UCSC 2022
PAOLA CRIVELLI
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22/02/22
Psicologia sociale
Livello di analisi tra studio dell’individuo, psicologia di base dell’individuo (meccanismi percezione,
ragionamento, memoria, atteggiamento) questo livello insieme al contesto sociale, società.
Studio più micro rispetto a quello macro della sociologia.
Area di mezzo tra meccanismi individuali e società.
Atteggiamento = disposizione, predisposizione verso oggetti di atteggiamento (es. persone,
argomenti).
Si studiano i comportamenti (le azioni) e poi le relazioni tra atteggiamenti e comportamenti (da
atteggiamento studiare un possibile comportamento di conseguenza).
Si studia anche la sfera emotiva e affettiva, ruolo importante delle emozioni.
Infine studio personalità, tratti della personalità combinati per studiare la psicologia sociale.
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Dimensione questa più collettiva
- Comunicazione persuasiva è una parte un po’ più di passaggio, la persuasione viene
definita come tentativo e contesto nel quale si cerca di modificare atteggiamenti delle
persone (crearne nuovi, direzionarne altri); tutte le situazioni in cui c’è un intento
persuasivo ci si chiede cosa succede a livello psicologico, quali sono i meccanismi che
portano a rifiutare o accettare il messaggio persuasivo.
- Persone nei gruppi tutti noi siamo esseri sociali e interiorizziamo le norme sociali anche
quando siamo da soli. Studiamo il condizionamento e l’influenza che l’apparenza ad un
gruppo ha su un individuo (processi intra gruppo).
- Pregiudizio e relazioni intergruppo qui siamo studiamo gli atteggiamenti delle persone di
un gruppo verso un altro gruppo e quindi la questione dei pregiudizi.
- La comunicazione non verbale questo è più spostato sulla parte comunicativo sia
interpersonale che pubblico
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Ci basiamo sulla prima impressione dopo di che conosciamo un piccolo pezzetto di realtà. Da
questa piccola realtà che abbiamo scoperto cerchiamo di completare il puzzle della persona.
La prima impressione in realtà conta molto perché su quella impressione costruiamo una nostra
eventuale fiducia.
Prima impressione molto importante perché dura nel tempo.
Chi preferisce un lavoro che gli porti un guadagno alto è perché ha altri interessi.
Dato che cerchiamo un po’ tutti di comprendere la realtà umana magari ci definiamo un po’ tutti
psicologi. La psicologia però non è quella del senso comune ma è una scienza, si basa tutto su una
scienza, non è mai qualcosa dato da un’impressione una si basa sempre su test, prove.
L’uomo cerca coerenza e se non la trova cerca giustificazioni per giustificare l’incoerenza oppure in
alcuni casi cambia atteggiamento o comportamento.
Ci sono molti esperimenti che hanno fatto la storia e nella seconda parte studieremo molti di
questi esperimenti.
Influenza sociale ci si chiede quali sono i meccanismi psicologici responsabili della tendenza della
persona a conformarsi alle posizioni assunte dal gruppo di appartenenza (fare i pecoroni).
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MODULO 1
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La psicologia sociale riguarda lo studio scientifico degli effetti dei processi sociali e cognitivi.
La psicologia sociale vuole comprendere come le persone interagiscono tra loro quindi come si
relazionano tra loro studiando soprattutto i comportamenti del singolo individuo.
La psicologia sociale è lo studio scientifico del comportamento del singolo individuo all’interno
di un contesto sociale.
Indagine di pensieri, sentimenti, comportamenti e come questi sono influenzati dalle relazioni
sociali, dal vivere nella società.
La psicologia sociale studia come regoliamo il nostro agire, il nostro pensare in relazioni agli altri.
La presenza degli altri può essere reale o implicita (es. mamma mi ha detto che non posso
prendere la caramella).
La presenza immaginata di altri ci spinge a fare molte cose. La presenza dell’altro importa già in un
contesto dove ci sono norme da seguire a prescindere dal grado di conoscenza dell’altro ma la
presenza degli altri è anche implicita, noi ci immaginiamo le aspettative che gli altri, che non
presenti fisicamente, hanno di noi.
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spiegare il perché una persona può diventare aggressivo sono genetica, esperienze
personali, personali.
interpersonale riguarda l’interazione tra persone. In questo caso l’aggressività lo posso
spiegare es. con la vendetta. Rapporto proprio tra una persona e l’altra.
posizionale guarda l’individuo come inserito in un contesto con norme specialmente
relative rispetto alla posizione che quella persona ha nell’individuo (status sociale, potere,
forza economica) in questo caso l’aggressività può essere spiegata, un esempio può essere
l’invidia vendicativa verso chi ha più potere di me oppure sfruttare il proprio potere.
ideologico fare riferimento alle credenze sociali di un posto (norme, credenze, cultura,
tabù) es. il nazismo.
Quanti più livelli integriamo più la risposta ai fenomeni sociali è approfondita
Interdisciplinarità è l’unione delle discipline. Abbiamo tre aspetti dell’unione di diverse discipline:
interdisciplinare, multidisciplinare e transdisciplinare.
Multidisciplinare: per spiegare un fenomeno usiamo discipline che non parlano tra loro, ognuno
farà un lavoro in un team dove però ci sono delle specifiche competenze che non si mixano tra
loro.
Interdisciplinarità: diverse discipline o scienze cercano di prendere una dall’altra per raggiungere
la spiegazione di un fenomeno sociale. Quando diciamo che la psicologia sociale è interdisciplinare
stiamo dicendo che quello che studia la psicologia sociale viene studiato anche da altre discipline.
Transdisciplinarità: non c’è più la disciplina, la scienza da sola, ma ci sono tutte le scienze che
insieme lavorano per studiare il fenomeno sociale di interesse, così nascono le nuove discipline, le
nuove scienze.
La psicologia sociale dovrebbe essere transdisciplinare ma oggi è interdisciplinare perchè
comunica e ha temi di interesse molto simili prima di tutto alla psicologia cognitiva. La psicologia
cognitiva è una sottocategoria della psicologia generale che in sostanza studia i processi mentali
con metodi scientifici ad esempio l’apprendimento, come le persone apprendono, cos’è
l’intelligenza, come misuriamo l’intelligenza, cosa sono le emozioni, come le misuriamo, valutiamo,
indaghiamo, come apprendiamo il linguaggio.
In particolare la psicologia generale studia la percezione, es. le illusioni ottiche sono un tema di
interesse della psicologia generale.
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ci fanno ricevere gli imput che derivano dall’ambiente esterno, li rielaboriamo attraverso i nostri
software e generiamo delle risposte, degli output. La psicologia cognitiva parte da assunto.
Se volgiamo comprendere il comportamento di una persona non possiamo considerarlo solo come
frutto di un singolo evento. Le reazioni ad un evento sono diverse da persona a persona per via
delle nostre interpretazioni. Processi mentali che guidano il comportamento → psicologia
cognitiva
Dalla psicologia cognitiva noi in psicologia sociale possiamo riprendere lo studio della memoria.
Se vogliamo capire come interpretare la realtà sociale dobbiamo capire come funziona la memoria
perché noi interpretiamo la realtà sociale sulla base di quello che sappiamo già. Non possiamo
sognare qualcosa che non conosciamo già, tutti i sogni sono basati su quello che sappiamo, su
tutto quello che abbiamo in memoria.
La psicologia dell’individuo studia soprattutto i tratti della personalità.
La psicologia sociale è molto vicina alla sociologia e all’antropologia sociale soprattutto per quanto
riguarda alcuni aspetti come le norme, le dinamiche di gruppo e in particolare la sociologia è
interdisciplinare perché studia il sé come frutto dell’interazione con l’altro.
Sociolinguistica, linguaggio, comunicazione per capire come le persone si influenzano tra loro
dobbiamo studiare come comunicano tra loro.
23/02/2022
Quando studiamo, e questo vale per tutte le scienze, una teoria, un modello, una proposta di
spiegazione di un fenomeno dobbiamo sempre tener conto del contesto in cui è stata prodotta la
teoria. Perché anche i ricercatori valutano la realtà partendo dal background culturale e
soprattutto storico e politico.
Nasce agli inizi del ‘900. Abbiamo assistito ad una grande diffusione di concezioni psicofisiologiche
del comportamento umano e questo ha permesso lo sviluppo non solo delle scienze umanistiche
ma anche di quelle fisiche e biologiche.
Nasce dall’idea che è necessaria una disamina scientifica dei comportamenti sociali perché agli
inizi del ‘900 iniziano ad apparire tutte quelle dinamiche nazionalistiche, anche popolari, si afferma
la società industriale e quindi sempre più le persone sono interessate a comprendere il
cambiamento sociale. Persone sempre più interconnesse, scambio valoriale e ideologico sempre
più forte dai quali possono nascere elementi sovversivi rispetto al potere dominate quindi gli
studiosi iniziano a studiare l’origine di questi movimenti anche sovversivi, nazionalistici.
La ricerca ha sempre uno sponsor, nessuno può fare un lavoro se non viene sovvenzionato da
qualcuno, qualcosa e chi sovvenziona è sempre il potere, le élite, chi ha potere economico, sociale
quindi in questo contesto la psicologia sociale era interessata a fenomeni sovversivi del popolo
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perchè il potere era molto interessato a comprendere come fare una propaganda efficace per il
consenso popolare e dall’altro lato era interessato a come sedare le folle che potevano mettere in
atto comportamenti violenti e di opposizione.
Poi c’è un altro precursore della scienza moderna ossia la psicologia della folle di Gustav Le Bon
(1895), siamo sempre in filosofia, non è una scienza perché non sono modelli teorici testati sono
solo speculazioni filosofiche.
Le Bon iniziò a cercare di comprendere le folle e i loro comportamenti. Definì le folle come entità
unitarie con una loro dignità, veridicità che si esaltano da un punto di vita emotivo e quando lo
fanno diventano dotate di una forza distruttiva e priva di controllo, irrazionale, indisciplinata.
Quindi secondo lui quando sono in gruppo le persone tendono a perdere la propria volontà
autonoma e iniziano ad agire in base alle emozioni semplici intese anche estreme e primitive,
secondo Le Bon c’è quindi una regressione ad uno stato selvaggio, primitivo, come se fossimo
bambini (io bambino, io selvaggio).
Quando siamo in gruppo perdiamo la nostra unicità e tendiamo a sentirci forti nel gruppo perché
assumiamo una sensazione di potenza invincibile dello stare con gli altri che è proprio il sentirsi
parte di una massa.
Questa sensazione di stare in gruppo crea in realtà anche una sensazione di responsabilità, perché
non sono io ad agire ma è il gruppo ad agire, viene definita da Le Bon unità che si scatena
emotivamente.
Così come le folle possono essere feroci, possono essere anche fortemente condizionate proprio
perchè sono tornate ad uno stato primitivo a livello mentale, ad uno stato primitivo quindi le folle
benché feroci sono molto condizionabili. Secondo Le Bon un oratore per convincere la folla deve
usare parole semplici, immagini, parallelismi con la vita quotidiana e quando la folla assume
questa idea fa sì che il singolo individuo che compone la folla è in grado di non guardare più al
proprio interesse personale, addirittura a quello di sopravvivenza per raggiungere l’obbiettivo del
gruppo.
Questa teorizzazione di Le Bon comincia nel 1585, in quel periodo la borghesia francese iniziava ad
essere realmente preoccupata nel dover gestire le folle perché fin quando i latifondisti avevano il
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controllo dei loro contadini perché li sottomettevano e il contadino non poteva far altro che
ubbidire alle volontà. Questo va bene anche perché non c'era aggregazione, tranne rarissimi casi i
contadini non si univano per creare sommosse, erano molto dislocati anche a livello spaziale.
Quando iniziano a vivere tutti quanti insieme c'è uno scambio molto iniziano a nascere dei
movimenti (richiesta diritti dell'oratore ad esempio) e quindi iniziano a crearsi dei movimenti
politici in contrasto con quelli della borghesia ai quali viene in mente di decidere di osservare e
controllare le folle. Quindi l'obiettivo di Le Bon era principalmente borghese, lui voleva capire
come controllare le folle. Era poi spinto Le Bon da interessi medici e della criminologia, interesse a
curare le folle.
C'è anche il concetto di regressione cioè che quando siamo nella polarità crediamo che questo è
ripreso dall'ipnosi medica (uno dei metodi iniziali usati dalla psicologia per comprendere
l'individuo). L'ipnosi è uno stato di semicoscienza dove attraverso il particolare si può andare bene
a comprendere quali sono i processi associativi della persona, addirittura si possono riesumare
traumi (ipnosi regressiva).
Le Bon nello sviluppare la teoria utilizza un sacco di concetti che non sono della filosofia ma che
sono della medicina in particolare e il concetto di regressione.
Gli psicanalisti erano tutti medici all’inizio.
Le Bon riprende tutti questi concetti e questo fa comprendere anche come la stessa filosofia e poi
la psicologia, inizia a parlare con le altre scienze, a prenderne il proprio linguaggio.
Parallelamente alla psicologia delle folle c’è quella dei popoli sviluppata in Germania da Wilhelm
Wundt che è il primo psicologo che ha creato un laboratorio di psicologia.
Wundt ha scritto anche 10 volumi, mattoni sulla psicologia dei popoli.
Precede la nascita dello stato della Germania. Wundt in questa opera cerca di andare a comparare
tutte le popolazioni andando a confrontare le manifestazioni psicologiche e sociali in ciascuna
popolazione quindi paragona norme, tabù, linguaggi, costumi.
È un'opera in cui si inizia a capire che le manifestazioni individuali dipendono dal contesto nel
quale viviamo.
La forma del pensiero è linguaggio, il pensiero è parole, sono immagini dell'infanzia quando
sviluppiamo poi il linguaggio crescendo diventa parole. Questo vuol dire che se noi una cosa non la
sappiamo nominare non ne possiamo essere consapevoli. Possiamo pensare solo quello che
sappiamo dire, se non abbiamo qualcosa per esprimere un'emozione spesso significa che è un
tabù e quindi non lo nominiamo.
Se non sappiamo riconoscere le emozioni siamo fregati.
Il linguaggio è culturale perché mi viene insegnato, non posso spiegare qualcosa che la mia cultura
non spiega. Questo viene da Wundt anche se non gli viene attribuita.
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Siamo nel ventesimo secolo, la psicologia si stanca di essere definita filosofia e ci si rese conto che
la psicologia doveva assumere una veste scientifica e si arrivò a dire che la psicologia sociale si
sarebbe potuta diffondere solo se avesse assunto una veste scientifica, di scienza sperimentale
ipotesi, raccoglie dati come tutte le scienze di laboratorio.
Viene pubblicato su questo primo libro di Wundr “experimental social psychology” e vengono fatti
i primi esperimenti.
Il primo esperimento viene fatto da Norman Triplett alla fine del ‘900 scoprì che le persone
quando svolgono un compito sono più prestanti/performanti quando in presenza di spettatori o
addirittura di rivali. Sotto pressione riusciamo a dare il meglio di noi se la pressione non è troppo
elevata.
Da qui tutti psicologi sociali iniziano ad aggregarsi, a nascere delle associazioni di psicologia sociale,
cioè gli psicologi iniziano a fare gruppo e a confrontarsi tra le teorie e la psicologia si sviluppa
sempre di più.
Primo tema centrale su cui gli psicologi cominciarono a scervellarsi è il concetto di atteggiamento
(anni ‘30). Si inizia a cercare di capire perché i nostri atteggiamenti sono incoerenti con i nostri
comportamenti, l’incoerenza tra atteggiamenti e comportamenti.
Lewin stravolge la psicologia, in particolare inizia a pensare che il comportamento individuale è
frutto di una funzione tra persona e ambiente. Lewin è profugo ebreo quindi studia in Germania e
poi scappa in America dove porta tutti questi contributi filosofici, porta in primo luogo la scuola
della Gestalt, il movimento filosofico della Gestalt che dice in primo luogo che la filosofia deve
avere un approccio fenomenologico cioè deve partire dall’esperienza quotidiana e in secondo
luogo da una definizione chiarissima di sistema, se vogliamo comprendere un sistema dobbiamo
guardare alla relazione tra le parti quindi il tutto è più della somma delle parti.
Quando pensiamo a una relazione di coppia ci sono due persone, è frutto dell’insieme di due
persone X e Y, sono due parti ma il fatto che quelle due parti sono in relazioni generano il tutto, il
sistema. Questo vuol dire che se vado a modificare una parte sola del sistema, siccome quella
parte è in relazione con tutte le altre, tutto il sistema cambia.
X e Y si relazionano tra loro e creano una nuova entità che è la coppia e stare in coppia richiede
alcuni comportamenti, modi di fare tipici dell’essere in coppia quindi il noi della coppia è una terza
entità. Infatti molto spesso i problemi che derivano dallo stare con un'altra persona derivano da
come viviamo questo terzo. Non si può mantenere la propria individualità in una relazione di
coppia e pensare al proprio egoismo personale perché altrimenti non c'è una coppia, non c'è il
sistema virgola non c'è il tutto.
Quindi il tutto è più della somma delle parti perché ci sono delle relazioni tra le parti.
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Quindi Lewin porta in America questa teoria della Gestalt ma soprattutto stravolge la metodologia
della psicologia sociale perché inizia a studiare sul campo, esce dal laboratorio, dall'accademia e si
va a sporcare le mani.
Altri temi sociali che hanno determinato l’esodo della psicologia sociale sono lo studio sulle norme
di gruppo e lo studio sulle minoranze.
La psicologia sociale nasce in Europa con alcuni autori che poi migrando negli Stati Uniti
trasportano quello che avevano fatto in Europa, gli Stati Uniti ne assumono la leadership, iniziano
a investire tantissimo sugli studi della psicologia sociale.
Soprattutto negli anni ‘50 iniziano a sponsorizzare la ricostruzione dei centri di studio della
psicologia sociale in Europa, si costituisce anche nel 1966 l’Associazione Europea di Psicologia
Sociale Sperimentale.
Poi la psicologia stava morendo ma poi viene rianimata negli anni ‘60-‘70 perché erano quelli gli
anni di piombo e delle contestazioni sociali.
Sono due quelli che hanno fatto la storia della psicologia sociale in questo momento: Moscovici e
Tajfel.
Tajfel ha proposto la teoria dell’identità sociale “social identity theory”, fu quindi il primo a dire
che oltre ad una identità personale ne abbiamo una sociale e che la creiamo appartenendo a dei
gruppi che vengono definiti in-group e quando ci definiamo membri di un in-group ci definiamo in
contrapposizione all’out-group. C'è proprio uno scontro ed è questo scontro a determinare gli
elementi chiave della mia identità.
Le persone alternative lo sono rispetto ad un gruppo out-group ma sono a loro stessa volta un
gruppo, costruire l’identità sociale in contrapposizione ad un gruppo ma alla fine si va a creare a
sua volta un gruppo.
Quindi la nostra identità secondo Tajfel deriva da questa ricerca di similarità con l’in-group e di
differenza con l’outgroup.
Moscovici studiò le minoranze e ha proposto proprio una teoria sull’influenza sociale delle
maggioranze. Iniziò a capire che anche le minoranze hanno un'influenza sociale.
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La psicologia sociale applicata utilizza le teorie di quella di base. Quindi uno psicologo sociale
applicato è un grande conoscitore di tutte le teorie della psicologia sociale ma anche di altre
discipline scienza perché le deve utilizzare assolutamente, ne conosci i metodi di analisi, i risultati
principali degli esperimenti, utilizza tutte queste conoscenze per trovare soluzioni ai problemi
sociali.
I problemi sociali sono causati dall’uomo, dal comportamento umano perché siamo esseri
complicati.
