunto in cielo e non si dice più nulla.
L’opera è composto da cinque libri forato da:

-LIBRO DEI VIGILANTI (prob. V-I sec.) l’origine del male e la caduta di alcuni angeli, i vigilanti sono quelli che cadono peccano e originano il
male. Dall’unione tra le donne e questi angeli peccatori vengono originati i giganti (Gn 6). Prima esiste il racconto dei Giganti e poi c’è questa
spiegazione eziologica. La Genesi parla di un peccato sovrabbondante non oltre l’uomo eppure faceva parte come tradizione giudaica che il male non
potesse essere ridotto al peccato dell’uomo.

-LIBRO DELLE PARABOLE sostituisce il libro dei Giganti. Ha un discorso sull’eletto o figlio di Dio.

-LIBRO DELL’ASTRONOMIA.

-LIBRO DEI SOGNI (C. 164 A.C.)

-EPISTOLA DI ENOC, un’apocalisse Daniele e Noè.

42 PATROLOGIA I (PATRISTICA)
DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
LIBRO DEI GIUBILEI o Piccola Genesi (fine II secolo a.c., prob. di ambiente esseno): rilettura Genesi, prima parte di Esodo e Vigilanti, si sottolinea
il peccato dell’uomo. L’origine del male qui ha una spiegazione diversa dal libro dei Vigilanti, cioè non è dovuto unicamente agli angeli ma al peccato
dell’uomo. Prima c’è il peccato dell’uomo, poi gli angeli caduti lo accrescono. Da una parte la libertà dell’uomo, dall’altro il peccato.

Vedere N. 30 antologia testi. TESTAMENTI DEI DODICI PATRIARCHI: sono uno sviluppo della fine della Genesi. Giacobbe scrive ai suoi figli,
testamenti spirituali dei 12 figli di Giacobbe (c’è un racconto di cosa fanno, c’è una parenesi, poi una sezione profetica-apocalittica, ove ci sono
interpolazioni cristiani); origine giudaica (II-I sec. a. c.), le interpolazioni cristiane sono del II secolo a. c. per dire che il Messia annunciato è
Cristo.

N. 31 antologia. ACENSIONE ISAIA (probabilmente Siria, i-II sec. d. c.) si discute sull’origine cristiana o ebraica con interpolazioni cristiane (i
capitoli 6-11 forse sono da attribuire a un gruppo profetico vs. Ignazio di Antiochia).

-cap. 1-5: martirio di Isaia (midrash agiografico, spiega attraverso un racconto la storia di un santo qui il profeta Isaia)

-cap. 6-11: ascensione di Isaia, contemplazione della missione di Cristo, il Diletto (misto di cristologia angelica e doceta). Gesù come scende dal
cielo? Trasformandosi in un angelo, questo testo è giudaico secondo cui il cosmo era abitato da angeli. In tal modo, Gesù scende dai cieli
mimetizzandosi agli angeli. Vedere cap.11, dove Isaia sale al cielo dopo il suo martirio. Rievoca l’Immacolata concezione, la verginità di Maria.

-Pausa- APOCRIFI GIUDEOCRISTIANI DEL Nuovo T.

Ci sono molti testi che evidenziano l’essere ebraico di Gesù come il Messia modello dell’AT. Testi citati dai padri della Chiesa ma che non abbiamo
integralmente. Per alcuni sono un unico vangelo.

N. 32 antologia. -VANGELO SECONDO GLI EBREI [cit. Girolamo, De viris illustribus 2, 11-13] è scritto in aramaico tradotto in greco e latino.
Preso forse da Matteo. Tra gli apostoli quello più giudaico è Giacomo, il principe degli apostoli per l’autore.

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DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
-VANGELO degli EBIONITI appartiene alla comunità pauperistica (per loro Cristo è un semplice uomo che viene abitato dallo spirito santo) e anti
paolina, perché Paolo sottolinea la differenza tra la legge e il Vangelo). Risale alla fine I secolo e inizio II secolo, scritto in greco, solo 7 frammenti.

-VANGELO degli EGIZIANI, scritto in greco (encratica giudeocristiano, ma al confine con lo gnosticismo, II secolo). Per debellare la morte non
bisogna generale figli e allontanare il pudore del sesso.

GLI APOCRIFI ECCLESIASTICI cercano di colmare le lacune dei testi canonici oppure per difendere un dogma, esempio la verginità di Maria.

-PROTOVANGELO (17-20) di GIACOMO:

 1-8: nascita di Maria;


 9-16: scelta di Giuseppe come sposo verginale di Maria, si fa un concorso di vedovi anziani per preservare la verginità di Maria e vince
Giuseppe; non solo è vergine prima del matrimonio ma anche durante;
 17-24: nascita di Gesù fino all’uccisione di Zaccaria.

-VANGELO DELL’INFANZIA secondo Tommaso, non di Tommaso, ma dell’infanzia di Gesù secondo Tommaso del II secolo prima del 185. Colma
quella lacuna di Gesù tra i cinque e 12 anni. Cap. 2, Gesù gioca con i suoi amici. Cap. 3, figlio dello scriba Anna che lo condannerà a morte. Un modo
per mostrare l’onnipotenza di Dio e l’onniscienza.

-VANGELO dello PSEUDO-MATTEO IV-V sec., scritto in latino. C’è la grotta, una stalla, Gesù viene deposto in mangiatoria. Ci sono alcuni episodi
durante la fuga in Egitto.

-VANGELO DI PIETRO (considerato Doceta da Serapione di Antiochia fine II secolo, viene scoperto in Egitto ad Akhmim). Ha una cristologia molto
alta, quindi Gesù è fortemente Dio non è solo un uomo; è antigiudeo, i giudei sono i nemici; (Pilato è innocente, sono i giudei a condannarlo).

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DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
31/03/22 testi antologia: Apocalisse di Pietro, opera escatologica (l’avvenuta sulla terra di Dio, la condanna dei peccatori: coloro che hanno maledetto
la via della giustizia oppure coloro che prestarono con usura, coloro che hanno causato l’aborto, i persecutori e i traditori dei giusti; coloro che non
onorano i loro genitori; coloro che falsamente hanno predicato l’elemosina; infine, i giusti saranno ornati con fiori). Ireneo, Adversus haereses, I, 27,
1-3 in cui si riporta la dottrina di Marcione, gnostico, secondo cui il Dio annunziato dalla legge e profeti fosse diverso dal padre di Gesù (gli gnostici
parlavano di un Dio padre- che è al di fuori della creazione – e un Dio creatore il Demiurgo quest’ultimo è il padre di Gesù). Secondo Marcione Gesù
era venuto come uomo abolendo le leggi e i profeti dell’AT. Sosteneva che i vangeli sinottici e le lettere dell’apostolo paolo fossero state mutilate
dalla successione apostolica. Altra tesi gnostica è che il corpo è inutile. Tertulliano, Adversus Marcionem, I, 2, 1-3; 19,4; III, 8, 2. 4-6: il Dio dell’A.
t. è il padre di Gesù, c’è una continuità tra A e N testamento. Secondo lui, se si nega la carne di Cristo non può esserci salvezza, credere nella carne
di Gesù quindi è necessario per raggiungere la salvezza.

Vangelo di Tommaso, n. 45 antologia testi, secondo cui Gesù avrebbe rivelato delle parole segrete agli apostoli.

Vangelo di Maria, papiro di Babilonia, l’immacolata concezione di Gesù secondo gli apocrifi.

Vangelo di Filippo sulla figura di Maria, concezione di Gesù per mezzo dello spirito santo.

Vangelo di Giuda.

45 PATROLOGIA I (PATRISTICA)
DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
7/04/22, IRENEO DI LIONE11 diventato dottore della Chiesa cattolica. Nasce in Smirne, discepolo di Policarpo. Ci troviamo nel pieno del II
secolo, ha un contatto indiretto con gli apostoli. Si trasferisce dall’oriente a Roma, il centro dell’impero. Si trasferisce in Gallia, a Lione. Mentre è a
Roma il vescovo della Gallia (Potino) e viene eletto vescovo, intorno al 178, lo ritroviamo che scrive una lettera al vescovo di Roma Vittone ad
oggetto la data della Pasqua. C’erano due tradizioni: Asia minore (Policarpo), la festeggiavano lo stesso giorno in cui la celebravano gli ebrei Esodo
12 (la pasqua è l’agnello pasquale che viene mangiato). C’erano delle chiese che la interpretavano la pasqua cristiana come passione di Cristo e si
festeggiava, come da Vangelo di Giovanni, quando Cristo veniva immolato alla stessa ora dei sacrifici degli agnelli che non era domenica per forza.
La pasqua, a Roma e Alessandria, invece, si celebrava nella domenica successiva al 14. Eusebio 12 racconta che il vescovo di Roma, papa Vittore,
cerca di imporre a tutti il modo romano, cioè farlo di domenica, quindi invita alle varie comunità di celebrare la pasqua tutti allo stesso modo. I vescovi
dell’Asia minore si rifiutano. Interviene Ireneo, dà ragione al papa ma anche agli altri vescovi che la celebrano secondo il metodo ebraico ciò che
conta è che tutti professino in cristo morto e risorto. In Ireneo è più importante l’unità, la regula fidei, piuttosto che le sue espressioni concrete. Sarà
soltanto il concilio di Nicea che si stabilirà di celebrare alla domenica successiva al 14 giorno della luna di pasqua. Muore come martire tra il 203-
204. Le sue opere ci sono giunte in latino, l’originale era in greco perché lui era orientale di lingua greca. E’ probabile che come vescovo abbia
incontrato dei gruppi gnostici e come pastore nel confutare lo gnosticismo dà un contributo di come vivere la fede cristiana.

Scrisse l’ADVERSUS HAERESES: il primo trattato di teologia sistematica o organica. Il I libro è smascheramento, le informazioni su Marcione si
fa una sorta di storia dello gnosticismo, principalmente Valentino e Marcione, Simon mago13 che viene identificato come iniziatore ecc. II libro
confutazione attraverso ragionamenti razionali, questo è il libro di confutazione in senso stretto, affrontando in maniera razionale le contraddizioni
interne degli gnostici, usando anche la logica filosofica. Gli altri libri sono stati iscritti in seguito III-V, in positivo fanno vedere la ragionevolezza
della fede cristiana a partire dalla scrittura e tradizione. Libro III: la dottrina della Chiesa è un qualcosa di organico che può basarsi sulla scrittura, in

11
Irenèo di Lione, santo nell'Enciclopedia Treccani IRENEO di Lione, santo in "Enciclopedia Italiana" (treccani.it)
12
Eusebio, Hist. Eccles. V,24,2-6.
13
Simon Mago era in realtà l’apostolo Paolo? – Centro Studi La Runa

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DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
primis i vangeli, e i canoni delle scritture eccetto gli scritti apocrifi. Questa scrittura è garantita dalla tradizione della Chiesa che è fondata sulla
successione apostolica e non da discorsi apocrifi fatti da Gesù dopo la sua risurrezione a personaggi improbabili ma attraverso l’opera degli apostoli
e poi dei loro successori, i vescovi che garantisce la rivelazione di Dio. Il libro IV continua la confutazione e mostra unità tra Antico e Nuovo
testamento mostrando come la tradizione della Chiesa cattolica sia fondata sulla parola biblica di Dio a differenza degli gnostici. Libro V si pone il
problema escatologica, la risurrezione della carne e il millennio dell’apocalisse con cui si conclude lo metterà in sospetto nei confronti dei suoi
successori perché verrà accantonato per dire che la vera spiritualità della fine degli enti riguardasse anche la corporeità. Opera teologica.

Altra opera è la Demostratio, 5-7, un Ireneo più catechista. Si tratta di un’opera più divulgativa o popolare, come se fosse un manuale catechista. Ha
un’introduzione e conclusioni, in mezzo trinità che si rivela nella storia, la caduta dell’uomo, la risurrezione. L’uomo ha bisogno di qualcuno per
salvarsi, Gesù si incarna nell’uomo e lo salva. Le prove della verità cristiana si trovano a partire dall’Antico Testamento. Questa storia della salvezza
ha senso a partire dall’AT. Per gli gnostici è qualcosa di indifferente la morale, l’importante che disprezzi la materia perché non vale. L’approccio
esistenziale è rimandato alle omelie. Un modo più tradizionale di fare teologia vede l’approccio esistenziale avere altre canali. Essendo un’opera tra
teologia ed esortazione poi arriva a questo approccio esistenziale. Esempio macroscopico sono Le confessioni di Sant’Agostino, nel momento in cui
c’è un coinvolgimento dell’uditore entra in gioco l’esperienza del predicatore e l’esperienza di fede degli uditori, qui l’obiettivo è più teoretico.

IL PENSIERO di IRENEO

Lo possiamo considerare come il primo autore, fondatore della teologia cristiana cioè a fare teologia in modo organico fondandosi sulla scrittura e
tradizione (in teologia fondamentale siamo abituati a considerarli come unica fonte che mostra la rivelazione che ci viene data scritta e orale) per
Ireneo la principale è la successione apostolica della Chiesa, che ci consegna la scrittura come momento in cui gli apostoli hanno lasciato per iscritto
la loro predicazione. Ciò è rimasto nella teologia contemporanea, cioè il processo di trasmissione della fede è dinamico con un momento orale che
poi viene fissato per iscritto. Il suo insegnamento va al di là della contingenza storica, si fonda sulla regula fidei = canon in greco. Per lui non è

l’elenco dei libri della Bibbia ma ciò che crede la chiesa, per lui è ciò che ci trasmette la fede e ci fa conoscere la verità . Il modo di farle

47 PATROLOGIA I (PATRISTICA)
DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
dialogare con loro sia nel valorizzare una cosa e un’altra. Ha un aspetto contenutistico ma è anche il modo con cui vengono rapportati gli uni e gli
altri. Lui non aggiunge molte teorie ma vuole armonizzare quello che la chiesa crede per dare una base storica per dare un confronto con gli gnostici.
Rinvio al Testo n. 50 antologia, Demostratio. LA REGULA FIDEI. Unico Dio sia creatore sia Padre (a differenza per gli gnostici, Marcione), lui è il
Demiurgo e anche il padre di Gesù. Il verbo viene chiamato figlio, mentre lo Spirito santo come Sapienza (cfr. Teofilo). Sono le due sue mani che
intervengono nella storia in maniera operativa nella storia a differenza del padre. Concordia dei testamenti: Ef. 4, 6 e Gv. 1- 3. Capitolo 6: REGULA
FIDEI il credo. Chi compare con Abramo, Mosè? Il logos, il verbo. Non c’è l’interpretazione trinitaria, per loro è colui che parla e che si manifesta
nella storia della salvezza. IL LOGOS è IL FIGLIO, vuol dire PAROLA, QUANDO PARLA DIO NELL’A. T. è il VERBO che è diverso dallo
spirito. Sono le due mani del Padre, la forza per profetizzare viene dallo Spirito Santo. L’obiettivo è la comunione che era stata spezzata dal peccato
e salvata dall’incarnazione di Gesù. L’obiettivo dell’uomo è entrare in comunione con Dio tramite il Figlio ed è possibile tale comunione con l’azione
dello spirito santo. PADRE, FIGLIO e SPIRITO SANTO. Noi partiamo dallo spirito santo per raggiungere il padre. Colui che riceve lo spirito santo
può essere ricondotto al figlio e poi al padre. Nessuno può accostarsi al padre senza il figlio. Ruolo complementare tra figlio e padre. Il figlio come
parola del padre, rivela e lo spirito santo che è l’amore che li congiunge e conduce l’uomo a Dio.

LA REGULA FIDEI NON SI PUO’ COMPRENDERE SENZA LA SUCCESSIONE APOSTOLICA, perché noi abbiamo quei contenuti della fede
e abbiamo imparato a relazionarli? Perché sono gli apostoli che l’hanno insegnato. Il padre ha inviato il figlio che si è incarnato, Gesù ha inviato gli
apostoli i quali hanno istituito i vescovi che continuassero il loro ministero, pertanto possiamo ritrovare la fede.

