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BASI PER UNA PSICOTERAPIA CRISTIANA - IGNACIO ANDEREGGEN

Pressocché tutti, però, storcono il naso, scuotono la testa, inarcano le sopracciglia quando parlo loro
di "psicoterapia cattolica". «Non esiste una psicologia cattolica - asseriscono con convinzione - la
psicologia è la psicologia, una scienza». Ritengo opportuno, dunque, confutare questa credenza
erronea. Ed è possibile compiere quest'opera seguendo due strade differenti. La prima,
contrapponendo alla suddetta affermazione una argomentazione di tipo logico-filosofico. La
seconda, forse più importante ancora, mostrando l'esistenza di una reale psicologia cattolica. La
prima strada tenterò di intraprenderla in poche brevi righe, tutt'altro che esaustive ma, spero,
chiarificatrici. La seconda, invece, è lasciata al testo che presentiamo qui sotto, del professore
Ignacio Andereggen, ed intitolato Basi per una psicoterapia cristiana. Il brano costituisce la
relazione introduttiva alla terza sessione delle Giornate di Psicologia Cristiana realizzate dalla
Pontificia Università Cattolica Argentina nel 2005, dal titolo "Il Magistero della Chiesa e la Pratica
Psicoterapeutica".

Vorrei ora argomentare il perché una posizione di rifiuto nei confronti di una "psicologia cattolica"
sia erronea.

Lo scandalo sopraggiunge quando si pensa che una scienza, per esser tale, debba esimersi
dall'appartenere ad una "filosofia" o visione del mondo. Del resto, e questo è ben evidente, non
esiste una matematica buddista, e neppure una fisica islamica, così come suscita ilarità pensare ad
una chimica idealista o ad una biologia materialista. Cosa distingue queste materie da renderle
"scienze"? Il metodo; il metodo scientifico. Una scienza è scienza, senza aggettivi qualificativi di
alcun tipo che ne delimitino l'orizzonte sul metodo. Le cose si complicano, però, quando l'oggetto di
studio diviene l'uomo. Allora ecco spuntare la filosofia con tutte le sue numerose declinazioni:
relativista, esistenzialista, fenomenologica, ecc. Così come la storia: marxista, illuminista, realista.
Ed anche la psicologia: clinica, sperimentale, filosofica. Perché questo avviene? Perché il metodo di
indagine è imposto dall'oggetto. Mentre la natura viene indagata dall'uomo tramite l'applicazione
del metodo sperimentale senza incorrere in grossi problemi, l'uomo rappresenta un unicum distinto
da tale mondo, qualitativamente differente da esso, pertanto sfuggente ad una descrizione
esclusivamente scientifico-sperimentale. E' ciò che diversi autori, anche nell'ambito della
psicologia, definiscono "riduzionismo scientista". E' stato necessario, dunque, adottare un metodo
d'indagine di tutt'altro genere per avvicinarsi maggiormente alla natura umana: un metodo
filosofico, un metodo introspettivo, un metodo esistenziale, ecc. 
La psicologia è lo studio della psiche dell'uomo. La psicoterapia è l'intervento su tale ambito.
Entrambe le pratiche agiscono su di una componente dell'uomo, non sull'uomo intero. Ovviamente
l'intervento su di una parte implica una modificazione sulla totalità; ma il focus rimane
specifico. Ad esempio, quando il disturbo psichico è chiaramente di origine organica - come nel
caso delle sindromi neuropsicologiche, come l'afasia - il programma terapeutico/riabilitativo viene
stabilito dallo psichiatra o dal neuropsichiatra, mentre psicologo e psicoterapeuta rimangono
periferici, agendo, semmai, non sul disturbo/sintomo bensì sulla sofferenza/senso. Ma agire su di un
particolare vuol dire avere una idea su ciò che sta attorno. Studiare una maniglia di una porta
implica sapere che fa parte di una porta. E così anche la psicologia studia la psiche sulla base di una
ben precisa idea di uomo.
Essa, però, fuoriesce spesso dall'osservazione ed anche dalla riflessione. Così è possibile
comprendere coloro che parlano di psicologie più che di psicologia. Ognuna di esse si erge sulla
base di una visione dell'uomo parzialmente differente.
La psicologia sperimentale non prende in considerazione - a volte onestamente, molto più spesso
furbescamente - ciò che fuoriesce dall'ambito del suo sguardo: l'uomo è solo ciò che descrivo col
metodo sperimentale. E' quindi una visione cieca se totalizzata.
La psicologia clinica è differente a seconda dell'idea di uomo che implicitamente sottointende:
Sigmund Freud, che era un materialista, concepisce l'uomo totalmente determinato da
quell'inconscio che cerca di comprendere. Carl Rogers, spiritualista e naturalista, riteneva che
l'uomo tendesse automaticamente al bene; determinato, anche per lui, da una «tendenza
attualizzante». I comportamentisti ed i sistemici credono che la personalità dell'uomo sia oggetto
passivo delle caratteristiche ambientali. Gran parte della psichiatria ottocentesca e novecentesca
pensa all'uomo come ad un epifenomeno della materia. L'elenco potrebbe continuare.
Dunque ogni psicologia getta le sue fondamenta in presupposti antropologici, quasi sempre
impliciti e non verificati. E' sulla presenza di questi presupposti che si fonda la legittimità di una
specificazione del tipo di psicologia. Così psicoterapia freudiana non solo indica un metodo, ma
anche i presupposti che danno senso e valore a quel metodo.
Dunque ora è possibile comprendere perché è legittimo parlare di psicologia e di psicoterapia
cattolica: essa è lo studio della psiche all'interno di una concezione dell'uomo che emerge dalla
riflessione cristiana, ed in particolare dalla filosofia, teologia e soprattutto dalla Rivelazione stessa.
Come, infatti, riporta il Concilio Vaticano II (Gaudium et spes, n° 22), citato nell'intervento del
professor Andereggen, «il mistero dell'uomo si chiarisce solamente alla luce del mistero del Verbo
incarnato».
Anche Giovanni Paolo II (Redemptor hominis, n° 10) aveva affermato: «L’uomo rimane per se
stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso unitario se non incontra Gesù Cristo.
Per questo è Cristo Redentore che rivela pienamente l’uomo all’uomo stesso».
Basi per una psicoterapia cristiana
Pontificia Università Cattolica Argentina “Santa María de los Buenos Aires”; 2005.