L’idea di base della psicologia sociale applicata è che i problemi sociali sono causati dall’uomo, dal
comportamento umano quindi i sociologi (che possono andare a cambiare il comportamento
individuale) cercano di andare a modificare il comportamento umano. L’idea è cambiare il singolo
per cambiare poi l’aspetto istituzionale, più politico, economico.
La psicologia sociale parte dall’individuo.
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La psicologia sociale applicata nasce nel ventesimo secolo e si comprende finalmente che per
comprendere la realtà ma anche la mente umana bisogna uscire dal laboratorio.
Uno psicologo sociale per cambiare qualcosa può sensibilizzare parlando o creando campagne di
promozione o sensibilizzazione e posso coinvolgere le persone nel cambiamento.
Walter Dill Scott pubblica teorie e pratiche della pubblicità, è il primo che capisce che per
cambiare le abitudini del consumatore dobbiamo guardare alla psicologia del consumatore perché
la pubblicità può e deve creare delle suggestioni emotive, non solo dare informazioni.
Hugo Munsterg fu uno dei primi a fare ciò, definì la psicologia applicata come la ricerca applicata ai
problemi.
Poi c’è nel 1917 la pubblicazione della rivista “Journal of Applied Psychology”.
Per produrre conoscenza dobbiamo sapere dove andare a pubblicarla, se non esistono giornali che
accettano lavori di psicologia sociale applicata quella conoscenza non va avanti. Ci sono un sacco di
problemi nel pubblicare articoli multidisciplinari e transdisciplinari perché sono più mani a scrivere
un articolo e spesso non vengono ascoltati se non da riviste specializzate.
Se quella conoscenza non si riesce a pubblicare resta cartacce che i ricercatori hanno collezionato.
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Watson, un genio ha creato un vero e proprio movimento nella psicologia ossia il
comportamentismo che è un'importante rivoluzione della psicologia secondo la quale per
risolvere i problemi psicologici e comprenderli non dobbiamo guardare solo all'inconscio, ciò che
abbiamo rimosso ma dobbiamo guardare anche ai comportamenti della persona e modificare i
comportamenti.
John B. Watson era professore alla John Hopkins University di Baltimora ma ad un certo punto se
ne va e va a lavorare nel settore pubblicitario e inizia ad utilizzare tutti i metodi della psicologia
sociale per creare pubblicità innovative all'epoca o comunque accattivanti quindi inizia ad
applicare la psicologia sociale alla pubblicità.
Anni ‘50 e ‘60 la psicologia sociale inizia a seguire quello che stava accadendo in generale cioè
l'idea che per essere conosciuta come scienza e non come ramo della psicologia si deve definire
come disciplina scientifica quindi ritornano nel laboratorio.
Tornano nel laboratorio iniziano a rifare i loro esperimenti, preparano e vanno sul campo a
studiare cosa succede nella società.
Da lì gli psicologi sociali si sono divisi: c'è chi fa ricerca di base e chi fa ricerca applicata, difficile che
qualcuno faccia entrambi.
Negli anni ‘70 e ‘80 la psicologia sociale inizia a lavorare applicata quindi inizia a lavorare
tantissimo per le politiche pubbliche (riforma problema di giustizia, inizia a lavorare con i problemi
dell'istruzione, della salute pubblica) e sempre più assume prestigio.
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Tutt’oggi ci sono psicologi sociali anche nelle grandi aziende che sono interessati a comprendere la
psicologia delle persone e i comportamenti sociali in generale.
Gli psicologi sociali di base cercano di capire e risolvere questioni sociali quindi spiegare questioni
sociali con i metodi della psicologia sociale mentre gli psicologi sociali applicati creano programmi
sociali, agiscono per trovare risultati.
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Quindi lo psicologo sociale ha conoscenze sui concetti, modelli e teorie. Conosce le abilità della
tecnica sociale che sa come applicare per la risoluzione dei problemi.
Quindi sa fare e sa essere oltre che a sapere, questa triade devono averlo tutti i sociologi e tutti i
professionisti.
Dobbiamo sapere la teoria e quando andare ad applicarla, come ci vogliamo porre con gli altri
quando vogliamo applicare delle teorie in un contesto.
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METODI DI RICERCA
La psicologia sociale utilizza i metodi perché è una scienza non deve fare speculazioni filosofiche
sui fenomeni che studia ma deve portare prove scientifiche a supporto delle sue teorie quindi in
sostanza deve collezionare dati, analizzarli quindi per questo si avvale di un metodo scientifico.
Un interesse di ricerca in uno psicologo sociale nasce dall’osservazione di un problema oppure e
soprattutto per soldi perchè i progetti vengono finanziati; è costosissimo fare un progetto di
ricerca dall'inizio alla fine, è costoso anche pubblicare una ricerca scientifica.
Per pubblicare un articolo scientifico di una mia ricerca bisogna pagare per pubblicarlo.
Ci sono delle riviste gratuite e altre a pagamento.
Le riviste non a pagamento ci impiegano circa un anno e mezzo per fare una revisione di un
articolo, quella è una pubblicazione scientifica perché è stata revisionata da un altro gruppo di
scienziati del settore. Faccio la mia ricerca, scrivo un articolo e lo invio ad una rivista, chiedo ad
alcuni revisori che gratuitamente leggono il mio articolo, le mie teorie, le mie ipotesi, le mie analisi
dati e lo giudicano, io ricevo le revisioni e rimodifico l’articolo, questi processi di revisioni vanno
avanti diverse volte fino alla pubblicazione dell'articolo.
Se viene pubblicato su una rivista a pagamento questi processi di revisione sono molto più veloci
perché le riviste hanno un interesse economico; invece se non sono a pagamento ci mettono
molto più tempo.
Le riviste poi possono essere open accesss cioè che le possono scaricare tutti oppure possono
essere a pagamento quindi bisogna pagare per scaricarli e leggerli (magari si deve pagare anche
100 dollari).
Molto spesso le ricerche sono commissionate o sono i ricercatori che cercano finanziamenti
essendo un'idea oppure sono commissionate da altri e in quel caso la ricerca sarà su temi dati da
altri ossia dai finanziatori.
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In primo luogo dobbiamo avere una domanda di ricerca e quanto più è definita tanto più
riusciremo a trovare una risposta.
Quando siamo incerti su alcune cose, su certe domande dobbiamo cambiare la domanda e non
struggerci per cercare la risposta perché quando facciamo domande assurde le risposte non le
troviamo mai, dobbiamo fare domande specifiche e questo è vero anche nella ricerca.
Domande specifiche ci permettono di avere risposte certe, valutabili e questo è vero nella scienza.
Partiamo prima da un livello di tipo teorico. Abbiamo un livello teorico in cui ci muoviamo, in cui
abbiamo costrutti psicologici. Pensando ad esempio al questionario, quando vogliamo costruire
questionario dobbiamo costruire delle scale per misurare dei costrutti quindi partiamo da un
livello teorico per arrivare poi a un livello empirico dove possiamo misurare le relazioni che ci
interessano.
Quindi operiamo continuamente in entrambi i livelli in particolare cerchiamo anche di guardare la
relazione tra costrutti.
Lo psicologo sociale ma anche un sociologo quando si fa una domanda di ricerca fa anche delle
ipotesi su possibili risposte, mette in relazione determinati concetti, a livello teorico e poi cerca
come questi concetti in effetti si traducono in manifestazioni della realtà a livello empirico.
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Il questionario è nella fase della ricerca disegno della ricerca.
Per l'esecuzione della ricerca l'unico metodo non è il questionario ma ci sono anche interviste,
focus group, ecc. ci sono vari metodi della ricerca e il questionario è un metodo di questi, un
metodo di tipo quantitativo che raccoglie i dati numerici.
25/02/2022
Una domanda di ricerca deve riguardare il comportamento dell’individuo nella società.
Qualsiasi termine della domanda di ricerca deve essere ben specificato.
Innanzitutto la ricerca è un percorso continuo, ecco perché rappresentata come circolare. Ogni
ricerca porterà nuovi quesiti, stimolerà tanti altri desideri di chiarimenti.
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Partiamo da una domanda di ricerca, volgiamo chiarire qualcosa allora ci poniamo la domanda di
ricerca, abbiamo il desiderio di specificare quell’area di studio che volgiamo indagare.
Per prima cosa dobbiamo fare la rassegna della letteratura ovvero cercare tutto quello che prima
di noi è stato fatto, scritto scientificamente rispetto al tema indagato da noi. Ora con internet è più
semplice reperire magari cose già anche tradotte. Adesso la problematica è il proliferare immenso
di ricerca scientifica e ritrovare quelli scientifici corretti.
Su Google Scholar si trovano tutti gli articoli scientifici accreditati, raccoglie solo documenti
scientifici pubblicati su riviste accreditate.
Indice H sono il numero di pubblicazioni; in media per un professore ordinario di psicologia sociale
in Italia varia tra 14 e 15 pubblicazioni.
Si ritengono attendibili le fonti degli ultimi 8-10 anni normalmente a meno che non stiamo citando
una teoria o uno studio empirico importantissimo magari uno dei primi studi di un tema.
Dopo iniziamo a costruire la metodologia d’indagine, facciamo proprio una pianificazione di quello
che volgiano fare dopodiché partiamo con la ricerca, raccogliamo i dati per poi pubblicare un
report finale.
La prima fase è l’esplorazione quindi presentiamo una domanda di ricerca. Su un tema ci possono
essere più domande di ricerca specialmente se sono specifiche, es. la criminalità nei giovani può
essere descritta con più domande di ricerca tra i giovani.
Mettiamo giù le domande e cerchiamo nella rassegna della letteratura se quella domanda non è
già stata studiata, in quel caso si studiano quegli studiosi e li si contattano per lavorare insieme.
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Innanzitutto dobbiamo scoprire cosa è già stato detto, rilevare lo stato attuale di conoscenze nel
settore di indagine. Poi dobbiamo raccogliere molti articoli scientifici e gli autori che più hanno
parlato di quelle tematiche.
Un concetto può essere definito in tanti modi a secondo della teoria di riferimento. Soprattutto in
psicologia sociale per spiegare i comportamenti degli aspetti cognitivi si usano spesso più teorie
non sempre coerenti tra loro perché essendo fenomeni non osservabili (atteggiamenti, percezione
del rischio, emotività) quindi i ricercatori negli anni hanno sviluppato delle spiegazioni teoriche
diverse e hanno raccolto dati che le supportassero, abbiamo tante teorie e ogni teoria definirà il
concetto in maniera specifica noi dobbiamo cercare la teoria che ci è più utile per la nostra
domanda.
Dobbiamo poi vedere cosa manca, cosa ancora non è stato detto. Tutte le domande che ci
facciamo sono già state studiate, noi dobbiamo cercare cosa manca (es. un tema è stato studiato
in un paese ma non in un altro).
Ci può essere anche un adattamento temporale, vedere se negli anni le teorie tengono o vanno
aggiornate/cambiate.
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Il costrutto è una definizione teorica di un fenomeno es. come definire in modo teorico
l’aggressività. In basse alla prospettiva teorica che assumiamo il costrutto cambia quindi noi
dobbiamo individuare il costrutto teorico che è più corretto per la nostra ricerca.
Dopodiché iniziamo a disegnare la nostra ricerca, si può proprio disegnare creando mappe (dove
inizio, cosa faccio, quali sono gli obbiettivi a medio lungo termine e mi stabilisco anche le scadenze
temporali).
La prima cosa che facciamo è operazionalizzare i costrutti in varabili, formuliamo delle ipotesi
quindi trasformiamo domande di ricerca in ipotesi e poi definiamo la strategia di campionamento
cioè come raccogliamo i nostri dati, su chi, su quali persone.
L’operazionalizzazione dei costrutti in una variabile vuol dire trovare il modo per misurare un
costrutto. Ad esempio il comportamento aggressivo lo possiamo misurare con azioni violente tipo
il numero di percosse o attacchi verbali. Definiamo tutti i comportamenti che per noi sono una
misurazione di quell’aggressività. Quindi stiamo operazionalizzando il nostro costrutto teorico
dell’aggressività in qualcosa di misurabile.
Tutto ciò che è misurabile è una variabile.
La cosa importante è vedere come misurare i costrutti teorici.
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La cosa dei costrutti teorici più semplice da misurare sono i fenomeni tutti umani che non possono
essere misurati ma solo osservati attraverso indici esterni.
Variabile misurabile vuol dire che possono essere raccolti dati su quella variabile.
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Abbiamo tanti tipi di variabile che possono essere categorizzati diversamente a seconda che
prendiamo in considerazione l’oggetto della misurazione o i livelli di misurabilità, quanto quella
variabile può essere misurata numericamente. Alcune variabili possono essere misurate in
maniera molto precisa numericamente mentre alte no.
La variabile comportamentale è la misurazione del comportamento delle persone.
Variabile soggettiva è la misurazione degli stati psicologici della persona (es. comportamenti,
emozioni, percezioni sociali)
Poi abbiamo diversi tipi di variabili a seconda del livello di misurabilità.
Significa che possiamo misurare quel costrutto solo facendo riferimento a categorie, vedere la
presenza o assenza di quel genere (es. presenza o assenza del genere maschio).
Questi livelli possiamo dare un numero ma sono numeri solo rappresentati di quella categoria.
Sono sempre costrutti misurabili guardando alle categorie che compongono quel costrutto ma qui
le categorie possono essere ordinate. Si va da un livello più basso a uno più alto, possiamo
organizzarle gerarchicamente.
Una variabile ordinale può essere trasformata in una categoriale, cioè possiamo definire il livello di
istruzione in termini si/no, in questo caso stiamo utilizzando una variabile dicotomica.
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Variabili numeriche, misurare con numeri. Il numero non è più simbolicamente una categoria ma
rappresenta una quantità. Però non c’è lo zero assoluto, non c’è l’assenza della categoria (es. lo
zero in temperatura rappresenta qualcosa e non l’assenza della proprietà), non possiamo dire che
40 gradi è il doppio di 20.
Qui lo zero vale come assenza di categoria, inoltre qui si assumono anche tutti i decimali (peso,
altezza).
Ogni operazione matematica può essere applicata mentre in quelle non nominali si possono fare
solo somma e sottrazione.
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Adesso dobbiamo trasformare la domanda di ricerca in un’ipotesi.
Un’ipotesi è una trasformazione della domanda di ricerca in una relazione tra variabili
misurabili.
Quando facciamo la domanda di ricerca, quello che stiamo facendo è una proposizione cioè stiamo
ponendo una relazione tra costrutti.
Quando i costrutti diventano misurabili allora stiamo ponendo relazioni tra variabili e quindi
abbiamo delle ipotesi specifiche.
Quando poniamo la domanda di ricerca generiamo anche delle aspettative. Noi dobbiamo cercare
di dare già una risposta a quella domanda di ricerca perché è quella che dobbiamo indagare
altrimenti ci muoveremmo sempre in ricerche descrittive che serviranno più a definire quello che
vogliamo studiare rispetto a darci delle risposte che è quello che vogliamo noi. Quindi dobbiamo
partire dal verificare se le risposte sono attendibili o no.
Quando i costrutti sono trasformati in variabili abbiamo relazioni tra variabili.
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La variabile indipendente è la causa di quello che osserviamo.
Noi in laboratorio possiamo manipolare tantissimi aspetti della realtà es. possiamo indurre
emozioni. Alcune variabili indipendenti che causano effetti però non li possiamo modificare o per
etica o proprio per impedimenti fisici (es. non posso cambiare il genere di una persona per un
esperimento).
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La variabile interveniente interferisce o oscura addirittura la relazione tra le due variabili
dipendenti e indipendenti.
Variabili che noi non ci aspettiamo siano la causa quindi che causino il variabile della variabile
indipendente ma che comunque hanno un ruolo nella loro relazione.
Le variabili intervenienti possono essere di diversa natura, possono essere variabili che non
abbiamo controllato cioè misurato oppure possono essere variabili cha abbiamo misurato e ci
aspettiamo che abbiano questo ruolo.
Ad esempio possiamo dire che l'intelligenza determina lo stipendio medio delle persone quindi
faccio il test del quoziente intellettivo e poi gli chiedo cosa guadagnano. Questa è una relazione
causale di causa-effetto. Ma non è così diretta questa relazione ci sono tante variabili. Questo è
molto importante perché se noi non consideriamo tutte le variabili che entrano in gioco in questa
relazione, le risposte che troviamo, i dati che raccogliamo sono fallaci, errati perché non tengono
conto di variabili che spiegherebbero molto di più lo stipendio finale delle persone.
Allora andiamo a considerare il ruolo di altre variabili.
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Consideriamo ad esempio il ruolo del risultato accademico; questa è una variabile interveniente
perché si colloca in mezzo a questa relazione e per il fatto che si colloca in mezzo viene definita
variabile mediatrice.
La variabile mediatrice per sua natura è causata dalla variabile indipendente e a sua volta causa la
variabile dipendente finale del mio modello di ricerca.
Nei disegni di ricerca può non esserci la variabile mediatrice ma quando c’è ha sempre questo
ruolo, è sempre causata dalla variabile indipendente ed è causa della variabile dipendente quindi
se noi non la osserviamo la relazione diretta che osserviamo è fallace.
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Esempio 1: la vita sedentaria o il livello di attività motoria può determinare delle problematiche
cardiache quindi la variabile indipendente è la vita sedentaria mentre la variabile dipendente è
patologia cardiaca.
Un possibile mediatore cioè cosa l'attività fisica può causare all'essere umano che può ridurre il
rischio della patologia cardiaca potrebbe essere un aspetto fisiologico che dovremmo trovare
magari ad esempio potremmo dire che fare attività fisica fortifica il funzionamento delle arterie
quindi riduco la possibilità di avere un infarto, questa è una variabile mediatrice.
La variabile moderatrice in questo caso sarebbe ad esempio aspetti climatici, ambientali ad
esempio io posso avere una patologia cardiaca perché c'è un'influenza interveniente come ad
esempio vivo in un paese dove piove tutti i giorni quindi non posso mai andare a fare la mia corsa
all'aria aperta e questo influenzerà il mio fare attività fisica.
Esempio 2: voglio sapere se la mia pubblicità è efficace oppure no nel far vendere un prodotto.
Decido di fare due pubblicità: una razionale e una emotiva.
In quella razionale spiego che se compri il mio prodotto migliorerai la funzione cardiaca, bla bla
bla; in quella emotiva dico se ti comprerai il mio prodotto sarai strafigo, faccio vedere tutte le
donne intorno all’uomo che sta usando il mio prodotto, creo una situazione molto emotiva.
Quindi ho creato una variabile indipendente la pubblicità a due livelli razionali ed emotiva.
L’output, la variabile dipendente è se hanno comprato il mio prodotto.
La variabile moderatrice potrebbe essere le persone quante volte sono state esposte a questa
pubblicità (variabili contestuali) semplicemente perché magari l'ho messa nei monitor della metro
e tante persone non prendono la metro. Posso usare altre variabili moderatrici come aspetti
psicologici cioè la pubblicità razionale come ha fatto percepire il prodotto, come l’ha fatto valutare
e come lo ha fatto valutare la variabile emotiva perché il fatto che io ho comprato realmente quel
prodotto non deriva soltanto dal fatto che me l'ha detto una pubblicità ma dall'interpretazione
cognitiva che io ho fatto di quella pubblicità.
Quindi la valutazione del consumatore di quelle pubblicità sarà la variabile mediatrice.
1/03/2022
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Un’altra scelta fondamentale è quella del metodo che deriva anche dagli obbiettivi che ci siamo
posti e dalla teoria che abbiamo trovato in letteratura.
I ricercatori si differenziano in termini di quale metodo usano, alcuni ricercatori usano
prevalentemente dei metodi mentre altri ne selezionano solo alcuni e altri li usano tutti in base
alla domanda di ricerca.
