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La famiglia di Mos

Un potere occulto nella storia dell'Occidente?


(Flavio Barbiero)

Prima parte
In tutte le opere che trattano di Mos ci sono interminabili dissertazioni sui suoi genitori
naturali e soprattutto su quelli adottivi, che secondo alcune tradizioni sarebbero da
ricercarsi addirittura nella famiglia del faraone. Nessuno, per, parla mai della famiglia
formata dallo stesso Mos, dei suoi figli e dei suoi discendenti. E' un argomento che
sembra oggetto di un rigoroso tab: invano se ne cercano notizie nelle innumerevoli
opere che trattano del profeta.
I discendenti dei grandi fondatori di religioni, di solito, occupano posizioni di tutto
rilievo nelle societ che hanno adottato quelle religioni. I discendenti di Confucio, per
esempio, sono tuttora venerati nell'estremo oriente e quelli di Maometto (per la
precisione di sua figlia Fatima) hanno regnato e regnano tuttora su tutte le monarchie
arabe. E i discendenti di Mos che fine hanno fatto? Logica vorrebbe che fossero tenuti
in grande considerazione in seno ad Israele e che occupassero una posizione di rilievo
per lo meno nella sua organizzazione religiosa. Invece nella bibbia, la quale, si voglia o
no, l'unica fonte di informazioni storiche su Israele, non esiste il minimo cenno
esplicito a questo proposito. A giudicare dal silenzio che li circonda, sembrerebbero
svaniti nel nulla, come se non fossero mai esistiti. Eppure non c' dubbio che Mos abbia
avuto dei discendenti.
Quando Mos fugg dall'Egitto, si rifugi nel paese dei madianiti e trov ospitalit
presso il sacerdote Ietro, "che gli diede in moglie la propria figlia Zippora. Ella gli
partor un figlio ed egli lo chiam Ghersom" (Es. 2,22). Pi tardi Zippora gli diede un
secondo figlio maschio, Eliezer. Quando torn in Egitto per organizzare l'esodo, Mos
lasci moglie e figli presso il suocero Ietro, che glieli riport in seguito, a Refidim, nei
pressi del monte sacro. Il capitolo 18 di Esodo interamente dedicato a questo episodio:
"Ietro, suocero di Mos, venne da Mos con la sua moglie e i suoi figli, nel deserto dove
era accampato, al monte di Dio. E disse a Mos: "Sono io Ietro, tuo suocero, che vengo
da te, con tua moglie, e con lei ci sono i suoi due figli."
Questa l'ultima volta in cui Zippora e i due figli di Mos vengono nominati nel
Pentateuco. Da questo momento in poi non si dice pi una sola parola su di loro. E' un
silenzio che appare incredibile, enorme. Pu essere attribuito soltanto a due cose: o c'
stata una censura che ha tagliato o mascherato, a seconda dei casi, tutte le notizie relative
alla famiglia di Mos; oppure questa famiglia sparita, per un qualche motivo, prima
dell'invasione della Palestina. Ma se cos fosse stato, il racconto avrebbe dovuto

riportarlo. La cronaca dell'Esodo precisa e dettagliata e registra un gran numero di fatti


apparentemente banali; un fatto cos enorme come l'eventuale annientamento della
famiglia del protagonista assoluto dell'opera dovrebbe necessariamente essere riportato.
In ogni caso, quindi, si deve ammettere che una qualche forma di censura c' stata, o da
parte dell'autore stesso del Pentateuco, oppure successivamente. L'idea che qualcuno
abbia voluto cancellare la famiglia di Mos dalla storia di Israele, sembra
incomprensibile. Eppure un dato di fatto innegabile. Alcune notizie frammentarie e
liste genealogiche, sfuggite evidentemente alla censura, nei libri successivi (Giudici,
Samuele e Cronache), infatti, ci danno la certezza che i figli di Mos gli sono
sopravvissuti e sono entrati in Palestina al momento della conquista, ed hanno avuto a
loro volta dei figli e dei discendenti, che arrivano per lo meno fino ai tempi di re Davide.
Ma delle loro vicende, delle cariche ricoperte e del ruolo svolto negli avvenimenti
successivi alla conquista non viene detto nulla di esplicito. Questo non certamente
dovuto al fatto che i discendenti del pi grande dei profeti fossero personaggi di secondo
piano, che potessero venire ignorati dai cronisti dell'epoca. Non pensabile.
Vista l'importanza della famiglia, il ruolo preminente che ricopriva e la lunghezza del
periodo durante il quale certificata la sua esistenza in seno ad Israele, da escludersi
che la sua assenza dalle cronache bibliche sia dovuta ad una perdita accidentale di
informazioni. Non c' dubbio che debba esserci stata una censura deliberata, volta
specificamente a rimuovere dalle cronache ogni accenno ai discendenti di Mos.
Dovrebbe essere relativamente facile trovarne le prove. Appare inverosimile, infatti, che
tale operazione abbia potuto effettuarsi senza lasciare tracce piuttosto evidenti. Nel testo
devono necessariamente essere sopravvissuti indizi, incongruenze, fatti, nomi e
soprattutto omissioni che denunciano in modo evidente l'operazione di censura e dai
quali possibile ricostruire la vera storia di questa famiglia.
Deuteronomio
Incongruenze ed omissioni ingiustificabili e molto significative a questo proposito si
notano gi nell'ultimo libro del pentateuco, Deuteronomio. Questo libro narra i fatti
dell'ultima giornata terrena di Mos, quando egli convoca l'assemblea del popolo ebraico
e tiene un grande discorso di commiato, passando pubblicamente le consegne ed il
potere ai suoi successori. Ci sono cose che dovevano necessariamente essere riportate
nella cronaca di quella giornata, perch ne costituiscono una parte importante, se non
addirittura il motivo principale per cui era stata convocata l'assemblea. In particolare
manca ogni accenno al sommo sacerdote che era o dovette entrare in carica in
quell'occasione.
In mancanza di indicazioni specifiche viene correntemente dato per scontato che il
sommo sacerdote fosse allora Eleazaro, figlio di Aronne, che avrebbe ereditato la carica
dal padre; ma falso. Aronne e suo figlio non sono mai stati sommi sacerdoti: questa
una leggenda messa in circolazione successivamente, quasi mille anni dopo, ai tempi di
Esdra, che non ha alcun fondamento nei primi libri della Bibbia. Fino a che rimase in
vita il sommo sacerdote fu sempre e soltanto Mos. Lui e solo lui fu l'interlocutore con
Dio; fu lui che consacr il tempio-tenda, lui che consacr Aronne e successivamente

Eleazaro; lui che convocava le assemblee e presiedeva le cerimonie. Aronne fu sempre e


soltanto una comparsa. Non ci pu essere il minimo dubbio che Mos assommasse nella
sua persona il potere sia civile che religioso.
Nella sua ultima giornata, narrata in Deuteronomio, egli passa pubblicamente il potere
civile a Giosu, ma non quello religioso. A chi and quest'ultimo? Chi fu designato
sommo sacerdote da Mos al momento del suo commiato dal popolo ebraico? Se il
sommo sacerdote fosse stato in quel momento Eleazaro, dovremmo aspettarci che egli
comparisse a fianco del profeta come, giustamente, compare il suo erede militare,
Giosu. O quanto meno che il suo nome comparisse nei passi pi significativi di un libro
quasi interamente dedicato a questioni di carattere religioso e sacerdotale.
Invece il nome di Eleazaro non compare mai nel libro di Deuteronomio, se non una
volta, incidentalmente, in relazione alla morte del padre. In nessuna parte di
Deutoronomio viene mai precisato chi fosse il sommo sacerdote, n chi avesse diritto al
sacerdozio. Il che, in un libro che doveva costituire il fondamento della legittimit delle
cariche religiose in Israele, inammissibile. E' fin troppo evidente che vi stata
esercitata una censura a questo proposito.
Secondo la consuetudine ed il diritto in vigore presso il popolo di Israele, i figli
primogeniti ereditavano sempre la posizione ed i privilegi del padre; per questo la
condizione di "primogenito", che viene sempre specificata nella Bibbia, era ed tutt'oggi
cos importante in quella societ. Non ci sono indicazioni che Mos facesse eccezione
alla norma su questo punto; anzi, il fatto che il racconto evidenzi che Ghersom era il suo
"primogenito", sottintende che veniva considerato quale suo erede e successore. In base
alle consuetudini, quindi, e alla logica, dovremmo aspettarci che Mos abbia presentato
come proprio successore alla carica di sommo sacerdote il proprio figlio primogenito.
Come pure dobbiamo ritenere che i discendenti del primo e pi grande sacerdote di
Israele, Mos, debbano aver ereditato quanto meno lo stato di sacerdoti. Ma nel libro di
Deuteronomio i figli di Mos non sono mai nominati; neppure in occasione della sua
morte e sepoltura, il che decisamente contrario ad una norma perfettamente
documentata nel Pentateuco: tutti i patriarchi sono stati sepolti dai propri figli.
Il testo di Deuteronomio, quindi, risulta lacunoso su due punti di assoluto rilievo
nell'ambito dei fatti narrati e di importanza capitale nella storia di Israele: i figli di Mos
e l'identit del suo successore alla carica di sommo sacerdote. E' legittimo ritenere che su
questi due argomenti sia stata esercitata una sorta di censura e che fra di essi ci sia una
stretta connessione.
L'eredit della famiglia di Mos
Proseguendo con il libro di Giosu, le omissioni ingiustificate sono assai pi evidenti e
clamorose e quindi la prova della censura risulta ancora pi eclatante. Il libro narra la
conquista e la spartizione della Palestina. Terminata la conquista "si riun tutta la
comunit dei figli di Israele in Siloh, (Gs.18,1) e Giosu tir per essi le sorti in Siloh
davanti a Jahweh ed ivi distribu la terra ai figli di Israele."

Dei 24 capitoli del libro, ben dieci sono interamente dedicati alla spartizione del
territorio conquistato fra le varie trib. In essi vengono elencate una per una tutte le
famiglie di Israele, con i territori loro assegnati. La famiglia di Mos, il personaggio in
assoluto pi importante, non poteva essere ignorata in questo contesto. Incredibilmente,
invece, non vi si trova neppure un singolo cenno in proposito. E' un fatto sbalorditivo.
Tutti gli ebrei hanno avuto un pezzetto di territorio, anche i personaggi pi insignificanti;
persino qualcuno dei parenti madianiti di Mos ha ricevuto la sua parte di eredit in
Palestina. Infatti Obab il chenita e i suoi discendenti ebbero un territorio in mezzo a
Israele, nella valle del Giordano, vicino a Gerico. Obab era fratello di Zippora e quindi
cognato di Mos; importante il fatto che egli abbia avuto assegnata una parte di eredit
in Israele. A maggior ragione, quindi, i figli veri e propri di Mos devono aver avuto,
all'atto della spartizione, una parte adeguata ai meriti e alla posizione del padre.
Invece nulla: essi non vengono mai nominati, neppure di sfuggita. Quella famiglia
sembra sparita, volatilizzata. Sappiamo invece con certezza, dai libri successivi, che al
momento della spartizione essa si trovava in Palestina. E' fin troppo evidente, quindi, che
ci deve essere stata una censura nel libro a questo proposito. Non possibile, infatti, che
si tratti di una semplice "dimenticanza" del redattore.
Silo
Ma non l'unica. Dal momento che si cercano nel libro di Giosu informazioni che
dovrebbero esserci e invece non ci sono, non si pu fare a meno di rilevare un'altra
clamorosa omissione di questo libro.
Fin dalla spartizione, la citt di Silo, situata nel territorio montagnoso di Efraim, pi o
meno al centro del territorio conquistato, si era imposta come la localit pi importante
della Palestina. Una rapida indagine attraverso il testo biblico, infatti, sufficiente a
stabilire che era assurta a citt guida di Israele fin immediatamente dopo la conquista
della Palestina ed era rimasta tale fino alla sua distruzione, operata dai Filistei ai tempi di
Samuele.
Le conferme sono numerose, come per esempio in Geremia 7,12-16, dove il profeta,
preannunciando la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio, mette in bocca a
Jahweh le seguenti parole: " nella mia dimora che era in Silo avevo da principio posto
il mio nome io tratter questo tempio (di Gerusalemme) che porta il mio nome e nel
quale confidate e questo luogo che ho concesso a voi e ai vostri padri, come ho trattato
Silo". In Giudici 18,31 detto chiaramente che a quei tempi "la casa di Dio era a Silo".
A Silo, infatti, era stato eretto il tempio a Jahweh dove veniva conservata l'arca
dell'alleanza (1 Sam. 4,3). A Silo risiedeva il sommo sacerdote. A Silo tutta Israele
portava le proprie offerte per il Signore (1 Sam. 2,13 seg). A Silo tutti gli anni
convenivano gli israeliti da ogni parte della Palestina, "per prostrarsi e sacrificare a
Jahweh degli eserciti" (Gdc, 21,19; 1 Sam. 1,3). Sulla base di tutte queste indicazioni,
cos chiare e precise, non possibile nutrire dubbi sul fatto che, durante tutto questo

intervallo di tempo, Silo era stata per Israele quello che pi tardi sarebbe stata
Gerusalemme.
Ai tempi della spartizione del territorio fra le trib di Israele, quindi, Silo era in assoluto
la citt pi importante di tutta la Palestina. E il titolare del santuario, in quanto sommo
sacerdote, era la massima autorit di Israele. L'autore del libro di Giosu non poteva
ignorare quella che era in effetti l'informazione pi importante e significativa di tutto il
libro e cio a chi fosse stata assegnata la citt ed il suo santuario. Quindi, delle due l'una:
o egli ha omesso deliberatamente di riportare la notizia, per una qualche sua ragione che
al momento ci sfugge, oppure essa stata cancellata successivamente. Se all'epoca della
conquista il sommo sacerdote di Israele fosse stato Eleazaro, come vuole la tradizione
consolidata ai tempi di Esdra, logico aspettarsi che la citt sarebbe stata assegnata a lui
stesso. Ma il libro di Giosu non lo dice. Anzi, un controllo accurato del testo permette
di stabilire con certezza che la citt non fu assegnata a nessuno dei leviti, e tantomeno ai
discendenti di Aronne. I leviti ebbero in tutto 48 citt, distribuite fra le varie trib, che
sono nominate una ad una, comprese le quattro nella regione di Efraim, dove si trovava
Silo: Sichem, Ghezer, Qibsajim e Bet-Horon. Tredici citt, anch'esse elencate una ad
una, vengono assegnate specificamente alla famiglia di Aronne, vale a dire a Eleazaro,
Itamar e ai loro figli. Di Silo neanche l'ombra! Ulteriore conferma il fatto che Eleazaro
fu sepolto a Ghibeat, chiara indicazione che questa era la sua citt, passata poi in eredit
a suo figlio Fineas.
Silo, quindi, non era stata assegnata ad un levita e tanto meno ad un discendente di
Aronne, Eleazaro o suo figlio Fineas. Nondimeno era sede del tempio a Jahweh e vi
risiedeva la pi alta autorit religiosa di Israele, il sommo sacerdote. Il fatto che nel libro
di Giosu non venga detta una singola parola da cui si possa arguire a chi fosse stata
assegnata la citt costituisce una omissione altrettanto clamorosa di quella relativa alla
mancata menzione della famiglia di Mos. Non possibile che il narratore ignorasse
proprio quelle che erano le notizie pi importanti di quella spartizione, e cio a chi era
stata assegnata Silo e quale fosse la parte di eredit toccata ai figli di Mos.
L'ipotesi della censura diventa quindi una certezza. Anche qui, come in Deuteronomio,
essa riguarda due punti essenziali: la famiglia di Mos e l'identit del sommo sacerdote,
titolare di Silo. Prende consistenza, quindi, l'ipotesi che tra il sommo sacerdozio e la
famiglia di Mos ci fosse una relazione ben precisa e che Silo con il suo santuario fosse
stata assegnata in eredit proprio a questa famiglia. Ipotesi che diviene certezza, in base
alle informazioni sui discendenti di Mos contenute nei libri successivi.
Seconda Parte
In Deuteronomio e Giosu si hanno numerose indicazioni dalle quali si desume che la
famiglia di Mos sopravvissuta al profeta, entrata in Palestina al tempo della
conquista ed era titolare della carica di sommo sacerdote a Silo. Si tratta per lo pi di
prove indirette, consistenti in omissioni importanti che nessuno poteva ignorare a
quell'epoca e che dovevano necessariamente essere riportate nel testo. In Giudici, invece,
si cominciano a trovare le prime prove dirette ed esplicite.