Pbro. Dr. Ignacio Andereggen

Tratto da “El Magistero de la Iglesia y la Practica Psicoterapeutica”, pag. 187-210.

Benvenuti tutti a queste giornate anche da parte mia. Sono le seconde che organizziamo su questo
tema che è, certamente, sensibile, difficile, e che realmente vale la pena trattare, soprattutto nel
contesto della situazione culturale contemporanea che è profondamente influenzata da diverse
correnti filosofiche, però anche da diverse correnti psicologiche, le quali continuano ad acquisire
sempre più un’importanza quasi preponderante, perfino rispetto alla filosofia.
     Tentiamo di introdurci in una tematica che è più pratica di quella dell'anno scorso. Ognuno può
leggere gli atti delle giornate dell'anno scorso nelle quali sono plasmate le idee e le riflessioni di
quei giorni sui principi di base su cui dovrebbe ergersi una psicologia cristiana nei suoi molteplici
aspetti, nei suoi distinti livelli epistemologici. Lì è possibile osservare come la psicologia possieda
un livello teorico antropologico, un livello etico, un livello fenomenologico che corrisponde
all'osservazione dei fenomeni umani della vita concreta, ed ha anche un livello terapeutico, pratico
o artistico [tecnico], nel senso medievale del termine, che è quello che tenteremo di approfondire, a
partire dai suoi principi, in queste giornate.

     Abbiamo studiato l'anno scorso come dal punto di vista cristiano è impossibile che la psicologia
renda astratta la fede, così come è impossibile che si possa considerare l'uomo nella sua integrità
senza uno sguardo che tenga in conto la Rivelazione divina, specialmente perché l'uomo non può
comprendere se stesso senza cogliere questa realtà – o assenza di realtà fondamentale – che consiste
nel peccato originale: questa è una verità rivelata.

Anche se osserviamo quotidianamente le sue conseguenze nella storia dell'umanità e nella vita
concreta degli uomini, senza dubbio, la caduta originaria è qualcosa che la ragione può captare
solamente illuminata dalla fede.
Certamente, considerare il peccato originale è totalmente necessario per comprendere la vita
concreta delle persone, che è quello a cui, in ultima istanza, si orienta la psicologia, almeno come è
intesa ai nostri giorni e così come fu sviluppata a partire dalle correnti dei grandi autori del XX
secolo.
     Si tratta non semplicemente di uno sguardo speculativo sull'uomo, ma di uno sguardo pratico e
particolare; si tratta di comprendere la vita delle persone nel concreto.
     D'altra parte, bisogna dire che noi abbiamo questa prospettiva, nella quale tentiamo di discernere
accuratamente i livelli scientifici e, di conseguenza, tentiamo di discernere adeguatamente la
psichiatria come parte della medicina rispetto alla psicologia che è una scienza che studia l'uomo
nelle sue operazioni, nel suo comportamento in quanto uomo; lo studia nel suo comportamento
concretamente inteso, particolare, in quanto produce atti umani e, a volte, altri atti che sono
collegati intrinsecamente con questi atti umani.
Durante queste conferenze potremmo studiare la visione soprattutto di San Tommaso d'Aquino, ma
anche di altri autori della tradizione cristiana, e faremo un confronto con alcune correnti di
psicologia contemporanea, soprattutto nei dibattiti.
    
Da un punto di vista di una concezione integrale dell'uomo, come si sa, San Tommaso è una guida
fondamentale; è colui che struttura, in un certo modo, il pensiero sull'uomo all’interno della
tradizione successiva nella vita della Chiesa. In effetti, fino ad oggi il Magistero della Chiesa ha
sempre assunto la prospettiva antropologica di San Tommaso per spiegare i fenomeni umani più
profondi.
    
In questa conferenza introduttiva coglieremo alcuni principi della teologia e della filosofia di San
Tommaso per porli come base rispetto ad una riflessione posteriore, che avrà un carattere molto
pratico in alcuni aspetti, e che in altri toccherà tematiche che si riferiscono a punti particolari, come
il fine dell'uomo considerato nel concreto – con le sue risonanze psicologiche -, e, anche, come la
vita della grazia, in quanto motore fondamentale della salute psichica. E faremo questa riflessione in
accordo con ciò che ci ricorda il Magistero della Chiesa, e soprattutto il Concilio Vaticano II, con
questa famosa frase della Costituzione Gaudium et Spes che dice: “il mistero dell'uomo si chiarisce
solamente alla luce del mistero del Verbo incarnato” [1]. Cristo è l'uomo perfetto, e la natura umana
e la persona umana in particolare – ogni persona, ogni individuo – può essere intesa pienamente o,
meglio ancora, contemplata solamente alla luce del Verbo incarnato.
     Una psicologia che sia completa, come si può osservare a partire dalle riflessioni che già
abbiamo prodotto, non può prescindere da questa considerazione cristologica. Così, a proposito di
questo, è possibile leggere un mio articolo, che riassume una conferenza, intitolato “Cristo e la sua
relazione con la psicologia” [2] , che è stampato ed è accessibile a tutti.
    