Due metodi prevalentemente: quantitativo e qualitativo
Quantitativo → basato sulla raccolta di dati numerici (es. questionario)
Qualitativo → Quando non sappiamo nulla di quel fenomeno su quella ricerca dobbiamo avere un
approccio più descrittivo, osservare il fenomeno per definire noi una teoria e costrutti
fondamentali per spiegare quel fenomeno, abbiamo quindi dati descrittivi (es. intervista quando
applichiamo il metodo dell’osservazione).
Si possono adottare anche entrambi i metodi contemporaneamente. Se abbiamo in mente un
grande processo di ricerca-azione cioè vogliamo capire un fenomeno, vogliamo trovare delle
risposte per modificare quel fenomeno possiamo decider di strutturare il nostro metodo di ricerca
partendo da un metodo qualitativo quindi ad esempio con focus group, interviste per poi andare a
definire quali sono gli aspetti più salienti e trasformare quelle informazioni che abbiamo raccolto
in domande di un questionario.
Il metodo quantitativo ci permette di raccogliere dati su larga scala cosa che il metodo qualitativo
non ci consente. Il metodo quantitativo è più semplice per applicare gli strumenti su larga scala.
L’analisi quantitativa si basa sull’utilizzo della statistica ed è relativamente più veloce.
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Metodo scelto in base ai nostri obbiettivi e quindi in particolare al disegno di ricerca posto da noi.
- descrittivo → mira a descrivere un fenomeno, iniziare a studiarlo perchè magari non
conosciamo nulla di quel fenomeno. Un esempio è lo studio di caso. Oppure se siamo
interessati a come un’azienda sta applicando politiche green, faremo un report che
descriverà come sta dottando l’innovazione green l’azienda. Quindi è un disegno di ricerca
descrittivo perché sta proprio descrivendo quello che osserviamo, quello che accade.
Poi ci sono i disegni di ricerca correlazionali e sperimentari che sono entrambi quantitativi perchè
si basano sull’analisi di dati numerici.
- correlazionale lo abbiamo quando sappiamo che alcuni fenomeni, aspetti sociali si
presentano insieme, sono associati ma non sappiamo se hanno tra loro un rapporto
causale, non sappiamo definire se un fenomeno è la causa di un altro fenomeno che sarà
l’effetto ma guardiamo solo l’associazione tra variabili.
Correlazione è il termine chiave che significa che al crescere di un fenomeno cresce un
altro fenomeno o al decrescere di un fenomeno un altro fenomeno decresce quindi
correlazione direttamente proporzionale o inversamente proporzionale ma in questo caso
correlazione non è causa-azione perché una variabile non determina l’altra, non c’è
relazione causale ma sono semplicemente associate (es. numero scarpa e taglia jeans).
- sperimentale quando sappiano o ipotizziamo che c’è una relazione causale tra due variabili
dobbiamo applicare un disegno di ricerca sperimentale cioè dobbiamo definire bene qual è
la variabile indipendente, dipendente e le variabili intervenienti. Condurremo ricerche in
laboratorio o faremo interventi dove esponiamo le persone a determinati stimoli e ne
misuriamo gli effetti perché se vogliamo testare una relazione causale tra variabili vuol dire
che possiamo poter manipolare la nostra variabile indipendente per vedere quanto causa
al variare della variabile dipendente. Se non possiamo manipolarla dobbiamo osservare il
suo variare in contesti controllati.
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Possiamo avere veri esperimenti (possiamo manipolare almeno una delle variabili indipendenti) o
quasi esperimenti.
Veri esperimenti → Assegniamo quindi i partecipanti a condizioni diverse. Nei disegni sperimentali
ci si avvale di più gruppi che vengono esposti a condizioni diverse, un gruppo (o più di uno) detto
sperimentale viene esposto a determinati stimoli e il gruppo di controllo che non riceve questi
stimoli per poter osservare il variare della nostra variabile dipendente soltanto nel gruppo
sperimentale, il gruppo non sottoposto ad alcun stimolo non dovrebbe presentare differenze nel
tempo, non dovrebbe cambiare nel tempo o comunque il gruppo sperimentale deve mostrare
variazioni prima e dopo l’esposizione. Questo è il senso del vero esperimento.
Quasi esperimenti → non manipoliamo la variabile indipendente ma creiamo diversi gruppi nei
quali osserveremo un livello della variabile indipendente (es. gruppi diversi a seconda di quanto si
è esposti ad un certo tema, domanda precedente alla suddivisione in anonimato per capire qual è
il livello di esposizione ad esempio a contenuti pornografici).
Qualsiasi ricerca deve avere il consenso etico di commissioni di ricerca strutturate apposta.
Per testare ad esempio l’ipotesi del perché i tatuaggi hanno una connotazione così negativa oggi
trasformiamo la domanda in un’ipotesi “i tatuaggi generano un pregiudizio nelle persone”. Per
poter testare questa ipotesi possiamo fare che un gruppo di lavoratori che si occupano di
assunzione del personale conduca un colloquio con una persona molto preparata ma con tatuaggi
in vista, un altro gruppo che deve essere omogeneo all’altro gruppo deve fare i colloqui con una
persona uguale all’altra ma senza tatuaggi evidenti oppure la stessa persona senza tatuaggi
evidenti e vediamo quanto varia il giudizio che hanno.
Nei tratti non modificabili etici o fisici (altezza, peso, genere, ecc.) useremo i quasi esperimenti.
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d’archivio è comodissima perché non c’è tutto il lavoro di raccolta di dati ma ci sono dei limiti
perché questi dati sono stati raccolti partendo da domande di ricerca diverse e quindi magari
hanno raccolto solo una parte dei dati che ci serviva oppure hanno misurato quelle variabili in un
modo che non rappresentata tanto la descrizione, la definizione, l’operazionalizzazione che
abbiamo fatto noi di quel costrutto teorico.
Studi di caso quando approfondiamo un evento. Es. in psicologia clinica si fa tantissimo studio di
caso quando ci sono pazienti con patologie psichiatriche molto particolari (es. film su quella
persona con 13 tipi personalità).
Possiamo fare analisi del discorso quando analizziamo il linguaggio naturale delle persone per
poterne comprendere ad esempio le emozioni, ad esempio possiamo decidere di andare ad
ascoltare un gruppo di persone che parlano di un argomento, li ascoltiamo, sbobiniamo tutto il
loro discorso e cerchiamo di capire come hanno utilizzato delle determinate parole per esprimere
delle determinate emozioni, determinati concetti, ecc.
Ricerca basata sull’inchiesta quindi interviste.
Ricerca sul campo che di solito è di tipo osservazionale, vado nel contesto che mi interessa e
osservo il comportamento delle persone (tutti i documentari sono ricerche sul campo).
Stiamo ancora pensando di iniziare una ricerca, non siamo ancora convinti di volerla fare.
Dobbiamo decidere l’unità di analisi, il bersaglio dell’indagine, possono essere persone, gruppi o
oggetti.
persone vuol dire decido di studiare ad esempio l'abbandono scolastico e intervisto o
preparo questionari, quindi uso un metodo quantitativo, per indagare gli atteggiamenti e le
percezioni degli insegnanti nei confronti dell'abbandono scolastico; quindi raccolgo dati
sulle singole insegnanti.
gruppo posso raccogliere dati e anche di gruppo ad esempio nelle aziende, posso andare a
studiare il comportamento di un team, osservarlo, analizzarlo quindi analizzo il team in
generale non le singole persone che lo compongono.
oggetto quando magari voglio studiare l’effetto del sito web , per esempio devo
commercializzare qualcosa e voglio vedere l'effetto di quel sito o magari ho varie versioni e
devo decidere quale funziona di più. Esporrò quel sito a un gruppo di persone ma l’oggetto
di studio non sono le persone a cui sottopongo le versioni ma è l'effetto del mio sito, quindi
è un oggetto al bersaglio dell'indagine.
Quando facciamo l’unità di analisi dobbiamo definire anche come raccogliere i dati, ci sono varie
strategie di campionamento. Dobbiamo decidere come raccogliere i nostri dati ovvero come
raccogliere un campione che sia rappresentativo della popolazione che andiamo a studiare,
quanto più è rappresentativo della popolazione tanto più la ricerca è precisa.
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Un esempio è il campionamento a valanga vuol dire che non faccio un
preciso calcolo delle persone che mi servono in termini di genere, età,
orientamento religioso, orientamento politico, reddito, ecc. quindi
non creo un campione rappresentativo ma semplicemente chiedo alle
persone che conosco di chiedere ad altre persone che conoscono e
così via di compilare il mio questionario. Quindi raccoglierò dati che
però non saranno rappresentativi.
Dopo tutto creiamo la nostra proposta di ricerca che deve essere
finanziata e deve ricevere il consenso etico e affinché possa avere il
consenso deve essere scritta nel dettaglio tutta la ricerca. Questione
etica vuole, ancora prima che siamo stati finanziati, che abbiamo
iniziato, che abbiamo definito la domanda di ricerca e le ipotesi avendo fatto un'ottima rassegna
della letteratura, abbiamo definito come misurare le nostre variabili, abbiamo definito il metodo
della strategia di campionamento, facciamo questa proposta che deve essere approvata, cioè
ricevere il consenso etico.
Una volta scritto il report finale devo fare in modo che sia letto, deve arrivare quello che ho
scoperto a quante più persone possibili soprattutto alla comunità scientifica di riferimento
(disseminazione scientifica) ma anche divulgazione scientifica quando cerco di farlo arrivare a
persone che non fanno parte di quella comunità scientifica.
I report si possono fare scrivendo articoli scientifici, capitoli di libro, libri, articoli divulgativi, anche
articoli su un blog, ecc.
IL METODO SCIENTIFICO
Aspetti fondamentali della ricerca
specialmente di quella di tipo quantitativo.
Questo studiato finora è tutto così
fondamentale perché se la psicologia, e poi
quella sociale di conseguenza, vuole essere
definita come scienza e quindi non come
una disciplina teorica deve raccogliere dati
sperimentali scientifici e per farlo deve
ovviamente seguire tutti i criteri
importanti della ricerca sperimentale e
scientifica.
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La psicologia in particolare deve soddisfare quattro caratteristiche fondamentali: precisione,
falsicabilità, parsimonia, replicabilità.
I costrutti devono essere precisi, definiti in modo molto attento perché altre persone quando
leggono il report o se vogliono replicare la nostra ricerca nei loro contesti devono poter capire i
nostri costrutti teorici.
Il fatto che siano definiti in modo preciso facendo riferimento alla teoria di riferimento ci permette
di avere la validità di costrutto che si riferisce alla corrispondenza tra il piano di ricerca e la teoria
di riferimento cioè una ricerca è valida e ha validità di costrutto quando possiamo escludere
qualsiasi tipo di spiegazione alternativa alla nostra cioè quando la nostra spiegazione di quel
costrutto è l’unica plausibile, per questo è importante fare una buona rassegna della letteratura al
fine di arrivare a una definizione molto precisa del costrutto che possa essere anche riutilizzata da
altri o che comunque non sia soggetta a critiche.
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andare a misurare tutte e cinque le dimensioni di personalità proposte dal modello altrimenti non
abbiamo validità di costrutto.
Un altro problema che possiamo riscontrare è
l’ambiguità delle variabili indipendenti se abbiamo
soprattutto un esperimento e dobbiamo definire quali
sono le variabili indipendenti e dipendenti se facciamo
un errore nella definizione (per esempio non teniamo
conto di variabili intervenienti o selezioniamo variabili
indipendenti che non causano in realtà quello che
stiamo osservando) abbiamo un problema di validità
di costrutto, anche quando andiamo a manipolare la
variabile indipendente dobbiamo essere sicuri che
stiamo andando a osservare tutti i possibili livelli di
quella variabile indipendente.
Per tutelarci da queste minacce facciamo uno studio pilota e controlliamo che la nostra
misurazione, operazionalizzazione dei costrutti sia adeguata.
Qualsiasi teoria che non può essere confutata con dati sperimentali non è una teoria scientifica,
non produce una conoscenza scientifica es. teorie marxiste o freudiane non possono essere
testate scientificamente quindi non sono teorie scientifiche perchè non sono confutabili.
La falsicabilità si riferisce alla misura con la quale una teoria è confutabile, può essere
disconfermata; se una teoria non può essere disconfermata scientificamente non è una teoria
scientifica.
Es. le superstizioni, il malocchio non possono essere provate scientificamente. Anche l’astrologia
non è dimostrabile scientificamente.
Oltre agli aspetti che sono al di fuori dello sperimentatore e del soggetto che viene incluso nella
nostra ricerca, la validità interna può essere anche minacciata da alcune caratteristiche proprie dei
soggetti che stiamo includendo nella nostra ricerca.
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- effetto Hawthorne quando le persone sanno di essere osservate, sanno di essere in un
ambito di ricerca sono più produttive quindi cambiano il loro comportamento.
- acquiescenza è un problema dovuto al soggetto sperimentale; soprattutto quando il livello
di istruzione è basso o il soggetto pensa che il ricercatore ne sappia di più su un argomento
tenderà ad affermare sempre d’accordo nei nostri riguardi. Ecco perché nei questionari si
cerca di bilanciare le richieste di accordo con quelle di disaccordo quindi si cerca di
strutturare la frase sia in termini di conferma che di disconferma. Acquiescenza è la
tendenza a dire sempre di sì.
- desiderabilità sociale quando i soggetti rispondono ai questionari, partecipano ai nostri
interventi tendano a mostrare i lati (atteggiamenti, comportamenti, credenze, emozioni)
accettabili socialmente soprattutto quando si sanno che le risposte non sono anonime.
Questo è uno dei problemi più importanti soprattutto sui questionari della personalità.
- caratteristiche della richiesta a volte i soggetti rispondono alle domande in base al modo in
cui sono poste le domande quindi le richieste devono essere il più neutre possibili per
evitare che il soggetto ne sia influenzato.
- conoscenze del soggetto, le conoscenze pregresse fono fondamentali e vanno sempre
indagate, chieste.
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Per tutelarci da questi errori innanzitutto ci sono
due tecniche che ci tutelano già da parecchio:
la prima è il singolo cieco cioè non si informano
le persone oggetto di ricerca degli obbiettivi che
abbiamo, gli diciamo tutt’altro rispetto al nostro
vero obbiettivo di ricerca. L’etica lo approva
quando non è nocivo per il partecipante e
sempre a fine ricerca dobbiamo informare la
persona del nostro reale obbiettivo di ricerca.
Nel questionario questo si può fare inserendo delle domande che non sono relative al nostro
oggetto di indagine.
La seconda tecnica è fare il doppio cieco cioè né lo sperimentatore né il soggetto sperimentale
conoscono l’obbiettivo della ricerca. In questo caso lo sperimentatore non è quello che ha ideato
la ricerca semplicemente il ricercatore chiede ai colleghi e collaboratori di fare le interviste con
una scaletta che ha creato ma non dice l’obbiettivo vero di indagine neanche ai collaboratori.
Tante volte possiamo aver tante spiegazioni dei fenomeni, mettere insieme tantissime variabili,
quello che dobbiamo tendere a fare come ricercatori è accettare la teoria più semplice, meglio
spiegare un fenomeno con una teoria
semplice che arrovellarsi in teorie
complesse (questo è alla base di tutte le
scienze).
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significative tra costrutti per poter comunque raccontare una storia questo fa si che la ricerca
abbia minore validità statistica.
Poi abbiamo anche la grandezza del nostro campione, un campione troppo piccolo ci porterà a
rifiutare le nostre ipotesi con maggiore probabilità di un campione grande.
Se volgiamo validare uno strumento cioè validiamo noi un questionario e vogliamo validarlo quindi
vogliamo inventare un modo per misurare un costrutto nuovo in quel caso abbiamo bisogno di
almeno 10 persone ad item.
Per fare una ricerca dobbiamo assolutamente guardare alla numerosità campionaria.
Validità esterna cioè quanto quello che osservo può essere esteso alla popolazione, ad altre
popolazione, ad altri contesti, in altri momenti. Se la ricerca che ho fatto mi rappresenta solo il
momento esatto non posso generalizzarla quindi mi descriverà solo quello accaduto in quel
momento con quelle persone e non mi servirà per trarre conclusioni, deduzioni su larga scala
quindi è importante che la ricerca si possa generalizzare a più persone (validità di popolazione), a
più tempi (validità temporale) e a più contesti (validità ecologica).
Validità ecologica vuol dire che quello che osservo in laboratorio è quello che osserverei nella
realtà circostante.
Validità delle persone deriva dal fatto che se
raccolgo dati in Italia posso estendere quei dati che
ho raccolto in altre popolazioni.
Gli strumenti utilizzati sono fondamentali per questo
poi la validità di costrutto perché se un cinese vuole
ripetere la ricerca che ho fatto io in Italia e deve
tradurre il mio progetto di ricerca deve capire i miei
costrutti teorici e il modo in cui li ho misurati per
replicare la mia ricerca.
Ancora è importante la numerosità del campione e
bisogna tenere conto delle variazioni del campione
sia stagionali che cicliche, questo vale molto per la
validità temporale.
Le variazioni cicliche sono variazioni ricorrenti nel tempo e delle quali bisogna tenere conto,
riguardano anche l’organismo umano e poi anche le variazioni personologiche.
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Per far si che la mia ricerca sia generalizzabile e abbia validità esterna devo poterla ripetere con
tanti soggetti in tanti contesti e in tanti momenti.
Tanto più la ricerca sarà ecologica tanto meno avrà validità interna (basata sul rapporto causale tra
variabile indipendente e variabile dipendente). Posso osservare bene questa relazione nei contesti
di laboratorio dove controllo tutte le variabili intervenienti, il contesto di laboratorio però
nonostante mi garantirà una grande validità interna mi farà osservare quel fenomeno in un
contesto fittizio che non rappresenta la realtà quindi quando poi andrò a fare le stesse misurazioni
nella realtà troverò dei risultati probabilmente diversi; se faccio osservazioni nella realtà avrò
tanta validità ecologica perché quello che osservo rappresenta veramente la realtà che voglio
studiare ma non avrò tanta validità interna perchè non posso controllare tutte le variabili
intervenienti.
2/03/2022
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Adesione su blackboard per questionario
Compilazione questionario entro il 4 marzo
IL PENSIERO SOCIALE
È la base per capire la psicologia sociale e il comportamento sociale
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Pilastri del pensiero sociale:
1. Come formiamo le impressioni sugli altri
2. Come creiamo schemi e categorie sulla realtà
3. Come elaboriamo le informazioni, in particolare come utilizziamo la nostra memoria
4. Come creiamo delle inferenze sociali
5. Come attribuiamo in particolare attribuiamo delle cause specifiche agli eventi e al
comportamento degli altri
6. Quali sono gli errori tipici di ragionamento che facciamo quando cerchiamo di spiegare la
realtà sociale
Vedremo quindi studiando il pensiero sociale quanto alla nostra mente è capace di modificare,
reinterpretare a volte in maniera anche non accurata la realtà. Questa parte di studio ci farà capire
quanti errori facciamo in sostanza nella quotidianità.
1. Le impressioni
La cognizione sociale molto spesso il termine cognizione viene spesso confuso con il concetto
pensiero, nel linguaggio comune usiamo cognizione, processi cognitivi per intendere i processi di
pensiero, le attività mentali ma il pensiero riguarda il linguaggio interiore mentre la cognizione
sociale sono processi mentali spesso
inconsci. Il dialogo interiore quindi il
pensiero è consapevole, è automatico
quindi va avanti da sé ma se noi ci
fermiamo possiamo identificarli mentre le
condizioni sono molto spesso inconsce e
per essere riconosciute bisogna fare uno
sforzo cognitivo molto importante.
