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09/02/2022

- Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, Ia IIae, qq. 1-21;


- E. Levinas, Etica e Infinito, Castelvecchi, Roma 2012;
- P. Ricœur, Sé come un altro, Jaca Book, Milano 1993.

pag. 2-16 Breve storia dell’etica e filosofia

prima pars secundae partis TOMMASO D’AQUINO pag. 17 Questione N. 1 Il Fine dell’Uomo

Pag.18 Questione 2 i costitutivi della BEATITUDINE; pag. 20 questione 3 l’essenza della BEATITUDINE; pag. 21 q. 4 I REQUISITI della
BEATITUDINE; pag. 22 questione 5 il CONSEGUIMENTO della beatitudine;

pag. 23 questione 6 VOLONTARIETA’ ED INVOLONTARIETA’ DEGLI ATTI-7 LE CIRCOSTANZE; pag. 25 questione 8 L’OGGETTO
DELLA VOLONTA’, pag. 26 questioni 9 LE CAUSE MOVENTI LA VOLONTA’

Q. 14 IL CONSIGLIO CHE PRECEDE LA SCELTA –Q. 15 IL CONSENSO, atto della volontà relativo ai mezzi;

Questioni 18 LA BONTA’ E LA MALIZIA DEGLI ATTI UMANI pag. 27 e 19 LA BONTA’ E LA MALIZIA DELL’ATTO INTERNO ag. 31
lezione del 23.03.22 pagine 1 - 32 San Tommaso d’Aquino

Pag. 33 LEVINAS Totalità e Infinito

Pag. 51 Ricoeur, Sé come un altro, la giustizia

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. Dunque della filosofia morale che non è storia della morale che precede anteriormente prima

della filosofia morale che nascerà in Grecia. Prima e altrove ovunque ci sono stati dei modi di essere che oggi chiameremo morali, cioè
riferimenti a norme, comportamenti. Tutte le culture hanno questa componente. Non c’è cultura umana segnata dalla presenza di una
dimensione che possiamo chiamare etica, morale, comportamentale i termini potrebbero essere molte. Queste cose sono studiate
dall’etnografia, dall’antropologia culturale, dalla storia della fenomenologia delle religioni perché spesso queste due dimensioni sono
profondamente intrecciate. Il Passaggio da questa dimensione a quella più propriamente filosofica è avvenuto in Grecia. Fino a qualche anno
fa c’era qualcuno che si occupava di queste questioni, mondo che è immenso, un po' alato poteva sembrare così importante da affrontare
eventualmente altrove.

IL FENOMENO DELLA GLOBALIZZAZIONE che fa sì che il mondo sia diventato più piccolo, es. le olimpiadi in Cina basta un link su smartphone
e guardarle. La Cina è un continente dove la dimensione etica è importantissima, in particolare con Confucio (IV sec. A. c.). L’India, ma anche i
popoli delle culture preletterarie o delle culture del Medio Oriente. Perché è importante questo? L’incontro dentro questo fenomeno della
globalizzazione ci porta a contatto con altre culture e altri popoli, mentre prima erano lontani anche fisicamente oggi non lo sono più. Da venti- trenta
anni c’è tutta una riflessione filosofica interculturale; per cui soprattutto su queste questioni che riguardano il comportamento delle donne e degli
uomini, c’è una qualche ricerca di conoscenza reciproca (es. se voi dovete fare degli ingegneri cinesi per qualche cosa se fate una proposta loro, prima
di dire sì, devono fare una trafila e solo dopo che c’è stata l’approvazione loro diranno di sì ma questo è legato ad una gerarchia interna che va rispettata
(togliere questa cosa significa togliere l’assetto della cultura). E’ un comportamento morale, procedurale e un comportamento rituale, qui si aprirebbero
questioni ampie che non tocchiamo. Queste cose che prima che erano accanto alla riflessione filosofica, oggi in certe diramazioni di filosofia
interculturale hanno una certa rilevanza, significherebbe mettere in rapporto la filosofia con qualcosa che non è immediatamente filosofico, tuttavia
dentro queste culture se non c’è filosofia c’è pensiero come nella religione e cultura. E’ un capitolo che fino a qualche anno fa non esisteva, che oggi
si è aggiunto ad altri, quindi quasi un punto esterno, per certi aspetti, che diventa un punto interno dell’etica.

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TOMMASO D’AQUINO: SUMMA THEOLOGICA (I, q.1-26) – PHILOSOPHICA & THEOLOGICA (wordpress.com)
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GRECIA. La prima parte del tempo greco è molto simile a quello che vi stavo descrivendo, perché ancora non è la filosofia però sono gli antefatti
indispensabili per capire cosa si è prodotto in Grecia. Quando si doveva insegnare qualche virtù ad un greco del VI-VIII sec. A. c., quando ancora non
esisteva la filosofia, si andava a trovare un capitolo dell’iliade, (es. come si deve comportare il guerriero; che cos’è la virtù del coraggio? In una civiltà
guerriera aveva una grande importanza. Allora si va a leggere quello che Omero ha raccontato per poi domandarsi se l’ira di Achille quella che dà
inizio all’Iliade era giusta o sbagliata a non voler più combattere oppure ha fatto male? Allora le risposte in qualche modo erano date dai poemi
omerici oggi sono i poeti di varia natura spesso affrontano questioni che oggi diremmo morali). La questione diventa più acuta la cultura ateniese sarà
un luogo di incubazione in particolare della filosofia attraverso quei poeti che vengono chiamati i “Tragici” Eschilo, Sofocle ed Euripide. Qui
siamo alla nascita della filosofia o quasi in contemporanea. Perché sono importanti? Perché gli ateniesi andavano a teatro come voi dovreste andare a
messa la domenica, perché era un atto “religioso” ed era il luogo di identità e comunità della Polis. Attraverso le vicende che venivano narrate, si
ponevano delle domande e, forse, si davano delle risposte, in ogni caso erano personaggi che facevano punto di riferimento per illuminare la vita e le
scelte a chi assomigliavi se mai si potesse assomigliare a qualcuno di quei eroi problematici (es. Oreste uccise sua madre, ha fatto bene o ha fatto
male? come uscire da questa storia in cui viene coinvolto ecc. 2(L’ORESTEA è l’unica tragedia greca rimasta le altre sono degli estratti. Internesto
uccide Agamennone al ritorno della vittoria dalla guerra di Troia, lei e il suo amante, Oreste ucciderà sua madre perché non può non farlo deve
vendicare la morte del padre ma facendo questo compie un atto criminoso che è quello del matricidio. Come uscirne? E’ una cosa che perdurerà per
sempre? La tragedia assume questo e tante altre cose. Parte da una risposta, le questioni venivano affrontate lì. Ci sono i poemi, Omero, ci sono i miti
della storia precedente, i poeti quando si discuteva lo si vede ancora nei dialoghi di Platone, la prima cosa che si fa si cita un poeta, come voi citereste
un versetto della bibbia perché avevano un valore religioso culturale di indirizzo. Poi ci sono i tragici, i primi saggi i primi sapienti, qui siamo al
confine. Questo mondo che precede la storia della filosofia, tra questi saggi possiamo mettere i primi grandi filosofi da Talete in avanti. Su questi temi
di cui tratta l’etica troviamo relativamente poco in questi autori. Perché abbiamo soltanto dei frammenti, e poi probabilmente non era il loro interesse
ma sono filosofi che si sono occupati della natura, della realtà com’è questa realtà, qual è la sua causa? Dicendo di una ricerca della verità danno un

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Trilogia dell’Orestea, Cinque straordinarie tragedie greche - Cinque cose belle
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indirizzo, se ci sarà qualcosa di etico è dentro in quell’orizzonte e non in altri (Eraclito). La riflessione etica esiste e, spesso, quasi bisogna ricavarla
da discorsi che trattano apparentemente di altre cose.

Un altro elemento importante che precede la filosofia e, in qualche modo la inaugura, è l’opera dei Legislatori. In tutte le civiltà, ci sono stati dei
legislatori, pensate alla bibbia Mosè. Senza Mosè, esisterebbe Istraele da un punto di vista storico? Non fate riflessioni di tipo teologico. Mosè dà una
legge. Così avviene per figure mitiche Solone ad Ad Atene (VII-VI sec. A. c.) è lui che fa una riforma giuridica una legge della polis. Questi
appartengono già a quello che chiamiamo “mondo morale” ma non sono ancor auna riflessione etica.

Quando è che si innesta il processo che porta all’etica? CON LA COMPARSA DEI SOFISTI. SOFISTA voi la utilizzate con un’accezione
tendenzialmente negativa; di per sé, voleva dire in greco SAPIENTE ma nell’uso che ne farà Platone quella parola assumerà un significato negativo.
Spesso c’è un giudizio negativo perché prima Socrate, poi Platone in qualche modo sono stati implacabili nei confronti di questo mondo.

Una lettura storica potrebbe dare una lettura diversa, sono stati loro ad inventare una cosa che stiamo facendo ossia uno che insengna e altri che
ascoltano e imparano insegnare, della scuola occidentale. La scuola come la conosciamo noi nasce in particolare ad Atene, grazie ai Sofisti. Così
anche il concetto di PAIDEIA vuol dire educazione, pedagogia deriva da Paideia. Sono loro che inventano oggi si direbbe la formazione, scienze della
formazione, com’è che si forma una persona. I sofisti prendono tutto questo sapere tradizionale dei legislatori e sapienti la mettono in crisi. Passano
al vaglio tutto ciò che hanno ricevuto e lo fanno con grande tatto.

Sono artisti della parola, sanno convincere. Noi abbiamo delle loro testimonianze che ci sono giunte tramite Platone che dedica alcuni dei suoi dialoghi
a loro, es. il PROTAGORA, uno dei più importanti della riflessione politica. La cosa che avviene è la rottura della tradizione, di questo tipo avverrà
molto più tardi secondo l’illuminismo del ‘700. Tutto viene messo in discussione e affidato alla forza della parola.

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SOCRATE E I SUOI SOFISTI. Socrate un eroe nazionale perché ha combattuto la battaglia di Maratona3, critico dei critici. Sappiamo qualcosa di
lui tramite Platone. Socrate resiste in nome di una eccellenza aretē,4 aristocrazia, che i latini tradussero in VIRTUS. Per Socrate che cos’è?
L’eccellenza è il pensiero, il logos che matura in un dialogo anche stretto. Qual è l’eccellenza dell’uomo? E’ il suo logos, il suo pensiero che sappia
comprendere una teoria. Chiunque, che venga ben istruito, educato, ben guidato, è in grado di abbandonare comportamenti eventuali negativi. L’uomo
può volere soltanto il bene. Certo può fare male, ma se incontra un tipo come Socrate… La finalità è quella di adottare comportamenti e stili di
vita che diremmo “razionali”, ossia secondo il logos. Vivere secondo logos è il massimo, è la rete suprema.

In Socrate c’è l’idea una sola di ARISTOS. Tutti i suoi discendenti diranno che saranno molteplici. Chi vive secondo virtù è il miglior cittadino,
è colui che vive bene nella sua polis. Verrà accusato di Empietà, ossia violazione della religione, non osservante la religione della città, e corruttore
di giovani. C’è un dibattito pubblico nel grande consiglio di Atene e c’è una maggioranza che decide che è colpevole, potrebbe andare via invece
decide di bere la cicuta. Queste cose ci vengono narrate da Platone. Pur dichiarando la propria innocenza, la Città gli dovrebbe riconoscere tutto quello
che ha fatto di bene e affronta la morte.
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Nel “Il Signore” di Romano Guardini, teologo italiano vissuto in Germania, che è una specie di ritratto di Gesù, c’è un capitolo dedicato alla morte
di Gesù e al parallelo tra la morte di Socrate, celebrata da Platone, anche lui accusato in maniera grave viene condannato a morte ma anche lui
innocente con la morte di un altro condannato che è Gesù. A dir il vero, aveva paragonato anche la morte di Gesù a quella del budda, nella prima
edizione italiana poi è stata tagliata. Tre morti cosa c’è (?), eppure BUDDHA muore serenamente. Tra i santi della filosofia per i greci c’è Socrate.
Erasmo da Rotterdam6, ricevette la sua laurea in teologia a Torino, aveva inserito nella litania dei Santi Socrate. In Socrate l’elemento etico diventa
particolarmente importante, perché si tratta di realizzare l’eccellenza dell’uomo, la cosa per cui l’uomo arriva alla sua espressione più alta e

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Battaglia di Maratona - Wikipedia
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ἀρετή ( genitive ἀρετῆς) f, first declension; (aretē)
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Amazon.it : guardini romano il signore
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https://it.wikipedia.org/wiki/Erasmo_da_Rotterdam
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questa è aretē. Su questo si muoveranno Platone e Aristotele. Poi abbiamo Socrate, poi di colui che ci ha parlato di lui è Platone. Il Socrate dei dialoghi
della maturità forse è una finzione, parla di Socrate ma gli attribuisce i propri pensieri. Cosa più controversa per i primi due dialoghi sembra che ci
presentano l’aspetto storico di questo sofista.

 I DIALOGHI DI PLATONE. L’ETICA di PLATONE la trovate in quasi tutti i libri. Il dialogo più importante LA REPUBLICA
(Politèia)7 ed è imponente. E’ un capolavoro di scrittura e organizzazione, trovate un pò di tutto: l’inizio della Giustizia, i dibattiti feroci
nell’Atene di quel tempo, la Costruzione rapporto tra città e anime, l’esame delle parti dell’uomo e della città quando tutte le parti sono giuste
si realizza la Giustizia, trovate una riflessione sul bene. Poi l’estetica, la pedagogia, i programmi di scuola, i tipi di musica, i miti. E’ un intero
universo in un solo dialogo. Qual è l’idea di fondo? E’ sempre l’aretē quella della virtù ma diventa plurale, ci sono molte virtù e queste
vanno organizzate affinché ci sia giustizia nell’anima di ciascuno e nella città che raggiunge il suo valore la sua pienezza quando vive
secondo giustizia. E’ una città ideale e, allo stesso tempo, è il modello di una città che voglia realizzare. E’ una città libera o autoritaria?
Soprattutto nel XX si è scatenato un dibattito. Oggi parlano male di Platone, dualismo ecc. 8“La storia della Filosofia è Platone e le note del
Platone”. Platone ha posto le basi di tutte le questioni filosofiche. Esempio Popper è stato antiplatonico poi quando ha provato a teorizzare
mondo 1, mondo 2, mondo 3 qualcuno gli ha fatto osservare che una teoria di tal genere c’è in Platone per lo più la ritiene inadeguata. Perché
oggi la filosofia è fortemente influenzata da Nietzsche è colui che ha voluto misurarsi con Platone, perché sapeva che o la vinci o la perdi
con Platone. Si può discutere criticamente Platone, quest’etica è anche aristocratica.

 Cosa avviene in ARISTOTELE? In Platone se prendete un dialogo, come La Repubblica, tutto o quasi tutto. Aristotele è l’inventore
dell’enciclopedia filosofica perché tutto quello che Platone ha tenuto insieme Aristotele lo distingue. [Filosofia fondamentale, poi la
fisica, la matematica, (filosofie teoretiche) poi le filosofie della prassi (economia, politica), poi le logiche, poi le poietiche ecc]. Tutto quello
che Platone tendeva a tenere insieme in un unico dialogo Aristotele lo suddivide, se parliamo di etica parliamo di cose diverse dalla politica

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LA REPUBBLICA di platone (filosofico.net)
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Alfred North Whitehead Tutta la storia della filosofia occidentale non è che un... (lefrasi.com)
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anche se ha dei rapporti con la politica. L’ETICA NICOMACHEA è fondamentale perché è un’opera di Etica e diventa un modello per le
riflessioni successive. E’ l’inventore della storia della filosofia, quando scrive di un argomento dice che cosa hanno scritto prima di me.
Compone questa etica. La struttura dell’etica di Aristotele la ritroviamo in San Tommaso. Qual è il fine dell’uomo? Vivere bene. Se questo è
il fine dell’uomo come si raggiunge? Le virtù, con i beni sufficienti al corpo e avere amici. Essere virtuosi, ci sono due tipi: morali (del
comportamento) e intellettuali (tra cui spicca prudentia), poi ci sono due grandi virtù né propriamente morale né intellettuali la giustizia e la
morale. Nel mondo anglosassone c’è ancora una tendenza aristotelica.
 Fine IV sec. 338 a. c. (Cheronea) e la fine di Atene. La potenza dei Macedoni prima Filippo e poi Carlo Magno.

Ovunque arriva Alessandro conquista l’impero persiano e porta il greco. Il greco diventa la lingua del mondo e lo sarà tra il 300 a. c. e 300 d. c.
Infatti Vangeli sono stati scritti in greco. Se il pensiero era di qualcuno di un certo ceto ateniese adesso può diventare di chiunque, anche uno
schiavo può diventare filosofo, es. Epitteto, se le condizioni le lo permetteranno. Platone dice che le città non devono diventare grandi, invece le città
più piccole sono più armoniose. In questo mondo che è diventato più grande diventa un cosmos.

LO STOICISMO, i maestri che si riunivano sotto il portico. L’Accademia per Platone. Una filosofia dove arriva il greco arriva lo stoicismo. Le
grandi questioni vengono ridotte. Esempio che si ricava da EPITETO, filosofo tardivo. La filosofia è come un fruttifero. La cinta (il perimetro)
distingue il vero dal falso. La dottrina del mondo. I frutti sono l’etica, l’arte del vivere, del comportamento che è guidata dal logos che è ragione.
VIVERE SECONDO RAGIONE, la ragione è la natura dell’uomo dunque è vivere secondo natura. C’è una grande quantità di scuole, ciò che
le unisce è l’importanza sono gli esercizi spirituali gli hanno inventato gli stoici. “La filosofia antica è un esercizio spirituale”. La filosofia è un
esercizio spirituale. La filosofia è composta da una parte da logica e fisica, non ci sono solo corpi ma anche l’anima è fatta di dimensioni corporee e
anche qui si tratterà di raccogliere questi frutti, vivere bene. Se noi siamo dei corpi viventi come si vive bene? Quando riusciamo ad allontanare il
dolore. Il piacere cos’è? E’ l’assenza del dolore. C’erano anche i filosofi che teorizzavano. Per Epicuro il piacere, dunque la felicità, è l’assenza del
dolore. L’altra componente è l’avere degli amici. Vivere così è vivere con gli Dei. L’epicureismo non nega le divinità ma le divinità non si interessano
delle cose umane e noi dobbiamo imitare gli Dei “non rovinarci il fegato”. L’etica è di nuovo il fulcro della vita.

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 ROMA

Passano lo stoicismo e l’epicureismo. L’arte romana è una ripetizione di quella greca. Le grandezze sono di tipo architettonica le opere e costruttori
di città è quella che crea il diritto e dell’Impero che si espande su tutto l’occidente tenuto insieme da un potere centrale prima repubblicano e poi
imperiale con grande libertà religiosa e filosofica. La filosofia viene accolta con molta diffidenza e l’unica che viene accettata è lo stoicismo. Nel
mondo repubblicano, precedente all’era cristiana, c’era una specie di adozione e ripensamento, che si depositerà in un concetto di Officium che noi
traduciamo come dovere. Chi opera questa tradizione? Uno in particolare Cicerone, scrive un De Officis (dei Doveri). Sarà un modello per Ambrogio
di Milano che scriverà un nuovo De Officis. Il dovere legato a un dovere pubblico nei confronti della Repubblica e poi dell’Impero. Nella rilettura del
cristianesimo c’è a un ritorno dello stoicismo. La filosofia come arte del vivere. Roma ha accolto lo stoicismo e l’ha incorporato nella sua politica,
Cicerone. Pensate che da questo punto di vista, il mondo Americano è più romano che greco tanto che hanno il Campidoglio. Mentre nel UK una
tradizione greca.

 C’è un capitolo importante che è il NEO-PLATONISMO, nasce nel secondo secolo e ha diverse figure, la figura più importante era Plotino.

PLOTINO, certo è un commentatore conosceva bene la filosofia degli stoici (Socrate, Platone) incentrato sull’Uno. La morale è un aspetto
indispensabile all’uno. Senza una vita morale buona non si può operare. Di per sé nella morale Neo Platonica non ci sono grosse novità. Il fine
dell’uomo non è la felicità. L’etica è strumentale non è un fine di per sé. Per gli stoici e per gli epicurei l’etica è l’arte del vivere bene, un fine della
vita. Qui è uno strumento, in qualche modo passerà nel pensiero medievale può darsi Agostino. Fine storia della filosofia antica.

Una conclusione di grande livello. Plotino è quello che ha determinato il sentire filosofico successivo nel mondo cristiano.

L’altra grande sorgente del pensiero, insieme ad Atene è Gerusalemme, di radice biblica. Se noi andiamo a leggere l’Antico testamento è una fede,
religione; è una fiducia verso Dio che si è rivelato e che ha scelto Istraele e che si codifica in un’Alleanza ove ci sono norme etiche, i primi
comandamenti, che si dilatano EUTERONOMIO (tanto da far chiamare quella parte come la legge, il comandamento, ciò che ti guida nella vita,

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un’accezione molto pratica, fede monoteistica). Questo elemento etico dell’Antico Testamento che nel tardo antico c’erano i PROSELITICI quelli
che si avvicinavano all’Antico testamento per lo stile di vita, come Luca. C’è una forma di proselitismo del mondo ebraico nei confronti del mondo
circostante, cioè i farisei i missionari chiuderanno questa stagione con il 70 d. c., la missione non è più del mondo ebraico. Quello che noi chiamiamo
l’Antico testamento potremmo definirlo UNA FEDE ETICA. Certo, che se noi guardiamo la storia c’è la legge, se leggiamo Paolo, c’è la promessa
ci sono poi due filoni: uno cristiano e uno ebraico. Quando Giovanni Paolo II quando andò in sinagoga ebraica gli chiamava “fratelli maggiori”. Nella
bibbia… secondo me sono due fratelli gemelli distinti con caratteristiche diverse, gemelli eterozigoti, uno è figlio della legge e l’altro è figlio della
promessa. Nella linea dell’ebraismo post-biblico, che nasce dopo il 70 d. c., che fa scoprire il giudaismo ecc. tutte quelle cose che si studiano nei testi
infra testamentali che poi confluisce nel cristianesimo. Il giudaismo è legato alla legge orale, viva e non più scritta, che poi viene scritta, Mishnah,
che diventerà Talmud babilonese e ebraico9; post-biblico, dal quale si stacca il cristianesimo. Il giudaismo arriva ai giorni nostri. L’elemento etico
e giuridico ha un’enorme importanza perché è un asse, ci sono dogmi Dio ha scelto Istraele, che è unico, che è buono, il Messia ecc. Il filone etico e
la sua estensione giuridica è importante. In Istraele, c’è una componente religiosa di varia natura, molti ebrei ma sono atei non hanno alcun interesse
religioso. Per avere l’idea dell’ebraismo bisogna avere l’idea dell’etica. Se passiamo al cristianesimo, figli della promessa, DOVE IL TERMINE
DELLA FEDE NON è PIU’ SOLO LA FIDES QUA MA acquisterà il significato della FIDES QUAE, dove ci sono dei contenuti che si depositano
nel credo nelle sintesi che si trovano nel Nuovo Testamento. IL CRISTIANESIMO SI PRESENTA COME UNA FEDE rispetto al mondo ebraico
che per certi versi è più una pratica, in cui è inclusa la fede, ove tuttavia la componente etica è fondamentale. “Il cristianesimo non è una morale ma
una fede” il che è giusto, ma se questo significa scorporare la dimensione etica dalla fede è una grave manomissione perché è una fede etica (dove
mettere la seconda parte delle lettere di Paolo, la lettera di Giacomo). L’etica è un momento fondamentale ed è dentro l’orientamento della fede.
Può esserci una forma di cristianesimo moralistico ma è altra storia. Ma dire che il cristianesimo è una fede e non morale ma è falso storico. Se
studierete le lettere di Paolo studierete le parti etiche, le liste delle virtù e dei vizi, vi diranno che sembra molto lo stoicismo popolare. San Paolo si
dice che è cresciuto a Tarso, ove vi era una buona scuola di Retorica. Lo stoicismo si era diffuso come stile di vita senza dover essere dei filosofi.
L’etica è presente che fa i conti con il mondo e con la storia soprattutto nel cristianesimo occidentale meno in quello orientale. Si troverà di fronte al

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Talmud - Wikipedia
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neoplatonismo e introduce delle virtù nuove ad esempio, la virtù della povertà, la beatitudine della mansuetudine, l’umiltà ecc. che non trovate nella
tradizione greca o romana, civiltà guerriere. Ci sono delle differenze abbastanza notevoli.