Rispetto alla tematica che sviluppo brevemente ora, c’è, anche, un altro articolo che si chiama “San
Tommaso, psicologo” [3] , che è stato pubblicato su Sapientia nell’anno 1999, che è la rivista della
Facoltà di Filosofia e Lettere di questa Università. Lì è possibile trovare uno sviluppo armonico e
completo, anche se sintetico, di come San Tommaso possa illuminarci rispetto la costruzione di una
nuova psicologia che sia realmente cristiana, che tenga conto dei diversi livelli antropologici, che
rispetti i livelli scientifici, che però dia una concezione dell’uomo che sia realmente globale e che,
d’altra parte, sia efficace, che ci fornisca le basi per un aiuto adeguato alle persone.
     Riguardo a questo abbiamo l’occasione di riflettere circa il primo punto che vorrei approfondire,
che è la virtù della prudenza. Questa virtù è il centro dell’attività umana in quanto umana. In tutti gli
autori classici, inclusi quelli anteriori al cristianesimo – già in Platone, però specialmente in
Aristotele – abbiamo un riferimento molto preciso sulla virtù della prudenza come guida razionale
delle virtù umane.
     Essa è il vero e proprio ponte rispetto la complessità dell’universo che esiste al di fuori
dell’uomo. Vale a dire, la versione filosofica cristiana, realista e classica sull’uomo implica
un’accentuazione del carattere razionale, un approfondimento speculativo del carattere razionale
dell’uomo. L’uomo diviene tale in quanto si apre alla realtà; non può realizzare la sua persona al di
fuori dell’ordine delle cose reali. In questo senso incontriamo la risposta classica cristiana, tomista e
realista a quello che gli psicologi freudiani chiamano frequentemente “principio di realtà”.
Questo principio consiste nel contatto con le cose che realmente esistono, che hanno una struttura
creata da Dio, che hanno un’essenza;
e specialmente consiste nel contatto con la vera essenza umana, specialmente considerata nella sua
operatività.
L’uomo ha una condotta che lo porta ad una perfezione che è specifica della sua natura e che è
principalmente spirituale, anche se include molti elementi dei sensi.
    
San Tommaso, specialmente trattando della virtù della prudenza, ci insegna che molte cose che si
riferiscono alla sensazione sono necessarie per la virtù della prudenza. Questo significa che in una
adeguata psicoterapia, come vedremo dopo e come sarà chiaro dopo queste riflessioni, è necessario
tener presente l’integrità della persona, tener presente i principi universali che spiegano la persona
umana, che corrispondono alla sua essenza e che richiedono una conoscenza speculativa;

ed è necessario anche tener presente la costituzione particolare di ogni persona, come dice San
Tommaso. Questa costituzione implica un tipo di personalità che, in un certo modo, è incipiente
rispetto al perfezionamento che si realizza attraverso gli atti umani.
    
Ogni persona, ci insegna San Tommaso, è preparata per esercitare certe virtù, per esercitare
specialmente alcune virtù. Per questo, un’adeguata psicoterapia terrà in conto la realtà di ogni
persona, in quanto lo psicologo è capace di considerare nella persona non solamente la sua struttura
universale – e, quindi, non darà una risposta meramente metodologica del carattere universale – ma
osserverà la condizione concreta di ogni persona che, in ultima istanza, implica una preparazione
per certe virtù. Secondo la sua costituzione naturale, ci sono persone che sono predisposte per
esercitare la virtù della fortezza; altre sono predisposte per esercitare la virtù della giustizia; altre
sono predisposte per esercitare la virtù della temperanza; e così potremmo continuare ragionando
circa le parti integrali, potenziali ed essenziali delle distinte virtù.
     E’ necessario, in una considerazione pratica dell’uomo, come è quella che si stabilisce in una
psicologia e, specialmente, in una psicoterapia; è necessario considerare la costituzione naturale, la
quale non è meramente – in una visione che non sia materialista – frutto della condizione corporale,
ma che si radica anche nell’anima. Essa è forma del corpo; per tanto, non si tratta semplicemente
che ogni persona abbia una determinata anima per il corpo che possiede ma, soprattutto, che ogni
persona abbia il corpo che ha per l’anima che Dio ha creato in questa persona.

Questo ce lo spiega San Tommaso nella sua sintesi filosofica e teologica della seconda parte della
Summa Teologica: Dio crea l’anima di ogni persona e, creando l’anima, indirettamente causa il
corpo che, d’altra parte, viene da principi naturali e materiali.
     Lo psicologo, dal punto di vista della natura, sarà colui che è capace di scoprire in ogni persona
particolare quello che la configura come tale persona, cosa che, di per se stessa, ci fa allontanare
dalla tentazione di un metodo assoluto che possa spiegare la condizione di ogni persona, e che possa
portare ogni persona ad una condizione di salute astrattamente definita che possa essere valida per
tutti. In realtà in ogni persona, secondo la sua particolare costituzione, c’è una chiamata ad una
perfezione differente che è, in ultima istanza, ciò che chiamiamo “salute psichica”.
     Naturalmente questo si approfondisce alla luce della fede, soprattutto quando consideriamo il
dato fondamentale del peccato originale e della vita della grazia.

Come ci spiega San Tommaso seguendo i Padri della Chiesa e tutta la tradizione cristiana, non può
compiersi adeguatamente l’ordine naturale se non è presente la grazia di Dio che restaura la natura
che è corrotta dal peccato originale [4].
Questa corruzione è universale, comune a tutta la natura. Esiste, senza dubbio, continua a spiegare il
Dottor Comune nella sua seconda parte della Summa, una corruzione particolare che può infettare
ognuno di noi.
Questa corruzione ha la sua radice ultima nel peccato originale, però può aver anche casi particolari.
Ha, anche, due livelli: un livello corporale e un livello propriamente psichico.
     In effetti, ci sono infermità corporali che si ripercuotono sulla vita animica, delle quali tratta una
disciplina propriamente distinta dalla psicologia, che è la psichiatria come parte della medicina –
che è un’arte e una scienza che si riferisce al corpo dell’uomo, anche se questo naturalmente è parte
di un composto, e ciò che interessa il corpo corrisponde anche alla totalità della persona -.