LA SUCCESSIONE-TRADIZIONE APOSTOLICA è PUBBLICA, gli gnostici sono esoterici secondo cui è apocrifa, cioè tutto ciò che gli apostoli
hanno tramandato alla Chiesa o l’hanno scritto o in consuetudini apostoliche pubbliche e lo viviamo in modo quasi riflesso esempio il segno della
croce; anche dal punto di vista storico si può ricostruire la catena dagli apostoli fino ai vescovi, queste liste erano state già presentate in passate. Testi
N. 51, II libro, e 52. Il 51 mette in evidenza le contraddizioni gnostici definendoli come sofisti, si afferma che la regula fidei è unica, cioè la tradizione
apostolica è unica. Il 27, punto 2 testo 51 e 52 Nel 52 afferma che gli apostoli non hanno ricevuto il
vangelo quando erano esseri psichici e poi ci hanno tramandato testamenti apocrifi ma fin da subito hanno avuto la gnosi perfetta pubblicamente il

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DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
giorno della pentecoste dallo Spirito Santo. Si fa riferimento ai quattro vangeli di Luca, Giovanni, Marco e Matteo che non sono in contraddizione tra
di loro, a differenza degli apocrifi. Con gli gnostici non ci può essere una comunione con loro né nella scrittura né nella tradizione. Il riferimento alla
tradizione apostolica di Roma è teologico più che storico. Ogni chiesa deve accordarsi alla Chiesa di Roma, perché si ritrova la tradizione apostolica
istituita dagli apostoli. Si cita la lettera di Clemente, una lettera non di correzione disciplinare ma fraterna per ricondurre alla pace, in essa possiamo
riconoscere ciò che i garanti hanno lasciato garante della fede, pace e tradizione. Esisteva a Roma questo episcopato mono soggettivo a Roma? Per
molti secoli era collegiale, anche se la forma era diversa il criterio teologico individuato da Ireneo e poi detto in Eusebio di Cesarea regge. Aveva una
pretesa storica ma rimane un criterio teologico, anche se dimostrassimo che questi nomi non erano i vescovi di Roma ma uno dei presbiteri reggente,
segretario di quel collegio episcopale e quindi ha portato avanti la successione-tradizione apostolica regge lo stesso. La tradizione è pubblica, il
ruolo di Roma abbiamo detto; è unica, nonostante le differenze delle forme espressive (testo n. 50, libro I). Si basa sulla regula fide. La diversità della
Chiesa su questioni teologiche, come o perché ma non il contenuto.

(Non bisogna mischiare i due criteri teologico e quello storico. In origine ci sono tanti cristianesimi che per forza non erano concordi tra di loro, noi
conosciamo uno di questi sugli altri perché Costantino ha dato ragione a Roma e Alessandria; all’inizio non c’è l’ortodossia, questa in contrapposizione
all’eresia, e l’eresia, quest’ultima viene prima dal Il cristianesimo e i cristianesimi).

Testi n. 54 e 56. La : tutti gli uomini battezzati possono essere spirituali, animati dallo spirito santo, e possono conoscere.
Identificazione tra la presenza dello Spirito santo e la Chiesa. Il n. 56 afferma che l’unica gnosi, conoscenza, è quella tramandata dagli apostoli. Il
martirio, libro IV, che non è degli gnostici per loro rinnegare a Dio o sacrificare era una questione normale. Per Ireneo, elemento primario è il martirio.
Fa dialogare la fede e conoscenza, non vuole con il concetto della tradizione non vuole censurare gli interrogativi della fede ma vuole evitare inutili
speculazioni, esempio tutti i discorsi sul logos degli gnostici il quale è stato generato come figlio dal padre senza fare ulteriori speculazioni che ci
allontanano dalla concordia della fede. Per Ireneo è centrale l’economia, Dio non è al di fuori della storia ma si manifesta nella storia della salvezza
in quella progressione di continuità dell’A.T e N.T, nello schema di promessa e compimento. Parte dalla creazione, Dio padre di Gesù è lo stesso della
creazione. L’Antico testamento va letto come anticipo della salvezza in Cristo e il Nuovo Testamento è l’alleanza di Dio con l’uomo per ristabilire la
49 PATROLOGIA I (PATRISTICA)
DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
comunione. Si inserisce il discorso dei quattro i vangeli sinottici, perché quattro sono i punti cardinali. Il rapporto tra scrittura e tradizione come
espressione semantica della verità perché Dio si manifesta progressivamente, si utilizza una pedagogia progressiva (testo 55, libro IV). Ireneo
parla di un abituarsi di Dio e dell’uomo di stare. Nella creazione era perfetta la sintonia che viene spezzata con il peccato originale e non si incarna
subito il figlio ma per aiutare gli uomini ad abituarsi della presenza di Dio, mediante i profeti, e anche Dio sia abitui a stare con l’uomo. Dio non ha
bisogno dell’uomo ma lo crea per avere qualcuno a cui porre le sue opere. Prospettiva storico salvifica di Ireneo. All’interno di ciò, elabora la sua
cristologia. Il figlio e lo Spirito come le “due mani” di Dio. Il figlio è il mediatore, lo spirito è la forza di Dio.

La vita dell’uomo è quella


cristiana. L’uomo per essere vivo deve vedere Dio, altrimenti non può rendere gloria a Dio. Dio creatore è anche padre? Certo, critica allo gnosticismo.

Per visione di Dio intende che è stato generato o che era programma di Dio? L’uomo può vedere Dio tramite il logos che è cristo. Gesù è il Cristo,
non c’è la divisione sostenuta dagli gnostici secondo cui al momento del battesimo riceve il salvatore. PER IRENEO il figlio viene unto dal Padre
prima dell’incarnazione e lo unge di nuovo nel battesimo, ma figlio è prima e figlio è dopo. Gesù è nato puro dal ventre puro, vuole sottolineare questa
verginità di Maria.

Cristo ricapitola tutte le cose con due significati: riprende l’economia di Dio, della Creazione spezzata dal peccato originale; non solo è colui che
mette una pezza ma che riprende tutto quello che è successo prima e ricongiunge il principio con il termine come se tutta la storia fosse concentrata

50 PATROLOGIA I (PATRISTICA)
DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
in Cristo, quindi Gesù è il nuovo Adamo e Maria la nuova Eva, cap.22 testo 53 (quest’ultimo è un argomento teologico-patristico non biblico) dalla
carne di Maria si prende Cristo. Non è solo il canale ma è come il giardino fecondo dentro cui il verbo fecondo prende la carne di Maria. Scioglie il
nodo di Eva. Non solo ricapitola l’economia di Dio ma riprende Adamo per riportarlo al progetto originario di Dio ed è possibile per tutti la salvezza,
Cristo prima agisce e poi agisce, riassume in sé tutta l’umanità
. L’uomo ha bisogno di salvezza che viene da Cristo ed è capace di
salvezza, non solo alcuni possono essere salvati gli pneumatici secondo gli gnostici ma tutti sono capaci di accoglierla. Tutti sono i discendenti di
Adamo, tutti hanno bisogno e possono ricevere questa salvezza. La libertà dell’uomo è in gioco liberamente. Il Battesimo è aperto per tutti gli uomini.
L’eucarestia è il sacramento attuale di salvezza, escatologico di quella presenza di Cristo molto reale che scardina quella spiritualista degli gnostici.
In Ireneo, la carne è luogo di presenza e manifestazione della salvezza, risurrezione. Testo n. 58. Secondo lui ci sarebbe un nuovo paradiso terreste,
Papaia che lui cita, uno dei motivi per cui verrà copiato poco.
.

Al centro la regula fidei si trasmette nella successione, il centro è Cristo che ricapitola tutto anche la concretezza della nostra carne che viene mantenuta
in questo premio dei mille anni.

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DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO

28/04/2022 CULTURA ASIATICA E SCUOLA ALESSANDRINA (Pagine: 131-146 manuale) Da un lato l’Asia Minore, l’attuale Turchia, della
quale appartengono illustri autori come Ignazio di Antiochia, Ipocarmo di Smirne e Ireneo. Dall’altro la nascita di una scuola teologica ad
Alessandria. La biblioteca di Alessandria era una delle più grandi dell’antichità poi è andata perduta.

L’espressione “Cultura asiatica” è un’espressione moderna (Orbe, Simonetti, H. Rahner). Si tratta di una matrice culturale ampia che si afferma I-III
sec. d. c., cioè è un modo comune di sentire alcuni schemi teologici. Rientrano in questa cultura: Ignazio di Antiochia, Policarpo di Smirne, (Giustino)
in parte, Ireneo, Melitone di Sardi, Ippolito e Tertulliano. Autori molto diversi per dire che è una categoria inclusiva. Tra loro sussiste una tendenza
al materialismo, inteso come sottolineatura della concretezza dell’elemento materiale anche a sostegno della fede fino ad accennare, nelle accezioni
più forti, ad una certa materialità dell’anima umana e di Dio; dietro ci sono influssi stoici e giudaici (fa parte della cultura semitica l’estrema
concretezza in tutte le questioni che riguardano la fede; a differenza dei platonici, gli stoici sono sensibili all’aspetto materiale. Il tutto con una profonda
attenzione o valorizzazione all’incarnazione, pensate a Ignazio di Antiochia che contro ai doceti afferma che il verbo veramente ha sofferto, è risorto
ecc. o Ireneo la concretezza dell’incarnazione, quindi dell’eucarestia.

Concezione di Dio: emerge, talvolta, un Dio corporeo o antropomorfo quindi c’è una concezione “corporeità” antropomorfica, soprattutto in Melitone,
quasi un Dio uomo; all’interno della medesima concezioni ci sono la teologia del Logos. La teologia del Logos, di matrice giovannea. Giustino parla
del logos, un logos in sé stesso in rapporto al padre e un logos ai pagani. Il monarchianismo è quella tendenza di considerare Dio, seppur nella trinità,
uno solo principio; quado i padri della Chiesa parlano di monarchia non parlano di forma di governo ma innanzitutto di Dio come uno solo, quindi

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unità di Dio (che può essere portato ad estreme concezioni andando ad eliminare il Figlio e Spirito santo). I monarchiani o modalisti sono coloro che
dicono che Dio è uno solo, cioè il Padre, mentre il figlio e lo spirito sono sue potenze o modi in cui si manifesta ma Dio in sé è uno e non trino.
Vengono identificati anche come modisti. (cfr. Ireneo, il figlio e lo spirito sono le due mani del Padre).

cristologia: Cristo è veramente Dio si vuole sottolineare anche la realtà umana di Cristo, da cui il realismo dei Sacramenti (Eucarestia, es. come il
reale corpo di Cristo in Ireneo) e della mediazione ecclesiale, una chiesa visibile che si può riconoscere nella tradizione e successione apostolica dei
vescovi (Ireneo). Sull’esegesi biblica ci si sofferma sulla tipologia e interpretazione letterale dell’Antico Testamento; l’AT è da leggere non solo
rispetto al tipo, ossia a Cristo ma ha valore in sé.

antropologia: uomo innanzitutto carne, elemento materiale plasmato da Dio, una creatura di Dio in cui Dio ha soffiato il suo spirito. Quindi la carne
dell’uomo è destinata alla gloria (unica creazione Gen. 1-2); questa antropologia è unitiva (unione corpo-anima e solidarietà fra gli uomini, l’uomo è
unito in sé e con gli altri), tutti gli uomini sono uniti tra di loro e c’è una solidarietà tra loro. C’è l’idea che nel progenitore c’è già il discendente (cfr.
Lettera agli Ebrei nei nomi di Abramo già c’erano i nomi dei suoi figli); questa è la radice del peccato ordinale di Adamo.

escatologia: millenarismo (mille anni di Cristo all’interno del mondo) e resurrezione corporea è reale;

- TESTI PASQUALI CULTURA ASIATICA, PREMESSA: prassi quartodecimana: coloro che celebrano la pasqua nello stesso giorno della
pasqua ebraica, il 14 giorno nysan; si celebrava con il momento in cui viene immolato l’agnello pasquale. Per loro tutto è compiuto con la
passione di Cristo. Mentre per la tradizione romano e alessandrina la domenica successiva del 14 nysan perché è più importante il giorno della
resurrezione. Per loro il testo fondamentale è l’esegesi tipologica dell’Esodo 12: Cristo vero Agnello.

Testo n. 61, antologia. In Santum Pascha (Pseudo Ippolito, prob. seconda metà II secolo): c’è una forte contrapposizione Adamo- in Adamo c’è tutta
la discendenza del genere umano- Cristo, con la Passione di Cristo c’è inizia la creazione, Incarnazione. Nota LETTURA PERSONALE

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Testo n. 60 antologia Melitone di Sardi, Sulla Pasqua, presenta una cristologia molto alta, cioè attribuisce a Cristo alti titoli quali il Logos (Figlio,
Padre perché è padre del popolo cristiano). Emerge una particolare sottolineatura dell’ingratitudine del popolo giudaico. E’ vero che questi autori
celebrano la pasqua secondo il rito ebreo ma questi autori devono si distinguono da loro dandoli la colpa della passione di Cristo. Il segno del peccato
dell’uomo lo possiamo vedere nei numeri 54 e 55 << su ogni anima il peccato stampava la sua orma >> riferendosi ad Abramo, da qui il peccato
originale. Il rapporto è tra realtà e forma, AT ha valore soprattutto per gli ebrei noi lo consideriamo il tipo di qualcosa che si è compiuto. Al numero
46 una terminologia del termine Pasqua scorretta ma che ha avuto successo, Pasqua significa passaggio dell’angelo che non uccide i primogeniti degli
ebrei. In greco pasqua si identifica con il paitos, con il verbo della passione, si tratta di una falsa etimologia che però viene molto bene identificandosi
con la passione di Cristo. Il termine pasqua dal verbo patire. Sono accumunati anche da questa etimologia. Al capitolo 48, c’è un’unica creazione, poi
l’unione con l’uomo e incarnazione. Questa categoria dell’agnello che viene estesa anche a Maria, anche lei è l’Agnella che riceve il martirio sotto la
croce.

LA SCUOLA ALESSANDRINA (Platonismo) che non è solo un’impostazione del pensiero ma una vera e propria scuola.

 CONCEZIONE DI DIO: se nella cultura asiatica c’è il monarchianismo nella scuola alessandrina non c’è il rischio di monarchianismo perché
non c’è una concezione antropomorfa o materiale di Dio ma la teologia del Logos. Si distinguono Padre-Figlio e Spirito. Il logos è Mediatore
della Creazione (cfr. Giustino) ed è identificato con la Sapienza dell’AT; quindi quando si parla di sapienza si parla di logos. Invece, in autori
come Teofilo e Ireneo la Sapienza è lo Spirito Santo. Per questi autori sono tutti titoli del Vero, Figlio. Se nella cultura asiatica si sottolinea la
unità di Dio e si rischia di perdere le differenze tra Figlio e Spirito invece sottolinearle sarà più facile arrivare agli estremi considerando il
figlio non è Dio che culminerà con l’arianesimo. Il logos ha questa funzione sapienziale e mediatrice.

 CRISTOLOGIA: non c’è l’arianesimo nella scuola alessandrina perché c’è una sottolineatura forte della divinità di Cristo, a livello umano
soprattutto l’anima in quanto è una scuola particolarmente platonica. Se volessimo trovare una filosofia di base della scuola alessandrina c’è
il Platone mentre per gli asiatici lo stoicismo. Cristo è Dio e ha un’anima umana che ha libertà di scegliere e condurre alla salvezza. Per loro

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la Chiesa non è tanto la successione apostolica (come Ireneo) ma è la sposa di Cristo che esiste prima del sole e luna (cfr. II lettera pseudo
clementina) e si valorizzano i frutti spirituali di Cristo. (Logos e anima umana, da cui aspetto mistico della Chiesa e dei Sacramenti);

 ESEGESI BIBLICA: prevale molto metodo allegorico; la chiave principale di accesso alla Bibbia è quello allegorico, la bibbia vuole indicare
qualcosa di altro rispetto a quello che ci consente la lettera (San Paolo, la lettera uccide lo spirito purifica) tanto che Origene arriverà a dire
che la bibbia ha un significato allegorico, spesso anche storico.

