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Introduzione allo studio della personalità 1 - Psicologia della personalità e delle differenze

individuali roberto.burro@univr.it

Che cosa è «la personalità» La parola personalità deriva dal termine latino «persona», ossia
maschera che si assume in una recita o personaggio. È quindi corretto dire che la
personalità si riferisce alle apparenze esterne, allo stile della condotta di un individuo in
rapporto con gli altri e con l'ambiente. Gli psicologi hanno utilizzato il termine personalità
sottolineandone aspetti differenti. Talvolta si ricorre a tale termine per trasmettere l'idea di
Coerenza/Continuità La coerenza/continuità può essere rilevata nel tempo ("Marta già alle
scuole elementari era una gran chiacchierona; l'ho incontrata nuovamente pochi giorni fa
e, proprio come allora, non ha smesso di parlare nemmeno per un attimo!"), oppure nelle
diverse situazioni ("Alessandro è molto socievole ed estroverso, sia nel contesto lavorativo
che con gli amici").

Che cosa è «la personalità» In altri casi il termine personalità viene impiegato per
trasmettere l'idea che il comportamento messo in atto da un individuo sia da ricercare in
una forza causale internamente alla persona. Da questo derivano altre 2 parole chiave
importanti: prevedere/anticipare: se si presuppone che le persone si comportino in
maniera coerente/continua e che le caratteristiche di personalità siano la causa del
comportamento, allora è possibile prevedere e anticipare come le persone si
comporteranno in un momento futuro in una certa situazione. È di fondamentale
importanza essere in grado di prevedere come le persone reagiranno e si comporteranno
in una determinata circostanza. Che cosa è «la personalità» Ad esempio, se sappiamo che
un nostro amico è un ritardatario cronico (quindi prevediamo un suo ritardo al cinema),
l’unico modo per vedere il film dall’inizio è invitarlo con largo anticipo → ossia la previsione
circa il comportamento è importante ai fini dell’obiettivo (vedere il film per intero) Infine, il
termine personalità viene utilizzato per sintetizzare le qualità che sono caratteristiche e
distintive dell’essenza dell'individuo. Affermando che l'estroversione è una caratteristica
essenziale di una persona, si intende sottolineare che l’estroversione è generalmente
ravvisabile nelle sue azioni e nei suoi comportamenti. Che cosa è «la personalità» … detto
questo, quindi, che cos’è la personalità? Una buona definizione è quella data da Carver e
Scheier (2012) (che hanno lievemente modificato la iniziale definizione data da Allport): «La
personalità è un'organizzazione dinamica, interna all’individuo, di sistemi psicofisiologici

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che determinano i pattern di comportamento, di pensiero e di emozioni tipici di ciascun
individuo». - Organizzazione dinamica significa «continua interazione tra le componenti» -
Psico-fisiologici sottolinea che sono importanti sia la componente corporea (ciò che
abbiamo ereditato per esempio) che quella psicologica (ciò che si è appreso) - Pattern di
comportamento vuol dire che la persona si relaziona con il proprio ambiente attraverso
modalità di comportamento, di pensiero e di emozioni che sono «tipicamente suoi». Che
cosa studia la Psicologia della personalità? Come suggerito da Kluckhohn e Murray (1948),
ciascun essere umano è, per certi versi: 1. universale, simile a tutti gli altri esseri umani (ad
esempio il desiderio universale di sentirsi accettati); 2. parzialmente differente/somigliante,
simile a qualche altro individuo e differente dagli altri (alcuni individui sono ansiosi, alcuni
gruppi sono violenti, etc.); 3. unico, differente da tutti gli altri individui. Ognuno di noi
possiede qualità personali che non condivide con altre e che lo definiscono quanto essere
umano unico e irripetibile. Queste tre distinzioni corrispondono ad altrettanti livelli
d'indagine di cui si occupa specificamente la psicologia della personalità.

Che cosa studia la Psicologia della personalità? Dovendo affrontare tematiche relative
all’universalità umana, alle somiglianze e alle differenze tra le persone e alla peculiarità di
ciascun individuo, l'oggetto di studio della psicologia della personalità è l'individuo nella sua
interezza, la persona considerata nella sua totalità.

Dalle teorie ingenue alle teorie scientifiche della personalità

Proviamo a pensare ad una persona che conosciamo bene. Cerchiamo, quindi, di fare una
breve descrizione della sua personalità, ad esempio: «La mia amica è una persona molto
ansiosa, sempre preoccupata che possa succedere qualcosa di brutto. Per evitare qualsiasi
imprevisto, cerca di programmare ogni cosa, fin nei minimi dettagli in modo da avere
sempre tutto sotto controllo. Probabilmente la sua ansia è dovuta anche alla sua scarsa
fiducia in sé stessa e alla paura di non essere in grado di affrontare ciò che
quotidianamente le accade. È sempre stata così, fin da quando andavamo insieme alle
scuole elementari».

Il testo riportato ha una struttura «tipica» (ossia a tutte le persone capita, più o meno
frequentemente, di porsi dei quesiti rispetto alla personalità propria e altrui) in cui: -
vengono dapprima individuate delle caratteristiche di personalità (è molto ansiosa) che
giustificano - alcuni comportamenti (cerca di programmare ogni cosa fin nei minimi
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dettagli) - e prosegue ricercando il motivo di tali comportamenti (probabilmente la sua
ansia è legata alla paura di non essere in grado di affrontare ciò che quotidianamente le
accade) - Infine, si ipotizza come tali comportamenti si siano sviluppati nel tempo (è
sempre stata così, fin da quando andavamo insieme alle scuole elementari).

La personalità è qualcosa di stabile, sono banditi tutti quegli aggettivi che fanno riferimento
ad una situazione contestuale. (AGITATO)
Nell’esempio ci sono le considerazioni che farebbe anche chi non studia psicologia, ciò che
cambia sono i modi.
La psicologia ingenua non utilizza strumenti. Chi quantifica le sue variabili è chi sa essere
preciso e performante (test per esempio, procedure, modalità).
A questo modo di procedere appartengono le cosiddette teorie ingenue di personalità,
ossia l'insieme delle rappresentazioni e delle credenze che ciascun individuo ha sviluppato
in relazione alla personalità. … ma essere teorici ingenui della personalità non vuol dire
essere scienziati della personalità. Le domande di teorici ingenui e scienziati della
personalità sono le medesime (come è una persona, come mai si comporta in quel modo,
come si sono sviluppate determinate caratteristiche), ma la modalità di ricerca delle
risposte è ben diversa.
Una differenza fondamentale tra le teorie ingenue e le teorie scientifiche della
personalità consiste nella possibilità di procedere alla verifica sperimentale delle
affermazioni fatte.
Lo scienziato della personalità:
- fa ipotesi teoriche formulate in maniera tale da poter essere verificate attraverso il
metodo sperimentale.
- ricorre a osservazioni obiettive e sistematiche di gruppi ampi e diversificati di persone
(non una sola persona) e, inoltre, integra tali osservazioni con ulteriori misurazioni
effettuate attraverso metodi di ricerca specifici (questionari self-report, colloqui clinici,
strumenti di rilevazione psicofisiologici, etc.);
- prende in considerazione la persona nella sua totalità e nei suoi diversi aspetti, mentre il
teorico ingenuo (l’uomo comune) riflette ed elabora le proprie opinioni focalizzandosi
esclusivamente sugli aspetti che più lo interessano o lo incuriosiscono;
- si pone l'obiettivo di trarne indicazioni per progettare e sviluppare eventuali interventi
applicativi a beneficio del singolo e della società.
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Quali fattori determinano la personalità?
Ci sono diversi fattori che influenzano la personalità, c’è chi si è concentrato più su alcuni,
chi più su altri.
1) Fattori genetici
Spesso le persone sono portate a pensare che alcuni modi di essere "ce li abbiamo nel
sangue" e che gli individui "sono fatti così" da quando vengono al mondo. Valutando un
atteggiamento o un comportamento di qualcuno lo si riconduce a un "qualcosa" (carattere,
personalità, indole ...) che quell'individuo ha ereditato dalla famiglia.
Nasco in un certo modo, perché sono figlio di quei genitori (due genitori introversi, figli
introversi).
Quanto la genetica influenza la personalità?
Sono però tutti dati predditori, non spiegano al 100 %.
Teorie ingenue a parte, diversi studi hanno dimostrato il ruolo significativo che l'eredità
ricopre a determinare le caratteristiche di personalità. Basti pensare ad alcune ricerche sui
gemelli in seguito alle quali, dallo studio su coppie identiche separate dalla nascita e
allevate separatamente, si sono riscontrate profonde similarità nelle personalità dei
soggetti.
La questione su quanto la personalità sia influenzata da fattori ereditari nasce nel
momento in cui si sviluppa la disciplina e incontra la psicologia generale (e la filosofia) nella
polemica tra innatisti ed empiristi.
Che relazione c’è tra mente e corpo? C’è una relazione tra geni e attività di pensiero? Esiste
una ereditarietà? Per esempio sul disturbo della personalità.
(Persone dove c’è una storia di depressione in famiglia, spesso viene in parte ripreso).
Oggi non è più in discussione il fatto che i geni influenzino la personalità, piuttosto i teorici
si confrontano su quanto il patrimonio genetico, in interazione con l'ambiente, determini lo
sviluppo della persona.
2) Fattori disposizionali

Alcuni teorici della personalità ritengono che le persone si differenzino le une dalle altre in
base al possesso di disposizioni stabili, denominate frequentemente come tratti. I tratti
fanno riferimento a quegli elementi costitutivi della personalità che rimangono costanti nel
corso della vita, assicurando coerenza e continuità alla condotta sia in senso evolutivo-
longitudinale (il comportamento dell'individuo rimane sostanzialmente stabile nelle varie
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fasi della vita) che cross-situazionale (il comportamento della persona è coerente anche al
cambiare dei contesti). I teorici dei tratti si sono interrogati sulla tipologia e sulla
numerosità di tali tratti, proponendo modelli specifici.

(Le persone sono tra loro diverse, ma nella nostra diversità si possono trovare delle
dimensioni comuni, altezza, peso. Quanti sono queste dimensioni comuni? Sono X, e su
queste x creo una classificazione).

All'interno della prospettiva dei tratti, alcuni autori (Eysenck, 1975) considerano i fattori
disposizionali, come l'estroversione o il nevroticismo, come tratti originari determinati
geneticamente; altri teorici (Saucier e Goldberg, 1996; Wiggins, 1979) invece, ritengono i
tratti come delle etichette descrittive di caratteristiche di personalità, senza alcun
ancoraggio di tipo biologico. Nel corso dei lavori teorici e di ricerca legati all'identificazione
dei tratti fondamentali, si è creato un dibattito circa l'influenza e il ruolo delle situazioni, e
quindi dei fattori esterni, a determinare le disposizioni individuali. Questo ha dato origine
all’odierno approccio interazionista secondo cui la personalità è frutto dell’interazione tra
disposizioni e situazioni.

3) Fattori socioculturali

La cultura contribuisce in larga misura a determinare le pratiche specifiche di una società in


riferimento a variabili come il corteggiamento, il matrimonio, l'educazione dei figli, la
politica, la religione, la giustizia. Allo stesso modo il comportamento è influenzato dal livello
socioeconomico, dall’area geografica in cui si vive, dalla cultura personale, etc. Tali variabili
spiegano importanti differenze di comportamento legate alla cultura/società di
appartenenza.

4) Fattori legati all’apprendimento

Nel corso della vita gli individui sono esposti a condizionamenti ambientali, al
modellamento da parte di rinforzi positivi e negativi forniti dai propri contesti di
riferimento e, quindi, a fattori legati all'apprendimento.
Apprendimento come mia personale esperienza, il modo in cui l’ambiente guida il mio
comportamento. L’esperienza è in grado di incidere sul mio comportamento.
I teorici dell’apprendimento, che si rifanno prevalentemente alla tradizione
comportamentista, ritengono che le persone siano prevalentemente il frutto di ricompense
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o di punizioni e le loro personalità differiscano perché hanno una storia diversa legata a tali
variabili. Un'implicazione di questo punto di vista è che sia possibile controllare lo sviluppo
della personalità manipolando le circostanze in cui vengono elargite ricompense e
punizioni.
I comportamentisti, esagerando, dicono che nasciamo quasi come tabule rase, ed è
l’ambiente che attraverso il RINFORZO guida la personalità.

5) Fattori esistenziali
Le teorie di stampo umanistico-esistenziale e con un approccio di tipo fenomenologico allo
studio della personalità si interrogano su alcune questioni esistenziali: Qual è il senso della
vita? Cosa significa essere consapevoli del fatto che la vita ha una fine? Quali sono i valori
su cui basare la propria vita? Quali sono i bisogni fondamentali dell'uomo? Sulla base delle
risposte a tali quesiti, le persone sviluppano una propria visione del mondo e dell'uomo che
le differenzia tra loro. Queste teoria affrontano temi quali il libero arbitrio e la capacità di
autodeterminazione. In sintesi, gli psicologi che enfatizzano tali fattori ritengono che
ognuno sia "responsabile" della propria vita: siamo noi che scegliamo cosa vogliamo
diventare.
(Soprattutto dal punto di vista della psicologia umanistica, positiva)
Sono posizioni legate alle persone, perché si pongono delle domande e rispondono in un
determinato modo.
Le personalità diverse, dipendono dalle risposte che si danno le persone a determinati
quesiti fondamentali dell’esistenza.

6) Meccanismi inconsci
Non sempre le persone sono consapevoli di ciò che fanno e pensano e non riescono a
spiegare perché compiono determinate azioni. Alcuni teorici della personalità sottolineano
l'importanza di esplorare le cause sottostanti al comportamento e di capire i meccanismi
inconsci. Le teorie psicoanalitiche, contraddistinte come approcci del profondo,
propendono per lo studio di tali determinanti inconsce della personalità, presenti e già
influenti fin dall'infanzia. Secondo un teorico che abbraccia tale prospettiva non ha senso
chiedere a una persona perché agisce in un determinato modo, dal momento che le reali
cause del suo comportamento sono in genere non chiare o sconosciute.

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Una buona parte delle ricerche psicologiche, sono basate su conscio e inconscio e buona
parte del comportamento sfugge al controllo dell’individuo.
Componente volontaria e una inconsapevole.
(Teorie psicoanalitiche). Andare ad esaminare l’inconsapevole per andare a comprendere il
comportamento mostrato.

7) Processi cognitivi
Le persone si caratterizzano per le modalità con cui percepiscono, trattengono,
trasformano e traducono in azione le informazioni dell'ambiente. Attraverso le idee che si
fanno del mondo che li circonda, gli individui si pongono degli obiettivi, si autoregolano
rispetto al proprio modo di agire e fare esperienze con gli altri. I teorici della personalità
che enfatizzano l'importanza di tali fattori focalizzano l'attenzione su quei processi
mediante i quali gli individui categorizzano la realtà e le attribuiscono un significato.
Le persone sono diverse perché vivono sensorialmente il mondo, in modo diverso. (O i
processi di pensiero). Rimanda la diversa condotta delle persone ai processi cognitivi (come
traduco e vivo le informazioni, attraverso le idee che si fanno del mondo).
Bandura per esempio.

Le questioni fondamentali.
Osservando questi punti di vista, si vede, come ci siano elementi comuni tra le diverse
prospettive.
Possiamo prendere queste modalità di studio e quantificarle in modo diverso, nella stessa
dimensione?
1. Qual è l'importanza del passato, del presente e del futuro? Quanto il passato influenza
il modo di essere di una persona? – IMPORTANZA DEL TEMPO
Nella prospettiva psicoanalitica, in particolare nella teoria di Freud, si mette in evidenza
come i primi anni di vita siano fondamentali per l'esistenza di un individuo e come il
carattere di una persona sia già delineato intorno al quinto anno di età. Altre prospettive
teoriche hanno sottolineato l'importanza di considerare il comportamento umano (agente
attivo) orientato al futuro, privilegiando nello studio della personalità la considerazione
degli obiettivi che l'individuo si pone, le mete da raggiungere, gli scopi cui tendere

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(prospettive cognitive e cognitivo-sociali, in autori come Allport, Bandura e Mischel, Kelly).
Secondo Kelly: «è il futuro che tormenta l’uomo, non il passato»

2.Cosa motiva il comportamento umano? –COSA GIUSTIFICA L’INTENSITA’ DI UN


COMPORTAMENTO NEI DIVERSI SOGGETTI?
In generale gli psicologi hanno cercato di capire cosa spinge gli uomini a fare quello che
fanno, qual è la forza che sta alla base del comportamento umano. Anche in questo caso le
differenti prospettive teoriche hanno dato risposte molto diverse. Secondo teorici come
Freud, Skinner, Dollard e Miller prevale una motivazione di tipo edonistico, per cui le
persone si caratterizzano per la tendenza a ricercare il piacere e a evitare il dolore. In autori
come Rogers, Maslow, Jung, Horney, (psicologia positiva) ciò cui tende l'uomo è
l'autorealizzazione, ossia la possibilità di esprimere appieno le proprie potenzialità

In una prospettiva di stampo cognitivista come quella di Kelly o esistenziale come quella di
May, ciò che spinge le persone è la ricerca del significato di ciò che le circonda e la
riduzione dell'incertezza. Nell'ottica cognitivo-sociale, come quella di Bandura e Mischel,
ciò che muove il comportamento umano è una motivazione autodiretta, definita
"autoregolazione": l'individuo si prefigge obiettivi personali, individua il percorso per
raggiungerli e valuta se il proprio comportamento è funzionale al loro raggiungimento.