La condizione sociale è l'attività mentale
attraverso cui elaboriamo la realtà
circostante e anche i processi attraverso cui
memorizziamo le informazioni percettive
cioè quelle che derivano dalla realtà.
La cognizione sociale è importante perché il
modo in cui elaboriamo le informazioni della realtà, diamo senso alla realtà e memorizziamo la
realtà influenza il nostro comportamento.
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La cognizione sociale la possiamo misurare avvalendoci di surrogati quindi la deduciamo.
Gli psicologi sociali quando hanno iniziato a studiare la cognizione sociale, che è proprio un
approccio della psicologia sociale, hanno definito l’essere umano come un elaboratore di
informazioni.
Noi non elaboriamo le informazioni come ci vengono presentate dalla realtà ma le rielaboriamo, le
reinterpretiamo come se fosse la conoscenza sociale un compromesso tra ciò che è vero, la realtà,
e il modo in cui noi ricostruiamo queste realtà.
Noi guardiamo parti di realtà e da quelle parti cerchiamo di capire cosa succede intorno a noi . La
percezione umana non riproduce
la realtà esterna ma la
ricostruisce.
I tratti vengono gerarchizzati in ordine di importanza, alcuni sono centrali cioè influenzano in
maniera sproporzionata la nostra creazione dell'impressione e poi ci sono i tratti periferici che
hanno un'influenza poco significativa.
Quindi innanzitutto nella nostra mente abbiamo una gerarchia di tratti, di personalità e li
mettiamo in relazione tra loro e il modo in cui li mettiamo in relazione tra loro genera la nostra
impressione.
L’intelligenza è un tratto periferico perché viene colorato con un giudizio positivo o negativo in
base ad altri tratti della persona, se quella persona è fredda o calorosa (socievole, estroversa,
umana).
Se il tratto centrale della freddezza si presenta con il tratto periferico dell’intelligenza
l’impressione che abbiamo di quella persona sarà che è un cinico calcolatore quindi il giudizio sarà
molto probabilmente negativo. Se lo stesso tratto di intelligenza viene percepito con il tratto
calore umano, la persona viene percepita come saggia. Quindi è fondamentale il contesto in cui
siamo.
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Costrutti personali come creiamo convenzioni sugli altri e noi stessi.
Idiosincratiche, idioma vuol dire unico, speciale, specifico quindi idiosincratico vuol dire
estremamente personale e soggettivo. Quindi ci creiamo delle impressioni sull'altro creando
costrutti personali che sono appunto delle convinzioni idiosincratiche durature che una volta che ci
creiamo un'impressione è difficile che la cambiamo. Questi costrutti personali li applichiamo a tutti
e sono specificii della nostra personalità e sulla base di questi costrutti personali, convinzioni
personali creiamo delle teorie implicite di personalità, implicite perché sono spesso inconsapevoli
nell’individuo. L'individuo, di base se non ci pensa, ragiona, non sa dire il perchè si crea nelle
impressioni sull'altro.
Gli schemi di ruolo riguardano gruppi di persone che condividono ruoli sociali. Gli schemi di ruolo
sono strutture conoscitive che riguardano chi ricopre un determinato ruolo. Anche questi schemi
di ruolo generanno aspettative.
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Gli schemi di ruolo benché siano molto
personali sono condivisi nella società, gli
schemi di persone sono possono essere simili
perché possono essere influenzati ma gli
schemi di ruolo sono prevalentemente
influenzati dalla società. Quando questi
schemi sono molto condivisi nella società
sono definiti stereotipi sociali.
Schema di sé, gli schemi di sé molto complessi, molto più dettagliati degli altri.
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Per ogni categoria selezioniamo un prototipo ossia un elemento di questa categoria che ha per noi
tutte le caratteristiche più tipiche, più ideali, più comuni.
Oltre al prototipo ci sono gli esemplari che sono proprio specifici. Gli esemplari sono molto più
definiti, specifici spesso talvolta anche associati a delle immagini mentali.
Il prototipo sono tutte le sedie con seduta, schienale e quattro gambe; gli esemplari invece è
proprio quell’immagine che io ho della sedia, o quello molto molto comune o è quello più tipico.
Stereotipi quando gli schemi associati a delle categorie sono condivisi socialmente dalla
maggioranza delle persone, immagini
semplificate dei membri di un
gruppo, ampiamente condivise e
semplificate.
Soprattutto abbiamo stereotipi sul
nostro gruppo di appartenenza
(famiglia, amici, appartenenza
religiosa, squadra sportiva, ossia le
piccole comunità con cui abbiamo
comunemente a che fare).
Ma soprattutto abbiamo degli schemi
semplificati che condividiamo nel
nostro gruppo sull’outgroup e questo
porta innanzitutto ad estremizzare le
somiglianze all'interno del nostro
gruppo di appartenenza e percepire quelli degli outgroup molto dissimili da noi. Questo perché noi
abbiamo bisogno di fare categorie quanto più nette possibili per ragionare in maniera veloce.
Quando preferiamo l’ingroup quindi attribuiamo tutti i dati positivi al nostro gruppo e tutti i tratti
negativi all’outgroup stiamo definendo una prospettiva etnocentrica.
Gli stereotipi non sono per loro natura né positivi né negativi però possono avere delle
connotazioni positive o negative.
Creiamo e usiamo lo stereotipo perché abbiamo bisogno di scorciatoie cognitive veloci per
sopravvivere. Gli stereotipi difficilmente cambiano, sono acquisiti fin dall’infanzia.
4/03/2021
Noi tendiamo a categorizzare le persona più in base a categorie di media ampiezza come gli
stereotipi o gli schemi di ruolo rispetto a categorie più ristrette come tratti di personalità ma ci
sono situazioni in cui questo può portare a errori che ci farebbero sentire poi in difficoltà ad
esempio se dobbiamo giudicare una persona tendiamo a farlo sempre sulla base di stereotipi ma
se quelli sono prevalentemente negativi non esprimeremo quel giudizio che viene da quella
categoria media per non offendere l’altra persona perché l’offesa all’altro ci farebbe in qualche
modo sentire a disagio. Quindi tendiamo a essere più accurati quando temiamo che la nostra
inaccuratezza possa comportare delle conseguenze negative.
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La categoria donna è l’ampiezza
grande, l’ampiezza media è il ruolo
sociale, professore di sesso
femminile magari anche napoletana
è la categoria di ampiezza piccola.
Distinzione ottimale: le persone si
sforzano di raggiungere un equilibrio
tra spinte opposte tendenti
all’inclusione in una categoria e alla
distinzione tra categorie.
55
Ci focalizzeremo su come ricordiamo il mondo sociale
Innanzitutto se qualcosa entra nella nostra mente è perché ha attratto la nostra attenzione quindi
il primo step è l’attenzione, rivolgiamo la nostra attenzione cognitiva verso un imput esterno che ci
motiva ad elaborarlo, dopodiché lo codifichiamo nella nostra mente cioè lo inseriamo all’interno di
una categoria oppure attiviamo lo schema.
Quando soprattutto siamo di fronte a informazioni nuove o discoranti dobbiamo organizzarle e
riorganizzarle nella nostra mente, sia la codifica che l’organizzazione si basa su un tipo di memoria.
Quindi tutto questo avviene grazie all’attivazione della memoria.
Quello che abbiamo nella nostra mente può essere anche ricordato, abbiamo vari tipi di ricordo,
c’è il ricordo spontaneo quando all’improvviso abbiamo un flashback della nostra infanzia,
abbiamo anche un ricordo volontario quando cerchiamo di memorizzare qualcosa, di ricordare
qualcosa proprio prestando attenzione e mettendo in atto uno sforzo cognitivo per poterlo
ricordare tipo quando cerchiamo di ripetere quello che abbiamo studiato.
Ognuna di queste fasi dell’elaborazione delle informazione così descritte dal modello a tre stadi o
modello stadiale, proprio perché differenzia questo processo in tre momenti, hanno delle
caratteristiche specifiche ad esempio per poter codificare un oggetto dobbiamo considerare
quanto quell’oggetto è presente nella nostra mente in categorie o schemi e quanto velocemente
la nostra mente riesce ad accedere a quello schema a quella categoria per spiegare quell’oggetto.
L’accessibilità si basa su scopo, frequenza e recenza.
Quando organizziamo informazioni le organizziamo
attraverso la formazione di nodi e schemi e script.
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Quando vogliamo ricordare
qualcosa lo facciamo perché o ci
sono stimoli esterni o interni
quindi c’è un richiamo o un
desiderio di richiamo e quanto più
abbiamo creato legami tra i singoli
concetti nella nostra mente,
quanto più gli schemi sono
accessibili e recenti, tanto più
riusciremo velocemente a
ricordare.
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Spesso non ricordiamo i nomi delle
persone appena conosciute perchè ci
concentriamo più sulla prima impressione
che stiamo dando.
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Le informazioni sensoriali vengono rielaborate dalla memoria sensoriale.
La memoria sensoriale è uno degli aspetti della memoria che ci permette di elaborare tutte le
informazioni intorno a noi. Il nostro cervello nella memoria sensoriale memorizza tutto ma ci porta
a consapevolezza solo delle informazioni rilevanti.
La memoria sensoriale raccoglie tutte le informazioni che derivano dai sensi.
Noi diamo salienza alle informazioni, decidiamo noi la prima volta con abbastanza consapevolezza
cosa è importante e cosa non lo è per noi, da lì il cervello lo memorizza e ci porterà sempre a
notare quella cosa. Questo può essere molto utile ma anche molto dannosa ad esempio
l’ipocondria.
Diamo importanza, salienza agli eventi e questo
succede anche per le superstizioni.
Noi notiamo e proviamo fastidio di fronte a
qualcosa perché quel qualcosa ci appartiene, è
famigliare, è saliente per noi.
La salienza la notiamo noi una volta e poi la
nostra mente ci protegge portandoci sempre a
notare quegli stimoli automaticamente.
Gli schemi, le categorie sono durature,
persistenti.
Questa memoria sensoriale attinge informazione dai sensi, diversi tipi di sensi quindi diversi tipi di
memoria sensoriale. Sono principalmente quattro:
Visiva: le immagini, fotografiamo la realtà e la ricostruiamo nella nostra mente. Di solito è
l’amigdala che ci aiuta a ricordare ciò che vediamo.
Acustica: creiamo loop fonologici per ricordarci le cose, diciamo quindi nella mente quello
che stiamo vedendo.
Per associazioni: associamo concetti tra loro, banalmente dati ad eventi.
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Semantica: spiegazione dei concetti, cosa significa quella parola, è il significato che noi
attribuiamo a qualcosa in parole molto spesso. Il colore dell’erba è memoria semantica,
l’abbiamo creata nella mente questa dichiarazione.
La memoria sensoriale visiva fa si che noi memorizziamo un’immagine o un’icona ecco perchè è
detta anche iconica.
Uditiva detta anche ecoica perché è quella dei suoni. Es. magari stiamo facendo un compito e
qualcuno ci dice qualcosa allora noi diciamo “cosa?” E mentre lo diciamo capiamo cosa ci era stato
detto questo accade perché quell’informazione era lì nella memoria sensoriale di tipo uditivo ma
in quel momento eravamo talmente impegnati che non abbiamo prestato attenzione a
quell’informazione, era un rumore di sottofondo quando però abbiamo dato salienza a
quell’informazione siamo andati a ripescarla perché la memoria sensoriale resta per poco tempo
però resta nella nostra mente per un po’.
La memoria uditiva è più a lungo termine della memoria visiva.
Ci sono prove scientifiche che dicono che la memoria uditiva è più a lungo termine di quella visiva.
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La codifica richiede attenzione che spesso però deriva da conoscenze pregresse, quanto più è
famigliare una cosa tanto più viene codificata, quanto più non è famigliare tanto meno viene
codificata a meno che non sia molto saliente quindi vivida, diversa, eccezionale e lo facciamo
collegando tutte le informazioni che arrivano a cose che sappiamo già.
Esiste anche la codifica sociale che è la codifica di quello che succede intorno a noi a livello sociale.
Funziona allo stesso modo, abbiamo:
1. Analisi preattentiva: facciamo una scansione della realtà automatico e inconscio.
2. Attenzione focalizzata: ci focalizziamo l’attenzione, identifichiamo cosa sta succedendo, lo
categorizziamo nella nostra mente utilizzando categorie che abbiamo già.
3. Comprensione: questo ci permette, inserendolo in categorie, di capire quell’oggetto, quel
fenomeno sociale cosa sia.
4. Elaborazione inferenziale: infine colleghiamo quello stimolo sociale ad altri stimoli per generare
elaborazioni inferenziali cioè delle spiegazioni del fenomeno molto spesso attribuzionali cioè di
causa-effetto.
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Tutti i ricordi sono legati alle emozioni, la mente umana e anche la memoria si attiva con le
emozioni.
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Quando conserviamo qualcosa determina quanto
tempo lo ricorderemo e quanto nel dettaglio.
Ogni informazione si distingue per durata e
capacità.
8/03/2022
3. elaborazione informazioni
Adesso vediamo gli aspetti che riguardano
l’attenzione.
Il modello di elaborazione delle informazioni si
concentra su come le informazioni sono
organizzate cognitivamente:
1. Codifica
2. Organizzazione/conservazione
3. Recupero
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La memoria a lungo termine è la
nostra capacità di ricordare per un
periodo illimitato (teoricamente),
indeterminato le informazioni che
raccogliamo nella realtà esterna.
Non si è mai scoperto un numero
massimo di ricordi che una
persona può ricordare.
Esplicita e implicita sono memorie contrapposte perché quella esplicita è tutto ciò che possiamo
ricordare con consapevolezza facendo un minimo o grande sforzo. La memoria esplicita è
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prevalente caratterizzata da
conoscenze, informazioni,
dichiarazioni secondo la logica
viene definita anche memoria
dichiarativa.
La memoria implicita o non
dichiarativa è l’opposto, è quella
memoria che abbiamo senza
consapevolezza, spesso collegata
alla memoria visiva e muscolare (es.
quando guidiamo macchina o
bicicletta). Tutte quelle volte che
sappiamo fare qualcosa ma non
sappiamo spiegarlo agli altri.
Entrambe queste memorie hanno
sotto categorie.
La memoria esplicita ha la memoria episodica che sono i nostri ricordi espliciti cioè i ricordi della
nostra vita che possiamo con consapevolezza e intenzionalmente ricordare, richiamare;
ricordiamo i ricordi come una serie tv, sono scene di noi che si susseguono. Sono eventi
significativi che ricordiamo e più sono
significativi più li ricordiamo nel
dettaglio.
La memoria episodica invecchia, le
persone vecchie infatti ricordano più le
cose di loro da giovani che quelle più
recenti.
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Molto spesso tutte le abilità motorie che acquisiamo sono conservate nella memoria procedurale
come nuotare ad esempio, tutte le competenze sportive sono conservate nella memoria
procedurale.
Per poter ricordare organizziamo le informazioni così come le codifichiamo, creiamo delle reti
associative tra concetti, lo facciamo non solo per interpretare la realtà ma per ricordarla anche.
Tutti gli elementi che ricordiamo vengono definiti nodi, ciascun nodo ha legami con altri nodi, più
creiamo categorie e schemi più sarà facile più sarà facile creare associazioni tra schemi e categorie
e quindi sarà più facile ricordare e reperire le informazioni in memoria.
Nella slide un esempio di come funziona la memoria in termini associativi. Ad esempio una
persona anziana, un nonno potrebbe definirsi intelligente, ricco e tifoso di calcio però è anche un
nonno. Nella sua mente il nodo nonno è connesso con tutta una serie di altri concetti come
smemorato, anziano, debole. Quindi molto probabilmente la persona ricorderà di sé aspetti che
non appartengono veramente a sé stesso ma che sono collegati con l’aspetto del sé come
probabilmente il fatto che se si è nonni si è anziani e gli anziani sono fisicamente deboli.
Questi sono processi associativi che si creano nella memoria e che influenzano tantissimo il nostro
modo di definire ciò che accade noi stessi e gli altri.
Questo schema, organizzazione nodi-legami da un lato ci permette velocemente di spiegare gli
eventi e ritrovare le informazioni ma ci porta anche a tante distorsioni e ci può portare a degli
errori.
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Possiamo ricevere diverse
informazioni sulle persone
intorno a noi. Quando
organizziamo la realtà circostante
definiamo ciascuna persona
attraverso informazioni, creiamo
nodi all’interno della memoria e
creiamo delle associazioni. Di
fatto le persone oltre ad essere
definite, schematizzate cioè
ricordate nella nostra mente sulla
base degli indizi che abbiamo
raccolto ma possono anche
essere ricordate perché inserite
all’interno di uno schema di
gruppo, creiamo quindi
un’associazione.
Se avevamo due indizi su Giovanna patita del cinema e studentessa di medicina non solo quando
penseremo a Giovanna penseremo al cinema ma quando penseremo al cinema penseremo a
Giovanna. Spesso nella vita ci ricordiamo qualcuno non perché volevamo ricordare quella persona
ma semplicemente perché abbiamo fatto una serie di associazioni.
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La memoria di base lavora per associazioni, per potenziare ancora di più il recupero il recupero
delle informazioni dobbiamo memorizzarle per associazioni.
La memoria ci permette di
entrare in relazione come
individui nel mondo sociale.
Il processo dell’elaborazione
dell’informazione si caratterizza
per tre principi fondamentali:
accessibilità
conservatorismo e
profondità o
superficialità
dell’elaborazione.
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Più qualcosa è recente più lo ricordiamo.
Un altro principio
fondamentale della memoria
è il conservatorismo.
Tendiamo a confermare
quello che sappiamo,
cerchiamo indizi per
confermare quello che
sappiamo piuttosto su
fermarsi su cosa
disconferma. Questo è un
principio anche della
memoria, ricordiamo con più
facilità ciò che conferma le
nostre opinioni e
ragionamenti.
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Questo però comunque ci limita un po’.
Siamo degli economizzatori cognitivi,
abbiamo risorse cognitive limitate siamo
pigri e dobbiamo fare tante cose
contemporaneamente quindi vogliamo
ridurre al massimo lo sforzo cognitivo.
Oltre a guardare nella realtà e a prestare
attenzione a ciò che sappiamo già
tendiamo anche di fronte a qualcosa di
nuovo, a pensare che quel qualcosa di
nuovo conferma qualcosa che sappiamo
già quindi a inserirlo in una categoria che
già abbiamo piuttosto che creare una
nuova categoria di sforzarci a dare senza
quella nuova informazione.
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La misura in cui
elaboriamo le
informazioni si muove su
un continuiamo
dall’essere molto
superficiale al molto
molto approfondito.
Il sistema 2 è il contrario, sistema detto anche analitico. Viene utilizzato quando dobbiamo
svolgere attività cognitive molto complesse, richiede il controllo volontario, consapevolmente
dobbiamo decidere di rifletterci su, utilizziamo moltissimo la memoria di lavoro.
Il sistema analitico può entrare anche in gioco quando vogliamo valutare, controllare o
disconfermare quello del sistema intuitivo.
Attiviamo il sistema analitico quando in una stanza rumorosa ci concentriamo su una voce.
Attiviamo il sistema 1 quando camminiamo, se siamo di fretta e camminiamo velocemente
attiviamo il sistema 2 infatti sentiamo la stanchezza alle gambe.
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Sistema 2 anche quando controlliamo se siamo adatti al contesto sociale.
Il secondo aspetto
motivazionale che ci spinge
elaborare le informazioni è il
desiderio di affiliazione. Il
desiderio di connetterci con gli
altri, di conoscere gli altri ci
spinge a dover elaborare il
mondo perché attraverso la
comprensione dell'altro quindi
anche delle situazioni
riusciamo anche a capire
come comportarci per stare
con l'altro ed essere accettato
dall'altro.