Ben due capitoli di Giudici, il 17.mo e 18.mo, vengono dedicati a una storia
apparentemente strana e avulsa dal contesto narrativo del libro stesso. Si parla infatti di
un "certo" levita, figlio cadetto di un personaggio ignoto, che parte da Betlemme in cerca
di fortuna e viene accolto in casa di un non meglio identificato Mica, che abitava sulla
"montagna di Efraim" e che lo assume come suo "sacerdote" personale. Dopo varie
vicende, il nostro sacerdote approda a Dan, dove fonda un santuario. Alla fine dei
capitoli si scopre che questo levita "innominato" aveva un nome ben preciso, Gionatan,
ed era figlio nientemeno che di Ghersom, primogenito di Mos.
Questo versetto importante perch conserva l'evidenza di una censura e mostra come
essa sia stata operata con interventi davvero minimi sul testo. Nella versione della Bibbia
tratta dal testo masoretico, infatti, il nome di Mos stato cambiato in quello di
"Manasse", semplicemente inserendovi una "n". In tal modo il genitore di Gionatan
diventa "Ghersom figlio di Manasse", personaggio che non esiste nella Bibbia. Manasse
era il figlio primogenito di Giuseppe, morto in Egitto almeno mezzo secolo prima, e non
ebbe alcun figlio di nome Ghersom. Che si tratti di interpolazione voluta, per sviare
l'attenzione da Mos, appare pi che evidente.
Nella versione greca detta dei LXX, (tratta a sua volta da un testo ebraico pi antico di
quello masoretico), questa corruzione, invece, non avvenuta. Qui c' scritto
chiaramente che si tratta proprio del figlio di Mos. Questi due capitoli di Giudici,
quindi, confermano in maniera puntuale che la famiglia di Mos si trovava in Palestina.
Forniscono inoltre una informazione molto importante e cio che i figli di Ghersom
erano sacerdoti per diritto di nascita; vale a dire che il sacerdozio era una condizione
ereditaria, legata alla famiglia di Mos.
C' infine un ultimo particolare di estremo interesse, e cio il fatto che "Gionatan, figlio
di Ghersom, figlio di Mos, e quindi i suoi discendenti furono sacerdoti della trib di
Dan fino al giorno della deportazione dalla terra. Essi si eressero l'idolo che si era fatto
Mica, che rimase in quel luogo per tutto il tempo in cui la casa di Dio fu in Silo" (Gdc.
18,31). E' evidente da questo cenno che fra Gionatan e il santuario di Silo doveva
esistere un legame diretto. La spiegazione pi logica e immediata che balza alla mente
che il titolare del santuario di Silo fosse suo padre Ghersom.
Sulla base di queste indicazioni possibile ricostruire le vicende della famiglia di Mos
con buon grado di affidabilit. Prima della sua morte, in Transgiordania, Mos deve aver
affidato il potere religioso al suo primogenito Ghersom, trasmettendogli la carica di
sommo sacerdote. Il potere civile fu invece assegnato "ad interim" a Giosu, che per le
sue capacit militari era l'unico in grado di guidare la conquista della Palestina. Il resto
della famiglia di Mos ebbe come prerogativa la condizione del sacerdozio.
All'atto della spartizione del territorio conquistato, Ghersom ebbe in eredit Silo, dove
venne subito edificato il tempio a cui affluivano le offerte da tutta la Palestina. Il titolare
del tempio di Silo, in quanto sommo sacerdote, era la massima autorit di Israele. Alla
morte di Giosu, nessuno subentr al suo posto, per cui la guida del popolo ebraico
dovette ricadere interamente nelle mani del sommo sacerdote.

Sappiamo per certo, proprio da numerosi passi del libro di Giudici, che a quell'epoca
Silo era il centro politico e religioso di Israele, dove il popolo ebraico conveniva tutti gli
anni per portare le proprie offerte al tempio di Jahweh e dove veniva convocato nelle
situazioni di emergenza. Ma il nome del sommo sacerdote non compare mai nel testo, n
viene mai evidenziato il ruolo della famiglia sacerdotale negli avvenimenti del periodo.
Il testo popolato soltanto di "leviti" senza nome e senza una provenienza precisa, che
appaiono dotati di autorit enorme, senza per che ne venga specificata la fonte.
L'opera del censore a questo riguardo pi evidente che mai nel testo di Giudici, perch
la mancata menzione di nomi, luoghi e fatti si avverte in modo immediato e diretto ed
tale da rendere incomprensibile buona parte degli episodi narrati e soprattutto da rendere
impossibile inquadrare gli avvenimenti in una cornice storica che abbia un minimo di
senso. E' un libro confuso che da un lato, a causa delle sue reticenze, lascia emergere il
quadro di un periodo apparentemente in preda all'anarchia ed al disordine sia politico che
religioso, mentre dall'altro testimonia in maniera inequivocabile l'esistenza a Silo di una
forte autorit centrale riconosciuta da tutto il popolo.
Da notare che anche qui la censura rivolta essenzialmente alla famiglia di Mos e
all'identit del titolare del santuario di Silo, che sulla base dell'analisi precedente doveva
essere appunto Ghersom, primogenito di Mos. Ma perch mai qualcuno si preso la
briga di cancellare dai primi libri della Bibbia proprio i discendenti di quello che in
assoluto il personaggio pi grande e importante di tutta la storia di Israele? La risposta a
questa domanda scaturisce con evidenza dall'analisi del testo biblico: i discendenti
immediati di Mos erano personaggi indegni e profondamente invisi alla popolazione
ebraica, che mal tollerava il loro primato.
La ragione principale va ricercata nel fatto che i figli di Mos non erano ebrei, o
comunque non potevano essere considerati tali a pieno titolo. Erano nati da madre
madianita e cresciuti fra i madianiti, quindi decisamente di cultura madianita. E gli
israeliti mal tolleravano di sottostare ad uno che non fosse ebreo al 100%. Questo da
solo sarebbe sufficiente a giustificare il desiderio di cancellarli dalle cronache di Israele
ed evitare un loro abbinamento alla casta sacerdotale. Si aggiunga il fatto che Ghersom
era un personaggio dispotico e sanguinario, autore di azioni raccapriccianti. Ci si
deduce dal testo stesso.
Kusan il terribile
Da un passo di Giudici, molto controverso e sicuramente manipolato, apprendiamo che
dopo la morte di Giosu il potere pass ad un certo "Kusan Risataim, re di Aram. Gli
Israeliti stettero sottomessi a Kusan Risataim per otto anni. Allora gli Israeliti alzarono
il loro grido a Jahweh, il quale suscit un salvatore che li liber: fu Othoniel, figlio di
Qenaz". Gli esegeti si sono sempre chiesti chi mai potesse essere questo personaggio,
che sicuramente non era un re Arameo, n risulta avesse un esercito, una sede, o che
avesse invaso la Palestina o compiuto azioni militari di alcuna sorta. La cosa pi strana
il nome: "Kusan", infatti, non un nome di persona, ma il nome di una localit del paese
di Madian, da cui venivano Zippora e i figli di Mos (vedi Abacuc 3,7).

Si tratta senza dubbio di un soprannome, applicato sprezzantemente a qualcuno


originario di quella localit. Ci vuol poco a capire che si tratta proprio di Ghersom,
succeduto a Giosu nella guida del paese. La conferma ci viene data da uno scritto
apocrifo del II secolo a.C. (L'Apocalisse di Mos) che fornisce una versione di quei
versetti leggermente, ma significativamente, diversa da quella fornita dal libro dei
Giudici. Infatti egli dice testualmente: "Dopo la morte di Giosu si pose a capo dei figli
di Israele, per ottanta anni, Kusan il terribile. Quindi guid Israele per venti anni
Othaniel, figlio di Kena".
"Kusan" con tutta evidenza il capo israelita che subentra immediatamente a Giosu
nella guida del popolo ebraico. Non un re straniero invasore, quindi, ma sicuramente il
titolare del tempio di Silo. E non viene sconfitto da Othaniel, come detto in Giudici.
Kusan, quindi, era il soprannome con cui veniva indicato il titolare di Silo, massima
autorit della Palestina. Trasparente indicazione che si trattava proprio del figlio di
Mos, Ghersom, madianita cresciuto a Kusan. E' un soprannome sprezzante, a cui si
aggiunge un appellativo che rivela chiaramente la natura maligna del personaggio.
"Risataim", infatti, significa "dalla doppia malizia", tradotto dall'apocrifo in "terribile".
L'appellativo "terribile" lascia presumere che Ghersom governasse con il terrore, e fosse
stato protagonista di fatti di sangue che hanno gettato Israele nella costernazione. In
effetti gli ultimi tre capitoli del libro sono dedicati ad un episodio raccapricciante, in cui
un "anonimo" "levita, che abitava all'interno delle montagne di Efraim" (Gdc. 19,1),
squarta la moglie morta in seguito alle violenze subite da alcuni beniaminiti, a cui lui
stesso l'aveva abbandonata, e ne manda un pezzo a ciascuna delle trib di Israele,
convocandole a Silo. Qui egli esige che la trib di Beniamino venga completamente
sterminata, donne e bambini inclusi (soltanto alcuni giovani vengono in seguito
risparmiati per perpetuare la trib). Pi tardi fa sterminare anche gli abitanti di Jabes del
Galaad, perch non si erano presentati all'appello a Silo - Gdc. 21,8-12.
Non c' dubbio dal contesto che l'anonimo levita protagonista di questo truculento
episodio era il titolare del tempio di Silo, tutt'altro che "anonimo", quindi; ma il suo
nome stato evidentemente cancellato per non coinvolgere la figura di Mos nel
discredito che questi fatti gettavano sulla sua famiglia. Azioni cos sproporzionate
dimostrano un carattere dispotico e feroce, che certamente non valse ad aumentare la
popolarit di Ghersom, gi malvisto per il fatto di essere madianita. Era senz'altro il
personaggio pi odiato e disprezzato dell'epoca. Ed i suoi successori non dovevano
essere molto pi popolari.
Il disprezzo verso la famiglia sacerdotale di Silo traspare con tutta evidenza anche nel
libro successivo, quello di Samuele. Il sommo sacerdote Eli e i suoi due figli Ofni e
Fineas risultano impopolari e invisi a tutti, descritti come lestofanti avidi e arroganti,
interessati soltanto a depredare il popolo. In 1 Sam.2,12, si legge:
"I figli di Eli erano uomini perversi: essi non conoscevano Jahweh n il diritto dei
sacerdoti presso il popolo. Ogni volta che uno offriva un sacrificio, veniva il servo del
sacerdote, mentre si cuoceva la carne, con un tridente in mano, e lo ficcava nel caldaio:

il sacerdote si prendeva tutto quello che il tridente tirava su. Il peccato dei giovani era
molto grande davanti a Jahweh, poich quegli uomini disonoravano le offerte di
Jahweh."
Se si considera che queste parole sono rivolte ai figli del sommo sacerdote, eredi essi
stessi al sommo sacerdozio, si capisce bene di quale profonda impopolarit soffrisse la
famiglia sacerdotale in quel periodo. Si capisce anche come nessuno fosse desideroso di
sottolineare la discendenza di tale famiglia dal sommo profeta Mos e come il redattore,
o un qualche copista del testo biblico, abbiano omesso deliberatamente ogni accenno che
potesse stabilire in maniera evidente un legame fra Mos ed i suoi discendenti. Mos era
il fondatore della religione ebraica, il garante supremo della legge: non poteva essere
travolto, o anche soltanto toccato, dalla impopolarit e dalle malefatte dei suoi indegni
discendenti. Occorreva creare un disaccoppiamento. Questo venne a rispondere in
seguito anche ad una esigenza di legittimit della famiglia sacerdotale, che non aveva
alcun interesse a sottolineare la sua discendenza madianita.
In un primo momento, quindi, si tent di far sparire dal libro sacro le prove che legavano
i discendenti di Mos al profeta, e questo nell'unico modo possibile: facendo sparire i
discendenti stessi. La censura dei testi dovette esercitarsi nel modo pi discreto e leggero
possibile, limitandosi a cancellare qualche riga qua e l e a sopprimere o modificare
qualche nome. Ne risultarono incongruenze vistose e rivelatrici, per cui in un secondo
tempo si dovette cercare di mascherarle, trovando un sostituto che potesse assumersi la
paternit della famiglia sacerdotale con un minimo di credibilit.
Aronne venne a trovarsi in posizione ideale per questa operazione. Al tempo di Esdra
venne indicato di punto in bianco, e senza alcuna giustificazione di tipo genealogico (lo
vedremo in seguito), quale antenato dei sacerdoti rientrati a Gerusalemme dall'esilio
babilonese e da allora in poi questa diventata la versione accettata in tutto il mondo
ebraico. La famiglia di Mos scomparsa, sepolta nell'oblio, nonostante le numerose
indicazioni della Bibbia che ne testimoniano l'esistenza. Per una qualche ragione che
sfugge alla comprensione, nessuno ha mai osato indagare questo argomento.
Il sommo sacerdote Eli
Nel libro di Giudici si trova l'evidenza che la famiglia di Mos sopravvissuta alla
morte del profeta ed entrata in Palestina e anche la prova che questa famiglia era
titolare del santuario di Silo e che ai suoi membri competeva il sacerdozio per diritto di
nascita. Nei libri successivi si trovano numerose citazioni dei discendenti di Mos che
confermano tutto ci in maniera definitiva.
C' un modo per sapere con certezza chi ha avuto Silo in eredit all'atto della spartizione.
Le cariche in Israele, come pure il possesso di beni e citt, erano sempre ereditari. Basta
quindi controllare chi fossero gli antenati del titolare del santuario di Silo ai tempi di
Samuele, per scoprire chi l'ha avuta in sorte all'atto della spartizione. Nei libri di
Samuele tutti i personaggi vengono identificati con le loro genealogie, di norma quelli
importanti fino a Giacobbe. Il primo libro, infatti, si apre con la genealogia completa di