 FINE 300 IV – 400 V sec. d. c. AGOSTINO

Agostino muore quando la città è assediata dai vandali, ci sono già le invasioni barbariche. Qui l’incontro è tra istanze tra cristianesimo e
neoplatonismo, con una base di stoicismo. Agostino è ostile agli stoici “De civitate dei” di agostino, che l’arte della denigrazione degli altri. “le virtù
degli stoici sono vizi”. Colpa di Agostino? Non sapeva il greco, quindi non poteva leggere i padri greci. Qual è la colpa dei cristiani? Aver abbandonato
il greco nella liturgia, fino al 300 a Roma in greco poi abbiamo scelto in latino. Gesù nell’ultima cena ha parlato in ebraico. La fede e le opere ne
viene fuori tra Agostino e Pelagio contrapposizione che coinvolge l’occidente.

 GREGORIO MAGNO sia come pensatore sia pontefice. C’è un lungo commentario “Moralia in Iob” dove trasmissione del mondo tardo
antico a quello medievale, nuove popolazioni i barbari. Lì c’è una frattura, nasce una nuova cultura con il regno dei Franchi, con Carlo Margno.
C’è un lungo periodo di decadenza e c’è una prima ripresa e lì dove vive Carlo Magno viene istituita una scuola “Palazium”, nel XIX sec., in
cui convergono alcuni pensatori, metteranno delle basi poi metteranno dal XI sec. D. c. in avanti una ripresa, lì c’è Albino.

 Chi ha salvato la cultura dell’occidente? SONO STATI I MONACI IRLANDESI. Tutte le imprese barbariche non hanno toccato l’Irlanda.
Gregorio Magno li fa venire e sapeva il greco; traduce dei testi. Nella scuola palatina c’è un primo risorgimento, c’è un secondo nell’anno
1000 e soprattutto nel XV sec. Una grande importanza, sul piano teologico, è Anselmo d'Aosta o di Canterbury; poi con la nascita
dell’Università.

FINE

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16/02/2022

IL XIII sec. D. c. Nascono monasteri, grandi cattedrali, scuole. 10RIVOLUZIONE SCOLASTICA (filosofia cristiana medievale). Abelardo

e San Berardo. Qual è la novità? C’è l’invenzione di un modulo di ricerca teorico-dogmatico. Quando c’è una discussione c’è il sì e il no. Diventerà
fondamentale nella struttura di San Tommaso. Si tratta di raccogliere le motivazioni, le argomentazioni su alcune domande.

In che cosa consisteva la morale? Nel rispettare la legge. La lettura da parte di Abelardo e San Girolamo. Non basta per essere buoni il rispetto della
regola ma ci vuole anche la dimensione personale, ossia la partecipazione del soggetto e della coscienza. Nei primi decenni del XIII sec. Nell’occidente
di allora, arrivano a Parigi, i testi di Aristotele in arabo perché in Oriente in zona siriaca da Antiopia a Damasco coltivavano anche la tradizione
aristotelica era prevalente la tradizione platonica. Vinceva Aristotele, adattato allo spirito neoplatonico. La seconda generazione di questi si innamorò
della cultura. Sono affascinati dalla cultura di questi. Da lì in avanti fino al millennio l’arabo diventa cultura, certo c’era il turco, il latino. Un filosofo
teologo ebraico del medioevo scrive in ebraico e fa tradurre in arabo. Tommaso d’Acquino chiese a Guglielmo di Moerbeke11 di tradurre i testi di
Aristotele (L’Etica e la Metafisica). Aristotele prima rifiutato diviene un modello. Tommaso lo recepisce e lo schema di Aristotele è una ricerca di
tipo filosofico, non come complemento ma come modello nella Summa contra gentiles. C’è una sfiducia verso la ragione, la realtà in sé è inaccessibile.
Nella tradizione cristiana le regole saranno i comandamenti.

IL XIV d. c. 400 La ristrutturazione politica e culturale dell’Italia dei Comuni. La lenta e l’antica riscoperta del matrimonio antico, la grande opera di
Petrarca. La riscoperta di un latino medievale da quello antico, da qui Cicerone. Il mondo greco quasi antico sconosciuto. Ci sarebbe da studiare un
grandissimo cultore Niccolò Cusano, un caso a sé.

10
SCOLASTICA in "Enciclopedia Italiana" (treccani.it), https://www.sapere.it/sapere/strumenti/studiafacile/filosofia/La-filosofia-medievale/Gli-esordi-della-
scolastica/La-scolastica.html
11
Guglielmo di Moerbeke - Wikipedia
11
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IL XVI d. c. 500 Tommaso Moro ed Erasmo da Rotterdam. Erasmo pubblica un testo in greco. L’invenzione della stampa incominciano ad essere
pubblicati i classici, anche greci e della tradizione cristiana. Sono ancora poche le copie ma diventano accessibili. Tutto questo rimescola tutto c’è una
riscoperta del sapere antico intriso in questo umanesimo antico, l’utopia di Tommaso Moro, 1517, cancelliere del Regno Unito. L’opera di Niccolò

Macchiavelli, il Principe, mette le premesse per la modernità ed è il primo tentativo di sottrarre la riflessione politica di considerazioni di tipo etico.
Sono quasi contemporanei Macchiavelli ed Erasmo. Invece, con l’opera di Macchiavelli, la politica è sganciata non ci sono considerazioni etiche ma
la politica ha le sue regole. Macchiavelli è dedito allo scetticismo antico. La reintroduzione di un pensiero scettico. Michel de Montaigne, uno stile di
pensiero che è più noto in Francia e ha arrangiato un atteggiamento più scettico. In Moro ed Erasmo c’è una ricerca di sintesi, mentre in Montaigne e
Macchiavelli questo non esiste. IN LUTERO la dimensione etica è successiva e non è fondamentale. Ciò è una specie di rottura, un ritorno ad uno
stile agostiniano, che si irradierà nel ‘700. Michelangelo è toccato da questi elementi e lo mostra nella pittura.

XVII sec., 1600, un secolo di riforme in primis RIVOLUZIONE SCIENTIFICA e NASCITA dello STATO MODERNO. Un secolo di Grandi
linee teoriche, ancora profondamente religioso. La posizione dell’uomo è diversa da quella del medioevo. L’uomo è il punto di raccordo tra il mondo
terreno e spirituale. Nel 1543 esce a Cracovia, in Polonia, Niccolò Copernico, testo in cui viene presentata la teoria eliocentrica =>Fonti
neoplatoniche di questa teoria antica e da lì si aprirà un dibattito che chiuderà Newton con “i principi matematici” 12 Philosophiae Naturalis Principia
Mathematica” di Isaac Newton 1686.. Si passa da un sistema aristotelico con la terra al centro si passa a un sistema con al centro il sole. Si impone la
teoria eliocentrica. Sono saltati i canonici del mondo dice Amleto13. L’opera fondamentale di CARTESIO con la metafisica, una fisica nuova che
non regge però con un’idea che il mondo è “una res extensa” 14. Scrive un libro, ove c’è una morale nascosta, “Le passioni dell’anima” è l’invenzione
scientifica moderna si dice qualcosa della morale. SPINOZA, 1675, esce “Ethica ordine geometrico demonstrata”.15 E’ interessante che l’etico sia
l’etica, è una metafisica è un’antropologia è anche un’idea perché c’era l’antica tesi degli stoici perché fare etica? Perché rende felici serve per vivere

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Philosophiae Naturalis Principia Mathematica - Wikipedia
13
Amleto: trama, riassunto e mappa concettuale | Studenti.it
14
Res cogitans e res extensa - Wikipedia
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L'etica spinoziana: la felicità del pensiero - Classicult
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bene, possiamo pensare di avere la beatitudine, che verrà sostituita con la felicità ma non è la stessa cosa. Questa è la grande linea del razionalismo
(Cartesio, Spinoza ecc.). In quel secolo, c’è la ripresa della filosofia empirista che aveva antichi precedenti greci e poi nel tardo medioevo. Grande
figura ispiratrice è PLATONE, più ideologo della scienza, perché sulla teoria della scienza è debole, perché pensava che la matematica fosse inutile,
la rivoluzione scientifica è tale grazie alla matematica, però ha creato il clima di una speranza soprattutto teologica. L’Utopia16 di Platone, questa
isola, dove regna la scienza. La scienza diventa un parametro. Vive in questo immaginario. L’unica realtà è il mondo materiale da costruire su un
modello cartesiano. INVENZIONE DELLO STATO MODERNO. Lo Stato già esisteva prima ma è diverso, l’etica che riguarda il comportamento
dell’uomo. Lo Stato che determina la legge e l’organizzazione ha a che fare con la dimensione etica molto di più di quanto si pensa.

XVIII, 1700 il secolo dei lumi, fenomeno europeo, tutta la cultura europea è investita. Questo fenomeno che tocca una piccola parte (10%). Questa
è una rivoluzione che si farà sentire con la rivoluzione francese. Nella rivoluzione francese i costumi perché venendo meno uno schema metafisico la
concentrazione si focalizza sull’uomo e sui suoi comportamenti. Se l’uomo “cogito ergo sum” io sono un essere morale, dunque sono. La mia identità
più significativa è la morale. In filosofia morale si occupa di indicare tutti i sentimenti che illuminano l’uomo, la simpatia universale la capacità di
entrare in contatto con l’uomo. Questa è la tradizione inglese. Quello inglese è più un esame critico. Jean-Jacques Rousseau. Kant ricaverà da
Rousseau che l’esistenza umana alla sua conformazione morale. Il giovane Kant pensa che la fine del mondo è nella sua ragione soprattutto teoretica,
intelletto. Immanuel Kant, come tutti gli illuministi, ha un mito. Qual è? Isaac Newton. Kant farà scrivere sulla tomba di Newton “Il cielo stellato
sopra di me. La legge morale dentro di me”. Perché è più importante l’altra. E’ un uomo che vive secondo il dovere è superiore all’uomo che scopre
l’universo. Se studiamo il mondo possiamo dire che l’uomo è libero, le due tesi si equivalgono, due tesi contrarie che hanno uguale peso da un punto
di vista del ragionamento. La legge si può rivolgere solo ad un uomo. Si diceva se vedi ricavo la libertà, sei libero dunque puoi. VOLONTARIETA’
DELL’AZIONE. Osservando l’uomo nella natura, come si dice oggi avere questo è il mio DNA, abbiamo chiuso alla libertà. Da un punto di vista
tecnico scientifico allora tu sei determinato. Allora se io sono determinato perché mi ritieni responsabile. Tutti coloro che sostengono questa tesi si
fermano oppure lo devono risolvere con una questione di utilità sociale. Chi ha la forza di dire questa è la regola? Kant introduce questa dimensione

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Utopia Razionale: L'utopia di Platone: tra totalitarismo, classismo, eugenetica e pseudo-comunismo.
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dell’assolutezza della morale tanto che gli permette di arrivare. Mentre nell’esperienza morale abbiamo l’intuizione della libertà, della possibilità che
ci sia un premio alla libertà. Questi sono postulati, tutti legati alla dimensione morale.

IL XIX, sec. 1800, Se Kant è un certo illuminismo, poi c’è una reazione il romanticismo poi un filone filosofico idealismo. Dove Kant arriva è il
punto di partenza, allora incominciamo ragionare. Della libertà parlano i due grandi filosofi. Il piano della libertà era è lo spirito che diventa
consapevole di sé e dunque libero, cioè si espande. Tutti sono liberi. Allora la dimensione politica non è l’unico elemento. Hegel. Schelling. Tutti
questi autori hanno la strada della libertà.

Arthur Schopenhauer17 una volontà ceca. Liberazione dal dolore. La musica e l’estetica, condotta etica tiene sotto controllo questa volontà cieca
di vita. E’ suprema sarà la compassione, la presa in carico della liberazione altrui. La compassione. In questa linea, di una volontà potente ma non
libera si muoverà uno dei suoi discepoli Nietzsche “genealogia della morale” di come nasce l’istinto morale nell’uomo Nota distinzione tra morale
degli schiavi e dei padroni, quelli che si impongono quindi volontà di potenza; in entrambi ma in due mondi diversi e che sono opposti. Il filone
dell’Idealismo, primo ‘800, e poi Nietzsche fine ‘800. Nascono le grandi città Parigi, Londra. Qual è la più grande fine ‘700 è Napoli, Parigi e Londra
a seguire. La Francia e il Regno Unito si trovano di fronte a questa novità, industria, manifattura, grandi commerci. POSITIVISMO di Gotthold. Di
fronte a questa situazione troviamo la posizione di Marx. Vuole la rivoluzione, mettere in questione le stratificazioni sociali. C’è la nascita del
pensiero comunista, la più importante marxista. L’etica è dei borghesi e la usano per controllare. C’è un solo imperativo marxista “proprietari
di tutto il mondo unitevi”. L’utilitarismo18, filosofia sociale, bisogna regolare la società l’utilità “la più grande felicità al maggior numero
possibile di persone”. Che è più anglosassone, costi e benefici tipicamente utilitaristici ma a livello economico.

IL 900, XX sec. Molto ricco per la riflessione morale. Come se ci fosse un’esigenza morale che ha avuto difficoltà a manifestarsi. Prima degli anni
’80 c’era il dibattito ideologico. All’inizio del ‘900 noi abbiamo una piccola eredità. Benedetto Croce e Giovanni Gentile, però l’etica è nelle forme
dello storicismo (logica, estetica, politica, economia). Quindi queste due forme stoicismo e idealismo che hanno avuto forte impatto. La riforma

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Arthur Schopenhauer - Wikipedia
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J. Bentham (1748-1832
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scolastica di Gentile ha influenzato il modo di pensare e di essere. Distinzione tra politica ed etica, economia. La cultura italiana è profondamente
influenzata.

Bergson “le due fonti della morale e religione” pubblicata nel 1932. BERGSON ha distinto tra due tipi di morale: quella dell’obbligazione fondata
sui doveri tradizionali di un gruppo sociale e quella assoluta tipica dei profeti di Israele, dei filosofi greci e dei santi del cristianesimo. C’è una forte
esigenza morale e una certa difficoltà di capirlo. Chi non lo farà sarà la fenomenologia. Sia nella versione sia tedesca sia francese l’esigenza è molto
alta ma non si esprime. C’è un’eccezione.

23/02/2022

Il 900 presenta una caratteristica un’esigenza morale. La fenomenologia nella sua versione sia francese sia tedesca è stata una delle linee più vivaci
del ‘900, eppure non mancano i contenuti di etica. Max Scheler (1874-1928) E’ uno dei due fondatori alla riflessione morale è importante perché la
sua fenomenologia dei valori ha avuto dei riflessi importanti. Bergson 1907, “l’evoluzione creatrice”, arriva la questione etica e poi relativamente
quella religiosa, ha avuto meno influsso di quello che ci si poteva attendere. Questo in Francia ha avuto una certa influenza. L’ermeneutica, un altro
grande filone che ha il capostipite. C’è un caso unico nel superamento dell’ermeneutica EMMANUEL LEVINAS19. Il problema etico è ritornato.
Questo ha fatto sì che negli ultimi decenni del ‘900 e i primi due del II millennio il dibattito e la ricerca si sono nel dibattito successivo di quello che
era stato in precedenza. Negli autori che leggeremo la tecnica non ci sarà. Anche tutti gli altri autori ci danno ottimi contenuti però andrebbero
ripensati. Esempio l’etica planetaria (cfr. ).

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EMMANUEL LEVINAS (filosofico.net)
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TOMMASO D’AQUINO anche se in un contenitore nuovo. Poi vedremo due pensatori che hanno dato il loro contributo alla riflessione etica.
(libro del 1956, Günther Anders). Serviva per formare i frati per la confessione. La prima parte contiene l’antropologia e la teologica. La seconda
parte è tutta dedicata alla morale. E’ un trattato che porta questioni che diremmo filosofia. Si discuteva se si doveva leggere Aristotele, San Tommaso
dice di sì. Se noi confrontassimo le Summe di San Tommaso e Aristotele ci sono delle differenze. Tommaso si fa rintrodurre la metafisica e l’etica
dal greco all’arabo e poi al latino. Si ragionava per questioni. Noi vedremmo dalla 1 alla 26. Per rispondere a queste le scompone in sotto domande
con grande capacità analitica. Si compone in articoli, in domande. Si risponde per suddivisione interna. Quella domanda trova una risposta se è
scomposta nei suoi elementi. Troveremo la 18 che sarà la questione più importante. Com’è composto l’articolo? Aberardo aveva inventato il metodo
del sic et no, cioè su questioni teologiche ci si domandava come erano le opinioni dei teologi, Agostino, e dei maestri. Alcuni dicevano di no e altri
sì. Appartiene all’uomo agire per un fine? Ci sono quelli che dicono di no, l’umo non agisce per un fine. C’è una prima affermazione sed contra.
Stabilito questo che è una citazione, l’articolo procede con un articolo ed è il responsum, una citazione dominante e rispondo e qui si trova quasi
sempre nell’argomentazione. All’inizio c’erano delle obiezioni e vengono elaborate delle risposte. Qualche volta succederà che noi ci rifaremo a
queste risposte.

QUAESTIO – ARTICOLI- DOMANDA (da non perdere la domanda) – IL RESPONSUM e poi una RIELABORAZIONE delle obiezioni. E’ uno
schema abbastanza efficace, voi prendete le obiezioni si prende sul serio ciò che dicono gli altri, c’è un’elaborazione del pensiero e poi una
rielaborazione delle elaborazioni.

C’è un prologo. C’è un gruppo di 5 prime questioni che si occupano del tema del FINE poi la questione degli ATTI UMANI dentro cui si pone la
domanda se ci sono ATTI o AZIONI BUONE E CATTIVE (N. 18) e poi altre 19-21. Poteva porre quella domanda all’inizio ma invece non lo fa.

1153 Prorogo - II PARTE Da Pagg. 1153

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Deriva dal I libro di Etica aristotelica, la risposta sarà aristotelica. San Tommaso lo riprende nei suoi capisaldi e poi lo rielabora. IL FINE
DELL’UOMO: LA BEATITUDINE.

Il fine lo troviamo soltanto nell’uomo o anche altrove? Art. 2 – questione 1.

2/03/2022

Questo finalismo, nell’articolo 2 e ritornerà nell’articolo 8 della I QUAESTIO, coinvolge tutto l’umano. Quello che dice Tommaso è fisico e metafisico.
LA FINALITA’ E’ CIO’ CHE QUALIFICA L’AZIONE UMANA IN SE’ (cfr. articolo 3, questio 1). L’azione è umana non perché dell’uomo ma
perché è presente in essa un fine. Non è che può o non può esserci ma è fondamentale. Dal fine affermato articoli 1-4 si passa al fine ultimo, ossia
se esiste un fine ultimo dell’azione umana. Successivamente si chiede se esista un fine ultimo. Non si può andare all’infinito ma si può e si deve
concludere ad una causa finale come l’argomentazione di Dio come fine e come causa prima (articolo 4).

Art. 5 se può l’uomo avere più fini ultimo? No, in quanto tale deve essere unitario perché se non fosse così rinvierebbe ad un fine ulteriore). Se la
struttura è quella delineata negli articoli precedenti, il fine ultimo accompagna e segue tutte le azioni dell’uomo. Queste sono determinata da un
fine, non un fine qualsiasi ma un fine ultimo. Il fine ultimo è qualcosa che accompagna tutte le azioni dell’uomo. <<Necessariamente… fine.
Secondo, … movimenti>> (responso articolo 5 quaestio 5). Il necessariamente è nella logica delle cose, è l’indicazione del percorso. Tommaso è un
ottimista? Non è sbagliato che l’uomo persegua un fine ultimo, c’è un errore grave nel determinare il fine ultimo così. C’è uno sguardo ottimista in
Tommaso d’Aquino. Il fine ultimo è quel motore che anima il nostro “appetito”, ossia la nostra volontà; per cui, senza il fine ultimo quel motore
sarebbe inerte non si metterebbe in movimento. Domanda impegnativa se il fine ultimo sia uguale per tutti gli uomini. Potremmo dire, ed è la tesi oggi
più diffusa, che ciascuno ha il diritto di scegliersi il fine ultimo che vuole quindi non c’è un fine ultimo per tutti. Nel medioevo veniva esclusa questa
logica perché si riteneva che fosse unico.

<<Possiamo considerare… ancora>> Tutti vogliamo raggiungere il proprio fine. Oggi questa presunzione non sarebbe così netta per Tommaso, per i
medioevali era ovvio. Tutti vogliono un fine perché vogliono realizzare la propria vita. Nella determinazione c’è una grande varietà ma c’è una cosa
è necessaria ossia tutti perseguono un fine. Ultimo articolo un discorso metafisico ciò che vale per l’uomo vale in altra maniera e non consapevolmente
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per altre creature. Tutte le cose si muovono divengono orientate al proprio fine. Nell’uomo questo fine avviene in maniera consapevole nelle altre no.
Il fine ultimo, che è la perfezione, è unico, universale e per ciascun uomo.

Quaestio 2. Il fine ultimo è il bene e che sempre di più verrà determinato come beatitudine (questioni 2 e 3). E’ necessario per l’azione umana ma
può essere compreso in maniera diversa e rientra la loro ragione, libertà e le pressioni che possono esercitarsi attraverso le passioni. Ciò che Aristotele
aveva detto nell’Etica con qualche aggiunta che non poteva essere la sua.

I primi articoli. Se la beatitudine dell’uomo possa consistere:

nelle ricchezze*;

negli onori*; se consiste nella gloria (il che è più medievale);

se consista nella potenza*. Questi sono beni esterni che gli altri ci attribuiscono.

Secondo blocco. BENI INTERNI: il corpo, il piacere (anticamente qualificato come piacere sommo), l’anima e in che cosa dell’anima se un bene
creato (articolo 8) o in un bene increato (art. 1, questione 3). LE QUESTIONI 2 e 3 SONO CONGIUNTE per determinare l’oggetto della
beatitudine. L’uomo agisce per un fine ultimo bene che vale per tutti ed è unico. Quando noi determiniamo il nostro fine nascono delle differenze
es. il denaro.

Articolo 2 gli onori, riguardano per il valore di una persona. Nella gloria è quasi un doppione dell’articolo precedente forse è una sottolineatura
spiegabile con il contesto di Tommaso che apparteneva a una famiglia nobiliare, la cui scelta di entrare nei frati predicatori era stata contestata. Nella
potenza.