C’è poi la valorizzazione di me
e il mio cioè cerchiamo di
elaborare la realtà per mantenere la nostra autostima. L'autostima è la convinzione di avere un
valore, abbiamo bisogno di sentire che valiamo quindi ci relazioniamo con la realtà esterna,
interpretiamo la realtà esterna e cerchiamo in tutti i modi di confermare il nostro valore
personale. Cerchiamo quindi di mettere sotto una luce positiva il nostro se.
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DISTORSSIONE DELLA MEMORIA
Distorsione della memoria vuol dire che ricordiamo qualcosa in maniera diversa da come si
presentava la realtà, quindi ricostruiamo la realtà ma anche memorizziamo in maniera ricostruita
la realtà a volte andando a fare anche ricostruzioni consistenti di quanto è accaduto, quindi
ricordiamo facendo modifiche rilevanti.
La distorsione avviene per vari morivi in particolare può avvenire perché non abbiamo codificato
bene le informazioni o perché abbiamo attivato un sistema intuitivo, non abbiamo prestato
attenzione o perché c'erano in ballo tutta una serie di emozioni che in qualche modo bloccano la
possibilità di organizzare e codificare la memoria, ci sono anche danni celebrali che possano
giustificare distorsioni di memoria (ad esempio danni al lobo frontale e temporale ma anche
problematiche connesse al sonno), l'uso di sostanze stupefacenti.
Quindi una quota di distorsioni della memoria è sempre presente. Distorsioni della memoria
importanti si verificano in certe circostanze.
Ci sono vari tipi di spiegazione di distorsione della memoria, ad oggi non abbiamo una spiegazione
certa, si sono susseguite varie teorie che hanno degli aspetti comuni.
Il lapsus è una distorsione più che altro del recupero delle informazioni perché durante il recupero
di quella informazione, siccome noi ragioniamo per associazioni l'aspetto che doveva ricordarci
quello che stiamo cercando di ricordare in realtà è associato inconsciamente a tutta un'altra serie
di legami con tutta un'altra serie di nodi quindi può capitare che uno di questi nodi emerga senza
la nostra consapevolezza.
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Le teorie dell’oblio spiegano
perché dimentichiamo.
Dimenticare è fondamentale
perché permette di
immagazzinare altre
informazioni, non essere
stressati.
La prima spiegazione che abbiamo rispetto al perché dimentichiamo è la teoria della dimenticanza
come errore di codifica.
L’informazione era arrivata nella memoria a breve termine ma la memoria di lavoro fallisce e
quindi non conserviamo più quelle informazioni all'interno della memoria a lungo termine.
Gli errori di codifica possono derivare da vari aspetti, dai problemi neurologici ma magari anche da
qualcosa che è accaduto nel momento in cui stavamo ricordando (fonti di distrazioni o anche uso
di sostanze, anche gli eventi traumatici possono portare a una difficoltà della codifica di quello che
è accaduto).
9/03/2022
L’amnesia è un deficit di memoria, può verificarsi in un momento e poi successivamente la
memoria persa si può recuperare, altre volte invece è un danno permanente. È più facile che
l'amnesia svanisca quindi torni la memoria quando questa amnesia è stata causata da situazioni
temporanee ad esempio Rousseau (russo?) disse l'attività con la farmaci ipnotici, sostanze
stupefacenti; mentre invece quando ci sono danni cerebrali molto importanti, traumi molto
importanti l'amnesia può essere permanente.
Esistono due tipi principali di amnesia: la
media retrograda e l'amnesia anterograda.
Amnesia retrograda: è cercare di
recuperare le informazioni acquisite
prima di una data particolare, prima
magari di un trauma. Ad esempio
secondo dei sedativi, facciamo un
intervento chirurgico se utilizzano
dei sedativi ipnotici, molto
probabilmente avremmo difficoltà a
ricordare quanto successo poco prima dell'intervento chirurgico, probabilmente
quell'informazione non la recupereremo più. Può essere molto estesa l'amnesia
retrograda, può essere estesa a decenni o anche a tutta la vita danni cerebrali importanti
infatti che causano l'amnesia
retrograda causano l'incapacità di
ricordare tutto quello successo
prima del trauma. Questo vuol dire
che la persona potrà conservare
nuove informazioni ma avrà
dimenticato completamente tutto
ciò che è accaduto prima. Questo è
quello che succede anche con
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l’Alzheimer anche se è un processo progressivo. Nelle fasi iniziali dell’Alzheimer ci sono
delle amnesie temporanee.
Amnesia anterograda: è il contrario della retrograda quindi non si possono conservare
informazioni nuove, quindi abbiamo una perfetta consapevolezza di tutto quello che è
successo prima del trauma fisico psicologico ma non riusciamo più a elaborare le
informazioni nella memoria di lavoro e quindi queste informazioni non accedono alla
memoria a lungo termine, anche in questo caso l'amnesia può essere temporanea. Molto
spesso però annuncia proprio però delle informazioni che non sono state conservate nella
memoria perché l'amnesia retrograda è proprio un problema di codifica, le persone non
inseriscono nella memoria a lungo termine nuove informazioni mentre nell’amnesia
retrograda le informazioni erano state inserite nella memoria a lungo termine ed è per
questo che possono essere in qualche modo poi recuperate.
Non solo possiamo avere una distorsione della memoria sulla base di quanto sappiamo già ma
anche sulla base di quello ci viene detto dopo, le informazioni che raccogliamo dopo un evento
possono interferire sul ricordo di quell'evento stesso. Molto spesso durante l’infanzia ci sono
capitate delle cose che non abbiamo letto come traumatiche in quel momento lì es. gli abusi sui
bambini da piccoli che non capiscono, in quel momento non hanno informazioni importanti per
codificare quell'evento poi accumulano informazioni, rileggono quell'avvenimento e quindi
attribuiscono un nuovo significato a quell'evento che diventa evento traumatico. Quindi il trauma
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di per sé non è drammatico ma deriva dall'interpretazione che ne facciamo. L'interpretazione del
trauma può essere anche fatta dopo e non per forza nel momento stesso in cui viviamo trauma.
Questo effetto definito della disinformazione quando le informazioni sbagliate ci vengono dette
dopo è un esempio di interferenza retroattiva ovvero le informazioni che otteniamo
successivamente interferiscono con quanto abbiamo memorizzato prima.
Esperimento di Loftus e Palmer detto “incedente automobilistico” per confermare questo effetto
della disinformazione. Hanno fatto vedere lo stesso video di un incidente stradale uguale in
entrambi i casi, a due gruppi poi hanno fatto domande diverse, a uno “quanto erano veloci le
macchine quando si urtavano’” una settimana dopo hanno chiesto se i vetri si rompevano e
risposero no che in effetti era giusto. All’altro gruppo “quanto erano veloci le macchine quando si
schiantavamo” e una settimana dopo alla domanda se i vetri si erano rotti risposero di sì anche se
nel filmato i vetri delle macchine non si rompevano.
Quindi utilizzando una parola diversa, solo una, si è creato un effetto di disinformazione e ha fatto
sì che quel ricordo del video fosse distorto.
Agenti di polizia, avvocati, psicologi, hanno sempre a che fare con la disinformazione.
Lost in the mall esperimento sempre di Loftu
4.inferenza sociale
L’inferenza sociale è come spieghiamo gli
eventi e i comportamenti degli altri.
Video “are we in control of our
decisions?” di Dan Ariely
Quando abbiamo a che fare con decisioni
complesse è più facile seguire quello
che gli altri ci suggeriscono
implicitamente o esplicitamente di
fare piuttosto che prendere una
nostra decisione.
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Le inferenze sociali sono spesso svolte in modo frettoloso,
utilizziamo scorciatoie inferenziali che vengono definite
euristiche, le euristiche sono un modo di ragionare molto
veloce e intuitivo che ci permette di farci un'impressione,
spiegare un fenomeno velocemente, questo non vuol dire
che quello che troveremo è infondato, a volte sarà anche
molto corrispondente alla realtà. Ma può ovviamente
assumendo questo modo di pensare euristico, di
raggiungere, di creare delle informazioni, spiegazioni,
impressioni poco accurate.
Utilizziamo queste scorciatoie quando dobbiamo
elaborare giudizi complessi e quando ci sono alcuni fattori
interni o esterni che influenzano l'accuratezza con la
quale vogliamo lavorare l'informazione (es. motivazione,
stanchezza, altre problematiche tipo mal di testa, ecc.). È
più facile che attiviamo processi di elaborazione delle
informazioni intuitivi, economici dal punto di vista
cognitivo proprio quando dobbiamo fornire giudizi
complessi.
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Quindi non solo quanto è facile che lo ricordiamo ma quanto è anche accessibile nella nostra
memoria.
Euristica dell’ancoraggio e
accomodamento si utilizzano
quando creiamo un giudizio o
una stima ancorandoci a una
conoscenza nota e tendiamo di
accomodare quella stima al
numero che abbiamo.
Stimiamo qualcosa partendo da
un valore iniziale che ci viene
dato dall’esterno. Un esempio
eclatante di questa cosa è la severità delle pene quando in tribunale si susseguono i processi uno
dopo l'altro perché è stato dimostrato che quando i magistrati dovevano giudicare dei reati,
tendevano a dare pene più severe quando nei processi precedenti avevano valutato i reati più
gravi, viceversa se precedentemente avevano giudicato tutti i reati minori tendevano a dare una
pena meno severa anche ad un reato maggiore più severo che si presentava in seguito.
Quindi si può capire quanto è anche distorto il giudizio di tutti gli esseri umani anche quando
ricoprono ruoli molto importanti nella società.
82
solito è anzi efficace in quel contesto, mentre i bias cognitivi sono sbagliati cioè sono euristiche
inefficaci.
I bias cognitivi vuol dire il modo in cui
abbiamo interpretato l'evento.
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Es. i terrapiattisti che si attaccano a tutte le
prove, ne inventano anche di assurde per
poter confermare la loro idea. Tutte le teorie
dei complottisti sono più o meno così.
11/03/2022
C’è un tipo di bias della percezione selettiva
che può essere anche abbastanza rischioso
per la diffusione della conoscenza della
creazione della conoscenza, questo bias è
definito dello status quo letterario. Questo
bias riguarda il fatto di trovare qualsiasi tipo
di conferma che giustifica la teoria
dominante che è stata selezionata e quindi
dare poca rilevanza a quegli aspetti dei dati
o a quelle teorie discordanti. Questo per
dire che scrivendo un articolo scientifico si
ometteranno tutti quei dati che
disconfermano la teoria che si era presa in considerazione.
C’è un grosso problema all'interno della ricerca scientifica che genera ancora di più questo bias ed
è relativo al fatto che le riviste internazionali pubblicano solo dati che confermano teorie, è molto
difficile pubblicare articoli che disconfermano le teorie dominanti quindi sarà molto difficile
inserire una teoria diversa, una prospettiva diversa all'interno del campo scientifico.
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Un altro tipo di bias che riguarda
la sfera impulsiva è il bias di
moderazione che si può definire
con la frase “smetto quando
voglio”, è quindi la tendenza a sovrastimare la nostra capacità di moderarci (es. prendo la scatola
di gelato e mi dico ne mangio solo due cucchiai poi in realtà mangio tutta la scatola).
Abbiamo questo bias sempre per un motivo evoluzionistico, noi abbiamo bisogno di motivazioni
per iniziare comportamenti, però può diventare controproducente nelle dipendenze.
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Facciamo queste in maniera istintiva ma è
comunque un bias perché tutto ciò che vediamo
ovviamente non è vero.
Queste correlazioni illusorie tra fenomeni ci
portano a fare tantissimi errori
87
Il paradosso dell’ignoranza è
utilizzato per spiegare che le
persone che pensano di sapere
credono di essere migliori degli altri.
Questo fenomeno viene anche detto Dunning-Kruger che sono due ricercatori che hanno
osservato per primi questo fenomeno che causa agli individui incompetenti senza conoscenze di
credere di sapere tantissimo su un argomento, quanto più le persone sono ignoranti più
sopravvalutano le loro abilità, competenze, conoscenze in quel campo.
Fenomeno teorizzato a livello accademico a seguito di un esperimento di Dunning e di Kruger
riguardante un uomo normalissimo, che non aveva problemi cognitivi, non era né stupido né
psicopatico, non era sotto l'abuso di sostanze stupefacenti e aveva rapinato due banche nello
stesso giorno senza alcun passamontagna o altro perchè convinto di essere invisibile perché si era
spruzzato addosso il succo di limone che un suo amico gli aveva fatto vedere cancellava
l'evidenziatore sulle pagine. A sostegno della sua idea c'era il fatto che dopo essersi cosparso di
succo di limone si era scattato una foto ma erroneamente aveva inquadrato il soffitto e quindi lui
non era presente nella foto e questo gli aveva fatto credere di essere davvero invisibile. Era
talmente convinto di questa cosa che anche negli interrogatori e lui continuava a credere di essere
invisibile.
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Il bias sovrastima sessuale è la tendenza a
sovrastimare il livello di interesse sessuale che
hanno le altre persone nei nostri confronti es.
donne che pensano che la persona con cui
stiamo parlando stia guardando la scollatura
invece che guardarci negli occhi.
È più che altro un problema maschile, spesso gli uomini fraintendono i comportamenti delle donne
come disponibilità quindi magari un atto gentile viene preso come segno di interesse.
5.casualità e causalità
Come attribuiamo le cause
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esterna cioè X è gentile con me perché gli conviene visto che dobbiamo portare a casa il nostro bel
voto per il compito di gruppo.
Se invece la distintività è bassa cioè X si comporta in maniera gentile come sempre in ogni
circostanza e in più gli altri non sono così gentili
come X allora spiegheremo il comportamento di
X con un'attribuzione interna cioè X fa così
perché è interessato a noi.
Valutiamo la distintività cioè non capisco la lezione della tal prof o in generale di tutti i professori.
o alta distintività non capisco solo lei
o basta distintività non capisco nessuno
Coerenza temporale e nelle modalità cioè:
o coerenza temporale bassa il fatto che non capisco la lezione succede solo a volte quindi ha
una bassa coerenza nel tempo e soltanto quando tratta alcuni argomenti e usa alcune
modalità didattiche
o coerenza temporale alta cioè a prescindere non la capisco
Se io capisco tutti i professori tranne la prof X, non la capisco mai a prescindere e nessuno la
capisce, l'attribuzione è interna cioè la prof deve cambiare lavoro.
Se invece a volte la capisco a volte no, in genere non capisco nessuno e gli altri la capiscono,
l'attribuzione è esterna alla prof cioè non dipende dalla prof.
91
Weiner parte da questa attribuzione causale e la chiama locus of control. Locus of control può
essere interno cioè la stessa cosa di attribuzione interna o esterno che è la stessa cosa di
attribuzione esterna.
Rende le cose più dettagliate spiegando che al di là del fatto che questa attribuzione possa essere
interna o esterna noi valutiamo sempre quanto sia stabile e controllabile.
La stabilità dipende dalla durata della causa nel tempo. La controllabilità deriva da quanto quella
persona pensa che quella situazione sia controllabile o no.
Incrociando tra loro questi livelli possiamo avere:
o locus of control interno stabile e controllabile ad esempio sono andato male a un esame, si
attribuisco a me le cause e definisco questa situazione come stabile, spiego l'avvenimento
dicendo che io sono andato male all'esame perché vado male a tutti gli esami.
Questa percezione di una causa interna e stabile può essere vista sia come controllabile
che come incontrollabile.
In questo caso se io penso che sono andato male a questo esame ma penso che io vado
male a tutti gli esami, ma se mi impegno posso migliorare perché dipende proprio dal fatto
che non ho studiato, la situazione diventa controllabile.
o Locus of control interno stabile e incontrollabile se invece penso che qualsiasi cosa farò
quell'esame non lo passerò e non passerò tutti gli altri esami perché non sono in grado di
apprendere
o Locus of control interno instabile controllabile cioè vado male all'esame ma è strano
perché di solito vado bene quindi cerco di spiegare perché proprio è capitato quel giorno
quella bocciatura e quindi controllerò la controllabilità o incontrollabilità.
Il locus of control interno instabile è controllabile se è dipesa da me ma magari quel giorno
è successo perché avevo un forte mal di testa e avevo dimenticato l'analgesico a casa è una
cosa che quindi posso controllare perché la prossima volta non andrò a fare l'esame col
mal di testa e soprattutto non succederà più perché non è che ogni volta che andrò a fare
l'esame avrò mal di testa.
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La stessa situazione cioè non passare un esame può essere anche spiegata come locus of control
esterno cioè non dipende da me ma dalle situazioni e dai contesti e ancora una volta tenderò a
guardarne la stabilità e la controllabilità.
o Locus of control esterno stabile e controllabile se spiego il fatto che sono andato male a un
esame come qualcosa che non dipende da me ma come qualcosa che capita sempre e che
è controllabile mi trovo nella situazione in cui dico sto andando male a questo esame e
sono sempre andato male agli esami perché nell'aula dove svolgo l'esame c'è sempre
casino e io non riesco a concentrarmi quindi non dipende da me ma è controllabile perché
la prossima volta posso cambiare appello.
o Locus of control esterno stabile e incontrollabile perchè vado spesso male agli esami
perché in quell'università i professori sono severissimi quindi se non cambiano tutti i prof
questa laurea non la prenderò mai. Non è una cosa che dipende da me, è stabile perché è
sempre così ed è incontrollabile nel senso che non posso fare nulla per cambiare la
situazione.
o Locus of control esterno instabile e controllabile se non capita quasi mai, non dipende da
me ed è controllabile vuol dire che posso controllare qualche aspetto della situazione per
ottenere quell'esame ad esempio l'ultima volta è andata male perché il mio amico non mi
ha fatto copiare, io non studio mai ma di solito i miei amici mi suggeriscono quindi la
prossima volta mi sceglierò qualcun altro vicino a cui sedermi da cui sono sicuro potrò
copiare.
o Locus of control esterno instabile e incontrollabile è quando attribuiamo quello che è
accaduto alla fortuna es. non ho passato l'esame quando di solito succede perché sono
stato sfortunato.
Di solito tendiamo ad avere uno di questi locus, alcuni interni e altri esterni, ci sono persone che si
incolpano di tutto, che attribuiscono sempre a sé stessi le cause ,invece persone che non
riconoscono mai di essere loro colpevoli, non si assume mai la responsabilità. Poi da lì ci sono
persone che tendono avere un locus interno o esterno più controllabile o meno.
6.errori di attribuzione
Tendiamo molto spesso a spiegare il
comportamento altrui con una
spiegazione interna “quella persona si
comporta così perché quella persona
è fatta così” lo facciamo perché
dobbiamo prevedere la realtà sociale
e il comportamento degli altri. Quindi
per noi è più rassicurante spiegare il
comportamento degli altri come
dovuto dal loro modo di essere perché
così sarà stabile quella causa, se
invece dipende dal caso, dalle
situazioni esterne sarà molto difficile spiegarla o accettarla.
Tendiamo, quando osserviamo il comportamento degli altri, ad attribuire a quel comportamento
cause disposizionali, quando invece siamo attori stiamo mettendo in atto quel comportamento e
voglio spiegare le cause del nostro comportamento attribuiamo, soprattutto i comportamenti
sbagliati e i fallimenti, a disposizioni esterne. Cambiamo l'interpretazione di quel comportamento
in base al fatto che l'abbiamo fatto noi o gli altri → effetto attore-osservatore.