Samuele, che risale fino ad Efraim, figlio di Giuseppe. A maggior ragione, quindi,
dobbiamo aspettarci che siano citati gli antenati del gran sacerdote Eli, titolare del
tempio di Silo, il personaggio pi importante di Israele a quell'epoca. Ma
sorprendentemente gli antenati di Eli non vengono citati da nessuna parte. Neppure il
nome di suo padre. E' assolutamente incredibile. Il solito censore all'opera? Senza
dubbio; ma c' un passo, 1 Sam.2,27, in cui il censore lascia filtrare qualche
informazione in merito ad un grande antenato di Eli, ovviamente senza riportarne il
nome:
"Un giorno venne un uomo di Dio a Eli e gli disse: 'Cos dice il Signore: Non mi sono
forse rivelato al tuo antenato mentre gli ebrei si trovavano in Egitto come schiavi nella
casa del faraone? Ed egli fu scelto fra tutte le trib di Israele per me, perch facesse il
sacerdote e salisse sul mio altare per far ascendere il fumo dei sacrifici, per portare
dinanzi a me l'efod, affinch io dessi alla casa del tuo antenato tutte le offerte fatte
mediante il fuoco dai figli di Israele?'"
Sulla base di queste parole, sembrerebbe non possano esserci dubbi che il "grande
antenato" di Eli debba identificarsi con lo stesso Mos: fu a lui e a lui solo che Dio si
rivel mentre gli ebrei erano in Egitto; lui fu sempre l'unico interlocutore diretto con
Dio. E fu Mos a consacrare il tabernacolo e ad offrire i primi sacrifici; fu lui a ungere
Aronne ed i suoi figli (Es.29). Tutti i moderni commenti esegetici, invece, sono concordi
nel dire che si dovesse trattare di Aronne; come voleva il nostro censore, del resto. Ma la
cosa ha poco senso e non trova conferma nel testo. Di Aronne si conoscono tutte le citt,
e Silo non fra queste. Mentre Ghersom, figlio di Mos, e suo figlio Gionatan sono
associati a Silo. Dovendo scegliere fra i due, appare praticamente obbligato ritenere che
il grande antenato di Eli, cui fa riferimento l'autore del libro di Samuele, fosse lo stesso
Mos.
Se la famiglia di Mos realmente sopravvissuta, infatti, non ci pu essere il minimo
dubbio che deve aver avuto in possesso proprio il santuario di Silo ed ovviamente la
carica del sommo sacerdozio, ad esso collegata. E che sia sopravvissuta dimostrato non
soltanto dai cenni che abbiamo visto, ma anche da precise liste genealogiche sfuggite
alla forbice del censore nei libri successivi, le quali fra l'altro forniscono indicazioni su
quale fosse il ruolo assegnato ai discendenti di Mos.
Le liste genealogiche di Cronache
Nei libri di Samuele si possono seguire le vicende della famiglia di Eli, da cui
discendono tutti i sacerdoti di Israele, dalla distruzione del tempio di Silo fino al termine
del regno di Davide, quando Gerusalemme diviene la capitale dei regni riuniti di Israele
e di Giuda. I due libri seguenti, 1 Re e 2 Re, consentono di seguire la famiglia
sacerdotale lungo i successivi quattro secoli generazione dopo generazione. Abbiamo la
certezza che l'ultimo gran sacerdote della serie, Giosedec, figlio del gran sacerdote
Seraja ucciso a Ribla da Nabuccodonor, che viene deportato ancora fanciullo a
Babilonia, discende in linea diretta da Zadoc, e quindi in definitiva da Eli. Zadoc, infatti,
era figlio di Achitub, a sua volta figlio di Fineas, figlio di Eli.

A questo punto cominciano a riemergere nuove prove a favore della famiglia di Mos. In
1 Cronache 23,14 c' scritto che "riguardo a Mos, uomo di Dio, i suoi figli furono
contati nella trib di Levi. Figli di Mos: Ghersom ed Eliezer. Figli di Gherson: Sebuel
il primo. Figli di Eliezer furono Recabia il primo. Eliezer non ebbe altri figli, mentre i
figli di Recabia furono moltissimi."
Di Gherson viene citato soltanto il primogenito, Sebuel, mentre sappiamo da Gdc. 18,31
che aveva avuto per lo meno un altro figlio maschio, Gionatan. Di Eliezer viene citato il
primo ed unico figlio, Recabia, ma specificando che quest'ultimo ebbe molti figli.
Questo passo fornisce la certezza su un certo numero di punti importanti. Innanzitutto,
ancora una volta, che la famiglia di Mos gli sopravvissuta ed ha avuto discendenti. In
secondo luogo che questo fatto era ben noto in Israele e che non poteva non essere
riportato nelle cronache di Giosu, Giudici e Samuele; pertanto l'ipotesi della censura
esercitata sul testo, vuoi dal redattore stesso o da qualcuno successivamente, si conferma
come certezza. In terzo luogo ci fornisce l'evidenza che la famiglia di Mos ha svolto un
ruolo di primo piano nella vita religiosa e politica di Israele.
Ulteriore conferma si trova sempre in Cronache, due capitoli pi avanti; al versetto 24, si
legge:
"Sebuel, figlio di Ghersom, figlio di Mos, era sovrintendente dei tesori. Tra i suoi
fratelli, nella linea di Eliezer: suo figlio Recabia, di cui fu figlio Isaia, di cui fu figlio
Ioram, di cui fu figlio Zicri, di cui fu figlio Selomit. Questo Selomit con i fratelli era
addetto ai tesori delle cose consacrate, che il re Davide, i capi dei casati, i capi di
migliaia e di centinaia e i capi dell'esercito avevano consacrate, prendendole dal bottino
di guerra e da altre prede, per la manutenzione del tempio. Inoltre c'erano tutte le cose
consacrate dal veggente Samuele, da Saul figlio di Kis, da Abner figlio di Ner e da Ioab
figlio di Zerui; tutti questi oggetti consacrati dipendevano da Selomit e dai suoi
fratelli."
Stando a questo passo ci sono sei generazioni fra Eliezer, secondogenito di Mos, e
Selomit, vissuto ai tempi di David: il conto torna. Torna anche il fatto che i discendenti
di Mos si trovassero a Gerusalemme, al tempo di Davide e soprattutto che fossero in
qualche modo collegati al costruendo nuovo tempio. Ad ogni modo, questi versetti ci
danno ancora una volta la certezza che la famiglia di Mos non svanita nel deserto del
Sinai, ma ha seguito (o piuttosto guidato?) gli ebrei in Palestina ed ha continuato a
svolgere un ruolo di primo piano nella storia di Israele. Ma quale? Il passo elenca per
intero soltanto i discendenti del ramo cadetto, facenti capo al secondogenito Eliezer, che
avevano l'incarico di custodi dei tesori consacrati. Un incarico di tutto rilievo.
La linea principale della discendenza di Mos, invece, si arresta, come al solito a Sebuel,
primogenito di Ghersom, e quindi nipote di Mos. Ma evidente che deve aver avuto dei
discendenti; ad essi doveva essere riservato un incarico ancora pi importante e
certamente al di sopra di quello dei discendenti Eliezer: evidentemente il sommo
sacerdozio. Sebuel, in quanto primogenito di Ghersom, gli era certamente succeduto
nella carica di sommo sacerdote a Silo e certamente l'aveva trasmessa al suo

primogenito. E' proprio qui che la forbice del censore ha spezzato la linea di discendenza
di Mos. Nessuno viene mai indicato come figlio di Sebuel, come d'altra parte nessuno
viene indicato quale padre di Eli. Basta ristabilire il rapporto di parentela fra i due perch
tutta la vicenda della famiglia di Mos risulti chiarita.
Non c' dubbio che Eli era un discendente di Mos anzich di Aronne. Di fronte ai pochi
passi (due o tre al massimo) in cui si afferma che i sacerdoti discendono da Aronne, ci
sono nella Bibbia innumerevoli prove esplicite e dirette che la famiglia di Eli, e dei
sacerdoti suoi discendenti, non aveva niente a che spartire con Aronne. Al tempo di
Davide, per esempio, i discendenti di Aronne costituivano una famiglia a parte, ben
distinta da quella dei sacerdoti. Alla morte del figlio di Saul, Is-Baal, tutti i capi di
Israele trattarono con Davide per passare al suo servizio. Di essi esiste una lista
dettagliata in 1 Cronache 12, 23-40. Quando si arriva ai leviti vengono citati
espressamente "Ioiad, capo della famiglia di Aronne, e con lui tremilasettecento; e
Zadok, potente giovane di valore, e il casato dei suoi antenati con ventidue capi".
Un'altra notevole "svista" da parte del nostro censore! Fotografa la situazione dei leviti e
dei sacerdoti al momento della riunificazione dei regni di Giuda e Israele. Da un lato
c'erano i sacerdoti, con Zadok a capo; dall'altro i leviti discendenti da Aronne, che non
erano sacerdoti, con a capo Ioiad. Questo fatto confermato anche in versetti successivi
(2 Sam. 8,15-18). Controllando tutti i passi di Re, Cronache, Esdra e Neemia, si trova
che sacerdoti e leviti vengono sempre nominati assieme, ma sempre ben distinti gli uni
dagli altri, a sottolineare il fatto che si tratta di due diverse famiglie.
Ci sono prove sufficienti, quindi, per affermare con certezza che il "grande antenato" di
Eli era lo stesso Mos, non Aronne. Ora, finalmente, il mistero della "scomparsa" della
famiglia di Mos sembra risolto. In realt quella famiglia non mai scomparsa, ma ha
continuato a svolgere un ruolo di primissimo piano nella storia di Israele e non soltanto
in quella. La famiglia dei sacerdoti di Israele era costituita dai discendenti di Mos e solo
da loro, per diritto di nascita. Aronne non ha avuto alcun ruolo nella sua genesi.
Una conclusione clamorosa, che va contro la tradizione consolidata oggigiorno, ma che
appare inoppugnabile, sulla base dei dati forniti dalla Bibbia.
Terza Parte - La riforma di Esdra
Il Libro della Legge censurato
La Bibbia fornisce elementi sufficienti stabilire con certezza che la famiglia sacerdotale
di Israele discendeva da Mos. Aronne non c'entra per niente. C' stata censura nei primi
libri e ad un certo punto una scelta deliberata, per motivi che non sappiamo, da parte
della famiglia stessa di "nascondere" la propria origine mosaica. I libri maggiormente
colpiti dalla censura sono quelli di Giosu e Giudici, dove erano riportate in dettaglio
tutte le informazioni relative a Silo, primo centro religioso del popolo ebraico, ed alla
famiglia mosaica che l'aveva avuto in eredit. Chi ne fu l'autore? Quasi certamente non

una sola persona; sulla base del testo, infatti, possibile individuare i principali
responsabili.
I primi sette libri della Bibbia erano gi completi ai tempi di Davide, che li pose
nell'arca: erano chiamati "Il libro della legge", perch contengono le prescrizioni e le
leggi mosaiche. Da allora il libro era rimasto conservato nel Tempio di Gerusalemme
come un libro sacro e inviolabile. Senonch intorno all'870 a.C. il re di Giuda, Giosafat,
decise di divulgare il contenuto del "Libro della Legge" direttamente al popolo, cosa che
non era mai stata fatta in precedenza, e perci "mand i suoi ufficiali nelle citt di
Giuda: avevano con s il libro della legge del Signore e percorsero tutte le citt di
Giuda, istruendo il popolo" (2 Cr.17,7). Si trattava certamente di copie del "libro della
legge", non dell'originale, che rimaneva custodito gelosamente nel tempio. Ma c'era
qualcosa che Giosafat non poteva permettersi di insegnare al popolo di Giuda e quindi di
trascrivere in quelle copie prodotte ad "uso didattico".
A quel tempo il regno di Giuda era in guerra aperta contro quello di Israele e fra i due
regni esisteva una fortissima rivalit religiosa. Giosafat non poteva in alcun modo
propagandare scritti che potessero mettere in discussione il primato di Gerusalemme
rispetto a Silo. Nel "libro della legge" originale, conservato nel tempio, era certamente
scritta in dettaglio al storia della citt di Silo, il primo centro religioso del popolo
ebraico, assegnato in eredit alla famiglia di Mos. Silo, purtroppo, era in territorio di
Israele. Nelle copie ad uso didattico prodotte da Giosafat, tutta la parte relativa a Silo
dovette essere emendata e con essa anche le notizie intimamente collegate, come quelle
relative ai suoi titolari, la famiglia di Mos.
Si trattava comunque di una censura tutt'altro che accurata, perch l'intenzione non era di
produrre un falso, ma soltanto di evitare di propagandare notizie politicamente
inopportune in quel momento. Sennonch qualche tempo dopo la Palestina fu invasa
dagli assiri. Il regno di Israele fu distrutto e scomparve definitivamente dalla scena della
storia. Il regno di Giuda sopravvisse in condizioni di vassallaggio. Manasse, il pi empio
dei re di Giuda, abol il culto di Jahweh, massacr i sacerdoti e dedic il tempio di
Gerusalemme al culto di divinit assire. Il "libro della legge" scomparve. Fu ritrovato
soltanto alcuni decenni dopo dal gran sacerdote Elchia (2 Re 22.8; 23,2), quando il re
Giosia decise di restaurare il tempio e ripristinare il culto di Jahweh.
Quel che deve essere accaduto che fu ritrovato non il libro originale, che era in
esemplare unico, ma una delle copie didattiche prodotte dal re Giosafat, grossolanamente
censurata. Pochi anni dopo essa veniva portata a Babilonia, al seguito dei deportati da
Nabuccodonosor, e fu su questa copia che si trov a lavorare Esdra, a cui dobbiamo
materialmente la versione attuale della Bibbia.
Grazie a re Giosafat, quindi, sono scomparsi dal testo biblico tutti i passi che sancivano
il primato di Silo rispetto a Gerusalemme, e con essi buona parte delle informazioni sui
discendenti di Mos, intimamente collegati a quella citt. Ma non fu certamente Giosafat
a cancellare la discendenza di Mos e trasformare i sacerdoti di Gerusalemme in
discendenti di Aronne. Esistono indicazioni sufficienti per affermare che questa

operazione fu effettuata soltanto dopo il rientro dall'esilio Babilonese e per individuarne