3. Il comportamento umano è liberamente scelto o è determinato?


Nell'ambito degli studi sulla personalità è possibile individuare due posizioni
riduzionistiche tra loro opposte, le quali però, allo stesso modo, propendono nel ritenere
che il comportamento sia regolato da forze sottratte al controllo diretto della persona. Si
possono individuare due blocchi:
- Per il riduzionismo biologico (la psicoanalisi ne è un caso) le condotte sono governate da
fattori genetici, somatici, istintuali, relativi al sistema nervoso etc. (programmato)
- Per il riduzionismo sociologico-ambientale il comportamento è il risultato dei
condizionamenti sociali, culturali e di meccanismi legati ai rinforzi positivi, negativi e alle
punizioni, ossia modellato dall’interazione con l’ambiente. (determinato dall’ambiente, ma
è libero, perché l’ambiente lo posso orientare).

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4. Unicità o comunanza tra gli individui? -
- Ogni persona è unica sia per il patrimonio genetico che per le esperienze ambientali. Non
esistono due individui perfettamente uguali. (psicanalisi) Non serve paragonare le
personalità
- Nello stesso tempo, però, gli individui hanno moltissimi elementi in comune, sia dal punto
di vista biologico (conformazione e funzionamento del cervello, apparati sensoriali simili)
sia in relazione alla cultura di appartenenza. (idea di generalizzare)
Le varie teorie si differenziano per la differente enfasi posta sulla singolarità dell'individuo
piuttosto che su ciò che le persone condividono.
- Le teorie che sottolineano l'unicità dell'individuo adottano un approccio di tipo
idiografico (per esempio la prospettiva psicoanalitica e quella cognitiva di Kelly);
(psicoanalitico)
- mentre quelle che si focalizzano sulle similarità tra gli individui si caratterizzano per un
approccio di tipo nomotetico (nella prospettiva dei tratti, il Modello di Cinque Fattori).
Cercare qualcosa in comune.

5. Il comportamento umano è sotto il controllo di variabili interne o esterne?


Dove si trova il «luogo di controllo», il centro di comando del comportamento umano? Il
riferimento è a variabili interne, soggettive, disposizionali, come i tratti o i sistemi
autoregolatori, oppure a fattori esterni e situazionali.
Il locus of control dov’è? Cosa è più importante, fattore situazionale (mi comporto in un
modo perché c’è un contesto davanti a me, che mi guida) oppure, disposizionale (dipende
da me).
Esempio: Frequento un locale, ed è un locale in cui vanno tutti. Comportamento dipende
da un fattore situazionale. Se ci andassi solo io, dipende da una mia disposizione.
Il mio comportamento è più una questione esterna, o interna?

6. La natura umana è positiva o negativa?


L’uomo è fondamentalmente buono o cattivo?
Per gli approcci umanistico-esistenzialisti la personalità è costituita da tendenze positive
(psicologia delle vette), mentre per l’approccio psicoanalitico (ma anche quello

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comportamentista) la natura umana è perlopiù istintuale e legata a pulsioni
aggressive/negative.

7. La personalità è unitaria o multipla?


Studi recenti legati alla psicologia post-moderna confermano come sia difficile parlare di un
Io come centro unitario e coerente della personalità e propendono per una visione in cui
esisterebbero molteplici stati dell'Io tanto da formulare il concetto di un "io multiplo".

8. L’introspezione è utile per conoscere la personalità?


- Per gli esistenzialisti l’introspezione è lo strumento più prezioso per lo studio della
personalità
-Per i comportamentisti/teorici dell’apprendimento l’introspezione non è utile.
- Per l’approccio psicoanalitico l’introspezione è utile solo se il resoconto è analizzato da un
esperto.

I 4 quadranti delle teorie della personalità


A partire dai 2 quesiti più importanti prima trattati, ossia: - Il comportamento soprattutto
una questione biologica o culturale? - Il comportamento è controllato da specifiche variabili
oppure esistono forze autonome e che si autoregolano?
VEDI ULTIMA SLIDE (immagine)

Metodi di indagine nello studio della personalità


Non c’è un metodo assoluto, ma esiste un metodo migliore in relazione a quel determinato
obiettivo.

Le fonti di informazioni: l’assessment


Il processo attraverso cui avviene la valutazione della personalità viene chiamato
assessment. Durante il processo di assessment è possibile avvalersi di differenti tipologie di
informazioni relative all'individuo che viene valutato. Assesment come valutazione del
soggetto, valutazione dell’anagrafica personale del singolo.

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A ben pensare tutti noi facciamo assessment abitualmente: la valutazione della personalità
è un'attività che tutti noi spesso facciamo informalmente, al fine di sapere come sono le
persone con le quali interagiamo e cosa dobbiamo aspettarci da loro.
Esistono due grossi modi per lo studio della personalità, quello ingenuo e quello rigoroso.
Si presume che i disturbi delle personalità, derivano dallo squilibrio di una delle sue parti.

Le fonti di informazioni: i dati LOTS (varie forme d’informazione ai fini dell’assesment).


Quattro differenti tipologie di dati vengono comunemente impiegate nell'indagine
scientifica sulla personalità: vengono identificate dall'acronimo LOTS.
1) dati relativi agli eventi della vita di ciascun individuo, i dati-L (Life record data), ovvero
quelle informazioni che possono essere ricavate direttamente dalla storia, vita, civile della
persona (es.: è sposato? È laureato? Ha un porto d’armi? Che lavoro fa? Quante volte ha
violato la legge?)
(corrisponde alla namnesi).
2) dati di natura osservativa, i dati-O (Observer data), ossia i dati forniti da soggetti terzi
che entrano in contatto con la persona di cui interessa studiare la personalità. Gli
osservatori possono essere di diverso tipo: clinici-professionisti (setting artificiale,
specifico), amici, parenti, insegnanti, genitori (setting naturalistico). Gli osservatori possono
essere in gruppo (incontri, gruppi sportivi...) o singoli.
3) dati di natura sperimentale, i dati-T (Test-data), ovvero le persone che prendono parte a
un esperimento sono poste in un setting controllato in cui vengono rilevate le differenti
reazioni dei partecipanti stessi di fronte a una medesima situazione. Le differenze nelle
risposte date dai partecipanti (da differenti gruppi di partecipanti, es.: «impulsivi» vs «non
impulsivi») vengono spiegate alla luce di differenze nelle caratteristiche di personalità.
Derivano da TEST. Setting sperimentali (in cui c’è un controllo sulle variabili in gioco). Si
vede quanto le differenze di personalità insistono sulle diverse variabili.
4) dati di autodescrizione/autovalutazione, i dati-S (Self-report data), ossia le persone
stesse assumono il ruolo di osservatori, si auto-valutano, indicano come si vedono (es.:
sono ottimista, sto bene in compagnia, etc.). L’autodescrizione può essere «non
strutturata», ma è generalmente preferita la «strutturata» (es.: inventari con risposte vero-
falso, likert, differenziale semantico).

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Modalità più solita. Solitamente basata su una storia strutturata di item. (è una domanda,
compito dato, impegna il soggetto in modi diversi).
Soggetto si autovaluta su una scala di osservazione semplice.
Bisogna tenere in considerazione il tipo di soggetto che si ha di fronte.

Tutti questi dati sono ai fini dell’assesment.

Le fonti di informazioni: tecniche proiettive di valutazione implicita


Oltre ai dati LOTS esistono anche tecniche proiettive che cercano di capire la personalità
dell’individuo indirettamente valutando il processo di giudizio rispetto a degli stimoli dati. Il
modo in cui vengono fornite le risposte (es.: quantificazione dei tempi di reazione) può
dare informazioni circa la personalità.
Alcuni noti esempi sono rappresentati da:
- IAT, Test di Associazione Implicita che misura la forza dei legami associativi tra concetti
rappresentati in memoria (si valutano i tempi di reazione nel categorizzare
dicotomicamente parole). (I concetti sono rappresentati nella testa degli individui come
una rete. L’obiettivo è quello di valutare l’associazione tra oggetti e i tempi di reazione).
- Test di Rorschach e TAT (Test di Appercezione Tematica) dove il soggetto per dare un
senso all’ambiguità mostra la propria personalità I disegni di ricerca in Psicologia della
personalità Un disegno di ricerca è sempre supportato da un orientamento teorico che
indirizza le procedure adottate.
TAT: viene dato un testo e poi viene chiesto di proseguire. Questo dice qualcosa su di sé.
Lavorano sull’interpretazione dell’ambiguo. Si chiamano proiettivi perché nel dare risposta
si proietta sé stessi.
Oltre a questi c’è ne sono molti atri.

Nello studio della personalità si muovono due approcci generali: - uno nomotetico (=regola)
che riguarda quegli studi il cui interesse principale è ritrovare le somiglianze tra le persone
(ciò comporta una predilezione per la raccolta e l'analisi di dati più di tipo quantitativo, con
utilizzo di test uguali per tutti i partecipanti alla ricerca) - uno idiografico (=privato)
specifico di quelle ricerche più orientate a marcare le differenze tra gli individui e quindi più

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focalizzate sull'unicità delle persone (in questo caso le procedure di ricerca si baseranno su
dati di natura prevalentemente qualitativa, come le narrazioni).

I disegni di ricerca in Psicologia della personalità:


1) studio di casi
Lo studio di caso è uno studio intensivo e approfondito di una singola persona. Tale tecnica
solitamente prevede un lungo periodo di osservazione e tipicamente include anche
interviste non strutturate. Qualche volta è necessario trascorrere una o due giornate con la
persona in esame per osservare come interagisce con gli altri. Le osservazioni ripetute nel
tempo consentono di confermare le ipotesi iniziali, oppure di correggere le impressioni
sbagliate: la verifica delle ipotesi iniziali NON sarebbe possibile se venisse effettuata
un'unica osservazione. Nello studio di casi le persone vengono esaminate in un contesto
naturalistico e non creato dal ricercatore, quindi le informazioni che si ottengono
rispecchiano maggiormente la vita reale. Lo studio di casi viene talvolta condotto
esclusivamente con un obiettivo di ricerca, tuttavia occorre sottolineare che tale approccio
tradizionalmente è nato e si è sviluppato nei contesti di tipo terapeutico. Questo è
conseguenza del fatto che questo tipo di studi manca solitamente di generalizzabilità,
termine che indica quanto ampiamente una conclusione possa essere applicata/esportata.
Per poter affermare che una determinata conclusione è generalizzabile (e non limitata al
singolo caso), essa deve derivare dallo studio di tante persone (campioni rappresentativi) e
non solo di uno o due soggetti.
Viene richiesto tanto tempo, perché per togliere l’effetto della casualità, devo prolungare
l’intervento nel tempo. Viene fatto con un solo soggetto.

2) la ricerca correlazionale
La ricerca correlazionale prevede l'uso di questionari, nella maggior parte dei casi di tipo
self-report, che consentono di raccogliere molte informazioni su un ampio numero di
soggetti contemporaneamente. Obiettivo di questa tipologia di ricerca è rilevare l'esistenza
di una relazione (statisticamente nota come correlazione) tra due differenti caratteristiche
di personalità. Es.: - le persone più estroverse riportano anche un livello più elevato di
autostima? - chi è maggiormente in grado di sopportare lo stress ha anche una maggiore
stabilità emotiva?

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Solitamente nasce da strumenti self-report, per rilevare l’esistenza di una relazione, tra due
differenti caratteristiche di personalità.
CORRELAZIONE: due variabili che coovariano, non è una relazione causa-effetto.
È possibile affermare che due variabili sono tra loro correlate quando i valori delle due
variabili tendono a variare insieme in modo sistematico. Tale relazione si caratterizza per
due aspetti distinti l'uno dall'altro: - la direzione; - la forza.
Vediamo in esempio: c’è relazione (correlazione statistica) tra autostima e prestazione
scolastica? DIREZIONE: Se i valori bassi lungo un asse tendono ad andare con i valori bassi
lungo l’altro asse e i valori alti tendono ad andare con i valori alti (come qui in alto), si può
affermare che le variabili siano positivamente correlate (=direzione positiva) → le persone
con una bassa autostima tendono ad avere una media dei voti bassa e le persone con alta
autostima tendono ad avere una media dei voti alta. A volte valori alti tendono ad andare
con valori bassi (come qui in basso), ossia le variabili siano negativamente correlate
(=direzione negativa) → le persone con una bassa autostima tendono ad avere una media
dei voti alta e le persone con alta autostima tendono ad avere una media dei voti bassa.
FORZA: si riferisce al grado di accuratezza con cui si possono predire i valori su una
dimensione partendo dai valori sull'altra dimensione; per esempio, si ipotizzi una
correlazione positiva tra l'autostima e la media dei voti. Supponiamo di sapere che Roberto
ha ottenuto il secondo punteggio più alto nell'autostima: con quanta accuratezza è
possibile effettuare una stima della media dei suoi voti? Poiché la correlazione è positiva,
sapendo che il valore dell'autostima di Roberto si colloca nella fascia alta, si potrebbe
predire che abbia anche una media dei voti alta. Se la correlazione è anche forte, è molto
probabile che la tua predizione sia corretta. FORZA: La forza di una correlazione viene
espressa da un numero chiamato coefficiente di correlazione (spesso etichettato con una r
minuscola, che assume valori compresi tra 0 ed 1 dotati di segno ad indicare la direzione).
r=1 r=-1 0.3<rr>-0.5 r-0.3 forte 0.6<rr>-0.8
Le correlazioni ci dicono se due variabili variano insieme (in quale direzione e con quanta
forza), ma non ci informano sul perché le variabili variano insieme. La domanda perché ci
porta verso un secondo tipo di relazione tra variabili, ovvero la causalità, intesa come la
relazione tra una causa e un effetto. … se si rappresenta una relazione causa → effetto con
una freccia, per la correlazione vale quanto segue:
Direzione e forza due strutture fondamentali della correlazione.

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Due variabili possono essere molto correlate o poco correlate.
Qual è uno degli indici che serve per misurare la correlazione? R di Person

3) la ricerca sperimentale La media dei voti può causare l’autostima (freccia 1), ma
contemporaneamente l’autostima può causare la media dei voti (freccia 2). Potrebbe
anche essere che una terza variabile non considerata causi autostima e media voti (ad
esempio il quoziente intellettivo).
La ricerca sperimentale consente di stabilire chi è causa e chi è effetto. In un esperimento il
ricercatore manipola una variabile, ovvero stabilisce l'esistenza di diversi livelli che la
definiscono (es.: bassa autostima, media autostima, alta autostima → variabile a 3 livelli).
La variabile che viene manipolata è detta variabile indipendente (l’autostima nel nostro
esempio) ed è quella che il ricercatore ipotizza come possibile causa in una relazione causa-
effetto. La variabile che si pensa possa essere influenzata dalla manipolazione della
indipendente, è detta variabile dipendente e rappresenta l’effetto (la media dei voti nel
nostro esempio). Ogni variabile che non può essere controllata, come le differenze
individuali, viene trattata attraverso l'assegnazione casuale… ossia, ad esempio, si
assegnano M ed F casualmente/o in modo bilanciato nelle 3 condizioni di autostima. In
conclusione sarà applicata una apposita statistica per confrontare e capire se i 3 livelli della
variabile indipendente (autostima) si associano a livelli significativamente differenti della
variabile dipendente (media voti).
In alcuni disegni sperimentali ci si avvale del controllo sperimentale, ossia, nella condizione
di minimo, si considerano 2 campioni di soggetti, uno detto sperimentale, quello per cui si
manipola la variabile indipendente e quello di controllo, ossia il campione per il quale non
si fa manipolazione della variabile indipendente. Es.: si vuol capire se un farmaco funziona
contro il covid-19. Ad un gruppo, quello sperimentale, si somministra il farmaco, all’altro,
quello di controllo, si somministra un placebo. I 2 gruppi devono essere il più omogenei
possibili tra loro. Alla fine si confronta lo stato di salute dei 2 campioni.
Tuttavia questo metodo non è completamente perfetto. Il problema è il seguente: quando
si conduce un esperimento, si mostra che la manipolazione causa la differenza nella
variabile dipendente, ma non è possibile essere sempre completamente sicuri di quale
aspetto della manipolazione ha costituito la causa. Forse era l'aspetto della manipolazione
su cui ci si è concentrati o forse un altro (effetto Hawthorne).

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(Si prende una variabile e si vede che effetti produce.)