93
Quando cerchiamo di spiegare
le cause di un comportamento
o fare delle scelte abbiamo
delle tendenze sistematiche,
scorciatoie mentali che
applichiamo e cerchiamo di
guardare alcuni aspetti, indizi
della realtà che ci fanno
arrivare subito a spiegare le
motivazioni, il comportamento
altrui.
In primo luogo diamo più peso
agli effetti non comuni. Cioè
quando gli effetti del comportamento degli altri provocano conseguenze relativamente uniche
(che non osserviamo sempre) tendiamo molto più a fare una teoria attribuzionale interna cioè dire
che quello che ho osservato, il comportamento di quella persona che ha causato un
comportamento strano, non un comune dipende proprio dalle disposizioni interne della persona .
Tendiamo anche ad attribuire agli altri delle spiegazioni disposizionali sulla base della
desiderabilità sociale, cioè quando le persone si comportano in modo non appropriato secondo lo
standard sociale, tendiamo a spiegare quel comportamento di quella persona come derivante da
fattori disposizionali. Ad esempio classici bambini iperattivi, molto spesso le maestre spiegano quel
comportamento inaccettabile del bambino che non studia o disturba la classe come qualcosa che
deriva dal suo modo di essere, molto probabilmente quel bambino che è davvero iperattivo o
svogliato lo è perché ci sono dei fattori situazionali che lo spingono all'essere così, è un contesto
che attiva quel lato del carattere della persona, bisogna semplicemente trovare il compito giusto
da fargli fare.
Quindi spieghiamo in base alla desiderabilità sociale quel comportamento, se quel
comportamento è strano, non comune e non desiderabile allora lo spieghiamo come derivante da
un modo di essere della persona.
Guardiamo anche il livello di scelta che aveva quella persona, valutiamo se quel comportamento
era frutto di una libera scelta della persona o se c’erano vincoli situazionali cioè la persona si
poteva comportare solo così. Più pensiamo che quella persona abbia libera scelta nel
comportamento più facciamo un'attribuzione interna disposizionale. Molto spesso attribuiamo
molta più libera scelta di quella che in realtà è. Quando pensiamo che la persona abbia libera
scelta nell’agire tendiamo ad attribuire quel comportamento a disposizioni individuali alla persona.
Attribuiamo delle disposizioni individuali a dei comportamenti soprattutto quando questi non sono
connessi ai ruoli sociali che quella persona svolge.
94
Quando giudichiamo il
comportamento di altri tendiamo
a dare una spiegazione
disposizionale cioè lo fa perché è
così.
95
L'attribuzione dei fatti disposizionali si basa sul fatto che quando giudichiamo il comportamento
mettiamo al centro del ragionamento l'attore sociale, diamo più peso all'attore sociale.
Quando invece dobbiamo spiegare il nostro comportamento tendiamo a farlo guardando molto di
più i fattori situazionali e anche all'instabilità di quel comportamento questo perché noi ci
conosciamo e sappiamo quanto siamo influenzati dalle situazioni e soprattutto per tutelare la
nostra autostima soprattutto i comportamenti negativi, gli insuccessi, le figuracce, ecc. le
spieghiamo guardando di più il contesto intorno a noi.
Noi non riusciamo tanto a essere oggetto della conoscenza perché non possiamo guardarci
dall’alto. Quindi è sempre un problema non tanto cognitivo ma anche attentivo e percettivo.
IL SÉ
1. Sviluppo dell’identità
2. Il se nella prospettiva psicosociale
3. Conoscenza de sé (come conosciamo noi stessi)
4. Autoconsapevolezza e conoscenza di sé (come diventiamo consapevoli di noi stessi)
5. Motivazione del sé (quali sono le motivazioni che ci spingono a svilupparci, crescere o a
comportarci in un determinato modo)
Alla domanda chi sono io le persone rispondo sui tratti salienti per sé. Tendiamo a dire prima i
ruoli sociali.
La cosa importante non è tanto descriverci con i ruoli sociali ma imparare a descriverci come
persone. Descriverci con i ruoli sociali ci condiziona tantissimo quindi è importante imparare a
descriverci come persone. Anche perché sui tratti personali possiamo lavorarci, sui ruoli sociali
invece no.
97
Possiamo descrivere in generale il sé (inizialmente studiato dalla filosofica) considerando
moltissimi livelli di spiegazione.
A livello ontologico cerchiamo di spiegare che cos'è il sé, il concetto di anima cioè cos’è il
sé, dov’è il sé, di cosa è fatto.
Poi c’è il livello evolutivo quindi cerchiamo di spiegare come il sé si sviluppa dall’infanzia
alla morte; questo aspetto evolutivo è proprio tipico della psicologia dello sviluppo (di
solito nei corsi di psicologia sociale non si fa ma noi lo faremo).
Il livello fenomenonologico riguarda come si manifesta il sé, anche questo è molto
filosofico e anche un po' teologico.
Infine il livello gnoseologico che è proprio della prospettiva psicosociale, cioè cosa si
conosce di sé e in che modo.
98
15/03/2022
Secondo Erikson ci sono varie fasce d’età e per ognuna incontriamo compiti di sviluppo che sono
aspetti, abilità che dobbiamo sviluppare e sono compiti che ci espongono a una vera e propria crisi
perché sono compiti difficili per quell’età.
Abbiamo due strade di fronte a questi compiti: superamento di questi compiti di sviluppo e quindi
sviluppo di una virtù che ci accompagnerà per tutta la vita o il fallimento che ci porterà a
sviluppare sfiducia, senso di colpa, situazioni prevalentemente di tipo emotivo che danneggeranno
la nostra identità molto probabilmente a lungo termine.
103
coerenza con noi stessi non ci interessa la morte perché non abbiamo nulla da perdere; se invece
non abbiamo raggiunto quello che volevamo abbiamo paura.
Se la persona non trova la soddisfazione c’è la disperazione, se una persona magari non ha creato
legami significativi e resta sola.
Quindi la fase è integrata dell'ego o dispersione dell’ego.
Se siamo riusciti a raggiungere questa integrità la virtù sarà quella della saggezza perché avremo il
potere di condividere questa saggezza con gli altri o comunque riusciremo a trasmettere quello
che abbiamo imparato nella vita agli altri e quindi saremo saggi.
Questo è uno schema, tutte le teorie sono schemi. Non c’è una rigidità delle fasi ma ogni fase
porta con sé dei compiti di sviluppo da superare. Gli psicologi distinguono in compiti normativi (es.
l'indipendenza, la produttività e tutte le fasi che dobbiamo sviluppare) e non normativi (tutti i
compiti più grandi di noi, che non fanno parte di quello che è la normalità dello sviluppo
dell'identità (es. il divorzio dei genitori, lutto di un parente) che richiedono tutta una serie di
sviluppi di virtù per superare una certa fase che magari non appartiene a quella fase ma a fasi
successive.
105
Rivoluzione francese o americana. Quindi le persone iniziano a capire che possono sovvertire
quello che è dato nel mondo sociale.
-Psicanalisi nascita teoria freudiana secondo cui le persone hanno una conoscenza limitata del sé
perché c'è tutta una struttura inconscia dei
nostri sentimenti, impulsi, emozioni. Quindi
teorici, scienziati, ecc. iniziano a studiare il
sé e l'identità.
106
Siamo molto legati a questi aspetti che inseriamo
nel me.
Tre aspetti del me che andiamo a colmare di
conoscenze:
Me materiale cioè ciò che io so rispetto al
mio corpo e agli oggetti che possiedo.
Me sociale cioè il sé percepito in rapporto
con gli altri, come sono io con gli altri.
Me spirituale la conoscenza che abbiamo
dei nostri pensieri, valori, emozioni, ecc.
107
Questa teoria del fatto che ci
guardiamo allo specchio quando
ci relazioniamo con gli altri
quindi costruiamo il nostro sé di
riflesso ai giudizi altrui è stata
disconfermata perché si le
persone costruiscono la
conoscenza del se sulla base
degli altri ma non sulla base di
quello che gli altri pensano di
loro ma sulla base di quello loro
credono che gli altri pensano di loro cioè questo vuol dire che noi ci facciamo dei film, paranoie di
quello che gli altri pensano di noi e su quello costruiamo il nostro sé.
Ma la percezione di quello che gli altri pensano di noi non è esatta accurata ma è distorta. È una
visione distorta per due motivi principali. In primo luogo perché le persone non ci dicono
veramente quello che pensano di noi, l'immagine che gli altri hanno di noi non ci viene comunicata
in modo esplicito, diretto.
Il fatto che gli altri non siano diretti e implicita ci porta a interpretare quello che gli altri pendano di
noi e spesso lo facciamo in modo non accurato. Quindi l'immagine che ci facciamo di noi deriva da
come crediamo che gli altri ci vedano e non su come ci vedono effettivamente.
108
Con il gioco sia semplice che
organizzato i bimbi possono
costruire il sé.
Gioco semplice il bambino
acquisisce in successione
temporale il luogo e si osserva
quel ruolo.
Gioco organizzato i bambini
sono in grado
contemporaneamente più ruoli.
Noi imitiamo quello che
osserviamo nella realtà e diventano sé possibili.
109
Il fatto di avere un senso di continuità e di distintività porta poi ad avere un senso di autoefficacia
cioè sentirci capaci di e anche ad una buona autostima cioè di avere un valore del sé positivo.
L’autostima è il valore che diamo a noi stessi.
Valore è qualcosa che noi possiamo quantificare. Se io mi do valore mi sto dando dell’oggetto
perché posso essere stimato.
Ognuno fa un’equazione mentale nociva
che è alla base quasi di qualsiasi disturbo
psicologico “valore = qualcosa”, questo
valore uguale a ci farà stare male o bene
perché noi commisureremo sempre la
nostra vita con il raggiungimento di quel
valore lì.
Per la prof l’autostima non esiste, il
valore di sé non è autostima ma
eterostima cioè io valuto me stesso sulla
base di quello che gli altri mi hanno
insegnato a considerare come degno di
valore perché l'unica cosa degna di
valore dell'essere umano sono le azioni
umane che possono essere meritevoli o
non meritevoli. L'essere umano non può essere valutato, quantificato, paragonato e quindi di per
sé non ha valore.
16/03/2022
3.conoscenza del sé
Capiamo e interpretiamo la realtà sociale attraverso la costruzione di schemi. Uno di questi schemi
è lo schema del sé cioè il modo in cui costruiamo la conoscenza intorno a noi stessi. Markus
descrive questo schema come una vera e propria struttura cognitiva quindi un insieme di elementi
attributi, relazioni e relazioni tra attributi che sono depositati in memoria e che ci forniscono una
conoscenza a noi stessi.
Abbiamo differenti schemi di sé perchè
ognuno corrisponde ai vari ambiti di
esperienza di vita quando quindi siamo in
una dimensione specifica di vita attiviamo
un determinato schema di noi stessi quindi
attiviamo nella memoria una serie di
informazioni su di noi che ci informano su
chi siamo in quella determinata situazione.
Quindi gli schemi di sé condizionano il
modo in cui noi ci comportiamo, ci
percepiamo e raccogliamo le informazioni
sugli altri s,u noi stessi nei vari contesti di
vita, in quei contesti di vita.
Quindi gli schemi di sé determinano il nostro comportamento.
Questi schemi possono essere sia positivi che negativi.
110
Come tutti gli schemi si differenziamo in termini di disponibilità e accessibilità. Uno schema di sé è
disponibile se è presente in memoria.
Considereremo la disponibilità come la presenza e memoria di uno schema, l’accessibilità invece è
relativa a quanto siamo in grado, velocemente e con breve sforzo cognitivo, a richiamare nella
memoria operativa che è la memoria di lavoro, alla memoria a lungo termine quello schema di noi
stessi. Quindi più uno schema è accessibile più lo attiviamo velocemente quindi è in grado di
influenzare la nostra autopercezione cioè il modo in cui noi vediamo noi stessi e anche di
conseguenza alla selezione di altre informazioni che confermano i nostri schemi.
Noi abbiamo configurazione degli schemi di sé molto differenziate sia in base alla disponibilità sia
all'accessibilità. Livelli diversi di accessibilità di questi schemi differenti a seconda delle persone,
alcuni li attiveranno più velocemente e altri meno.
Gli schemi oltre a distinguersi per disponibilità e accessibilità si caratterizzano anche per quanto
sono centrali. Noi abbiamo tanti schemi e li organizziamo gerarchicamente, ad alcuni schemi
diamo più rilevanza di altri; ci sono quegli schemi molto salienti, molto importanti per noi e altri
schemi invece si attivano raramente. Si attivano di solito gli schemi che nella gerarchia sono ai
posti superiori.
Inoltre non tutti gli schemi sono accessibili contemporaneamente, lo schema che si attiva in un
certo momento viene definito working self-concept concetto di sé operativo.
Facciamo un uso strategico degli schemi, euristica lo facciamo anche con gli schemi e lo facciamo
in maniera strategica.
Innanzitutto più abbiamo schemi del sé più ci proteggiamo nella vita perché se fallisce uno schema
possiamo attivare l'altro. Le persone che dedicano la loro vita al lavoro dalla mattina alla sera
attivano sempre lo schema del sé e parlano sempre e solo del lavoro, lo fanno perché per loro
quello è uno schema del sé funzionale, positivo, riconoscono quello schema di sé come importante
gerarchicamente ma anche come protettivo perché magari loro sono molto bravi nel lavoro ma
fallimentari in altri ambiti di vita e quindi per proteggere la propria autostima tendono ad attivare
sempre quello schema strategicamente e non soffrono quelli del fallimento su altri schemi del sé.
Se abbiamo schemi del sé suddivisi molto rigidamente possiamo avere degli svantaggi perché
saper attivare in certi contesti anche lo schema non predominante ma non per forza coerente con
quel contesto ci può avvantaggiare.
Bisogna costruire tanti schemi del sé non rigidi e valutare quale attivare nei vari contesti.
111
Markus parla anche di schemi ipotetici, possibili. Cioè noi non conosciamo soltanto di noi stessi
quello che siamo in realtà ma sappiamo anche quello che potremmo essere → questi vengono
definiti sé possibili; vorremmo essere o non vorremmo essere e spesso le decisioni che prendiamo
nella vita sono relative anche a quello che non vorremmo essere o a quello che vorremmo
diventare ed essere.
È importante avere tanti schemi di sé
possibili perchè se abbiamo molte
alternative su quello che possiamo
diventare viviamo con meno ansia e
soffriamo di meno, es. se per tutta la vita
ci siamo riscritti come calciatori poi
soffriremo molto quando non potremo
più farlo. Quindi abbiamo bisogno di tanti
schemi del sé per proteggerci e vivere con
meno ansia l'aderenza rigida ad un
determinato schema.
112
se sono abbastanza congruenti siamo sereni, invece se c'è molta discrepanza (cioè il sé reale si
allontana molto dai sé ideali-possibili e dai sé normativi-positivi) soffriamo, siamo coinvolti
emotivamente quando notiamo questa discrepanza in modo diverso.
La discrepanza tra il sé reale cioè quello che sono e il sé ideale ci fa vivere emozioni di tristezza e
insoddisfazione, in casi gravi si può incorrere in un episodio depressivo, il fatto di non sentirmi
capace di diventare come vorrei essere mi paralizza in una situazione di infelicità.
Quando il sé reale è differente dal sé normativo cioè notiamo di non essere come dovremmo
essere viviamo senso di colpa e disprezzo di noi stessi e questo genera spesso l’ansia da
prestazione.
Il sé normativo sarebbe il dover essere che ce lo insegnano i nostri genitori e chi ci educa, ci
sgridano ci fanno sentire in colpa, a
volte ci giudicano o ci disprezzano
quando non siamo come dovremmo
essere e ci spiegano come dobbiamo
essere in ogni circostanza.
I sé ideali sono più creativi e derivano
o dal confronto con il gruppo di pari
di persone simili a noi o dai nostri
desideri.
113
4.autoconsapevolezza
del sé
Questi schemi li creiamo, secondo
l'autoconsapevolezza lo facciamo
andando a monitorare le nostre
emozioni.
Noi non siamo consapevoli di noi
stessi come qualcosa di astratto ma
di conoscerci guardando le reazioni
114
Gli psicologi hanno dimostrato questo con un esperimento: macchiavano con il rossetto rosso il
naso di bimbi molto piccoli dai 9 mesi in su e poi li mettevano davanti a uno specchio, i bimbi
prima di 18 mesi provano a togliere la macchia di rossetto al naso del bimbo allo specchio quindi
non si riconoscevano, non avevano uno schema di sé mentre dopo 18 mesi bambini iniziano a
togliere dal loro stesso naso la macchia.
I sé derivano e sono delimitati dai contesti culturali in cui viviamo quindi possiamo creare sé
possibili solo in funzione della cultura nella quale viviamo. Quindi abbiamo un limite nella libertà
individuale, in quello che possiamo essere e prima lo accettiamo prima riusciamo a risolvere la
116
nostra vita semplicemente e a
vivere serenamente.
Prima del medioevo le persone
non avevano sé possibili ma solo
reali e si descrivevano
prevalentemente sulla base di
attributi stabilii: età, genere,
classe sociale.
Poi si è iniziato a lottare per le
pari opportunità e è iniziato ad
aumentare lo spazio di libertà
per la definizione del sé.
117
Quando siamo molto
individualisti e viviamo in
contesti molto individualisti
tendiamo a descrivere il nostro
sé in termini guardando molto
ai nostri attributi personali e
questo deriva molto
dall'educazione che abbiamo
all'interno di quei contesti.
Nelle culture collettiviste invece
si da molto peso alla
collaborazione e quindi
sviluppare doti nello stare con
l'altro, quindi obbedienza,
dipendenza.
La distinzione culturale non è soltanto nella definizione del sé in generale ma anche in termini di
genere. In passato c'era una differenza educativa tra uomini e donne inscrivibile.
Gli schemi di sé sono molto culturali non soltanto della cultura enorme intorno a noi quindi dei
macro sistemi, ma anche dei micro sistemi nei contesti proprio familiari.
118
L’introspezione è guardarsi dall’interno.
L’essere molto introspettivi può avere
conseguenze molto negative. È utile
perché si tende a migliorare ma non è
detto che chi è molto consapevole di sé
tende a migliorare perché ci vogliono delle
strategie a parte per migliorare.
In generale l'introspezione è uno
strumento non accurato.
Molto spesso quando iniziamo a pensare a noi stessi non arriviamo a una conoscenza di noi stessi
approfondita ma molto spesso creiamo solo una serie di sovrastrutture difficili da scardinare e
questo accade perché abbiamo dei bias nel ragionamento.
120
Esempio un bambino è molto felice di andare in
bicicletta e quindi gioca sulla bicicletta tutto il
giorno, la madre che è felice che il bambino vai in
bicicletta perché è salutare, pensa di dargli un
incremento della paghetta tutti i giorni che pedala.
Questo bambino inizialmente andrà in bicicletta
ma poi siccome per lui diventerà un lavoro,
qualcosa da fare per prendere una ricompensa
esterna tenderà man mano ad andare sempre
meno in bicicletta, via via vedrà l'andare in
bicicletta come un obbligo, come qualcosa che ci
viene imposto dall'esterno.
Questo effetto è chiamato di sovragiustificazione o ipergiustificazione cioè quando pensiamo di
essere costretti a fare qualcosa per ricevere un premio o evitare una punizione tendiamo a essere
meno motivati a fare quella cosa.
Se siamo rinforzati dall'esterno e non abbiamo motivazioni interne tendiamo a perdere interesse
nei confronti delle cose.
122
Il modo con cui ci confrontiamo con gli altri
determina questa valutazione positiva o negativa
che abbiamo di noi stessi, l'autostima.