l'autore nel sacerdote Esdra. Non doveva essergli rimasto molto da fare per completare
l'opera di occultamento della famiglia di Mos e trasformare ufficialmente i sacerdoti di
Gerusalemme in discendenti di Aronne. Furono sufficienti pochi ritocchi, come la
sostituzione o soppressione di qualche nome qua e l e il suggerire che i sacerdoti
fossero figli di Aronne.
La discendenza "aronnide" della famiglia dei sacerdoti viene sancita per la prima, ed
unica volta in tutta la Bibbia, da un passo di 1 Cronache 24, 1-6:
"Figli di Aronne: Nadab, Abiu, Ebiatar, Eleazaro e Itamar. Nadab e Abiu morirono
prima del padre e non lasciarono discendenti. Esercitarono il sacerdozio Eleazaro e
Itamar. David, insieme con Zadok dei figli di Eleazaro e con Achimelech dei figli di
Itamar divise (i sacerdoti) in classi secondo il loro servizio. Poich risult che i figli di
Eleazaro, relativamente alla somma dei maschi, erano pi numerosi dei figli di Itamar,
furono cos classificati: sedici capi di casati per i figli di Eleazaro, otto per i figli di
Itamar."
E' immediato rendersi conto che queste genealogie sono un falso patente e deliberato.
Itamar, ultimo dei figli di Aronne, era stato ordinato sacerdote da Mos in Esodo 29. Ma
da allora era scomparso completamente dalle cronache bibliche, se si eccettua un cenno
in Numeri 3, dove viene citato fra i figli di Aronne e in Num.7,8, quando gli vengono
affidate responsabilit nella cura e trasporto del tempio-tenda. Nessun suo discendente
viene mai citato nella Bibbia. Di Eleazaro, invece, viene riportata una lista di discendenti
in 1 Cronache 5,30 e 6,35 in cui compaiono anche un paio di Achitub e Zadok; ma
chiaramente non hanno niente a che spartire con il Zadok gran sacerdote ai tempi di
Saul, Davide e Salomone. La genealogia di quest'ultimo perfettamente nota dai libri di
Samuele: era fratello di Achimelek, entrambi figli di Achitub, figlio di Fineas, figlio di
Eli, gran sacerdote a Silo ai tempi di Samuele. Fra i discendenti di Eleazaro Eli non
figura da nessuna parte, segno certo che Eleazaro non aveva niente a che vedere con Silo
e con la sua famiglia sacerdotale; e d'altra parte nessuno dei personaggi che figurano
nella lista viene mai citato nei primi libri della Bibbia, fatta eccezione per suo figlio
Fineas (omonimo del figlio di Eli), che compare in relazione a fatti accaduti durante
l'esodo. Non ha il bench minimo fondamento, quindi, legare Eleazaro ed Itamar a
Zadok ed Achimelek.
Un'operazione di falsificazione storica di questo genere poteva avvenire soltanto in un
periodo di bassissimo profilo per il popolo ebraico, come quello subito dopo il rientro
dall'esilio babilonese; e comunque certamente con il consenso e l'attiva partecipazione
della famiglia sacerdotale stessa. Esdra, infatti ha il grande merito di aver riorganizzato
la famiglia sacerdotale di Gerusalemme e di averne rilanciato i destini.
Una prima ondata di ebrei era rientrata a Gerusalemme poco dopo il 538, guidati da
Zorobabele e dal sommo sacerdote Giosu, figlio di Giosedec, deportato a babilonia
ancora fanciullo dopo che suo padre Serai, ultimo sommo sacerdote di Gerusalemme,
era stato ucciso a Ribla da Nabuccodonosor. Qui avevano vivacchiato alla meno peggio,

in una citt semispopolata e priva di difese, tra l'opposizione dei samaritani e delle
popolazioni circostanti. Lo stato della comunit giudaica di Gerusalemme e della
famiglia sacerdotale era cos miserando, che uno dei favoriti del re Artaserse, alla corte
babilonese, il dotto sacerdote Esdra, chiese ed ottenne di essere inviato in Palestina per
risollevarne le sorti.
Era intorno al 428 a.C. quando Esdra arriv a Gerusalemme, con l'incarico di ripristinare
la religione ebraica nella Giudea. Egli port con s migliaia di deportati, tra cui centinaia
di sacerdoti, che furono immessi al servizio del tempio, la cui ricostruzione era iniziata il
secolo prima ad opera della prima ondata di ritorno. Per prima cosa egli si dedic alla
riorganizzazione della famiglia sacerdotale.
I versetti citati rispecchiano l'accordo da lui imposto fra i due rami della famiglia
sacerdotale che si erano separati al tempo di re Salomone: il primo facente capo a Zadok,
che era stato nominato sommo sacerdote, carica che rimase alla sua famiglia fino alla
distruzione di Gerusalemme da parte di Nabuccodonosor; l'altro facente capo al figlio di
suo fratello Achimelek, Ebiatar, che era stato esiliato da Salomone ad Anatot (di questo
ramo della famiglia sappiamo poco, ma tra i suoi componenti di spicco ci fu lo stesso
profeta Geremia).
24 famiglie entrarono nell'accordo, che da allora in poi si divisero gli incarichi del
tempio e le sue entrate e soprattutto si arrogarono il diritto esclusivo al sacerdozio. Tutte
le altre famiglie di origine mosaica, che in quel momento si trovavano fuori di
Gerusalemme, come a Babilonia, in Samaria e in Egitto, rimasero escluse. Fu allora,
come risulta dai versetti in questione, che le 24 famiglie si diedero ufficialmente, come
antenati, i due figli di Aronne: 16 famiglie discendenti da Zadok si ricollegarono ad
Eleazaro, per ribadire il loro primato nel sacerdozio; 8 famiglie discendenti da
Achimelek, padre di Ebiatar, si ricollegarono al secondogenito di Aronne, Itamar. Tutti i
sacerdoti diventarono cos "figli di Aronne", ma non si curarono di rendere credibile
quella discendenza, inventando delle genealogie ad hoc.
La cosa incredibile non tanto quella che la famiglia sacerdotale di Gerusalemme abbia
voluto sostituire il proprio capostipite Mos con Aronne (aveva evidentemente i suoi
buoni motivi per farlo), quanto piuttosto che nessuno degli studiosi successivi abbia
voluto rilevare un falso cos evidente e spudorato, privo com' di qualsiasi pezza
d'appoggio nella Bibbia.
La testimonianza di Binyamin da Tudela
Se la discendenza aronnide della famiglia sacerdotale era stata inaugurata ufficialmente
soltanto dopo il rientro a Gerusalemme, come appare dalla Bibbia, i sacerdoti rimasti a
Babilonia dovevano aver continuato a proclamarsi discendenti di Mos. La conferma ci
viene da un dotto rabbino del medio evo, Binyamin da Tudela che intorno al 1160 d.C.
effettu un viaggio, che lo condusse attraverso le comunit ebraiche di tutto il mondo di
allora. Nella sua relazione di viaggio, egli si sofferma a lungo nella descrizione della pi
grande comunit ebraica dell'epoca, quella residente a Bagdad, l'antica Babilonia,

formata in gran parte da discendenti di deportati ebrei che non seguirono Esdra e
Zedechia nel loro viaggio di ritorno a Gerusalemme. Fra le altre cose ci informa che:
"La comunit di Bagdad, conta grandi dotti e capi di accademie, assai versati nello
studio della Torah. Le accademie rabbiniche sono dieci: a capo della maggiore,
intitolata al Ga'on Ya'aqov, il rabbino capo Semu'el ben 'Ali, levita, la cui famiglia
discende da Mos, nostro maestro - sia su di lui la pace."
Di tutti i rabbini citati da Binyamin di Tudela nel suo Itinerario, quello di Babilonia
l'unico che si dichiara discendente di Mos; l'unico in tutta la letteratura ebraica. (La
grande comunit israelita babilonese venne cancellata di colpo, insieme ai suoi sacerdoti
discendenti di Mos, appena 60 anni dopo, quando Gengis Kan travolse Bagdad,
massacrandone tutti gli abitanti).
La riforma di Esdra
Sulle ragioni di questa deliberata falsificazione storica si possono pensare almeno una
mezza dozzina di validi motivi, ma rimane comunque un esercizio sterile. Il motivo vero
lo sapeva Esdra e non lo dichiar per iscritto. O meglio, non lo scrisse in un libro
destinato al pubblico. Esdra una figura fondamentale nella storia del popolo ebraico e
della famiglia sacerdotale in particolare. Egli fu autore di una profonda riforma religiosa,
che pass essenzialmente attraverso la riorganizzazione della famiglia sacerdotale di
Gerusalemme, a cui venne imposta una struttura perfettamente regolamentata e rigide
norme matrimoniali e di comportamento, miranti a prevenire per il futuro ogni
degenerazione del sacerdozio e della religione di cui essi erano i ministri unici. Per
assicurare i mezzi di sopravvivenza della famiglia e per la condotta del tempio, Esdra
aveva stabilito (o meglio ripristinato) un sistema di tasse, le famose decime, che
provvedevano entrate abbondanti e regolari, a cui si aggiungevano offerte personali e
donazioni. Le fortune della famiglia vennero a basarsi pi che mai sul possesso e la
gestione del tempio e della religione ad esso collegata.
Esdra, infine, sistem da un punto di vista strutturale e tradusse anche in aramaico il
testo della Bibbia, imponendolo come unico testo sacro, cui doveva ispirarsi la religione
ebraica. Una corrente di studiosi ritiene anche che fosse proprio lui il famoso "redattore",
quello che scrisse materialmente i primi libri della Bibbia, mettendo assieme tradizioni
orali di varia provenienza. Ipotesi che viene contraddetta dalla Bibbia stessa che
dimostra l'esistenza del "libro della legge" fin dai tempi di Davide, e lo ribadisce
innumerevoli volte nei secoli successivi. Sottolinea per un fatto importante e cio che
fu in ogni caso dalla penna di Esdra che usc la versione della Bibbia che leggiamo oggi,
con pochissime varianti.
Esdra, tuttavia, non si limit a ricopiare il "libro della legge". Da fonti esterne alla
Bibbia, come gli apocrifi del vecchio Testamento, sappiamo per certo che produsse
opere non destinate al pubblico. Nel Quarto Libro di Esdra, nel 14.mo ed ultimo
capitolo, il Signore decide di dettargli in sogno la riedizione delle Sacre Scritture e gli

ordina: "Quando avrai terminato quest'opera, alcune cose le dovrai rendere pubbliche,
altre invece, le affiderai in segreto ai saggi."
Esdra, dunque, produsse un testo ufficiale della Bibbia, opportunamente emendato,
destinato al pubblico, e contemporaneamente un secondo testo destinato ai "saggi del
popolo ebraico", e cio alle alte gerarchie sacerdotali, che non doveva essere divulgato e
che evidentemente conteneva i segreti che riguardavano la famiglia stessa, la sua vera
storia, i particolari della sua organizzazione, regole e rituali e le ragioni della riforma da
lui imposta, ivi compreso il cambio di genealogia.
Fu in ogni caso la riforma di Esdra a gettare le basi per la rinascita e grandezza futura
della famiglia sacerdotale e del popolo ebraico intorno ad essa. Sotto la guida della
famiglia sacerdotale riformata, Gerusalemme rifior, la ricostruzione del tempio venne
completata e le mura riedificate. La citt crebbe rapidamente in popolazione e prosperit
e la Giudea ridivenne totalmente ebraica; di pari passo cresceva l'influenza e la ricchezza
della famiglia sacerdotale, o meglio delle 24 famiglie sacerdotali, che insieme
controllavano l'intero paese. A capo di Israele non c'era pi un re, ma il sommo
sacerdote, che governava per conto del sovrano persiano (proprio come ai primi tempi di
Silo, quando il sommo sacerdote governava su Israele per conto dell'Egitto, di cui la
Palestina era una provincia). Per tutto questo tempo la carica del sommo sacerdozio
continu ad essere attribuita su base ereditaria, ai discendenti in linea diretta di Zadok,
vale a dire ai discendenti diretti di Mos.
Nel 333 a.C. Alessandro Magno sconfisse l'impero persiano e conquist la Palestina; la
famiglia sacerdotale si sottomise e continu a governare sul popolo ebraico, questa volta
per conto del sovrano macedone. Alla morte di Alessandro la Giudea pass poi sotto il
dominio dell'Egitto, retto dai Tolomei, che attuarono una politica di ellenizzazione del
paese, senza per intaccare i privilegi e le prerogative della famiglia sacerdotale di
Gerusalemme. In questo periodo cominci ad instaurarsi la consuetudine che il sommo
sacerdote fosse nominato, o comunque confermato, dal sovrano, per cui il principio
ereditario venne spesso ignorato e la carica cominci a passare da una famiglia
sacerdotale all'altra, creando fra le 24 famiglie rivalit e divisioni. Le varie famiglie si
ritrovarono a volte in lotta le une contro le altre per la conquista della carica di sommo
sacerdote, che veniva assegnata spesso dietro pagamento di forti somme.
Nel 199 a.C. la Giudea venne occupata dalla Siria. Per la famiglia sacerdotale mosaica
(divenuta aronnide) cominciarono tempi duri, perch i Seleucidi inasprirono fortemente
la politica di ellenizzazione del paese, tentando di trasformare Gerusalemme in una polis
greca. Questa politica culmin nel 168 con il saccheggio del tempio da parte di Antioco
IV ed il massacro di un gran numero di sacerdoti. La religione ebraica venne messa fuori
legge, il tempio ridedicato a Zeus ed a supremo oltraggio vi si sacrific un maiale.
La rivolta non si fece attendere, guidata dalla famiglia sacerdotale degli Asmonei. Nel
165 Giuda Maccabeo riprese Gerusalemme e ridedic il tempio a Jahweh, dopo averlo
purificato (la ridedicazione celebrata nella festa ebraica di Hannukah). Infine nel 142
a.C. Simone Maccabeo cacci definitivamente i Siriani. Per i successivi 80 anni la

Palestina fu uno stato indipendente, sotto la guida degli Asmonei, che governavano in
qualit di sommi sacerdoti, carica a cui ben presto aggiunsero il titolo di re, inaugurando
cos una dinastia sacerdotale di sangue reale (o viceversa, una dinastia reale di sangue
sacerdotale).
La monarchia sacerdotale regn su Giuda, fino a quando si affacciarono sulla scena
mediorientale i romani. Nel 63 Pompeo Magno conquist Gerusalemme e profan il
tempio. La famiglia sacerdotale, pur privata dell'indipendenza, continu a regnare sulla
Palestina sotto i nuovi padroni. Tenta per di scrollarsi di dosso la dominazione romana
alleandosi ai nemici giurati di Roma, i Parti, sotto il cui dominio si trovava l'altra grande
comunit ebraica di quel periodo, Babilonia. Mal gliene incolse. Erode, di origine
edomita, ne approfitt per ottenere il favore dell'imperatore romano e farsi nominare re
della Giudea. Per farsi accettare dagli ebrei, per, dovette sposare Mariamme, figlia
dell'ultimo re-sacerdote, Ircano.
Con Erode la famiglia sacerdotale perdette il trono, ma acquist un nuovo Tempio,
incomparabilmente pi grandioso del precedente, aumentando cos il proprio prestigio e
le proprie entrate. Particolare interessante, per la costruzione del nuovo tempio venne
istituito un corpo di "sacerdoti muratori" (i sacerdoti erano gli unici autorizzati ad entrare
nel Sancta Sanctorum), che rimase poi sempre in servizio per le ordinarie manutenzioni.
Con la morte di Erode, Roma divise il regno della Palestina fra i suoi tre figli ed un
legato romano. La famiglia sacerdotale di Gerusalemme rimase come unico elemento di
unit del popolo ebraico e raggiunse il culmine della potenza e della ricchezza. Fu allora
che si lasci trascinare in moti antiromani e alla fine in una vera e propria rivolta, che
provoc la sua rovinosa caduta. Si avvicinava il giorno del giudizio.
Quarta Parte
Giuseppe Flavio
All'appuntamento del 70 d.C. la famiglia mosaica, ormai autodefinitasi aronnide, era al
culmine della potenza. Le 24 famiglie sacerdotali che ai tempi di Esdra si erano spartite
il potere, fondato sul possesso esclusivo del tempio e sul possesso esclusivo del
sacerdozio, erano ancora tutte l, pi numerose e ricche che mai, e saldamente insediate
alla direzione del Tempio e del paese. I loro discendenti si contavano a migliaia e molti
di loro avevano sangue reale nelle vene. Il dominio romano aveva portato pace e
prosperit, ma era stato segnato da forti attriti su base religiosa, che avevano provocato
una serie di rivolte, l'ultima delle quali, nel 66 d.C. fu fatale per la nazione ebraica e per
la famiglia stessa. Con la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C., ad opera di Tito,
figlio dell'imperatore Tito Flavio Vespasiano, la famiglia sacerdotale fu virtualmente
sterminata.
Il Tempio, strumento di potere della famiglia venne raso al suolo e mai pi ricostruito.
Da quel momento in poi la famiglia sacerdotale di Gerusalemme scompare dalla scena