Però c’è, come ci spiega il Dottor Angelico, anche un livello di infermità – o di corruzione, come
dice lui – che è proprio dell’anima, e che si chiama infermità animica o, traducendolo con una
parola più attuale anche se per la verità più antiqua, “infermità psichica”. Questa infermità, dice San
Tommaso, corrisponde a certi atteggiamenti acquisiti per abitudine. Questi atteggiamenti hanno
anche un carattere sociale o, come dice Aristotele – e San Tommaso gli fa eco –, un carattere
politico.
     Le virtù e i vizi umani, in quanto sono umani, sono anche politici. Però, cosa significa?
Giustamente l’uomo non può realizzare la sua vita, non può compiere la propria esistenza, non può
giungere al suo fine, se non in una comunità di persone. Così come la comunità delle persone ha un
influsso positivo – in se stessa è destinata alla costruzione della personalità di ognuno, che è distinta
in ogni caso – così anche, come ci indica d’altra parte l’esperienza, la comunità può avere un
influsso negativo. Questo può colpire in modo particolare le diverse persone e, più ancora, è
variabile, potendo avere, in un certo modo, combinazioni infinite. Questo è così perché possono
essere diverse le ripercussioni nelle persone secondo la costituzione particolare di ognuno, di cui
abbiamo parlato prima.
     In modo tale che la grazia di Dio, quando restaura la natura, compie un’operazione particolare in
ogni persona. Così come quello che vediamo realizzato in modo universale nei sacramenti, che
danno la grazia in modo diverso a seconda dei requisiti di ogni tappa dello sviluppo della vita di una
persona che è guidata dalla grazia – una cosa è la grazia che c’è nel battesimo, che fa nascere
spiritualmente, un’altra grazia è quella della cresima, e un’altra grazia suprema è quella
dell’Eucarestia -; così a volte accade che la grazia di Dio si moltiplichi, si discerna, si distribuisca
secondo diverse configurazioni nelle persone, e ancor più, nelle comunità.
     Questo richiede, naturalmente, un adeguato discernimento. Uno psicologo cattolico che faccia
attenzione alle persone sarà colui che è capace di discernere non solo gli aspetti naturali, cioè, a che
cosa è chiamata naturalmente ogni persona secondo la sua vita razionale, ma colui che è capace di
discernere a che cosa è chiamata ogni persona secondo la chiamata propria della grazia di Dio.
Queste due missioni non sempre sono in una continuità che possa essere adeguatamente colta
dall’intelligenza umana, perché molte volte succede che ciò che appare nell’ordine naturale rispetto
la vita di una persona – e che lo psicologo considera – non sarà perfettamente coincidente con
quella chiamata misteriosa, con quella vocazione spirituale che ogni persona ha secondo la grazia
divina. Per tanto, lo psicologo cattolico non considererà solamente quello che la filosofia e la
teologia classica chiamano “potenza naturale”, ma anche la potenza obbedienziale.
     La potenza, come ci esplicita Aristotele, è la capacità di avere una perfezione che ancora non si
domina. Ci riferiamo qui alla potenza passiva, cioè, non la capacità di attuare ma la capacità di
raggiungere una perfezione, di essere perfezionato da un agente.
Ognuno di noi è in potenza, secondo le diverse tappe della vita, per una perfezione umana. E ancor
di più, lo è per una perfezione umana ultima, che è il fine dell’uomo, così come può essere colto
naturalmente, e che gli autori classici, seguendo Aristotele – e gli autori cristiani – identificano con
la contemplazione.
L’uomo è fatto per la contemplazione, questo è, per contemplare non solamente la realtà come tale,
ma anche per contemplare Dio. Il fine dell’uomo – già lo diceva Aristotele – è, in un certo modo,
partecipare a quel atto divino per il quale Dio si contempla a se stesso.
     Tutta la struttura della personalità umana per natura è ordinata alla contemplazione. Questo
succede a due livelli distinti: a livello universale della natura umana, che è presente in ognuno di noi
– perché tutti abbiamo una natura comune o umanità -, e a livello particolare. Quest’ultimo fa
riferimento al fatto che ognuno di noi ha una strutturazione, una costituzione che si dirige fino alla
contemplazione, perfino indipendentemente dalla grazia di Dio. L’uomo, per se stesso, è fatto per
conoscere la verità, e la vita dell’uomo non si realizza mai al di fuori della verità. Per questo, è
utopico costruire una psicologia che non sia radicalmente fondata sulla conoscenza della verità delle
cose. Una psicologia che non lo è, sarà di per se stessa destinata al fallimento, all’inefficienza, o
ancor peggio, ad un influsso negativo sulle persone.
     Quindi, l’uomo è fatto per la contemplazione, non solo secondo la sua natura comune ma anche
secondo la sua natura particolare, secondo la costituzione che ognuno ha, secondo il suo corpo e,
principalmente, secondo la sua anima. Questo è così per natura: l’uomo ha questa struttura
ontologica, è fatto in questa maniera, e non può fuggire creando una natura umana artificiale, una
natura che non esiste. Questo, beninteso, ha una ripercussione immediata sul comportamento, che è
ciò che esprime quello che classicamente si chiama legge naturale.