Quale tipo di ricerca è migliore per studiare la personalità? Tutti e tre gli approcci alla
ricerca che abbiamo appena descritto presentano vantaggi e, per lo più, il vantaggio di uno
è allo stesso tempo lo svantaggio dell'altro:
- lo studio di casi consente di ottenere una comprensione profonda della persona, ma non
consente di trarre delle conclusioni che siano generalizzabili alle altre persone e non
consente alcuna spiegazione di tipo causale in merito a come le diverse caratteristiche di
personalità si siano sviluppate e a come si influenzino a vicenda.
- Il metodo sperimentale mostra le cause e gli effetti, cosa che invece né lo studio di casi,
né il metodo correlazionale possono fare, ma a volte c'è incertezza su quale aspetto della
manipolazione sia importante ed inoltre tempo dell’esperimento e setting sono troppo
limitati e controllati.
(Se possibile meglio utilizzare questo, perché c’è un maggior controllo delle variabili.
- Il metodo correlazionale consente di esaminare eventi che si svolgono su lunghi periodi
(anche decenni) e che sono molto più complessi. Gli studi correlazionali, inoltre,
consentono di ottenere informazioni su eventi per i quali la manipolazione sperimentale
non sarebbe etica (per esempio, indagare l'impatto del divorzio dei genitori sullo sviluppo
della personalità dei figli). A tal proposito, alcuni studiosi della personalità suggeriscono
che, per poter superare i limiti propri di ciascun approccio di ricerca, sarebbe auspicabile
fare ricorso a ciò che viene definito pluralismo metodologico.

Misurare la personalità: attendibilità delle risposte


Così come per gli altri settori della psicologia, anche lo studio della personalità deve
necessariamente fare uso di procedure e misurazioni che siano attendibili e valide.
Attendibilità: Indica la stabilità nel tempo e la replicabilità delle misurazioni effettuate. Una
volta che è stata effettuata l'osservazione di qualcuno, quanto si può essere sicuri del fatto
che osservandolo una seconda o una terza volta si vedranno le stesse cose?
Quando un'osservazione è attendibile ha un alto grado di coerenza interna o ripetibilità.
Una bassa attendibilità significa presenza forte di errore (comunque ineliminabile nei
procedimenti di misurazione).
L’idea è che usando diversi item le diverse fonti d’errore si elidano.

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(I test sono formati da più item, perché è meglio avere più oggetti contemporaneamente,
nonostante tutte abbiano un errore. Se ho tate bilance, gli errori si elidono. Più item ho, più
sono sicuro dell’attendibilità.)
Una delle procedure è capire qual è il numero di item necessari, per avere un’attendibilità
dignitosa.
La risposta generale è la ripetizione della misura.

Come si può affrontare il problema dell'attendibilità nella misurazione?


La risposta generale è di ripetere la misurazione più di una volta. Solitamente, ciò significa
misurare lo stesso aspetto da un punto di vista leggermente diverso o con una "tecnica di
misurazione" lievemente differente. Proviamo a pensare a come valutare quanto una
persona sia brava nel risolvere un problema di matematica. Non conviene proporre un
unico problema da risolvere perché se il soggetto in esame risolve più o meno facilmente il
problema, questo potrebbe dipendere da qualche particolare caratteristica di quel
problema.

L'attendibilità è un problema relativo alle correlazioni tra le risposte delle persone agli
item. (Quando è che ho tanta attendibilità? Quando gli item tendono a misurare in modi
molto simili.) Affermare che gli item sono altamente attendibili significa che le risposte date
dalle persone agli item sono altamente correlate. Un item è in genere una domanda,
un'affermazione o una prova di abilità. La prestazione su questi item produce un punteggio.
Il punteggio, in un test ben costruito, riflette un costrutto psicologico, e le differenze in tale
punteggio costituiscono differenze individuali in tale costrutto.
Se l’item è molto attendibile, il punteggio è più credibile, verosimile.

Il modo migliore è quello di considerare la correlazione media tra ogni coppia di item presi
separatamente. Un modo più semplice consiste nel separare gli item in due sottoinsiemi (di
solito item pari versus item dispari), sommare i punteggi delle persone per ogni
sottoinsieme e correlare tra loro i due subtotali. Questo indice viene chiamato affidabilità
split-half (se i due sottoinsiemi di item misurano la stessa caratteristica, le persone che
ottengono un punteggio alto/basso in un sottoinsieme dovrebbero ottenere un punteggio
alto/basso anche nell'altro) → forte correlazione positiva.

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Misurare la personalità: attendibilità dei valutatori
Come si può valutare l'attendibilità nel caso in cui la valutazione venga effettuata da un
osservatore? Questa valutazione si può fare se si confronta l'osservatore con un altro
osservatore. Nel caso in cui vedono all'incirca la stessa cosa nel momento in cui osservano
uno stesso evento, l'attendibilità è elevata. Questa duplice osservazione corrisponde alla
suddivisione in due sottoinsiemi degli item di un questionario. Quando il giudizio di un
valutatore correla fortemente con quello dell'altro valutatore in seguito a ripetute
osservazioni, allora si può affermare che esiste un'alta attendibilità inter-rater.

Misurare la personalità: attendibilità dei punteggi nel tempo


La stabilità dei punteggi nel tempo viene valutata con il test-retest. Viene determinata
somministrando un test alle stesse persone in due momenti diversi. Una scala con alta
attendibilità test-retest, nella seconda somministrazione produrrà punteggi abbastanza
simili a quelli della prima somministrazione.

Misurare la personalità: validità La validità indica il grado con cui un test misura
effettivamente ciò che intende misurare (sto guardando la Luna o la luce di un lampione che
credo essere la Luna?) Come si fa a decidere se si sta misurando effettivamente quello che
si vuole misurare?
(Sono sicuro che ciò che sto misurando è quella cosa). Ci sono due modi per rispondere a
questa domanda:
- Definendo bene i concetti che si intendono studiare
- Tramite definizione operazionale, ossia descrivendo l’evento
Es.: consideriamo l'idea di amore. La sua definizione concettuale potrebbe essere: - "un
forte affetto per un'altra persona". Ci sono diversi modi, però, di definire operazionalmente
l'amore: - si potrebbe chiedere alla persona che si sta valutando di segnare su una scala di
misura quanto ama qualcuno. - si potrebbe contare quante volte guarda negli occhi questa
persona mentre interagisce con essa. - oppure si potrebbe misurare quanto è disposta a
rinunciare ai suoi interessi per stare con la persona amata.

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Quanto bene la definizione operazionale rispecchia la definizione concettuale? Se le due
combaciano, la misurazione ha un'alta validità.
Nel tentativo di essere sicuri che i test di personalità fossero validi, i ricercatori sono
arrivati a distinguere diversi aspetti della validità:
- La validità di costrutto significa che la misura (lo strumento di valutazione) riflette il
costrutto (la qualità concettuale) che lo psicologo ha in mente.
- La validità predittiva o di criterio significa che ciò che si sta misurando si collega con altre
manifestazioni della caratteristica che si suppone di misurare (misurare lo stesso costrutto
con strumenti differenti).
- La validità convergente significa essere coerenti con aspetti simili ma non identici a quello
misurato (es.: dominanza e leadership).
- La validità discriminante si riferisce a quanto la scala effettivamente non misuri aspetti
che non intende misurare.
Ancora su attendibilità e validità: la metafora del bersaglio A = no attendibilità, no validità B
= si attendibilità, no validità C = si attendibilità, si validità (vedi schema ultima slide-PARTE
2).

La prospettiva psicoanalitica

Ci sono diverse modalità di affrontare la personalità, diverse posizioni teoriche.


La psicoanalisi
È la più complessa. La psicoanalisi è come un romanzo.
La prospettiva psicoanalitica concepisce il comportamento come parzialmente determinato
da forze interne che sono al di fuori della nostra consapevolezza e del nostro controllo.
Molti accadimenti che paiono essere casualità o incidenti, in realtà non lo sono: accadono
perché hanno uno scopo, un motivo, anche se non se ne è consapevoli.
Una delle grandi rivoluzioni della psicoanalisi, è stata proprio definire che esiste qualcosa di
incosapevole.

La psicoanalisi: storia

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Psicoanalisi nasce nella testa di un medico, dove c’è grande considerazione della biologia,
della medicina. Nasce come possibilità di andare oltre quel metodo.
La psicologia prima del cognitivismo (fine anni 50), non si era parlato di personalità.
Opera Freudiana è stata poi modificata, ma ha avuto un grande impatto.
La psicoanalisi ha avuto origine negli scritti di un medico austriaco, Sigmund Freud. Il suo
impatto sulla psicologia della personalità e sulla cultura in generale è stato, ed è tuttora,
enorme. Poiché si è affermata prima di altre prospettive della personalità (la sua teoria si
sviluppa dal 1885 al 1939), alcuni pensano che Freud sia il padre della intera psicologia
della personalità. Freud è stato definito, dal filosofo Michel Foucault, «fondatore di
discorsività». I fondatori di discorsività sono creatori di possibilità e di regole per la
creazione di altri testi, aprendo spazi di pensiero per orizzonti culturali oltre sé stessi.
La psicoanalisi (termine usato per la prima volta da Freud nel 1895 in un suo scritto,
«L'ereditarietà e l’eziologia della nevrosi») ha in realtà una lunga storia di precursori. Alcuni
filosofi (tra gli altri, Blaise Pascal, Baruch Spinoza, Gottfried Leibniz) si interessano: -
all’autocoscienza - alla ragione - alle dimensioni psichiche al di fuori della razionalità,
inaccessibili.
(Molti concetti quindi vengono ereditati dalla filosofia, in realtà).
Tali dimensioni verranno chiamate «inconscio» dalla psicoanalisi
Agli inizi del suo iter formativo, due approcci costituiscono l'orizzonte degli interessi di
Freud: - da un lato il pensiero evoluzionistico darwiniano (Dalla sua teoria, idea che ci sia un
istinto, simile alle specie animali, bestiali)
- dall’altro un’impostazione razionalistica, meccanicistica e naturalistica che vede nella
ricerca empirica e nell'osservazione sistematica i necessari ingredienti della scienza. … ma
Freud inizia a pensare che la fisiologia da sola non sia in grado di spiegare tutti i fenomeni
psicologici. A questa insoddisfazione verso l'adesione incondizionata al pensiero fisicalistico
contribuisce, tra altre influenze, l'insegnamento dello psichiatra Theodor Meynert che
aveva accolto le idee del filosofo Johann Friedrich Herbart.
Herbart affermava la priorità della psicologia sulla fisiologia e proponeva la nozione di
«idee inconsce» o «piccole percezioni» che non giungono alla coscienza (alla
consapevolezza), nonché la necessità di un approccio scientifico alla psiche tramite la
misurazione e la quantificazione dei fatti prettamente psichici.

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Docente di Freud fu anche Franz Brentano, anch'egli propugnatore della centralità della
psicologia e della necessità dello studio dei fenomeni psichici cognitivi ed emotivi.
(Brentano è stato l’ispiratore anche di quel tipo di psicologia, importanza della relazione tra
oggetti, non conta solo l’oggetto.)
Importante fu anche lo psichiatra Pierre Janet, che fu uno dei primi a ipotizzare un nesso
tra gli eventi del passato di una persona e la loro rappresentazione nel trauma che si
manifesta in un tempo successivo.
Janet elaborò le osservazioni su numerosi pazienti e studiò i fenomeni psicologici di:
- automatismo totale (come il sonnambulismo e la catalessia)
- automatismo parziale (come le distrazioni o la presenza di stati psicologici simultanei
caratterizzati da immagini improvvise, che irrompono nella mente, mentre il pensiero è
rivolto altrove). Janet attribuisce questi fenomeni automatici e non controllabili alla
riattivazione inconsapevole di precedenti esperienze archiviate nella memoria e connesse a
un restringimento della coscienza.
Il termine «dissociazione» è invenzione di Janet. La dissociazione è una difesa psichica che
viene messa in atto quando la mente è sopraffatta da un evento traumatico. Serve ad
allontanare automaticamente dalla coscienza gli affetti e i ricordi legati al trauma.
Nonostante siano eliminate dalla coscienza, queste immagini mentali traumatiche tendono
a ripresentarsi sotto forma di flashback, di incubi o sogni (quella della dissociazione è
questione importante nel Disturbo Post Traumatico da Stress). Freud stimava Janet, ma tra
i due ci furono diverse controversie.

La teoria psicoanalitica
La psicoanalisi adotta il metodo storico-clinico (approccio ideografico) ossia l’oggetto di
indagine è l'esperienza, narrata e ricostruita, dal soggetto stesso al fine di individuare i
principi del suo funzionamento psichico.
La psicoanalisi propone una concezione della personalità:
- unitaria
- olistica (ossia non riducibile alle sue singole componenti)
- complessa

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- dinamica (la personalità vista come un insieme di processi che sono sempre in
movimento, alcuni dei quali a volte lavorano contro gli altri, in concorrenza o in lotta per il
controllo sul comportamento della persona).
Uno dei termini fondamentali per la psicoanalisi, la «difesa» è risultato di questo
complesso dinamismo. Le esperienze che viviamo possono minacciare alcuni aspetti di noi
stessi. Quando si hanno pensieri vergognosi, quando facciamo delle cose delle quali ci si
sente in colpa, etc., qualunque siano le minacce, i meccanismi di difesa evitano che noi ci si
senta sopraffatti.
(Questa è la natura, su questa agisce il subconscio e mettendo insieme le due cose, spiego
il comportamento)
L'assetto difensivo della personalità costituisce, quindi, la configurazione originale di
ciascuno di noi.
La configurazione difensiva sarebbe lo stile con cui ciascuno di noi entra attivamente e
costruttivamente in relazione con il mondo e le sue sfide.
Un'ulteriore tematica della teoria psicoanalitica è che l'esperienza umana sia caratterizzata,
anche, da: (forze che sembrano essere particolarmente forti nel guidare il comportamento,
perché sono elementi essenziali per l’esistenza biologica- teoria Darwiniana)
- brama (forti desideri): il mio corpo ha bisogno di risorse, l’effetto mentale della mancanza
di risorse mi porta a ricercarle
- aggressività: è collegata alla brama, appago il mio desiderio con delle risorse, ma le risorse
sono limitate. Competizione per le risorse limitate
- sesso: riproduzione, accoppiamento. La libido è importante perché legata con il biologico
- morte: è una cosa alla quale tutti tendono, quasi come si ricercasse.
Dopotutto il pensiero di Freud fu influenzato dalla teoria dell'evoluzione: gli esseri umani
sono, prima di tutto, degli animali che hanno, come scopo vitale, la sopravvivenza ai fini
della riproduzione

La teoria psicoanalitica: il modello topografico


La teoria psicoanalitica è molto complessa. Alla base della complessità, però, c’è un
numero abbastanza piccolo di principi.
Un buon modo per raccontare la psicoanalisi è partire dal punto di vista di Freud su come è
organizzata la mente, una prospettiva che è chiamata modello topografico della mente.

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Tre regioni formano ciò che Freud concepisce come la topografia della mente, vale a dire la
sua configurazione:
- conscio
- pre-conscio
- inconscio
Il conscio è la parte della mente che consiste in ciò di cui siamo consapevoli al momento
attuale (qui-e-ora). Consapevolezza, percezione
Il preconscio è la parte della mente che rappresenta i contenuti della memoria ordinaria. I
contenuti del preconscio possono facilmente essere portati alla consapevolezza (es.:
quando pensiamo al nostro numero di telefono portiamo le cifre dal preconscio al conscio).
È qualcosa che non c’è nella nostra mente ora, ma posso farlo diventare conscio.
L’inconscio indica una parte della mente che non è direttamente accessibile alla
consapevolezza. L'inconscio è il deposito dei fenomeni psichici che non sono diventati consci
(tutti i fenomeni psichici sono inconsci, poi alcuni diventano consci) o che sono tornati allo
stato inconscio a causa di rimozioni.