 ANTROPOLOGIA: per gli alessandrini l’uomo è intelletto o anima, è il suo elemento non corporeo (Gn 1- 2 creazione dell’uomo come anima
e solo in secondo tempo viene immessa in un corpo) il corpo in cui riposa l’immagine di Dio, doppia creazione Genesi 1-2. Il corpo è qualcosa
di accessorio, che potrebbe anche non esserci, dirà Origine dirà che il corpo è la condizione di quelle anime che si sono raffreddate nell’amore
di Dio e decadono nella condizione di essere ricoperti in un corpo che non è fondamentale per la salvezza. Il corpo è subordinato all’anima,
ciò è una tesi platonica. Gli asiatici affermano che è ineliminabile, gli alessandrini sono più vicini agli stoici e sembra che si rivolgono in un
contesto in cui è più vicino.

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 ESCATOLOGIA: spiritualizzazione contro millenarismo. Non negano la resurrezione della carne ma la spiritualizzano molto, Origene verrà
criticato di aver puntato il suo discorso soltanto sull’anima. Tutto viene trasposto in ambito spirituale. Per loro c’è una resurrezione del corpo
che è molto spirituali, secondo loro.

(Per i Platonici c’era questo dualismo psiche e soma, corpo e anima). Prima c’è l’anima e poi il corpo, quest’ultimo non è un principio originario.
L’uomo è prima di tutto anima. Gli asiatici sottolineano soltanto che il corpo è inserito nell’uomo fin dall’origine. Quest’ultimi scrivono degli gnostici
non rivolgendosi direttamente a loro ma rivolgendosi a coloro che non sono gnostici ma che sono esposti. Gli alessandrini si rivolgono agli gnostici
partendo da concezioni anche a confine per convertirli.

Coesistono entrambe le concezioni e se portate all’eccesso rischiano di arrivare a degli estremisti monarchianismo (cultura asiatica) o arianesimo
(scuola alessandrina).

Ad Alessandria tra il I-III secolo c’è il MEDIOPLATONISMO STOICIZZANTE, cioè si utilizza lo stoicismo riguardo alla morale e il platonismo
riguardo al mondo, DOPO con Plotino IL NEOPLATONISMO.

GIUDEOELLENISMO E FILONE

Alessandria culla dell’ellenismo, a livello letterario e filosofico (medioplatonismo stoicizzante)

Dal II sec. a. c.: comunità giudaica della diaspora. Si tratta di una comunità che si trova al di fuori della Palestina, comincia ad avere (inculturazione
cerca di trasmettere la propria cultura all’ambiente greco); c’è la leggenda dei LXX anziani che traducono la Bibbia e il libro della Sapienza,
quest’ultimo scritto in greco e pochi anni prima di Cristo. Per gi alessandrini La Sapienza è il Logos, Figlio.

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Filone, un ebreo, non padre della Chiesa (ca. 20 a. c.-50 d.c.): interpretazione filosofica della Torah (mediante l’allegoria). Utilizzando la dottrina del
Logos mediatore. Anticipa la dottrina di Logos del Vangelo di Giovanni (infatti si pone come una delle fonti di Giovanni stesso). Sono commenti
allegorici ai brani dell’AT, non è chiaro quanto intenda il logos come potenza dell’unico Dio e, quindi, come depositario delle idee platoniche; dov’è
si trova il mondo delle idee (l’iperuranio) sta nel logos che è mediatore della creazione, quella potenza razionale di Dio che dà ordine e forma al
mondo, stanno lì le come modelli della creazione. C’è una fusione tra filosofia platonica e dottrina biblica della creazione. Talvolta, per Filone non è
solo una potenza razionale di Dio che mette ordine e forma al mondo ma è anche un intermediario tra Dio e gli uomini.

- Testi 62-63: Il primo brano riguarda il mondo intellegibile e sensibile in cui c’è la doppia creazione. Prima Dio creò il modello delle anime e
poi quello materiale. Si crea prima quello intellegibile poi l’altro che è subordinato. L’altro testo mostra il logos arcangelo, cioè mediatore
della Creazione. Non parla mai di trinità, capisce che c’è una mediazione che è qualcosa sapienza di Dio o suo mediatore. E’ intermedio tra
Dio e gli uomini, non è ingenerato come il padre.

Gli autori cristiani utilizzeranno molto Filone. Si pone come iniziatore del cristianesimo ad Alessandria l’evangelista Marco. La Chiesa alessandrina
ha sempre rivendicato un ruolo apostolico al pari di Roma, Gerusalemme e Antiochia la tradizione orale ci dice che il primo evangelizzatore del
cristianesimo nella comunità giudaica ad Alessandria sia stato l’evangelista Marco. Già emerge un’esegesi allegorica. Gli gnostici hanno avuto terreno
fertile ad Alessandria. Il vescovo faceva fatica a fare unità, gli gnostici erano forze centrifughe e tendevano a disperdere la comunità cristiana fino al
vescovo Demetrio, perché utilizza una strategia con l’istituire la scuola di Alessandria dal III sec., espressione della Grande Chiesa. Tutti coloro che
devono ricevere il battesimo devono ricevere questa scuola. Poi c’è un secondo livello dove si specializzeranno alcuni come Clemente Alessandrino,
Origene. Atenagora, quello che abbiamo accennato con i padri apologisti, forse è stato un maestro della scuola.

- CLEMENTE ALESSANDRINO nato verso il 150 forse ad Atene, si converte al Cristianesimo e ad Alessandria diventa maestro di una scuola cristiana
(forse dopo essere stato allievo di Panteno); verso il 202-203 abbandona Alessandria e forse va in Cappadocia come presbitero; muore intorno al 215. Aperto
alla cultura ellenistica, tenta di elaborare un sistema di pensiero basato sulla fede cristiana e vuole essere alternativo a quello gnostico (seppur partendo da

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simili premesse filosofiche). Per Clemente è sempre da difendere quello che abbiamo ricevuto dagli apostoli riletto con la filosofia. Le sue opere si possono
distinguere opere per l’insegnamento e quelle per tutti. Per lui Cristo risponde a tutte le domande che sono implicite nella filosofia.

Il PROTRETTICO, stesso genere di Cicerone (Protreptico) o Aristotele. Per l’autore la vera filosofia è la verità cristiana. Il contenuto è apologetico,
prosegue l’opera di Teofilo, Atenagora ecc. (come in Platone opere esoteriche e essoteriche). Il logos ha agito presso i pagani. In Giustino, il logos
sparge i suoi semi, in modo casuale, nella filosofia e pagani tutto può essere ricondotto ai cristiani; Clemente Alessandrino dice qualcosa in più. Il
logos ha parlato c’è una doppia preparazione all’incarnazione! Il logos ha scelto di rivolgersi ai pagani parallelamente a come si è rivolto con gli
ebrei, cioè ha parlato agli ebrei nelle scritture (AT) e ai pagani mediante la filosofia. Ha agito presso i pagani, per Clementino Alessandrino. Per
i pagani la filosofia ha avuto la stessa funzione propedeutica che la scrittura ha avuto per gli ebrei. Il logos è il protrettico, colui che ti invita a studiare
la vera filosofia, quella cristiana, è proprio il logos. Se ricordate, anche la A’ Diogneto ha questa vena protrettrica, esorto alla fede cristiana. Si cita
Platone per la ricerca della verità che è propedeutica alla conoscenza di Cristo come rivelatore del Padre. I greci avevano preso per loro dottrine da
altri popoli ma nelle leggi, quelle veraci, e nella credenza intorno Dio, tu filosofo Platone sei stato aiutato dagli ebrei. Quindi i greci possono, secondo
il pensiero alessandrino, essere rivelatori di Dio perché hanno preso degli elementi di teologia da Mosè, quindi dagli ebrei. Il protrettico non è una
dottrina ma una persona, il logos, che invita a conoscere la vera filosofia. Non devo prendere dai greci la consuetudine pagana e concezione loro per
esempio l’uso di sacrifici mentre si dovrà prendere la filosofia. Il vero cristiano fa come Omero, qui Clemente Ulisse è il tipo di Cristo. Altri autori
diranno che ci sono tipi di Cristo non solo in personaggi dell’AT ma anche nella mitologia greca.

o Secondo passaggio è il PEDAGOGO, in tre libri: Logos = Pedagogo per coloro che sono ancora bambini nella fede cristiana, coloro che sono
stati già battezzati, insegna a vivere rettamente a lottare contro le passioni; come? insegnando loro la morale. Per gli stoici la morale è
indifferente, ma bisogna astenersi da cose legate al corpo come il sesso ecc. Invece il Protrettico era rivolto ai battezzandi.

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-Libri I principi generali di morale: opera educatrice del Logos per tutti i battezzati, (a differenza degli gnostici ad essere battezzati non sono
solo gli uomini pneumatici) a partire da amore e timore (NT-AT) è vero che nell’AT si fanno le cose sotto il timore di Dio ma quel timore può
essere propedeutico per raggiungere quell’amore del NT; libri II-III applicano la morale- testo n. 65, 1. 4- concrete alla vita quotidiana. 2. 1.
Il logos è il maestro della morale e non della vera gnosi. Il maestro è il logos, la vera gnosi è quella cristiana. Il metodo ha finalità pratiche.
Non scriverà l’opera il maestro. Il metodo del Pegagogo ha finalità pratiche che esorta a seguire la virtù e condannare il male mediante esempi
morali. Il suo obiettivo è l’essere libero per l’uomo dalle passioni umane perché ciò è propedeutico alla vera gnosi. Nel battesimo i cristiani
tutti ricevono non solo la fede ma una conoscenza che deriva dallo spirito santo. La legge è Pedagogo Fino a Cristo cosi come il timore porta
verso l’amore e l’amore va scelto liberamente. Fa parte della vita cristiana non solo che sia per tutti e che sia significativa ma anche libera.
Lo stoicismo negano la libertà, qui invece è il fondamento della vita cristiana n. 62.
(Protrettico, pedagogo).
 Quis dives salvetur? (Traduzione: Quale ricco si potrà salvare). Omelia sul giovane ricco (Mc. 10, 17-31), rivolta ai ricchi cristiani di
Alessandria per evitare che arrivano ad un eccesso. C’era chi diceva io ricco non posso salvarmi, altri dicevano Gesù ci perdonerà. Cap. 2
dell’opera, Clemente Alessandrino criticherà queste due impostazioni. Qual è l’interpretazione non letterale? Gesù chiede il distacco dai beni,
cioè discostarci dalla brama del possesso ma non chiede di abbandonare tutte le ricchezze.

La morale, invece, per lui è qualcosa di significativo per la vita cristiana e quindi per la salvezza.

Le ultime sue opere sono destinate all’insegnamento. Stromata, vuol dire tappezzerie che fa riferimento a questa caratteristica frammentaria dell’opera.
Se il pedagogo si rivolge a coloro che sono stati battezzati, qui invece un’etica di un cristiano adulto colui che giunge alla contemplazione cioè
conoscenza spirituale nell’interpretazione delle scritture. Libro una certa difesa di filosofia che ha una funzione propedeutica al logos, n. 67 testo
antologia, come l’AT per gli ebrei. Per gli ebrei oltre la legge la circoncisione è fondamentale. Continua ad essere utile per condurre le anime a Dio.
Quelli che si convertono dal paganesimo al cristianesimo, oggi, non hanno più bisogno necessariamente della filosofia. La filosofia non deriva

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direttamente da Dio ma è mediata. I filosofi Platone e Pitagora partecipano all’aiuto divino che negli apostoli è più evident i. Non è il sole (Dio) ma
prende da Dio la verità. La filosofia come un’alleanza di Dio con gli uomini. Il libro I vuole difendere la filosofia, il libro II la fede.

Testo n. 67, chi è lo gnostico? Il cristianesimo si fonda sulla contemplazione, esecuzione dei precetti e la formazione (insegnare ad altri la fede e la
morale). Anche qui si distingue dagli gnostici. Fare bene per il bene significa liberarsi dalle passioni umane che lo allontano dall’amore di Dio.

Negli altri libri difende l’esegesi spirituale allegorica delle sacre scritture e il matrimonio. Io stesso sono celibe per amore di Dio. Il matrimonio come
disegno originario di Dio.

N. 70 antologia come si devono interpretare le scritture: il metodo cattolico e gnostico. Gli eretici stravolgono le scritture, non le ammettono in toto
(Marcione) scelgono quei passi anfibologici, cioè che possono essere interpretati con più sensi, estrapolano frasi fuori dal contesto. Clemente dice non
si deve interpretare in modo isolato la scrittura, dirà Agostino, partendo da quelli più chiari a quelli più difficili. Quindi, in Clemente c’è un confronto
con gli gnostici.

Vediamo qualcosa su ORIGENE.

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Lez. 10/05/2022 ORIGENE testo n. 71 De Principiis –

Per Origene Dio è il dio buono e giusto dell’AT e del NT. TRINITA’. Presenta il figlio come il Mediatore della Creazione, figlio in vista della
Creazione (generazione eterna del figlio non in modo astorico ma è in vista dell’economia della salvezza, cioè della creazione). Ci sono meno certezze
in termini di regula fidei per lo Spirito Santo se anch’essi è figlio di Dio oppure no? Lo spirito santo ha ispirato sia gli antichi sia i contemporanei.
Dell’ESCATOLOGIA le cose certe sono: giudizio delle anime e risurrezione dei corpi. Ci si chiede se abbia un senso nella vita eterna la risurrezione.
LIBERO ARBITRIO E LIBERTA’, dedica a questo tema il libro 3 dell’opera. Gli gnostici dividevano gli uomini in più categoria ma nessuno aveva
una piena liberà. Origine afferma il libero arbitrio. L’anima è trasmessa o inserita nel corpo? C’è un modo per conoscere questo: le scritture che sono
ispirate. Angeli di Dio e potenze buone per la salvezza dell’uomo. Tutto è presentato secondo questo duplice schema: mondo intellegibile e sensibile
(cosa succede dentro e fuori il pleuma se pensiamo allo gnosticismo). Origene non parla di pleuma, non dice che esistono le ipostasi cerca di condurli
alla grande Chiesa. Cap. 2-3: presentazione del Padre e Figlio, testo 72. Il figlio viene generato eternamente, Giustino parlava di un logos a tappe
prima è in Dio poi viene generato non solo in vista ma quasi in contemporanea (anche Teofilo, Tertulliano). Introducono questa categoria ante tempo,
prima della Creazione (questo prima è inserito non nel tempo ma è una situazione intermedia tra eternità Dio padre e la temporaneità del mondo
creato). Origene dice no significherebbe che Dio è cambiato. Se il figlio è figlio da Dio dicendo che è stato generato prima ma in una situazione
significa dire che prima Dio era solo e poi si è diversificato in figlio e spirito. Il padre è da sempre padre e il figlio da sempre il figlio. Per Origene
ciò è in vista della Creazione, se il Padre non avesse deciso di creare il mondo sensibile non avrebbe avuto la necessità di generare suo figlio mediatore
della creazione. Possiamo sottolineare le uguaglianze, es. sono tutte e due eterni ecc. Il problema che scoppierà nel IV secolo non si può capire sena
questo passaggio. Oppure possiamo considerarle come due ipostasi distinte e quindi uno potrebbe chiedersi chi è superiore all’altro. Da lì alla questione
ariana il passo è breve. Per Origene il Padre ha bisogno del figlio per mettersi in rapporto con l’uomo. Necessità e libertà di Dio è un problema
successivo. Per Origene, visto che ha voluto creare il mondo ha voluto anche generare il figlio, perché vuole sottolineare la volontà di Dio. Dal IV
secolo per evitare l’arianesimo si afferma che Fa parte di Dio l’essere già strutturalmente padre, figlio e Spirito Santo, al di fuori della volontà di

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DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
generale (Si cade in un subordinazionismo funzionale). Il figlio è una parola relativamente pronunciata (cfr. << Dio disse >>). Primo appellativo è
Sapienza. Per Origene tutti gli eoni degli gnostici sono attributi del figlio che sottolinea una caratteristica. Logos interno e Cristo in cui si è riunita la
natura umana e divina.