<< Dimostrazione: È impossibile che la beatitudine consista nel potere, per due motivi. Primo, perché il potere ha natura di principio, come dimostra
Aristotele [Met. 5, 12], mentre la beatitudine ha ragione di fine ultimo. - Secondo, perché il potere è indifferentemente buono o cattivo, mentre la

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beatitudine è il bene proprio e perfetto dell‘uomo. Quindi una certa beatitudine potrebbe trovarsi più nel buon uso del potere, dovuto alla virtù, che
non nel potere medesimo. Si possono poi portare quattro argomenti generali per dimostrare che la beatitudine non consiste in nessuno dei predetti
beni esterni. Primo, perché la beatitudine è incompatibile col male di qualsiasi genere, essendo essa il bene sommo dell‘uomo. Invece tutti i beni
suddetti possono trovarsi sia nei malvagi che nei buoni. - Secondo, perché non è ammissibile la mancanza di un bene qualsiasi necessario all‘uomo
una volta raggiunta la beatitudine, essendo questa per natura sua «per sé sufficiente», come dice Aristotele [Ethic. 1, 7]. Invece dopo il conseguimento
dei singoli beni sopra indicati possono ancora mancare all‘uomo molti beni necessari, come la sapienza, la salute del corpo, ecc. - Terzo, perché
dalla beatitudine non può mai derivare un male, essendo la beatitudine il bene perfetto. Non è così invece per i beni suddetti: infatti sta scritto [Qo
5, 12] che le ricchezze spesso vengono conservate «a danno di chi le possiede»; e lo stesso si dica per gli altri beni enumerati. - Quarto, perché
l‘uomo deve essere ordinato alla beatitudine da princìpi interiori, essendo ordinato ad essa per natura. Invece i quattro beni ricordati derivano
piuttosto da cause esterne, e spesso dalla fortuna: infatti sono anche chiamati beni di fortuna. È perciò evidente che in nessun modo la beatitudine
può consistere nei beni suddetti >>. Questi sono beni esterni all’uomo. Passiamo ai beni interni che possono essere del corpo o dell’anima.

Articolo 5: corpo. L’autoconservazione del corpo.

Articolo 6, quaestio 2: IL PIACERE. Nella versione epicurea il fine ultimo è il piacere supremo è l'assenza del dolore. Tommaso non tiene conto di
tutta questa lunga riflessione che è stata ossessiva per il pensiero greco. In Tommaso non c'è una valutazione negativa del piacere perché in questo
ritorniamo all’aristotelismo. Gran parte dell'etica cristiana in occidente i primi padri della chiesa erano gli stoici e dunque il piacere andava eliminato.
Tommaso riprende la tesi aristotelica secondo cui il piacere è la perfezione dell'atto, il piacere non è il fine (ciò che va ricercato) ma è qualcosa che
può accompagnare il fine. (E’ vero il piacere è un problema della teologia fondamentale. Ultima edizione del dizionario teologia morale il termine
piacere non c’è. In Platone il piacere non è negativo, non era assoluto, è qualcosa di positivo se è quella cosa lì, non è il fine, ma ciò che accompagna
il fine). Nonostante il tomismo sia stato assunto come riferimento filosofico su questo punto del piacere non ha recepito l’insegnamento di Tommaso
d’Aquino. Qui c’è un influsso di Aristotele che ha permesso di mettere in luce una cosa che c’è nella cultura.

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La domanda successiva è se la beatitudine dell‘uomo consista in qualche bene creato (?). Articolo 8 quaestio 2: doppia risposta. LA BEATITUDINE
dell’uomo NON E’ UN BENE CREATO. Dio è il bene increato. La beatitudine come la viviamo noi è un bene creato. Il fine può indicare l’oggetto
che desideriamo oppure il conseguimento stesso.

Quaestio 3 Articolo 1 Se la beatitudine sia un bene increato? Il bene assoluto è Dio quindi la beatitudine un bene increato cfr. <<il fine può
creare due cose… qualcosa di creato >>. Fa da pari con l’articolo 8 della questione 2 se la beatitudine consiste in un bene creato. Dietro c’è la dottrina
dell’anima.

Articolo 2 se la beatitudine sia un‘operazione. Tutta la tradizione cristiana agostiniana riletta l’anima è un principio attivo del corpo
e l’espressione più alta dell’anima è nella sua operatività. In Aristotele e in Tommaso d’Aquino ha dimensioni diverse, una parte sensitiva che può
essere sia vegetativa sia legata a funzioni più animali e poi intellettiva; c’era già in Platone ma soprattutto operativa in Aristotele. Fanno parte della
dimensione sostanziale del corpo. La domanda è che se sia parte sensitiva o di quella intellettiva? E’ la parte intellettiva è quella più coinvolta.
L’antropologia influenzata era la cosa più diffusa nel medioevo invece dava più importanza alla volontà. Articolo 3 se sia di quella intellettiva o
sensitiva. <<una cosa può far parte della beatitudine in tre modi… dei sensi>>. Noi non possiamo conoscere se non a partire dall’attività dei sensi,
nell’antropologia di Tommaso che era la stessa di Aristotele. Noi non abbiamo una conoscenza diretta delle cose che non sia la rielaborazione di ciò
che i sensi ci offrono. Quindi tutta l’attività intellettiva anche la felicità presuppone l’attivarsi dei sensi cfr. << invece... dei sensi>>.

C’è la parte dell’intelletto e della volontà. L’antropologia di Tommaso, che è influenzata da Aristotele, dava una preponderanza dell’intelletto rispetto
alla volontà. Invece i francescani e san Agostino davano più importanza alla volontà. << Se la beatitudine sia un atto dell‘intelletto o della volontà
>> articolo 4. Grande dibattito in età medievale. (Come fai a mettere in moto senza la volontà). In Tommaso tutte e due sono necessari ma primeggia
l’intelletto rispetto la volontà, per il bene la volontà. Per i medievali era un tema importante. << Per la felicità si richiedono due cose… verso il fine

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>> c’è un primato dell’intelletto nella sua esecuzione coinvolge la volontà nel momento in cui la sua realizzazione è piena. L’intelletto che raggiunge
e la volontà che si acqueta. C’è una priorità dell’intelletto. C’è un’ulteriore domanda che lo riguarda.

Articolo 5: Se la beatitudine sia un‘operazione dell‘intelletto speculativo o dell‘intelletto pratico. Speculativo riguarda la verità, l’intelletto che
raggiunge la verità per orientarla ad un’esecuzione nella vita. La priorità spetta all’intelletto speculativo. <<la beatitudine… dilettevole>>. Il più
nobile è quello speculativo. <<Secondo, …a qualche fine>> la contemplazione ha senso in sé, non serve ad altro. <<Terzo, ... in un grado inferiore>>.

Gli articoli 6 e 8 sono importanti per i dibattiti che c’erano nella loro epoca. Se la felicità si raggiunge con l’intelletto speculativo è sufficiente fare i
filosofi ed è vero quello che dicevano certi filosofi cosa c’è bisogno della teologia se con l’intelletto speculativo noi arriviamo al divino? Questo è lo
schema della filosofia moderna da Cartesio in poi. Qui siamo in un contesto in cui l’apporto teologico è più importante di quello filosofico. Ci sono
anche gli aristotelici. Ci si pone il quesito se la felicità consista nelle scienze speculative, quali la filosofia e teologia. Certo in questo nostro curriculum
vitae avete raggiunto la felicità ma non è quella assoluta. La ragione è sufficiente di sé. La risposta sarà di mettere in discussione questo aspetto.

Articolo 7 fa riferimento ad una tradizione di origine islamica. Nella tradizione islamica c’è un abisso totale tra Dio e il mondo ed è incolmabile. C’è
una forma di avvicinamento nella tradizione filosofica. Nel cristianesimo dopo l’incarnazione l’incontro tra Dio e l’uomo è avvenuto. Nella tradizione
islamica si possono conoscere soltanto i gradi superiori che sarebbero i mondi angelici. Nel Cristianesimo non riusciamo a concepire perché con il
dogma dell’incarnazione un qualche punto tra Dio e Uomo c’è. Nell’ebraismo è un po' ridotta che è la possibilità di conoscere i mondi angelici. Mentre
in Platone c’è una chiara tesi dell’anima. Si ricorre al mito. In Aristotele non c’è, si discute.

Questione 4. Sarà più importante la visione o il godimento? La visione se si considera l’intelletto prevalente. Qui c’è una tesi antropologica.
Nello schema che abbiamo per la visione il corpo non è richiesto ma è sufficiente l’anima. Tema già noto dai teologi es. Agostino. Il cristianesimo
parla anche di resurrezione ma se la visione di Dio è così piena anche il corpo verrà recuperato. La domanda era in Aristotele riguardava a questa vita
se non c’è la partecipazione del corpo si potrebbe essere beati o felici? Gli stoici avrebbero detto di sì. In fondo è il ragionamento che faceva Socrate
nel suo ultimo dialogo in cui definisce il corpo come il soma, carcere cd. dell’anima. Sono indispensabili i beni esteriori. Altra domanda aristotelica

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si può essere felici da soli? Si o siete Dio o delle bestie, gli uomini non possono essere felici senza gli altri. I grandi trattati dell’amicizia sono stati
latini e greci. Perché non sono stati più scritti dal 1500? Perché siamo entrati nell’epoca dell’individualismo, la competizione e l’invidia sociale.

Questione 5: IL CONSEGUIMENTO DELLA BEATITUDINE. Se l‘uomo possa conseguire la beatitudine, saremo in grado di arrivarci? Articolo 1
cfr. << Dimostrazione: Il termine beatitudine sta a indicare il conseguimento del bene perfetto. Quindi chiunque è capace del bene perfetto è in grado
di raggiungere la beatitudine. Ora, che l‘uomo sia capace del bene perfetto lo dimostra il fatto che il suo intelletto è in grado di apprendere il bene
universale e perfetto, e la sua volontà è in grado di desiderarlo >>. Se c’è qualcosa non può essere a vuoto. Se c’è l’intelligenza, il bene l’uomo può
raggiungerli.

Altre questioni se un beato può essere più felice degli altri? Se si possa essere felice in questa vita? Non è disprezzabile la felicità. Non sempre questo
è nella tradizione spirituale e morale cristiana. Se si possa perdere questa beatitudine? La felicità è incerta e perfetta, non è assoluto. Per la beatitudine
non è così, non si può vedere la natura divina e poi non vederla (rinvio a Diogene). La felicità perfetta non toglie valore alle altre dimensioni di felicità.

Articolo 5: se possa raggiungerla con le sole capacità umane. Cfr. << Dimostrazione: L‘uomo può acquistare la beatitudine imperfetta, raggiungibile
nella vita presente, come può acquistare le virtù, negli atti delle quali consiste tale beatitudine, come vedremo in seguito [q. 63]. Ma la perfetta
beatitudine dell‘uomo consiste, e lo abbiamo già visto [q. 3, a. 8], nella visione dell‘essenza divina. Ora, vedere Dio per essenza è al disopra della
natura non soltanto dell‘uomo, ma di qualsiasi creatura, come fu già dimostrato nella Prima Parte [q. 12, a. 4]. Infatti la conoscenza naturale di una
qualsiasi creatura segue il modo della sua sostanza, come il De Causis [8] dice a proposito dell‘Intelligenza [angelica]: «Conosce le cose che sono al
disopra e quelle che sono al disotto di sé secondo il modo della propria sostanza». Ora, qualsiasi conoscenza che segua il modo di una sostanza creata
è inadeguata alla visione dell‘essenza divina, che sorpassa all‘infinito ogni sostanza creata. Quindi né l‘uomo né qualsiasi altra creatura può conseguire

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l‘ultima beatitudine con le sue capacità naturali >>. Articolo 6: Se l‘uomo acquisti la beatitudine mediante l‘influsso di una creatura superiore. Per i
medioevali erano sostenuti da angeli angelici, avevano altra natura di quella che attribuiamo loro oggi.

Articolo 7: I, q. 62, a. 4; Comp. Theol., c. 172 Se siano richieste delle opere buone perché l‘uomo ottenga da Dio la beatitudine.

Articolo 8: se ogni uomo desideri la beatitudine cfr. << Dimostrazione. La beatitudine può essere considerata in due modi. Primo, partendo dalla
nozione universale di beatitudine. E in questo senso è necessario che ciascun uomo desideri la beatitudine. Infatti la beatitudine in genere consiste nel
bene perfetto, come si è spiegato [aa. 3 e 4]. Ma essendo il bene l‘oggetto della volontà, il bene perfetto sarà quello che sazia totalmente la volontà.
Quindi desiderare la beatitudine non è altro che desiderare l‘appagamento della volontà. E questo tutti lo vogliono >>. E’ necessario che la desideri
altrimenti potremmo dire che l’Universo non avrebbe senso e che nell’uomo sia stata originata un’aspirazione irraggiungibile.

9/03/2022 N. B. Dalle questioni numeri 6 alla 17 lettura solo in parte. LA STRUTTURA DELL’ATTO UMANO, che ci è ricordato dalla
questione n. 1 all’articolo1. LA DOMANDA SULL’AZIONE UMANA. Questo capitolo o non c’è o c’è in una forma diversa che ritroviamo qui. La
lettura di Aristotele lo induce ad affrontare la questione morale dall’azione umana. Kant parte dalla legge, si muove tutto da lì gli interessa quanto
l’azione umana si conformi al dovere. Invece, San Tommaso arriva alla questione al centro e affronta il discorso sulla legge in modo diverso. Lascio
da parte queste questioni. Questione 1 atto umano è guidato dalla ragione mentre l’atto dell’uomo è automatico privo di alcuna consapevolezza, oggi
diremmo in maniera istintiva. QUESTIONI 6 e 7 L’INVOLONTARIETA’ O VOLONTARIETA’ dell’AZIONE UMANA, MISURA IN CUI E’
VOLONTARIA è ATTO UMANO LA MISURA DELL’INVOLONTARIO è ATTO DELL’UOMO. VOLONTARIO EQUIVALENTE DI LIBERO
E DUNQUE DI MORALE. C’E’ UN’EQUIVALENZA TRA QUESTI TRE AGGETTIVI: MORALE – VOLONTARIO – LIBERO, DOVE PER
MORALE VA INTESO SIA IL MORALMENTE BUONO, dunque quello che lui chiamerà il virtuoso, SIA IL MORALMENTE CATTIVO CHE è
IL VIZIOSO. NEL LESSICO DI TOMMASO MORALE NON è COME QUELLO OGGI, ossia moralmente buono. L’ATTO è MORALE IN
QUANTO E’ ATTO LIBERO. Dalla questione 18 cercheremo di vedere perché si può definire moralmente buono o cattivo. MORALE NON VUOL
DIRE BUONO mentre nel linguaggio oggi diffuso si tende a identificare il morale come atto buono. In TOMMASO IL MORALE SI RIFERISCE
AD ATTO LIBERO E VOLONTARIO, un’ulteriore precisazione chiarirà se è buono o cattivo. Tommaso ha fuso i due filoni da cui procede la sua

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ricerca e la sua sintesi: un filone agostiniano –punta sull’intenzione- e quello aristotelico. Il primo era quello più diffuso al suo tempo ed era stato
rilanciato da P. Abelardo. Quest’ultimo che finisce nella questione 13 e 14 è recente lo scopre e lo adotta dopo aver letto il commentato dell’Etica di
Aristotele. Tommaso fonde queste due tradizioni e ne trova un equilibrio. Viene evidenziata soprattutto la linea dell’intenzione (cfr. Porro) oppure c’è
un’altra linea degli anni ’50 aveva privilegiata la linea aristotelica, non la linea dell’intenzione che confluisce nella colpa moderna ma la linea della
ragion pratica. Tommaso se avesse dato più importanza alla prima avrebbe strutturato in altro modo la prima parte della Summa T.

La DISTINZIONE ORIZZONTALE mette in rapporto le varie questioni all’intelletto e alla volontà. Fin dall’articolo 1, l’atto umano è volontario
dunque morale perché l’uomo è dotato di ragione, intelletto e volontà guidata dalla ragione dunque libertà. Ciò l’abbiamo visto in precedenza es. se
la beatitudine avesse a che fare più con la ragione speculativa o pratica, Tommaso nella linea dell’intelletto senza escludere l’altra. C’è un certo
equilibrio in Tommaso. “L’uomo è l’intelletto”. Cos’è che qualifica l’uomo se non la ratio, la sua intelligenza. In morale la volontà è fondamentale
non è sufficiente sapere cosa sia il bene ma bisogna attuarlo. Nell’attuazione è implicata la volontà. Il primato appartiene all’intelletto perché è grazie
ad esso che la volontà conosce quale sia il bene da raggiungere. Nello schema viene trattata prima la volontà e poi l’intelletto.

QUESTIONI 6 e 7 che trattano della volontarietà e involontarietà delle azioni. Volontario equivale a libero e a morale. Se noi dicessimo che il
comportamento è involontario, non libero, la questione morale non si porrebbe. Tommaso è un medievale per cui quelle involontarie rappresentano
un numero ridotte il che è una tendenza opposta a quella di alcune dottrine del nostro tempo per cui la gran parte delle azio ni sono involontarie,
soprattutto nelle neuroscienze secondo le quali siamo l’effetto di cause che ci precedono, quindi la dimensione è ridottissima se non inesistente la
categoria della volontà. Se fosse così nessuno di noi non sarebbe imputabile. (Per Spinoza noi non siamo liberi, abbiamo una potenza di azione. Anche
Arthur Schopenhauer20 e Nietzsche. C’è tutta una linea che afferma la libertà dell’uomo intesa come potenza e non vera libertà. Spinoza sta
riemergendo soprattutto nel campo delle neuroscienze. Trattato delle passioni di Cartesio ha inventato le neuroscienze). Tommaso non affronta queste
questioni. Lo schieramento più grande è quello di negare la libertà. Articolo 4-8 schema aristotelico. Quando succedono queste cose gli atti sono

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Arthur Schopenhauer - Wikipedia Arthur Schopenhauer: la vita è un pendolo che oscilla tra dolore e noia - Studia Rapido
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involontari. Tommaso dirà nel primo caso (violenza se si possa parlare di involontarietà) negli altri casi no. QUESTIONE 6, ultimo articolo. L'ATTO
E' INVOLONTARIO QUANDO L'IGNORANZA E' ANTECEDENTE che porta a volere una cosa che uno non vorrebbe come un omicidio
preterintenzionale E QUANDO C'E' VIOLENZA. Tutti gli altri sono volontari per Tommaso. Oggi abbiamo una casistica molto maggiore, esempio
i disturbi alimentari. LA TENDENZA DI OGGI è QUELLO DI ESTENDERE L’INVOLONTARIETA’ OGGI A DIFFERENZA DELL’UOMO
MEDIEVALE CHE LA LIMITAVA, come dimostrano la psichiatria e la cronaca giudiziaria. Ci sono certe linee di pensiero che la estendono molto.
Non possiamo riproporre Tommaso così com’era ma è necessario che interloquiamo con l’antropologia, pensiamo all’infanticidio.

Questione 7: le circostanze degli atti umani. Il problema delle circostanze. La domanda è se siano accidenti dell'atto umano? Per Tommaso
c'è la sostanza e gli accidenti. L'essere vale per la sostanza e anche per gli accidenti (libro IV metafisica). La volontarietà è collocata nel tempo, spazio
cioè influenzata dalle circostanze. Abbiamo visto ciò che dipende dall’intelletto e volontà, cd. dimensione orizzontale.

L’orientamento al fine (questioni 8-10);

I DIMENSIONE VERTICALE

c’è l’espressione “è necessario” riguarda quella che Tommaso potrebbe definire libertas maior, che si definisce a partire dal fine che è il bene e porta
con sé la verità e qui c’è una necessità, ossia l’uomo non può non avere un fine; è una libertà a cui non ci possiamo sottrarre altrimenti cancelliamo
noi stessi;

II DIMENSIONE - III DIMENSIONE riguardano i mezzi (che potrebbero essere fini intermedi) entra in gioco libertas minor, ossia libero arbitrio,
che riguarda i mezzi per raggiungere quel fine;

II colonna l’aspetto volitivo e intelletto: questione 9

Questione 8, articolo 1. dentro di noi c'è questo "appetito" che è una forma di inclinazione, desiderio, spinta, apertura. Siamo rivolti ad un fine che è
il bene ed è una necessità. Può essere un bene reale o apparente. L'uomo non può non volere la beatitudine, il bene, non è diversamente ma è così. Può
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Pag.
essere reale (creato o increato questioni 1-3) oppure un bene apparente, es. il denaro, pur sempre un bene, dove la ragione non si è educata nel modo
dovuto però la struttura è identica, va cercando la sua beatitudine, se non fosse così non sarebbe un uomo. L'UOMO è DIRETTO AL BENE poi
dipenderà da lui e circostanze se sia in grado di raggiungere il bene. Non viene messo in disparte l'apertura al bene da parte dell'uomo. L'uomo non
può non volere il male ma il bene, ma lo può volere anche in maniera sbagliata. Questa idea era comune al pensiero antico, medievale alla prima parte
del pensiero moderno fino a Kant. La tua struttura persegue il bene, persegue la felicità, anche quando stai facendo l’incontrario del bene. Non è la
soggettività moderna ma dell’intelletto. L’uomo può scegliere il bene o male. L’uomo non può non volere il bene altrimenti il tutto non avrebbe senso.

Questione 9, articolo 1 l’intelletto e la volontà. In Tommaso c’è la volontà che mi riporta al bene ma non senza l’azione dell’intelletto, quello che
viene detto in questo articolo 1, se la volontà sia mossa dall’intelletto.

16/03/2022 Per Tommaso la maggior parte delle azioni sono libere e, quindi, morale. Il bene caratterizza il pensiero di Tommaso.

Quaestio 14. Questi due capitoli si trovano nell’Etica aristotelica. Se la traccia aristotelica si riscontra nelle questioni I-V, altrettanto nella 13 e 14.
Analizziamo prima la 14 che tratta il consilium (cancellate deliberazione come traduzione).

Prima di un'azione si fa una ricerca. Ha ad oggetto il fine o i mezzi per raggiungere il fine? Vedere articolo 2, questione 14. Il consilium riguarda i
mezzi. L'uomo non può non volere il bene, quindi sul fine non c'è scelta ma sui mezzi per raggiungere. RIGUARDA I MEZZI che per raggiungere
quel fine sono innumerevoli. Si esercita la libertas minor, il libero arbitrio. Si esercita sulla scelta dei mezzi non sul fine in sé, che è la beatitudine,
non è quest'ultimo oggetto di scelta, altrimenti verrebbe meno la nostra costituzione ontologica. << Al dire del Filosofo [Ethic. 3, 3], noi non
deliberiamo nel nostro consiglio su queste due cose: sui fatti insignificanti e su quelli già determinati nel loro modo di esecuzione, cioè sui vari esercizi
delle arti; «eccettuate le arti congetturali», precisa il Nisseno [l. cit.], «come la medicina, la mercatura e simili >>. Le arti hanno delle regole che non
vanno violate. Noi agiamo in vista del fine che sarà l'ultima cosa, ma è prima nel mettere in movimento. Deve avvicinarsi ad un orientamento preciso.
Articolo 6. Non si può risalire all’infinito ma bisogna fermarsi.

CONSILIUM – INTELLETTO

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Pag.
QUESTIONE 15: la volontà, ARTICOLO 1.

Principio indimostrabile: il principio di non contraddizione.

Questione 18 dove volontario e libero equivale a morale, 19-21. L’ordine del suo pensiero è sempre giustificato, possiamo dire rigoroso.

La questione 18 la più importante: LA BONTÀ E LA MALIZIA DEGLI ATTI UMANI IN GENERALE. Stabilito che l’uomo raggiunge un fino
con azioni volontarie, quindi, libere. Se si male o bene un’azione. Se fino adesso l’orientamento generale era il confronto con Aristotele, da qui in poi
ritorna il confronto con Agostino, perché tale tema nell’Etica aristotelica non è affrontata molto ma provengono più da una tradizione biblica,
letteratura cristiana. I PRIMI 4 ARTICOLI – I BLOCCO, impianto generale. Se andate a leggere il Catechismo si trova questo schema. II BLOCCO
questioni 5-6.