storica, perch non svolger mai pi un ruolo evidente. Fine di una grande famiglia
millenaria?
Le apparenze storiche sembrano dire di si; ma non sempre le cose vanno proprio come
sembra dall'apparenza storica. E' certo, infatti, che la famiglia non scomparve
materialmente. Ci furono dei sopravvissuti, numerosi e di altissimo rango, dotati di
ricchezze e della protezione dei romani. Ce ne d notizia lo storico ebreo Giuseppe
Flavio, che li elenca uno per uno, a cominciare da se stesso.
Giuseppe Flavio era lui stesso sacerdote, appartenente alla prima delle 24 famiglie
sacerdotali e con sangue reale nelle vene, perch imparentato per parte di madre con gli
Asmonei. Al tempo della rivolta contro Roma, aveva ricoperto un ruolo di primo piano
negli avvenimenti dell'epoca. Inviato come governatore della Galilea da parte del
Sinedrio di Gerusalemme, egli era stato il primo a combattere contro le legioni del
generale Vespasiano, che era stato incaricato da Nerone di domare la rivolta in Giudea.
Giuseppe venne sconfitto e si chiuse a Iotpata. Quando la citt cadde, si consegn ai
romani e chiese di parlare con Vespasiano. Da quel colloquio nacque la fortuna di
Vespasiano e quella di Giuseppe: il primo sarebbe diventato di l a poco imperatore di
Roma, il secondo ebbe salva la vita, non solo, ma dopo qualche tempo fu cooptato nella
famiglia imperiale stessa, di cui assunse il nome "Flavio", ottenne la cittadinanza
romana, una villa patrizia a Roma (la villa di famiglia dello stesso Vespasiano), un
vitalizio annuo a spese dell'erario e vaste propriet in Italia e Palestina.
Giuseppe Flavio giustifica questi incredibili favori con il fatto che, nel loro incontro
dopo la caduta di Iotpata, aveva predetto a Vespasiano che sarebbe divenuto imperatore.
Giustificazione ridicola! Lo storico romano Svetonio testimonia che quella di Giuseppe
fu soltanto l'ultima di una lunga serie di profezie analoghe, cominciate il giorno stesso
della nascita di Vespasiano. Tutti sapevano dell'esistenza di queste profezie; quindi
semplicemente assurdo pensare che egli abbia colmato di favori inauditi un ribelle vinto,
soltanto perch gli aveva ripetuto una notizia che era ormai di pubblico dominio. C'era
ben altro! Il generale romano aveva un handicap terribile nella sua corsa alla porpora
imperiale: era squattrinato ( sempre Svetonio che lo conferma), mentre per diventare
imperatore aveva bisogno di larghissimi mezzi finanziari. Giuseppe glieli forn.
Durante il suo governatorato in Galilea, aveva messo da parte un discreto gruzzolo, sia
con la raccolta delle decime dovute al Tempio e le ruberie di cui egli stesso d notizia,
sia soprattutto per aver requisito l'oro, l'argento e gli oggetti preziosi provenienti dal
saccheggio del palazzo di Erode Tetrarca, operato dagli abitanti di Tiberiade (Guerra
Giudaica, II,21,3 - Vita, 66).
Consegn subito a Vespasiano il gruzzolo personale, ottenendo salva la vita, e promise
un patrimonio enormemente superiore, in cambio dei benefici che poi ottenne: il tesoro
del Tempio di Gerusalemme. Ci sono nelle sue opere stesse indicazioni sufficienti per
accusarlo con elementi di fatto.

Che Vespasiano sia entrato in possesso del tesoro del Tempio non c' alcun dubbio: parte
di esso, infatti, in particolare il candelabro a sette braccia, venne fatto sfilare a Roma nel
71, in occasione del trionfo, come viene mostrato sull'arco di trionfo di Tito. Ma come e
quando ne entr in possesso? Leggendo le circostanze in cui si svolsero l'assedio di
Gerusalemme e l'attacco finale al Tempio, dobbiamo aspettarci che quando i romani
riuscirono a impadronirsene ben poco del tesoro originale fosse rimasto a loro
disposizione. Il Tempio, infatti, era stato occupato per mesi dagli zeloti, che non avevano
esitato a spogliarlo di tutto. Quando, alla fine, si resero conto che ogni difesa era
impossibile, vi appiccarono il fuoco e distrussero tutto ci che era rimasto di valore, per
evitare che cadesse in mano romana. I romani si trovarono padroni di un edificio
distrutto dalle fiamme e saccheggiato dai suoi stessi difensori.
Il fatto certo che emerge dal resoconto di Giuseppe Flavio, che il tesoro del Tempio fu
consegnato a Tito da esponenti della famiglia sacerdotale, in cambio di un salvacondotto
e di benefici economici. Da esso risulta anche in modo certo che il tesoro era nascosto in
diversi ripostigli segreti, anche se ovviamente non dice dove si trovassero, ed alquanto
confuso e contraddittorio per quanto attiene tempi e modalit di consegna. Soprattutto si
guarda bene dal mettere in luce il ruolo svolto nella faccenda dallo stesso Giuseppe
Flavio.
Il Rotolo di Rame
Possiamo ricostruire i fatti con l'aiuto di uno straordinario documento che doveva venire
alla luce soltanto 2 millenni dopo: il Rotolo di Rame. Fu scoperto nel 1952 nella grotta
3Q di Qumran. Si trattava di tre fogli di rame, ricuciti fra loro, arrotolati come un foglio
di carta, sulla cui faccia interna era inciso un testo in ebraico. Data l'et, non era
possibile svolgere il rotolo senza rovinare il testo. Esso fu quindi portato a Manchester,
dove fu tagliato in strisce verticali, corrispondenti alle colonne del testo. Mano a mano
che le strisce venivano tagliate e ripulite, venivano tradotte dal celebre qumranista J.M.
Allegro.
Il testo in sostanza un elenco di localit in cui erano stati nascosti dei tesori. In un
primo momento si pensava si riferisse a tesori della comunit essenica di Qumran ed il
testo veniva guardato con profondo scetticismo, perch sembrava impossibile che quella
piccola comunit possedesse ricchezze tanto grandi. Fra l'altro, la maggioranza delle
localit citate nel testo si trova nei dintorni di Gerusalemme. Oggi opinione pressoch
unanime fra gli studiosi che il rotolo di rame si riferisca al tesoro del tempio di
Gerusalemme (anche perch buona parte di esso costituito proprio dalle decime),
nascosto in previsione dell'assedio.
Il rotolo comincia direttamente con la lista dei nascondigli:
"A Horebbeh, nella valle di Acor, sotto i gradini che vanno verso oriente, a quaranta
cubiti di profondit: cofano d'argento, il cui peso totale di 17 talenti. Nel monumento
funebre di Ben-Rabbah da Shalisha: cento lingotti d'oro. Nella grande cisterna del
recinto del piccolo peristilio, turata da una pietra bucata, in un angolo del fondo, di

fronte all'apertura superiore: novecento talenti. Sulla collina di Kohlit: vasi di offerte di
prelevamento, di mezza misura e di riscatto, tutte offerte di prelevamento del tesoro del
settimo anno e della decima"
E continua su questo tono per tutta la sua lunghezza, elencando ben 74 nascondigli
diversi, ognuno con il suo contenuto. Inutile dire che nessuno di questi tesori si trova nel
nascondiglio indicato. (J. Allegro aveva effettuato ricerche in tutte le localit che era
riuscito ad individuare sulla base della descrizione, senza trovare nulla). Cosa scontata,
del resto. L'ultima frase del rotolo di rame, infatti, dice che: "Nella caverna di Kohlit,
c' una copia di questo scritto, con la spiegazione, le misure e un inventario completo,
oggetto per oggetto." Il rotolo ritrovato a Qumran, quindi era soltanto una copia di
riserva di un originale che era stato nascosto nella caverna di Kohlit, che si trova nei
pressi di Gerusalemme.
Possiamo quindi essere certi che durante o dopo la distruzione di Gerusalemme, un
drappello di soldati fedelissimi a Tito, accompagnati da Giuseppe e da altri sacerdoti, se
ne andarono in gran segreto per il deserto di Giuda (Giuseppe lo conosceva benissimo,
per avervi trascorso tre anni in giovent), dissotterrando uno dopo l'altro i tesori elencati
nella copia originale del rotolo di rame, prelevata a Kohlit. La copia di riserva, ormai
inutile, venne lasciata dov'era, a Qumran.
Questa caccia al tesoro segreta aveva per Vespasiano un grande vantaggio: non doveva
rendere conto a nessuno dei tesori recuperati, di cui poteva disporre a suo piacimento. Il
fatto di aver ritrovato la copia di riserva dell'elenco, ci consente di conoscere con
precisione l'enormit della somma di cui Vespasiano si trov improvvisamente a
disporre a titolo personale, largamente sufficiente a comprare la porpora imperiale. Sotto
questa luce, i favori elargiti in cambio a Giuseppe ed ai suoi compagni appaiono
ampiamente giustificati.
Gli oggetti di culto pi appariscenti, come la menorah ed il vasellame sacro, vennero
messi da parte per il trionfo e l'erario pubblico, probabilmente su richiesta dello stesso
Giuseppe, che era pur sempre un sacerdote e che non poteva vedere di buon occhio la
loro distruzione. Dopo il trionfo essi furono depositati nel tesoro del Senato. Nel 455
vennero presi dai Vandali di Genserico, quando saccheggiarono Roma, e furono portati a
Tunisi. Qui vennero presi, nel secolo successivo, dal generale bizantino Belisario che li
port a Costantinopoli, dove se ne perdono le tracce.
Il denaro delle decime, i gioielli, l'oro e l'argento sfusi, invece, vennero incamerati
dall'imperatore, che fu cos in grado di risanare le proprie finanze e di costruirsi una villa
imperiale sfarzosa (regalando la sua casa di famiglia a Giuseppe).
Giuseppe si ritir a Roma, dove mise su famiglia e dopo qualche anno cominci a
scrivere le opere per le quali passato alla storia. Ma quanti altri membri della famiglia
sacerdotale sopravvissero al massacro e che ne fu di loro in seguito? Sappiamo per certo
che vi furono parecchi scampati, perch Giuseppe Flavio li elenca uno per uno.

Fin dalle prime fasi dell'assedio di Gerusalemme molti ebrei disertarono, passando dalla
parte dei romani. "Fra essi", dice Giuseppe Flavio (VI, 2, 114), "c'erano due dei capi
della famiglia sacerdotale, Giuseppe e Ges, ed alcuni figli di capi di questa famiglia,
come i tre figli di Ismaele, che era stato decapitato a Cirene, i quattro figli di Mattia ed
il figlio di un altro Mattia, che era fuggito dopo la morte di suo padre, che Simone, figlio
di Gioras, aveva fatto uccidere insieme a tre dei suoi figli, come si detto dianzi. Cesare
li accolse con benevolenza e si impegn a restituire a ciascuno i propri beni non
appena ne avesse avuto la possibilit al termine della guerra."
Si tratta quindi di dieci membri della famiglia sacerdotale, fra cui due di alto rango, che
dobbiamo ritenere siano stati successivamente reintegrati nei loro beni.
Dopo la cattura del Tempio, o meglio di quel che ne restava, un gruppo di sacerdoti che
lo avevano difeso fino all'ultimo momento si arresero ai romani, chiedendo salva la vita.
Nei loro confronti l'atteggiamento di Tito fu ben diverso che in precedenza. "Egli rispose
che il tempo del perdono era passato per loro; l'unica cosa per la quale egli avrebbe
avuto qualche motivo di risparmiare loro la vita, il Tempio, stava riducendosi in cenere
ed era dunque giusto, per dei sacerdoti, essere annientati insieme al loro santuario. E li
fece condurre al supplizio." (VI, 6, 1, 321 e seg.).
Ci non gli imped, soltanto pochi giorni dopo, di garantire salva la vita a due alti
esponenti della famiglia sacerdotale (VI, 8, 3):
"In quelli stessi giorni, un sacerdote di nome Ges, figlio di Thebuthi, dopo aver
ottenuto da Cesare una garanzia sotto giuramento per la propria vita, a condizione di
consegnare certi oggetti preziosi del culto, usc e fece passare due candelabri simili a
quelli che erano depositati nel tempio, dei tavoli, dei crateri e delle coppe, tutto in oro
massiccio. Egli fece passare anche i veli, le vesti del gran sacerdote, con le pietre
preziose, e molti altri oggetti utilizzati per i sacrifici. Ed il guardiano del tesoro del
tempio, un certo Fineas, anche lui fatto prigioniero, consegn le tuniche e le cinture dei
sacerdoti, una grande quantit di porpora e di scarlatto, ed anche molta cannella e
una gran quantit di altri aromi che essi mescolavano e bruciavano ogni giorno come
incenso per Dio. Egli consegn anche ai romani molti altri tesori del tempio, ed anche
una buona parte degli ornamenti sacri, grazie a cui, anche se prigioniero di guerra,
ottenne l'amnistia riservata ai disertori."
Giuseppe Flavio scarica tutta la responsabilit della consegna ai romani del tesoro del
Tempio su due sacerdoti, Ges e Fineas, anch'essi evidentemente di altissimo rango
(tanto da essere depositari del tesoro), che tradiscono in cambio della vita e di benefici
economici. Ma fuori dubbio che in questa faccenda egli deve aver svolto un ruolo
primario, altrimenti non si spiegano gli incredibili favori di cui fu oggetto. Oltre a quelli
menzionati, infatti, egli ottenne anche quello di poter liberare chiunque gli piacesse.
Nella sua Autobiografia (417-419) egli dice:
"Feci richiesta a Tito di liberare alcuni prigionieri e ottenni la liberazione di mio
fratello e di cinquanta amici. Recatomi poi, dietro autorizzazione di Tito, nel Tempio

dove erano rinchiusi moltissimi prigionieri, con donne e bambini, liberai tutti gli amici
ed i conoscenti che vi riconobbi, in numero di circa 190 e li feci rilasciare senza che
pagassero alcun riscatto, restituendoli alla loro precedente condizione."
In totale, quindi, Giuseppe elenca dodici alti sacerdoti, a cui va aggiunto lui stesso e suo
fratello, che hanno avuto salva la vita grazie al loro tradimento, e sono stati reintegrati
nei loro beni. Oltre a questi egli cita ben 240 altre persone, tutti suoi amici e conoscenti,
che sono stati liberati grazie al suo intervento e "restituiti alla loro precedente
condizione", vale a dire reintegrati anch'essi nei propri beni. Visto il personaggio,
possiamo essere certi che, se non proprio tutti, per lo meno la maggioranza di essi
apparteneva a famiglie sacerdotali.
Il gruppo di sacerdoti sopravvissuti al massacro di Gerusalemme, in conclusione, era
certamente molto numeroso. Di gran lunga pi numeroso che in varie altre occasioni del
passato in cui la famiglia sacerdotale era stata ridotta al lumicino, come per esempio
dopo la disfatta e la distruzione del tempio di Silo da parte dei filistei, ai tempi di
Samuele; o dopo il massacro di Nob perpetrato da re Saul, che cerc di annientare la
famiglia sacerdotale; o dopo quello di Manasse, che inond Gerusalemme di sangue
sacerdotale; e da ultimo dopo Nabuccodonosor, che fece massacrare tutti i "grandi del
Tempio". Sono tutte circostanze dalle quali la famiglia era risorta dalle proprie ceneri pi
forte e influente che mai.
Questa volta, per, essa sembra uscire definitivamente dalla scena. Di essa non se ne
parler mai pi, almeno nelle cronache storiche ufficiali. Essa sembra svanire nel nulla,
come per incanto. Che fine ha fatto?
Quinta Parte
La famiglia sacerdotale ebraica e la Chiesa di Roma
Con la distruzione di Gerusalemme la famiglia sacerdotale di origine mosaica, o meglio,
le 24 famiglie che dai tempi di Esdra si erano arrogate l'esclusivit del sacerdozio, sono
uscite fortemente decimate e soprattutto private di quello che per secoli era stato il
centro e strumento del loro potere: il Tempio. Ma non sono scomparse fisicamente. Dal
resoconto di Giuseppe Flavio sappiamo per certo che i sopravvissuti si contavano a
centinaia. Di questi almeno una quindicina costituivano un gruppo omogeneo e
dobbiamo ritenere anche compatto, perch erano legati da circostanze che li
accomunavano nella stessa sorte. Tutti, infatti, appartenevano alle prime famiglie
sacerdotali; tutti erano stati risparmiati perch pi o meno coinvolti nella consegna del
tesoro del Tempio a Vespasiano; tutti erano considerati dagli altri ebrei come traditori
della propria patria; tutti, quindi, avevano interesse a scomparire, ritirandosi
nell'anonimato, almeno per quel che riguardava il mondo ebraico.
Ma non realistico pensare che abbiano compiuto una sorta di suicidio collettivo,
rinnegando le proprie origini, il proprio passato e le proprie tradizioni e chiudendo
definitivamente il capitolo pi significativo e glorioso della storia ebraica.