Il figlio non ha avuto inizio e non si può dire che il Padre è precedente al figlio. Non c’è una precedenza né cronologica né ontologica. La sapienza ha
in sé tutta la creazione sotto forme di idee, (già visto in Filone) cioè il figlio è mediatore della creazione in quanto il mondo platonico delle idee si
situa nella Sapienza, cioè nel Logos e dentro di lui c’è tutto il mondo già creato.

ORIGENE (cap. III) dice non c’è nessun passo della scrittura che ci dice che lo Spirito sia fatto o creato però neanche sta scritto l’altro. Lo accosta al
Padre e al Figlio ma non riesce a spiegare come esiste. Come procede lo Spirito Santo senza essere un secondo figlio? Un problema teoretico che pone
ma non lo risolve, che probabilmente neanche oggi è risolto.

L’OPERA DELLA SANTIFICAZIONE da parte dello Spirito Santo, testo n. 73 (De princiipis, 4, 54-5; 6, 1-3). Parla della creazione e della caduta
nel mondo intellegibile. Obiezione: ma come dovrebbe essere nel mondo sensibile, perché Dio crea il mondo al di fuori di sé stesso. E’ vero, ma per
Origene Genesi 1 e 2 dicono due cose diverse e due creazioni diverse perché prima si crea l’uomo intelletto come anima e poi come corpo
(presupposto platonico). LA CREAZIONE è sempre esistita nel Logos, nelle idee, ma di più rispetto al mondo sensibile gli esseri razionali,
noes, plurale di nus, sono preesistenti alla creazione materiale, cioè hanno avuto inizio nel tempo ma esistono prima della creazione. Quindi
dobbiamo immaginare in cui tutto è incorporeo ed esistono queste creature uguali tra di loro. In seguito alla loro libera scelta si differenziano quelli
che sono stati sempre fedeli sono gli angeli e quelli che si sono distaccati sono demoni. Quelli che sono rimasti più fedeli a Dio sono diventati angeli
e quelli che non sono fedeli sono demoni e poi ci sono le anime umane che non si sono distaccati ma semplicemente raffreddati nell’amore di
Dio che hanno la possibilità di ritornare all’amore di Dio. La creazione sensibile è fatta in seguito a questo peccato, il corpo sembra come
un’attenzione provvidenziale di Dio affinché l’uomo possa ritornare a lui. Questa impostazione neoplatonica stravolge la creazione. Non ha

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nessun senso il millenarismo, ecco perché fa fatica a pensare ad una resurrezione della carne perché è tutto spiritualizzato. Non stanno più sullo stesso
piano nell’escatologia in base alla diversa risposta degli esseri stessi, cioè dal loro libero arbitrio. L’immagine di Dio è che l’anima dell’uomo è
immagine dell’uomo ma non anche il corpo. L’immagine di Dio è solo nell’anima umana, solo nella Genesi 1 si parla dell’immagine di Dio nella 2
Gn si prende della polvere dalla terra e si soffia lo spirito preesistente.

Apocatastasi, ESCATOLOGIA: LA FINE della CREAZIONE DEVE CORRISPONDERE ALL’INIZIO, se Dio ha creato tutte queste
intelligenze e disponibili a vivere nell’amore di Dio anche alla fine ciò deve essere possibile, quindi tutti gli esseri umani possono salvarsi. Si salva la
volontà di Dio della creazione, di creare dal nulla ma non in vista del nulla. Prima non c’è nulla di creaturale oltre a Dio quelle creature amate da Dio
non possono rimanere lontane da lui per sempre. All’interno della razionalità di Dio c’è la libertà, si tratta di una libertà connaturata alla bontà di Dio
e salvifica. Consiste in una libertà che è di un essere razionale, Dio razionale, quindi la sua libertà è orientata verso il bene. L’inferno è il punto più
distante da Dio che rispetta la volontà di Dio che rispetta quella dell’uomo. Il pensiero della Chiesa è che non si tratta di una distruzione ma lasciare
che si arrivi alle estreme conseguenze della scelta, anche contro Dio. Tuttavia, Dio non vuole distruggere la sua creazione. Il problema è capire se una
volta che c’è la volontà di creazione c’è anche volontà di distruzione. La creazione è comunque un’azione. Agostino: Dio ci ha creato perché ci ama,
noi ci siamo allontanati. Quindi, se ci salviamo è tutto grazie a Dio se ci allontaniamo è solo giustizia da parte di Dio. Questa soluzione di Origene
non è sufficiente perché limita quella libertà, anche radicale, dell’uomo di dire persino no a Dio [Min. 19.45]. Cfr. Cap. 6 testo 73. Le idee sono nella
sapienza. Visto che all’inizio c’era questa armonia anche alla fine. Per lui Dio non ha un inizio. L’inizio è quando crea questo mondo intellegibile,
cioè queste creature razionali. Questa creazione finisce ma non esclude che questa creazione possa non avere una fine, quell’inizio e quella fine
possono anche non coincidere con l’inizio del tempo possono essere ante tempo. La generazione del figlio è eterna. L’inizio è il momento in cui
mediante il Figlio vengono create queste creature o intelligenze razionali. Ciò non dà luogo al tempo come concepiamo noi. Quindi una
situazione intermedia non è eterna non è prima del tempo anche queste creature stanno prima del tempo non sono eterne ma non sono inserite in un
contesto storico. Questo è un concetto medio platonico. Non è eternità ma neanche tempo misurabile che porta alla decadenza. Non avendo ancora un
corpo sono in una situazione atemporale e possono entrare nell’eternità di Dio soltanto alla fine. Che fine farà il corpo? Si esporrà al rischio di negare

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DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
la resurreione del corpo, a differenza di Ireneo che pensava alla resurrezione di un medesimo corpo (adversus haereses, l’ultimo millennio è quello
escatologico in cui c’è Cristo che è il sabato) dice un giorno vale mille anni (7 giorni creazione diventa mille anni). Finisce il millennio e tutto viene
trasfigurato in Dio per Origene. Per Ireneo la resurrezione è corporea. Come Dio si rivela? De Principiis, II libro, Cap. 6, testo 74. Come avviene
l’incarnazione? Che cos’è l’anima di Cristo? Non è altro che (quel nus) quell’intelligenza preesistente che aderisce in sommo grado al logos. Tra tutti
gli intelletti che era più ardente dell’amore per la sapienza era un nus che liberamente ha scelto di essere unito, come il ferro al fuoco, in un modo
indissolubile che diventa mediatrice. Il logos non può mischiarsi da solo ma deve esserci qualcosa che faccia da mediatrice, Cristo, che non si è
raffreddata ma che liberamente ha scelto di entrare in un corpo. Quello di Cristo è l’unico nus che non è decaduto ma rimanendo unito al logos ha
scelto di prendere un corpo affinché possano essere redenti o salvati.

(LA I creazione è quella delle anime. La II è Cristo che rimane unita al logos e che è più adatta per compiere la salvezza del logos e viene utilizzata
dal logos come intermediaria. Potenzialmente se le anime degli uomini non si fossero raffreddate non avrebbero preso un corpo e l’incarnazione non
sarebbe stata necessaria. Per lui è solo una “pezza”. Se non avesse peccato, non è il peccato della Genesi 3, questo peccato è nella sfera del mondo
intellegibile per cui alcuni di questi intelletti si sono allontanati da Dio, se non si fossero allontanati da Dio ma tutti sarebbero stati uniti a Dio e il
corpo non sarebbe stato creato). Quindi non fa parte del progetto di Dio quella corporea ma quella intelligibile ossia corporea, la prima è conseguenza
del cattivo libero arbitrio. Genesi 1 la creazione intellegibili, Genesi 2 gli esseri sensibili. Per lui tutta la bibbia ha un significato spirituale. Non è un
problema che si interpreta in modo allegorico. (Questo corpo getta ancora di più l’uomo nel fango come aggravamento della situazione). Il corpo non
è male in sé ma è che è uno strumento provvidenziale dato da Dio per ritornare a lui e viene dato a lui per rimediare al suo peccato. Capitolo 6, 3 testo
74 antologia: COMMUNICATIO IDIOMATUM (COMUNICAZIONE delle PROPRIETA’) => (figlio di dio che è un titolo divino e figlio
dell’uomo che è un titolo umano) si può predicare della natura divina una proprietà tipica della natura umana e una proprietà tipica della natura divina
in quanto Cristo è uno in queste due nature. Di dio qualcosa che sarebbe di per sé dell’uomo e viceversa.

Testo 75 ci parla dell’escatologia contro gli gnostici. Si vorrebbe mettere a metà strada tra gnostici e millenarismo. Per gli gnostici la resurrezione non
esiste ma si può parlare al massimo di una resurrezione solo in modo spirituale e metaforico perché per loro la resurrezione è conoscenza. Vuole

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evitare l’opposto, cioè il millenarismo secondo cui tutto è corporeo. Dà all’escatologia tutto un significato spirituale. Partendo da una concezione
limitata del corpo non lo riesce a recuperare nella resurrezione. Dice che alla Genesi 1 si parla della resurrezione dell’anima e nella 2 del corpo ma
l’anima viene creata ad immagine di Dio ma che si può raggiungere solo escatologicamente; per Ireneo l’uomo è creato tutto insieme come corpo
che ha ricevuto lo spirito divino ed è ricettario della gloria e fin da subito è immagine che viene persa con il peccato (Genesi 3) che recupera con la
redenzione. (Tra le due quella di Ireneo avrà più successo. La somiglianza si perde con il peccato. Cristo è venuto per riportare la somiglianza).

Libro III, commento e studio della bibbia. La sua esegesi è il suo punto forte. Sempre con metodo allegorico che però non è disgiunto dall’impostazione
filologica. Edizione critica dell’AT. Aveva a disposizione del testo greco LXX. A sei colonne: la I in ebraico, II caratteri greci; LXXX, e poi le tre
versioni greche. Tre generi letterari brevi spiegazioni. Abbiamo pochi frammenti. Omelia ha ad oggetto un brano e non solo un versetto. Nel 2012
sono state rinvenute 29 omelie. I Commenti sono su tutto libro della bibbia, in particolare il Cantico dei Cantici.

Testo n. 78 – 79 no per esame.

Testo n. 76, IV De principiis. Per Origene l’AT è parola ispirata, da interpretare a partire da Cristo. Ha un centro di unità dato dal nus che è il logos,
il verbo il quale istruisce tutti (idem Ireneo). Quando Dio parla nella bibbia è sempre il verbo che parla dall’esterno mentre lo spirito Santo ispira i
profeti, i profeti sono ispirati dallo Spirito Santo dall’interno e hanno un’esperienza mistica che può essere esposta con simboli. Il senso letterale è
insufficiente. Un’esegesi soltanto letterale è insufficiente per Origene. Espone questo principio c’è sempre un significato spirituale in tutti i passi che
riguarda la vita dei cristiani. Non sempre c’è un significato letterale. Si per quello spirituale e quindi una legittimità di diversi significati perché quel
testo ispirato è frutto dell’iniziativa dello spirito santo ed è inesauribile dà sempre la possibilità di attingere a significati spirituali paradossalmente
anche contrastanti. Secondo lui ci sono dei passi che sono falsi presi storicamente o inesatti e insensati a livello letterale per esempio non è importante
che Mosè sia esistito ma il suo significato (libro dell’Esodo). Individua sensi diversi della scrittura. Nella versione latina si parla di quattro sensi. Qui
sono tre i sensi della scrittura come l’uomo è fatto da anima, spirito e carne. Il senso letterale corrisponde alla carne, che porta un germe di corruzione
ed è utile per i semplici (per i principianti). Il senso morale corrisponde all’anima, tipico di coloro che sono già battezzati, e a coloro che cercano di

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vivere bene. Il significato più alto è la contemplazione cioè per quelli che vogliono essere teologici ossia conoscere Dio a partire dalle scritture. La
bibbia ha come al centro dell’allegoria Cristo (come Ireneo che usa la tipologia). Ciò che accomuna tutti gli esegeti è la centralità cristologica
dell’interpretazione del’AT. Per Origene l’AT c’è la tipologia tradizionale, che è in comune con gli asiatici, es. nel rapporto tra cristo e la chiesa, a
fatti materiali che hanno anche un significato letterale corrispondono realtà spirituale accanto a ciò c’è anche un’interpretazione spirituale-morale. Nel
NT non c’è molta allegoria. C’è il metodo della quaestio, metodo della scolastica, si pone un problema e come si può risolvere.

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QUESTIONE ARIANA ---- NON E’ L’ESAME
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CONTRA CELSUM: OPERA APOLOGETICA, scritto all’epoca dell’imperatore di MARCO AURELIO;
DE ORATIONE: nel periodo di Cesarea, scritto sulla preghiera; perché ci permette di entrare in comunione con lo spirito di Dio e porta alla
resurrezione. Contiene indicazioni sulla preghiera es. pregare verso l’oriente, in greco.
DISPUTA con Vescovo ERACLIDE: una sorta di verbale di discussioni. Il rapporto tra Padre e Figlio, ambiente monarchiano in cui si tende ad
orientarlo come uguaglianza. Lui parla di due dei con una sola potenza.
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Umanità e Divinità in Cristo per Tertulliano sono il logos o verbo che si unisce nella carne. La sua cristologia è contro il docetismo perché in Cristo
c’è una persona e due sostanze. Prima fa vedere la cristologia dei monarchiani (secondo cui il Figlio coincide con la Carne mentre il Padre con lo
Spirito) *testo n. 27 [Adversus Praxean].

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Lezione 12.05 ROMA: Tertulliano OPERE DA RICORDARE: APOLOGETICUM (197) – AD SCAPULAM – DE PRAESCRIPTIONE
HAERETICORUM (200-208) – AVERSUS PRAXEAN.

La versione latina della bibbia è la Vulgata di Girolamo, veteres latinae perché erano diverse recensioni. Il primo testo della patrologia latina che si
può datare è quello n. 80 (atti dei Martiri scillitani, racconta quello che i martiri dicono nel momento in cui gli viene chiesto di rinnegare la loro fede)
lettura personale e non l’esame. C’è un cenno in cui si parla di scritture, era una comunità latina, si suppone che quei libri sacri siano parti del NT.
Tertulliano testimonia che esiste una traduzione dell’intera bibbia, Cipriano nel III secolo ci mostra una versione africana. La lingua greca va avanti
fino al IV secolo, avviene già con Cornelio, Stefano e Novaziano (detto antipapa).

Uno dei più importanti autori latini è proprio Tertulliano, avvocato. Difende il cristiano proprio come una difesa giuridica cercando di dare una base
giuridica alla stessa libertà religiosa. Intorno al 207 abbandona la Chiesa e si converte al Montanismo. Si tratta di un movimento orientale che nasce
in una zona interna dell’Asia Minore, l’odierna Turchia. Il fondatore dice di aver avuto degli insegnamenti o rivelazioni dal Paraclito (Spirito Santo)
e di poter dare loro stessi, come i profeti, possono dare degli oracoli rispetto al passato, futuro e l’escatologia. Si pone contro il principio della
successione apostolica, l’abbiamo visto in Ireneo, uno dei capisaldi della dottrina cattolica. Soprattutto sulla penitenza non ha autorità il vescovo ma
il profeta, cioè il montanista. Si pone in opposizione alla Chiesa di Roma e al principio della successione cattolica apostolica. Sono vicini
all’encratismo, quella dottrina per cui il matrimonio è visto con sospetto la generazione prolunga la sofferenza del mondo. Di Tertulliano è famosa
la frase “La carne è carne della salvezza”, c’è un rigore morale. Per Tertulliano la Chiesa è troppo moderata, lassista ci vuole più rigore tanto che cerca
il martirio. Non sono gnostici. Alcune sottolineature erano state messe delle parti, come il fatto che ci fosso delle profetesse. Sembrava che avesse
fondato una sua scuola molto più rigorista. Siamo prima di Origine. Cronologicamente è di una generazione prima di Origene.

-Opere apologetiche: in difesa del cristianesimo;

-Opere antieretiche e polemiche, per lui fare teologia è per fora scagliarsi contro qualcuno o fare polemica.