L’ESSENZA DELLA DIMENSIONE MORALE NELL’AZIONE UMANA:

Articolo 1 De Malo, q. 2, a. 4 Se tutte le azioni umane siano buone o ce ne siano anche di cattive;

Articolo 2 Infra, q. 19, a. 1; In 2 Sent., d. 36, q. 1, a. 5 Se le azioni umane derivino la bontà o la malizia dal loro oggetto;

Articolo 3 In 2 Sent., d. 26, q. 1, a. 5; De Malo, q. 2, a. 4, ad 5 Se le azioni umane siano buone o cattive per le circostanze;

Articolo 4 In 2 Sent., d. 36, q. 1, a. 5 Se le azioni umane siano buone o cattive per il fine.

Morale significa essere aperto alla possibilità del bene o male, per Tommaso la caratteristica fondamentale che può essere attuata nel bene o
male (Spinoza conosceva queste tematiche perché conosceva la seconda scolastica Aristotele, Platone e secondo lui bisogna andare oltre):

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Articolo 1. Cos’è il male? C’è un volume intero sul punto di De Malo. Qui Tomasso dice l’estremo essenziale che non è immediatamente pratico ma
che ci permette di distinguere che le azioni possono essere buone e cattive. (Il fine tutto ciò a cui gli uomini si rivolgono). La risposta deriva da

PLOTINO, quindi neoplatonica. Il male è una PRIVATIO BONI (DEBITI). La crisi della metafisica ha fatto che non fosse più sufficiente.
E’ un male quando manca qualcosa che dovrebbe esserci. <<Bisogna perciò concludere che ogni azione tanto ha di bontà quanto possiede di entità;
e per quanto l‘azione umana manca di pienezza entitativa, per difetto di misura secondo la ragione, o di luogo debito, oppure di altre cose del genere,
altrettanto manca di bontà, e viene detta cattiva >>. Il principio metafisico. Principio generale che vale per tutte le cose, dunque anche per l'azione.

Articolo 2 questione 18 Cfr. << come si è chiarito… specie umana >>. L'oggetto è l'azione in quanto tale. Per spiegare alle cose bisogna ricorrere alle
cause: materiale, formale, efficiente e finale. Per parlare dell'azione si fa riferimento all'azione in quanto tale sia nella sua materialità sia nella forma
che la fa rendere così la imprime nella sua identità. Quell'azione si distingue dalle altre, causa formale (specie dell'oggetto) e materiale, azione interna
ed esterna. Per Tommaso le circostanze o accidenti. sono importanti, per Kant l'incontrario.

IL BENE è LA PIENEZZA DELL’ESSERE.

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23/03/2022

Questione 18 viene affrontata la questione morale, come vi dicevo nel linguaggio di Tommaso e medievale, può essere moralmente buono o
moralmente cattivo. Questi sono i primi 3 articoli: mentre noi la usiamo indicare qualcosa di positivo e immorale per dire cattivo; non è lo stesso nei
testi medievali. Riguarda l’orientamento della realtà al fine, in particolare dell’azione umana perché questo è l’aspetto che viene messo negli articoli
1-5. Per ciò che ci riguarda è importante l’inizio, ossia l’affermazione della volontarietà dell’azione umana e ci sono casi di involontarietà che sono
ridotti in numero e quantità perché è volontaria e, dunque, libera. Articolo 1 se esistono azioni buone e cattive, bisogna dimostrare delle azioni cattive
e viene fatto mediante una considerazione metafisica esiste il bene e poi c’è il male come PRIVATIO BENI (DEBITI). Il bene cos’è? La pienezza
dell’essere, dove non c’è la pienezza dell’essere c’è il male. Il bene e il male sono presenti insieme nelle azioni umane come sono presenti le cose
nella realtà. Poi si entra nella definizione della volontà e malvagità dell’azione tenendo conto dell’oggetto che abbiamo visto essere l’oggetto
dell’azione nella sua integrità, in particolare l’intenzione o direzione dell’azione. Sia l’azione interna sia esterna. L’oggetto, dunque. Utilizzando la
metafisica aristotelica si distingue l’essenza dell’azione dalle sue circostanze. Come non c’è essenza senza accidente così non ci sarà l’essenza o
oggetto dell’azione senza le sue circostanze, queste ultime hanno una valenza etica. In qualche caso possono essere rilevanti, non si sostituiscono al
valore dell’oggetto ma possono avere un peso rilevante nel determinare se l’azione è buona o cattiva.

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Articolo 4, questione 18: se le azioni umane siano buone o cattive per il fine. articolo 2, l'oggetto. Usando la parola fine, è come se Tommaso
concentrasse tutto ciò che è detto nelle prime cinque morali dove sembrava che fosse extra morale che non avesse struttura morale. Ora tutta quella
parte relativa al fine viene inclusa in questo punto, cioè determinano se l'azione umana è buona o cattiva. La finalità, dunque, come esplorata nelle
prime cinque questioni, ritorna come componente essenziale. Ricompare come problema all'inizio della questione 19. I primi aspetti fondamentali. La
bontà viene ricollegata più con il fine che altri aspetti. Tuttavia, ci vogliono queste tre dimensioni: oggetto, circostanze e fine. Quest'ultimo è quello
più qualificante che ha un'importanza maggiore. Ciò spiega perché ha dedicato molto spazio al fine, sembrava che fosse fuori tema, invece no. Allora
abbiamo questo primo blocco che definisce la bontà in rapporto all'essenza dell'azione. Se l'azione è buona o no bisogna individuare l'oggetto,
circostanza e il fine. Questo vale per tutte le azioni in quanto tale, se io debbo capire se è buona o già fatta in concreto? Diremmo oggi che non si può
utilizzare un modello generale. A ciò rispondono gli articoli successivi 5.

Negli articoli 5 e 6 della questione 18 dietro alla domanda c’è la domanda sulla ragion pratica, tra gli articoli 5-6 questione 18 recuperiamo le riflessioni
antropologiche delle questioni 6-7. La bontà risulta dall’intervento della ragione e gli fa scoprire il bene e quindi la volontà può dirigersi verso il bene
grazie alla ragione. Queste tematiche che abbiamo visto ritornano qui. L’articolo 5 questione 18 nelle riflessioni generali non c’era, mentre c’era
quello detto all’articolo 6. Dov’è la novità? Questa riflessione deriva dall’Etica di Aristotile dove l’orientamento del bene e della felicità è frutto della
ragione anche del desiderio. L’azione moralmente buona e moralmente cattiva appartengono a due essenze diverse non c’è niente in comune tra di
loro, sono due mondi diversi e quindi non sono paragonabili ma apparentemente la moralità fa sì che siano diversi es. tra una busta che contiene un
aiuto e una corruttiva non c’è nulla in comune.

Articolo 5 questione 18 << Dimostrazione: Ogni atto riceve la specie dal suo oggetto >>. << Ora, gli atti umani vengono denominati buoni o cattivi
in rapporto alla ragione; poiché, come insegna Dionigi [De div. nom. 4], il bene umano consiste «nell‘essere conforme alla ragione», e il male
nell‘essere «contrario alla ragione» >>. La ragione distingue il male dal bene.

In Tommaso c’è un rapporto tra volontà e ragione. Articolo 6 questione 18. L'azione si realizza perché interviene la volontà. C'è un oggetto interno
che a volte viene identificato con il fine. Il filosofo è Aristotele. La dimensione del fine in qualche modo qualifica anche altre azioni. Il fine subordina

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l'azione. Nell'azione che devo fare o che ho già fatto l'apporto della ragione che mi fa comprendere è determinante la volontà: l'intenzione (fine) e poi
c'è l'azione esterna. Può esserci una disparità? Può essere nascosta o sotto determinata dall'azione esterna. Viene ribadita nell'articolo 7.

La domanda successiva è può esserci un atto amorale? Ci sono delle dimensioni indifferenti? Nel medioevo non ha origini stoiche. La line a
francescana escludeva azioni a morale ma o buone o cattive. Tommaso ha una posizione diversa. Di fatto, questa indifferenza non c’è. Qui le
circostanze possono assumere un ruolo decisivo. Articolo 8 atti indifferenti a livello astratto né moralmente buoni né cattivi.

Articolo 9: l'importanza delle circostanze. Atto di per sé indifferente, né in rapporto al fine né all'oggetto possiamo stabilire se è buono o cattivo ma
in base alle circostanze. Possiamo discutere in astratto poi di fatto dove stanno le circostanze nella sua individualità si può distinguere.

Articolo 10, questione 18. Se le circostanze possono rendere l’atto specificatamente buono o cattivo.

La questione 18 è la più importante per la filosofia morale.

Restano tre questioni sulla moralità. Non tocco la 21 questione relativa alla teologia morale, la questione 20 e anche la 19 si occupano la seconda
dell’atto interno invece la prima si occupa della bontà e malizia degli atti esterni. Distinzione anima e corpo, anche se tra loro collegate quindi viene
considerata anche quella esterna oltre che quella interna. Per Kant non c’è alcun interesse un un’azione esterna perché non è implicata nella valutazione
morale come le circostanze. Per Tommaso è il corpo la sua dimensione pratica di azione di intervento nel corso delle cose pur tutto dipendente dalla
prima ha una sua qualche autonomia ciò viene affrontato nella 20.

La questione 19 riguarda la bontà e la malizia dell’atto interiore della volontà. L’articolo 1 e 2 riprendono questioni viste nella prima parte della
questione 18. Bene e male in generale, l’oggetto, le circostanze e il fine. Alla fine si va verso una forma di considerazione unitaria del fine. Vengono
messi insieme. La bontà del volere dipende dalla volontà? Si che dipende.

Articolo 2, ad primum, << Analisi delle obiezioni: 1. Il fine è oggetto della volontà, ma non delle altre potenze. Quindi nell‘atto della volontà non c‘è
differenza, come negli atti delle altre potenze, tra la bontà derivante dall‘oggetto e quella derivante dal fine; se non forse accidentalmente, in quanto
il fine può dipendere da un fine superiore, e la volizione da un‘altra volizione >>. Ciò mescola leggermente le cose, fine dall'oggetto. Ora dice che

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non si distinguono tante. Tutte le distinzioni ragione e volontà sono astratte. Quella distinzione poi ha struttura unitaria di fatto. L'oggetto richiede il
fine, quest'ultimo non è disgiunto ma sono entrambi necessari. Mira ad una loro unificazione come potremmo vedere di fatto, stanno insieme. Nelle
riprese del pensiero di Tommaso 1700, 1800 di fatto avevano cancellato la presenza del fine cancellando l'oggetto. I due termini che restano distinti
tendono ad essere unificati. C’è una certa tendenza di unificazione di fatto. I due assi più importanti erano il fine e l’oggetto.

L’articolo 3, si riferisce al ruolo della ragione (articolo 5 questione 18): Se la bontà della volontà dipenda dalla ragione. In Tommaso la priorità spetta
alla ragione. La volontà prevede l’intervento illuminante della ragione. La volontà spinge e apre al bene grazie alla ragione che le lo indica, come da
articolo 5 questione 18.

Articolo 4, questione 19: il rapporto tra ragione e volontà se dipenda dalla legge eterna. Tommaso distingue tre livelli della legge. C’è una lex naturalis
è una partecipazione della legge eterna negli enti, in tutta la realtà e in particolare per l’uomo. Poi la legge umana, leggi prodotte dagli uomini che
dovrebbero essere un’attualizzazione delle prime due leggi e nella misura in cui violano le prime due possono non essere obbedite da Tommaso, c’è
una gerarchia tra di loro. Qui si parla della lex eterna, poi ne parla nella questione 100. L’argomentazione di Tommaso non si concentra sul tema.
Molti accentuano la lex eterna, che si può conoscere analogicamente perché abbiamo una partecipazione alla lex naturalis << la luce della ragione
che è in noi in tanto ci può mostrare il bene, e regolare la nostra volontà, in quanto è la luce del tuo volto, cioè derivante dal tuo volto. Quindi è
evidente che la bontà della volontà umana dipende dalla legge eterna molto più che dalla ragione umana; e dove è mancante la ragione umana bisogna
ricorrere alla ragione eterna >>. Prima la ragione umana poi c'è un'oscillazione. Probabilmente è un'oscillazione per il tempo di Tommaso. Dipende
dalla legge eterna la legge umana. Il problema è capire quanto e come la conosciamo. Ma che cos'è la legge naturale? Grandi discussioni sul tema nel
medioevo. La lex eterna domina tutti, ma come la possiamo conoscere? Mediante la lex naturalis.

Articoli 5 e 6. Pone una questione molto delicata. Di nuovo abbiamo una risposta di Tommaso in teoria rispetto alla teologia del suo tempo.

Articolo 5 [In 2 Sent., d. 39, q. 3, a. 3; De Verit., q. 17, a. 4; Quodl., 3, q. 12, a. 2; 8, q. 6, a. 3; 9, q. 7, a. 2; In Rom., c. 14, lect. 2; In Gal., c. 5, lect. 1]: Se la volontà che
discorda dalla ragione erronea sia cattiva; di solito si diceva di sì, Tommaso dice di no. Se un volere non è collegato con la ragione non è importa se

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erronea o buona ma è sempre peccaminosa, fare una cosa contro coscienza è peccato. Non si poneva il problema della libertà di coscienza. Di fatto,
la posizione di Tommaso non è smentita ma non diventa applicabile nell'articolo 6.

Articolo 6 [De Verit., q. 17, a. 3; ad 4; Quodl., 3, q. 12, a. 2, ad 2; 8, q. 6, aa. 3, 5; 9, q. 7, a. 2]: se la volontà che concorda con la ragione erronea sia buona; in teoria
no, praticamente sì. In termini moderni, c’è o no libertà di coscienza? Nel Medioevo no, perché altrimenti dove gli mandiamo gli eretici. La difende
da un punto di vista teorico ma la sconfessa nella pratica. A volte ci potrebbe essere una intuizione giusta ma un’erronea esecuzione, questione difficile,
non è semplicemente per incoerenza ma si potrebbe presumere una difficoltà a raggiungere quell’intuizione.

Quando è involontaria un’azione? Nel caso della violenza. In qualche caso per ignoranza, quest’ultima può essere facilmente superabile
nell’impostazione di Tommaso. Quell’obbligazione di coscienza di fatto non si realizza quasi mai, soprattutto in quei casi nelle questioni gravi come
gli eretici nel periodo medievale. Tommaso intravede una linea diversa, di fatto non arriva teorizzarla concretamente.

Se la ragione non può essere seguita, perché il volere deve adeguarsi alla ragione e quindi non è scusabile la sua ignoranza è come se l’ammissione in
generale non avesse corso.

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Emmanuel Lévinas (1906 – 1995)

29/03/2022 è stato un filosofo lituano di origini ebraiche, naturalizzato francese. Dopo aver vissuto la rivoluzione russa in Ucraina, nel 1923 si
trasferisce in Francia a Strasburgo, dove inizia gli studi universitari, seguendo i corsi di Charles Blondel e di Maurice Halbwachs. È di questi anni la
sua amicizia con Maurice Blanchot. Nel 1928-1929 si reca a Friburgo, dove assiste alle ultime lezioni di Husserl e conosce Heidegger. Dal 1930
fino alla guerra occupa diverse funzioni nella École normale israélite di Auteuil, che forma gli insegnanti dell'Alliance Israélite Universelle e stringe
amicizia con Henri Nerson. Con l'invasione tedesca della Francia nel 1940 Lévinas viene fatto prigioniero e trasferito in un campo tedesco vicino ad
Hannover; lì resterà segregato fino alla fine della guerra. A guerra terminata diviene un pensatore di punta in Francia. La sua opera si basa sull'etica

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https://mondodomani.org/dialegesthai/articoli/emmanuel-levinas-01
33
Pag.
dell'Altro. Le due opere fondamentali di Levinas sono Totalità ed infinito e Altrimenti che essere o al di là dell'essenza. Tra
gli altri suoi scritti: Eros, letteratura e filosofia, Comprensione della spiritualità nelle culture francese e tedesca, Tra noi. Saggi sul pensare-
all'altro, Totalità e infinito. Saggio sull'esteriorità, Nuove letture talmudiche, Quaderni di prigionia, Totalità e infinito. Saggio
sull'esteriorità, Altrimenti che essere o al di là dell'essenza. 22

Perché leggiamo Emmanuel Levinas? Nato in Lituania di origine ebrea. Perché tra gli autori del XX secolo è stato proprio lui ad occuparsi di etica
quando l’etica era ai margini, pensiamo ai discorsi ideologici che hanno la prevalenza negli anni ’60 e 70. Nella sua fase iniziale è un pensatore quasi
isolato. Le tesi che sostiene sono controcorrente.

Primo capitolo: Bibbia e la filosofia. Come si incomincia a pensare o da dove nasce il pensiero? Probabilmente, il pensiero incomincia da un trauma
che interrompe il corso della vita, come una rottura, o qualcosa che non si inserisce ma che interrompe e, quindi, si presenta come un problema o
trauma. (Pag. 49 del libro 1982, Emmanuel Levinas). C’è un pensiero adeguato ai traumi? (L’importanza delle letterature nazionali manuale). Il libro
è una modalità del nostro essere. libro nella tradizione ebraica (bibbia) fa parte della vita, dell’identità, quindi è una modalità del nostro essere. Grazie
alla Bibbia “si mantiene al di sotto della pura accettazione delle cose ma anche al di sopra delle nostre preoccupazioni, nello stesso tempo questi libri
portano un qualcosa che non è vago”. Il libro potrebbe essere anche una fuga. La letteratura come fonte del pensiero, più nel XIX e XX secolo; per
lui è stato così. Oggi il libro non ha più la funzione di prima. Era una letteratura personale.

(Pag. 50 manuale) la vita religiosa è fatta di interpretazioni ed è ermeneutica e liturgia. La vita è liturgia.

Perché filosofia e Bibbia? << I testi filosofici sono più vicini alla Bibbia >>. Prima si riteneva che la filosofia non è tendenzialmente atea.

(Pag. 51 manuale) non si risponde a una domanda citando un versetto ma non è una prova (es. la bibbia dice… lc).

22
Emmanuel Lévinas: Libri dell'autore in vendita online (ibs.it), TecaLibri: Emmanuel Lévinas: opere
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Pag.
Il pensiero filosofico nasce dall’esperienze, compresa la Bibbia, che non è soltanto racconto del passato ma è qualcosa che
mantiene il rapporto con l’esistenza. Ogni volta che si parla di Bibbia nell’intervista dell’autore, qui è quella ebraica la quale non è uguale
alla nostra che segue il modello alessandrino dei LXX (pag. 52 manuale). La filosofia pretende di parlare di tutto. Ciò è una pretesa ontologica della
filosofia, fin dalla sua nascita. La filosofia è importante ma non è la fonte.

Si cita Émile Durkheim23, padre della sociologia, secondo cui il sociale non è la somma degli individui. In altri termini, la società è qualche altra cosa.
Henri Bergson,24 filosofo con premio nobel letteratura 1927. Per lui la parola chiave è la relazione, questa si trova nella società. In quegli anni,
occupavano il dibattito filosofico. Bergson ha liberato la filosofia dal modello del tempo scientifico, probabilmente con matrice aristotelico. Una
qualunque relazione, prosegue Levinas, richiede del tempo non è data immediatamente. Ciò scompare non ha nessun valore nella prospettiva
scientifica, invece in altri, come Bergson, viene recuperato. Tra il 1928-29, Lévinas è a Friburgo come libero auditore per seguire i corsi di Husserl,
che in quell’anno accademico vertono sul tema della costituzione dell’intersoggettività. Nel 1929 Lévinas tradurrà in francese le Meditazioni cartesiane
di Husserl, che mettono al centro dell’attenzione proprio questo tema. (Pag. 55-56) la fenomenologia. L’intenzione riguarda il soggetto e l’oggetto.
L’intenzionalità della coscienza che può essere descritta in rapporto al suo oggetto, è sempre e solo in rapporto con qualcosa.

-Capitolo 2-

L’autore cita i principali testi fondamentali nella storia della filosofia: Platone, Bergson, Kant (pag. 59-60). Qui è in gioco la parola essere. Qual è la
grande novità di Heidegger?25 Non è solo un sostantivo o equivalente sostantivo: non significa sostanza ma diventa con Heidegger un verbo (pag.

23
Durkheim, Émile nell'Enciclopedia Treccani, dispensa_levinas.pdf (progettofahrenheit.it)
dispensa_levinas.pdf (progettofahrenheit.it)
24
Henri Bergson - Wikipedia, Emmanuel Levinas, L’asimmetria del volto. Un’intervista - Dialegesthai (mondodomani.org)
25
Heidegger e la fenomenologia. Tre variazioni sul tema | Vita pensata Martin Heidegger - Wikipedia

Tra Levinas e Heidegger | Recensioni | Recensioni filosofiche su Notre Dame | Università di Notre Dame (nd.edu)

Etica e ontologia. Heidegger e Levinas - Guelfo Carbone - Libro - Mondadori Store


35
Pag.
60 testo intervista). La filosofia una risposta sulla domanda dell’essere come verbo e non come sostanza (Aristotele). La filosofia che sarà? Una
ontologia, cioè che riguarda l’essere come verbo o evento. La filosofia quindi non è una delle tante discipline. Secondo Heidegger, per interrogarsi
sull’essere devo partire da colui che pone la domanda sull’essere. Il modo con cui l’essere tempo mette in luce che egli è l’essere per la morte, un
modo di descrivere quell’essere che era nella descrizione comune. Questo soggetto è allora dominato dall’intenzionalità, nel pensiero di Heidegger, è
un’intenzionalità che coinvolge tutti gli aspetti dell’essere al mondo. Se siamo esseri per la morte, per Heidegger, che cosa siamo? Temporalità. Non
coinvolge solo noi ma tutto l’essere tempo. Levinas lo dirà in maniera diversa, non è importante il mio rapporto con la morte ma con gli altri.

Fine lezione Torino, 29/03/22-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

30/03/2022 In Levinas, da una parte la sociologia di Durkheim, Émile nell'Enciclopedia Treccani si presentava come l’erede della sostituzione della
filosofia stessa oppure questa nuova filosofia di Bergson. Durkheim pone il problema della società. Poi vedremo il tempo, Bergson ha mutato la
percezione scientifica del tempo. Si stava formando la teoria relativista, dei quanti. Il tempo nella bibbia è qualitativo, quel momento diverso dagli
altri, un tempo diverso. Allora qual è il vero tempo, quello della fisica? Il tempo è fondamentale in Levinas. Heidegger, chiama la filosofia
fenomenologia dopo la pubblicazione di essere e il tempo. La fenomenologia, tante cose soprattutto intenzione (rapporto tra soggetto ed oggetto) e
anche questa capacità autoriflessiva di seguire il proprio pensiero. Ciò è il merito riconosciuto a Husserl. La filosofia non è più la stessa dopo essere
e tempo di Heidegger, c’è un nuovo modo di affrontare il soggetto cioè colui che pone la domanda sull’essere. Per affrontare la domanda sul tempo,
propone di partire da quell’essere che si interroga su di stesso che è localizzato esserci in quella condizione e nel mondo. Nella sua riflessione, il modo
di essere è importante, in quegli anni molta attenzione era data all’angoscia ma su questo Levinas non dice nulla. L’essere vive nell’angoscia, è essere
nel mondo è fondamentalmente temporaneità. Il risultato finale di Heidegger il tempo è temporaneità, finito nel tempo.