Erano legati fra loro da vincoli di parentela, da un millenario passato e da potenti


tradizioni. Erano tutti dotati anche di larghi mezzi finanziari, perch, come riferisce
Giuseppe Flavio, furono reintegrati nei loro beni da Vespasiano e fatti oggetto di
generose donazioni. Il che significa che individualmente ciascuno di loro era assai pi
ricco di quanto i singoli membri della famiglia lo fossero mai stati, neppure al culmine
della potenza e prosperit. Godevano inoltre del favore e della protezione del potere
politico, perch il loro esponente di maggiore spicco, Giuseppe, era stato addirittura
cooptato quale membro della famiglia imperiale stessa. Facevano, infine, parte di una
organizzazione familiare salda e ben collaudata, quella creata da Esdra, che non era stata
smantellata insieme al Tempio, ma che dovette continuare a mantenere intatta la sua
struttura, i suoi contenuti e tutto il suo potenziale.
Non possibile che una tale famiglia sia scomparsa nel nulla. Semplicemente non
poteva. Se non ne abbiamo pi alcuna notizia, ci dovuto certamente al fatto che essa
stessa aveva deciso di scomparire dalla scena del mondo, ritirandosi nella clandestinit.
Fu un cambio di strategia, del resto nell'alveo di una tradizione ben consolidata che
aveva gi fatto scomparire l'origine mosaica, volto non al suicidio collettivo, ma alla
perpetuazione delle fortune della famiglia.
Di nessuno dei sacerdoti superstiti sappiamo che fine abbia fatto dopo la distruzione di
Gerusalemme, tranne che di colui che da quel momento in poi dobbiamo considerare
quale rappresentante della famiglia: Giuseppe Flavio. Di lui sappiamo che segu Tito a
Roma, sulla sua stessa nave, e pass il resto della propria vita nella lussuosa villa romana
che gli era stata regalata da Vespasiano. Degli altri non abbiamo notizie da fonte storica,
ma certo che lasciarono la Giudea per lidi pi ospitali. N loro, n alcun loro
discendente compare mai pi nella storia di quel paese o di una qualunque comunit
ebraica, dentro o fuori l'impero romano. Cosa del resto ben comprensibile: erano
considerati tutti dei traditori e la loro presenza era certamente non gradita fra gli ebrei.
D'altra parte erano personaggi troppo cospicui perch la loro presenza potesse passare
inosservata in un qualunque paese di provincia. Dobbiamo ritenere, quindi, che almeno
in un primo momento abbiano seguito Giuseppe a Roma, una megalopoli con gente
proveniente da tutto l'impero e da tutte le religioni, dove potevano facilmente scomparire
nell'anonimato.
Cosa fecero a Roma? Non ne sappiamo nulla. Conosciamo soltanto l'attivit di Giuseppe
Flavio in quanto scrittore, perch qualche anno dopo inizi a scrivere la sua opera
monumentale, per la quale noto alla storia. Ma proprio da questa sua opera che
possiamo valutare appieno la sua personalit, la sua incredibile abilit nel volgere a
proprio vantaggio le situazioni pi disperate e l'enorme ambizione che lo muoveva. Un
personaggio del genere, giunto al culmine del suo vigore fisico e mentale e del suo
potere personale, non poteva esaurire la propria attivit semplicemente nello stendere le
proprie memorie.
Da semplice governatore di una provincia della terra di Israele si trovava ad essere
cooptato nella famiglia imperiale romana. I suoi orizzonti si erano allargati dalla Giudea
e dal popolo ebraico al mondo intero. Ed in questa condizione che si trov ad essere

responsabile dei destini futuri della famiglia sacerdotale, la pi nobile delle famiglie
esistenti sulla faccia della Terra, perch discendente dallo stesso Mos. Il primo grande
sforzo cui dedic ogni energia, come traspare nettamente dalle sue opere, fu quello di
trovare una giustificazione al tradimento perpetrato e di gettare nuove basi su cui
ricostruire il ruolo e le fortune della propria famiglia.
Come al solito in questi casi, la giustificazione fornita dalla Divinit stessa. Giuseppe
si era deciso al tradimento dopo la caduta della citt di Iotpata. Si era rifugiato con 40
compagni in una cisterna e tutti d'accordo avevano deciso di suicidarsi, anzich
consegnarsi ai romani, secondo un costume ben consolidato fra gli ebrei dell'epoca.
Rimasto ultimo, Giuseppe anzich uccidersi si consegn ai romani, dicendo che Dio
stesso gli aveva imposto di salvarsi, per annunciare a Vespasiano la notizia che sarebbe
diventato imperatore e per assolvere successivamente la missione per la quale era stato
prescelto.
Dio aveva ormai abbandonato Israele ed aveva irreversibilmente accordato il suo favore
ai romani. Giuseppe non poteva opporsi al volere di Dio, ma dovette farsene strumento
suo malgrado. Cos egli giustifica il proprio tradimento. E questa fu la giustificazione
che dovettero adottare anche gli altri sacerdoti. Hanno abbandonato Israele, consegnato
il Tempio ed il suo tesoro al nuovo padrone del mondo, prescelto da Dio, e lo hanno
seguito a Roma, per adempiere la missione cui erano stati chiamati. E' cos che la
famiglia mosaica ha legato il proprio destino ai destini imperiali di Roma. Il suo
palcoscenico non era pi la "terra promessa", ma il mondo intero.
Non ci sono informazioni storiche sul come Giuseppe Flavio port avanti la sua
missione, come riorganizz la famiglia sacerdotale e quale fu il nuovo ruolo che le
attribu. C' per una fonte non storica, sulla cui natura e attendibilit discuteremo in
seguito (i rituali massonici), che ci fornisce informazioni di prima mano sulle attivit del
gruppo.
Da questa fonte apprendiamo che subito dopo la distruzione del Tempio, il gruppo di
sacerdoti superstiti si riun tra le rovine fumanti, per decidere dei propri destini futuri.
Gli argomenti discussi sono gli stessi che costituiscono il leitmotiv delle opere di
Giuseppe Flavio: Dio ha abbandonato Israele e si schierato definitivamente dalla parte
di Roma; non saggio opporsi alla sua volont. La potenza dell'impero romano era al
suo apogeo: era assurdo sperare in un capovolgimento di fortuna tale da consentire la
ricostruzione del tempio a Gerusalemme in un prevedibile futuro.
I sacerdoti quindi decidono di continuare le tradizioni della famiglia, ma a Roma e nella
clandestinit, e di non affidare mai pi, come in passato, le proprie sorti ad un tempio
materiale, troppo soggetto a profanazioni e distruzioni, ma di dedicarsi alla costruzione
di un "tempio spirituale".
Secondo questa fonte di informazione, quindi, la famiglia sacerdotale mosaica
all'indomani della catastrofe ha mantenuto la propria identit ed organizzazione, ma ha
cambiato strategia, scomparendo nella clandestinit e affidando la propria sopravvivenza

e le proprie fortune ad una istituzione immateriale, che doveva garantire il potere e la


prosperit della famiglia, nell'alveo delle passate tradizioni. Il tempio di Gerusalemme
aveva consentito alla famiglia di Mos di sopravvivere e prosperare per oltre un
millennio. Il "tempio spirituale" doveva servire lo stesso scopo per il futuro. Futuro nel
quale l'esistenza stessa della famiglia non doveva mai pi essere rivelata pubblicamente,
per non essere vulnerabile come per il passato, quando fin troppe volte era stata oggetto
di campagne di sterminio.
Anche questo rientrava nelle tradizioni di famiglia. Al ritorno dall'esilio babilonese i
sacerdoti avevano scelto di non far pi apparire pubblicamente la loro discendenza da
Mos, precostituendosi antenati aronnidi. I membri della famiglia scampati alla
definitiva distruzione del Tempio dovettero giudicare che la loro sopravvivenza era
meglio assicurata se non soltanto la loro origine mosaica, ma anche la loro stessa
esistenza rimaneva segreta. L'organizzazione familiare rimase da allora in poi occulta,
invisibile e quindi non pi vulnerabile in quanto tale. Se pertanto i loro discendenti sono
riemersi in seguito alla ribalta della storia, come certamente avvenuto, lo hanno fatto
sotto altro nome e con genealogie di comodo. Ma sapendo della sua esistenza, non
dovrebbe essere un'impresa impossibile scoprire le tracce lasciate da questa famiglia e
individuare almeno alcuni dei personaggi storici appartenenti ad essa.
La famiglia sacerdotale mosaica e la Chiesa romana
In ogni caso tracce e personaggi vanno ricercati nel mondo cristiano, non in quello
ebraico. Ci sono vari elementi che legano Giuseppe Flavio (ed il gruppo di sacerdoti che
era con lui) al mondo cristiano.
Le argomentazioni addotte da Giuseppe Flavio per giustificare il proprio tradimento e
quello dei suoi confratelli, sembrano riecheggiare le parole di San Paolo, considerato da
tutti come colui che gett le basi ideologiche per la costruzione della chiesa romana. I
due sembrano perfettamente in sintonia per quanto attiene l'atteggiamento nei confronti
del mondo romano. Paolo, per esempio, stimava suo compito svincolare la Chiesa di
Cristo dalle strettoie del giudaismo e dalla terra di Israele e di renderla universale,
legandola a Roma. I due sono in sintonia anche su altri punti significativi: per esempio
entrambi si dichiarano aderenti dell'ideologia farisaica, che era quella poi su cui si bas
la chiesa romana. Caso fortuito o c' invece un collegamento preciso?
Quasi certamente i due si sono conosciuti e frequentati per un certo tempo. Nel 63-64
d.C., infatti, Giuseppe Flavio, giovane di 27 anni, era a Roma quale membro di
un'ambasceria del Sinedrio presso Nerone. Erano gli anni dell'incendio della capitale e
della successiva prima persecuzione anticristiana, durante la quale Paolo fu giustiziato.
Non verosimile che due membri cos eminenti della comunit giudaica abbiano
convissuto nella stessa citt per tanto tempo senza conoscersi e frequentarsi. Giuseppe
Flavio, nelle sue varie opere, non dice una sola parola in merito a quegli avvenimenti di
cui pure fu testimonio oculare. Un silenzio che per uno storico come lui anche pi
fragoroso di una confessione. In qualche modo quei fatti dovettero toccarlo assai pi
profondamente di quanto egli fosse disposto ad ammettere in pubblico. Fu allora, forse,

che furono insinuati i primi dubbi nella mente del giovane ed ambizioso sacerdote e
vennero gettati i semi che dovevano dare frutto di l a pochi anni.
Dalle informazioni storiche che possediamo legittimo supporre che Giuseppe Flavio e
gli altri sacerdoti che erano con lui abbiano svolto un ruolo decisivo nella nascita ed
affermazione della Chiesa cristiana. Dei 30 anni che vanno dal 70 al 100 d.C., e cio
dall'arrivo di Giuseppe Flavio a Roma in poi, non sappiamo praticamente nulla di quel
che successe nella Chiesa romana. E' un black-out pressoch totale che lascia
sconcertati, perch si tratta di un periodo cruciale nella storia della formazione della
Chiesa, che ne usc completamente trasformata, soprattutto nella sua struttura gerarchica.
Da quel momento inizi una prodigiosa espansione che la port nel giro di due secoli a
divenire religione di stato dell'impero. Mentre nel periodo apostolico non esisteva "una"
Chiesa cristiana, ma un agglomerato di chiese indipendenti, rette ciascuna da un
consiglio di presbiteri, dalla fine del primo secolo la direzione delle chiese assunse una
forma monarchica, ciascuna retta da un vescovo con poteri assoluti e questi ultimi tutti
soggetti all'autorit del vescovo di Roma, figura equivalente al sommo sacerdote di
Gerusalemme.
La conferma di una stretta relazione fra i sacerdoti superstiti e la chiesa di Roma ci viene
ancora una volta dalla fonte di informazione "non storica" cui si accennato in
precedenza. In un rituale massonico ritroviamo i sacerdoti superstiti riuniti a Roma quali
seguaci di Ges Cristo e soggetti a persecuzione da parte di Tito Flavio Domiziano,
succeduto alla morte del grande protettore di Giuseppe, Tito. Persecuzione attraverso
cui, peraltro, passano quasi indenni.
L'informazione di estremo interesse e coerente con le informazioni di carattere storico
che possediamo. I punti di maggiore importanza di questa fonte sono innanzitutto che i
sacerdoti superstiti hanno ricostituito, o meglio continuato, l'organizzazione sacerdotale
creata a suo tempo da Esdra, mantenendone la struttura, i contenuti ed i rituali, ma in
segreto, rendendola invisibile al mondo profano. In secondo luogo che si sono
"convertiti" al cristianesimo.
Che Giuseppe Flavio si fosse "convertito" al cristianesimo praticamente certo sulla
base dei suoi scritti e delle circostanze storiche note. La parola "convertito" fra
virgolette, perch in realt non si trattava di un grande passo per Giuseppe Flavio e i suoi
confratelli. Ges era ebreo e non aveva mai rinnegato la "legge mosaica" (anzi la
insegnava agli stessi sacerdoti nel Tempio). La sua era una predicazione da ebreo ad altri
ebrei, il cui contenuto era in sintonia con il modo di vivere e pensare della setta ebraica
degli esseni, che vengono normalmente considerati molto vicini, se non addirittura
precursori, dei cristiani. Ma i contenuti dottrinari del cristianesimo, quale emerge da
questo periodo di black-out, sono straordinariamente vicini a quelli della setta dei farisei
(lo stesso S. Paolo, durante il processo subito nel Tempio, dichiara di aderire alla setta
dei farisei).
Giuseppe Flavio, nelle sue opere dedica molto spazio agli esseni e non nasconde la sua
simpatia per essi. Da giovane aveva trascorso tre anni nel deserto di Giuda, con un