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L’apologeticum si rivolge ai governatori romani (non si rivolge all’imperatore) perché comprende come le persecuzioni non sono tanto questioni
generali erano più di arbitrio degli imperatori che di fonte a legislazioni imprecise potevano applicare la forma di persecuzione. Livio chiede a Traiano
come comportarsi. Traiano dice non vanno cercati ma vanno puniti. Individua in primis le cause e poi fa vede la contraddizione della legislazione di
Traiano secondo cui non devono cercati al massimo dovrebbero essere puniti per un delitto, cioè non basta il nome per condannare qualcuno. Tiberio
aveva chiesto al Senato di approvare la religione cristiana come disgiunta dall’ebraismo ma veniva respinta, dall’altra parte Traiano aveva cercato di
perseguitarlo. Per Tertulliano le persecuzioni cristiane sono nate in un momento in cui il Senato e Imperatore erano in disaccordo e con il pugno duro
dell’Imperatore che procedeva nonostante il dissenso del Senato. DA RICORDARE

Ogni uomo è aperto a diventare cristiano perché la struttura della sua anima è cristiana, tutti sono portati alla preghiera (cfr. 24. 6 libertà religiosa).

Praescriptio: petizione di principio, cioè eccezione di principio in termini di legittimità di una data questione.

Si rivolge agli gnostici che Cristo ha affidato il compito di predicare il vangelo agli apostoli e gli apostoli ai vescovi. Quindi se volete interpretarla a
vostro piacimento dovete aderire alla Chiesa apostolica. All’inizio c’è la dottrina apostolica che viene smentito dagli gnostici. Prima c’è Cristo che è
verità. Cristo trasmette la vera dottrina agli apostoli che trasmettono questa dottrina che viene travisata.

I Monarchianisti sono coloro che ritengono che Dio e Figlio sono la stessa ipostasi, non distinguono la trinità. Tertulliano va contro a questa tesi
scorretta.

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PUNTI SALIENTI: TERTULLIANO

-TRINITA’

-DOTTRINA CRISTOLOGICA in cui fonda tutta la terminologia della teologia latina. (Agostino riprenderà questi stessi termini). Una sostanza e
tre persone è un concetto che anticiperà i padri del IV secolo. Persona per indicare una sostanza è stata una peculiarità di Tertulliano, il figlio ha la
stessa sostanza del padre ma che è distinto. In greco Teofilo ha parlato di trinità. Dio si manifesta nella storia della salvezza ed è così in sé stesso,
quindi non è una finzione, i modi sono delle persone distinte. Il figlio è generato in vista della creazione, ante tempo. C’è una generazione progressiva.

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N. 83 lettura personale testo AD SCAPULAM
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Octavios è un personaggio del dialogo. Ottavio cristiano mentre Cecilio pagano. Compare Minucio. Cecilio manda un bacio ad una statua pagana. Si
tratta di un dialogo. Cecilio difende il paganesimo. Ottavio confuta Cecilio e rileva una deduzione razionale di Dio a partire dalle cose create, una
dimostrazione totalmente filosofica e poi attacca il paganesimo. Cecilio convinto da Ottavio decide di convertirsi e farsi battezzare.

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19/05/2022 fine corso –

17
Ippolito fu il più importante teologo ed il più prolifico scrittore cristiano dell'era precostantiniana. Nonostante ciò la sua copiosa produzione ha avuto un destino
avverso. La maggior parte dei suoi scritti sono andati perduti o ci sono giunti solo attraverso dei frammenti, mentre altri sono arrivati fino a noi solo nelle traduzioni

17
Ippolito di Roma - Wikipedia

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in lingue orientali e slave. Ciò fu dovuto al fatto che il santo scriveva in greco e quando il greco non venne più compreso a Roma, i romani persero interesse verso
questo autore, mentre ad Oriente, dove la gente ancora lo comprendeva, rimase un autore molto famoso.

I suoi trattati esegetici furono numerosi: scrisse commentari su molti libri dell'antico e del nuovo testamento, di molti dei quali rimangono solo
frammenti. Tuttavia, il trattato sul Cantico dei Cantici ci è probabilmente giunto nella sua interezza[18], parimenti a quello sul Libro di Daniele in
quattro volumi[19]). Di altre otto delle sue opere, che trattano soggetti dogmatici ed apologetici, si conosce solo il titolo, mentre un'altra ci è giunta per
intero in lingua greca: si tratta del “De Anticristo”.

Delle sue polemiche contro gli eretici, l'opera più importante è il Philosophumena, il cui titolo originale è Κατὰ πασῶν αἱρέσεως ἔλεγχος (in
latino, Refutatio omnium haeresium), ma è conosciuta anche come Elenchos, o Confutazione di tutte le eresie. Dell'opera, pubblicata nel 1851, sono
noti il primo libro e i tomi dal quarto al decimo, mentre mancano i primi capitoli del quarto e completamente il secondo ed il terzo. I primi quattro
libri trattano dei filosofi ellenici, mentre i libri dal quinto al nono espongono e confutano le eresie. L'ultimo libro ricapitola quanto esposto nei
precedenti. L'opera è una delle più importanti fonti per la storia delle eresie dei primi secoli del Cristianesimo. Ippolito avversava il pensiero
filosofico greco, accusava gli eretici ed i pagani di essere legati alla speculazione filosofica della classicità e perciò di essere legati ad una
speculazione che ignorava il messaggio di Cristo (anche se in alcuni casi, ingannevoli, pareva anticiparlo).

Un trattato più breve contro le eresie (Syntagma), scritto da Ippolito in una data anteriore al De Antichristo, può essere ricavato da adattamenti
successivi (Libellus adversus omnes haereses; Epiphanius, Panarion; Philastrius, De haeresibus). Scrisse anche un terzo trattato antieretico intitolato
il Piccolo Labirinto.

Accanto a queste opere, il santo scrisse anche delle monografie contro Marcione, i Montanisti, gli Alogi e Caio. Di questi scritti esistono solo pochi
frammenti. San Girolamo, inoltre, cita un suo lavoro sulle leggi della Chiesa.

A lui sono attribuiti anche tre trattati sul diritto canonico: le Constitutiones per Hippolytum, la Costituzione della Chiesa egiziana, in copto, ed
i Canones Hippolyti. Di queste opere le prime due sono senza dubbio apocrife e la terza probabilmente risale al V o al VI secolo.

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18
Lattanzio, al secolo Lucio Cecilio Firmiano [1] (in latino Lucius Cæcilius Firmianus Lactantius; Numidia, 250 ca.; † Treviri, 325) è stato un teologo,

18
Lattanzio - Cathopedia, l'enciclopedia cattolica, Lattanzio ideologo della svolta costantiniana in "Enciclopedia Costantiniana" (treccani.it)
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scrittore, apologeta Padre della Chiesa latino. Nato probabilmente nell'Africa proconsolare si convertì al Cristianesimo durante la sua permanenza in Bitinia. Allo
scoppio delle persecuzioni volute da Diocleziano abbandonò la sua professione di retore e quando divenne imperatore Costantino fu chiamato
a Treveri come precettore di suo figlio Crispo. Fu diretto testimone della promulgazione dell'Editto di tolleranza di Galerio nell' aprile del 311 e poi dell'Editto di
Milano ad opera di Licinio nel giugno 313. Su Lattanzio ci ha lasciato preziose informazioni San Girolamo nella sua opera De viris illustribus. Ci dice che il suo
nome era Firmiano, che era discepolo di Arnobio e che in Nicomedia insegnava retorica e poiché conosceva il greco si diede all'attività di scrittore. Sempre San
Girolamo ci informa che ormai vecchio si trasferì in Gallia.[2]

Opere. Delle numerose opere citate da San Girolamo ci sono giunte soltanto:

 De opificio Dei

 Divinae institutiones

 De ira Dei

 De mortibus persecutorum

 Epitome

L'opera principale,Divinae institutiones, fu scritta durante la persecuzione di Diocleziano e venne concepita come una grande Apologia in difesa del
Cristianesimo. Essa comprende sette libri che trattano gli aspetti più salienti della nuova religione che si andava diffondendo e degli errori
del Paganesimo

Pensiero

L'impianto letterario delle sue opere non è originale, infatti rimanda ad uno schema molto diffuso: spiegazione e difesa delle verità Cristiane e
condanna del Paganesimo. I suoi scritti non hanno un contenuto teoretico originale ma presentano in modo dialogico e con un dichiarato intento
apologetico i misteri del cristianesimo. In particolare Lattanzio affronta il mistero della Trinità e dell'incarnazione per i quali cerca conferme nella
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stessa cultura religiosa e filosofica greco-romana. Nella persona di Cristo egli distingue due nascite, una che ha avuto luogo nell'eternità è un'altra che
ha avuto luogo nel tempo.[3] Quanto alla prima nascita, quella eterna, l'autore di rifà a testi biblici e a passi di scrittori pagani [4].

Lattanzio afferma l'esistenza del Figlio generato eternamente dal Padre e lo fa utilizzando categorie logiche nuove per la riflessione filosofica del
tempo. Non è una generazione carnale, sottolinea , ma una generazione "mentale" che si attua "attraverso la parola della
mente"[5] La sussistenza del Verbo come seconda persona della Trinità con compromette l'unità di Dio come pensano ebrei e pagani[6]

Il pensiero di Lattanzio si colloca in un momento particolare della storia del cristianesimo. Esso infatti precede il Concilio di Nicea e tale fatto può
spiegare l'uso di un lessico ancora "grezzo". Nonostante questa osservazione occorre riconoscere che la consostanzialità del Figlio rispetto al Padre e
la natura delle relazioni della paternità e della filiazione sono espresse con chiarezza e precisione, soprattutto se si considera il riferimento continuo e
la tipologia di esempi addotti.[7]

Intellettuale alla corte di Diocleziano, convertitosi al cristianesimo a ridosso delle persecuzioni tetrarchiche, primo, seppure approssimativo teologo
sistematico latino, infine influente consigliere di Costantino, Lattanzio è fonte e protagonista fondamentale per valutare documentazione, genesi
ideologica e prima giustificazione teologica della svolta costantiniana. Combatte la sua battaglia culturale e religiosa nel cuore del potere imperiale,
confrontandosi e interloquendo con i protagonisti del tentativo di annientamento del cristianesimo e con quelli che contribuiranno alla sua miracolosa
vittoria, potendo quindi mettere a punto un’aggiornata strategia di resistenza, riscatto culturale e politico della «religio nova», certamente influente su
Costantino. Il suo ambizioso progetto di apologetica fondazione di cultura e società romano-cristiane, forgiato dal fuoco delle persecuzioni, può
pertanto consentire di congetturare quale fosse la linea di confine tra sacralizzazione di tradizione e potenza politica, garanzia di giusto ordine pacifico,
sincretistiche aspirazioni religiose e monoteistiche in ambito pagano; richiesta di tolleranza, strategie proselitistiche di adattamento culturale,
confessione di fede in ambito cristiano; tensioni rispetto alle quali Costantino, con tutte le sue ambiguità, sarà destinato a rappresentare il supremo
punto di mediazione. Nel suo oscillare tra apocalittica demonizzazione dell’impero politeistico e auspicio di reviviscenza dell’età dell’oro classica
grazie a un futuro imperatore monoteista e giusto, il capolavoro teologico-politico delle Divinae institutiones è opera epocale: ponendosi all’incrocio

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tra diverse teologie politiche, mediando tra ideali romani di giustizia e fede cristiana in un Dio onnipotente e provvidente (persino con la sua ira),
Lattanzio immagina, prepara e infine saluta il passaggio dall’impero persecutore dei divinizzati tetrarchi a quello ‘secolarizzato’ e tollerante, quindi
sempre più apertamente filocristiano di Costantino: storia culturale di una scommessa azzardata, ma vinta, perché fatta propria e rilanciata da un genio
politico, che forse proprio a contatto con Lattanzio ne venne valutando la portata.

Conversione, eclissi, vittoria di un intellettuale di corte

Di origine africana, indicato da Girolamo 1 come allievo di Arnobio di Sicca, definito «Cicerone cristiano» da Pico ed Erasmo, Lucius Cae(ci)lius
Firmianus Lactantius (255 circa-325 circa) si trasferì a Nicomedia di Bitinia tra il 290 e il 300, chiamatovi da Diocleziano come professore di retorica
e lingua latina2; a questo periodo datano le sue prime opere letterarie, di argomento classico o scolastico: Symposium, Hodoeporicon, Grammaticus.
L’insuccesso del suo insegnamento a Nicomedia (ove scarsa era la conoscenza del latino) e la sua conversione al cristianesimo in prossimità delle
persecuzioni tetrarchiche3, provocarono la sua emarginazione a corte, forse il suo allontanamento da Nicomedia, riscattato dalla chiamata a Treviri
(tra il 310 e il 316) come precettore del giovanissimo figlio Crispo da parte di Costantino 4, conosciuto alla corte di Diocleziano 5; anche se non può
essere escluso un suo precedente ritorno in auge in Oriente presso la corte di Licinio. Durante lo scatenarsi delle persecuzioni anticristiane, compone
il De opificio Dei, quindi il De ira Dei, ove, in polemica con epicurei e stoici, celebra la provvidenza dell’Onnipotente, che si rivela nella perfezione
del corpo umano, come nell’affermarsi di una giustizia storica, per la quale è necessario riconoscere un Dio personale, non imperturbabile, ma capace
anche di ira. Parallelamente, redige i sette libri delle Divinae institutiones (304-311), conclusi prima della fine della persecuzione6 ; la tradizione
manoscritta presenta alcune importanti aggiunte al testo, molto probabilmente dello stesso Lattanzio, di discussa datazione, tra le quali due encomi
rivolti a Costantino 7, di cui Lattanzio era divenuto consigliere e influente guida teologico-politica. Oltre all’Epitome delle Divinae Institutiones –
sintesi aggiornata contemporanea a revisione e aggiunte dell’opera –, fondamentale per lo studio della svolta costantiniana è il De mortibus
persecutorum, di poco successivo al 313, di cui non pare più possibile mettere in dubbio la paternità lattanziana.

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Rispetto alla sua poliedrica cultura classica, piuttosto modeste risultano conoscenza biblica8, capacità di aggiornamento e approfondimento teologici9:
Lattanzio conosce Cipriano e Tertulliano10, ma ancora dipende da arcaiche tradizioni giudeocristiane.

Merito principale dell’opera maggiore è la riconfigurazione della tradizionale apologia del cristianesimo a partire da una prospettiva teologico-politica
eminentemente romana (strategico è il ruolo di Varrone e Cicerone): l’interesse per storia e natura di religione e culto pubblici, lo studio del rapporto
tra diritto, retorica e formazione civile, insomma la storia delle institutiones teologico-politiche11 prevalgono rispetto all’interesse dottrinale, filosofico
e persino teologico-dogmatico. Svalutata la filosofia12, la cui influenza positiva si riduce a superficiale eclettismo, la tradizionale rivendicazione di
maggiore antichità e razionalità della religione giudaica rispetto all’insensato, immorale politeismo pagano 13 può sposarsi al recupero di disseminati
elementi teologici di gnosi oracolare-sapienziale, testimoni dell’arcaica, universale rivelazione monoteistica inscritta nella natura umana, desumibile
da testi poetici come da sentenze pitagoriche, dagli Oracoli sibillini come dal Corpus hermeticum, che assumono nell’apologetica lattanziana un ruolo
centrale14. Comunque, la ricerca della verità monoteistica universalmente diffusa si compie, romanamente, nella definizione
dell’autentica religio capace di rendere grande e giusta la civitas: «Volui sapientiam cum religione coniungere»15. Realizzando ‘miracolosamente’
questa coniunctio, Costantino convertirà l’una nell’altra Roma e Gerusalemme.