L’inconscio è formato dalla stratificazione dei contenuti psichici risalenti all'infanzia della
persona. I contenuti dell’inconscio hanno il carattere di rappresentazioni pulsionali: a
essere rimosse, cioè, non sono mai le pulsioni stesse, ma le loro rappresentazioni ideative
(immagini, parole, etc.), che sono spesso legate all'ansia, al conflitto o al dolore.
Le pulsioni sono ciò che spinge l'individuo a ricercare certi scopi per mezzo di certi oggetti;
la fonte di tale processo consiste in un'eccitazione somatica, il funzionamento corporeo
(stato di tensione); lo scopo o meta è quello di eliminare lo stato di tensione; l'oggetto è ciò
che permette il raggiungimento di questa meta.
Nonostante siano riposti nell'inconscio, le rappresentazioni pulsionali non sono andate
perdute. Anzi, esercitano un'influenza continua sulle azioni successive e sull'esperienza
conscia.
La mente è, quindi, come un iceberg. Il funzionamento della personalità si basa sulle
relazioni tra conscio, preconscio e inconscio: in altri termini, queste tre regioni della mente
sono il teatro nel quale hanno luogo le dinamiche della personalità.
Nell’Introduzione alla Psicoanalisi (1915-1917), Sigmund Freud dichiara di aver assestato
«la terza mortificazione» al narcisismo dell’umanità:

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- Copernico aveva inferto la prima, strappando la terra dal centro dell'universo
- Darwin la seconda, illustrando la discendenza dell’uomo dalle scimmie.
- Enfatizzando l'importanza dei processi inconsci nella vita mentale, Freud ritiene di aver
assestato la terza e più profonda mortificazione (libero arbitrio, razionalità e senso di sé,
non sono che mere illusioni, e noi tutti siamo i prodotti di forze psichiche inconsce e in
parte incontrollabili).
La teoria psicoanalitica: il modello strutturale della personalità Freud (1922) sviluppa
anche un modello strutturale della personalità. Ritiene che la personalità funzioni grazie a 3
istanze, che interagiscono per creare la complessità del comportamento:
- Es (o id)
- Io (o ego)
- Super Io (super-ego)
L'Es è la componente originaria della personalità, presente alla nascita. L'Es (parola latina
che significa "esso") riguarda tutti gli aspetti ereditari, istintivi e primitivi della personalità.
Le funzioni dell'Es sono situate completamente nell'inconscio. È strettamente legato ai
processi biologici fondamentali, che sono alla base della vita. Per Freud, tutta l'energia
psichica proviene dall'Es; è il "motore" della personalità. Tutta l’energia psichica proviene
da lì.
L’Es soddisfa i bisogni attraverso il processo primario (principio del piacere), ossia è una
modalità di funzionamento mentale tesa alla gratificazione immediata del desiderio. È
regolato dal principio di piacere. I bisogni non gratificati creano stati di tensione avversiva.
Per prevenire tale tensione, la persona cerca di ridurre i bisogni appena iniziano a
emergere e quindi agiscono/si comportano. Il processo primario crea un'immagine mentale
inconscia di un oggetto o evento che dovrebbe soddisfare il bisogno. L'esperienza di avere
tale immagine è chiamata appagamento del desiderio.
La riduzione della tensione attraverso il processo primario ha un inconveniente, però: non
sempre e non del tutto risponde alle esigenze della realtà.
Come risultato, si sviluppa un secondo insieme di funzioni, chiamato Io. L'Io si sviluppa a
partire dall'Es e sfrutta parte dell'energia dell'Es per il proprio funzionamento.
L’Io segue il principio di realtà, ossia prende in considerazione la realtà esterna insieme con
i bisogni e gli impulsi interni.

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A causa di questa preoccupazione per il mondo esterno, la maggior parte del
funzionamento dell'Io è nel conscio e preconscio.
(L’io si forma propria perché i desideri dell’Es non sono sempre appagabili, con l’io c’è una
realtà con cui mi devo confrontare)
L’Io porta a soppesare i rischi di un'azione prima di agire. Se i rischi sembrano alti,
l'individuo cercherà un altro modo per soddisfare il bisogno. Se non c'è una via sicura per
farlo immediatamente, lo rimanderà a più tardi o ad un tempo più ragionevole. Insomma,
l'Io conduce le trattative, media tra Es e mondo, negoziando le reciproche esigenze e
pretese.
L'Io usa il processo secondario: associa le immagini inconsce di un oggetto che riduce la
tensione a un oggetto reale. Fino a quando un oggetto adeguato non viene trovato, l'Io
mantiene la tensione sotto controllo. L'obiettivo dell'Io non è bloccare permanentemente i
desideri dell'Es: vuole che gli impulsi dell'Es siano soddisfatti, ma in tempi e modi sicuri,
ovvero senza causare problemi o pericoli nel mondo.
La capacità di pensiero realistico porta l’Io a formare piani di azione per soddisfare i bisogni
e verificare i piani mentalmente per vedere come stanno lavorando. Questo processo è
chiamato esame di realtà. L'Io non ha senso morale, ma è completamente pragmatico e
concentrato sull'arrangiarsi. Il senso morale, infatti, risiede nella terza parte della
personalità, il Super-io.
Il super-io rappresenta l’introiezione (ossia l’interiorizzazione) dei valori genitoriali e sociali.
Per ottenere l'amore dei genitori (e della società), il bambino arriva a fare ciò che i suoi
genitori (e la società) gli propongono e che pensano sia giusto. Per evitare il dolore
conseguente alla punizione ed al rifiuto, il bambino evita ciò che i suoi genitori pensano sia
sbagliato.
Il Super-io si suddivide ulteriormente in due sottosistemi:
- l'Io ideale (che comprende le regole per un buon comportamento o gli standard di
eccellenza) Detentore delle regole ottimali.
- la coscienza (che comprende le norme relative ai comportamenti che i genitori
disapprovano o puniscono) Contenitore di quei comportamenti che cerco di evitare
Quando si disattendono gli standard d’eccellenza o si assumono comportamenti
disapprovabili, il Super-io produce il senso di colpa. Così, l’Io ideale riflette le cose per cui ci
adoperiamo, mentre la coscienza quelle che evitiamo.

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Il Super-io ha tre scopi interconnessi:
- cerca di prevenire (non posporre) ogni impulso dell'Es che potrebbe non essere visto di
buon occhio da un genitore (o società)
- prova a forzare l'Io ad agire moralmente, piuttosto che razionalmente;
- cerca di guidare la persona verso la perfezione.

Una volta che il Super Io si è sviluppato, l'Io ha una strada difficile, deve confrontarsi
contemporaneamente con i desideri dell'Es, i dettami morali del Super. Per soddisfare tutte
queste domande, l'Io dovrebbe rilasciare immediatamente la tensione in un modo che sia
socialmente accettabile, ma anche realistico. Ciò, ovviamente, è altamente improbabile, in
quanto queste forze spesso sono in conflitto. Nella prospettiva psicoanalitica, tali conflitti
sono parte della vita.
È una questione di equilibri. Una persona il cui Super Io è troppo forte può sentirsi in colpa
tutto il tempo o agire con un'insopportabile "santità".
Una persona il cui Es è troppo forte può essere ossessionata dall'auto-gratificazione ed
essere completamente disinteressata verso le altre persone.
La persona più sana è quella nella quale le influenze di tutti e tre gli aspetti sono integrate
ed equilibrate.

Motivazione: le spinte della personalità


La motivazione è la spinta, l’intensità del comportamento.
Per Freud è la pulsione che alimenta la motivazione. Freud concepisce le persone come
sistemi complessi di energie, nei quali l’energia utilizzata nel lavoro psicologico (pensare,
percepire, ricordare, pianificare, sognare) è generata e rilasciata attraverso i processi
biologici. Questi processi biologici, che operano attraverso l'Es, sono stati chiamati pulsioni.
Una pulsione ha due elementi collegati:
- un bisogno biologico (assenza di acqua)
- e la sua rappresentazione psicologica. (oggetto che ho in mente ora per togliermi la sete)

Per esempio, una mancanza di sufficiente acqua nelle cellule del corpo è un bisogno che
crea uno stato psicologico di sete, o un desiderio di acqua. Questi elementi si combinano
per formare una pulsione a bere l'acqua. Gli stati pulsionali permangono fino a quando

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un'azione consente lo scarico, il rilascio, della tensione ad essi associata. Questo punto di
vista sulla motivazione è chiamato modello idraulico. (RIDUZIONE DELLA PULSIONE
ATTRAVERSO UN OGGETTO)

Due classi di pulsioni: di vita e di morte


Negli ultimi tempi (1933) Freud sosteneva che tutte le pulsioni formassero due classi:
- la pulsione di vita o sessuale (comunemente detto Eros/Libido): è un insieme di pulsioni
che riguardano la sopravvivenza, la riproduzione e il piacere. L'evitamento della fame e del
dolore, così come il sesso, sono istinti di vita.
- la pulsione di morte (definito anche Thanatos): considerando che la vita conduce
naturalmente alla morte, Freud ritiene che le persone desiderino (inconsciamente)
ritornare all'inesistenza.
Nella teoria Freudiana, seguono alcuni concetti chiave, perché la presenza o meno di
queste variabili spiega, l’effettivo comportamento, condotta del singolo:
Tre variabili importanti in uno degli ultimi step della teoria psicoanalitica. Utili ai fini
terapeutici. Utilizzo di queste variabili, generano il bisogno di un intervento terapeutico.
(Catarsi come soluzione). Come fa il terapeuta a ridurre l’angoscia? Attraverso il processo
catartico, come cura parlata.

Aggressività L'espressione dell'istinto di morte solitamente è bloccata dall'istinto di vita. Se


l'Eros blocca l'espressione della pulsione di morte, la tensione permane e l'energia non è
rilasciata. Di conseguenza, tale energia può essere usata in azioni aggressive o distruttive
contro gli altri. Le azioni aggressive esprimono gli impulsi auto-distruttivi che vengono però
rivolti verso l'esterno. (non riesci a sfogare la pulsione negativa, perché c’è l’istinto di vita,
allora utilizzi l’aggressività)

Catarsi Se la tensione di una pulsione non viene scaricata, la pressione rimane e cresce. Il
termine catarsi (cura parlata) è usato per riferirsi al rilascio della tensione emotiva
(soprattutto quella aggressiva) accumulata in una determinata esperienza. Per catarsi si
intende il liberarsi da esperienze traumatizzanti o da tensioni conflittuali, attraverso la
completa rievocazione degli eventi responsabili, rivissuti, a livello cosciente, sul piano
razionale e su quello emotivo (attraverso il dialogo con altre persone-FARE TERAPIA) (La

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catarsi è centrale nella teoria psicoanalitica. Attraverso la catarsi si offre un modo per
ridurre l’aggressività generata dal precedente istinto di morte.

Angoscia Molta dell'attività della personalità, nelle persone normali così come in quelle con
problemi, riguarda l'angoscia. Freud non considera l'angoscia come una pulsione di per sé,
ma come un segnale di allarme, di allerta per l'Io che qualcosa di negativo sta per accadere.
Quindi, l’angoscia ha anche un valore positivo. Tuttavia, le persone cercano di evitare o
fuggire dall'angoscia.
QUALI I SONO I TIPI DI AGOSCIA IMPORTANTI?
Reale: che si manifesta a partire da un pericolo nel mondo
Nevrotica: è la paura inconscia che gli impulsi dell’es vadano fuori controllo e facciano fare
qualcosa per cui essere puniti. Non è la paura di esprimere gli impulsi dell’es, ma la paura
della punizione che si potrà avere esprimendoli.
Morale: è la paura che le persone provano quando hanno violato (o stanno per violare) il
loro codice morale. Se il senso morale vieta di barare e si prova a barare, si proverà
colpa/vergogna. L’origine è interna, non esterna, come nell’angoscia reale.
Soprattutto le seconde due richiedono terapia.

ANGOSCIA E MECCANISMI DI DIFESA


Quando l’angoscia sale, l’io risponde in due modi:
-Aumenta gli sforzi di reazione orientata al problema e prova ad affrontare
(consapevolmente) la fonte della minaccia. Questo processo funziona abbastanza bene per
l’angoscia reale
-L’io innesca dei meccanismi di difesa, ossia strategie che sviluppa per evitare l’angoscia
nevrotica e morale. Le difese sono regolatrici dell’omeostasi psichica (equilibrio)

(PER FREUD, LA PERSONALITA’ È L’EQUILIBRIO TRA GLI STATI DI ANGOSCIA PRODOTTI E I


MECCANISMI DI DIFESA CHE METTE IN ATTO)

I meccanismi di difesa: repressione e rimozione


Nella repressione, una certa quota di energia disponibile per l'Io viene usata per mantenere
fuori dalla coscienza gli impulsi inaccettabili. (assomigliano a quelle che oggi chiameremo

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STRATEGIE DI COPING. Quello della repressione è una delle strategie di coping. Non
pensare al problema, pensare ad altro)
La repressione può essere fatta consapevolmente, come quando la persona prova ad
allontanare un contenuto dalla consapevolezza, ma può essere anche un processo
inconscio: in tal caso è detto rimozione.
La repressione può essere usata per impedire che diventino consapevoli non solo gli
impulsi dell'Es, ma anche le informazioni che sono dolorose o sconvolgenti.
Si parla di repressione parziale quando si possono nascondere in parte dei ricordi
stressanti, in modo da non pensarli/richiamarli spesso, anche se non sono stati dimenticati
e quindi vi è ancora una certa consapevolezza.
I meccanismi di difesa: negazione
La negazione è il rifiuto di credere che un evento abbia mai avuto luogo o che esista una
certa situazione. (Anche questa viene usata oggi come strategia di coping) Es.: è la madre
che rifiuta di credere che il figlio sia stato ucciso in un combattimento; un bambino abusato
da un genitore che va avanti come se non fosse successo niente di male. Un caso meno
estremo: uno studente che ha ricevuto una valutazione negativa e che sostiene che ci sia
stato uno sbaglio o un presidente/politico che perde regolarmente le elezioni, ma sostiene
che ci siano stati dei brogli.

Se repressione e negazione permettono di «stare meglio», hanno anche un contro:


assorbono, nel tempo, energia che l’Io potrebbe usare per altro.
Quando le risorse sono carenti, il comportamento diventa meno flessibile e accomodante.
Nel tempo, quindi, repressione e negazione remano contro l’Io.

I meccanismi di difesa: proiezione


Nella proiezione, un soggetto riduce l'angoscia in quanto attribuisce le proprie qualità
inaccettabili a qualcun altro. (Io non ho nessuna colpa, sono gli altri che odiano me).
La proiezione costituisce un modo per nascondere la conoscenza di un aspetto spiacevole
di se stessi.
Es.: se si è ostili verso gli altri, si può reprimere questo sentimento, ma tale sentimento
continua ad esserci. Nella proiezione, si sviluppa la convinzione che siano gli altri ad odiare

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noi. In questo modo l’impulso ostile è espresso, ma in un modo che non è minaccioso per
noi stessi.
La proiezione aiuta, quindi, a realizzare alcuni desideri in una forma o in un'altra.

I meccanismi di difesa: razionalizzazione


Nella razionalizzazione l'angoscia è ridotta attraverso la ricerca di una spiegazione razionale
(o di una giustificazione) di motivi che considerati inaccettabili.
Es.: l'uomo che mente sulle imposte sul suo reddito può razionalizzare il suo
comportamento dicendo che è teso a ridurre la quantità di denaro speso per le armi nel
mondo.
La razionalizzazione mantiene l’autostima (Es.: non ho preso un bel voto perché il prof. è
particolarmente cattivo). (Le negatività vengono ridotte attraverso una spiegazione
razionale; So che sei cattivo a non pagare le tasse, ma siccome lo stato compra le armi con
le tasse, faccio bene a non pagarle)

I meccanismi di difesa: intellettualizzazione


Nella intellettualizzazione c’è la tendenza a pensare alle minacce in un modo freddo,
analitico ed emotivamente distaccato.
Pensare gli eventi in questo modo porta le persone a dissociare i pensieri dai loro
sentimenti; separa e isola l'evento minaccioso dall'emozione che normalmente lo
accompagnerebbe. Es.: una donna che scopre che il marito è malato di cancro può
imparare molto sulle patologie oncologiche e sui relativi trattamenti medici. (Usare
l’energia cognitiva in altro, piuttosto che in qualcosa di emotivamente negativo).

I meccanismi di difesa: spostamento


Lo spostamento consiste nel dislocare un impulso da un bersaglio (un oggetto), ritenuto
minaccioso, ad un altro considerato meno minaccioso.
Es.: la persona con un desiderio sessuale inappropriato che lo sposta su un bersaglio lecito,
evitando così l'angoscia che potrebbe sorgere dall’esprimere il desiderio verso il vero
bersaglio.

I meccanismi di difesa: sublimazione

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La sublimazione consente agli impulsi di essere espressi attraverso la loro trasformazione
in una forma accettabile. (meccanismo difensivo delle persone ‘’mature’’)
In questo caso, non è qualche cosa connessa all'oggetto che crea la minaccia (come invece
è per lo spostamento), ma qualcosa di relativo all'impulso. (cambia la pulsione, diventa di
altro tipo).
L'angoscia diminuisce quando l'impulso trasformato viene espresso al posto di quello
iniziale.
Freud riteneva che la sublimazione, più di ogni altro meccanismo, fosse una risposta delle
persone mature.
La sublimazione è un processo che previene i problemi prima che si verifichino, piuttosto
che funzionare dopo che l'angoscia si è attivata. Es.: la pulsione sessuale sublimata in
attività sociale. Sembra essere un percorso maturo, positivo, rispetto agli altri. Previene i
problemi prima che si verifichino.

Svelare l’inconscio
Data l'importanza dei processi inconsci nella teoria psicoanalitica, diventa fondamentale
essere in grado di accedere ai desideri, impulsi e sentimenti che sono al di fuori della
consapevolezza.
Non sempre è facile, ma è anche vero che molti indizi della nostra vita inconscia si rivelano
costantemente negli eventi quotidiani.
Quali sono questi indizi?

Indizi: Psicopatologia della vita quotidiana


Freud definisce Psicopatologia della vita quotidiana gli errori che commettiamo:
dimentichiamo le cose, sbagliamo le parole e ci capitano incidenti di vario tipo. Freud crede
che tali eventi, lungi dall'essere casuali, derivino da impulsi nell'inconscio che emergono in
una forma distorta.
Così, i cosiddetti atti mancati (=un compromesso tra il desiderio cosciente del soggetto e
ciò che è stato rimosso), quali i vuoti di memoria, i lapsus, gli slittamenti semantici (utilizzo
una parola, o un significato, al posto di un altro) forniscono indizi sui veri desideri di una
persona.