Quanto più ci confrontiamo con gli altri più il
valore che abbiamo di noi, quella valutazione
positiva o negativa che abbiamo di noi deriva da
come sono gli altri, dal confronto sociale quindi
deriva anche dagli altri che prendiamo come
confronto, chi sono e cosa fanno.
Invece più seguiamo i nostri sé ideali nel giudicare
noi stessi nel nostro valore più l’autostima sarà
influenzata dall’esterno.
18/03/2022
ATTEGGIAMENTI E
COMPORTAMENTO
L’atteggiamento non è il nostro modo di comportarsi.
123
All’inizio in psicologia sociale le prime
idee erano che se si conosceva
l’atteggiamento delle persone si poteva
predire il loro comportamento.
Lo studio di atteggiamento è
uno dei temi più studiati in
psicologia sociale.
I primi autori sottolineavano
l’idea che l’atteggiamento fosse
uno stato mentale di prontezza
all’azione, si pensava influisse
direttamente il nostro
comportamento, correlazione
molto stretta tra atteggiamento
e azione.
Da questo però si scopri che l’atteggiamento non si può misurare direttamente cioè non si può
dedurre solo dal comportamento delle persone, l’unico modo è chiederglielo (magari con un
questionario).
124
Le prime teorizzazioni più sistematiche del concetto di atteggiamento includono il modello
tripartito degli atteggiamenti di Rosenberg e Hovland.
Secondo questi attori l'atteggiamento ha tre componenti, è anche detto modello ABC (affect
behaviour cognition ovvero componente cognitiva, componente affettiva dell'atteggiamento e
componente comportamentale).
La componente cognitiva riguarda le informazioni e credenze verso un oggetto, es.
crediamo che quell’oggetto sia utile a qualcosa.
La componente affettiva riguarda la valutazione dell'oggetto, evento sociale in termini
emotivi cioè che emozioni suscita.
La componente comportamentale richiama l’idea di prontezza all’azione, ci spinge ad
un’azione di avvicinamento o allontanamento vero quell’azione.
All’inizio queste componenti si pensavano distinte oppure che si dovessero averle tutte e tre, con
gli studi successivi si arrivò a dire che si poteva averne anche una o due e non per forza questa
una, due o tre andavano tutte nella stessa direzione positiva o negativa.
Ad esempio l'atteggiamento verso un gruppo sociale come ad esempio i russi: la componente
cognitiva sono gli aspetti che attribuiamo ai russi, la componente affettiva sono le emozioni che mi
suscitano pensare ai russi e la componente comportamentale e cosa mi sento di fare quando vedo
i russi. Questi atteggiamenti diventano di primaria importanza nelle discriminazioni razziali. Il
pregiudizio è proprio l’azione della componente comportamentale negativa.
125
Nei confronti di un soggetto
sociale possiamo ritenere
alcuni attributi positivi e altri
negativi.
Oppure possiamo essere
indifferenti. L’indifferenza è
molto presente quando non
abbiamo idee e conoscenze.
126
Creiamo queste valutazioni mentali di quello
che c’è nella realtà per risparmiare energia
così ogni volta che incontriamo con l'oggetto
già abbiamo pronta una valutazione e creiamo
queste valutazioni anche per proteggerci
perchè riconoscendo quell’oggetto e gruppo
sociale e attivando una valutazione negativa o
positiva sappiamo già cosa fare.
Quindi la funzione principale
dell’atteggiamento è utilitaristica.
127
Gli atteggiamenti ci permettono di
esprimere i nostri valori. Cioè noi
attraverso i nostri atteggiamenti
positivi o negativi esprimiamo i nostri
valori.
Ad esempio ci sono persone che
attribuiscono tantissimo importanza al
valore dell'universalismo che adesso
sta diventando un valore sempre più
sentito, avere un valore di
universalismo significa dare molta
importanza alla protezione della
natura, all'altro, al contesto intorno a
noi cioè un sentirsi parte di qualcosa
di più grande di noi che è da
proteggere e da tutelare quindi tutti gli atteggiamenti pro-ambientali di sostenibilità derivano da
questo valore dell'universalismo. Quindi quando mostrerò una valutazione positiva in tutte le
posizioni pro ambientali starò esprimendo il mio valore dell'universalismo.
Se invece do importanza successo personale e valuto positivamente quelle persone che hanno
avuto ricchezza, successo, potere, ecc.
128
Ma gli atteggiamenti si possono
creare con l’effetto di mera
esposizione.
In generale noi tendiamo a
confermare quello che sappiamo già
ed apprezzare quello che è familiare
e quello che è nuovo ci può
incuriosire ma di solito, soprattutto
quelle persone che hanno una
chiusura cognitiva, tendono ad
evitare tutto ciò che è nuovo.
La moda è un grande esempio di
mera esposizione. Iniziamo ad
apprezzare quello che è a noi
familiare.
Es. il tormentone dell’estate che magari all’inizio non ci piacciono e poi finiamo per canticchiarla
anche noi ma la ascoltiamo talmente tanto che poi arriviamo a non sopportarla più.
129
Possiamo imparare anche per
condizionamento.
Pavlov fece un esperimento. Pavlov
scopre che il cane saliva quando
vede cibo, Pavlov è un medico,
fisiologo, in realtà sono
esperimento non era psicologico
perché lui stava studiando i succhi
gastrici degli animali e scoprii che i
cani quando venivano esposti al
cibo iniziavano a salivare di più.
Ad un certo punto osserva che
salivavano anche quando vedevano
le persone che gli portavano il cibo anche senza aver visto direttamente il cibo. Si incuriosisce per
questa osservazione e inizia a sperimentare com'è possibile che i cani associno questo istinto della
salivazione che in realtà è un riflesso incondizionato ad altro e quindi perché questa risposta
innata ad uno stimolo incondizionato poste realtà essere associata a qualcosa di condizionato.
Com’è possibile che lo stimolo neutro della persona che andava a portargli il cibo, solo la persona,
diventi ricco di significato tanto da attivare una reazione innata.
Studia questo introducendo nell’esperimento un campanello. Inizia a far vedere ai cani la pappa
suonando il campanello e dopo un po’ di esposizione vede, osserva che i cani iniziano a salvare
anche al suono del campanello anche quando non è associato al cibo e quindi lo stimolo neutro del
campanello diventa poi stimolo condizionato perché attiva una risposta innata.
Questo è un esempio fatto sugli animali ma in realtà è assolutamente vero.
130
Questo vuol dire che le persone avevano dedotto la piacevolezza, il
divertimento di quelle vignette sulla base dell'osservazione del loro
comportamento.
131
Gli atteggiamenti se non cognizioni, nella
mente non possiamo osservarli
direttamente ma dobbiamo desumerli e lo
possiamo fare utilizzando le misure
fisiologiche quindi gli indici corporei
(pupille dilatate, battito del cuore).
Le informazioni sono così limitate e
suscettibili da influenze esterne.
Le misurazioni fisiologiche sono poco
utilizzabili perché sono dispendiose e
complicate per i processi (richiamare
132
Oppure possiamo usare il differenziale semantico.
Lo studio dell’atteggiamento nasce perché gli psicologi sociali volevano predire il comportamento
delle persone, spiegare perché le persone si comportano in quel modo ma soprattutto predire
cosa potrebbero fare nel futuro e quindi iniziano a studiare gli atteggiamenti.
La Piere fa un esperimento che distrugge l’idea che l’atteggiamento possa predire il
comportamento delle persone.
Va in America con una coppia
cinesi (nel 1934 c’erano
pregiudizi razziali assurdi nei
confronti dei cinesi in America),
si presenta negli alberghi e
chiede se possono ospitare la
coppia di cinesi, 249 su 250
strutture accettano di ospitare la
coppia di cinesi. A distanza di
tempo manda dei questionari a
questi albergatori misurando gli
atteggiamenti nei confronti dei
cinesi chiedendo se fossero
risposte ad ospitarli, due di picche
origini cinesi non vogliono ospitarli
vuol dire che la misurazione di
atteggiamento era sbagliata.
Scoppia una guerra tra psicologi alcuni dicono che l’atteggiamento prevede il comportamento altri
dicono di no e altri sono intermedi.
Wicker analizza 47 ricerche che avevano misurato sia
l'atteggiamento che il comportamento delle persone e
scopre che molto spesso gli atteggiamenti non hanno
correlazione con il comportamento e quindi conferma la
tesi di La Piere.
Secondo Ajzen per definire comportamenti e atteggiamenti compatibili tra loro cioè che hanno lo
stesso grado di compatibilità lo possiamo fare guardando all’obbiettivo, all’azione, al contesto, al
tempo e alla natura personale delle azioni.
Es. L'atteggiamento delle persone nei confronti del consumo di vino, può essere un atteggiamento
positivo o negativo. Ipotizziamo di fare una cena a casa e chiedere ad un amico di portare il vino
per predire se la persona ci
porterà il vino e quale tipo di
vino non possiamo dedurlo dal
suo atteggiamento generale nei
confronti del vino ma
innanzitutto dobbiamo chiarire
il contesto, poi dobbiamo
pensare bene a che tipo di vino
(es. bianco), a che
atteggiamento avrà nei
confronti dell'acquisto di vino
se in enoteca o al
supermercato.
Quindi dobbiamo predire bene tutti diversi tipi di
atteggiamento che hanno nei confronti del vino bevuto
in determinate circostanze, acquistato in determinati
luoghi, per determinati motivi, ecc.
135
Io però posso anche percepire che
gli altri hanno delle aspettative nei
miei confronti ma non essere
motivato a compiacere quelle
aspettative.
Quindi se vogliamo predire il
comportamento non basta sapere
cosa pensano le persone e che
atteggiamenti hanno, ma dobbiamo
anche pensare a come sono
influenzati o meno dalla società e
dagli altri.
Si chiama norma soggettiva e non
individuale perché sono percezioni
individuali. La norma soggettiva non è quello che la persona ritiene sia giusto o sbagliato perché
non soggettiva nel senso di norma personale ma è soggettiva perché è la percezione che la
persona ha della norma sociale.
La norma sociale è quello che gli altri per me significativi ritengono sia opportuno no, sia giusto
oppure no.
Questa teoria è stata criticata. Però alcuni teorici dissero che è possibile che gli altri si aspettano
da me che ad esempio io mangio tanta verdura e penso che sia giusto farlo e voglio farlo ma
secondo l'università e tutto quello che l'università mi offre da mangiare è junk food quindi io non
posso mangiare verdura.
Ajzel allora cambia il nome della teoria in teoria del comportamento pianificato e aggiunge un
altro fattore che è la percezione di controllo comportamentale ovvero se siamo intenzionati a fare
qualcosa ciò deriva dagli atteggiamenti, dalla norma soggettiva e da quanto Io credo di poter fare
quel comportamento, quanto pensa di controllare l'esecuzione di quel comportamento.
Questa percezione di controllo si basa sulla percezione di avere risorse interne necessarie ma
anche risorse esterne. Esempio del piatto di verdure devo essere in grado di saper cucinare le
verdure, saperle scegliere e selezionare e devo avere anche delle risorse esterne che mi
permettono di acquistare verdura fresca (soldi, tempo per andare al supermercato, cucina
attrezzata, ecc.).
136
A seguito del comportamento la volpe ha cambiato il suo atteggiamento.
Ci sono casi in cui l’atteggiamento non predice il comportamento ma è il contrario, il
comportamento determina l’atteggiamento delle persone o la modifica dell’atteggiamento.
138
Il gruppo di controllo erano quelli ai
quali non era stato chiesto di mentire
ma hanno subito la menzogna e basta.
22/03/2022
TEMA AGGRESSIVITÀ
Quando parliamo di aggressività
dobbiamo considerare cosa intendiamo
per comportamento aggressivo che può
essere violenza fisica/corporea ma
esistono varie modalità attraverso cui la
violenza può essere espressa,
manifestata ad esempio aggressività
verbale o non verbale.
Il comportamento aggressivo viene spesso definito alle
relazioni uomo a uomo ma in realtà il comportamento
aggressivo può anche essere il comportamento di un
uomo rivolto ad altri esseri viventi o comunque altri
oggetti.
Ci sono situazioni in cui la violenza viene
legittimata come nei contesti famigliari
dare una punizione corporea viene vista
come metodo educativo.
Va sempre però tenuto conto il livello
legale rispetto a come il comportamento
violento viene definito e anche viene
sanzionato e punito, in alcune culture chi
ha la patria potestà dei bambini può
esercitare violenza anche molto
accentuata nei confronti dei figli perché
questo viene visto come metodo
educativo, in altri contesti si legittima
addirittura la violenza domestica nei confronti della donna.
139
Aggressività attiva quando
intenzionalmente è quando
provochiamo danno ad un
altro generico; l’aggressività
passiva è provocare danno
invece non agendo (es. non
interveniamo quando
vediamo una situazione di
violenza).
Diretta quando c’è contatto
diretto tra la persona
violenza e l’oggetto verso
cui è rivolta la violenza,
contatto corporeo o visivo;
indiretta quando non c’è un contatto diretto tra le persone ad esempio le maldicenze, in
questa categoria rientrano tutti i commenti cattivi sui social.
Autodirettivi aggressività rivolta su sue stessi es. autolesionismo, suicidio, oppure quando
le persone si offendono da sole; eterodirettivi aggressività rivolta verso l’altro.
Strumentale la persona non aggredisce per difendersi o per evadere da una minaccia ma lo
fa per ottenere un vantaggio es. un furto con violenza fisica; reattività aggressività in
risposta a qualcosa che riteniamo minaccioso, pericoloso.
C’è una controversia riguardo l’origine e le cause dell’aggressività, se è naturale, è nel nostro DNA
o deriva dalla società.
Noi abbiamo componenti istintuali che ci possono spingere al comportamento aggressivo o
vendicativo ma il fatto che lo esprimiamo in un determinato modo dipende dal contesto in cui
viviamo.
Ci sono aspetti puramente naturali, genetici, fisiologici che spiegano l’aggressività ma ci sono
anche aspetti prettamente culturali. Quindi per ogni comportamento aggressivo possiamo valutare
se è dato da componenti fisiologiche, che parte gioca la genetica in quel comportamento e quanto
invece è dato dalla cultura.
Quando spieghiamo l’aggressività facendo
riferimento ad un fondamento genetico
offriamo, proponiamo una spiegazione
biologica dell'aggressività; mentre quando
consideriamo i fattori ambientali, contestuali,
relazionali che possono generare violenza
utilizziamo una spiegazione sociale.
All’interno delle spiegazioni biologiche c’è l’etologia che è la scienza che spiega il comportamento
animale.
Secondo l’etologia il comportamento aggressivo è determinato geneticamente e controllato dalla
selezione naturale.
Secondo l’etologia la selezione genetica avviene perché gli organismi che riescono a sopravvivere
fanno si che il loro patrimonio genetico viene tramandato alle generazioni future. Secondo
l’etologia l’aggressività si è tramandata quando chi studia questo crede che l’aggressività è un
istinto endemico quindi fa proprio parte della specie umana.
Secondo l’etologia abbiamo questo istinto per difenderci innanzitutto perchè l’uomo non è solo
predatore ma anche preda. Inoltre essendo noi animali sociali lottiamo per il potere e abbiamo
una stretta gerarchia, se l’uomo è aggressivo può avere più donne e garantire maggiormente la
sopravvivenza del proprio patrimo io genetico.
Si sta perdendo l’istinto di procreazione perché da un punto di vista evoluzionistico si sta
riducendo la necessità della specie umana di sopravvivere ma soprattutto ora tendiamo a
sopravvivere tutti, la selezione naturale non è più così forte e tutti riusciamo a portare avanti il
nostro patrimonio genetico.
Prima il patrimonio genetico che
sopravviveva era quello degli esseri umani
che avevano un fortissimo istinto di
procreazione e quindi procreavano
tantissimo e portavano avanti il loro
patrimonio genetico, chi invece aveva meno
impulsi sessuali, era meno aggressivo, meno
capace di corteggiare le donne non
tramandava il proprio patrimonio genetico.
L’aggressività serve per difenderci e
permettere al nostro patrimonio genetico di
vincere e competere sugli altri.
La struttura dei leoni è molto gerarchica: c’è il capo leone, poi tutte le leonesse e pochi giovani
maschi quando il giovane maschi diventa adulto se ne va a crearsi la sua struttura sociale. Quando
il leone anziano invecchierà verrà attaccato, ferito e allontanato da altri leoni giovani che
cercheranno di prendersi le leonesse che sono loro che cacciano e non i leoni, il leone giovani
dopodiché uccide tutti i cuccioli e le leonesse non li difendono ma lasciano che il maschio nuovo
che ha conquistato la struttura sociale uccida i propri cuccioli perché con questo comportamento
aggressivo il maschio si sta assicurando che non verranno sprecate energie per portare avanti un
patrimonio genetico che non è il suo.
141
L’origine dell’aggressività è tutelare il
proprio patrimonio genetico, le
femmine sono custodi del patrimonio
genetico.
142
L’aggressività da un punto di vista etologico è adattiva e ci permettere di difendere il territorio e
cacciare, crea una struttura sociale che permette la sopravvivenza della specie.
Poi ci sono teorie sociali di spiegazioni, si cercano di comprende le spiegazioni sociali che fanno
prendere l’aggressività.
143
In sostanza questa teoria spiega
l'aggressività come frutto della presenza
di un ostacolo tra i nostri obiettivi e il loro
raggiungimento.
Uno dei punti forti di questa teoria è aver
dato una spiegazione diversa da quella
prettamente biologica cioè ha inserito
anche le componenti psicologiche nella
spiegazione dell'aggressività. Però non è
solo la frustrazione che genera
comportamenti aggressivi ma esistono
anche altre emozioni che possono generare frustrazione come collera. Possiamo esprimere la
nostra frustrazione non soltanto attraverso comportamenti aggressivi ma anche attraverso altri
comportamenti tipo la depressione, l’adenomia (non trovare più piacere nel fare nulla), l’apatia (il
far nulla) o il pianto (pianto nervoso a seguito di un’arrabbiatura molto grande).
Secondo questa teoria esprimiamo l’aggressività quando abbiamo appreso come esprimerla e la
esprimiamo quando qualcosa ci allerta, eccita non in senso positivo, o che comunque aumenta il
nostro stato biologico di attivazione. Questa eccitazione può derivare da molteplici fonti e secondo
il modello del trasferimento dell’eccitazione
questa attivazione che proviamo quando siamo
di fronte ad una fonte che ci stimola da questo
punto di vista, noi mettiamo in atto il
comportamento aggressivo perché
interpretiamo quell'eccitazione come la spinta
all'aggressività e alla violenza e quella risposta
ci sembra più appropriata.
C’è un intermediario tra l’evento e la nostra risposta comportamentale che sono i nostri schemi
mentali, le nostre interpretazioni, il modo attraverso cui vediamo il mondo; noi vediamo quella
fonte come veramente minacciosa, aggressiva, dobbiamo pensare a quale risposta attivare (e
prendiamo la risposta da quello che sappiamo, già dalla nostra memoria quindi deve essere
appreso quel comportamento) e decidiamo se metterle in atto oppure no, se ci sembra
appropriato metterlo in atto oppure no.
Nelle teorie sociali c’è una delle teorie forse più importanti delle teorie.
Teoria di Bandura disse che il 90% dell’aggressività deriva dalla società sia in maniera diretta sia
perché osserviamo l’aggressività in altre situazioni.
Il comportamento dell’apprendimento sociale dice che noi da piccoli prendiamo modelli e da quelli
apprendiamo come comportarci. Dagli altri
osserviamo i comportamenti e
soprattutto le conseguenze di quegli
atteggiamenti se positive o negative (es.
ottengono quello che vogliono o vengono
puntiti).
Non saremmo l’esatta copia dei genitori ma
apprenderemo tanti atteggiamenti o
144
comunque atteggiamenti di persone molto
vicine a noi.