Una teologia della storia romano-cristiana: le Divinae Institutiones

L’urgenza storico-religiosa che genera le Divinae institutiones coincide con l’esigenza di rispondere culturalmente alle violente denunce di Ierocle e
Porfirio16, pubblici inquisitori del cristianesimo come sedizioso spregiatore di potere imperiale, sacra tradizione romana, autorità della legge,
razionalità filosofica: accuse fatali, manifesto ideologico della persecuzione tetrarchica 17. La strategia di riforma, rafforzamento e pacificazione
dell’Impero condotta da Diocleziano si compiva in una strategia di compattamento ideologico-religioso, che non poteva non confliggere con la nova
religio, politicamente eversiva nella sua folle pretesa di cittadinanza carismatico-escatologica irriducibile a quella secolare. L’identificazione sacrale
di Diocleziano e Massimiano come appartenenti alla stirpe di Giove e di Ercole, garanti del ritorno dell’aureum saeculum18, testimonia una volontà
di rifondazione cultuale della potenza romana, incentrata sugli arconti divinizzati di un impero personalmente garantito 19. Gli Augusti condividevano

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una natura divina, partecipando di virtutes e numina dei due dei; in quanto dotati di anima caelestis, gli imperatori venivano proclamati «aeterni come
persone», formando una «famiglia divina» generata da un «vero e proprio Adoptivkaisertum»20 (i Cesari sono veri e propri figli di dei) e caratterizzata
da indissolubile «concordia», propugnando una teologia della ‘incarnazione’ inevitabilmente in radicale conflitto con quella cristiana 21. In velata, ma
sistematica polemica contro l’ideologia tetrarchica, a Porfirio che aveva denunciato l’empia pretesa dei cristiani di «disprezzare qualsiasi tipo di
sacrificio, iniziazione, mistero e di abbandonare, nel nome di una presunta teologia, tutti i sovrani, i legislatori e i filosofi»22, Lattanzio controbatte
che soltanto il monoteismo cristiano è in grado di garantire legittimo esercizio del potere imperiale, giustizia della legge e arcaica verità della religione
pubblica: la damnatio che Costantino pronuncerà contro Porfirio e le sue opere anticristiane23 segnerà pertanto il trionfo dell’apologia di Lattanzio.

Contro la tesi della novità asociale del cristianesimo e la dioclezianea sacralizzazione della tradizione romana, le Divinae institutiones cercano di
dimostrare in termini storico-religiosi l’arcaicità, in termini filosofici l’ontologica predominanza del monoteismo rispetto al politeismo. Infatti,
argomentata programmaticamente la dipendenza dell’ordine del mondo dalla provvidenza divina, la questione di fondo che governa l’intera struttura
dell’opera è «se il mondo sia retto dalla potenza di un unico Dio o da quella di molti»24 (influente la polemica antidualista di Tertulliano). La
dimostrazione razionale della superiorità del monoteismo e della sua economia – chi è costretto a ricorrere a una molteplicità di poteri, rivela forza e
potenza minori, quindi fragilità e mortalità – è anche una radicale accusa politica25, in linea con la violenta condanna che il de mortibus
persecutorum rivolge al politeista Diocleziano colpevole di avere diviso e avvilito l’Impero 26. Come l’onnipotenza teologica, il vero potere politico è
unico, assoluto, capace di autonoma stabilità27. Potestates e virtutes sono tanto più inferiori, quanto più molteplici, quindi il trionfo della molteplicità
a livello teologico-politico è traccia di un’azione demoniaca che lavora per la distruzione del regno umano 28. Il politeismo è allora razionalisticamente
ricondotto a evemeristica divinizzazione abusiva di sovrani politici (si pensi a Diocleziano e Massimiano)29, culminante nella tradizione greco-romana
nel culto di Giove e di suo ‘figlio’ Ercole30, assi portanti della sacralizzazione del potere imperiale tetrarchico: nel corpo sano della romanità è stata
infatti introdotta un’irrazionalità divisiva, rivelata da conflittualità politica, corruzione, disumana violenza, potere oppressivo che contraddice
l’uguaglianza tra tutti gli uomini. Figura dell’Impero tetrarchico è il saeculum idolatra31, pervertito, violento di Giove, usurpatore e quasi parricida32,
dominato da una brutale cupiditas regnandi, eppure costretto a dividere il regno del quale si era impadronito 33. Con questi presupposti teologico-

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politici, risulta pertanto comprensibile l’apocalittico grido di giubilo che conclude il de mortibus persecutorum: «Dove sono quei soprannomi fino a
ieri magnifici e illustri tra i pagani – di Gioviniano, di Ercoliano – che prima si attribuirono con arroganza Diocleziano e Massimiano, poi passarono
ai loro successori rimanendo in vigore? Il Signore li ha distrutti e cancellati dalla terra»34.

Al saeculum tirannico di Giove/Diocleziano e del perverso figlio Ercole/Massimiano, Lattanzio contrappone l’aureum saeculum del padre Saturno,
caratterizzato da pace, ordine e culto monoteistico 35. Maschera di Ottaviano, Saturno è indicato come colui che era riuscito a trasformare, grazie a
potenza e ricchezze accumulate, la predominanza politica (principatus) del ‘padre’ Urano (Cesare) in regno vero e proprio 36: citando versi e ideologia
virgiliani37, risalendo all’archetipo virtuoso dell’impero, l’aureo «rex terrenus» Saturno/Augusto è presentato come monarca assoluto, giusto, pacifico,
tollerante, persino umile, nel suo capitale rifiuto dell’autodivinizzazione 38. Lattanzio lo intravede redivivo: dichiarata è la speranza di potere presto
salutare, per grazia di Dio, l’avvento di un futuro Saturno/Augusto monoteista e tollerante, capace di riportare Roma alla sua antica, pacifica, prospera
perfezione39. L’indagine storico-religiosa sull’origine dei culti pagani ubbidisce pertanto a una precisa strategia di piena integrazione tra la religione
cristiana e gli autentici ideali della romanitas, concordi nella ‘secolarizzazione’ del potere, cioè nel rifiuto della sacralizzazione personale dei sovrani.
Se il modello teologico-politico determina sanità o corruzione di tutto il popolo, in quanto la religione è imitazione del divino attraverso il culto 40, atto
provvidenziale dell’unico vero Dio sarà abbattere la poliarchia, restaurando una monarchia fondata sul monoteismo 41, che Cristo, «princeps
angelorum», è venuto a rivendicare42. Tramite la sua raffinata tipologia demitizzante, Lattanzio offre la giustificazione ideologica capace di preparare
il futuro: il provvidenziale Impero di Costantino.

Per meglio apprezzare l’‘oracolare’ teologia-politica di Lattanzio, significativa è una variante ‘dualistica’ del II libro 43: Dio onnipotente crea il mondo
facendolo dipendere dall’opposizione tra la sua mano destra e la sua mano sinistra, che sono i «duo fontes […] duo spiritus, rectus atque pravus […]
duo contraria» apocalitticamente in guerra per il dominio della creazione, che pure è provvidenzialmente governata dalla «divina dispositio» (8,5) che
‘retoricamente’ o ‘esteticamente’ fa risaltare, provare e trionfare il bene soltanto attraverso l’opposizione attiva del male44. Mentre il principio
malvagio è identificato con il demoniaco angelo delle tenebre, il principio buono è identificato con il «bonus filius», Cristo interpretato a partire da
un modello giudeocristiano 45 di cristologia angelica, malgrado Lattanzio presenti, mediata o piuttosto confusa con questa sorta di protoarianesimo 46,

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DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
anche una teologia trinitaria tertullianea incentrata sul Verbum, Dio divenuto caro47. Il dualismo dei duo spiritus, presentato come opposizione
apocalittica tra luce/Oriente e tenebra/Occidente, è ancora funzionale a un abbozzo di teologia politica 48: la notte, che invade l’Occidente con il
tramonto del sole, e la molteplicità fioca di stelle che da essa scaturisce sono immagini della tenebra dell’idolatria e della poliarchia tetrarchica, mentre
il giorno, nel suo primo sorgere a Oriente (improbabile, allora, che qui Lattanzio potesse alludere a Costantino) 49, è immagine della vera religione, il
cui unico Dio è rappresentato dal sole (con Cicerone etimologicamente connesso a solus), l’astro singolare che brilla nel cielo nascondendo le stelle
notturne50. Seppure il testo è anteriore alla svolta costantiniana, esso risulta significativo per il suo potenziale teologico-politico, considerata la
rilevanza monoteistica della teologia solare da Aureliano a Costanzo Cloro, allo stesso Costantino: probabilmente Lattanzio sta qui operando un
tentativo di mediazione tra il suo monoteismo cristiano e prospettive teologico-politiche monoteistiche (latentemente monocratiche?) già attestate
presso alcuni esponenti imperiali (forse dallo stesso Licinio, a giudicare dalle testimonianze del de mortibus persecutorum).

Questo ingenuo dualismo analogico risulta assai rilevante per valutare l’impalcatura ideologica del de mortibus persecutorum: la creazione è scissa
dall’opposizione tenebra/luce, morte/vita, corpo/anima, trionfo nefasto del Nemico/gloria liberatrice di Dio 51, ove evidente risulta la dipendenza
dall’Apocalisse di Giovanni e da categorie apocalittiche giudaico-cristiane, per le quali il principale criterio di senso della storia coincide con il
provvidenziale, ultimo trionfo mondano del più forte, quindi dell’Onnipotente, capace di infliggere eterni supplizi all’«Antitheus»52. All’interno di
una teologia politica di tipo analogico, se Dio è definito come «imperator»53, l’«Antitheus» è «hostis», «adversarius», chiamato da Dio stesso a
insidiare e perseguitare l’uomo, perché questi combatta una continua, mortale, ma meritoria battaglia 54. Cristo-Messia è invece salutato – a partire
dalle testimonianze veterotestamentarie55 – unico «rex» universale, rappresentante di Dio nel saeculum: seppure si precisa che l’autentico regno di
Cristo è «caeleste ac sempiternum»56, d’altra parte è apertamente affermato il suo escatologico governo in terra – «tunc vere totius terrae regimen
obtinebit». Lo stesso millennio apocalittico dai forti tratti materialistici57 viene così identificato con il classico «aureum saeculum iustum ac
pacificum»58 saturnino, che Cristo è venuto a inverare, realizzando in terra il diretto governo di Dio sugli uomini59: ove rivelativa è la sovrapposizione,
sino quasi all’indistinzione, tra il saeculum del nuovo Augusto politico e il millennio di Cristo. Eppure, l’età aurea di Cristo non sarà accessibile a

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tutta l’umanità, ma – ancora apocalitticamente – sarà ristretta ai soli eletti/virtuosi; e questo per volontà della provvidenza di Dio, proprio perché
soltanto l’esistenza del male può rivelare, provare, esaltare l’affermarsi del bene 60.

Questa precoce, visionaria teologia-politica romano-cristiana propone pertanto, soprattutto nei fondamentali libri V e VI delle Divinae institutiones,
l’inveramento e la retractatio dei valori supremi della classicità – gli ideali di «iustitia» universale, «humanitas», equità61 – nella «religio
nova»62 cristiana. Cicerone è chiamato come testimone privilegiato di un’aspirazione altissima di civiltà umana, ma al tempo stesso del fallimento
storico della classicità, che soltanto la rivelazione divina può riscattare e compiere. La stessa filosofia si è rivelata incapace di innalzarsi alla vera
sapienza della religione: Platone e Aristotele, privi di rivelazione, non hanno potuto che prospettare una «giustizia immaginaria»63. Soltanto Cristo è
il maestro, la «viva lex»64, capace di riconciliare Platone, Aristotele e Cicerone, Varrone, verità ed eloquenza, sapienza e religione, legge divina
autenticamente universale ed esempio vivente di uomo capace di realizzare la perfetta virtù 65. Esaltando i valori cristiani di autentica umanità,
universale giustizia, altruistica «caritas»66 pacificamente affermati dal cristianesimo, Lattanzio – precursore di Agostino – demitizza i valori romani e
universalmente terreni della patria, delle «gentis suae leges»67, colpevoli di trasformare in «ius» una logica del tutto parziale e privata
dell’appropriazione, della discordia, della violenza imperialistica68; questa infrange l’universale «Dei lex sancta caelestis», intuita da Cicerone 69, che
pure si è dovuto rassegnare, nel De republica, alla non coincidenza tra «iustitia civilis» e «iustitia naturalis», che soltanto il cristianesimo sarebbe in
grado di garantire70.

Grande rilevanza storica assume l’appello alla tolleranza religiosa delle Divinae institutiones, sorretta da un’appassionata, originale apologia della
libertà di coscienza71 (pure fondata sull’identificazione tra cristianesimo e vera religione) e dall’argomentazione dell’inutilità, anzi dell’empietà del
rito religioso esteriore, se estorto 72: «Nihil est enim tam voluntarium quam religio, in qua si animus sacrificantis aversum est, iam sublata, iam nulla
est»73. Condotta «per un’intima esigenza di assoluta verità (veritatis ipsius conscientia)»74, la confutazione dell’ideologia persecutoria è condotta in
nome dei profondi valori umani di razionalità e religiosità (monoteistica!) naturalmente inscritta nei cuori degli uomini75. Con il V libro delle Divinae
institutiones, definito un manifesto per la libertà religiosa76, Lattanzio lancia così una sfida di civiltà e persino di romanità contro gli ideologi della
persecuzione, appellandosi a un tollerante, civile confronto razionale, che sostituisca brutale violenza e disumana ingiustizia che corrodono, anziché

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rafforzare, il legame tra popolo e res publica77. Si potrebbero pertanto interpretare gli editti imperiali di tolleranza, da Galerio a Costantino/Licinio,
come l’accoglimento imperiale dell’appassionata argomentazione razionale lattanziana: evidentemente, la presenza di Lattanzio alla corte di
Diocleziano prima e di Licinio(?)/Costantino poi, il suo appello all’humanitas romana, persino i suoi argomenti teologici e filosofici sull’esistenza
dell’ira vendicatrice di Dio, potrebbero avere influenzato, se certo non determinato, queste decisioni, affermando la connessione – di straordinaria
efficacia teologico-politica – tra monoteismo, onnipotenza, pace, salus e successo mondani.

Per riassumere la teologia politica lattanziana, è preziosa la tarda variante manoscritta attestata all’inizio del I libro delle Divinae institutiones78: si
tratta di una dedica all’imperatore Costantino, certamente redatta in Occidente, probabilmente a ridosso dello scontro finale tra Costantino e Licinio
(324). Si ritrovano in questo passo tutte le linee guida della teologia politica lattanziana: Costantino regna perché è stato il primo imperatore a rigettare
il politeismo; la storia è nelle mani di Dio, che fa prosperare il principe virtuoso e il suo impero, mentre prima o poi abbatte, con la violenza rovinosa
della sua ira, quello perverso; la vera religione permette di mantenersi fedeli ai valori di humanitas della civiltà romana, a quella iustitia, negata dal
demoniaco potere persecutorio pagano; garanzia di saldezza e durata del potere monarchico è quindi la sua sottomissione alla provvidenza dell’unico
Dio, della quale è chiamato a essere strumento. Seppure mai si faccia cenno a Cristo, e il monoteismo cui l’imperatore si è meritoriamente convertito
conservi tratti piuttosto generici, Costantino pare essere il punto di miracolosa torsione dell’apocalittica disdetta dell’idolatria tetrarchica in
celebrazione teologico-politica dell’«aureum saeculum» romano-cattolico. Rispetto a questa strabiliante conversione romana, religiosa, pubblica,
universale, persino l’analisi dei moti della coscienza credente tende a regredire come questione se non oziosa, comunque fuori luogo 79. Piuttosto,
l’avvento dell’unico imperatore cristiano compie perfettamente il pensiero cristiano-romano di Lattanzio persino da un punto di vista escatologico.
Le Divinae institutiones apertamente identificavano l’incolumità di Roma («incolumis urbs Roma»), «caput illut orbis», con la salvezza e la durata
del mondo, che essa sostiene come vero e proprio fondamento ontologico provvidenzialmente voluto da Dio: «Illa est civitas quae adhuc sustentat
omnia […] lumen illud, cuius interitu mundus ipse lapsurus est»80. In linea con quanto affermato da Tertulliano, il crollo di Roma-katechon coinciderà
con l’avvento dell’Anticristo, «tyrannus ille abominabilis», la battaglia finale, la fine del mondo. Ormai soltanto la profezia apocalittica separa, quasi
a fatica, la Roma cristianizzata di Costantino dal millennio, quindi dalla stessa beatitudine escatologica 81.