sant'uomo di nome Banno (Vita 7-12), vivendo come un eremita. Al termine di questa
esperienza "essena", per, tornato a Gerusalemme e prese a vivere "seguendo i precetti
della scuola farisaica", la stessa di San Paolo.
Non il caso, quindi, di parlare di "conversione" se egli ha abbracciato le idee di Ges,
perch non ha dovuto rinnegare nulla della religione professata fino a quel momento. Il
vero salto di qualit, quello che distingueva un ebreo da un ebreo-cristiano, era il fatto di
accettare Ges come l'atteso Messia. La grande maggioranza degli ebrei pensava al
Messia come ad un sovrano (non per niente doveva essere della stirpe di Davide) che
avrebbe ristabilito materialmente il regno e la potenza di Israele. Ges, invece,
proponendosi come Messia, specific chiaramente che "il mio regno non di questo
mondo". Dunque, quel che proponeva era un "regno spirituale". Un concetto che noi
oggi accettiamo come normale, quasi banale. Allora era una novit straordinaria, che
per era stato abbracciato in pieno da Paolo, ma anche da Giuseppe Flavio e dai
sacerdoti che erano con lui, i quali avevano deciso di non riedificare mai pi un tempio
materiale, ma di dedicarsi alla costruzione in sua vece di un "tempio spirituale".
Un tempio spirituale per un regno spirituale. Semplice coincidenza casuale? Una
relazione fra i due concetti appare pi che verosimile e presuppone che gli "edificatori"
del tempio spirituale avessero riconosciuto Cristo come il Messia e fossero diventati i
fautori e promotori del suo regno spirituale (avevano mille valide ragioni per farlo).
Esistono riscontri precisi in proposito. Giuseppe Flavio, in un famoso passo
delle Antichit Giudaiche (il cosiddetto Testimonium Flavianum, libro XVIII, III, 3)
scrive testualmente:
"Allo stesso tempo visse Ges, uomo saggio, se pure lo si pu chiamare uomo; poich
egli comp opere sorprendenti e fu maestro di persone che accoglievano con piacere la
verit. Egli era il Cristo. Quando Pilato ud che dai principali nostri uomini era
accusato, lo condann alla croce. Coloro che fin dal principio lo avevano amato non
cessarono di aderire a lui. Nel terzo giorno apparve loro nuovamente vivo: perch i
profeti di Dio avevano profetato queste e innumerevoli altre cose meravigliose su di lui."
Parole del genere possono venire soltanto da un cristiano, perch testimoniano
l'accettazione di due punti essenziali: la risurrezione di Cristo e la sua identificazione con
il Messia delle profezie. Le simpatie cristiane di Giuseppe Flavio traspaiono chiaramente
anche da altri brani della stessa opera. In XVIII, V,2 egli parla con grande ammirazione
di Giovanni Battista e della sue azioni e predicazione, esaltando la validit del battesimo
e condannando Erode per il suo assassinio. In XX, IX, 1 esprime uguale simpatia per
Giacomo, fratello di Ges.
Un ulteriore indizio costituito dal fatto che la persecuzione anticristiana di Domiziano,
di cui parlano le fonti cristiane e la fonte "non storica" menzionata, non c' mai stata in
realt. L'unico martire romano del periodo, annoverato come cristiano, il senatore ed
ex-console Tito Flavio Clemente, giustiziato da Domiziano, secondo Svetonio, non per
essere cristiano, ma sotto l'accusa pretestuosa di "ateismo" e di "deviazione verso

costumi giudaici"; in realt per ragioni sue personali (l'imperatore era estremamente
lunatico e feroce, tanto da far giustiziare persone del suo entourage per motivi del tutto
banali). Clemente era della casa dei Flavi, cugino dello stesso imperatore, ed certo
quindi che aveva stretti rapporti con il parente acquisito Giuseppe Flavio (la prova pi
evidente di questi rapporti proprio l'accusa mossagli da Domiziano). Quale altro
"cristiano", in quegli anni, poteva essere in una posizione tale da avvicinare un
personaggio cos altolocato?
E chi altri, se non una Chiesa legata al gruppo di Giuseppe Flavio, poteva rivendicare
Flavio Clemente come un proprio martire? Il "martire cristiano" Flavio Clemente
costituisce quindi un preciso legame con Giuseppe Flavio, ed un indizio consistente che
quest'ultimo rivestiva un ruolo importante nella Chiesa di allora.
D'altra parte l'inserimento nella comunit cristiana di allora, costituita per la maggior
parte da ebrei, di un gruppo cos cospicuo e numeroso di sacerdoti superstiti, non poteva
non avere conseguenze profonde sull'organizzazione della comunit. Invisi agli altri
ebrei, perch considerati traditori, i sacerdoti dovevano essere invece ben visti soltanto
fra i cristiani, che accettavano la loro giustificazione di essere stati prescelti da Dio per
l'edificazione del regno spirituale.
C' da osservare, per, che la famiglia sacerdotale, che per oltre un millennio aveva
guidato i destini del popolo ebraico e nelle cui vene scorreva sangue reale, non poteva
accettare ruoli subalterni in seno alla comunit in cui si era inserita. Certamente si mise
alla sua guida e prese saldamente in mano le redini della nascente Chiesa Romana. Non
a caso proprio da quel momento inizi la irresistibile ascesa del cristianesimo, che nel
tempo incredibilmente breve di due secoli divenne "religione di stato" dell'impero
romano. Si realizzava cos il sogno di Giuseppe Flavio, la missione per cui era stato
predestinato da Dio: la famiglia sacerdotale mosaica era divenuta per Roma e il suo
impero quello che era stata a suo tempo per Gerusalemme e la Palestina; il suo potere,
per, non era pi fondato sulla gestione di un tempio materiale, come per il passato, ma
su un "tempio spirituale": la Chiesa di Roma.
Questa incredibile ascesa, che ha stupito per primi gli stessi storici cristiani successivi,
non desta meraviglia se si considera chi furono i loro protagonisti. Sappiamo con
certezza qual era la loro specializzazione, il loro know-how, frutto di una esperienza pi
che millenaria: sapevano meglio di chiunque altro al mondo come si organizza e si
gestisce una religione, indipendentemente dal suo contenuto dottrinario. Dovettero
mettere la loro competenza, le loro conoscenze e se stessi al servizio della nascente
religione cristiana, impostandola secondo gli schemi ormai collaudati da oltre un
millennio, ma con una novit essenziale: l'apertura al mondo pagano. Aveva cominciato
lo stesso Pietro ad accogliere pagani nella comunit, tra le proteste degli altri ebrei, che
pretendevano dai neoconvertiti il rispetto totale della legge mosaica. S. Paolo rese
sistematico l'ingresso dei non-ebrei, creando le opportune giustificazioni dottrinarie. Ai
tempi di Giuseppe Flavio ben pochi ebrei dovettero entrare nella comunit cristiana,
vista la fama che godevano i loro capi; ma il mondo pagano dovette accorrere in massa,

dal momento che il proselitismo veniva fatto da un membro stesso della famiglia
imperiale.
Pura speculazione? L'argomento delicato e urta suscettibilit profonde, per cui molti
certamente insorgeranno all'idea, affermando che non esistono prove in proposito. Prove
assolute in senso storico, come testimonianze e documenti scritti, forse, no, per lo meno
al momento. Ma indubbio che le coincidenze sono tante e tali da rendere questa ipotesi,
se non proprio una certezza, qualcosa di assai pi concreto e verosimile di una semplice
speculazione. Non quindi semplice speculazione gratuita l'ipotizzare che proprio allora
la famiglia sacerdotale mosaica abbai preso saldamente il controllo della nascente
religione cristiana, tramite la propria organizzazione occulta, e ne abbia da allora in poi
guidato i destini.
Sesta Parte
Un potere occulto nella storia dell'Occidente?
La famiglia sacerdotale mosaica, dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme,
inaugur una nuova strategia di sopravvivenza, scomparendo nella clandestinit, ma
continuando a mantenere in vita l'Organizzazione familiare occulta, creata a suo tempo
da Esdra, e sostituendo il Tempio materiale, quale mezzo di sussistenza e di potere, con
un "tempio spirituale", costituito dalla Chiesa di Roma. L'organizzazione occulta
controllava l'istituzione visibile, la Chiesa, che a sua volta controllava il popolo dei
fedeli. Un sistema perfetto, che faceva scomparire la famiglia in quanto bersaglio ben
individuabile da parte dei nemici e la metteva al riparo da campagne di sterminio.
Eventuali persecuzioni, come in effetti ci furono, si sarebbero rivolte contro il bersaglio
visibile, la Chiesa, lasciando indenne, o quasi, l'organizzazione occulta da cui essa
emanava.
Ci sono numerosi e precisi indizi storici che confermano questo scenario, ma l'unica
prova esplicita e diretta, almeno al momento, costituita da quella che abbiamo definito
una fonte di informazioni "non storica", perch costituita da materiale che solitamente
non viene preso in considerazione dagli storici. Si tratta dei rituali e delle tradizioni
massoniche. Il loro contenuto tale da dimostrare in modo certo una connessione tra
l'organizzazione sacerdotale mosaica e la massoneria moderna.
Le origini della massoneria sono uno dei problemi pi discussi e discutibili in tutto il
campo della ricerca storica. La tesi pi accreditata in campo accademico, quella di
un'origine da corporazioni di scalpellini e muratori, ad un'analisi approfondita appare,
oltre che inverosimile e per certi aspetti ridicola, del tutto priva di basi storiche e
riscontri reali. Quanto alle altre "teorie", innumerevoli, non mette neppure conto di
parlarne. Pi si cerca di approfondire il problema delle origini e pi la soluzione si
allontana, avvolta nel mistero.
Nessuno, per, fino ad oggi ha pensato di risolvere il problema tramite un approccio che
appare il pi immediato e plausibile per un'organizzazione la quale per tempi

immemorabili ha trasmesso le proprie tradizioni e rituali soltanto per via orale, vale a
dire esaminando proprio i suoi contenuti tradizionali.
E' opinione comune che i rituali siano cerimonie di carattere essenzialmente simbolico,
ideati ad hoc per trasmettere determinati messaggi. Ma questo non vero. Quando ci
dato conoscere l'origine di un rituale, infatti, ci si rende conto che esso sempre ispirato
ad un fatto realmente accaduto o presunto tale, che viene "rivissuto" dai partecipanti. I
rituali cattolici, per esempio, ripercorrono a distanza di due millenni la storia di Ges
Cristo. Lo stesso dicasi per i rituali delle feste ebraiche, che rivivono gli episodi pi
salienti della storia di quel popolo, a partire dal passaggio del Mar Rosso.
Ovviamente il rituale rivive sempre un episodio singolo isolato, non inserito nel contesto
storico ed ambientale in cui accaduto, per cui sarebbe illusorio sperare di ricostruire
una storia in modo attendibile, partendo soltanto dai rituali che la rappresenta. Ad
esempio, non saremmo certo in grado di ricostruire la storia del popolo ebraico o quella
di Ges Cristo partendo soltanto dai rituali che vengono recitati nelle varie ricorrenze
dell'anno liturgico ebraico o cristiano. Siamo, per, in grado di riconoscere con certezza
a quali vicende i rituali si riferiscono, proprio grazie al loro contenuto informativo di
carattere storico. Questa caratteristica dei rituali pu risultare utile per orientare
l'indagine storica vera e propria l dove mancano gli strumenti tradizionali, come nel
caso, appunto, della massoneria, per la quale mancano fonti scritte.
Ebbene, immediato rendersi conto che i rituali massonici si riferiscono sempre ed
esclusivamente ad una storia ben precisa e delimitata: quella della famiglia sacerdotale
di Gerusalemme. Fatti e personaggi sono quelli biblici, da Salomone a Geremia, Esdra e
cos via, ma con il contorno e la costante presenza dei sacerdoti del tempio di
Gerusalemme, che vengono sempre identificati come fratelli massoni. L'identificazione
della massoneria con la famiglia sacerdotale giudaica sempre esplicita e diretta. Anche
la cornice quella giusta. Le riunioni avvengono sempre nel "tempio", che la presenza di
particolari illuminanti, come le colonne Boaz e Joachim, identifica come quello di
Salomone, e i partecipanti si caratterizzano come una vera e propria casta sacerdotale,
che ricalca il modello della famiglia sacerdotale di Gerusalemme.
I rituali massonici ripercorrono uno ad uno tutti i fatti pi salienti della storia della
famiglia sacerdotale, che ci sono noti attraverso la Bibbia e sono perci riconoscibili in
modo immediato e certo. Ad esempio, ciascuno dei 33 gradi del cosiddetto "rito
scozzese" (il risultato non varia sostanzialmente se ci si riferisce ad altri "riti" massonici,
con diverso numero di gradi) caratterizzato da un ben preciso rituale, a cui sono legate
leggende e tradizioni specifiche. I rituali dei primi gradi, fino al tredicesimo, si svolgono
tutti nella Gerusalemme dei tempi di Salomone e riguardano vicende collegate ad un
momento fondamentale della storia della famiglia sacerdotale: la costruzione del primo
tempio. Esecuzione dei lavori, nomine dei sovrintendenti ai lavori, pagamenti, il
conferimento di cariche e incarichi ai membri della famiglia sacerdotale, nascondigli
segreti, vicende di tradimenti e di sangue e cos via, fra cui l'istituzione dei rituali stessi.

Il rituale del 14.mo grado riguarda avvenimenti accaduti quattrocento anni dopo: la
distruzione del tempio di Gerusalemme da parte di Nabuccodonosor e la deportazione
dei sacerdoti (indicati come fratelli massoni) a Babilonia. Il ritorno a Gerusalemme, 70
anni dopo, e la ricostruzione del tempio sono raccontati con una quantit di particolari
inediti nella Bibbia, dai rituali del 15.mo e 16.mo grado. I rituali del 17.mo e 18.mo
grado sono di contenuto filosofico ed esoterico, ma riguardano sempre la stessa storia.
Col 19.mo grado si ha un nuovo salto di alcuni secoli: descrive, infatti, la distruzione del
tempio di Gerusalemme ad opera dei romani, nel 70 d.C..
Fin qui i rituali si muovono in una cornice storica nota dalla Bibbia ed facile verificare
che si riferiscono sempre a vicende della famiglia sacerdotale mosaica. Da questo
momento in poi essi rivivono episodi che ci sono noti da fonti storiche, senza per che
sia evidenziata una relazione con questa famiglia. Ma indubbio che si tratta sempre
della stessa storia.
Il rituale del 20.mo grado, lo abbiamo gi visto, si svolge tra le rovine fumanti di
Gerusalemme, dove i fratelli massoni superstiti abbandonano definitivamente ogni
velleit di ricostruire materialmente il tempio e decidono di affidare le proprie sorti ad
un "tempio spirituale".
L'episodio successivo, narrato dal rituale del grado 26.mo, si svolge a Roma soltanto
pochi anni dopo, all'epoca dell'imperatore Domiziano. Ritroviamo la famiglia massonica
nelle catacombe, dove riesce a sopravvivere alle persecuzioni anticristiane scatenate
dall'imperatore. Anche per questo episodio abbiamo riscontri storici nell'opera di
Giuseppe Flavio, che dimostrano una stretta relazione con i sacerdoti superstiti di
Gerusalemme.
Segue un lunghissimo periodo di black-out, di quasi mille anni, al termine dei quali
ritroviamo i fratelli massoni, nei rituali dal 27.mo al 32 grado, a Gerusalemme, con lo
stemma dei crociati sul petto, esattamente dove ci aspetteremmo di ritrovare una
famiglia che di quella citt era stata proprietaria per oltre un millennio e che certamente
non poteva rimanere insensibile ed estranea ad una sua riconquista. Vengono in
particolare rivissute le vicende dei Templari, fino al loro scioglimento nel 1307.
Come si vede, quella raccontata dai rituali massonici, con il loro contorno di leggende e
tradizioni tramandate oralmente, una storia completa e talmente circoscritta e coerente
da far apparire inverosimile l'ipotesi, sostenuta da alcuni, che siano stati "inventati" in
epoca moderna. Essi provengono direttamente dalla famiglia mosaica. C'
indubbiamente un legame diretto e continuo fra le l'organizzazione creata da Esdra e
ricostituita da Giuseppe Flavio a Roma e la massoneria moderna. A quanto pare la
massoneria riproduce l'organizzazione di Giuseppe Flavio, esattamente come un fossile
riproduce le forme di un essere vivente ormai estinto da epoche immemorabili,
consentendoci di avere informazioni molto precise su di lui, anche se la materia vivente
stata interamente sostituita dalla pietra.