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Particolarmente rilevante è, nella cultura, il lapsus freudiano per riferirsi a un errore nel
discorso che sembra suggerire un desiderio o sentimento inconscio.
Ci sono prove empiriche del fatto che i lapsus verbali siano associati all'ansia (es.:
esperimento fatto inducendo ansia da scossa elettrica ed ansia sessuale)
Esperimento: 3 gruppi, due sperimentali e uno di controllo. Uno si aspettava la scossa
elettrica, quindi aumenta l’ansia. Poi c’ è un gruppo a cui non si dice nulla. Uno è
sottoposto a una sperimentatrice sexy. Due modalità che attivano ansia, uno con stimolo
sessuale e uno negativo.
I lapsus erano in linea con il tipo di ansia. I lapsus relativi alle scariche elettriche si
trovavano soprattutto nei soggetti sottoposti a quella variabile ecc…
Quindi su questo si può fare un controllo sperimentale.

Indizi: Sogni
Freud definisce i sogni «la via regina per l’incoscio». Attività dell’io e del super io è meno
forte, quindi l’Es ha modo di manifestarsi.
I sogni hanno due tipi di contenuto:
- il contenuto manifesto, ciò che la maggior parte di noi pensa sia il sogno.
- il contenuto latente: i pensieri, sentimenti e desideri inconsci sottesi al contenuto
manifesto.
Il contenuto latente ha tre fonti: (è generato da tre fonti)
- la stimolazione sensoriale che ci bombarda mentre dormiamo: un temporale, una sirena
di passaggio o l'abbaiare di un cane.
- i pensieri collegati alla veglia, ovvero i resti diurni. Per esempio, l’aver pensato ad un
esame imminente, a una persona interessante appena incontrata o ad un problema
finanziario.
- gli impulsi inconsci, la cui espressione è bloccata mentre si è svegli e che sono spesso
collegati ai conflitti di base.

Lo sviluppo psicosessuale
Freud ritiene che le esperienze precoci siano cruciali nel determinare la personalità adulta.
Freud concepisce lo sviluppo della personalità come un movimento attraverso una serie di

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stadi (detti psico-sessuali), ciascuno dei quali è associato a una zona erogena: una parte del
corpo che, in un determinato periodo dello sviluppo, è il centro dell'energia psicosessuale.

Lo sviluppo psicosessuale: fissazione


Fissazione: rimanere fermi su una zona erogena, o lasciare troppe risorse cognitive su
quella zona. Quando non supera bene quegli stadi, significa che ha avuto una fissazione
negativa.
Il bambino vive in modo conflittuale tali stadi. Se il conflitto non viene risolto
adeguatamente, troppa energia rimane investita permanentemente in quello stadio: si ha,
ossia, una fissazione.
Poiché l'energia per il funzionamento della personalità è limitata, questo significa che le
fissazioni rendono disponibile meno energia per gestire i conflitti negli stadi successivi e di
conseguenza sarà più difficile affrontarli e risolverli.
La fissazione può verificarsi per due motivi:
- una persona che indulge troppo in uno stadio può essere riluttante nel lasciarlo e nel
procedere (rimane troppo in uno stadio, può essere riluttante a lasciarlo)
- e una persona i cui bisogni sono profondamente frustrati in uno stadio non può passare
oltre fino a quando i bisogni non sono soddisfatti.

Lo sviluppo psicosessuale: fase orale


La fase orale si colloca dalla nascita fino ai 18 mesi circa. Durante questo periodo, la
maggior parte delle interazioni del bambino con il mondo si verificano attraverso la bocca e
le labbra e la gratificazione è concentrata in quest'area.
La bocca è la fonte della riduzione della tensione (mangiando) e delle sensazioni piacevoli
(gustando, leccando e succhiando).
La fase orale è suddivisa in due sotto-stadi:
- la fase orale incorporativa, che dura all'incirca fino ai 6 mesi, periodo in cui il bambino è
indifeso e dipendente.
- Se il bambino sperimenta un mondo benevolo, emergono dimensioni come l'ottimismo e
la fiducia.

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- Se il bambino sperimenta un mondo meno favorevole, si sviluppano pessimismo e
sfiducia. - Se il mondo è troppo servizievole, il bambino può sviluppare un'intensa
dipendenza dagli altri.
- la fase orale sadica, legata alla dentizione. Il piacere libidico ora deriva dal mordere e
masticare (anche infliggendo dolore, per questo è chiamata sadica). Si pensa che l'esito di
questa fase determini la tendenza maggiore o minore a essere, in futuro, verbalmente
aggressivo e "causticamente" sarcastico.
Gli individui adulti che hanno avuto fissazioni nella fase orale possono essere più
preoccupati rispetto agli altri a proposito del cibo e delle bevande (mostrata relazione con
obesità). Quando sono stressati, possono essere più propensi rispetto agli altri a fumare,
bere o mordersi le unghie (mostrata relazione con dipendenze).
Quando sono arrabbiati, possono essere verbalmente aggressivi. Sono tendenzialmente
persone bisognose di ricevere sostegno dagli altri, sono molto sociali, soffrono
l’isolamento, ricercano il contatto fisico ed amano raccontarsi.
(Ci sono modi diversi per raccontare la stessa cosa, questa è l’interpretazione della teoria
psicoanalitica).

La fase anale
Inizia all'incirca a 18 mesi e continua fino ai 3 anni. Durante questo periodo, l'ano è la zona
erogena chiave e il piacere deriva dalla defecazione. L'evento centrale di questo periodo è
l'apprendimento del controllo degli sfinteri (l'uso del vasino o del bagno): per la prima volta
vincoli esterni vengono sistematicamente imposti sulla soddisfazione delle spinte interne.
Le caratteristiche di personalità che emergono dalla fissazione a questo periodo
dipenderanno da come l'insegnamento a usare il vasino o il bagno sarà messo in atto dai
genitori.

Due orientamenti sono tipici:


- sollecitare il bambino a fare i suoi bisogni nel tempo e nello spazio opportuni e nel lodarlo
per il successo. Per Freud, ciò fornisce una base per la produttività e creatività adulta.
- essere severi con il bambino, ossia non lodare il successo ma punire il fallimento.
- Se il bambino si ribella e «la fa» quando non consentito, si origineranno tendenze ad
essere disordinati, crudeli, distruttivi e apertamente ostili.

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- Se il bambino «trattiene» si origineranno tendenze all’essere rigidi e ossessivi.

Le caratteristiche di personalità che costituiscono questo modello del «trattenere» sono


chiamate «triade anale»:
- la tirchieria riflette il desiderio di trattenere le feci;
- l'ostinazione riflette la lotta della volontà contro l'insegnamento all'uso del vasino o
bagno - la rigidità riflette la reazione contro il disordine della defecazione.

La fase fallica
inizia durante il terzo anno e continua fino al quinto anno di età.
Durante tale periodo, l'interesse si sposta sugli organi genitali. Inizialmente il
soddisfacimento dei desideri libidici è completamente autoerotico, cioè il piacere deriva
totalmente dall'auto-stimolazione.
Gradualmente, però, la libido si sposta verso il genitore di sesso opposto: quindi i bambini
sviluppano un interesse per la propria madre e le bambine per il padre ed un’avversione
verso il genitore dello stesso sesso. Il desiderio dei bambini maschi di possedere la madre
sostituendo il padre è chiamato complesso di Edipo (in riferimento al personaggio
dell'antica tragedia greca Edipo Re, che sposa inconsapevolmente la madre dopo aver
ucciso il padre).
Ma il bambino teme la reazione del padre. Freud ha chiamato questo timore angoscia da
castrazione che porta il bambino a reprimere il suo desiderio verso la madre.
Inoltre, determina l'identificazione del bambino con il padre, ossia la tendenza a sviluppare
sentimenti e modalità di somiglianza e connessione col padre.
Questo comporta diverse conseguenze: - una sorta di protezione: essere come suo padre fa
sembrare meno probabile che suo padre lo danneggerà;
- il bambino riduce l'ambivalenza nei confronti del padre. L'identificazione, quindi, spiana
la strada per lo sviluppo del Super Io, in quanto il bambino introietta i valori del padre.
- ottiene l'accesso vicario a sua madre.

Simili sentimenti nelle bambine sono a volte chiamati complesso di Edipo e altre volte
chiamati complesso di Elettra (in riferimento al personaggio greco Elettra, che convinse il
fratello a uccidere la madre e il suo amante come vendetta per la morte del loro padre). Le

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bambine abbandonano la loro relazione d'amore con la madre per una nuova con il padre.
Questo cambiamento si verifica quando la bambina realizza che non ha il pene.
Si ritira dall'affetto di sua madre e la colpevolizza per la sua condizione di castrata.
Freud ha chiamato questi sentimenti invidia del pene, che è la controparte femminile
dell'angoscia da castrazione dei maschi. Come fanno i bambini, anche le bambine risolvono
il conflitto attraverso l'identificazione. Diventando più simile a sua madre la bambina
ottiene l'accesso vicario a suo padre.

La fissazione durante la fase fallica produce una personalità che riflette il complesso
edipico. Gli uomini possono ambire ai "grandi numeri" per dimostrare che non sono stati
castrati, per esempio, seducendo molte donne o diventando padri di tanti bambini. Il
tentativo degli uomini di affermare la propria mascolinità può essere espresso anche
simbolicamente raggiungendo carriere di grande successo.
In alternativa, possono fallire sessualmente e professionalmente a causa del senso di colpa
che provano per la competizione con il padre per l'amore della madre.
Tra le donne, la mancata risoluzione del conflitto edipico può manifestarsi come tendenza a
instaurare relazioni con uomini in un modo seduttivo e provocante, ma evitando la
sessualità, o con uomini già impegnati.

Al termine della fase fallica, il bambino/a entra in un periodo di relativa calma, chiamato
periodo di latenza. Questo periodo, dai 6 anni circa fino all'inizio dell'adolescenza, è un
periodo in cui le pulsioni sessuali e aggressive sono meno attive. La diminuzione di queste
pulsioni risulta in parte dall'emergere dell'Io e del Super Io. I bambini ora rivolgono la loro
attenzione verso altre attività, spesso intellettuali o sociali. Con l'inizio della pubertà (verso
la fine del periodo di latenza), le pulsioni sessuali e aggressive si intensificano di nuovo.

Lo sviluppo psicosessuale: fase genitale


Nella tarda adolescenza l'individuo entra nella fase genitale. Se gli stadi precedenti sono
stati gestiti bene, egli entra in questa fase con la libido organizzata intorno alla genitalità e
rimane concentrata lì per tutta la vita.

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La gratificazione sessuale durante questo periodo si differenzia. La libido in precedenza era
narcisistica, ovvero al bambino importavano solo il proprio piacere e la propria
soddisfazione.
Nella fase genitale, il desiderio si sviluppa per condividere la gratificazione sessuale con
un'altra persona. L’origine dei problemi per la psicoanalisi Freud ritiene che l'inconscio
detenga i segreti delle difficoltà esistenziali che le persone possono patire. Solo scavando
nell'inconscio queste difficoltà possono essere identificate e risolte.
Freud sostiene che la personalità adulta sia determinata dallo sviluppo psicosessuale fin
dalle fasi precoci. Molte persone presentano parziali fissazioni alle diverse fasi, che
sequestrano energia.
Questa è una delle fonti dei problemi: il sovrainvestimento di energia in una fissazione, che
impedisce un funzionamento adulto flessibile riducendo l'energia per i bisogni dell’Io.

L’origine dei problemi per la psicoanalisi


Un'altra fonte di problemi è una forte repressione o rimozione delle pulsioni di base. Se un
Super Io eccessivamente punitivo o un ambiente troppo rigido fanno sì che troppe pulsioni
siano da nascondere, la personalità ne risulterà distorta e disfunzionale. E ancora, la
richiesta della repressione o rimozione di mantenere nascoste le pulsioni è un costante
dispendio di energia che altrimenti sarebbe disponibile per l’Io. L’origine dei problemi per
la psicoanalisi Una terza fonte di problemi sono i traumi sepolti. Anche se gli eventi
traumatici possono verificarsi in ogni momento della vita, molti degli studi sul trauma sono
focalizzati sulla prima infanzia. Queste tre fonti di difficoltà sono diverse tra loro e anche i
problemi che ne risultano possono essere diversi. Tutti e tre i percorsi, però, condividono
un meccanismo: la fissazione, in cui la pulsione o il trauma sono repressi o rimossi. Ciò può
proteggere la persona, ma lo fa a un costo non indifferente.

La terapia psicoanalitica
I metodi terapeutici della psicoanalisi sono stati sviluppati dai tentativi ed errori nella
pratica di Freud. Dopo aver provato inizialmente l'ipnosi, Freud si imbatte in una
procedura, definita delle associazioni libere in cui alla persona viene chiesto di dire
semplicemente ad alta voce tutto ciò che le viene in mente. Tale procedura consente al
materiale inconscio di emergere gradualmente e in forma simbolica. Esiste spesso uno

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scarto tra i contenuti riferiti dalla persona e ciò che presumibilmente le era accaduto
realmente. Lo scopo della psicoterapia è quello di scoprire i conflitti e di far scaricare
l'energia a essi associata. Le associazioni libere sono un primo passo, perché permettono
l'accesso simbolico ai problemi, ma raramente portano al cuore del problema.
La terapia psicoanalitica … infatti, le persone in terapia a volte lottano attivamente contro
la presa di coscienza dei conflitti e degli impulsi. Questa lotta si chiama resistenza e può
essere conscia o inconscia. In entrambi i casi, solitamente è il segno che qualcosa di
importante è vicino, che la persona si trova vicina a rivelare qualcosa di sensibile. Un
elemento importante nella terapia psicoanalitica è il transfert. Nel transfert, i sentimenti
verso le persone significative della vita del paziente vengono spostati (trasferiti) verso
l'analista. Il transfert svolge anche una funzione difensiva, in quanto lo psicoterapeuta
provoca meno ansia rispetto agli oggetti originali dei sentimenti.
L'interpretazione del transfert è una parte importante del processo terapeutico. L'obiettivo
della psicologia psicoanalitica è l'insight. L'insight non è la comprensione intellettuale, è
una catarsi cognitiva, implica la ri-esperienza della realtà emotiva dei conflitti repressi, delle
memorie o delle pulsioni, parti precedentemente inconsce della personalità.

La terapia psicoanalitica funziona?


La terapia psicoanalitica è lunga (spesso dura anni), dispendiosa e solitamente faticosa.
Dati questi costi, quanto è efficace? Alcuni autori hanno concluso che la psicoterapia, in
generale, non sia molto utile. Evidenze più recenti ne indicano invece l'efficacia e il fatto
che a lungo termine può ridurre l'uso di cure mediche. Parte della difficoltà
nell'interpretare gli studi è che il successo può essere definito in molti modi e che la
definizione utilizzata può influenzare le conclusioni tratte.
La psicoanalisi come trattamento consiste nel ripercorrere le vicissitudini personali con
l'intento di comprendere gli ostacoli che hanno frenato l'evoluzione. Un cammino di
conoscenza, innanzitutto, lontano da facili promesse di "guarigione", tuttavia certamente
teso a liberare le potenzialità e la creatività dell'individuo.

Sviluppi recenti del pensiero psicoanalitico: «la prospettiva relazionale»


Si tratta di un cambio di paradigma che concepisce la psiche non più come il teatro di
battaglie pulsionali, bensì come un insieme di bisogni, di carattere relazionale, da

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soddisfare per poter avere una vita psichica positiva. La sofferenza psicologica non viene
più concettualizzata come una carente capacità di controllare ed "ammansire", da parte
dell'Io e del Super Io, le forze pulsionali. Diventano, invece, prioritari concetti come la
deprivazione emotiva, il riconoscimento emotivo, l' intersoggettività, le strategie difensive.
Coloro che tra gli psicoanalisti afferiscono all'orientamento relazionale ritengono che anche
l'inconscio sia frutto della relazione e sia costantemente influenzato e modificato dalle
relazioni che la persona vive.

«Il sapere dei sensi e dell’arte»

Una teoria psicoanalitica delle immagini, e dei sensi in generale, è affascinante e ha il


sentore di orgogliosa riconquista, dopo la sovresposizione a una psicoanalisi intesa solo
come "cura della parola". L'artista, similmente al bambino che nel gioco di fantasia
rappresenta i suoi desideri, timori e pulsioni, non rinuncia al soddisfacimento pulsionale,
ma lo persegue nella «vita di fantasia» dell'arte. Si tratta di pensare all'arte come a un
potente e affascinante strumento culturale di scambio tra artisti e fruitori, uno strumento
grazie al quale chi osserva entra in risonanza empatica, al di là dei limiti spazio-temporali,
con la personalità dell'autore. Sviluppi recenti del pensiero psicoanalitico: «Riflessioni tra
psicoanalisi e buddismo» Un'altra prospettiva a cui accenniamo, tra quelle che
caratterizzano il panorama psicoanalitico più recente, è quella che interseca i temi
psicoanalitici con alcuni saperi di derivazione orientale, in particolare il buddismo.
Alcuni suggerimenti che provengono dal buddismo risuonano nelle idee e nelle pratiche
analitiche: per esempio, il riconoscimento, la responsabilità e il rispetto verso le emozioni
attraverso la pratica dell'attenzione.
Sviluppi recenti del pensiero psicoanalitico: «Psicoanalisi e neuroscienze»
Lo sviluppo delle scienze cognitive, della psicobiologia e delle neuroscienze ha portato
contributi molto significativi allo studio della mente umana. Lo sviluppo di tecniche di
neuro imaging ha consentito sia lo studio dettagliato del metabolismo e dell'anatomia
funzionale del cervello. Deve esserci una base biologica all'inconscio dinamico, al
determinismo psichico, al ruolo dei processi mentali inconsci nella psicopatologia, agli
istinti, al transfert e ad ogni altro attaccamento, nonché all'efficacia terapeutica della
psicoanalisi. Es.: le scienze cognitive hanno scoperto l'esistenza di due sistemi della

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memoria: la memoria esplicita, autobiografica e la memoria implicita. La memoria implicita
è stata riferita a un'organizzazione inconscia definita "non rimossa".