La legge naturale è un principio di guida della condotta umana che, in ultima istanza, come ci
spiega bene San Tommaso, è una partecipazione della legge eterna nella creatura razionale.
     Così come l’uomo è fatto dalla natura per contemplare Dio, allo stesso modo è fatto per
governare se stesso, in qualche modo, come Dio si governa nei suoi atti. Per questo, come
segnalavamo all’inizio di questa riflessione, è fondamentale il carattere razionale della natura e
della persona umana. In effetti, non può esserci salute psichica al di fuori della razionalità e al di
fuori della conoscenza della verità. Questo è il principio fondamentale.
     Naturalmente l’uomo ha una dimensione affettiva e volontaria, e giustamente il nesso rispetto
alla parte appetitiva dell’uomo, il nesso tra la conoscenza speculativa della verità e il governo del
comportamento dell’uomo è stabilito da una virtù speciale e particolare, che è la virtù della
prudenza. Essa è una virtù che è nell’intelletto umano, però allo stesso tempo si riferisce agli
appetiti, cioè, alla parte affettiva dell’uomo: si riferisce all’appetito irascibile e all’appetito
concupiscibile, secondo cui noi ci orientiamo ai beni sensibili. D’altra parte si collega all’appetito
razionale, che è la volontà, per la quale cerchiamo il bene vero, che è il giusto o il diritto come
oggetto della giustizia. Cioè, dare ad ognuno ciò che gli corrisponde.
     Questa è la struttura di base del comportamento umano, ciò che gli antichi chiamavano le virtù
cardinali. Tra di esse il posto principale lo occupa la prudenza. Essa è quella che trasmette la luce
superiore della verità – in ultima istanza, derivata da Dio – a tutte le dimensioni della personalità,
che hanno una condizione particolare, la quale è realizzata da ciò che chiamiamo virtù.
     Le virtù nell’ordine naturale – la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza – consistono
nelle disposizioni operative verso il bene. Sono modi di essere particolari di ogni persona. Hanno
allo stesso tempo un carattere universale ed un carattere particolare.
    
In tutte le persone, la prudenza consiste nell’avere un contatto con la realtà pratica dell’uomo, nel
guardarlo secondo la ragione, nel vedere il suo bene che è operare secondo la ragione. In tutte,
d’altra parte, la giustizia corrisponde a dare a ciascuno il suo. In tutte la temperanza è quella che
stabilisce la moderazione razionale negli appetiti concupiscibili, che si riferiscono alla riproduzione
della specie o alla conservazione di ciascun individuo.
Per ultimo, in tutte le persone la fortezza è quella virtù che permette all’individuo di tendere al bene
arduo dal punto di vista della sensibilità.
     Senza dubbio, non esiste solamente questo aspetto, ma anche l’aspetto particolare. Ognuno
possiede le virtù in un modo particolare. Ognuno possiede una prudenza speciale, o è chiamato ad
avere una prudenza speciale. Ognuno è chiamato ad avere una forma di giustizia, a seconda che sia
governante o suddito, a seconda che tenga molti beni o pochi, a seconda che tenga molte relazioni
sociali o poche, di un tipo o di un altro tipo. Ognuno è chiamato ad avere una temperanza
particolare, a seconda che sia coniuge o moglie, a seconda che sia celibe o sposato, che sia giovane
o anziano, che abbia un corpo particolare o altro. Lo stesso bisogna dire per la virtù della fortezza:
non è la stessa (nella sua realizzazione concreta) questa virtù in un soldato o in una persona che è
malata, eccetera.
     Ognuno di noi è chiamato ad un organismo spirituale, affettivo e conoscitivo, a livello
intellettuale e a livello sensitivo, che è particolare. E’ missione propria dello psicologo attenersi
profondamente a questa struttura che, insistiamo, non solamente è universale ma anche particolare.
Per questo deve, naturalmente, conoscere con profondità l’uomo, il quale non può essere
improvvisato, e per questo motivo c’è tutta la saggezza classica della filosofia che è stata conservata
e perfezionata dal pensiero cristiano, dalla teologia, dalla tradizione di tutta la storia della Chiesa.
     Lo psicologo cristiano, senza dubbio, come abbiamo detto precedentemente, deve attenersi non
solamente a questo carattere naturale ma principalmente alla chiamata soprannaturale di ognuno.
Cioè, in ultima istanza, a quello che può diventare ogni persona alla luce di Dio, che è la chiamata
di ognuno; che è quello che in modo oscuro è delineato in queste caratteristiche naturali e
particolari; che è quello che è preparato dall’ordine naturale, secondo cui Dio ha strutturato in modo
universale l’essenza umana.
    