-Capitolo III- facciamo un salto al dopoguerra anni ’40. Dall’esistenza all’inesistente. Non viene ripercossa tutta la riflessione. Qui bisogna fare
riferimento a espressioni traducibili come “si fa, donarsi” dal tedesco invece dal francese “c’è”. L’ontologia è la riflessione sull’essere fatto da Levinas.
Ciò è un fenomeno dell’essere impersonale. Dall’esistenza si passa all’inesistenza come quando dal stare bene al stare male. (Pag. 67) prima della
luce non è nulla ma è un terzo escluso cioè questa esistenza impersonale e anche angosciante. Una presenza ingombrante ma senza limiti (esempio
insonnia, appena ci si sveglia non si ha quella lucidità nel sonno). Un’esistenza impersonale da cui si cerca di uscire. La filosofia non usa la parola
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essere secondo Levinas o gli attribuisce un significato positivo quando lo usa. Essere in Tommaso D’Aquino è il modo. Come uscire da questa
situazione? L’essente o ente che è una ipostasi che sta in sé stesso che prevede il passaggio dall’indistinto al distinto che diviene qualcosa. Aristotele
parte dalla cosa concreta per fare un passaggio all’essere, qui si fa un passaggio inverso pag. 78 << l’essere che si pone è salvo >>. Non tanto un porsi
ma un deporsi. Quand’è che l’io si depone? Quando accetta la relazione sociale con altri, quando c’è una relazione autentica noi siamo in una situazione
di disinteresse (vuol dire uscire dall’essere). Qui c’è un primo richiamo all’altro. Potremmo dire che è il capitolo dell’antologia. Nel 1948 svolgeva
delle conferenze dal titolo “il tempo e l’altro”. Il tempo diventa determinante per capire l’altro, diventa fondamentale per la relazione con l’altro. Il
tempo porterà all’altro, anziché all’essere come Heidegger. Pag. 72, ediz. città aperta (o pag. 70) una ricerca sulla relazione con gli altri che ha ad
oggetto il tempo. Se vogliamo avere una relazione con gli altri c’è bisogno di tempo. Il tempo è come una trascendenza, cioè uscita, è ciò che permette
di stabilire il rapporto con gli altri.

Il tempo in essere e tempo Heidegger è l’esperienza fondamentale dell’uomo di fronte all’infinitezza e alla temporaneità. Due possibilità di uscire: la
prima è quella tradizionale della filosofia, la via della conoscenza. Levinas contrappone quella della relazione! La prima via è attraverso la conoscenza,
l’anima dice Tommaso è tutta composta invece per Levinas è immanenza. L’apertura verso gli altri è rottura della nostra solitudine, l’esperienza della
relazione sociale è al di là dell’ontologia. Dunque è fondamentale per esistere con. Il mio essere è intransitivo, cioè non posso trasmettere il mio essere
agli altri (Heidegger). Se fosse così io sarei condannato alla solitudine. Questo significa uscire dalla storia della filosofia, se studiamo la società la
società non possiamo impiegare la conoscenza. Con la conoscenza rimaniamo nel medesimo, perché è assimilazione.

Per Levinas la conoscenza è solitudine, perché tutte le cose sono presso sé stesso e non gli altri. Dunque, la socialità è un modo di uscire dalla
solitudine. La relazione con gli altri in Levinas ha una struttura che non si riduce all’interiorità ma relazione all’alterità (pag. 73). Come ci si
rapporta lo vedremo nei capitoli successivi.

5/04/2022

quella cosa lì, come per uscire da un incubo dell’essere. L’essere che sarà un soggetto
confinato dentro di sé. Come uscire da questa solitudine dell’essere? Nella storia della filosofia la via è quella della conoscenza. Secondo il nostro

37
Pag.
autore è un essere confinato, non è questa la via, quasi di illusione perché in questo percorso noi non usciamo mai da noi stessi ma portiamo noi stessi
in noi. Quella via promette ma non realizza, è la via seguita solitamente dalla filosofia probabilmente la totalità. Per il nostro autore è la via della
relazione, ma quando io sono in relazione con un altro? Per essere in relazione con qualcuno è indispensabile la conoscenza. Ad esempio 26 il
samaritano che scende da Gerusalemme a Gerico entra in contatto senza la conoscenza, Gesù afferma nella parabola che la domanda di colui che ha
posto la questione chi è il prossimo la risposta di Gesù afferma che bisogna farsi prossimo per entrare in relazione. In Levinas, la relazione non richiede
la conoscenza.

La prima relazione: uomo e donna. La seconda: rapporto figliare. Nella prima viene posta un’alterità. Il femminile per il maschile è l’alterità stessa,
non è quella assoluta. Dunque, per l’uomo la donna è l’alterità ed è descritta come “da sé”. (Quando parla di coppia generalmente si pensa ad una
dualità di cose o persone dello stesso genere). La donna per l’uomo è l’alterità in Levinas, non in termini assoluti. La relazione è tale perché si instaura
un rapporto tra il medesimo sé e l’altro. Il potere non è neanche conoscenza, quest’ultima presuppone che mi impossesso della cosa posseduta.
Conoscenza = possesso, qui invece si tratta di instaurare una relazione in cui non c’è né conoscenza né possesso. L’eros, anche nella sua realizzazione
più piena, non è possesso. Anche nella relazione più intensa resta l’alterità, essere due. L’altro è assolutamente altro. Possesso impossibile dell’altro,

26
La parabola del buon samaritano - Versione dal Vangelo Luca (skuolasprint.it) "Homo descendebat ab Ierusalem ad Hierichum et incidit in latrones qui
despoliaverunt eum, et plagis impositis discesserunt; apparet eos hominem semivivum reliquisse et nullam misericordiam habuisse. notum est sacerdotem descendisse eadem via
et, viso illo, ab infelice cessisse et ei non subvenisse. dicunt similiter et Levitam, qui ad insidiarum locum venerat, eum vidisse, sed misero non soccurrisse. samaritanus autem, iter
faciens, venit ad eum, eum vidit semivivum et misericordia notus est. et appropians alligavit vulnera eius, infundes oelum et vinum, et imponens illum in iumentum suum, duxit in
stabulum, et curam eius egit. praeterea fama est postero die samaritanum duos denarios dedisse stabulario et dixisse: "curam illius habe; et quod supererogaveris, ego, cum iterum
venero, reddam tibi". apparet unum horum trium hominum proximum fuisse illi, qui incidit in latrones : quis fuit?". scimus legisperitum respondisse: "qui fecit misericordiam in
illum" et iesum adfirmavisse: "vade, et tu quoque age similiter!"
Un uomo discendeva da Gerusalemme a Gerico, ed incadde nei ladroni che lo spogliarono e sembra che si allontanarono dopo averlo malmenato, e lasciato l'uomo semimorto
senza aver avuto nessuna misericordia.
E' risaputo (è noto) che un sacerdote fosse disceso per la stessa via e che, scorto quell('uomo), abbia desistito dall'(uomo) distraziato e che non gli fosse venuto in soccorso. Dicono
che ugualmente un ministro del tempio di Gerusalemme che era arrivato nel luogo dei misfatti, lo abbia visto ma che non abbia soccorso il poveraccio.
Un samaritano invece, caricandolo sul suo asino, lo condusse nella stalla e si prese cura di lui e gli curò le ferite infondendogli vino ed olio. Inoltre è diceria che il giorno dopo il
samaritanno abbia offerto 2 denari allo stalliere e abbia affermato: prenditi cura di lui, e quello che domanderai, io quando sarò di ritorno, te lo darò.
Sembra che uno di questi 3 uomini che era stato prossimo a quello che si era imbattuto nei ladri: (quando gli chiesero) "chi fu?" Sappiamo che il giureconsulto rispose: chi ebbe
compassione verso quell'(uomo) e (sappiamo) che Gesù abbia detto: vai, e anche tu comportati in modo simile"

38
Pag.
cioè il tentativo di possedere l’altro. In Levinas, tutto ciò viene escluso. Dunque è la relazione con l’alterità, con il mistero, l’avvenire. Parlando di
maschile e femminile non ci si riferisce a maschio e femmine ma all’essere umano maschile e femminile, ogni essere umano ha tratti cromosomi
maschili e femminili. .
La prima linea di uscita, in Levinas, è data dal rapporto con maschile e femminile.

La seconda via è il rapporto figlio e padre. C’è stata un’obiezione femminista, che non consideriamo. Tale relazione è misteriosa ancora di più rispetto
a quella precedente. Tra il padre e il figlio qualcosa in comune c’è. Interessante è stato esplorale quella adottiva. In questo tipo di rapporto c’è una
possibilità che va al di là delle condizioni prestabilite perché è il rapporto con un’alterità diventa superiore con quello biologica. Tutto è ridotto al
modello biologico a cui si aggiunge qualcosa di culturale. Il rapporto non è solo quello strettamente biologico ma anche tra maestro e discepolo.
Questa relazione nel nostro tempo non è più importante come in passato.

Domanda ricorrente è meglio l’uno o gli altri? Levinas direbbe meglio gli altri. Affermare la pluralità significa affermare la relazione con l’altro.

Non bisogna indurire queste categorie.

Infine, la relazione etica che esploderà nelle sue opere Altrimenti che essere e Totalità e Infinito. Il tema dell’altro viene messo in luce in entrambe le
due opere.

Totalità e Infinito, forse sarebbe meglio un’opposizione anziché una congiunzione perché totalità è una parola che risale alla riflessione di Hegel. La
filosofia nella sua conoscenza mira alla totalità. Il tema dello spirito, lo spirito ha percorso tutto il tragitto c’era all’inizio poi si è dispiegato e trova
compimento. L’ho richiamato anche nella definizione di San Tommaso, secondo cui l’anima nella conoscenza è tutte le cose. Quando non conosco
quelle cose ignote non le conosco. La grande filosofia da Platone a Hegel, se non c’è la totalità non c’è conoscenza. Questo è il sogno della via della
conoscenza. Platone e Cartesio due novità o casi unici. Il concetto di bene come superiore all’essere e uno in Platone. Il bene è al di là dell’essere e
dell’essenza. Il bene richiama l’etica. Secondo Levinas, Platone ha intuito ciò e ha chiuso il capitolo cioè non ritorna più sul punto. C’è un altro
momento in cui questa ricerca alla totalità si è interrotta, con Cartesio, là dove si dive che nella res cogita ci sono tante cose, ci sono delle cose fattizie.
Poi c’è un’idea differente dalle altre che non viene da noi che è l’infinito. Se uno dubita significa che è finito. L’infinito è come un posto dentro di
39
Pag.
me, il marchio della creazione secondo Cartesio ma è pur sempre fuori da me. Queste idee rompono lo schema della totalità. Come può l’infinito stare
nel finito? Da dove nasce il trauma in Levinas? Nel trauma che è l’alterità di quello che sono. L’infinito che è anche il bene è qualcosa che viene a
rompere questo schema. Per Heidegger la filosofia è l’ontologia dell’essere.

La storia della filosofia può essere intesa come una sintesi della totalità, in Levinas perché la coscienza non vuole lasciare niente fuori di lei.
(fenomenologia dello spirito). Hegel porta a compimento il desiderio di avere il tutto a propria disposizione. Il tutto si carica della parola moderna
dell’assoluto, la coscienza di sé. Dunque un pensiero assoluto che non lasci nullo fuori di sé. Questa è la grande aspirazione che in Hegel si è realizzata.
Franz Rosenzweig,27 filosofo ebreo28 tra XIX e XX secolo, << la storia della redenzione >> critico della totalità e di Hegel secondo cui la verità è
nella visione. Ha visto la morte.

La totalità non coglie la relazione, non può mai essere sintetica o assorbita perché c’è sempre un’alterità.

27
Franz Rosenzweig: Libri dell'autore in vendita online (ibs.it)
28
Franz Rosenzweig (ildiogene.it)
OPERE
-- Hegel e lo Stato [1920], Il Mulino, Bologna, 1976
-- La stella della redenzione [1921], Vita e Pensiero, Milano, 2005
-- Il nuovo pensiero [1925], Arsenale, Venezia, 1983
-- La scrittura. Saggi dal 1914 al 1929, Città Nuova, 1991
-- Dell'intelletto comune sano e malato, Trento, 1987

BIBLIOGRAFIA ITALIANA
Bernhard Casper, Rosenzweig e Heidegger. Essere ed evento, Morcelliana (La Scuola), Brescia, 2008
Paola Mancinelli, Pensare altrove. Rivelazione e linguaggio in Franz Rosenzweig, Quattroventi, 2006
Luca Bertolino, Il nulla e la filosofia. Idealismo critico ed esperienza religiosa in Franz Rosenzweig, Trauben, Torino, 2005
Adriano Fabris, Linguaggio della rivelazione. Filosofia e teologia nel pensiero di Franz Rosenzweig, Marietti, Genova, 1990.
Emilia D'Antuono, Ebraismo e filosofia. Saggio su Franz Rosenzweig, Guida, Napoli, 1999
Stèphane Mosès, La storia e il suo angelo. Rosenzweig, Benjiamin, Sholem, Anabasi, Milano, 1993

40
Pag.
La morale, dice Levinas, non viene dopo la totalità! Ha una portata indipendente dalla totalità ma anche
preliminare! La filosofia prima è un’etica. Uno dei modi più antichi per chiamare quella filosofia nella definizione aristotelica veniva chiamata la
filosofia prima cioè che precede tutte le questioni, si occupa dell’essere (libro IV Metafisica). Qui la filosofia prima non è l’antologia (come in

Aristotele) ma l’etica e bisogna rovesciare tutto.

LA RELAZIONE TRA GLI UOMINI NON è RIASSUMIBILE IN UNA TOTALITA’ come anche Dio
che è infinito!

Si tratta di essere di fronte all’altro! Entrare in relazione, dunque non è una forma di conoscenza perché l’altro porta con
sé un segreto in sé, che non è la sua interiorità inaccessibile; non è qualcosa di sondabile ma il segreto di me è la responsabilità
per altri, la responsabilità che avverto negli altri! Di fronte all’altro non mi propongo di conoscerlo ma di essere responsabile. La soggettività è
inafferrabile.

Per Levinas ognuno soggetto umano è unico, la stessa cosa che diceva San Tommaso d’Aquino per gli angeli; la mia unicità è data dalla responsabilità
che assumo verso gli altri.

6/04/2022

Al posto di totalità e infinito potremmo usare altri due termini: il medesimo o medesimezza per la totalità e a infinito potremmo far corrispondere il
termine che è alterità. In Levinas alcuni termini sono capovolti come la libertà, per esempio se l’etica è la filosofia prima l’ontologia viene dopo in
Levinas. Levinas è contemporaneo alla seconda guerra mondiale che è presente nelle sue opere anche se indirettamente.

Digressione sulla filosofia politica di Thomas Hobbes - Vita e pensiero - Scuolafilosofica quasi contemporaneo di Cartesio.

41
Pag.
Ognuno vuole essere superiore agli altri quindi entra in una guerra continua, bellum omnium contra omnes. A un certo punto l’uomo deve rinunciare
a questa sete di guera. Come avviene questa costruzione dello Stato moderno? Si attribuisce al Leviatano 29 i suoi diritti, tramite alcuni. Sembrava
essere lo stato secondo ragione. Guerra di tutti contro tutti, solo con la rinuncia a questo noi possiamo convivere. Abbiamo rinunciato a questo diritto
in cambio questa situazione di pacificazione per cui possiamo vivere insieme. Al posto dell’insicurezza radicale della guerra contro tutti abbiamo la
pace garantita dal Leviatano (figura biblica).

Per Levinatis, l’uomo è essere per l’altro. C’è un atteggiamento di pace. Queste riflessioni Levinatis non le ha.

Bisogna passare dal medesimo all’altro e il tema dell’alterità potrebbe essere la parola guida del capitolo 7 “Il volto”. Totalità e Infinito è sbilanciato
sull’alterità. Il volto non è ciò che conosciamo.

Dice Levinas << l’accesso al volto è immediatamente etico >>. Il volto è esposto all’altro mentre il resto del corpo meno. Ad esempio quando si vuole
colpire una persona è la prima parte del colpo che si vuole colpire. Il volto impedisce di uccidere un uomo, ad esempio nelle guerre i perseguitati
venivano e vengono sparati alla nuca. << Il volto è significazione >> si impone per sé, non è un personaggio perché dice sempre relazione ad altro. Il

29
Thomas Hobbes - Vita e pensiero - Scuolafilosofica
 Thomas Hobbes: filosofia, pensiero politico, libri | Studenti.it
o Hobbes nega qualunque innato sentimento di amicizia tra gli uomini: ma individua nella bramosia e nella ragione gli attributi principali dell’uomo nello stato
di natura.
o La bramosia è l’istinto che spinge gli uomini a procacciarsi cibo e risorse per assicurarsi la sopravvivenza e ponendoli, allo stesso tempo, in una competizione
tanto accesa da mettere a rischio la sopravvivenza stessa della specie.
o La ragione media gli istinti spingendo gli uomini a cedere parte dei propri diritti naturali.
o La ragione crea quindi le leggi naturali che prevedono la ricerca della pace, la cessione dei diritti naturali degli uomini in maniera equa e l’obbligo
dell’osservanza delle leggi
 Stato e assolutismo
o Le leggi di natura non sono però in alcun modo né assolute né vincolanti, ma semplicemente “prudenziali”. Non c’è nulla che ne assicuri uno stabile rispetto.
o Il passaggio dallo Stato di natura alla Società civile è la stipula di un contratto sociale in cui tutti gli uomini cedono i loro diritti naturali trasferendoli ad un
soggetto esterno. Questo può essere un sovrano o un’assemblea.
o Lo Stato, o Leviatano, ingloba la volontà di tutti i cittadini che ne diventano sudditi e sui quali ha pieni poteri.

42
Pag.
volto apre al di là dell’ontologia, ci indica che l’etica è la filosofia prima. << Il volto parla >> volto e parola sono strettamente congiunti ed è il volto
dell’altro che rende possibile il discorso.

Il volto << prima della visione è la parola dell’altro >>. Qui c’è la parola dell’altro che a volte può essere muto, cioè il volto parla in modo espressivo
e attende la risposta dell’altro cioè la propria responsabilità verso l’altro. C’è una priorità al dire e non al detto, il volto mi parla e mi parla
indipendentemente dalle cose che dice! Quasi una parola senza parola, cioè significazione o senso. Il saluto è l’altro che è diverso di me. << Rispondere
a lui è già rispondere ad altri >>. Rispondere vuol dire essere responsabile. Il segnale del dire è più importante del detto, perché è il momento con cui
si instaura la relazione e se rispondo divento responsabile verso l’altro. L’altro che può entrare anche in maniera traumatica, il pensiero nasce dal
trauma secondo Levinas.

Possiamo riassumere. Prima parola di questo volto che è parola << non uccidere >> si potrebbe dire che sia qui sia in altre cose che sono il frutto del
trauma del nazismo che ha vissuto.

Il comandamento primo per Levinas è il non uccidere. Se non colgo il volto non colgo questo comandamento, cioè nel volto c’è un comandamento.
Qui raffigura un maestro senza autorità. Ci sono volti che evitiamo (es. straniero, vedova) non è un volto molto affascinante o che non entra in un
discorso captativo. Nel comandamento si chiede obbedienza. In quel comandamento ci sono tutti i presupposti delle relazioni sociali. In quel volto
c’è quel comandamento.

Qui si aprono una serie di disgressioni capitolo 7. Faccia a faccia io devo tutto all’altro! Allora cos’è la giustizia? Entriamo nell’ontologia, cioè che
dipende dalla filosofia prima. La giustizia è qualcosa di riparazione, reciprocità. Il volto richiede questo. Entra in gioco la giustizia che è un passo
successivo, chiede riparazione di tenere in considerazione il contesto. << Se sono solo con gli altri gli devo tutto >>. La giustizia è una forma di
limitazione.

. Si fa dell’altro il medesimo. L’infinito presuppone l’idea dell’ineguale. Riprende Cartesio, siccome siamo finiti,
l’infinito non deriva da noi. Quell’infinito dov’è nella nostra vita? Quando appare un volto con un comandamento assoluto, come se ci fosse una

43
Pag.
rappresentazione dell’infinito. Il volto dell’altro ha questa funzione, perché è possibile dentro di noi questo? Nell’accesso al volto è possibile anche
un accesso all’idea di Dio, un’idea di infinito che spacca altre idee.

Secondo Levinas, il nostro rapporto con Dio non è un sapere ma in rapporto con il desiderio. BISOGNO, può essere continuamente saziato anche per
un certo tempo, e DESIDERIO quest’ultimo è incolmabile. Il rapporto con Dio è fondato sul desiderio e non sulla conoscenza. Attraverso il volto si
apre uno squarcio o angolo di spazio dell’infinito che non possiamo accedere con la conoscenza. (Per Kant non possiamo raggiungere l’infinito, ma
con il dovere). Quel volto dell’infinito è visibile o invisibile? Il desiderio è quello di vedere il volto di Dio. In qualche punto dell’Esodo si dice che
Mosè abbia visto e non visto il volto di Dio. Si tratta di un rapporto che entra in contatto con me scavando un desiderio.

L’opera del 1973 è sul soggetto.30 Il nucleo in Levinas è la responsabilità. Se voglio parlare di soggetto ne devo parlare in termini di responsabilità.
La caratteristica principale è che l’uomo è temporalità, essere temporalmente finito. In Levinas la responsabilità è un rapporto con l’altro. In fondo,

30
Emmanuel Lévinas è nato a Kaunas (Lituania) nel 1905 da una famiglia ebrea e ha vissuto la rivoluzione russa in Ucraina. Nel 1923 si trasferisce in Francia a Strasburgo, dove
inizia gli studi universitari, seguendo i corsi di Blondel e di Halbwachs. Nel 1928-1929 si reca a Friburgo, dove assiste alle ultime lezioni di Husserl e conosce Heidegger di cui
rimase affascinato. L' " apprendistato della fenomenologia ", come egli lo ha definito, orienterà poi la sua ricerca personale. Dal 1930 fino alla guerra occupa diverse funzioni
nella "École normale israélite di Auteuil", che forma gli insegnanti dell'Alliance Israélite Universelle e stringe amicizia con Henri Nerson, cui dedicherà il suo primo libro di
scritti giudaici " Difficile Liberté ". Emmanuel Lévinas rievoca spesso gli anni dei suoi studi universitari a Friburgo, dove si recò prima che " Hitler diventasse Hitler ". Fa poi
ritorno in Francia prima che Hitler salisse al potere, nel 1932. E in seguito, per giustificare il fatto che Heidegger si era compromesso con il nazismo, il filosofo francese adduce
la genialità del maestro tedesco. Prima della sua permanenza a Friburgo, in Francia, Lévinas aveva conosciuto Jean-Paul Sartre di cui apprezzava il " pensiero audace e
regolare ". La sua formazione filosofica inizia con Blondel che incarnava la " luminosità dello spirito francese ", la "clarté", l'ordine. Accanto all'incontro con Heidegger e
Husserl, Lévinas ricorda l'altro grande evento della sua vita: il rapporto con Monsieur Chouchani, un genio talmudico, che aveva il Talmud dentro, incarnato, vivente. Questo
sapiente ebreo gli trasmette " il vigore intellettuale nella crudezza della potenza del Talmud " (ebraico: disciplina), raccolta di norme religiose e legali, Mishna, e di sentenze
rabbiniche, Gemara. Ve ne sono due redazioni: quella di Babilonia e quella di Gerusalemme, e molti commenti. Il Talmud contiene, tra l'altro, il credo ebraico, di 13 articoli). La
sua tradizione familiare ebraica viene alimentata, dopo questo incontro decisivo, da un giudaismo vivente. Husserl viene descritto come splendido genio che rappresenta il filosofo
tedesco tradizionale, legato a doppio filo con la fenomenologia. Lévinas parla del suo incontro con Jacques Derridà, anche lui passato attraverso Heidegger e Husserl. Poi accenna
alla sua lingua madre, il russo, che però non ha utilizzato per le sue opere filosofiche che ha scritto in francese o in tedesco, infarcendole di riferimenti in greco e latino. Mobilitato
nel 1939, viene fatto prigioniero e sarà liberato solo nel 1945. Nell' immediato dopoguerra riprende il suo posto all' "École normale israélite", questa volta come direttore, e
partecipa alle riunioni settimanali di Gabriel Marcel e al "Collège philosophique" di Jean Wahl, sotto la cui direzione prepara la tesi di Stato, pubblicata nel 1961 sotto il titolo
di " Totalité et infini " che gli apre le porte dell'insegnamento universitario. Nel 1957 inizia anche l'attività di lettura e commento del Talmud ai " Colloques des Intellectuels Juifs
de Langue Française ". Nel 1964 viene chiamato all'Università di Poitiers, nel 1967 passa a Paris-Nanterre e nel 1973 alla Sorbonne. Muore nel 1995. Le due opere
fondamentali di Levinas sono " Totalità ed infinito " 1961 e " Altrimenti che essere o al di là dell'essenza ". Da ricordare anche
44
Pag.
Heidegger dice l’uomo è temporaneità e dopo pone la sua ricerca sull’etica. In Levinas l’uomo è la responsabilità, l’etica arriva subito e non dopo;
non lo ricava dopo aver descritto l’uomo nelle sue componenti, cioè prima dico che è morale quindi responsabile e poi dico tutto il resto.