La prospettiva dei tratti


I tratti
Teoria nomotetica, soprattutto orientata sui gruppi e non sul singolo.
La prospettiva dei tratti ritiene che le caratteristiche distintive della persona, ovvero i
tratti, siano delle generiche disposizioni interiori verso particolari comportamenti che si
mantengono relativamente stabili nel corso del tempo e costanti nelle diverse situazioni.
TRATTI:

Se un individuo oggi si definisce timido, è probabile che si definisse così anche 10 anni fa…
e prima ancora.
Secondo i teorici dei tratti, infatti, le persone possiedono delle qualità psicologiche che
permangono nonostante i cambiamenti (a volte anche drastici e radicali) che avvengono
nel corso della vita di ciascun individuo.

Storia «dei tratti»


Dalla seconda metà del Settecento nella cultura scientifica europea si afferma un nuovo
paradigma in base al quale vengono sperimentate procedure di indagine volte a ottenere
misure «oggettive» delle differenze individuali.
Nello sviluppo di una prospettiva legata ai tratti si individuano principalmente 4 percorsi di
studio significativi.
In una prima fase, dalla fine del Settecento fino alla seconda metà dell'Ottocento, si
affermano le proposte misurative che tentano di spiegare il rapporto tra caratteristiche
fisiche e psichiche con intuizioni e ricerche di tipo pseudoscientifico.

Storia «dei tratti»: prima fase


Una delle prime misure ritenute «oggettive» utilizzate per «dimostrare» le differenze
morali e intellettive tra gli individui è l'angolo facciale proposto dall'anatomista Petrus
Camper nel 1768.
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Si tratta di un indice craniologico, misurato in gradi (da 0 a 100), risultante da due linee
ideali, una orizzontale che unisce il foro auricolare alla radice del naso e una linea facciale
che tocca l'osso frontale e il punto più prominente dell'osso mascellare.
Tale misura viene utilizzata per classificare tipologie umane e animali in scala gerarchica,
ipotizzando che a specifiche anomalie e sproporzioni esteriori corrispondano anomalie
psicologiche e morali.
(È importante tenere in considerazione questa prospettiva, perché queste considerazioni
scientifiche hanno dato origine al concetto di razza ecc...)

Il filosofo Lavater (Trattato di fisiognomica, 1778) alla fine del Settecento, elabora un
sistema teorico di fisiognomica in cui si afferma la corrispondenza tra aspetti del viso e
aspetti intellettivi e disposizionali, alla luce di un lavoro di osservazione su migliaia di volti e
forme sia umane che animali.
Gall, agli inizi dell'Ottocento, sposta l'interesse, nelle relazioni tra fisico e psichico, dalla
conformazione facciale a quella del cranio. Gall elabora una nuova teoria delle disposizioni,
denominata frenologia e da lui chiamata organologia, fondata sul collegamento tra segni
esterni, protuberanze e depressioni che si trovano nel cranio e organi cerebrali interni.
Per la frenologia esisterebbero 27 disposizioni di personalità, denominate facoltà, che si
presentano in diversa misura nell'individuo a seconda dell'ispessimento di una parte del
sistema nervoso centrale, rilevabile dall’esterno tramite palpazione e misurazione del
cranio. Gli studi fisiognomici e frenologici promuovono ricerche di tipo antropologico e
antropometrico in ambito psichiatrico e criminologico, volte ad approfondire le possibili
correlazioni tra grandezza del cervello e qualità psichiche.
Predomina il principio secondo cui le condotte patologiche o devianti vanno ricercate nelle
alterazioni del corredo ereditario o in lesioni del cervello.

Cesare Lombroso, nella seconda metà dell'Ottocento, propone le sue teorie dell’atavismo
(o del «delinquente nato»), secondo cui i malati di mente e i criminali sarebbero
caratterizzati da strutture morfologiche primitive e ancestrali (prognatismo, labbra spesse e
protrudenti, mento quadro e sporgente ...), vere cause della loro condotta antisociale.
L'utilizzo di procedure e metodi di tipo statistico, di ampi campioni nello studio sulle
differenze individuali, garantirebbero la scientificità delle teorie proposte.

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Queste saranno "sfruttate" da tesi razziste agli inizi del Novecento e andranno a far parte di
quelle ideologie su cui sorgeranno i regimi totalitari tra le due grandi guerre.

Storia «dei tratti»: seconda fase


Ci si sposta dal fisico, al comportamentale/cognitivo.
Non meno influenti nel generare principi razzisti sono, proprio agli inizi del Novecento, le
nuove modalità di studio delle differenze individuali legate all'utilizzo dei test mentali.

Le indagini di Francis Galton promuovono uno studio «quantitativo» delle differenze


individuali, al fine di individuare le caratteristiche ereditarie psicologiche (era cugino di
Darwin), in questo caso per prevedere il successo scolastico o la riuscita sociale.

Vengono costruiti i primi questionari, individuati indici di correlazione tra variabili


psicologiche a opera di Karl Spearman e Charles E. Pearson, allievi di Galton.

Alfred Binet (1896, con Henri; 1905, con Simon) costruisce una serie di scale per la
misurazione delle abilità cognitive e avvia una tradizione scientifica in psicologia che utilizza
i test in funzione diagnostica e differenziale.

Heymans e Wiersma (1909) ipotizzano tre principali dimensioni del carattere, ognuna con
polarità negativa e positiva:
- l'Emotività (sensibilità agli stimoli dell'ambiente),
- l'Attività (energia, disposizione all'azione),
- la Risonanza (rapidità con la quale l'uomo risponde agli stimoli dell'ambiente).

La combinazione delle tre dimensioni darebbe luogo a otto tipologie di carattere: il


collerico, il sentimentale, il nervoso, il passionale, il sanguigno, il flemmatico, l’apatico,
l’amorfo. (che ricordano molto i «tipi» di Ippocrate e Galeno)

Storia «dei tratti»: terza fase

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È Gordon Allport (1921) a segnare una svolta fondamentale nello studio delle disposizioni,
a definire in maniera più specifica cosa si intenda per tratto e a considerare nell'ambito
dello studio delle differenze individuali, la personalità normale.

Quest'ultima si definisce come un sistema integrato di tratti e non la somma di essi. I tratti
sono le unità di base, gli elementi fondanti la personalità, riguardano il sentire e il
comportarsi della persona. È con Allport che il termine personalità sostituisce quello di
carattere, costrutto utilizzato fino a quel momento e per lo più legato a qualità morali.

Con Allport la tecnica statistica dell'analisi fattoriale (Tecnica di riduzione, si valutano le


correlazioni tra fatti, cercando di identificare delle cause comuni) si rivela Io strumento
privilegiato per sintetizzare le variabili di personalità emergenti dai questionari self-report e
individuare fattori di base latenti nella personalità.
(Il linguaggio mi racconta delle personalità e vede che ci sono molte caratteristiche comuni,
quindi da queste caratteristiche comuni cerca di definire dei tratti di personalità comuni)
(La grande differenza è che in precedenza si studiavano solo i tratti problematici, da allora
si studia la personalità in generale).
Raymond Cattell (1943; 1965) e Hans H. Eysenck (1947; 1975) proseguono lo studio dei
tratti utilizzando questa tecnica di indagine.

Da un esame dei 400.000 termini presenti nel Webster's New International Dictionary,
Allport e Odbert ne selezionano 17.953 riguardanti descrizioni della personalità,
raggruppando tali termini in 4 categorie che riguardano:
- i tratti stabili (qualcosa che rimane sempre)
- i tratti temporanei (che dipende da un particolare evento)
- i tratti della mente o relativi a stati d'animo, valutazioni caratteriali (casi legati alla sfera
emotiva, cognitivi)
- i tratti legati ad abilità e qualità fisiche.
(Si era interessato ai tratti stabili. )

Tali ricerche inaugurano gli studi psicolessicali sulle differenze individuali, promuovendo
l'ipotesi della "sedimentazione" linguistica, secondo la quale le differenze individuali più

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salienti e socialmente rilevanti nella vita delle persone vengono codificate nel loro
linguaggio;
più una differenza è importante più è probabile che essa sia espressa come una singola
parola.

L'approccio lessicale viene seguito da Cattell (1943; 1945; 1946) che, sulla base dei termini
selezionati da Allport e Odbert, focalizza l'attenzione sulla prima categoria, i tratti stabili e,
utilizzando l'analisi fattoriale, perviene, attraverso soluzioni intermedie, all'identificazione
di 16 tratti bipolari originari, misurabili attraverso un questionario self-report che è il 16PF
(Sixteen Personality Factors Questionnaire). (Ci arriva attraverso un’analisi psico-linguistica
e fattoriale)

Storia «dei tratti»: quarta fase


Quali sono il numero di dimensioni che al meglio, descrivono il soggetto? A partire dagli
anni 40
A partire da Cattell, l'approccio lessicale viene affiancato all'analisi statistica di questionari
di autovalutazione. Si profilano così altre soluzioni indirizzate a presentare una struttura
fattoriale a cinque fattori (BIG FIVE) (Fiske, 1949; Tupes e Christal, 1961; Norman, 1963, in
Dogana, 2002):
- fiducia in sé-energia (assertività, loquacità, voglia di stare in mezzo alla gente ...);
- adattabilità sociale-gradevolezza (socievolezza, simpatia, versatilità, ...);
- conformismo-dipendenza (coscienziosità, serietà, attendibilità ...);
- controllo emotivo-stabilità emotiva (calma, stabilità d'umore, assenza di ansia ...);
- mente aperta-cultura (creatività, vastità di interessi, immaginatività ...).
(Sono necessarie almeno queste per descrivere la personalità)

È Goldberg (1981) a denominare tali dimensioni Cinque grandi Fattori (Big Five) come quelli
che più compiutamente descrivono i tratti fondamentali della personalità.

Gli autori che svolgono uno studio approfondito sulla struttura a cinque fattori sono Costa e
McCrae (1985) che esaminano le relazioni tra il loro NEO-PI (Neo-Personality Inventory) e i
seguenti principali questionari di personalità:

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- il PRF (Personality Research Form) di Jackson (1967,1984),
- l'EPQ di Eysenck (1975),
- l'IAS (lnterpersonal Adjectives Scale) di Wiggins (1979),
- il MBTI (Myers-Briggs Type Indicator) di Myers e McCaulley (1985),
- il GZTS (Guilford-Zimmerrnan Temperament Survey) di Guilford et al., (1976),
- l'MMPI (Minnesota Multiphasic Personality Inventory) di Hathaway e McKinley (1942).
I risultati si sono rivelati a favore del modello dei Big Five.

I big five sono quindi «tendenze di base, di natura temperamentale, proprie di ciascun
individuo, e che influenzano le modalità dinamicamente adattive del singolo, che a loro
volta influenzano le stimolazioni ambientali, la storia individuale e l'autorappresentazione
del Sé e ne sono "influenzate".

I big five sono oggi così nominati:


- Energia/estroversione (attività, socievolezza, assertività ...),
- Amicalità (gradevolezza, fiducia, affiliazione ...),
- Coscienziosità (responsabilità, affidabilità, autodisciplina ...),
- Stabilità emotiva/nevroticismo (controllo degli impulsi, sicurezza ...),
- Apertura mentale (intelligenza, apertura all'esperienza, curiosità ...).

Una prospettiva eterogenea


Non esiste "una" teoria dei tratti, bensì differenti teorie dei tratti.
(I tratti sono la causa effettiva del comportamento o sono influenzati da qualcosa? Non è
chiara quest’idea)
Nonostante le specificità delle varie proposte teoriche, tutte le teorie dei tratti condividono
l'idea secondo cui sia possibile rilevare dei pattern, coerenti nel tempo e nelle diverse
situazioni, relativi alle modalità con cui le persone si comportano, pensano e provano
emozioni.
Tali regolarità nel comportamento delle persone vengono spiegate ipotizzando l'esistenza
di costrutti psicologici che corrispondono a tendenze abituali a mostrare un certo tipo di
condotta, ovvero i tratti.

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Una prospettiva eterogenea: omogeneità
4 caratteristiche del tratto comuni alle diverse teorie dei tratti.
I tratti:
- descrivono una regolarità nel comportamento dell'individuo, ovvero una certa coerenza
comportamentale. (anche se non si capisce se sono causa o effetto)
- definiscono ciò che è tipico e peculiare di ciascun individuo, ovvero identifica quelle
caratteristiche psicologiche che esprimono le differenze fondamentali tra le persone.
- sono variabili decontestualizzate. I tratti si riferiscono a delle tendenze a comportarsi in
maniera coerente e stabile a prescindere dai diversi contesti e situazioni (il tratto dice
quanto uno sia "estroverso" e non quanto sia "estroverso in famiglia" piuttosto che
"estroverso con i pari").
- possano essere organizzati secondo un ordine gerarchico (ossia alcuni tratti
caratterizzano più di altri l’individuo)

Una prospettiva eterogenea: omogeneità

Una volta identificata una tassonomia dei tratti fondamentali della personalità, è possibile
rintracciare tali tratti in ciascun individuo: ciò che rende differenti le persone tra loro è in
che misura esse possiedano ciascun tratto.
I tratti sono costrutti psicologici uguali in tutte le persone. Le differenze individuali,
pertanto, sono di tipo quantitativo, non qualitativo. In misura maggiore o minore, tutte le
persone presentano tutte le caratteristiche psicologiche corrispondenti ai diversi tratti di
personalità.

Secondo la concezione nomotetica, l'unicità dell'individuo emerge dalle combinazioni


uniche di livelli dei diversi tratti, sebbene le dimensioni in sé siano le stesse per ciascuno.

Una prospettiva eterogenea: eterogeneità


Due posizioni contrastanti. Secondo alcuni teorici, il tratto:

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- ha una funzione puramente descrittiva e non causale, ovvero identifica delle tendenze
comportamentali: dire che una persona possiede il tratto dell'estroversione significa
descrivere una sua modalità di comportamento abituale che può essere ricondotta alla
categoria dell'estroversione.
- ha una funzione causale: una persona agisce in maniera socievole perché "possiede" il
tratto della socievolezza. Il tratto, quindi, spiega il comportamento dell'individuo.

Una prospettiva eterogenea: determinazione dei tratti


Come i diversi approcci teorici sui tratti sono arrivati a determinare «i tratti»?

1) Ipotesi lessicale fondamentale: un linguaggio, che si è evoluto nel corso di migliaia di


anni, ha delle parole per descrivere molte qualità umane; presumibilmente, ogni tratto che
possa essere ritenuto "fondamentale" conta un elevato numero di termini linguistici per
descriverlo. Quante più parole sono state coniate per descrivere una caratteristica di
personalità, tanto più è probabile che tale caratteristica sia importante (approccio bottom-
up).

2) Ipotesi statistica: fondamentale è «l'analisi fattoriale». Alcune qualità psicologiche sono


tra loro collegate, ossia tendono a presentarsi assieme. Se una persona è generosa e solare,
è poco probabile che sia anche scontrosa e aggressiva. Viceversa, è probabile che una
persona generosa e solare sia anche amichevole. Pertanto, è possibile ipotizzare che tali
caratteristiche si presentino simultaneamente in una unica dimensione. L'analisi fattoriale
identifica un numero limitato di dimensioni (fattori) che riassumono le intercorrelazioni tra
un elevato numero di variabili (approccio bottom-up).
(Si può capire che c’è una comunanza, facendo un’analisi fattoriale).

3) Strategia teorica: (approccio top-down, si parte dalla teoria, andando ai fatti. Si parte
dalla teoria per spiegare i fatti) approccio secondo cui è possibile identificare i tratti
fondamentali basandosi su teorie esistenti da cui ricavare indicazioni relative a quali siano
le dimensioni di base della personalità.
Se, ad esempio, si assume come modello teorico la teoria cognitivosociale di Bandura,
risulterà fondamentale misurare le differenze individuali nel livello di autoefficacia

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percepita: è la cornice teorica di riferimento che stabilisce in maniera precisa le dimensioni
di personalità che è indispensabile indagare (approccio top-down).

La teoria dei tratti di Allport


Quello di Allport è un approccio prevalentemente idiografico, ma misto in realtà (ossia
nomotetico + idiografico). Secondo Allport, tratti, che definisce «sistemi psicofisici», sono
«strutture biologiche/neuropsichiche che danno origine e guidano forme coerenti e stabili
di comportamento adattivo ed espressivo».
(Trovare i tratti, a partire da un’analisi linguistica)
Poiché ciascun individuo possiede un'unica e irripetibile configurazione biologica di tratti,
ogni persona vive e affronta le esperienze quotidiane in maniera del tutto diversa dalle
altre.