Allora, qual è la chiamata di ognuno? Per saperlo abbiamo una guida molto chiara nel pensiero
della tradizione e di San Tommaso, che è la riflessione circa le virtù teologali. Queste sono i mezzi
principali attraverso cui l’uomo compie la sua finalità, attraverso cui l’uomo raggiunge il suo fine
ultimo; certamente, non semplicemente il suo fine naturale, verso cui tendiamo per natura – che è la
contemplazione della verità per quanto è possibile -, ma il fine soprannaturale. Questo è
immensamente più elevato che il fine naturale, perché l’uomo è fatto per essere come Dio, per
essere divinizzato dalla grazia, e essa consiste nella vita psichica pienamente sviluppata.
     La grazia di per se stessa è coscienza: implica volontà, affetto, e tutto questo totalmente
sviluppato, il quale si dà solamente nella vita eterna. La vita eterna è la pienezza della vita psichica;
è la pienezza della coscienza che l’uomo ha di se stesso e della realtà; è la pienezza dell’amore; ed è
anche la pienezza di tutte le dimensioni corporali ed animiche che completano la spiritualità
dell’uomo. E’ la perfezione, in ultima istanza, della struttura particolare di ognuno, non solo
dell’essenza umana.
     Quando Dio ci pensa, quando Dio crea la nostra anima, sta pensando nell’eternità, in questa
grazia che possiamo arrivare ad avere, grazia per la quale, in ultima istanza, Dio ha fatto tutte le
cose che esistono;
non solamente l’uomo, ma tutte le cose che esistono sono chiamate ad ordinarsi alla grazia.
Come dice San Paolo nella lettera agli Efesini, si tratta del fatto che Cristo è il capo di tutto, di tutte
le cose, e questo si realizza per la grazia di Dio. Tutto l’universo è ordinato a questa vita psichica
piena, che è la partecipazione a questa vita attraverso cui Dio si scopre pienamente a se stesso e ha
una vita interpersonale, secondo la quale le Persone divine si amano e si conoscono eternamente, e
si trasferiscono tutto il bene divino: ognuno di noi incontra lì il suo compimento.
     Evidentemente non tutti quelli che si dedicano alla psicologia possono cogliere questa chiamata
in tutta la sua pienezza.
Ognuno di coloro che coltivano questa nobile missione di aiutare le altre persone in quello che
hanno di più intimo, a propria volta, ha una vocazione particolare. In effetti, ogni psicologo realizza
la sua vocazione di psicologo in un modo particolare, nella misura, in ultima istanza, in cui riesce a
cogliere questa chiamata negli altri. Per questo, ovviamente, si presuppone una onestà
fondamentale, che è quella di riconoscere sia le proprie capacità di psicologo, sia i propri limiti.
Cioè, si tratta di non voler spiegare al di là di ciò che si può spiegare universalmente, come è la
pretesa dei grandi metodi psicologici del ventesimo secolo, i quali sono eredi del razionalismo
moderno. Certamente, hanno la pretesa di una spiegazione esaustiva, metodica e ultima di tutta la
realtà umana.
     Non si tratta solamente di riconoscere questo limite costitutivo dell’intelligenza umana, ma, al
contrario, di riconoscere il limite di ognuno, cioè, fin dove ognuno può arrivare nell’osservazione e
nell’aiuto degli altri. Si tratta di una umiltà fondamentale dello psicologo (a proposito di questo, nel
libro che stiamo per presentare – e che potrete leggere – della giornata dell’anno scorso, c’è un
articolo molto interessante sull’umiltà dello psicoterapeuta). Ognuno deve riconoscere i propri limiti
perché non tutti hanno le medesime capacità per riconoscere in ogni persona a che cosa è chiamata,
e questo significa anche che rimane implicito in tutto lo sviluppo delle virtù, secondo il pensiero
tradizionale che abbiamo menzionato prima.
     Il carattere politico delle virtù è proporzionale anche al carattere politico della psicoterapia, nel
senso classico della parola “politico”, cioè, quello che si riferisce alla società umana, alla vita in
società, all’uomo come animale politico che non può realizzare la sua operatività se non in
comunità e, ancor oltre, nella società. Ognuno di noi è chiamato a realizzare la sua perfezione
naturale nella società, e la sua perfezione soprannaturale nella società perfetta soprannaturale, che è
la Chiesa, e in tutti gli organismi intermedi che ci sono in queste due società fondamentali.
Effettivamente, nel mezzo ci sono molte società, nelle quali si evidenza specialmente la famiglia.
Però ci sono molte altre società intermedie che sono necessarie, in primo luogo, per una adeguata
realizzazione della vita personale e, in secondo luogo, per una adeguata psicoterapia.
     Questo è un altro aspetto che vorrei sottolineare brevemente: è necessario accantonare la visione
individualista della psicoterapia, che è erede dell’Illuminismo. Per il pensiero illuminista – per il
pensiero idealista kantiano, per esempio – l’uomo è una specie di coscienza che ha un corpo, e che
realizza la sua vita particolare in quanto questa coscienza è adeguata a certe leggi universali che, in
fondo, per il pensiero che prevale negli ultimi due secoli, sono leggi formali. Consistono, in ultima
istanza, in ciò che si riassume nell’imperativo categorico kantiano, che è una specie di legge delle
leggi che non ha contenuto. Specialmente la psicoanalisi di Freud si ispira alla concezione kantiana
della legge – Freud lo dice esplicitamente varie volte -; e, conseguentemente, la visione che prevale
nell’attività psicoterapeutica nel ventesimo secolo, che segue il grande influsso freudiano, è
specialmente quella di un individuo che si confronta con un altro individuo per fargli avere una
adeguata relazione con la legge.
Questa relazione adeguata con la legge, per Freud implica anche la trasgressione della stessa,
implica la sublimazione, e tutta una serie di aspetti che si possono sviluppare più ampiamente (e che
altri hanno fatto nel libro che ci apprestiamo a pubblicare, in alcuni articoli).
     Questa visione di tipo illuminista, che prevale tuttavia nel secolo ventesimo e che segue
prevalendo nell’attualità di oggi, non è adeguata per considerare l’integrità della persona, non
solamente perché implica una mancanza di contatto con la realtà, una mancanza di vera razionalità,
- spiegare questo toglierebbe troppo tempo, beninteso – ma anche per questo ultimo aspetto
particolare che vorrei segnalare, cioè, per il fatto che impedisce intrinsecamente la considerazione
comunitaria dell’uomo, la realizzazione dell’uomo nella comunità e, anche, l’aspetto
psicoterapeutico della vita comunitaria. Detto in parole semplici, è una illusione pensare che una
persona possa pervenire alla salute psichica naturale e soprannaturale – la quale implica quella
naturale e la produce – semplicemente come individuo o, detto in un altro modo, parlando o
incontrandosi con uno psicoterapeuta o con uno psicologo: questo è avere una visione molto
riduttiva di ciò che è la persona, di quello che può arrivare ad essere la persona, e anche di quello
che significa aiutare una persona.
     In effetti, un individuo non può fare tutto rispetto ad un altro individuo. Detto semplicemente,
questo implica da una parte una concezione idealista – perché nella psicoanalisi, e in altre correnti
simili, lo psicoterapeuta è una specie di, per dirla così, creatore spirituale dell’altro, in quanto lo
eleva ad un metodo universale, di cui l’individuo non è cosciente, fino a possedere colui che non si
realizza pienamente come persona -. La psicoanalisi implica un aspetto di creatività della persona –
e in questo senso è una specie di idealismo – però, d’altra parte, se la consideriamo da un punto di
vista teologico, implica una specie di pelagianesimo, cioè, pensare che l’altro possa uscire dalla sua
situazione di infermità o di nevrosi – o come si vuole chiamare la condizione di precarietà psichica
– per mezzo dell’aiuto di un solo individuo: questo, beninteso, non è possibile.
    