26/04/2022

Il volto parla, rompe l’essere, che ci porta nell’interiorità il volto reale dell’esperienza umana (la fenomenologia del volto). Il volto parla, si dà perché
è protetto garantito è reso possibile dal comandamento “non uccidere”. C’è una limitazione verso l’altro che è il tema della giustizia, che non precede
il rapporto ma ne segue come limitazione.

(Vediamo il capitolo 8) Se la prima opera 161 era sbilanciata sull’interiorità, l’alterità nella seconda abbiamo la teoria della soggettività e si tratta di
definirla. Si potrebbe ritornare a Cartesio, qui in certi versi è un rovesciamento di quell’impostazione che aveva rovesciato l’ontologia. Cos’è il
soggetto? Responsabilità, cioè rispondere all’altro e dell’altro, che è struttura primaria fondamentale della società. Il soggetto, dunque, è responsabilità.
Quindi l’etica non si aggiunge alla soggettività. (Ricordare Cartesio, la res cogita) la morale in Cartesio è qualcosa che si aggiunge. Prima descrivo il
soggetto poi dico che ha anche una dimensione etica, qui invece è una responsabilità verso gli altri ed è totale arrivando a forme di radicalità estreme.
SI ARRIVA ALLA RESPONSABILITA’ DESCRIVENDO IL VOLTO cfr. <<appena altri mi guardano io sono responsabile >>.

La responsabilità non nasce da un atto, il fatto stesso che ci sia un altro mi rende responsabile. La mia responsabilità si impone. Teniamo l’aggiunta
fondamentale la soggettività è per altri, eliminiamo la parola essere in Levinas. La soggettività non è per sé (l’abbiamo ritrovata in Hegel)31.

(digressione. La società degli individui o individualismo è un modo di pensare, qualcosa non necessariamente etico. Margaret Thatcher,
continua su: https://www.fanpage.it/politica/la-societa-non-esiste-esistono-solo-gli-individui-e-l-economia-ne-ha-cambiato-l-anima/
https://www.fanpage.it/)32. Durante una presentazione obiettava all’autore Levinas che miglior definizione di Gesù potrebbe essere un desistere per
gli altri e Levinas si difendeva citando un passaggio biblico l’antico testamento).

" Nomi propri ".Il tema dell'ebraismo viene svolto nelle " Quattro lettere talmudiche ". Un'utile lettura preliminare può essere " Dall'esistenza all'esistente ", in cui viene posto il
legame con il pensiero di Husserl e di Heidegger. EMMANUEL LEVINAS (filosofico.net)
31
Altrimenti che essere o al di là dell’essenza - Emmanuel Lévinas - Docsity
32
Il neoliberismo ha distrutto l’idea di società. Ora esiste l’individuo, circondato da “altri” (thevision.com)
45
Pag.
Di fronte all’altro che mi appare c’è la responsabilità.
Diaconia, servizio. Il servizio con l’altro precede il dialogo.

Io sono responsabile senza aspettare l’altro e l’altro? E’ un affare suo, ecco perché è asimmetrica la relazione. Pertanto, non c’è reciprocità.

- Seconda parte

Una relazione non simmetrica e non reciproca. Soggetto vuol dire soggezione all’altro quindi responsabilità totale (pag. 96 manuale). L’io ha una
responsabilità maggiore dell’altro. Sono responsabile delle persecuzioni che subisco. Sono responsabile delle persecuzioni che io subisco. Quindi la
giustizia che stabilisce equiparazioni e anche reciprocità viene dopo ed è una questione ontologica che consente il confronto con gli altri, Dio e i terzi.
Il fondamento è una questa responsabilità totale. L’altro nella lingua francese è mio ospite e diventa anche ostaggio perché da un lato mi richiede
obblighi di ospite ma anche ostaggio << l’io risponde per espiare gli altri >> (cit. manuale). (Il linguaggio della filosofia è il greco quello della
bibbia è l’ebraica). A Levinas gli veniva posta la seguente domanda: è possibile tutto questo in una forma di disumanità? Si se siamo
nell’ontologia, invece se assumiamo l’etica prima dell’ontologia diventa disinteresse (vivere fuori dal condizionamento ontologico). Questa
situazione è quella con cui traduce il termine ebraico la vocazione di Israele, al primogenito. Il testo va in quella direzione (perché la lotta tra Giacobbe
e il secondogenito). La lettura che fa Levinas legge l’essere primogenito come responsabilità, che consiste in una responsabilità maggiore rispetto agli
altri; non si tratta della teoria dei privilegi ma come un maggior grado di responsabilità verso l’altro. Levinas cita Dostoevskji per affermare che queste
cose erano già presenti nella Bibbia, Esodo, e dal filosofo Dostoevskji 33. Gli altri due capitoli su Dio, come si fa a parlare di Dio dopo il nazismo.

33
L’Etica per Lévinas – Spirito Blog (wordpress.com) Nelle parole di Dostoevskij, pronunciate da Ivan Karamazov fra le pagine del romanzo “I fratelli
Karamazov”, Emmanuel Levinas rinviene cristallizzato il significato ultimo della propria impostazione etica, legata ad una responsabilità illimitata e
imprescindibile nei confronti dell’altro.
Questa responsabilità è posta a fondamento dell’essere umano, che è costitutivamente pensato come un “essere per l’altro uomo”. Ma cerchiamo di capire insieme
le ragioni filosofiche di una simile identificazione.
LE DUE RADICI
Non si può comprendere a pieno il pensiero levinassiano, prescindendo dalla ricerca delle fonti sapienziali dalle quali il filosofo dell’Etica ha attinto nel corso
dello sviluppo della propria riflessione.
46
Pag.
Atene e Gerusalemme rappresentano i due poli di riferimento geografici, ma soprattutto teorici, che dovranno essere tenuti in stretta e costante considerazione
nel corso della nostra indagine. Logos e sacre scritture, filosofia e parola profetica vanno considerate all’unisono, come radici di innesto di un medesimo
arbusto florido e rigoglioso. Solo ponendole in stretta relazione sarà possibile cogliere il frutto dello sforzo teorico del filosofo-talmudista lituano. Lévinas fa
notare come l’occidente sia riuscito a raccogliere maggiormente il patrimonio sapienziale greco, rimanendo però orfano dell’insegnamento d’Israele.
Ulisse e Socrate sono designati e descritti da Lévinas come i progenitori della razionalità occidentale: una razionalità nostalgica, maieutica che fa ritorno
costantemente alle proprie sponde note, battendo incessantemente su di esse, in risacca. L’astuzia di Ulisse, la dialettica socratica sono le manifestazioni di
un conoscere inteso come riconduzione dell’alterità al medesimo, come neutralizzazione della differenza, come espressione di un egocentrismo totalizzante. La
conoscenza, in quest’ottica, diviene conquista, possesso, razzia, dominio dell’altro.
Di contro Israele è invece descritto come il depositario e il portavoce di un diverso modo di rapportarsi all’altro, delineato e conservato all’interno dei testi sacri,
di cui Lévinas si fa interprete.
La Bibbia è considerata come il Libro dei libri perché in essa si rintraccia la convergenza tra l’essere veramente umani e la sensibilità per gli altri.
“La Bibbia non è un libro che ci conduce verso il mistero di Dio, ma verso i compiti dell’uomo.”
Tratto da “Difficile Liberté”
La sacralità del Libro dei libri va a coincidere con la laicità del messaggio di responsabilità per gli altri che veicola e che è trasmesso non attraverso un discorso
razionale, filosofico, ma attraverso un linguaggio oracolare, profetico.
Il tramite e il fine della relazione inter-umana non sublimano nel dominio conoscitivo, come prospettato dalla matrice greca, ma nella piena responsabilità etica.
“Tu non ucciderai” tuona il comandamento, esplicitando quella potenzialità connessa al commettere violenza che è insita in ognuno di noi, che si fa tensione
nell’incontro con l’altro uomo e che pone in risalto l’altrui estrema vulnerabilità.
Ed è proprio nell’epifania del volto dell’altro uomo che questa tensione si fa manifesta.
IL VOLTO
Lévinas è noto soprattutto come il filosofo del volto. Quest’ultimo, infatti, va a costituire il corollario di molte riflessioni portate avanti all’interno delle opere più
importanti.
Il volto è, come abbiamo visto, vulnerabilità, violenza potenziale ma è anche e soprattutto traccia dell’infinito. Di quell’infinito che si dà nella relazione etica con
l’altro uomo e che non può esaurirsi all’interno di un atto conoscitivo. Il volto non si identifica con la forma plastica del viso né con la mimica della faccia, ma
si dà nella concretezza corporea, nel denudamento, nell’esposizione della sofferenza.
Dinanzi all’epifania del volto l’essere umano si va a costituire, nell’assumersi il carico della sofferenza altrui, nel rendersi responsabile per l’altro uomo.
Lévinas tende costantemente a precisare che questa presa di responsabilità non è frutto di una scelta volontaria, subitanea e improvvisa, ma è il risultato di una
elezione irrecusabile a cui ognuno è da sempre chiamato.
La responsabilità, per Levinas, si dispiega nella diacronia temporale.
LA DIACRONIA
Abbiamo visto come il volto rimandi al senso ultimo dell’essere umano, che è poi il senso di responsabilità.
Ma il significato che si rintraccia nell’epifania del volto altrui è fin da sempre, diacronicamente posto a fondamento dell’essere umano. Il volto non è nient’altro
che la traccia che rimanda ad esso. Inoltre, questa responsabilità, dispiegandosi all’interno di una relazione etica, indicibile e infinita, non può mai
completamente realizzarsi. Essa è inquieta, inesauribile, insoddisfatta, legata ad un desiderio che è tensione incolmabile, “metafisica”, iperbolica verso l’altro.
Adesso forse le parole di Ivan Karamazov cominciano ad acquistare un significato più nitido. Per Lévinas siamo realmente “colpevoli davanti a tutti” e lo siamo da
sempre e per sempre.
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Pag.
Se non siamo più in un essere, siamo in società ed è qui che Levinas introduce (pag. 99) il fenomeno religioso. << Il volto significa infinito >>
rimanda, apre la possibilità a che l’infinito si dia all’uomo. Qui è vicino a Kant, quando si può parlare di Dio (?). La religione così come designata da
Kant corrisponde all’ebraismo (cfr. 34
Hermann Cohen; Neokantismo). Questo infinito si presenta come esigenza di santità che sarà perseguito

Configurandosi come una indagine definitoria dell’essere, l’etica è da intendersi anti-aristotelicamente come filosofia prima.
La consapevolezza, il rinvio diacronico al senso ultimo dell’essere però può essere raggiunto solo attraverso una distrazione dall’io che si concretizza come un dis-
astro, come un disinteressamento dal sé. Attenti alla conduzione delle nostre esistenze, preoccupati dagli affari e dalle incombenze quotidiane, rischiamo di
rimanere egoicamente confinati in un ristretto “conatus essendi” cartesiano, in una limitata ed egoistica perseveranza all’essere.
Il volto altrui permette la rottura, rende possibile la distrazione dal sé, il disancoramento dall’astro di riferimento che è la nostra esistenza (dis-astro per
l’appunto) e consente l’apertura alla responsabilità illimitata verso l’altro. Il disinteressamento dal sé è quindi la via verso l’essere più pieno.
IL FIASCO DELL’UMANO
Da ebreo Lévinas vive sulla propria pelle gli orrori che il Novecento è riuscito ad imbastire: persecuzioni, campi di sterminio, stragi, deportazioni…
Proprio riflettendo sulla propria esperienza, il filosofo allievo di Husserl, si rende conto del tracollo completo che l’umanità ha raggiunto, del fiasco totale che il
modello speculativo e teoretico, di matrice greca, ha comportato.
Dall’idea di un sapere inglobante, onnivoro, totalizzante, antropocentrico sono derivati i mali più grandi che il mondo abbia mai conosciuto. Dal pensiero
dell’uguale è sorto il sistema dell’uguale: il regime totalitario, che non tollera la diversità, in cui non vi è spazio per la presa di responsabilità nei confronti degli
ultimi, dei deboli, degli oppressi, degli stranieri, delle vedove, degli orfani.
Da qui la necessità di ripensare il politico, di estendere la riflessione etica al campo della politica, di integrare fra loro matrice greca ed ebraica, allo scopo
di scongiurare l’eterno ritorno di un altro eccidio di massa, di un’altra guerra, di un ennesimo bagno di sangue.
Il modello di stato hobbesiano diventa, per questa ragione, il principale bersaglio polemico levinassiano. Un anti-modello è delineato ed opposto a quello
elaborato dal filosofo contrattualista. A fondamento dello stato non vi sarebbe la paura dell’altro, ma la paura per la sofferenza dell’altro; non vi sarebbe l’istinto
autoconservativo, ma il desiderio di occuparsi dell’altro; a guidare le azioni degli uomini non vi sarebbe una “libido dominandi”, ma una piena responsabilità
dettata dalla prossimità con gli altri uomini. L’uomo non sarebbe quindi lupo per l’altro uomo, ma responsabile per le sue sofferenze.
Le istituzioni democratiche e liberali, risultato più fulgido delle speculazioni filosofiche e politiche, non possono da sole evitare che la storia, e la sofferenza con
essa, si ripeta. Per questo fine è necessario che ognuno di noi vegli sull’altro, divenendo custode del proprio fratello, unico ed insostituibile.
Riscoprire questo senso dell’umano è per Levinas la chiave per scongiurare un altro fiasco, per evitare che il Novecento, con tutti i suoi orrori, si ripeta
nuovamente, per uscire fuori dal grigio e apatico anonimato dell’esserci.
Seppur intrisa di riferimenti biblici la filosofia levinassiana continua ancora oggi a stupire per la laicità, la potenza e l’universalità del suo messaggio.
“Il rapporto con il divino attraversa il rapporto con gli uomini e coincide con la giustizia sociale: ecco tutto lo spirito della Bibbia ebraica. Mosè e i profeti non
si curano dell’immortalità dell’anima ma del povero, della vedova, dell’orfano e dello straniero.”
Emmanuel Levinas, Difficile Liberté
Gianmarco Girolami
dispensa_levinas.pdf (progettofahrenheit.it)
34
Hermann Cohen - Wikipedia Fondò la scuola filosofica di Marburgo. L'adesione al neokantismo lo indusse a considerare come unica realtà l'attività del soggetto pensante.
Il pensiero tuttavia non è il prodotto dell'attività del soggetto; è una realtà per sé, e il suo principio è l'assoluta origine (Ursprung). Su queste basi che sono assai lontane dallo
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all’infinito senza poterla raggiungere. Per Kant (Critica della ragion pura), significa avvicinarsi alla santità di Dio senza mai raggiungerla. C’è un
passaggio biblico quello di Mosè che sale sul monte per chiedere a Dio di mostrargli il di lui volto (libro dell’Esodo) ci sono due tesi una secondo cui
Mosè e gli anziani partecipano al banchetto di Dio e si dice che ha visto il suo volto in un’apparizione fulminea (cioè un’apparizione nella scomparsa)
perché l’infinito vive al di fuori delle parole, non traducibili al pensiero umano. Non possiamo padroneggiare però Dio si testimonia nell’Eccomi della
risposta. Dove si può vedere una traccia di Dio? C’è una traccia di Dio che è nella responsabilità, l’eccomi testimonia l’infinito. Dov’è che si glorifica?
Quando qualcuno diventa responsabile dell’altro, si vede ma senza vederlo! << La testimonianza etica è una rivelazione che non è una conoscenza
>>. Questo è il modo dell’Infinito di testimoniarsi. 35 Prato.pdf (ftismilano.it)

Il punto è la testimonianza che è responsabilità dunque ne è la Gloria di Dio non tanto l’uomo che dà gloria di Dio ma Dio stesso che dà testimonianza
della sua resurrezione (gloria della testimonianza).

spirito genuino del kantismo, Cohen costruisce tutta la filosofia che divide in tre rami fondamentali: logica o teoria del puro conoscere; etica o teoria del puro volere; estetica o
teoria del puro sentimento.
Per quanto riguarda la logica, essa è quella delle scienze matematiche della natura, visto che Cohen elimina dal pensiero e dalla conoscenza ogni elemento soggettivo. La
conseguenza dell'atto logico è il giudizio in quanto il pensiero tende a unificare o a distinguere.
L'idea è al centro degli studi dell'etica: il volere si esplica attraverso l'idea, senza la quale si avrebbe solo desiderio.
Se un'opera d'arte trascende la materia e gli strumenti utilizzati, la tecnica e la forma, è perché possiede e manifesta un ideale, quello della perfezione umana; questo è l'ideale
che guida l'estetica.
In etica Cohen non si discosta da Kant in quanto la legge morale è espressa nell'imperativo categorico che determina la volontà. Tuttavia poiché l'uomo non realizza appieno se
stesso se non nella società, e d'altra parte deve essere considerato sempre e soltanto come fine e non mai come mezzo, Cohen ricava dalla propria morale una dottrina politica a
carattere socialistico che vuole salvaguardare la libertà umana e favorire lo sviluppo e il progresso dell'umanità verso la realizzazione del regno dei fini, che è il suo ideale
supremo. La religione non viene considerata un modello da Cohen, poiché la religione appartiene al mito quando Dio viene investito di elementi come lo spirito, altrimenti Dio
rimane un concetto puramente morale.
Cohen, Hermann su Enciclopedia | Sapere.it Cohen pone l'esigenza di determinare i contenuti puramente oggettivi della conoscenza. Bisogna, a suo parere, eliminare ogni elemento
soggettivo e ogni riferimento realistico, compresa la cosa in sé kantiana. Anche il problema della coscienza va eliminato col concepirla come semplice categoria della possibilità
degli oggetti di pensiero. Il pensiero è la scienza in quanto pura oggettività, la sua forma è il giudizio, di cui Cohen distingue dodici classi. Anche l'etica e l'estetica rientrano nel
sistema in quanto non sono conoscenze empiriche ma “scienza del puro volere” e “scienza del puro sentimento”. Negli ultimi anni della sua vita Cohen insegnò alla famosa
Hochschule fur die Wissenschaft des Judentums di Berlino, discostandosi dal sistema marburghiano e passando a una concezione teocentrica. Opere principali: Kants Theorie der
reinen Erfahrung (1871; La teoria di Kant dell'esperienza pura), System der Philosophie (1900-12), Die Religion des Vernunft aus den Quellen des Judentums (post., 1919; La
religione della ragione dalle fonti del giudaismo).
35
Fëdor Dostoevskij, il pensiero: l'uomo tra Cristo e il sottosuolo - iMalpensanti
49
Pag.
La parola “eccomi” tipica del profeta Mosé. C’è una definizione in bilico tra l’aspetto teologico e filosofico. << E’ la forma fondamentale della
rivelazione ma inteso in senso ampio come momento della stessa condizione umana in quanto tale >> nella misura in cui può dire “eccomi”. Possibilità
di rispondere, una responsabilità precedente alla stessa legge. Nell’ebraismo la legge è la colonna della fede. L’essere umano è responsabilità e nel
momento in cui si realizza matura una visione profetica. Quando si consolida in un testo diventa anche consolazione.

L’attesa del Messia nella tradizione ebraica è stata ampiamente presente nel dibattito ebraico. 36Nel 1100 diventa componente dell’ebraismo. Nella
bibbia troviamo l’affermazione della responsabilità e l’attesa del Messia.

Le scritture non sono importanti perché sono sacre (vedere cfr. Fenomenologia del Volto). La consolazione messianica potrebbe anche non esserci.
C’è una grande vicinanza Kant, nella critica della ragione pratica, dice che il tema della beatitudine non può essere obbedienza all’imperativo morale.
Il tema è una forma di corruzione della dimensione etica, si obbedisce perché è giusto farlo. Però è importante nella vita ma non deve diventare motivo
del comportamento morale. Se c’è un messia che vien è attraverso il volto dell’altro. La filosofia non dà consolazione.

Anche il tema della morte va affrontato come responsabilità. Io sono responsabile dell’altro, dunque, anche della morte dell’altro che diventa un
timore nei confronti della morte dell’altro. E’ il rovescio ad Heidegger (l’essere per la morte) cioè mi devo confrontare con questa radicale finitezza
che è la mia morte. E’ il contrario il soggetto viene definito come responsabile dell’altro. Come pensarmi a partire dalla mia morte, che era già un
problema in Socrate ma c’era l’immortalità. In Lévinas è importante la morte ma come responsabilità dell’altro. Nel momento in cui non prendo il
posto degli altri siamo responsabili degli altri. Se stabiliamo che il cuore del soggetto tutto va compreso in questa prospettiva di Levinas, anche la
morte. Sotto questo profilo, è un filosofo unico e solitario.

FINE LEVINAS. -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

36
Messianismo - Wikipedia https://www.treccani.it/enciclopedia/messianismo/
50
Pag.
Paul Ricoeur, Sé come un altro, Jaca Book, Milano, 199337. Vita e opere38 Nasce nel 1913 in
Francia da una
famiglia protestante. Studia la fenomenologia di Husserl. Nel 1960 diventa un iniziatore dell’ermeneutica. Sono molti studi, i primi due sono dedicati
al linguaggio, altri l’azione, altri sul racconto perché i primi due hanno bisogno del racconto per definire che cosa sia l’identità personale. (Chi ha
inventato l’autobiografia? San Agostino). Abbiamo bisogno anche della dimensione etica. Dedica tre studi.

Il primo saggio è dedicato all’etica ed è di stampo aristotelico. Il secondo è kantiano, una forma di deontologia dell’imperativo morale. Vengono
presentati in modo contrapposti, invece Ricoeur non gli mette in contrapposizione. Primo livello etico, poi secondo e poi un terzo tra questi due. Etica

37
Sé come un altro : Ricoeur, Paul, Iannotta, D.: Libri - Amazon.it, PAUL RICOEUR (filosofico.net) https://it.wikipedia.org/wiki/Paul_Ric%C5%93ur
http://www.psicologiacritica.it/paul-ricoeur-le-identita-della-memoria/ Paul Ricoeur - Studentville
38
https://ildiogene.it/Ency=Ricoeur.html#:~:text=Paul%20Ricoeur%20%28n.%201913%29%2C%20nelle%20sue%20opere%20Della,un%20ruolo%20di%20primo%20piano%20nell
%27ambito%20dello%20speculativo. -------------------------------------------------------------------------------------- Heidegger, Husserl) Ernst Cassirer
51
Pag.
sta per intenzionalità, morale per dire imperativo in termini kantiani. Etica e Morale. Ricoeur parla di etica come teologia (Aristotele) e morale (Kant)
e deontologia. ASPIRAZIONE ETICA? << è l’aspirazione ad una vita buona con e per gli altri (Lévinas, il tu per tu) nell’ambito di istituzioni giuste>>.