Nella definizione proposta da Allport, il tratto rende ragione del comportamento adattivo
dell'individuo: sebbene i tratti siano relativamente stabili e costanti nel tempo, essi
possono in qualche misura evolvere per favorire un adattamento funzionale della persona
al proprio ambiente. Ossia, il tratto definisce i confini dei comportamenti possibili di un
individuo e la situazione determina il comportamento che, all'interno di tale range di
comportamenti, viene realmente attuato.

In base a quanto sono generici, Allport definisce 2 tipi di tratti:


(Facendo l’analisi linguistica, aveva visto che c’erano delle dimensioni comuni, che si
vedono sempre, in ogni momento)
- Tratti comuni: quegli aspetti della personalità rispetto ai quali è possibile mettere a
confronto la maggior parte delle persone all'interno di una medesima cultura. Questi tratti
sono in grado di fornire un'approssimazione della personalità, ma non riescono a cogliere
l'unicità e la specificità dell'individuo.
- Tratti individuali: aspetti disposizionali personali attraverso cui è possibile cogliere e
definire la vera unicità e la specificità della personalità individuale.

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Es. di combinazione che genera «disposizioni personali»: mentre una persona può essere
molto aggressiva, poco socievole e moderatamente onesta, un’altra può essere poco
aggressiva, moderatamente socievole e molto onesta.

Siccome non tutti i tratti impattano ugualmente sulle disposizioni personali, Allport
identifica:
- i tratti cardinali influenzano praticamente qualsiasi comportamento dell'individuo. Essi
sono riscontrabili esclusivamente in un numero esiguo di persone, infatti, la maggior parte
degli individui non possiede una singola disposizione così altamente pervasiva (es.: la
crudeltà in Hitler o la disponibilità in Madre Teresa).
- i tratti centrali che influenzano un numero consistente di situazioni, ma non tutte (es.:
puntualità e creatività possono essere considerati due esempi di tratti centrali).
- i tratti secondari simili per certi versi alle abitudini. Le preferenze individuali per certi tipi
di cibi o vestiti vengono considerate espressione di tratti secondari.
I tratti cardinali, centrali e secondari non sono da intendere come tre dimensioni discrete e
separate, bensì collocate lungo un continuum di pervasività e generalizzabilità.

Allport grazie a un attento esame del dizionario di lingua inglese, compilano un elenco di
quasi 18.000 aggettivi che possono essere riferiti a caratteristiche disposizionali e ne
fornisce una classificazione.
I tratti, secondo Allport, possono essere identificati attraverso lo studio approfondito di un
caso singolo, nello specifico attraverso l'osservazione del comportamento della persona
oppure attraverso l'analisi di documenti e scritti (il linguaggio è un comportamento)
prodotti dalla persona stessa.

Ne è un esempio il caso di Jenny, in cui Allport conduce una sorta di analisi del contenuto
di 301 lettere scritte da Jenny in un arco di tempo di undici anni, da cui ricava un elenco di 8
aggettivi che corrispondono ai tratti fondamentali della sua personalità. (Per esempio TAT
valuta un’analisi linguistica, per esempio)

Allport ritiene che occorra considerare i tratti di personalità di un adulto senza


preoccuparsi eccessivamente delle origini del tratto stesso.

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A un certo punto della propria vita, i tratti diventano "funzionalmente indipendenti" dalle
proprie motivazioni originarie. Contrariamente alle teorie psicoanalitiche, Allport ritiene
che le motivazioni che sono alla base del comportamento dell'adulto diventino autonome e
indipendenti da quelle originarie infantili.
Allport parla di «proprio», ossia di un insieme organizzato e coerente di tutti gli aspetti
della personalità che si sviluppa nel corso del tempo.

La teoria dei super-fattori di Eysenck


(Cerca di ridurre al minimo i tratti della personalità, inizialmente sono solo due,
aggiungendone un terzo)
Eysenck si pone l'obiettivo di identificare i tratti di base della personalità che sono comuni a
tutti gli individui attraverso l'utilizzo di una metodologia rigorosamente scientifica.
(C’è questo tratto, perché c’è una funzione fisiologica relativa a quel tratto)
Eysenck utilizza i termini "personalità" e "temperamento" indifferentemente,
considerandoli equivalenti. La personalità viene definita come l'«aspetto emotivo e
motivazionale» del comportamento della persona.
Con il termine personalità si fa riferimento esclusivamente agli elementi non-cognitivi del
comportamento, mentre le abilità e gli aspetti cognitivi vanno a costituire ciò che viene
definito con il termine intelligenza.

I tratti di base (definiti super-fattori) che la costituiscono la personalità sono degli schemi
di comportamento emotivo coerenti che distinguono un individuo dall'altro.

I super-fattori hanno uno specifico substrato biologico, ossia sono riconducibili ad


meccanismi e strutture biochimiche e fisiologiche e, pertanto, sono in larga misura
determinati dall'ereditarietà.

Per arrivare alle dimensioni di base della personalità, Eysenck utilizza una strategia teorica.
Dalla rielaborazione delle teorie sui tipi di Ippocrate e Galeno fatta da Wundt in relazione
alle diverse tipologie di temperamento, deriva l'ipotesi che la tassonomia ippocratica-
galenica possa essere ricondotta a delle dimensioni fondamentali.

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A partire da tale ipotesi, egli utilizza la tecnica dell'analisi fattoriale di secondo ordine, ossia
applicata 2 volte di seguito.

I super-fattori sono organizzati gerarchicamente (es.: il costrutto sovraordinato


dell'estroversione organizza i tratti componenti di livello inferiore, quali la socievolezza,
l'assertività, etc.).
Nella prima formulazione della propria teoria, Eysenck identifica 2 super-fattori:
- estroversione-introversione (l’estroverso è socievole, impulsivo, disinibito, ha molti
contatti sociali, spesso prende parte ad attività di gruppo, ha molti amici, ha bisogno di
parlare con le persone e non ama studiare o leggere da solo; l’introverso è tranquillo,
capace di introspezione, amante dei libri più che delle persone, riservato e distante tranne
che con gli amici più intimi)
- nevroticismo-stabilità emotiva (le persone con un elevato nevroticismo tendono a essere
insicure, nervose, angosciate e cronicamente preoccupate per qualcosa; hanno una scarsa
opinione di se stessi, hanno frequenti sbalzi d'umore e faticano a riprendersi e risollevarsi
dopo un'esperienza negativa; le persone emotivamente stabili tendono a essere calme,
rilassate, equilibrate, razionali e controllate; dopo aver sperimentato frustrazione e
delusione sono in grado di ritornare rapidamente al proprio abituale tono emotivo).

(VEDI SLIDE, SCHEMA)


Eysenck considera i super-fattori come dimensioni continue i cui poli sono definiti da un
estremo inferiore (es. introversione) e da un estremo superiore (es. estroversione).
Essendo dimensioni indipendenti tra loro, esse possono essere disposte in maniera
ortogonale a definire uno spazio bidimensionale. (Hanno relazione nulla, indipendenti l’una
dall’altra)

Nella seconda formulazione, Eysenck aggiunge un terzo super-fattore: lo psicoticismo (che


ha a che fare con il dominio sociale) → modello PEN.
Mentre l'estroversione ed il nevroticismo definiscono due dimensioni della personalità
"normale", lo psicoticismo, a livelli estremi, può caratterizzare la personalità "patologica".

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Le persone con elevato psicoticismo possono essere descritte come marcatamente
egocentriche, aggressive, caratterizzate da assenza di empatia e da tendenze
comportamentali antisociali.
Le persone con basso psicoticismo tendono a essere altruiste, empatiche e attente ai
bisogni e ai problemi degli altri.

A differenza di altri teorici dei tratti che hanno considerato le disposizioni individuali dei
semplici costrutti ipotetici, Eysenck formula ipotesi precise circa la natura delle basi
fisiologiche dei tratti (e quindi la personalità è per larga parte ereditaria).

Essendo arrivato all'identificazione di un modello (PEN) in cui i tre super-fattori sono tra
loro indipendenti, Eysenck teorizza l'esistenza di tre sistemi biologici distinti per ciascuno
dei tre tratti.

La teoria dei super-fattori di Eysenck: basi biologiche

Ipotizzando un diverso livello di attivazione tra gli individui, Eysenck mira a indagare il ruolo
del sistema di attivazione reticolare ascendente (ARAS), nel determinare il livello di
introversione-estroversione. L' ARAS consente la trasmissione di segnali nervosi
dall'ipotalamo alla corteccia cerebrale ed è quindi coinvolto nella regolazione dei livelli di
eccitazione della corteccia.
Eysenck ipotizza che gli introversi siano caratterizzati da livelli relativamente elevati di
eccitazione corticale, ovvero siano cronicamente più eccitati a livello corticoreticolare
rispetto agli estroversi.
Pertanto gli introversi avrebbero un minor bisogno di stimolazioni ambientali, poiché alti
livelli di stimolazione da parte dell'ambiente sarebbero per loro causa di un'eccitazione
cerebrale troppo elevata e, di conseguenza, non ottimale.

Ricerche successive, in realtà, hanno evidenziato che introversi ed estroversi non


differiscono tanto nel livello di eccitazione basale, bensì nell'eccitabilità, cioè nei
cambiamenti di eccitazione di fronte a uno stimolo esterno.

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Gli introversi, secondo questi studi, sperimentano un maggior arousal corticale e mostrano
maggiori cambiamenti nel livello di eccitazione corticale in risposta agli eventi del mondo
rispetto a quanto facciano gli estroversi.

Eysenck ipotizza che il sistema limbico, possa rappresentare la "sede" del nevroticismo.
In particolare che le persone con un livello elevato di nevroticismo possiedano un sistema
limbico particolarmente sensibile allo stress ed alle emozioni negative quali ansia e paura
(come un rilevatore di fumo che segnala anche il tostapane).

Va detto che la ricerca non ha fornito prove pienamente convincenti e univoche della
relazione tra il livello di attivazione del sistema limbico e il nevroticismo.

Per quanto riguarda lo psicoticismo, Eysenck propone l'idea che il livello di psicoticismo
possa essere correlato all'attività di alcuni ormoni, quali il testosterone e di specifici enzimi,
quali le monoammino ossidasi. Di questo non vi è, però, ad oggi alcun riscontro scientifico.

La teoria dei super-fattori di Eysenck: l’importanza dell’ambiente

Eysenck non sostiene che le dimensioni dei tratti siano già pienamente sviluppate nel
bambino. Al contrario, egli ritiene che il tratto debba essere concepito come una
predisposizione a comportarsi in un determinato modo e che tale comportamento si
verifichi solo a seguito di una appropriata stimolazione ambientale.
Pertanto, nonostante il ruolo chiave delle disposizioni genetiche e biologiche, Eysenck
riconosce che queste ultime interagiscano con le variabili situazionali nel determinare il
comportamento dell'individuo.

La teoria dei super-fattori di Eysenck: la psicopatologia


Eysenck ritiene che la differenza tra una personalità "sana" e una personalità "patologica"
sia esclusivamente di tipo quantitativo: entrambe possono essere descritte attraverso i tre
super-fattori.
Tuttavia, la personalità patologica implica livelli eccessivamente elevati di uno o più super-
fattori, in particolare dello psicoticismo e/o del nevroticismo.

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Occorre però precisare che alti livelli di psicoticismo e/o nevroticismo non implicano
necessariamente la psicopatologia, molto dipende dall’interazione con l’ambiente.
(La patologia deriva dal trovarsi all’estremità del tratto)

Il modello a 5 fattori
Una più recente proposta teorica in grado di ottenere consensi da parte dei teorici della
personalità è il modello di organizzazione dei tratti che viene definito "dei Cinque Fattori"
o "dei Big Five" (Goldberg, 1981; McCrae e Costa, 2003). In esso si ritrovano alcune
sfumature delle precedenti tassonomie di Eysenck e Cattell.

Nello specifico, due sono gli ambiti di studio in cui il modello dei Cinque Fattori affonda le
proprie radici:
- la tradizione degli studi psicolessicali (teorica)
- gli studi sulla composizione fattoriale dei principali questionari di personalità e la
successiva applicazione delle strategie statistiche di analisi fattoriale (psicolinguistica)

La struttura a sedici fattori inizialmente proposta da Cattell non è successivamente stata


confermata dagli altri ricercatori, i quali, al contrario, hanno lentamente accumulato prove
a favore di una struttura costituita da cinque grandi dimensioni di personalità. (ma anche
molto statistica)

Sulla base di tali risultati Costa e McCrae hanno messo a punto un questionario, il NEO
Personality Index la cui versione riveduta (NEO-PIR, Costa e McCrae, 1992) rappresenta lo
strumento ancora maggiormente utilizzato per la misurazione dei cinque fattori. (Poi c’è
stato il Neo-pi 2 e il 3, ci sono stati quindi degli adattamenti)

Nonostante le ricerche abbiano fornito molteplici e valide prove empiriche a sostegno del
modello dei Cinque Fattori, esiste ancora una certa quota di dissenso su quali siano
esattamente le cinque dimensioni.
(Alcuni cambiano le etichette, alcuni dicono di avere più sfaccettature, ne considerano di
più (6), proponendo quindi più domanda. Il minimo è 3 item. Il numero conta perché
dipende dall’obiettivo, perché se si hanno 3 item si ottiene un punteggio minimo.)

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Il disaccordo ha almeno due fonti:
- la denominazione dei fattori può essere difficile. Infatti, il processo che porta un
ricercatore ad attribuire un'"etichetta verbale" a un fattore consiste dapprima
nell'esaminare gli item o i singoli aggettivi che costituiscono tale fattore e, quindi,
nell'identificare il denominatore comune tra di essi, ovvero l'elemento che li accomuna e
che rende ragione del fatto che essi siano collegati. (come si fa a dare il nome ad un
fattore? Si danno degli item.
- il significato esatto di ciascun fattore dipende da quali item o aggettivi sono stati presi in
considerazione nello specifico studio. Il modello a 5 fattori Esistono, quindi, differenti
declinazioni dei 5 fattori. Le etichette nelle righe sono prese da (in ordine) Fiske (1949),
Norman (1963), Borgatta (1964), Digman (1990) e Costa e McCrae (1985). L'ultima riga
fornisce una caratterizzazione di Peabody e Goldberg (1989) del dominio di vita cui
appartiene il tratto. Il modello a 5 fattori: estroversione Il primo fattore viene definito
estroversione, ma esiste una certa variabilità rispetto a ciò che esso include. In alcuni casi è:
- la tendenza a essere assertivi (capacità di esprimere in modo chiaro ed efficace le proprie
emozioni e opinioni), orientati alle emozioni positive, spontanei, alla ricerca di sensazioni
forti; - altre volte risulta per lo più legata alla tendenza a essere spontanei, dominanti,
energici e con uno spiccato senso di socialità. Il modello a 5 fattori: nevroticismo Il secondo
fattore viene definito nevroticismo o instabilità emotiva. Al centro di questo fattore c’è
l'esperienza soggettiva di emozioni negative quali ansia, preoccupazione, insicurezza e
vulnerabilità allo stress. La persona con altro nevroticismo si preoccupa molto di ciò che gli
altri pensano di lei e fa molta fatica a reggere il peso di una situazione stressante. Il
modello a 5 fattori: amicalità/gradevolezza Il terzo fattore viene definito amicalità o
gradevolezza. Questo tratto si riferisce specificatamente alla qualità delle relazioni
interpersonali, ossia alla capacità di stabilire legami con gli altri. L’alta amicalità implica la
tendenza a essere altruisti, empatici, fiduciosi, pronti ad aiutare e a offrire supporto
emotivo agli altri e a evitare ogni tipo di ostilità e conflitto (es.: l’altruista). La bassa
amicalità, invece, corrisponde alla tendenza ad essere sospettosi, poco disponibili alla
cooperazione, piuttosto competitivi e predisposti al conflitto, spesso indifferenti nei
confronti delle altre persone (es.: il bullo). Il modello a 5 fattori: coscienziosità Il quarto