Per questo, una adeguata psicoterapia, in ultima istanza, non può realizzarsi al di fuori di una
adeguata vita comunitaria. Ebbene, dove incontriamo questa vita comunitaria? Più che nella
considerazione individuale dell’uomo, in questo tema si vede specialmente la necessità della grazia.
In effetti, questo non può realizzarsi al di fuori di una autentica comunità, e ce lo dice l’esperienza.
Questa comunità è la comunità di coloro che si amano, come ci dice il libro degli Atti degli
Apostoli riferendosi ai cristiani: “gli altri li osservavano e hanno deciso di guardare come si
amano”. E’ la comunità di coloro che si amano con il vero amore che restaura tutti gli altri amori.
    
La vera terapia implica una considerazione della realtà e una vera operatività a livello degli appetiti,
che si riassume in quello che chiamiamo amore, e questo amore non può essere adeguatamente
restaurato, non può essere compiuto secondo l’ordine razionale, senza l’aiuto della grazia e, di
conseguenza, senza quello che costituisce il vertice di tutta la personalità considerata integralmente.
Questo vertice è la carità, è l’amore soprannaturale, la partecipazione del vero amore divino per
mezzo del quale abbiamo una adeguata relazione con le altre persone, per mezzo del quale
possiamo stabilire vincoli stabili e possiamo uscire dal circolo vizioso della nevrosi, che consiste in
un alternarsi dei sentimenti depressivi, dei sentimenti di rancore e di prepotenza, di superbia, di
potere o di imposizione sugli altri.
    
Come possiamo controllare noi psicologi, non avendo un metodo, l’oggettività rispetto al fine?
Cioè, come fare per non cadere nell’errore di imporre il mio ideale di fine, il mio dover essere –
per parlare in termini kantiani – a questa persona, pretendendo che lei sia ciò che io credo che
debba essere? C’è un metodo che mi possa preservare dalla soggettività totale?

Naturalmente non si tratta di forzare le persone perché questo è intrinsecamente contrario a tutto
quello che abbiamo spiegato circa la natura umana. Questa si realizza per mezzo degli atti personali,
che sono intelligenti e liberi. Per questo lo psicologo non può imporre nulla.
     Senza dubbio, tutto ciò che cerchiamo di spiegare è un metodo che tenta di mostrare che
dobbiamo fuggire la soggettività, intesa come arbitrarietà o come capriccio. Intendiamo mostrare
qui il fatto che, propriamente parlando, il fine della natura umana è lo stesso per tutti gli uomini,
vale a dire, ha un aspetto comune, è lo stesso per tutti: la contemplazione che si realizza
naturalmente. In modo soprannaturale, questo fine consiste nella beatitudine.
     In modo tale che quando si considera una persona in particolare, uno non si sbaglia mai se vede
che questa persona è chiamata alla pienezza della vita della grazia; nemmeno si sbaglia nell’ordine
naturale se sta considerando che questa persona è chiamata all’esercizio pieno della sua ragione, che
è la contemplazione. Questo non è un metodo soggettivo, precisamente perché consiste nel
riconoscere quello che l’intelligenza incontra nella realtà. In altre parole, l’intelligenza ha la
capacità reale di conoscere l’essenza delle cose, e specialmente ha la capacità di conoscere
l’essenza dell’uomo, delle azioni umane e delle leggi secondo cui le azioni umane devono
indirizzarsi. Questo è l’unico modo di fuggire la soggettività. Diversamente non c’è altra strada che
rifugiarsi nei sentimenti particolari di ognuno, che sono fluttuanti, che sono molte volte
contraddittori, e che quando sono privi di ragione, di intelligenza, portano alla malattia psichica e,
incluso, psichiatrica.
     Lo psicologo la prima cosa che deve tener a mente è la natura umana. Questo non è utilizzare la
propria soggettività, perché la natura umana ha un aspetto comune a tutti. L’uomo è fatto da anima
e corpo, e questo corrisponde a tutti gli uomini, non solamente ad un individuo ed ad un altro no.
L’uomo è chiamato ad usare la sua ragione, e la ragione è la capacità che l’uomo ha per porsi in
contatto con le essenze delle cose: questo corrisponde a tutti gli uomini e a tutte le donne, ai grandi,
ai piccoli, a quelli di una cultura e a quelli di un’altra, a quelli che sono di una religione, a quelli che
sono di un’altra o atei: tutti sono chiamati a questo.
     Gli uomini sono chiamati tutti ad essere prudenti, cioè, ad agire in accordo con ciò che la loro
ragione vede. Gli uomini sono chiamati tutti ad essere forti, cioè, a vincere i timori e le istintività
irrazionali. Gli uomini sono chiamati tutti ad usare adeguatamente le proprie facoltà sensitive e,
quindi, a moderare secondo ragione i propri appetiti.
     Questo, certamente, bisogna vederlo in ogni individuo, come abbiamo segnalato in precedenza.
E’ un compito che può definirsi intuitivo, sempre se definiamo bene che cosa significhi intuizione.
L’intuizione non è solamente e principalmente un utilizzo dei sensi, e nemmeno un uso dei sensi
interni. L’intuizione è principalmente l’uso dell’intelligenza. L’intelligenza ha due aspetti: un
aspetto che possiamo chiamare intuitivo, in quanto capta in modo quieto e penetrante la realtà delle
cose – coglie la loro essenza e l’essenza dell’uomo; può persino cogliere la struttura particolare di
un individuo, in un certo modo -, ed ha un altro aspetto, che è la razionalità discorsiva. Però questa
razionalità non è arbitraria, ma si fonda su questa intuizione che ci pone in contatto con la realtà.
Cioè la base di tutto il metodo psicoterapeutico è sempre l’uso dell’intelligenza.
In primo luogo bisogna fare una riflessione sul metodo. Il metodo, nella mentalità e nella filosofia
moderna, è assoluto, è il fondo stesso della realtà. Di più, è la realtà, prevale sull’oggetto stesso.
Come dice Hegel nella Scienza della logica: l’idea, che è la realtà ultima, è il metodo. Il metodo è
tutto, spiega tutto, fa tutto, è tutto.
     Questo si realizza in molti modi nella filosofia moderna, è implicito nella cultura moderna da
Cartesio – che scrisse, giustamente il Discorso sul metodo -, e implica una determinata concezione
della ragione. La cosa più caratteristica di questa concezione è, precisamente, il fatto che impedisce
la considerazione del particolare, specialmente nel caso della prudenza. Per questo abbiamo detto
che il centro dell’organismo psichico, considerato naturalmente, è la virtù della prudenza; perché è
la cosa che fa da ponte tra la considerazione razionale della realtà e dell’essenza umana, e tutti gli
altri aspetti della personalità.
    