3/05/2022 Il pensiero di Aristotele e Kant sono mantenuti. Si tratta di un’ispirazione e non di una riproposizione, come abbiamo visto in Tommaso
D’Aquino per ciò che riguarda l’aristotelismo 39. Qui si tratterà di trattare l’azione umana che ha una direzione! C’è una somiglianza, da un punto di

39
L'Etica Nicomachea Lo statuto dell’etica, nella concezione aristotelica delle scienze, è ben preciso. Al di sotto delle scienze teoretiche (matematica, fisica e filosofia prima)
si collocano infatti rispettivamente le scienze pratiche e le scienze poietiche, queste ultime dedicate espressamente a finalità produttive. Fra le scienze pratiche, che, in quanto
“scienze”, possiedono una struttura dimostrativa e mirano, secondo la caratteristica concezione aristotelica, alla conoscenza delle cause delle cose, ma si indirizzano alla
realizzazione di fini “pratici”, si collocano appunto l’etica e la politica, che assumono come fine le “cose degli uomini”, la prima in quanto individui, la seconda in quanto
cittadini.
Dei tre trattati etici di Aristotele, l’Etica Nicomachea, l’Etica Eudemia e i Magna Moralia (su parti dei quali, specie nel caso dei Magna Moralia, pesano seri dubbi di autenticità),
l’Etica Nicomachea è certamente il più importante. Anche per questa opera, che raccoglie materiali non destinati alla pubblicazione, ma all’indagine e alla discussione interna
alla scuola di Aristotele, si pongono i consueti problemi relativi alla sua composizione, alla sua genesi, alla sua cronologia e alla sua unità, benché il suo svolgimento tematico
sia, nell’insieme, sostanzialmente coerente. Prendiamo dunque in esame almeno alcune delle principali linee argomentative che caratterizzano i dieci libri di cui essa si compone.
Il problema centrale da cui l’analisi di Aristotele prende avvio nel primo capitolo del I libro dell’opera è quello della ricerca e della realizzazione della felicità. Ogni individuo
tende infatti naturalmente al perseguimento e alla realizzazione di certi fini che sono, per chi li persegue, altrettanti beni: alcuni di essi, spiega Aristotele, sono fini, o beni,
perseguiti in vista di altri fini e si presentano perciò come relativi e sostanzialmente strumentali, ossia piuttosto come mezzi che non come autentici fini. Ma l’intera gerarchia dei
fini, o dei beni, va posta in relazione con un fine ultimo o con un bene supremo, che consisterà necessariamente nella felicità (eudaimonia). Questa posizione eudaimonistica non
è nuova, naturalmente, nella storia dell’etica antica e non mancano fra i predecessori di Aristotele sostenitori della tesi secondo cui l’obiettivo di ogni vivente, e in primo luogo
dell’uomo, risulta coincidente con la felicità: sarebbe anzi ben strano proporre un fine della vita diverso da questo. Ma al di là di una considerazione di carattere alquanto generale
come questa, Aristotele è certamente il primo ad aver affermato con assoluta radicalità e nettezza l’esigenza di una piena realizzazione individuale come scopo di una disciplina
etica e dello studio dei comportamenti e delle azioni degli uomini.
Che la felicità sia il fine ultimo di ogni ente e di ogni vivente, secondo Aristotele, è questione sulla quale tutti concordano; ma quale sia la sua natura è invece oggetto di controversia
e dissenso. È a questo punto che viene introdotto, come di consueto, l’esame degli endoxa, delle opinioni comuni più diffuse o comunque delle più autorevoli, particolarmente dei
predecessori: vi è infatti chi pone la felicità nel piacere, e si tratta dei più, ma Aristotele giudica questa forma di soddisfazione immediata degna delle bestie e degli schiavi, non
certo degli uomini liberi; altri individuano piuttosto l’onore come fine ultimo, e si tratta in tal caso di un’opinione più evoluta e raffinata, che fa presa soprattutto fra coloro i quali
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si dedicano all’attività politica, ma Aristotele rileva ancora come l’onore non sia davvero perseguito di per sé, bensì per il riconoscimento che ne deriva a chi lo ottiene e in quanto
è dunque segno di virtù: ciò implica allora che l’onore risulta subordinato alla virtù e soltanto strumentale rispetto a essa; a maggior ragione da respingere come fine della vita
umana e come bene sommo è l’accumulazione delle ricchezze, che Aristotele considera senza mezzi termini come contro natura, perché le ricchezze possono fungere al più come
mezzi che ampliano possibilità e potenzialità di chi le possiede, e non certo come fini in sé, neanche per chi è preso dalla brama di accumularne senza sosta né termine.
In questo contesto si inserisce la celebre critica che Aristotele rivolge alla concezione platonica del bene sommo, tratteggiata specialmente nei libri centrali della Repubblica,
secondo la quale il bene si colloca in una dimensione radicalmente trascendente e oltremondana, come idea o forma intellegibile del bene, modello eterno, universale e separato,
e perciò stesso paradigmaticamente valido in ogni possibile circostanza, di ogni valutazione, azione o comportamento. A una simile prospettiva Aristotele obietta intanto che una
nozione così astratta e trascendente finisce per essere non solo praticamente irraggiungibile, ma anche in ultima analisi indesiderabile per gli uomini; inoltre, la concezione di
Platone suppone evidentemente un significato univoco di “bene”, da intendere cioè come un concetto unico capace di definire allo stesso titolo il fine di ogni ente e di ogni vivente,
ciò che Aristotele contesta vivacemente in favore di una nozione plurivoca del bene, al quale si deve riconoscere che possiede, per ogni ente e per ogni vivente, un significato
proprio e specifico per quell’ente e per quel vivente.
Il bene sommo o il fine ultimo per l’uomo deve consistere allora nella realizzazione dell’opera che gli è propria, della sua attività naturale specifica. Ma qual è tale “opera” o
“attività”? Anche su questo punto le opinioni divergono: non può trattarsi però del semplice “fatto” di vivere, che è comune anche alle piante; né del “percepire” o “sentire”,
che è comune anche agli animali; dovrà trattarsi quindi dell’unica attività propria esclusivamente dell’anima umana, vale a dire del pensiero e dell’attività razionale. Ecco in
cosa consiste la “virtù” (arete) dell’uomo, più esattamente quell’“eccellenza” piena che ne realizza la felicità. Occorre preliminarmente precisare che una simile concezione che
fa coincidere la felicità con l’esercizio della facoltà razionale e del pensiero non presenta agli occhi di Aristotele nessun tratto ascetico né tantomeno astratto: egli sottolinea infatti
che, per poter essere compiutamente dispiegata, l’attività razionale deve essere accompagnata da sufficienti beni materiali, la cui assenza ne comprometterebbe invece la
realizzazione. A ciò bisogna aggiungere che tale attività, con la felicità che a essa è associata, non è neanche esente da piacere, giacché il piacere ne rappresenta anzi
un’implicazione e un coronamento. Ciò suppone, pur se a determinate condizioni, un parziale accostamento di Aristotele alle concezioni edonistiche della felicità e un netto
distacco dalle tesi anti-edonistiche più o meno radicali che dovevano avere un significativo sostegno all’interno dell’Accademia, anche se, forse, non necessariamente da parte di
Platone.
Se dunque la felicità dell’uomo consiste nell’attività della sua anima secondo “virtù” o “eccellenza” (arete), ciò consente di transitare verso un secondo tema cruciale dell’Etica
Nicomachea, appunto quello della natura e della classificazione delle virtù. Quali sono infatti le virtù propriamente e specificamente umane? Non quelle che appartengono
all’anima vegetativa, comune a tutti i viventi; piuttosto all’anima sensitiva che, pur essendo propria di tutti gli animali, si pone in certa misura in rapporto con la facoltà razionale;
e soprattutto, come era facile attendersi, all’anima razionale, la sola esclusivamente umana. Aristotele parla, nel caso della funzione sensitiva dell’anima, di virtù “etiche”; mentre,
al livello dell’anima razionale, parla di virtù “dianoetiche”. Per quanto riguarda le virtù etiche, ne vanno stabiliti caratteri e natura. Nel libro II, Aristotele fa derivare le virtù
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etiche dall’abitudine o habitus, dall’esercizio del controllo degli impulsi immediati: compiendo atti giusti, si diviene giusti, cioè si acquisisce un habitus peculiare, quello della
giustizia; agendo moderatamente, si apprende il modus operandi o l’habitus della moderazione, e così via. Tali comportamenti, ciascuno con il relativo habitus, in cui consistono
le virtù etiche, si trovano in qualche modo unificati dalla comune definizione del loro statuto. La virtù etica consiste infatti in generale nella giusta proporzione, o via mediana, fra
due estremi. La definizione è celebre: per ogni habitus comportamentale, o etico, la virtù si situa nella posizione intermedia fra eccesso e difetto, in un esercizio di controllo e
moderazione dell’impulso sensibile corrispondente, purché si intenda tale posizione intermedia non come una sintesi immediata fra eccesso e difetto, ma come una posizione che
supera eccesso e difetto e ne neutralizza gli aspetti negativi e irrazionali.
Nell’esame fitto e dettagliato delle virtù etiche, dal II al V libro, spicca il caso della giustizia, che Aristotele considera come la principale, e a cui dedica l’intero libro V, definendola
come in qualche modo capace di ricapitolare tutte le virtù etiche: essa consiste in senso proprio nella giusta e proporzionata ripartizione tanto dei beni quanto dei mali, mentre
l’ingiustizia si colloca in relazione a entrambi gli estremi, quando cioè prevale una ripartizione squilibrata dei beni e dei mali.
Alle virtù dianoetiche, proprie della sola anima umana e della sua facoltà razionale, è dedicato l’intero libro VI dell’opera. Anche qui Aristotele distingue fra due funzioni
dell’anima razionale, una con competenze pratiche, che presiede alla conoscenza delle cose contingenti e mutevoli, come i comportamenti umani, e una con competenze teoretiche,
che si rivolge alla conoscenza delle cose necessarie e immutabili, cioè dei principi delle scienze e delle scienze stesse. A entrambe queste funzioni, seguendo la logica già nota
dell’indagine di Aristotele, corrisponde una “virtù” o “eccellenza” (arete) specifica, rispettivamente la phronesis, o saggezza, e la sophia, o sapienza.
La phronesis è la disposizione virtuosa che permette di dirigere la condotta umana, discriminando fra bene e male e adottando i comportamenti che consentono di realizzare i
fini ultimi, ossia il bene, dell’uomo. Ciò che la phronesis indica sono dunque criteri e fine dell’agire umano, ma tale fine si persegue concretamente attraverso l’esercizio delle
virtù etiche. Queste ultime, a loro volta, sarebbero come “cieche” senza la phronesis che ne fornisce l’indirizzo. Al culmine della gerarchia delle virtù si pone la sophia, che deve
il suo statuto supremo al fatto che suo oggetto non sono l’uomo e i suoi comportamenti e fini, ma le cose “più divine”, cioè i principi di tutte le cose. Senza addentrarci nell’esame
complesso e articolato che Aristotele dedica alla sophia e alle sue forme, possiamo comprendere come egli giunga così a stabilire, parallelamente alla gerarchia delle virtù,
un’analoga gerarchia dei gradi di felicità realizzabile per l’uomo – ciò che costituiva l’obiettivo fissato all’inizio dell’Etica Nicomachea.
Il terzo e ultimo fondamentale asse teorico dell’opera da me evocato qui, che è oggetto dell’analisi condotta nei capp. 7-9 del libro X, è dunque rappresentato dall’indicazione
della vita “contemplativa”, cioè dedita all’esercizio della ragione nella conoscenza dei principi delle scienze, come condizione suprema e massimamente desiderabile, quella cui
presiede appunto la virtù della sophia. Solo in via secondaria si potrà considerare felice la vita “pratica”, regolata dalla phronesis e dalle virtù etiche. La contemplazione avvicina
l’uomo alla condizione divina, quella della contemplazione permanente ed eterna cui l’uomo, o alcuni fra gli uomini, accedono a tratti.
Questa celebre prospettiva della felicità umana, cui Aristotele assegna, come già detto, un indubbio quoziente di piacere, è destinata ad assumere un ruolo fondamentale nella
storia della filosofia posteriore, classica e non solo.
Aristotele, Etica Nicomachea - Filosofia in movimento Sè come un altro - La Chiave di Sophia
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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Pag.
vista lessicale tra la felicità o beatitudine nella vita o somma (nella prospettiva Tommaso) o come farà Ricoeur. Questa tensione cambia perché
l’oggetto è simile ma non è la stessa cosa. Una cosa è dire la felicità o beatitudine (San Tommaso D’Aquino) un contro l’aspirazione ad una vita
buona (Ricoeur).

Nel capitolo I si parla di questa aspirazione alla vita buona. Questo primo livello dell’aspirazione corrisponde a quel vocabolo greco che è il lottatino,
il mondo del desiderio, quello dell’imperativo del comando. E’ un augurio. Siamo agli inizi dell’etica della cura, cura di sé, dell’altro e delle
istituzioni. L’aspirazione riguarda non solo questo primo momento ma tutto questo! Domanda di un possibile sostenitore di Lévinas: rappresenta un
buon punto di partenza o sarebbe meglio partire dalla cura dell'altro? Questo testo è del 1990, Lévinas aveva concluso la sua riflessione. Qui c’è
vicinanza e lontananza tra i due perché il punto di partenza in Ricoeur a differenza di Totalità e Infinito. Il self non vale solo per l’io ma anche per tu.
Vale per tutti non solo per me. Si riflette sull’immagine che ognuno di noi ha di una vita compiuta, cioè portata ad una sua completezza. Il bene a cui
aspira l’uomo e il quello platonico. Mentre per Aristotele l’uomo ricerca un bene accessibile, alla sua portata, il fine a cui egli si può dirigere. In
Platone, nella La Repubblica, è al di là dell’essenza, dunque non è qualcosa di immediatamente accessibile o disponibile. In Platone c’è una
dimensione metafisica, questo deciderà della traduzione di Tommaso in beatitudine perché solo quel bene lì è completo. In Aristotele il bene può
essere considerato solo per noi, quello con cui noi possiamo relazionarci una maniera adeguata non al di là dell’essenza e dell’essere. L’essere relativo
non impedisce che sia in qualche bene particolare >>. Il bene, in Platone, si definisce in sé indipendentemente da noi; in Aristotele è sempre in
rapporto con il soggetto. In Aristotele il bene lo ritroviamo nei vari beni in cui si manifesta, ciò che è assente in tutti gli essere viventi.

 I LEZIONE DI ARISTOTELE: l’ancoraggio fondamentale della vita buona è la prassi. Per parlare di vita buona c’è il tema dell’azione, un
precedente è Tommaso (articolo 1 questione 1 parla dell’azione). Si tratta di un punto aristotelico. Impostazione che deriva da Aristotele.

Edizioni Aristotelis Ethica Nicomachea, recognovit F. Susemihl, editio tertia curavit O. Apelt, Teubner, Leipzig 1912.
Traduzioni italiane Aristotele, Etica Nicomachea, traduzione, introduzione e note di C. Natali, Laterza, Roma 201410.
Studi: C. Natali, La saggezza di Aristotele, Bibliopolis, Napoli 1989; M. Nussbaum, The Fragility of Goodness, Cambridge Univ. Press, Cambridge 1986.
M. Vegetti, L’etica degli antichi, Laterza, Roma 200611; E. Berti (a cura di), Guida ad Aristotele, Laterza, Roma 20125. Tags: Filosofia antica

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 LA II LEZIONE DI ARISTOTELE: di aver trasformato la teologia all’interno della prassi, cioè ogni azione mira a un fine quando faccio
qualcosa oriento l’azione ad un fine. La teologia interna alla prassi significa principio strutturante dell’aspirazione alla vita buona. Aristotele
vede nell’azione un orientamento al fine, non solo l’azione ma tutta la componente dell’uomo. Qui la moderna teoria dell’azio ne possono
sostituire del III e VI libro dell’Etica Nicomachea ------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Nel 900 ci sono stati sviluppi sul concetto dell’azione. Queste riflessioni sono nate in università in cui c’era una tradizio ne aristotelica. Ricoeur
riprende lo schema di Aristotele e lo amplia anche nel dibattito sociologico. Qui si dice che quello che scopriamo in ogni singola azione, la sua
direzione; per capire un’azione io devo vedere il fine. Si è assunto il modello teologico non si spiega l’azione umana senza concentrarsi anche sul
fine. Quello che troviamo in una sola azione non ci permette di comprendere solo quell’azione ma può essere traferito all’intera esistenza/ vita. Per
parlare di azione si riferisce anche ad altri autori del 900.

Mentre in Aristotele e San Tommaso c’è un’allusione generale di azione senza alcuna interna, qui in Ricoeur c’è una struttura interna. Non sono azioni
semplici ma complesse -----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

- I livello: al di sopra dei semplici gesti troviamo le arti, i giochi e mestieri. Ci sono dei campioni di eccellenza, esempio in cucina. Sulla base
di questi possiamo parlare ad esempio un buon medico, ingegnere. Nello schema aristotelico la prassi è più importante alla phronesis perché
lavora sui soggetti e non sulle cose. Una buona pratica sa fare bene il suo mestiere ----------------------------------------------------------------------
- II livello: generi di vita politica, sociale ecc. --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
- III livello: unità narrativa di una vita -----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

(la vita compiuta avviene con la morte) ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- ------

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- seconda parte

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Che cosa succede se non c’è la stima di sé? Per farcela bisogna crederci. Bisogna avere una convinzione di riuscire a fare le cose. La stima di sé è il
risultato, il frutto di quella cosa ma spesso è anche una condizione! Qui è la stima di sé. E’ sia condizione sia risultato. Poi ci sono tutti gli aspetti
negativi in caso di assenza stimoli. Si aprono delle diramazioni molto diverse.

Secondo elemento. SOLLECITUDINE. Se prima c’era la stima di sé, affinché ci sia la relazione ricorre a questo termine sollecitudine. Vuol dire
questa attenzione di sollecitudine. Nella stima di sé è incluso il momento relazionale! Non c’è stima di sé senza sollecitudine e non ci sarà sollecitudine
senza stima di sé. Questa è una sfida teorica e pratica. << Dire sé non significa dire io >> qui c’è tutto un problema di identità, nell’identità c’è sempre
un’alterità non è un blocco concluso. Il sé è anche altro da sé, qualcosa che precede la dimensione etica. Uno dei modelli assunti dall’autore è quello
dell’amicizia. In Aristotele il tema dell’amicizia è trattato. Platone ha composto un primo trattato. Fino al 1500 è una condizione del buon vivere.
Quando non c’è questo o diminuisce o diventa competizione. In alcuni scritti parte dal terzo, giustizia.

L’anima di questa sollecitudine è la reciprocità, in Lévinas c’è un rapporto asimmetrico qui invece in Recoeur è simmetrico. Questa reciprocità
dell’insostituibile è il segreto della sollecitudine. Nessun sistema garantisce l’insostituibilità ecco perché ci vuole resistenza.

Confronto con Levinas… L’alterità dell’altro esclude qualsiasi reciprocità In Totalità e Infinito, Lévinas. La medesimezza direbbe Lévinas. Allora c’è
il pericolo che l’altro diventa l’alter ego di me medesimo. Medesimo e Altro sono come contrapposti. In altri studi Ricoeur, idem è identità senza
mutamento, l’ipse è un’identità che presuppone un mutamento. L’opera di Lévinas è un saggio sull’altro. L’altro entra nella mia vita come un trauma.
Questa strategia è fondata sull’iperbole, portare all’estremo la tensione. Levinas ha questa strategia filosofica -----------------------------------------------
Quando l’altro compare nella mia vita? L’altro quando compare mi dà la possibilità di risposta. L’altro non solo mi chiama la responsabilità ma mi
mette nella possibilità di tirare fuori certe cose. Il comandamento chiave “non uccidere” riguarda al livello successivo che analizzerà successivamente.

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Il primo momento è con l’azione che si condensa con la stima di sé che non è dell’io ma di tutte le persone chiunque; nella stima di sé è già

contenuta l’apertura all’altro, la possibilità dunque della sollecitudine, non c’è il sé senza l’altro. Sono forme di reciprocità in
cui c’è l’asimmetria, es. maestro-alunno, ma non radicali come Lévinas.

Per Ricoeur sono sollecitato di fronte all’altro e non solo passivo. L’elemento della passività non è escluso ma sollecitata
dall’iniziativa dell’altro. (Critica a Lévinas: La pura passività non può diventare responsabilità).

4/05/2022

I LIVELLO: L’azione richiede una riduzione della stima di sé, per cui diventa possibile.
Il sé veniva confuso con l’io, così risponde a una forma di obiezione di egocentrismo dell’Io.

II LIVELLO: il secondo tratto dell’intenzionalità etica viene sintetizzato con per gli altri, cioè reciprocità e mutualità, che diventa sollecitudine per
l’altro a differenza di Lévinas non c’è asimmetria radicale all’inizio, ci possono essere forme dentro una reciprocità.

III LIVELLO: le istituzioni del giusto, la parola chiave è la giustizia da combinare con la parola Istituzioni. Il problema della giustizia appartiene
all’ontologia, perché richiede una comparazione. Sono successive per Lévinas invece nell’impianto di Ricoeur non solo c’è una simmetria
fondamentale ma allo stesso livello viene posto il tema della giustizia o senso di giustizia e della relazione che deve essere giusta.

Ciò che per Lévinas non appartiene all’etica come filosofia prima perché appartiene all’ontologia, qui l’aspetto promozionale è l’aspetto istituzionale
come dimensione fondamentale. La giustizia si estende. Qui viene posta allo stesso livello del “faccia a faccia”. Si estende alla vita delle Istituzioni.
Presenta aspetti etici che la sollecitudine non ha. La giustizia presenta aspetti, anzi esigenze, di uguaglianza.

Ma che cos’è l’Istituzione? << tutte le strutture di convivenza di una comunità storicamente definite >> (esempio si parla di popolo, regioni) << che
non possono ridursi in rapporti interpersonali >>. Es. città metropolitana. << Può essere intesa come un sistema, cioè qualcosa di organizzato, di
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suddivisione e ripartizione dei redditi e dei patrimoni, dei poteri e delle responsabilità >>. Il potere è di tutti, invece il dominio ad alcuni soggetti nelle
istituzioni. Si tratta quindi di un sistema strutturato, di oneri e diritti.

Il terzo è chi è al di fuori di una relazione duale (io e tu), significa gli altri. Si viene a formare la categoria di: ciascuno. << Nella prima il sé, nella
seconda l’altro era il tu, in cui entro in relazione diretta. Poi il ciascuno che corrisponde ad un’entità che partecipa al sistema di distribuzione LA
GIUSTIZIA CONSISTE NELL’ATTRIBUIRE A CIASCUNO LA SUA PARTE >> Unicuique suum40 (a ciascuno il suo). Da ciò i tre aspetti che
interessato l’etica: -la pluralità (più soggetti); -secondo aspetto << Di conseguenza, le istituzioni conferisce alle relazioni umane una durata e
rappresenta una memoria >>. Cfr. Hegel. La vita politica è un valore in sé.

Cosa significa parlare di una Istituzione giusta sul piano etico? Ricoeur ritiene che queste cose facciano parte dell’etica: << l’origine remota dell’idea
di giustizia >> il senso di giustizia è qualcosa che precede alle leggi. Il senso di ingiustizia può precedere il senso di giustizia, quando esprimiamo
delle incriminazioni entriamo nel giusto o ingiusto.