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fattore viene definito coscienziosità o scrupolosità. Questo tratto identifica la tendenza alla
pianificazione, persistenza e sforzo per il raggiungimento degli obiettivi. L’alta
coscienziosità implica la propensione a essere ben organizzati, puntuali, ambiziosi, ma
anche perseveranti, disciplinati, ligi al proprio dovere, conformi alle regole ed in grado di
controllare i propri impulsi (es.: il perfezionista). La bassa coscienziosità implica la
mancanza di pianificazione, il no rispetto delle regole, il mollare subito. Il modello a 5
fattori: apertura all’esperienza Il quinto fattore viene definito apertura
all’esperienza/mentale. L'apertura all'esperienza identifica le persone dotate di creatività,
immaginazione, curiose, originali, aperte alle esperienze, ai viaggi, con interessi artistici e
dotate di valori liberali. Al contrario, una scarsa apertura all'esperienza implica un basso
livello di immaginazione e fantasia, la tendenza a essere per lo più rigidi e dogmatici, la
preferenza per uno stile di vita piuttosto convenzionale e uno scarso interesse per la sfera
artistica. Il modello a 5 fattori: riassuntivamente Il modello a 5 fattori: correlati empirici
L’amicalità e l'estroversione sono entrambe legate alle situazioni sociali, ma in modi
piuttosto differenti: - l’amicalità sembra essere per lo più connessa al mantenere relazioni
positive con gli altri, al mantenere le buone relazioni nel tempo. È associata ad una
maggiore responsività genitoriale, ad una minore negatività nelle relazioni di coppia, ad
una minore ricerca di vendetta dopo le offese e ad una scarsa tendenza a mettere in atto
comportamenti antisociali; - l'estroversione risulta più rivolta all'attenzione sociale,
all'avere un certo impatto sulle persone. È associata al «saperci fare con gli altri», alla
ricerca di successo. Il modello a 5 fattori: correlati empirici La coscienziosità è legata alla
gestione del rischio ed al rispetto delle regole. Una elevata coscienziosità è associata a
comportamenti meno rischiosi in genere (es.: uso di preservativi e delle mascherine). Le
persone coscienziose sono meno propense al tradimento ed è meno probabile che
vengano adescate. La coscienziosità, inoltre, è connessa a una genitorialità più responsiva e
sensibile verso i bambini e all'uso della negoziazione come strategia di risoluzione del
conflitto. La coscienziosità è associata al desiderio di fare carriera, ma non necessariamente
ad alti standard di vita. In adolescenza, predice un maggiore successo in ambito
accademico. Le persone con coscienziosità più alta vivono più a lungo, presumibilmente
perché si prendono più cura di se stesse (es.: divieto di fumo) e mettono in atto diversi tipi
di comportamenti di promozione della salute. Il modello a 5 fattori: correlati empirici
L'apertura all'esperienza predice la tendenza a sviluppare atteggiamenti inter-etnici più

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favorevoli e una minore propensione verso la stigmatizzazione degli altri. Le persone con
alti livelli di apertura affermano di non desiderare una vita caratterizzata da pigrizia. La
tendenza a essere aperti alle novità induce a voler sperimentare cibi nuovi, a voler
intraprendere nuove attività. Tuttavia, questa apertura alla novità si traduce anche in una
maggior "apertura" verso relazioni extraconiugali. Le persone con un elevato livello di
apertura tendono a sognare ad occhi aperti. Il modello a 5 fattori: correlati empirici Un
elevato livello di nevroticismo è associato a interazioni coniugali più difficoltose e meno
soddisfacenti e ad un elevato livello di ansia in relazione alla propria sessualità. A seguito di
eventi stressanti o traumatici, ad esempio aborti o lutti, le persone altamente nevrotiche
hanno più probabilità di sviluppare la sindrome post-traumatica da stress. Il nevroticismo
risulta avere un'influenza negativa anche sulle prestazioni scolastiche e accademiche ed è
associato a scarso successo. Nell'ambito della salute, infine, il nevroticismo sembra
associato a una morte più precoce, in parte perché le persone con alto nevroticismo
tendono alle dipendenze (es.: bere e fumare) e perché adottano uno stile di vita
maggiormente caratterizzato da stress. Le persone con un elevato livello di nevroticismo
trascorrono più tempo al telefono e risultano maggiormente dipendenti dal proprio
cellulare rispetto alle persone con un livello più basso di nevroticismo. Il modello a 5 fattori:
basi biologiche I più importanti sostenitori della teoria dei cinque fattori ritengono che tali
tratti siano delle entità realmente esistenti che esercitano un'influenza causale sullo
sviluppo delle caratteristiche psicologiche dell'individuo: «ciascun fattore rappresenta la
base causale sottostante a pattern coerenti di pensieri e sentimenti» (McCrae e Costa,
2003). Nella teoria dei cinque fattori, i tratti hanno una base biologica, ma sono evidenti le
variazioni dei tratti in determinati periodi storici (es.: i nati negli anni ’90 più ansiosi dei nati
degli anni ‘50). Il modello a 5 fattori: stabilità dei tratti I cinque fattori rimangono pressoché
inalterati con il passare del tempo, in modo particolare nella fascia d'età adulta. Ciò ha
portato a concludere che le caratteristiche fondamentali della personalità tendano a
consolidarsi nell'età adulta. Dall'età di tre anni i cinque fattori iniziano ad assumere una
certa coerenza e stabilità che aumenta progressivamente fino a dopo i cinquant'anni. Il
modello a 5 fattori: cambiamenti del comportamento in relazione all’età Tuttavia, tali
risultati non devono erroneamente far pensare che ciascun individuo rimane sempre
uguale a se stesso nel corso di tutta la vita. Esiste, infatti, un cambiamento individuale
attraverso cui tali tratti influenzano il comportamento nel tempo. Es.: un bambino di tre

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anni mostra la propria tendenza a essere dominante monopolizzando l'attenzione di tutti e
opponendosi con forza a una regola che non vuole rispettare, mentre lo stesso bambino,
divenuto ormai adolescente, convince l'intero gruppo di amici ad accettare le propri idee
politiche e i suoi gusti in fatto di auto e moto. Il modello a 5 fattori: cambiamenti del
comportamento in relazione all’età Il cambiamento normativo, invece, riguarda
generalmente tutti gli individui all'interno di una popolazione. La modificazione più
consistente riguarda la tendenza alla diminuzione del nevroticismo all'aumentare dell’età.
Al contrario, il livello di amicalità e coscienziosità risulta aumentare con l'età, in particolare
nel periodo che va dai vent'anni ai cinquanta. Nonostante le disposizioni di personalità
mostrino un elevato grado di stabilità nel tempo, alcuni cambiamenti dovuti alla
maturazione sono altamente prevedibili. Il modello a 5 fattori: la psico-patologia Il
malessere e il disadattamento psicologico vengono definiti come estremizzazioni dei singoli
tratti. Il tratto è da intendersi come un continuum ai cui estremi si colloca la personalità
patologica che, di conseguenza, corrisponde a un eccesso del normale tratto di personalità.
Es.: un eccesso di estroversione può avere come conseguenza una ricerca esasperata di
sensazioni, impulsività e disinibizione. Livelli esasperati di coscienziosità possono sfociare in
comportamenti ossessivocompulsivi. L'idea è che a partire dal profilo di personalità di
ciascun individuo sia possibile individuare il corso del trattamento ottimale. Il modello a 5
fattori e «la vita lavorativa» Numerose ricerche condotte sulla relazione tra i cinque fattori
e le prestazioni professionali evidenziano che coscienziosità e nevroticismo risultano essere
strettamente connessi alla modalità con cui le persone affrontano il proprio lavoro. In
particolare, un elevato livello di coscienziosità e un basso livello di nevroticismo sono
predittivi di una prestazione lavorativa positiva. Alcuni studi suggeriscono che il livello di
estroversione sia connesso positivamente al grado di coinvolgimento e partecipazione degli
individui nei lavori in cui è richiesta una continua interazione sociale. Il modello a 5 fattori e
«la vita lavorativa» Uno studio condotto da Bakker e collaboratori ha messo in evidenza
che nevroticismo ed estroversione sono fortemente connesse al burnout (= condizione in
cui la persona sperimenta una sensazione di esaurimento fisico e mentale, sviluppa un
atteggiamento negativo e cinico verso il lavoro e verso le persone che ne sono coinvolte e
tutto ciò conduce a una riduzione dell’efficienza lavorativa). + nevroticismo → + burnout +
estroversione → - burnout Il modello a 5 fattori e «la vita lavorativa» Non solo la
personalità influenza la vita lavorativa, ma la vita lavorativa può influenzare alcuni aspetti

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comportamentali personali. - le persone che ricoprono un ruolo professionale di una certa
rilevanza risultano essere meno ansiose, sono più sicure di sé e più felici; - le persone che si
sentono maggiormente soddisfatte del proprio lavoro sono meno vulnerabili allo stress e
più stabili emotivamente; - le persone che si sentono soddisfatte dal punto di vista
economico risultano più capaci di rivolgersi agli altri in caso di bisogno e sono
maggiormente coinvolti nelle relazioni sociali. Il modello a 5 fattori e «la salute» Come mai
le persone più coscienziose vivono in media più a lungo? La risposta è molto semplice: esse
mettono in atto una serie di comportamenti che promuovono e salvaguardano la propria
salute e, viceversa, evitano di incorrere in condotte lesive e nocive per la propria vita.
Risulta meno probabile che possano morire di morte violenta poiché è meno frequente il
loro coinvolgimento in incidenti e situazioni pericolose. Infine, è poco probabile che esse
sviluppino abitudini dannose, sia legate all'uso di sostanze legali (fumo e alcool), sia illegali
(droghe). L’apertura mentale sembra essere associata ad una maggior volontà di smettere
di fumare. Il modello a 5 fattori e «il marketing» I big 5 vengono anche impiegati per
identificare la «personalità di un brand o di un prodotto». Numerose ricerche
documentano che le persone tendono ad associare a marche e prodotti caratteristiche che
sono tipiche della personalità umana utilizzando aggettivi di uso corrente. Un recente
studio ha messo a confronto i profili di personalità di otto marche molto note (Agip,
Olivetti, Sony, Ferrero, Fiat, Mondadori, Barilla, IBM) e ha rilevato che: - Ferrero e Barilla
risultano le marche con un livello più elevato di stabilità emotiva e amicalità; - Agip, Olivetti
e IBM ottengono i punteggi più bassi in relazione ai medesimi fattori; - le marche più
coscienziose risultano essere IBM e Sony - mentre Fiat, Agip e Olivetti si rivelano essere le
meno coscienziose. Il modello a 5 fattori ed il «fattore in più» Alcuni autori hanno avanzato
l'ipotesi che nel modello dei Cinque Fattori sia stata tralasciata una sesta dimensione.
Alcuni autori affermano che tale dimensione mancante corrisponda alla «tendenza
individuale a essere onesti, sinceri e leali» e che pertanto viene identificata con la
denominazione onestà-umiltà (dimensione solo in parte assorbita dall’amicalità). Sulla base
di tali risultati, Ashton e Lee (2005; 2007) hanno sviluppato uno strumento denominato
"modello HEXACO" in cui, oltre ai Big Five, è inclusa la sesta dimensione onestà-umiltà. Le
evidenze empiriche suggeriscono che effettivamente questo fattore addizionale aggiunge
validità predittiva alla struttura dei cinque fattori. Il modello a 5 fattori ed il «fattore in più»
Nel dibattito scientifico si sono di volta in volta candidate altre dimensioni a diventare il

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"sesto fattore": - la dimensione della religiosità o trascendenza (Emmons et al., 2008;
Piedmont, 1999) - l'attrattività (Lanning, 1994) o la sessualità (Schmitt e Buss, 2000). -
Tellegen (1993) e Almagor e collaboratori (1995) hanno infine sostenuto che il modello dei
Big Five ignori completamente le dimensioni relative agli stati d'animo o d'umore transitori.
Il modello a 5 fattori ed i «fattori in meno» Alcuni autori (Digman, 1997; De Young, 2006)
hanno proposto una strategia opposta: i Big Five possono essere utilmente condensati,
attraverso una ulteriore analisi fattoriale, in due sole dimensioni: - un fattore alfa, definito
da nevroticismo, amicalità e coscienziosità; - un fattore beta, definito dall'estroversione e
dall'apertura mentale. Mentre alfa rappresenta la sintesi delle variabili che si riferiscono al
processo di socializzazione, beta denota il processo di crescita personale, di apertura verso
la realtà. Il modello a 5 fattori ed i «fattori in meno» Secondo DeYoung (2006), invece, i due
fattori risultanti possono essere denominati rispettivamente: - stabilità, che riflette il
bisogno organico di mantenere un'organizzazione stabile del funzionamento psicologico; -
plasticità, che riflette il bisogno di esplorare e crescita personale. Il modello a 5 fattori ed
«le sfaccettature» Un'ulteriore strategia consiste nel prendere in considerazione le
cosiddette "sfaccettature" dei cinque fattori. I Big Five sono in realtà dei super-fattori e,
come tali, includono diverse sfaccettature, ovvero delle sottodimensioni più specifiche
rispetto alle cinque macrostrutture. Lo stesso strumento messo a punto da Costa e McCrae
(il NEO-PI-R, Costa e McCrae, 1992) identifica sei sfaccettature per ogni fattore, ovvero le
configurazioni di tratti entro ciascun fattore. Per esempio la dimensione dell'estroversione
si compone delle sottodimensioni: "calore" (piacere dell'intimità con l'altra persona),
"gregarietà" (socievolezza), "assertività" (dominanza e leadership), "attività" (energia,
dinamismo), "ricerca di sensazioni" (bisogno di stimolazione e di eccitazione) ed
"emozionalità positiva" (gioia, ottimismo). Il posizionamento della persona su ognuna di
queste dimensioni più specifiche consente di tracciarne un profilo di personalità relativo
alla sua tendenza a essere estroverso molto più preciso e differenziato. Il modello a 5
fattori ed «le sfaccettature» Ulteriore esempio di struttura gerarchica (Soto & John, 2017) –
BFI2: Extraversion: - Sociability - Assertiveness - Energy Level Agreeableness: - Compassion
- Respectfulness - Trust Conscientiousness: - Organization - Productiveness - Responsibility
Negative Emotionality: - Anxiety - Depression - Emotional Volatility Open-Mindedness: -
Intellectual Curiosity - Aesthetic Sensitivity - Creative Imagination Il modello a 5 fattori ed
«le sfaccettature» Data questa premessa ci si potrebbe chiedere: "qualcosa" viene perso

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quando i tratti di livello inferiore vengono combinati per formare i super-fattori? Evidenze
empiriche suggeriscono che qualcosa si perde. Per un numero considerevole di
comportamenti, le scale che includono le sfaccettature si sono rivelate molto più utili e
precise nel predire i comportamenti effettivi rispetto ai Big Five. Il modello a 5 fattori ed «le
sfaccettature» La previsione a partire da fattori specifici, dalle cosiddette "sfaccettature" è
sicuramente migliore, tuttavia ha un costo. Per descrivere e comprendere la personalità e i
comportamenti si deve tenere a mente un numero maggiore di caratteristiche
contemporaneamente. In termini generali, questo è il compromesso: - usando i super-
fattori si crea un quadro che è più intuitivo e più facile da tenere a mente - usando le
dimensioni più specifiche spesso si arriva a un maggior grado di precisione. Il modello a 5
fattori ed «i circomplessi» L'approccio dei circomplessisi focalizza sulle nuove dimensioni
che emergono nel momento in cui i singoli fattori vengono incrociati a due a due. Proviamo
a immaginare di aver ottenuto una misurazione del livello di estroversione e di amicalità in
due persone: entrambe ottengono un punteggio elevato di estroversione, ma una riporta
un punteggio elevato anche nell'amicalità, l'altra invece ha un punteggio basso. Appare
evidente che il fattore estroversione assumerà un significato molto diverso nei due casi: -
nel primo indicherà una personalità caratterizzata da dominanza, ma sensibile e attenta ai
bisogni degli altri; - nel secondo, una dominanza unita ad atteggiamenti di manipolazione e
sfruttamento. Il modello a 5 fattori e «problematiche» Più ricerche hanno rilevato che le
misure dei tratti e il comportamento spesso non correlassero bene. Mischel (1968) ha
sottolineato che le correlazioni tra strumenti self-report e il comportamento effettivo sono
modeste. Che cosa si deve pensare, allora, dei tratti? Se i tratti non predicono le azioni delle
persone, perché il concetto di tratto è da considerarsi utile? Un modo per spiegare perché
questo accada è far riferimento all'approccio che viene definito interazionismo che
sostiene che i tratti e le situazioni interagiscono per determinare il comportamento
effettivo della persona. Né le situazioni da sole, né le persone da sole sono quindi in grado
di fornire una spiegazione completa ed esaustiva del comportamento. Il modello a 5 fattori
e «interazionismo» Le persone, intuitivamente, capiscono che effettivamente un tratto
influenza il comportamento, ma ciò subisce delle variazioni legate al contesto e alla
situazione. Spesso si ricorre a espressioni quali "Mario è timido con gli estranei" oppure
"Stefania diventa aggressiva quando viene presa in giro". In questa prospettiva, i tratti non
sono intesi come tendenze ad agire autonome, ma come schemi di collegamento tra

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situazione e azione. Data una situazione x, è probabile l'azione y. Il modello a 5 fattori e
«interazionismo» Lo schema di collegamento tra situazione e comportamento differisce da
persona a persona. Questa è una fonte di individualità, unicità: lo schema dei legami
situazionecomportamento che la persona ha stabilito nel corso del tempo e
dell'esperienza. Questo schema è indicato come firma comportamentale della persona. Se
è così, due persone agiranno in modo diverso in molte situazioni, nonostante condividano
lo stesso tratto. Il modello a 5 fattori e «interazionismo» Ne consegue che una persona che
è per lo più introversa, può occasionalmente, in alcune situazioni, agire come un estroverso
(per esempio, diventando loquace). A tal proposito Fleeson (2001) ha trovato che la
maggior parte delle persone mette in atto comportamenti che riflettono l'intera gamma di
un tratto. Un buon approccio è ritenere che il tratto sia la probabilità che si verifichi una
categoria di comportamenti, non la certezza, in relazione a una categoria di contesti
(Mischel, 1999).

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