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Apocalittica e romanitas: il De mortibus persecutorum

Nel tentativo di ricostruzione dell’ideologia costantiniana di Lattanzio, rispetto al ristretto fondamento testuale offertoci dalle tarde integrazioni
delle Divinae institutiones, assume ovviamente un ruolo del tutto centrale il de mortibus persecutorum, della cui attribuzione ormai pare difficile
dubitare82. Composto tra il 313 (anno del trionfo di Licinio su Massimino Daia, con il quale si conclude l’opera) e il 316 (anno del bellum cibalense,
la prima guerra tra Costantino e Licinio, cui non si fa cenno) 83, è il primo trattato storiografico cristiano84, che testimonia l’accesso di Lattanzio agli
archivi imperiali e/o forse la dipendenza da una oggi perduta Kaisergeschichte, di tendenza filosenatoria85. Vi sono infatti documentati non soltanto i
provvedimenti imperiali di tolleranza da Galerio a Licinio, ma gli stessi racconti dei sogni/visioni di Costantino e di Licinio. Ma Lattanzio dove lo ha
composto? A Treviri, alla corte di Costantino o ancora in Oriente, presso Licinio 86 ? Pare impossibile risolvere questo rompicapo.

Interpretazioni radicali del de mortibus persecutorum lo vogliono composto nell’ombra di Costantino 87, ideologicamente dipendente dalla sua
cristianizzazione della tradizionale teologia della vittoria romana88. In effetti, Costantino è lodato come imperatore giusto e pio lungo tutta l’opera,
che è l’unico documento che anticipi il mutamento della sua politica religiosa al 306 89. Eppure, colpisce nel de mortibus persecutorum.– soprattutto
se confrontato con la descrizione degli analoghi eventi nell’eusebiane Historia ecclesiastica e Vita Constantini90 – l’asciuttezza della descrizione della
vittoria contro Massenzio, ove ridotti al minimo risultano intervento di Dio e religiosa, riconoscente pietà dell’imperatore vittorioso91: niente di più
della rapidissima notizia sul sogno, in particolare sul (l’ambiguo?) segno fatto «notare» sugli scudi dei soldati92 e della descrizione dell’inizialmente
incerta, infine provvidenziale93 vittoria. Il testo non registra pubblici rendimenti di grazie a Dio di Costantino (né il de mortibus persecutorum.nota
che Costantino non accettò di celebrare il suo trionfo secondo le modalità pagane tradizionalmente prescritte), che piuttosto riceve da popolo romano
e Senato entusiasmo, tributi d’onore, titolo di Augusto 94. Rispetto alla lucida restituzione delle circostanze politiche capaci di determinare il prevalere
di Costantino – la decisiva sollevazione romana contro Massenzio e l’‘oracolo’ sull’invincibilità di Costantino levatosi al circo, non presentato come
miracolo di Dio –95, come alla descrizione molto tecnica della battaglia, ove quasi del tutto assente risulta il filtro teologico-provvidenziale96, molto
più articolata e teologicamente ispirata risulta la descrizione del ‘corrispondente’ sogno di Licinio – divino vendicatore di Massimino Daia, l’ultimo
persecutore –, quindi l’esaltazione della pietà sua e del suo esercito 97, concretizzatasi non soltanto nell’angelica dettatura di una preghiera a Dio fatta

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stenografare dall’imperatore98, quindi in pubblici atti di preghiera subito prima99 e dopo100 lo scontro finale, ma soprattutto nella promulgazione
trionfale a Nicomedia dell’editto di Milano, ‘concordato’ con Costantino 101 e perfezionato da provvedimenti capaci di restaurare la Chiesa dopo il suo
abbattimento102. La stessa crudeltà di Licinio103 dimostrata nello sterminio di vari membri delle famiglie imperiali, donne e bambini compresi,
freddamente descritto in de mortibus persecutorum 50,1-51,2, viene a essere senza imbarazzo alcuno salutata come strumento provvidenziale dell’ira
di Dio104. Insomma, considerando che il de mortibus persecutorum attribuisce a Licinio la pubblicazione, a Nicomedia, della lettera di tolleranza
religiosa (che riecheggia alcuni temi lattanziani), pure attribuita nell’ordine a Costantino e a Licinio, e che non la vittoria di Costantino sull’usurpatore
Massenzio, ma la vittoria finale di Licinio sull’imperatore Massimino è esaltata come l’apoteosi del trionfo di Dio sui suoi nemici, non sarebbe
azzardato ipotizzare una stesura del de mortibus persecutorum (poco dopo il 313) a Nicomedia, nell’orbita di Licinio, piuttosto che nella Treviri
costantiniana. A meno che non si preferisca pensare che Lattanzio fosse stato persino incaricato – forse da Costantino, da Licinio o da entrambi gli
imperatori, che ne conoscevano resistenza ai vecchi tetrarchi, fede monoteistica e lotta per la tolleranza religiosa – di celebrare l’alleanza strategica e
provvidenziale tra i due nuovi Augusti, suggellata dall’incontro di Milano e dal matrimonio tra Licinio e Costanza. Certo, in tal caso, l’opera di
Lattanzio non risulterebbe molto riuscita – cosa strana, trattandosi di oratore e letterato esperto, oltre che provato dalle persecuzioni –, perché
comunque troppo sbilanciata a favore del ruolo provvidenziale di Licinio 105.

Proprio il modesto livello teologico del de mortibus persecutorum – il cui titolo è citazione di 2 Maccabei 1,17106 – accresce il suo valore storico,
mettendo in rilievo la stupita portata del miracolo divino della svolta filocristiana operata dai due tetrarchi vincenti, «principes» che Dio ha voluto
«excitare» per abbattere il governo tirannico anticristiano e donare all’umanità una lietificante «pax iucunda et serena»107. Miracolo certo tardo, eppure
proprio per questo più severo nella punizione degli empi108 ed eclatante nell’operare la miracolosa resurrezione della Chiesa perseguitata e
crocifissa109. Quest’ingenua teodicea – che si nutre non soltanto dei libri maccabaici, ma anche del genere storiografico pagano della «mors
tyranni»110 – prospetta una teologia della potenza, del giudizio, della violenza gloriosa che legittimamente il sovrano universale impone, annientando
il nemico per esaltare i suoi martiri; le orrende, giuste morti dei persecutori sono, pertanto, vere e proprie teofanie, «magna et mirabilia exempla»,
capaci di dimostrare l’unicità di Dio 111.

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Il breve excursus sulla storia delle persecuzioni da Nerone a Decio è pertanto dominato da una prospettiva apocalittica: gli imperatori sono – come
indicato dal libro di Daniele e dall’Apocalisse giovannea – bestie demoniache112. Nerone, «execrabilis ac nocens tyrannus […] mala bestia»113, prende
il tradizionale posto di Simon Mago come avversario di Pietro: dopo avere ucciso Pietro e Paolo, Dio lo precipita dalla sommità del suo potere114,
annientandolo; così si riferisce del rapporto strutturale tra Nerone (primo e ultimo persecutore) e l’Anticristo, identificato con l’araldo del diavolo
nell’ultima battaglia escatologica115. Analogamente Domiziano, dopo aver perseguitato vanamente la chiesa, rendendola anzi più fiorente e universale
di prima, è cancellato dall’ira di Dio, come testimonia la damnatio memoriae pronunciatane dal Senato di Roma116. La fedeltà dell’autore ai valori
romani controbilancia l’apocalittica denuncia di Roma come bestia demoniaca: il diffondersi universale del cristianesimo dopo l’uccisione di
Domiziano tende a coincidere con l’estendersi della pacifica civiltà romana e la diffusione degli «iustitiae opera» tra i più lontani popoli selvaggi117.
Ma il persecutore Decio, «execrabile animal»118, interrompe la concordia tra legge e vera religione, replicando la parabola apocalittica del perverso
innalzato alla sommità del potere, insuperbitosi ed esaltatosi come dio, infine precipitato dal vero Dio nell’abisso 119; la stessa descrizione del cadavere
nudo di Decio dato in pasto agli uccelli rapaci120 ubbidisce a un evidente topos apocalittico121, come conferma Apocalisse 19,17,21. In Galerio, la
consueta accusa di brutale ferinità si accompagna alla denuncia delle origini barbare, per via della madre transdanubiana: «Inerat huic bestiae naturalis
barbaries, efferitas a romano sanguine aliena»122; condanna biblica e ideologia della romanitas si armonizzano per affermare l’identità tra cristianità
e autentici, eppure traditi valori classici dell’humanitas123. In quest’ottica, un eroico contestatore pagano delle persecuzioni le definisce «victoriae
Gothorum et Sarmatorum propositae»124, denunciando il regime tetrarchico come dominio ignobile dei barbari sui romani125. Infine, le terribili
descrizioni della morte di Galerio e Massimino, che mescolano testimonianze storiche con suggestioni bibliche, colpiscono per la totale mancanza di
pietà evangelica nei confronti di coloro che comunque muoiono invocando il perdono di Cristo 126; attestazione di una teologia della potenza ultrice di
Dio, culminante nell’orrenda descrizione del massacro sacrificale dell’esercito quasi inerme di Massimino Daia a opera di Licinio127, quindi nella
chiusura dell’opera, ove la celebrazione del trionfo millenaristico di Dio nel saeculum è provata tramite l’annientamento dei suoi nemici128.

Una teologia della storia, dimentica della misericordia cristiana come dell’humanitas romana, pare consumare la tensione escatologica unicamente
nella celebrazione del trionfo terreno della plebs di Dio, finalmente protetta dal riunificarsi tra apocalittica ira divina e potenza spietata degli eserciti

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romani. D’altra parte, forse la carta vincente della partita lattanziana è stata proprio la retractatio dell’esangue monoteismo pagano – storicamente
astratto con il suo dio remoto, enigmatico, inoperante – nella tremenda rivelazione biblica di un Dio onnipotente, signore della storia, imperator di
bene e male, vittoria e rovina, prodigo con i fedeli e terribilmente vendicativo nei confronti dei nemici. Un unico difetto pare turbare, tra le righe, la
semplice, ma coerente ideologia del trattato, rispetto alle prospettive delle Divinae institutiones: la provvidenza del Dio cristiano si impone tramite un
trionfo binato – Costantino in Occidente, Licinio in Oriente –, quasi a riperpetuare il difetto della divisione tetrarchica dell’unico potere teologicamente
fondato. La contingenza storica impedisce la quadratura del cerchio monoteistico-politico: alle bestie apocalittiche non si può ancora sostituire
l’immagine di un unico imperatore, analogo al Figlio dell’uomo di Daniele, figura messianica del nuovo Israele universalizzato.

Echi lattanziani nei documenti teologico-politici di Costantino?

Rinunciando a un’analisi rigorosa di lettere e documenti costantiniani, trattata in altre voci, ci si limita qui a segnalare qualche punto di convergenza
tra la sua concreta azione teologico-politica, dominata da esigenze di ordine e opportunità politica, e le linee fondamentali dell’apologetica lattanziana,
predisposta a divenire ideologia del cristianesimo trionfante129.

Prossima alla prospettiva ancora tollerante delle Divinae institutiones, che condannava qualsiasi culto esteriore imposto, risulta la lettera congiunta di
Costantino e Licinio, pubblicata da Licinio a Nicomedia di ritorno dall’incontro in Italia, nota come l’editto di Milano, riportata nel de mortibus
persecutorum e con varianti nella Historia ecclesiastica: documento eminentemente politico, concede «sia ai cristiani che a tutti la libera possibilità
(libera potestas) di seguire la religione che ognuno si è scelta […] Non si dovrà più negare questa libertà a nessuno che abbia aderito in coscienza
(mentem suam dederet) alla religione dei cristiani o a quella che abbia ritenuto la più adatta a sé»130; l’ideale proclamato da Lattanzio, evidentemente
condiviso da alcuni ambienti imperiali, pare qui provvidenzialmente proclamato come legge dell’Impero.

Nella più tarda Lettera ai provinciali di Palestina (successiva al 324), riportata in traduzione greca nella Vita Constantini131, l’ingiustizia commessa
dagli uomini, in particolare quella dei violenti persecutori che combattono il nomos dell’Onnipotente (27,2), viene duramente colpita da Dio su questa

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terra, mentre i virtuosi – e Costantino per primo, che deve tutto a Dio (28,2-29,1) – vengono premiati e sostenuti dalla provvidenza (24,2-25; 26,2);
opporsi alla potenza eterna di Dio significa danneggiare l’intera res publica (28,1).

Così, l’importante Lettera ai provinciali d’Oriente, coeva alla precedente e riportata in traduzione greca nella Vita Constantini132, è talmente
lattanziana da potere essere definita come epitome dell’Epitome delle Divinae institutiones, mostrando la connessione tra l’opera maggiore e de
opificio dei, de ira dei, de mortibus persecutorum. Essa esordisce con la consueta argomentazione di teodicea: l’onnipotente provvidenza di Dio,
evidente nel meraviglioso ordine del creato (48,1), fa sussistere il male nel mondo (comunque contenuto e infine punito) per far risaltare il bene: «La
grazia della virtù rimarrebbe nascosta e incomprensibile se, di contro, la malvagità non proponesse un tipo di vita traviato dalla follia» (48,2). In linea
con il de mortibus persecutorum, gli imperatori precedenti, tutti malvagi persecutori, (con l’eccezione di Costanzo Cloro, che avrebbe sempre invocato
«il Dio salvatore»), sono definiti «insani di mente», incapaci di mantenere la pace (49,1-2), responsabili della rovina della civiltà romana, superata dai
barbari in umanità (53) e comunque puniti con morte infame e damnatio memoriae dall’Onnipotente (54), garante della vittoria e del trionfo
dell’imperatore giusto e pio (55,1-2). Il ruolo rivelativo-restaurativo del monoteismo, più antico del politeismo (57), e della giustizia è affidato a
Cristo, di cui non si approfondisce minimamente la natura teologica (57), malgrado venga definito «Logos divino» (59), garante del provvidenziale
ordine del mondo, nel quale l’unico Dio compone e armonizza la naturale «pluralità delle pulsioni» degli elementi (58,1-59); fondamentale è poi la
proclamazione dell’ideale di tolleranza religiosa (da esercitare nei confronti degli stessi pagani resistenti all’affermazione della verità), fondato
sull’affermazione della libertà di coscienza, che non può e non deve essere coartata dal potere con la violenza (60,1-2).

Analogamente, la più tarda lettera (di discussa autenticità) di Costantino al re persiano Shabur II 133 insiste sulla connessione tra religione monoteistica,
pacifica potenza dell’Impero romano e trionfo dell’imperatore pio (9; 10,4), garantito dall’ira di Dio con la morte degli empi e dei persecutori (10,3;
11,1-2, con il riferimento alla morte di Valeriano). La sovrapposizione tra monoteistica rivelazione di Dio e potenza diffusiva di legge e giustizia
romane, spinge Costantino a predire il diffondersi universale dell’Impero cristiano: «Dio deciderà di riunire a sé l’umanità intera nella concordia della
religione comune» (IV, 12), ove pare riecheggiata la convinzione lattanziana di un monoteismo originario, universalmente attestato dalla natura
umana.

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DAI PADRI APOLOSTOLICI AD IPPOLITO
Un ultimo indizio della probabilmente diretta influenza di Lattanzio sui documenti ufficiali di Costantino è il Discorso all’assemblea dei santi134,
menzionato da Eusebio nella Vita Constantini e riportatoci in traduzione greca da alcuni manoscritti in appendice all’opera; oggi si tende a attribuire
allo stesso (entourage di) Costantino quest’importante documento, che dimostra una profonda affinità con le Divinae institutiones di Lattanzio,
piuttosto che con le prospettive teologiche eusebiane. In particolare, si è constatata la massiccia utilizzazione dei libri/carmina sibillini cristiani, che
sono del tutto assenti o marginali in Eusebio e nella tradizione origeniana. Essi, invece, rivestono un ruolo apologetico rilevante nell’opera di Lattanzio,
che presenta ben 57 citazioni di questo falso cristiano; ebbene, nei capitoli 18-19 del Discorso come in Divinae institutiones VII 24,1-12, torna il
collegamento tra oracoli sibillini e la IV ecloga virgiliana135, testo del quale si è sopra messa in rilievo la centralità in Lattanzio.