La sua struttura, i contenuti, i rituali dovrebbero essere l'immagine essenzialmente fedele


della primitiva organizzazione sacerdotale. Cambia ovviamente la sostanza: sacerdoti
discendenti da Mos da un lato, con un'organizzazione viva, in cui ogni rituale, ogni
istituzione, come la solidariet fra fratelli, il mantenimento del segreto e tutta la
parafernalia della massoneria, dai segnali di riconoscimento reciproco alle parole di
passo ecc., avevano una funzione ed uno scopo vitali per la sopravvivenza della famiglia
stessa. Dall'altra parte perfetti estranei senza alcun legame fra loro, che recitano parti di
cui non conoscono l'origine ed il significato e continuano ad usare simboli e
comportamenti che sono divenuti ormai puro folclore nell'organizzazione odierna.
Il processo di "fossilizzazione" dell'organizzazione sacerdotale mosaica cominciato,
secondo le informazioni che possediamo, in Inghilterra. Da alcuni manoscritti
apprendiamo che individui non appartenenti all'arte massonica (vale a dire non
appartenenti alla famiglia mosaica), i cosiddetti "accettati", re, principi, ministri
cominciarono ad essere ammessi a far parte dell'organizzazione fin dal decimo secolo.
Nel 1600 esistevano logge formate da soli "Accettati" che annoveravano i pi cospicui
personaggi dell'epoca, fra cui Newton. Quando nel 1717 quattro logge londinesi decisero
di riunirsi e formare la Gran Loggia d'Inghilterra, atto di nascita ufficiale della moderna
massoneria, forse fra le loro file non esisteva pi un solo discendente di Mos. Erano
infatti tutte logge di "Accettati", un'organizzazione in cui il significato e gli scopi
originari erano andati smarriti, ma che ebbe un enorme, immediato successo, grazie al
fatto di essere aperta a tutti (o quasi).
La storia dell'organizzazione sacerdotale mosaica, quindi, come un fiume che si
immerge nel sottosuolo per riapparire pi a valle. Sappiamo quando e dove scompare, a
Roma nel 70 d.C., e quando e dove riemerge in superficie, a Londra nel 1717, ormai
completamente snaturata nella sua sostanza. Del percorso "sotterraneo" che sta nel
mezzo conosciamo soltanto alcuni punti salienti attraverso i rituali, che ci consentono di
attribuire alla famiglia sacerdotale fatti e personaggi, come le crociate, i templari e gli
altri ordini cavallereschi e cos via. Un'analisi storica che cerchi di unire i punti estremi,
passando attraverso gli episodi noti dai rituali massonici, dovrebbe consentire di
tracciare il percorso di questo fiume sotterraneo, almeno a grandi linee, con buona
attendibilit.
L'organizzazione sacerdotale rivitalizzata da Giuseppe Flavio doveva essere del tutto
analoga a quella odierna della sua immagine "fossile", la massoneria, con la differenza
che i suoi membri erano tutti e soltanto discendenti di Mos e gli obblighi di solidariet,
reciproca assistenza e cos via erano assoluti. Come pure quello del segreto; la morte era
la pena per chi lo avesse trasgredito.
L'attivit principale della famiglia, come si detto, era e rimase nel campo della
religione e fu dedicata alla edificazione e diffusione della religione cristiana, con energia
e successo travolgenti. Il "tempio spirituale", vale a dire la Chiesa di Roma, venne a
costituire la base del potere della famiglia a partire dalla fine del primo secolo. Papi e
vescovi venivano insediati dalla associazione mosaica occulta, con meccanismi che via
via si modificavano e affinavano mano a mano che la base della famiglia si allargava

(certamente dovevano venire eletti anche membri non appartenenti alla famiglia, purch
controllabili). Chi era insediato in posizione di potere era tenuto ad insediare in posizioni
di potere sotto il suo controllo altri confratelli (ma soltanto lui li conosceva in quanto
tali; per il mondo profano si trattava di estranei).
Per poter assicurare il controllo delle cariche ecclesiastiche fu istituito per i prelati
l'obbligo del celibato, comparso allora per la prima volta. Fino ad allora nessun
sacerdote del mondo antico aveva avuto tale obbligo, neppure nella primitiva Chiesa
apostolica. Dalla fine del primo secolo, invece, invalse la consuetudine che papi e
vescovi non potessero sposarsi. A partire dal 306, col sinodo di Elvira, in Spagna,
l'obbligo del celibato fu esteso a tutti gli ecclesiastici. E' una fatto significativo e
indicativo, che non trova giustificazione nella predicazione di Cristo o nelle
consuetudini. Esso rispondeva ad una precisa esigenza della organizzazione sacerdotale
occulta. Il celibato di coloro che assumevano cariche di rilievo nel tempio spirituale, cio
papi e vescovi, aveva una ragione specifica: evitare il sorgere di dinastie familiari, che
avrebbero potuto sottrarsi al controllo della famiglia sacerdotale.
Diversi altri fatti storici si spiegano soltanto con l'esistenza di questa organizzazione
occulta, o comunque acquistano un significato chiaro e soddisfacente se esaminati alla
luce di essa. Si gi detto del black-out di informazioni sulla Chiesa romana alla fine del
primo secolo, quando la famiglia sacerdotale mosaica si insedi ai suoi vertici, e del
fulmineo, inspiegabile successo della nuova religione. Si spiega anche il fatto,
indubbiamente anomalo e strano, che la Chiesa abbia esercitato sempre una sorta di
tutela sul popolo ebraico. La famiglia mosaica non rinneg le proprie origini ebraiche; la
religione ebraica era una creazione di Mos e si sempre identificata con la sua
famiglia. E' pi che ovvio pensare che anche dopo il cambio di strategia imposto dalle
circostanze e messo a punto da Giuseppe Flavio, la famiglia sacerdotale continuasse a
considerarsi ebraica e comunque in carica del popolo ebraico. E' legittimo pensare che
alcune delle famiglie confluite nell'organizzazione di Giuseppe Flavio (non
dimentichiamo che si furono ben 250 sopravvissuti) si siano prima o poi "cristianizzate"
interamente, abbandonando la legge mosaica. Altre, per, dovettero rimanere in tutto e
per tutto "ebree". Altre ancora scelsero una via di mezzo, continuando a seguire la legge
mosaica, pur accettando i principi cristiani (questa setta particolare era detta "ebionita" e
la sua presenza accertata fino al sesto secolo).
L'organizzazione mosaica occulta, quindi accoglieva certamente nel suo seno membri di
entrambi le religioni (la sua immagine "fossile", la massoneria, infatti estremamente
tollerante in fatto di religione); essa doveva quindi esercitare una sorta di protezione nei
confronti degli ebrei. E' da notare infatti che gli ebrei furono sempre tollerati, e spesso
apertamente protetti dalle gerarchie ecclesiastiche, a differenza di tutte le altre religioni e
delle eresie cristiane. Quando gli imperatori romani, da Costanzo a Giustiniano,
cominciarono ad imporre il Cristianesimo come religione di stato, vietando tutte le altre
religioni, fecero eccezione per quella ebraica, che era soggetta a restrizioni, ma non
vietata.

E c' un continuo travaso, nella storia dell'Occidente, di personalit dal mondo ebraico a
quello cristiano (ad esempio, papa Innocenzo VIII, promotore dell'impresa di Colombo,
era figlio di Aharon Cybo, di famiglia ebraica. E lo stesso Colombo era figlio di madre
ebrea).
Non dato sapere fino a quando la famiglia abbia mantenuto il controllo sul papato e se
lo abbia fatto continuativamente. Problemi dovettero sorgere gi verso la fine del primo
millennio, che portarono alla riforma del sistema elettivo intorno al 1050, quando fu
introdotto il sistema attuale, che prevede l'elezione del papa da parte di un collegio di
principi della Chiesa (in precedenza l'elezione era decisa dalle grandi famiglie romane).
In un primo tempo i cardinali dovevano essere designati dalle famiglie sacerdotali
mosaiche (che a quell'epoca dovevano essersi moltiplicate e ramificate a dismisura), che
in tal modo continuavano a mantenere il controllo del papato, ma poi anche questo
sistema perdette efficacia, quando re e imperatori cominciarono a imporre l'elezione di
cardinali a loro fedeli, non appartenenti alla famiglia mosaica, scompaginando cos il
sistema di controllo dell'organizzazione occulta.
Naturalmente, accanto agli interessi di carattere religioso ed ai membri celibi inseriti
nelle gerarchie della Chiesa, l'organizzazione sacerdotale aveva anche una dimensione
diciamo cos, "civile", costituita dalle famiglie vere e proprie dei sacerdoti. Famiglie che
gi in partenza erano dotate di larghi mezzi finanziari e che indubbiamente, grazie non
solo alla naturale inclinazione della razza, ma anche e soprattutto alla solidariet
reciproca, continuata nel corso dei secoli, dovettero migliorare enormemente la loro
posizione economica e sociale. Non va dimenticato che i sacerdoti costituivano la
"classe nobiliare" del popolo di Israele ( sempre Giuseppe Flavio ad affermarlo con
orgoglio) e che alcune delle famiglie superstiti avevano sangue reale nelle vene.
Fino a che la struttura imperiale dell'impero romano rimase in auge, era difficile far
valere questa condizione, ma la rivendicazione rimaneva e non c'era alcuna remora ad
impadronirsi di posizioni di potere, facendo valere i propri titoli nobiliari, fino a quello
pi elevato, ovunque se ne presentasse l'opportunit. La famiglia dilag in tutto
l'occidente, al seguito dei suoi missionari e un poco alla volta assunse posizioni di potere
nei popoli evangelizzati, sfruttando l'appoggio della Chiesa (e viceversa, naturalmente).
Un numero notevole di grandi famiglie, infatti, a cominciare dai Merovingi per finire coi
Medici, hanno origini avvolte nella leggenda, che quasi sempre riconducono al mondo
ebraico.
Intorno al mille la famiglia mosaica aveva colonizzato l'intera Europa e conquistato
posizioni di predominio, soprattutto in Italia, Francia ed Inghilterra. Una parte notevole
della classe nobiliare di questi paesi doveva essere costituita da discendenti di Mos.
Molti di essi escono allo scoperto al tempo delle crociate. E' indubbio che le crociate
sono state promosse dalla famiglia mosaica, che in tal modo ambiva a rientrare in
possesso dei suoi antichi domini palestinesi. E per poco pi di un secolo vi riusc. Fu una
membro della famiglia, discendente di Mos, quello che assunse il trono di
Gerusalemme, re-sacerdote che tornava dopo pi di mille anni a ricoprire quel ruolo che
era stato dei suoi antenati Asmonei. E membri della famiglia erano quei nove cavalieri, i

futuri templari, a cui il re concesse la moschea di Al Aqsa, nella spianata del tempio,
vicino alla reggia, con il permesso di scavare nelle viscere del monte Moriah. In una
singolare commistione di poteri, i Templari prestavano il loro servizio al re di
Gerusalemme, ma professavano obbedienza assoluta al papa, anch'esso un discendente
di Mos in incognito. E, fatto mai spiegato storicamente, fu il papa stesso che decret la
fine dell'ordine, senza che ci fosse mai alcun atto formale di disobbedienza. L'ordine dei
Templari era assurto a grande potenza e ricchezza nella Palestina crociata. Dopo la
caduta di Gerusalemme aveva stabilito il suo quartier generale in Francia, ma con
ramificazioni in tutta Europa; in Portogallo aveva addirittura creato un proprio regno.
Esso fu sciolto nel 1307, apparentemente per volere del re di Francia Filippo IV, detto il
Bello. L'ultimo gran maestro, Jacques De Molay, sal sul rogo qualche anno dopo a
Parigi, con i suoi due luogotenenti.
Quali furono i motivi veri che portarono alla distruzione dell'ordine? Evidentemente era
diventato troppo potente, tanto da sfuggire al controllo. Ma al controllo di chi? Non certo
di Filippo il Bello, che non lo aveva mai avuto: i Templari rispondevano unicamente al
papa. Fu il papa stesso a decretarne lo scioglimento e non soltanto nei domini di Filippo
il Bello, ma in tutto il mondo cristiano. Per quali ragioni dovette disfarsi (suo malgrado)
di un ordine fedele a tutta prova, che gli procurava ricchezze e potere? Egli agiva
evidentemente su istruzioni di un potere occulto che vedeva nella potenza economica e
militare dei Templari una minaccia al proprio potere. Fu una lotta intestina tra fratelli.
Lo prova il fatto che soltanto i tre capi in testa furono giustiziati, mentre la stragrande
maggioranza dei Templari fu risparmiata e aggregata ad altre organizzazioni
cavalleresche, come pure i loro beni, o semplicemente cambiarono nome, riprendendo
quello originario, come in Portogallo. In tal modo rientrarono all'obbedienza di chi li
controllava, cessando di dare ombra. L'ordine scomparve in quanto tale senza alcuna
resistenza, ma accertato che alcune centinaia di suoi membri rifiutarono di
sottomettersi, riparando fuori dalla Francia, in particolare in Inghilterra e in Scozia. E'
possibile che proprio questi transfughi templari, i quali, anche se sconfessati dalla
"loggia" madre, erano pur sempre membri della famiglia mosaica, in possesso di tutti i
suoi segreti e rituali, abbiano dato vita a logge separate da cui avrebbe poi avuto origine
l'organizzazione "fossile", aperta a tutti, che va sotto il nome di massoneria.
Ma che fine hanno fatto i veri discendenti di Mos? L'unica cosa di cui possiamo essere
certi che esistono ancora. Ma sono sempre associati in un'organizzazione occulta,
riservata solo a loro, com'era alle origini? Come ha reagito la famiglia nel corso
dell'evoluzione della storia degli ultimi secoli? Ha sostituito il tempio spirituale con
qualcosa di altrettanto valido? Una nuova istituzione, come ad esempio un "tempio
finanziario", o che altro? Il fatto che alcune logge inglesi siano degenerate, accogliendo
elementi estranei alla famiglia, non preclude l'esistenza di logge riservate esclusivamente
alla famiglia e del tutto segrete. Ma qui siamo veramente nel campo della pura illazione

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