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Che cos’è “metodo”? “Metodo” non è una parola magica, è una parola che ha una storia. Chi
utilizza la parola “metodo” per la prima volta in senso scientifico è Aristotele. Però Aristotele, che
sicuramente non era un filosofo superficiale, aveva presente i limiti dell’intelligenza umana.
Aristotele non usa in modo prepotente il concetto di metodo. Per lo Stagirita metodo è,
semplicemente, il procedimento di base che ha l’intelligenza quando si avvicina a realtà distinte.
Alcune di queste sono più inserite nella materia ed altre lo sono meno: per questo, ogni scienza ha
un metodo distinto secondo il livello di considerazione del materiale che ha. La metafisica, che è la
scienza suprema, deve separarsi totalmente dalla materia, deve astrarre la materia per considerare il
suo oggetto. Le altre scienze, nelle quali c’è quella che considera l’uomo – cioè, la fisica, nel senso
etimologico del termine, ossia, una scienza naturale (l’uomo ha il corpo, l’uomo è una delle cose
naturali) – non possono separarsi totalmente dalla materia.
     Si tratta qui di considerare il particolare, e questo non può essere rinchiuso in un metodo
universale. In effetti, il metodo universale non riuscirà mai a considerare il particolare. Non è
possibile rimpiazzare la virtù della prudenza. Per questo lo psicologo, in un certo modo, è chiamato
a realizzare la professione più personale.
     Ognuno è psicologo in modo diverso. Evidentemente ci sono aspetti di base comuni che sono
quelli che abbiamo segnalato prima, perché bisogna riconoscere la natura umana, bisogna
riconoscere la struttura del comportamento umano, la quale è universale. Però ci sono aspetti che
sono particolari, che sono propri di ogni persona, e questo già a livello naturale.
     La prudenza, come disse San Tommaso, richiede molte condizioni sensitive, e per questo anche
non tutte le persone possono essere psicologi, precisamente perché necessitano una certa
configurazione sensitiva – che non è solo quella dei sensi esterni ma anche dei sensi interni – per
cogliere la configurazione sensitiva dell’altro per connaturalità o per assenza di connaturalità, che è
il metodo fondamentale della psicologia, in questo senso.
     Per questo si realizza in modo molto profondo nell’ordine soprannaturale, perché lì la
connaturalità la produce la grazia. Non è garantita solamente da questa attitudine connaturale che
alcune persona hanno più di altre. Per questo, nulla pregiudica che qualcuno che non ha questa
“attitudine naturale psicologica”, per dire così, possa eventualmente considerare la persona ad un
livello superiore più profondo.
Allora, perché è così? Giustamente perché la vede con una connaturalità superiore, che è ciò che
produce la grazia.
Questo è ciò che dovrebbe esserci in tutta la direzione spirituale, però dovrebbe esserci anche, nella
misura in cui ognuno è capace e, soprattutto, nella misura in cui Dio la dà, negli psicologi cristiani.
     Questo ci fa riflettere sulla libertà. In effetti, non c’è un metodo che possa garantire la cura,
semplicemente perché la cosa più radicale della vita psichica dipende dalla libertà della persona.
Ognuno acquisisce la salute giustamente in quanto usa la sua libertà in un modo più cosciente, più
pieno. Però usare la libertà implica la possibilità anche di non usarla o di usarla male. Di
conseguenza, la professione dello psicologo non può avere un metodo che garantisca il risultato. Se
qualcuno è ingegnere e fa un ponte o un edificio di quaranta piani tenderà a garantire che non cada.
Però lo psicologo non può garantire questo perché, in ultima istanza, dipende dalla libertà della
persona e dalla risposta, anche, alla grazia divina che ognuno può avere, di maggiore o minore
generosità. Perché a volte c’è una risposta fondamentale ma non sufficiente ad integrare tutti gli
aspetti della personalità.

Note

[1] Costituzione pastorale “Gaudium et Spes”, n° 22.

[2] Ignacio Andereggen, Antropología profunda, Educa, Bs. As., 2007, cap. 17.
[3] Ibidem, cap. 16; Sapientia, Vol. LIV, Fasc. 205, Facultad de Filosofía y Letras de la Universidad
Católica Argentina, Bs. As., 1999, pág. 59-68.
[4] S. Th. I-II, q. 109, art. 4.

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