Queste precise, sistematiche, persino raffinate corrispondenze testuali spingono a ipotizzare una profonda influenza teologico-politica di Lattanzio su
Costantino, certo favorita dalla condivisione di ideali romani. Proprio la lattanziana ricerca apologetica di mediazione tra religione/cultura/diritto
tradizionali romani e rivelazione cristiana, nella postulazione dell’esistenza di valori comuni quali monoteismo, tolleranza religiosa, dibattito
intellettuale, ricerca di autentica giustizia politica, può forse illuminare la faticosa ricerca costantiniana di ridurre l’immane frattura che aveva
comunque deciso, da cristiano, di introdurre nell’idea e nella politica dell’Impero. Un atto rivoluzionario che, comunque, dovette essere a lungo
meditato, a partire da una prospettiva nella quale politica e religione erano inseparabili: promuovere la pace, incrementare il dialogo culturale e
religioso favorendo prospettive monoteistiche, rafforzare il governo universale di Roma sostenuto dalla provvidenza, non rompere radicalmente con
le tradizioni religiose romane (almeno fino al 324), ubbidivano comunque al fine supremo di persuadere alla vera religione, di convertire gradualmente
il mondo all’Onnipotente che, premiando la sua pietas, aveva innalzato alla monarchia universale un uomo alla ricerca dell’Uno e del suo ordine
provvidenziale136. Chiaramente, dopo la definitiva sconfitta di Licinio e l’attingimento della monarchia assoluta, la necessità di mediazione politica
con le resistenze pagane tende a scemare, seppure non a cessare137. Proprio questa novità sembra caratterizzare l’altissimo encomio dell’imperatore
aggiunto al VII libro delle Divinae institutiones138: Costantino non è più soltanto il sovrano finalmente monoteista, tollerante, provvidenzialmente
premiato da Dio per la sua ricerca di giustizia e pietas, ma ormai l’unico «sanctissimus» eletto di Dio, illuminato dalla sua giustizia trascendente, che
gli chiede di mediarla al mondo quale universale manifestazione della «maiestas» divina. La lotta per la tolleranza religiosa, l’appello

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all’humanitas classica e alla iustitia romana, la tendenziale convergenza tra religione monoteistica e prosperità pacifica dell’Impero, insomma la
strategia lattanziana di una progressiva, razionale e politica introduzione della civiltà romana sulla via della salvezza 139, sembrano davvero compiute
e superate nella definizione di una teologia politica sacralizzata, avviata verso quella liturgia dell’imperatore immagine di Dio che presto verrà
proclamata da Eusebio.

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S. Girolamo (Chron ad a. Abr. 2343 327 d. C.; De vir. ill., 79, cfr. 80; Ep. LXX, 5), informa che all'epoca di Diocleziano il pagano Arnobio, dopo
aver tenuto cattedra di retorica a Sicca Veneria (Africa Proconsolare, oggi Le Kef), ove ebbe a discepolo anche Lattanzio, spinto da un sogno alla fede
cristiana, avrebbe offerti al vescovo, incerto se ammetterlo fra i fedeli di Cristo, i sette libri dell'Adversus nationes quale prova della sua completa
resipiscenza. La notizia, quale che sia il valore storico del particolare ivi riferito, è l'unica sostanziale da noi posseduta su Arnobio; essa ci permette
di fissare al 327, e con una certa sicurezza, almeno la data della morte di Arnobio. L'attento esame dell'Adversus nationes e degli sporadici riferimenti
da esso offerti (p. es., I, 13; II, 5; IV, 36) ci consente del resto di fissare la data della sua composizione a circa il 305, per quanto il Monceaux, senza
fondati motivi, sia propenso ad assegnare la data 303-305 ai libri dal III al VII, anticipando la datazione dei primi due libri al biennio 296-297. L'opera
di Arnobio, a noi conservata da un solo codice, il 1661 latino della Nazionale di Parigi, un manoscritto del sec. IX, che al settimo libro fa seguire,
come octavus, il dialogo Octavius di Minucio Felice, è divisa in sette libri. In essi l'autore, dopo avere difeso strenuamente il cristianesimo dalle accuse
che gli erano mosse (l. I) e aver risposto a parecchie obiezioni sulla funzione del Cristo nell'opera di salvezza, sui destini ultimi e sull'essenza del
cristianesimo (l. II), ritorce l'accusa di empietà sui pagani stessi e sulle loro idee religiose (libri II-lV), affermando che essi proprio e non i cristiani
offendevano la divinità con le manifestazioni del loro culto (libri VI-VlI). I capitoli finali dell'opera, sull'autenticità dei quali non è possibile elevare
alcun dubbio, per quanto affrettati e disorganici, non possono suffragare l'ipotesi d'una redazione incompiuta o appena abbozzata. Nella polemica
dell'Adversus nationes Arnobio si rivela ancora imperfettamente edotto sulla nuova fede abbracciata, e scarse e sommarie appaiono le sue cognizioni
teologiche: così egli ignora quasi completamente la Scrittura, ripudia nei termini più recisi tutto l'Antico Testamento, immagina gli dei pagani come
veri dei minores, rispetto ai quali il dio cristiano è un Deus princeps. La persona stessa del Cristo appare ad Arnobio nettamente subordinata a quella
di Dio Padre; e l'anima umana, per Arnobio (che si rende a questo proposito eco fedele delle idee espresse da Taziano nella sua Apologia ai Greci),
non creata da Dio, non è di per sé stessa né mortale né immortale, ma può, dopo la morte del corpo, esser passibile dell'una o dell'altra condizione a
seconda dei suoi meriti. Nonostante tutto questo, nonostante le più impensate influenze che è possibile riscontrare nel pensiero arnobiano, Arnobio
rivela nettissimi nel suo temperamento ribelle, nel suo pessimismo pascaliano per tutto ciò che è umano e terreno (per l'azio ne stessa di Dio e della

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provvidenza sulle cose umane), nelle sue stesse preoccupazioni escatologiche, i tratti caratteristici della cristianità africana.19

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TEOLOGIA. Il principale contributo teologico di Cipriano verte sulla ecclesiologia. Per Cipriano, fuori della Chiesa non v'è salvezza (« Extra
ecclesiam nulla salus »), tesi che illustra paragonando la Chiesa a una madre, all'arca di Noè, ecc. Il fondamento dell'unità ecclesiale è la sottomissione
al vescovo (al quale applica, in modo globale, il testo di Mt 16,18), il solo responsabile davanti a Dio. Da quanto riportato in CSEL, III, 1, 4-36, si
apprende che Cipriano non riconosceva la supremazia di giurisdizione del vescovo di Roma sugli altri vescovi né tantomeno che Pietro avesse ricevuto
poteri sopra gli altri apostoli (De unit., IV; Epist. LXXI, 3) e questo spiega la sua opposizione al papa Stefano sulla quest ione del battesimo degli
eretici. Malgrado ciò, i diritti riconosciuti al papa Cornelio e la sua lettera di autogiustificazione di fronte alla Chiesa di Roma hanno fatto pensare ad
alcuni studiosi che Cipriano si sentisse obbligato verso la sede romana. Allo stesso tempo risulta chiaro che egli vide Pietro come il fondamento della
Chiesa (secondo alcune letture del De unit., IV). Per quanto riguarda il battesimo, Cipriano rifiutò la validità del battesimo dato dagli eretici e si
mostrò incline ad amministrare il battesimo ai bambini il più presto possibile anche prima degli otto giorni dalla nascita. Parla inoltre di un battesimo
superiore a quello con l'acqua, cioè quello di sangue ottenuto con il martirio. Per quanto riguarda la penitenza, Cipriano optò per un atteggiamento di
rifiuto sia del lassismo del suo clero sia del rigorismo di Novaziano. Secondo la sensibilità attuale, le sue tesi ci risultano molto rigide, ma tale aspetto
deve esser situato entro i modelli di condotta dell'epoca. Per quanto riguarda l'Eucaristia, Cipriano fu autore dell'unico scritto precedente al concilio
di Nicea consacrato esclusivamente a questo tema. Il suo punto di vista risulta interessante poiché insiste soprattutto sul carattere sacrificale della
Cena del Signore, come ripetizione del sacrificio di Cristo (Epist. LXIV, 14). Questo passo è il primo ad affermare che l'offerta consiste nel corpo e
nel sangue del Signore. Questo sacrificio possiede un valore oggettivo poiché si offre per l'eterno riposo dell'anima (Epist. I, 2) e in onore dei martiri
(Epist. XXXIX, 3); naturalmente manca della piena validità se celebrato fuori dall'unità ecclesiale. Cipriano di Cartagine - DIZIONARIO DI
PATRISTICA (latheotokos.it)

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Cipriano di Cartagine - DIZIONARIO DI PATRISTICA (latheotokos.it)20

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Vescovo scismatico di Roma nel sec. III. Battezzato (non regolarmente, insinueranno i suoi avversarî) e ordinato prete dal vescovo Fabiano, alla morte di questo,
avvenuta durante la persecuzione di Decio (20 gennaio 250), N. aveva già conseguito una posizione preminente in seno alla comunità romana, la direzione della
quale dovette essere affidata a lui, in attesa che la fine della persecuzione permettesse l'elezione di un nuovo vescovo. Tanto si desume dal fatto che le due
lettere spedite in quell'anno dalla comunità romana a S. Cipriano (sono le lettere XXX e XXXVI dell'epistolario ciprianeo, a cura di Bayard, I, Parigi 1925, pp. 71-

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NOVAZIANO in "Enciclopedia Italiana" (treccani.it)

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77; 89-92) furono redatte da Novaziano. La comunità cartaginese era allora turbata dalla polemica circa il trattamento da usare nei riguardi dei lapsi cioè di
coloro che durante la persecuzione avevano in qualche modo ceduto. Investita della questione da Cipriano, la comunità romana, per bocca di N., mostra di
approvare pienamente l'atteggiamento assunto dal vescovo di Cartagine, favorevole a rimandare la soluzione della questione a persecuzione terminata. Ma un
gruppo di fedeli cartaginesi capeggiati dal prete Novato (si avverta qui che la somiglianza dei due nomi, Novatus e Novatianus, resi tutti e due dagli scrittori
greci posteriori con Ναυάτος, Νοουάτος, Ναβάτος, e il fatto che Novato e N. fecero in seguito causa comune, hanno ingenerato più di una confusione) e da un
laico, Felicissimo, assunse tale atteggiamento di opposizione che indusse la comunità a scomunicare i dissidenti.

Poiché a Roma si doveva in quel tempo procedere all'elezione regolare del vescovo, Novato, ritenendo fondatamente che il successore di Fabiano
sarebbe stato N., si recò a Roma per guadagnare questi alla sua causa. Ma il piano, in parte, fallì: ché Novato riuscì bensì a guadagnarsi il favore di
N. e di una parte della comunità, forte dell'appoggio di numerosi confessori, ma non poté impedire che Cornelio fosse eletto vescovo di Roma (marzo
251) in luogo di N. La comunità romana, nella quale erano appena spenti gli echi dello scisma d'Ippolito (v.), si divise nuovamente e la parte contraria
a Cornelio elesse vescovo Novaziano. Ma è necessario osservare che lo scisma romano ha alle origini un carattere del tutto personale. Solo quando
Cornelio, aderendo ai deliberati del sinodo di Cartagine del maggio 251, formulerà il suo programma (sinodo di Roma dello stesso anno) di sostanziale
indulgenza verso i lapsi, lo scisma s'impernierà su questa questione disciplinare, e N. si porrà come campione della più rigida intransigenza,
affermando che coloro che si erano resi colpevoli di apostasia non potevano essere riconciliati nemmeno in punto di morte. (Per la questione,
strettamente connessa alla storia della disciplina penitenziale, v. anche penitenza).

Scomunicati dal sinodo romano, N. e i suoi aderenti videro la loro condanna ratificata dalla grande maggioranza dei vescovi occidentali e orientali
(particolarmente significative le adesioni di Cipriano di Cartagine e di Dionigi d'Alessandria), ma non disarmarono. Anzi, anche quando il gruppo dei
confessori romani che aveva aderito ad essi passò alla parte di Cornelio, si diedero a organizzare il movimento con un'attività prodigiosa. E difatto
ben presto comunità novazianee furono costituite, con regolare gerarchia in nulla difforme da quella cattolica, un po' dappertutto, a fianco alle
cattoliche, in Occidente e in Oriente, soprattutto in Asia Minore dove i novaziani si allearono con le superstiti comunità montanisticheggianti
(v. montanismo). Sta di fatto che, a parte l'innegabile prestigio personale esercitato da N., il suo scisma dovette apparire "all'indomani di una

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persecuzione durante la quale l'onore della Chiesa aveva un poco sofferto, come la protesta dei cristiani intransigenti davanti alla capitolazione dei
deboli, come la reazione dei forti contro il compiacente atteggiamento dell'autorità ecclesiastica nei riguardi dei deboli" (É. Amann). Durante la
persecuzione di Gallo (253) o durante il primo anno di quella di Valeriano (257), N., come del resto lo stesso Cornelio, dovette essere con tutta
probabilità esiliato. A questo episodio si riporta probabilmente la tradizione, di origine novazianea, del martirio di Novaziano.

Chiese novazianee seguitarono a vivere a fianco delle ortodosse fino al sec. V in Occidente e fino all'VIII in Oriente soprattutto in Asia Minore. Divisi
dai cattolici da una questione puramente disciplinare, i novazianei fecero causa comune (spesso fraterna) con essi durante le persecuzioni, le polemiche
teologiche del sec. IV-V e i torbidi che spesso le accompagnarono. Ma non vollero mai abdicare al loro puritanismo. Anzi quando, tramontata l'epoca
delle persecuzioni, la questione dei lapsi non poté più essere posta, irrigiditisi nel loro rigorismo morale, negarono la legittimità di una penitenza
postbattesimale non solo agli apostati ma anche ai colpevoli di omicidio e di adulterio, contrariamente a ciò che aveva affermato lo stesso Novaziano.
A coloro che passavano alla loro setta amministravano un nuovo battesimo. Benevolmente trattati dagl'imperatori cristiani (Costantino invita un
vescovo novazianeo al concilio di Nicea), solo dal sec. V avanzato furono perseguitati come eretici per l'azione combinata della Chiesa e dello Stato.

Opere di Novaziano. - Oltre le lettere già ricordate e una sorta di epistola pastorale De cibis iudaicis (a cura di G. Landgraf e C. Weymann, Lipsia
1898), dove è negato ogni valore alle prescrizioni della legge giudaica in materia alimentare, va certamente riferito a N. un trattato De Trinitate (a
cura di W. Yorke Fausset, Cambridge 1909) concepito come spiegazione della regula veritatis e scritto da N. forse prima dello scisma. Questo trattato
ha grande importanza non solo come il primo scritto latino redatto a Roma in materia teologica (circostanza che basterebbe da sola a porre N. in prima
fila fra gl'iniziatori della teologia occidentale), ma anche perché la dottrina trinitaria ivi difesa da N., per quanto non si discosti troppo dalle posizioni
teologiche d'Ireneo e di Tertulliano, rappresenta un punto di partenza notevolissimo per l'ulteriore svolgimento della teologia trinitaria. Dei numerosi
altri scritti contenuti fra le opere spurie di S. Cipriano (ed. ciprianea del Hartel, v. cipriano) e attribuiti dalla critica a N. (De spectaculis, De bono
pudicitiae, Quod idola dii non sint, De laude martirii, Adversus Iudaeos, De singularitate clericorum) solo il secondo sembra doversi effettivamente
considerare come opera di N.

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Bibl.: O. Bardenhewer, Gesch. der altchristl. Litt., II, 2ª; ed., Friburgo in B. 1914, p. 626 segg.; A. D'Alès, Novatien, Parigi 1924; H. Koch, Cyprianische
Untersuchungen, Bonn 1926, passim; É. Amann, in Dictionnaire de théol. catholique, XI, Parigi 1930, coll. 816-849.

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