Qual è il livello che noi pratichiamo di ciò che riteniamo ingiusto? Il tollerabile indica il livello di percezione dell’ingiustizia. Lì si definisce
l’umanità, la sua ampiezza. Aristotele ha collegato la virtù della Giustizia all’uguaglianza che è modulata. La nozione di uguaglianza è antica. Giustizia
come uguaglianza. Aristotele ha distinto due uguaglianze: una matematica, cioè proporzionale al suo contributo, merito. Ricoeur preferisce parlare
di senso di giustizia anziché virtù perché soddisfa un’idea di medietà tra il voler tanto e il voler meno, tutti i vantaggi e nessun svantaggio.
Coltivare il senso di giustizia, ossia il limite di tollerabilità, è fondamentale. Se non c’è questa avvertenza dell’intollerabilità o tollerabilità non
scatta dal senso di ingiustizia un senso di giustizia che si costruisce in modo aritmetico o geometrica che sono poi definizione di un’organizzazione.

Come regola di regolarizzazione.

Perché Kant parla di un dovere categorico? Perché soltanto questo garantisce che possa essere attribuibile e applicabile a tutti. << Questa esigenza di
universalità non può essere intesa come regola formale che non dice ciò che si deve fare ma dice a quale criterio debbono sottostare le massime

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Cfr. Osservatorio romano unicuique suum in Vocabolario - Treccani
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dell’azione per essere adeguate all’idea di incondizionatamente buono come si manifesta nella volontà buona >>. Grazie a questo passaggio formale,
all’inizio è un criterio che possa valere per tutti. La formalità è in funzione dell’Universalità. Per essere buono deve esserlo per me e per te, cioè
bisogna trovare qualcosa di universale. Per Kant la dimensione etica è espressa dalla bontà di questa volontà, se voglio sapere cosa è buono devo
vedere l’intenzione. Questo non vuol dire che il desiderio, la felicità ecc. siano malvagi. Non soddisfano avendo un carattere empirico. Il piacere non
può essere universale. Bisogna riferirsi a qualcosa che sia universale. In Kant è legato al patos, da cui non possiamo ricavare delle regole. C’è un
passaggio dal desiderio alla norma. Questo è stato anche il grande sogno dell’illuminismo kantiano, questo desiderio di universalità. Il piacere non
può essere universale, allora bisogna appoggiarsi a qualcosa di universale. Questo non vuol dire che ha cancellato il piacere. Esempio se mi fisso un
obiettivo devo darmi una regola, compiere un’azione che sta ad una o più regole. Qual è la forza trainante? Può essere il piacere, le emozioni? No,
perché non sono universali. Questa regola è aperta all’universalità? Kant le chiama le massime che vengono te state dal filosofo per vedere se è aperta
all’universalità? Qualunque azioni noi facciamo si legano alle massime, restano nella sfera del desiderio. Per capire ciò la devo sottoporre ad un
criterio. Qui arriviamo alla formulazione della norma. Autonomia = nomos a sé stessa, cioè la ragione è autonoma, vale a dire << auto-legislazione è
l’esatta replica sul piano deontologico della vita buona >>. L’imperativo categorico è una legge data dalla ragione a sé stessa, quindi è autonoma,
cioè è l’auto-legislazione che ha valore universale. Per essere ciò deve essere formale in questo livello. (Kant cfr. fondazione della metafisica dei
costumi). La massima che mi do può valere per tutti? Se tutti facessero ciò sarebbe razionale? Per fare un’azione mi devo interrogare può valere per
tutti? Esempio passo davanti ad un banco di frutta e verdura. Ne prendo una (azione), questa regola che mi do è universalizzabile? Sarebbe razionale?
Se non è universalizzabile non è una regola adottata dalla ragione. C’era una polemica. I fini fanno parte della nostra vita, devono essere esclusi dal
formalismo dell’imperativo categorico. E’ una strategia nel momento in cui mi scelgo una regola devo chiedermi vale per tutti? In caso affermativo
ha valenza etica. In negativo, non ha dimensione etica. Se vale solo per alcuni ha qualcosa di problematico. Al tempo di Kant si riteneva che
l’universalità fosse accessibile. Era quella universalità che puntava ad una base perpetua ed universale, che forse oggi abbiamo dismesso.

Lez. 17/05/2022

Il passaggio è dal senso di giustizia ai principi di giustizia che regolano questo livello formale e, soprattutto, procedurale. Il giusto è definito non su
una base del bene antecedente alle regole ma sono le regole che permettono di stabilire, contrattualmente con reciproco consenso, ciò che è

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giusto. Quindi I livello principio di libertà e il modo di superare le diseguaglianze sociali attraverso un procedimento chiamato massimizzazione
della posizione minima, quella inferiore. Josiah Royce41 il bene e il buono sono fondamentali per il livello teologico. Per Ricouer la prospettiva di
Royce non si discosta dal livello teologico. Il panorama filosofico del 900 si divide in due aree teoricamente contrapposte un’ala aristotelica e una

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Josiah Royce - Wikipedia Le due opere basilari del pensiero di Royce sono The World and the Individual (1899-1901) e The Problem of Christianity (1913). In entrambe queste
opere sono riportati cicli di lezioni conosciute rispettivamente come le "Gifford Lectures" tenute presso la Università di Aberdeen e le "Hibbert Lectures" tenute presso la Hibbert
Trust fondata dal Unitarianista Robert Hibbert . Il cuore della filosofia idealista di Royce è nella sua tesi secondo cui il mondo in apparenza esterno ha una esistenza reale solo
sotto una specie di conoscenza presso un Conoscitore ideale e questo Conoscitore deve essere reale e non meramente ipotetico. Royce ha portato vari argomenti a sostegno di
questa tesi nelle sue opere più importanti. Pare che egli non abbia mai ripudiato questo punto di vista, anche se le sue ultime opere sono dedicate all'esposizione della filosofia
della comunità. Il filosofo inizia il suo percorso di indagine dal significato delle idee, distinguendo fra il fine ed il riferimento con la realtà. Un'idea non è solo un processo
dell'intelletto, bensì è frutto di un processo di volontà. L'idea, compresa quella scientifica, è la manifestazione di uno sforzo della volontà che cerca la propria definizione, la
propria determinazione, tendendo a trovare nel proprio oggetto il suo stesso fine. Ma ciò che l'individuo cerca di conoscere, attimo dopo attimo, deve avere una sua esistenza
all'interno di una Coscienza collettiva assoluta. In questa dimensione assoluta Royce rileva la presenza dei limiti del mondo, come l'ignoranza e l'errore, ma anche la soluzione
per correggerli. Quindi ogni coscienza finisce per identificarsi con l'Assoluto, senza annichilirsi, ma, anzi completandosi.
Nella seconda parte dell'opera, Royce fa sua la teoria dei numeri elaborata da Cantor per dimostrare che, così come i numeri e una perfetta carta geografica, sono sistemi
autorappresentativi, in cui le singole parti rappresentato il tutto, anche la Coscienza assoluta lo è.
L'Assoluto conserva, in modo intatto, la molteplicità delle relazioni fra l'uno e i molti ed ecco perché è auto-rappresentativo.
Il pensiero di Royce si sviluppa nella opere successive per approdare ad un punto di arrivo nel "Problema del cristianesimo" (1913). In questa opera definisce una terza forma di
conoscenza, oltre al pensiero e alla percezione: è l'interpretazione, tramite la quale il soggetto può riconoscere i segni costituenti l'universo. Royce sostiene che il singolo cristiano
non può da solo raggiungere la verità, perciò il regno dei cieli si realizza solo nella chiesa, cioè nella comunità dei fedeli.
Il concetto di comunità, di «Grande Comunità» ritorna nelle ultime sue opere, associato al nucleo costituente l'ordine morale che rappresenta il punto di riferimento per l'essere
umano.

Ne Lo spirito della filosofia moderna (1932) Royce mira a dimostrare che solo la filosofia idealista può risolvere i problemi più impellenti della società contemporanea: l'unica
verità è il Logos universale, l'Io unitario che pensa il mondo, e del quale noi siamo parte organica: tutti gli io finiti esistono nell'Io infinito, che ne è l'essenza, e, pur dentro la
loro finitezza, lo realizzano e lo esprimono. Il Logos è condizione assoluta dell'intelligibilità del mondo e insieme della possibilità di un ordine morale. Le coscienze individuali si
organizzano nell'unità della Vita divina, dell'Io sovrapersonale che le integra tutte. [1]
Note[modifica | modifica wikitesto]
1. ^ Giuseppe Faggin, Storia della filosofia, ed. Principato, Milano, 1979, vol. 3, pag. 258.
Opere principali[modifica | modifica wikitesto]
 The Spirit of Modern Philosophy - Lo spirito della filosofia moderna, del 1892.
 The World and the Individual - Il mondo e l'individuo, in due volumi, del 1900-1901.
 Philosophy of Loyalty - filosofia della fedeltà, 1908
 The Problem of Christianity - Il problema del cristianesimo, del 1913.
P. Ricoeur, Amore e giustizia (unipi.it)
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kantiana, Ricouer cerca una congiunzione con il terzo livello. Presentando il modello deontologico evidenza che questa differenza non è significativa
perché rimandano, in fin dei conti, al piano teologico. L’elemento procedurale che viene dopo non riesce a discostarsi da quello precedente.

Da Aristotele a Ricoeur, storia di una giustizia dal volto umano | Filosofia e nuovi sentieri

Il momento deontologico viene a rafforzare il piano teologico. C’è una qualche dipendenza.

I LIVELLO TEOLOGICO – II MOMENTO DEONTOLOGICO. Le condizioni ponderate rappresentano un ponte tra i diversi livelli. Se noi non
avessimo qualche senso di giustizia la regola non funzionerebbe. Il momento deontologico viene a rafforzare il momento teologico.

(Il contrasto tra doveri). In Ricouer non è un qualcosa di abituale. Da Aristotele a Ricoeur, storia di una giustizia dal volto umano | Filosofia e nuovi
sentieri

La giustizia e il tragico nell’Antigone di P. Ricoeur42

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La giustizia e il tragico nell’Antigone di P. Ricoeur - Centro Ricerche Personaliste (centropersonalista.it) P. Ricoeur, amante della cultura classica,
ha ripetutamente fatto riferimento al mito di Antigone, legato a una leggenda, un rito e un luogo sacro vicino Tebe (Syrma Antigones) e al culto delle
divinità materne e ctònie, distinte dalle divinità maschili. Il mito unisce il Mediterraneo e le sue diverse culture, come un archetipo che è memoria e
insieme profezia, racconto simbolico che nasce da una creazione collettiva e viene rielaborato ad ogni Rinascimento della storia (XII-XVI-XIX,
XX…). L’intervento presenta due interpretazioni della tragedia, particolarmente significative in rapporto a quanto Ricoeur ha sviluppato circa il
tragico e il male: quella di Hegel nella Fenomenologia dello Spirito e quella di Simone Weil, con una particolare attenzione, tra i diversi mitemi, al
rapporto tra femminilità e maschilità attraverso la insolubile contrapposizione tra Antigone e Creonte.
Ricoeur, sullo sfondo di Aristotele e dell’etica come vita buona, affronta la dialettica tra etica e diritto che non può trovare composizione nella teoria
(la conciliazione hegeliana) ma esige un giudizio morale, che va sempre collocato sul registro della saggezza pratica, in situazione. Le pagine che egli
dedica ad “Antigone” dimostrano l’attenzione rivolta alla questione del male e al conflitto tra etica, morale e diritto, quando lo scontro risulta
non componibile. E’ ciò che mette in scena la tragedia di Sofocle in cui Antigone e Creonte, fraternità e potere secondo Ricoeur (in questo non
distante da Hegel) non vanno interpretati in modo alternativo, giacché entrambi i personaggi principali, in modo diseguale, hanno ragione e torto, nel
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Antigone e Creonte hanno ragione e torto entrambi, i due fratelli insorgono l’un contro l’altro e il cadavere di colui che si era ribellato viene esposto
in piazza. La sorella si rifiuta di osservare la legge di Creonte, seguendo una legge sua dà una simbolica sepoltura a suo fratello. Creonte interpreta la
legge della città lei invece altra legge. C’è questo scontro. Antigone viene condannata e reclusa.

La possibilità di equilibrio è far sì che si accede di nuovo a quello teologico, senza essere passati da quello deontologico, ma sarà un recupero più
riflessivo perché attraverso la prova della morte. La soluzione non si trova nel piano deontologico ma teologico. Il primo orientamento secondo cui
sono entrambi necessari, quando diventa conflittuale? Ricouer dà prevalenza a quello teologico senza però escludere quello deontologico.

Tre conflitti:

senso che assumono una prospettiva ragionevole dal loro punto di vista, ma angusta e alla fine distorsiva. Antigone e Creonte sono tremendamente
soli di fronte alle loro scelte, ciascuno convinto di agire per il bene, secondo la loro idea di giustizia.
La distanza da Hegel è segnata dal fatto che nel filosofo di Tubinga la morale effettiva e concreta (Sittlichkeit) sostituisce la morale astratta e trova il
suo centro di gravità nelle istituzioni, particolarmente nello Stato. Ma l’eticità hegeliana, la Sittlichkeit non può designare una terza istanza superiore
all’etica e alla morale, ma uno dei luoghi in cui si esercita la saggezza pratica, ossia la gerarchia delle mediazioni istituzionali che la saggezza pratica
deve attraversare perché la giustizia sia equità.
L’insegnamento che l’etica riceve dal tragico è il riconoscimento del limite. Significativo il richiamo del Coro a Creonte: “Fondamento primo
della felicità è la ragione; poi non mancar di rispetto nelle cose che riguardano gli déi. I superbi discorsi degli arroganti, ripagati dai duri colpi della
sorte, insegnano ad essere ragionevoli nella vecchiaia” (vv.1347-1353). Lo spettatore è sollecitato più che ad argomentare didatticamente, a volgere
lo sguardo, ad una conversione silente e inquietante che l’etica prolungherà nel discorso suo proprio. Si tratta di rinunciare alla pretesa di decifrare
tutto, di avere uno sguardo onnicomprensivo sulla totalità e ciononostante accettare il rischio di “pensare più” nel confronto con la sofferenza
senza spiegazione.
Nella sventura sono raccolti tutti i perché degli uomini di sempre, rimasti senza risposta di fronte all’impossibilità di pensare il male in una logica
di contrappasso: Antigone é innocente come Giobbe, il Giusto sofferente della Bibbia, che pure pone il problema del male per il fatto che le sventure
che lo colpiscono non gli consentono di collegare la sua vita onesta ad una incomprensibile punizione. Giobbe è una contestazione della convinzione
che il male sia una conseguenza delle azioni malvagie e dunque una punizione degli dei. Giobbe. E’ figura di una sofferenza profondamente
ingiusta, presentata dall’autore della Bibbia come una vittima alla quale non si potrebbe dare una spiegazione se non offendendola. La sofferenza
richiama inevitabilmente la tragedia centrale del cristianesimo, giacché l’essere umano, come Giobbe, come il Cristo, può solo gridare il suo “perché”
e il suo prossimo può solo com-patire, raccogliendo quel grido e elaborandolo e rivivendolo nella propria esperienza.
Greta Mancini, L’etica della giustizia in Paul Ricœur: dal proceduralismo alla ricostruzione del legame sociale - Dialegesthai (mondodomani.org)
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- universalità e storicità;
- giustizia e beni sociali
- rispetto e conflitto.

Per Kant gli imperativi hanno un valore perenne e non storico.

Nel diritto UK e USA non c’è stata la codificazione ma esiste case law.

C’è la questione dell’universalità della dichiarazione ONU dell’uomo, 1948. I diritti umani come punto di riferimento? (E. Berti)43. All’interno di
44
questo conflitto qual è la soluzione di Ricoeur? Bisogna mantenere la pretesa universale ma sottoporla alla verifica concreta.

43
Enrico Berti, È bene definire il Bene? — Orthotes Editrice
44
Ricoeur, la crisi di coscienza della vecchia Europa smemorata (avvenire.it) l fondo, vi è la perdita del senso della storia: soffriamo dell'eclissi dell'idea illuminista di progresso,
mentre la secolarizzazione inaridisce le radici giudeo-cristiane. Come ritrovare un senso della storia? In ogni caso, conclude Ricoeur, non si può vivere senza un senso della storia,
e senza una dimensione utopica nell'orizzonte d'attesa. Purché, con Weber, l'etica della convinzione non rinunci integrarsi con l'etica della responsabilità.
RICOEUR E LA TRIADE DELL’ETICA DELLA PERSONALITA | Psicologia Critica La triade precedente ha come sfondo la “triade dell’etica della personalità”,
elaborata da Ricoeur, che implica la stima di sé, il rapporto con l’altro e la propensione alla giustizia all’interno delle istituzioni.
Riguardo al primo aspetto della triade, un soggetto ha stima di sé quando crede nelle proprie forze per iniziare e sviluppare un percorso di attività ed eventualmente modificare gli
eventi, e quando crede nella sua capacità di diventare coautore della propria storia.
Il secondo aspetto della triade – il rapporto con l’altro – è stato trattato in precedenza.
Il terzo elemento della triade è il rapporto con le istituzioni.
Il rapporto operatore-soggetto in cura si realizza sempre all’interno di un’istituzione, quindi è un rapporto mediato, non immediato come quello dell’amicizia, della coppia, dei
fratelli.
Per istituzione non si intende solo o soprattutto un ente in possesso di una personalità giuridica, di un territorio ecc., ma il complesso di norme che regolano e distribuiscono
funzioni all’operatore.
Il rapporto con le istituzioni come luogo di riconoscimento e di disconoscimento incide sulla costruzione dell’identità della persona. Certe istituzioni diventano spazio del sopruso
e della violenza quotidiana che le persone, nelle figure dell’utente, dell’impiegato, dell’operaio, dello studente, soffrono e devono sopportare. In tali istituzioni viene messa in
scena l’ingiustizia che talvolta porta a una vera e propria devastazione dell’Io. Nelle scuole, negli ospedali, all’università, negli uffici pubblici e in quelli assistenziali, spesso
l’individuo vien umiliato e oltraggiato, e viene così a instaurarsi un rapporto asimmetrico tra l’istituzione sorda ai bisogni della gente e vissuta come una forza nemica.
Portata sul piano delle istituzioni, la diade amico/nemico si trasforma, viene superata – secondo Derrida – dal “terzo”, cioè la giustizia, che è la virtù delle istituzioni, come
afferma John Rawls nel suo libro “Una teoria della giustizia” .
Se l’amicizia comporta il “faccia-a-faccia”, l’inimicizia può estendersi a un campo più vasto, come ad esempio in una organizzazione dove i rapporti di amicizia e inimicizia si
moltiplicano, ciascun membro potendo essere amico di alcuni e nemico di altri, mentre di fronte ad un nemico esterno si ricompone tra i membri dell’organizzazione un’alleanza
che viene, in maniera utilitaristica, definita come un’amicizia.
Nella costruzione della personalità individuale, in parecchie occasioni il nemico rappresenta una funzione determinante per lo sviluppo di individui che hanno continuamente
bisogno di potersi scontrare e misurare con qualcuno; privato del proprio referente, il soggetto anziché sentirsene sollevato va alla ricerca di un altro nemico con cui di nuovo
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L’universale che abbiamo inserito nella Dichiarazione è universale? Alcuni dicono che non è universale ma occidentale, quindi qual è il modello di
universale? I diritti spesso sono utilizzati come arma politica e non come morale.

Lezione 18/05/2022 Sfere di Giustizia,45 smembramento della giustizia. Si può vendere o comprare tutto? Dibattito molto significativo negli USA.
Scuola neo liberale americana. Il suo pensiero è un pensiero di principio. C’è una regola che livella tutto qui invece c’è una differenziazione che
potrebbe essere anche una disgregazione. Ogni relazione sociale ha una propria sfera. << Ritorna il problema se ho tante sfere a quale dare precedenza.
Bene sociale primario ripropone il problema del tragico cioè della finitezza umana di soddisfare tutti i beni >> l’inverso di ciò che dicono i problemi.
Questo è posto nel dibattito pubblico e nella tragedia greca. Uguaglianza e solidarietà dominano il dibattito politico. Ogni posizione politica
rappresenta una sfera. Si tratta di capire. Queste parole hanno anche un carico emotivo. Le regole della retorica valgono per tutto omelie ecc.

ingaggiare la sua lotta vitale.


Secondo Derrida, il nemico ha una funzione di riconoscimento: nella misura in cui il soggetto viene riconosciuto dal nemico, sente di acquistare un valore, essendo “pensato”,
considerato, valutato; in un certo senso, la vita del soggetto dipende da tale valutazione.
Per tali considerazioni il capro espiatorio cambia: da vittima si fa soggetto attivo, essendo elevato a livello paritario con il nemico.
Le istituzioni dell’accoglienza si propongono di aiutare gli emarginati, considerati talvolta “nemici sociali”; tra questi, i tossicodipendenti, i malati di aids, le prostitute, gli extra-
comunitari e così via.
In relazione all’accoglienza del volto dell’altro, Lévinas afferma che “(…) è necessario che l’altro sia accolto indipendentemente dalle sue qualità”, “ben accolto” e in modo
immediato, urgente, senza attendere di analizzare il suo status sociale, a quale famiglia appartenga o quale sia il suo reddito.
Uno dei compiti dell’operatore rispetto alla persona che ha in cura è di individuare e neutralizzare l’effetto negativo di un’istituzione su questa persona. Un altro compito
dell’operatore è di individuare la coppia persecutore-perseguitato che si instaura in funzione della storia dell’uno o dell’altro della diade. Se, ad esempio, il persecutore appartiene
alla categoria dei perversi, cercherà un individuo da maltrattare, cambiando magari di volta in volta la sua vittima. Se, invece, il perseguitato appartiene alla categoria dei
masochisti, è lui stesso a porsi come vittima, sollecitando la crudeltà dell’altro. La personalità “perversa” è quella che gode di veder soffrire l’altro. Nella letteratura
psicoanalitica, il perverso occupa il posto della madre che ha scelto il bambino non come soggetto d’amore, ma come oggetto del desiderio. Il perverso non riconosce l’altro come
altro da rispettare, ma tratta l’altro come un corpo, come un mezzo da maltrattare.
All’interno delle istituzioni che lavorano con le personalità malate, a rischio e con un alto grado di tensione emotiva, si scatenano delle forze disgregatrici che mettono in pericolo
gli stessi operatori; a causa di ciò si verifica in tali istituzioni un continuo cambio di operatori, perchè essi perdono il legame di solidarietà fra di loro e il senso del loro lavoro o la
cosiddetta “mission”. Ma le forze negative si verificano anche fra le stesse istituzioni che lavorano in questo campo, anche se esiste una volontà da parte dei dirigenti di ciascuna
istituzione di creare una reale rete di sostegno reciproco. Quando all’interno delle istituzioni si riproducono le dinamiche dell’utenza, si crea l’implosione delle istituzioni stesse.
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Amazon.it : 9788842084686 Sfere di giustizia di Michael Walzer - Docsity Sfere di giustizia - walzer - sintesi - Docsity Michael Walzer, uno dei più
importanti pensatori politici americani, ha diretto la rivista politica "Dissent" per oltre tre decenni. Ha scritto su una vasta gamma di argomenti di
teoria politica e filosofia morale.Tra i suoi titoli pubblicati in Italia ricordiamo Esodo e rivoluzione (Feltrinelli, 2004), Sfere di giustizia (Laterza,
2008), All'ombra di Dio. Politica nella Bibbia ebraica (Paideia, 2013), Le conseguenze della guerra. Riflessioni sullo «Jus post bellum» (Mimesis,
2017) e Una politica estera per la sinistra (Raffaello Cortina, 2018)
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La legge non può provvedere tutti i casi. Talvolta, in nome della legge ci si dimentica o si crea indifferenza verso ciò che non è regolamentato. Es.
dare ospitalità a clandestini. L’equità corregge la legge che è troppo universale. Si tratta di una forma di applicazione alla natura concreta della
situazione che potrebbe comportare rischi. Qui abbiamo una pluralità di persone.

-II Parte- L’etica della disperazione, cioè con angusta o sgomento.

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