Questo apprendimento vicario tramite
l’osservazione è fondamentale per spiegare
molti comportamenti e non solo quello
aggressivo.
146
I mass media aumentano
l’aggressività perché
vedere scene violente crea
in noi categorie e attiva in
noi schemi relativi cioè
vedere quelle scene
violente cosa mi ricorda
nella mente, altre situazioni
violente o altre situazioni
frustranti. Es. come quando
ci sentiamo tristi
ascoltiamo canzoni tristi
perché si richiamano
stimoli simili e se questi
stimoli sono nuovi
comunque li inseriamo all'interno della nostra memoria e all'interno di categorie e quindi
diventano accessibili.
Quanto più siamo esposti a stimoli violenti tanto più è accessibile in noi la violenza come soluzione
a un problema. Fortunatamente anche film positivi attivano reazioni positive, spronano a
comportamenti positivi anziché
aggressivi.
147
Vi è una teorizzazione che può
radivare vari tipi di personalità, in
particolare questa teoria nasce da
tutt’altro, dal voler spiegare perché le
persone sviluppano malattie
cardiovascolari tipo infarti e ictus.
Secondo questa teoria psicosomatica
ovvero che spiega i sintomi e le
malattie organiche come frutto di
problematiche, tendenze psicologiche
e quindi guarda la mente e il corpo
come un tutt'uno, secondo questa
teoria esistono persone con una
personalità di tipo A che si distingue
dagli altri tipi di personalità che è
iperattiva, competitiva, molto indaffarata nel volere raggiungere il proprio successo, vincere sugli
altri, ecc. e questa esasperata competizione porta queste persone ad essere aggressive con tutte le
persone che possono in qualche modo competere. Es. nel contesto lavorativo capi e manager che
fanno di tutto per cercare di mantenere il potere e avere sempre più potere.
La personalità di tipo A si vede anche nei contesti di relazioni coi bambini tendono ad essere
aggressivi, volere il comando anche con i bambini perché vogliono che sia riconosciuta la loro
autorità.
148
Due tipi di aggressività reattiva e strumentale.
I ricercatori hanno cercato di spiegare se derivano questi due tipi di aggressività da diversi
meccanismi cerebrali.
Di solito i neuroscienziati per spiegare quali aree del cervello sono responsabili di determinati
comportamenti sociali possono studiare come si modificano questi comportamenti sociali quando
ci sono dei danni a determinate aree.
Hanno scoperto che i danni alla corteccia frontale e in generale alla corteccia determinano una
maggiore aggressività. La corteccia prefrontale aumenta l’aggressività strumentale molto di più di
chi non ha danni.
Altri studi hanno dimostrato che le lesioni della parte orbito-frontale è collegato all’aggressività
reattiva.
L’aggressività è spiegata
anche da fattori
contestuali di tipo più
culturale, basta pensare
alla questione del genere,
la teoria del ruolo sociale
cerca di spiegare le
dinamiche e i fattori
sociali, anche
comportamenti aggressivi
guardando i ruoli delle
persone che esercitano
aggressività e subiscono
l’aggressività. Guardando
il ruolo sociale, la teoria
del ruolo sociale spiega il
fatto che sono più gli
uomini che sono
aggressivi con le donne e viceversa e questo deriva da un fatto semplicemente di dominanza
sociale perchè nella società gli uomini hanno più potere e quindi esercitano questo potere anche
aggressivamente nei confronti delle donne. Un esempio di come applicare la teoria del ruolo
sociale è quando ad esempio vediamo una violenza domestica all'interno di una famiglia dove la
donna è casalinga ed è l'uomo che lavora; in questo caso si spiegherà con la violenza secondo
questa teoria guardando il fatto che la donna non può ribellarsi perché non è indipendente
economicamente e quindi si deve sottomettere al potere, lo status e il ruolo del marito.
I fattori contestuali possono aumentare l'accettazione della violenza anche perché esiste sindrome
della molestia dove l'aggressività è presa dall'infanzia, la sindrome della modestia è praticamente
quando noi acquisiamo la violenza nei contesti familiari e la ripetiamo da adulti.
Quando ci sono tanti membri nella famiglia ci sono più atti di violenza soprattutto quando si
condividono spazi più ristretti.
Ci sono poi le tensioni sociali come la disoccupazione, difficoltà economiche che attivano legami
familiari e quindi si verificano più atti di violenza, soprattutto nei nuclei tradizionali dove ci sono
regole molto rigide sul potere patriarcale dell'uomo
Il consumo di alcol anche in contesti domestici aumenta la violenza.
Questo è un ruolo dei fattori non soltanto contestuali ma anche culturali perché la cultura
legittima molto spesso alcune di queste manifestazioni violente, es. la cultura dell’onore, per anni
la legge ha giustificato il diritto d'onore, esiste ancora in altre culture. Quindi la cultura dell'onore
151
vuole che la violenza maschile sia legittima
quando la donna rovina la posizione sociale o
economica della famiglia.
152
23/03/2022
ATTRAZIONE E RELAZIONI
INTIME
154
L’effetto alone può partire da tratti estetici o di
personalità. Questo influenza tantissimo e in
tantissimi contesti.
Ad esempio i giudici hanno meno probabilità di
definire colpevoli le persone attraenti di
comportamenti criminali.
Tuttavia questo stereotipo dell'apparenza può
essere anche un'arma a doppio taglio perché
alcuni studi dimostrano che le persone che sono
percepite più attraenti vengono percepite anche
come più vanitose, convinte di se in senso
negativo, disoneste e propensi ad utilizzare la
loro bellezza per manipolare gli altri.
155
Succede anche sul posto di lavoro. Chiediamo alle
persone di presentarsi con un aspetto curato
perchè influenza i clienti e le valutazioni che i capi
fanno dei dipendenti.
Chi mostra fin da subito entusiasmo vengono
percepite più competenti, quindi l’entusiasmo
oscura il talento.
L’attraenza ha influenza anche sul reddito
complessivo.
157
Il partner ideale viene
affidato su calore e
affidabilità, siamo più attarti
da persone che sono più
interessate a noi. Ci sono poi
casi di persone, soprattutto
donne, che si innamorano di
tutte le persone che si
interessano a loro.
Anche la vitalità è molto
importante nell’attrattività.
Poi ci sono anche lo status
sociale e la ricchezza, questo
fa scattare l’innamoramento.
È il motivo per cui spesso i
sottoposti si innamorano dei
capi perchè hanno potere.
158
In particolari con familiarità intendiamo la somiglianza
degli atteggiamenti.
In generale tendiamo a scegliere persone con
atteggiamenti simili, possono avere tratti caratteriali
diversi ma di base tendiamo ad apprezzare di più
atteggiamenti simili ai nostri.
I ricercatori hanno simulato tinder e hanno mostrato a ciascun partecipante 16 profili e hanno
valutato se la teoria assortativa funziona. Poi dopo la valutazione solo dalla foto hanno chiesto di
valutarne cercando di darne età, avvenenza, estroversione, gradevolezza, coscienziosità, stabilità
159
emotiva, apertura all'esperienza e poi hanno
chiesto i valutatori di valutare anche sé stessi.
Mentre ci facciamo queste impressioni su quanto sia attraente una persona siamo influenzate dal
contesto in cui siamo, anche da un punto di vista ambientale di caratteristiche ambientali. Ci sono
alcune situazioni ambientali che possono influenzare quanto troviamo
le persone attraenti. Perché quando dobbiamo creare una valutazione,
tendiamo ad associare situazioni esterne positive con la piacevolezza di
stare in quelle situazioni e quindi di conseguenza anche la piacevolezza
di stare con le persone presenti intorno a noi quindi se quindi siamo in
un contesto che troviamo bello e piacevole giudicheremo anche le
persone come belle e piacevoli → teoria di rinforzo dell’affetto.
Hanno fatto uno studio in cui hanno provato a testare questo. Hanno
innanzitutto chiesto alle persone di esprimere le loro opinioni rispetto a
tutta una serie di questioni sociali e poi hanno diviso il campione in otto
gruppi, ognuno di questi gruppi era inserito in una stanza con una
determinata temperatura, ogni stanza aveva una temperatura più alta
160
di quella precedente. Inoltre non
hanno considerato come
caratteristica ambientale soltanto la
temperatura ma quanto l'ambiente
fosse affollato, ogni gruppo più
affollato dell'altro fino a 12
persone. Poi hanno chiesto di
valutare la somiglianza
dell'atteggiamento, hanno potuto
visionare i questionari delle
persone che erano presenti nella
stanza per vedere quali erano i loro
atteggiamenti rispetto a quelle
questioni sociali.
Hanno scoperto che in situazioni
dove fa poco caldo e c’è poco affollamento tendiamo a percepire come più gradevoli le persone
simili a noi quindi questo conferma l'importanza della somiglianza dell'atteggiamento; tendiamo a
percepire come meno attraenti le persone quando siamo in condizioni ambientali fastidiose ma
comunque in quelle situazioni tenderemo a dare molto peso al fatto che quelle persone sono simili
a noi.
Quando andiamo a costruire relazioni sociali di vario tipo lo facciamo per determinante ragioni e
una di queste è il concetto di
scambio sociale quindi
andiamo a considerare quanto
dedicare del tempo a quella
persona per una relazione
significativa ci costerà in
termini di impegno, tempo,
impegno emotivo, economico
e quanto guadagneremo da
quella relazione, si fa un
calcolo costi-benefici e si
utilizza una strategia cognitiva
di valutazione chiamata
minimax cioè cerchiamo di
minimizzare i costi e
massimizzare i profitti,
cerchiamo quindi persone che ci richiedono poco impegno ma dalle quali riusciamo a ottenere
molto.
Definiremo una relazione con l'altro come una relazione con profitto quando a lungo termine i
benefici supereranno i costi.
Quando dobbiamo valutare secondo la teoria dello scambio sociale, il profitto in una relazione
utilizziamo livello di confronto, confrontiamo persone che stiamo valutando in persone del nostro
passato in scambi simili.
Se il profitto è alto nelle altre relazioni sarò pronto a impregnarmi in una nuova relazione, se
invece il confronto non sarà favorevole non mi impegnerò.
161
Più abbiamo confronti più saremo giudichevoli, più sono positive le esperienze passate più faremo
fatica a trovarne di nuove perchè noi vogliamo il nuovo migliore del passato.
Questa teoria dello scambio sociale che è una teoria ripresa dall’economia, è molto utile e cinica, è
utile perché può essere applicata a tantissime relazioni di diversa natura e ci fa anche riflettere
molto su quelli che sono i nostri livelli di confronto, su cosa prendiamo come confronto quando
valutiamo gli altri, quali aspetti valutiamo perché non abbiamo mai un confronto globale ma
valutiamo un tratto della persona nuova o della persona che già conosciamo, quali sono gli aspetti
che utilizziamo nel nostro confronto tra persone per capire con chi trascorrere il tempo, ecc.
Sempre sulla base dello scambio sociale vi è la teoria dell’equità cioè in una relazione
consideriamo molto l’equità, se l’impegno che diamo noi è lo stesso che danno gli altri.
L’equità è applicata molto quando c’è uno scambio emotivo di risorse non solo materiali ma anche
quando devono essere redistribuite le risorse (es. un giudice che deve ripartire le risorse a seguito
di un danno).
STILI DI ATTACCAMENTO
Qua vediamo come creiamo la relazione con
l'altro cioè una volta che l'abbiamo scelto come
chiamo la relazione.
Per chiarire come costruiamo le dinamiche con
l’altro dipende dalla prime relazioni che abbiamo
avuto, quindi gli stili di attaccamento sono una
teoria, la teoria d'attaccamento, che cerca di
spiegare innanzitutto come creiamo le nostre
prime relazioni significative in particolare con il
caregiven cioè la persona che si prende cura di noi (es. la mamma dice allatta) e poi come, a
partire da queste relazioni significative, andiamo a costruire discrimini mentali di interpretazione
dell'altro e quindi andiamo poi a costruire le relazioni nel futuro.
Quindi secondo questa teoria dell’attaccamento che ha basi scientifiche molto solide le relazioni
che costruiamo nei primi due anni di vita sono fondamentali e determinano in maniera molto
significativa il tipo di relazione che abbiamo con gli altri nel futuro.
L’attaccamento è un legame emotivo duraturo con la persona che era speciale con noi, se abbiamo
questo legame desideriamo la vicinanza fisica soprattutto quando siamo stressati, tesi, non ci
sentiamo bene.
164
La seconda teoria dell'attaccamento è la teoria evolutiva dell'attaccamento.
Inizialmente come il cibo per i cani è il latte per i bimbi, durante il condizionamento la madre che
prima non era presa in considerazione dal neonato viene percepita come colei che allatta quindi
poi il bambino una volta che ci sarà questa associazione tra latte e mamma percepirà anche la
mamma come qualcosa di positivo.
Si può criticare questa teoria ma c'è un fondo di verità perché c’è da tenere conto che i bambini
quando nascono riescono a guardare solo a 20-30 cm dal loro volto per il resto sono
completamente “miopi” quindi l'unica cosa che feriscono vedere è la tetta della mamma, riescono
a vedere al massimo lo sguardo della mamma.
25/03/2022
Questa teoria è stata criticata e superata
grazie alla proposta di Bowlby psicologo
molto importante che ha stravolto l’idea
della relazione madre-bambino partendo
dalle sue esperienze di vita, lavorò come
psichiatra nella Child Guidance Clinic di
Londra, una sorta di orfanotrofio e da lì
iniziò ad osservare che i bambini separati
dalla nascita o che non ricevevano cure
sufficienti dalla madre presentavano tutta
una serie di ritardi sociali, emotivi ma anche
cognitivi.
In particolare notò i bambini abbandonati
sperimentavano un intensa angoscia e
anche se nutriti da altri caregiver non
diminuiva l’ansia nel bambini.
165
Studiò l’attaccamento contrastando la
teoria dominante comportamentista
dell’attaccamento e sottolineando che il
bambino si affeziona alla madre perché
si crea una connessione psicologica,
quindi sposta l’attenzione su una
dimensione più relazionale. Secondo
Bowlby non basta soddisfare il bisogno
fisiologico della fame del bambino per
generare un attaccamento positivo che
tranquillizzi e non gli faccia
sperimentare angoscia ma c’è bisogno
di una relazione dal punto di vista
psicologico.
167
Due studiosi Schaffer and Emerson hanno fatto un esperimento per indagare quali sono i punti
critici che ci permettono di capire quando l'attaccamento è presente, si sta sviluppando, si è
sviluppato.
Hanno osservato 60 bambini a intervalli mensili per 18 mesi, i bambini sono stati studiati a casa in
particolare hanno osservato la relazione madre-caregiver e poi hanno osservato anche i caregiver
per capire quali erano le caratteristiche, i tratti di personalità, la storia di vita in particolare di
queste madri e hanno raccolto informazioni rispetto a tre caratteristiche dell'attaccamento che poi
sono diventate tre misure per valutare l'attaccamento del bambino.
stranger anxiety è l’ansia dell’estraneo. Il bambino man mano, e questo si intensifica verso
un anno di vita, tra un anno e due anni è molto intensa, è una paura dello sconosciuto cioè
se i neonati accettano più facilmente di stare del tempo con altre persone, da un anno in
poi iniziano ad avere paura delle persone sconosciute, iniziano ad essere un po’ diffidenti.
Nella società occidentale viene visto come il segno di maturità del bambino il fatto che il
bimbo sta con tante persone, non ha paura di parlare con gli estranei, di avvicinarsi mentre
secondo questa teoria non è proprio così cioè i bambini che non mostrano ansia, paura nei
confronti dell’estraneo mostrano in realtà di non avere un attaccamento sicuro con il
proprio caregiver di riferimento.
separation anxiety è l'ansia da separazione. Si misura andando ad osservare se il bambino
mostra ansia, angoscia, preoccupazione quando la madre si allontana es. se la mamma va a
lavorare e il bambino piange allora quello è una manifestazione dell'ansia da separazione.
Crescendo deve ridursi fino a svanire altrimenti l'ansia da separazione è una problematica,
un disturbo psicologico.
social referencing che è un'altra misura dell'attaccamento ovvero quanto il bambino
guarda proprio caregiver per verificare come risponderà delle situazioni.
Un esperimento che ha sottolineato come il social referencing è importante ha osservato
cosa facevano i bambini quando venivano posti davanti ad un pavimento di vetro che
veniva percepito come instabile e pericoloso e viene posto un giochino alla fine di questo
pavimento di vetro. Ci si aspetta che il bambino attratto dal giochino voglia attraversare il
pavimento di vetro, si crea questa situazione in laboratorio con la madre presente e si
osserva se il bambino prima di attraversare il pericolo guarda la madre. Se il bambino non
guarda la madre vuol dire che non c'è il social referencing cioè non si assicura che la madre
approvi quel comportamento, lo trovi sicuro prima di farlo quindi la madre non è una base
sicura per il bambino, non è un punto di riferimento. Chiedono l'approvazione della madre
168
ma in maniera non verbale ma con lo sguardo guardano la madre e se la madre è tranquilla
allora agiscono, se invece vedono che la madre è preoccupata o da segnali di pericolo si
fermano.
169
Dai 7 agli 11 mesi il bambino ha un chiaro
attaccamento con una persona di
riferimento. Da qui inizia a mostrare paura
per l'estraneo e infelicità quando viene
separato dalla madre quindi l'ansia da
separazione.
Quando i bambini mostrano più ansia di
separazione dagli altri e più paura degli
estranei questo segnale valutato
negativamente nella nostra società in realtà
è segnale di un forte attaccamento.
Un bambino che ha 5, 6, 7 mesi all'asilo
nido non piange quando lo si porta, è un
bambino che sta già mostrando i primi
segnali di un attaccamento evitante quindi è normalissimo che il bambino manifesti il suo
dispiacere quando la mamma va via. La madre deve riuscire a consolare il bambino, dargli
sicurezza con il linguaggio ma anche e soprattutto con lo stato d'animo e il comportamento non
verbale, rassicurarlo che quell'ambiente è sicuro.
All'asilo si fa l'inserimento cioè quella fase iniziale in cui la mamma sta lì, accompagna il bambino
in classe perché il bambino deve comprendere che la madre si sente sicura in quell'ambiente
quindi quello è un ambiente sicuro per il bambino.
170
I fattori che fanno si che questo
attaccamento si sviluppi. Innanzitutto
avere delle opportunità di
attaccamento che non è banale nella
nostra società perché la madre potrà
stare col bambino soltanto i primi due
mesi di vita poi dovrà tornare al
lavoro. Quindi quanto più il bambino
ha opportunità di attaccamento con la
madre più svilupperà questo
attaccamento ma non è soltanto la
quantità del tempo ma anzi è più la
qualità della relazione.
Il caregiver per far si che si formi questo attaccamento deve saper rispondere prontamente al
bambino in modo coerente che vuol dire che ogni volta che il bambino manifesta ansia, angoscia o
banalmente sorride il caregiver deve rispondere prontamente a questi segnali.
Il bambino piange perché vuole attirare l'attenzione ma questa cosa va rinforzata nel bambino,
non è sinonimo di maleducazione, di capricci perchè i bambini iniziano a fare i capricci quando
iniziano a sviluppare la teoria della mente, quando dai 3 anni iniziano a capire che possono
strumentalizzare l'altro cioè fare finta di per ottenere e quindi iniziano a piangere per finta per
ottenere quello che vogliono. I bambini prima di quest'età utilizzano questi segnali pianto, capricci,
ecc. per poter entrare in relazione con l'altro, è il modo che hanno per entrare in relazione con
l'altro; quello che possiamo fare noi è insegnargli modalità positive di relazionarsi con l'altro. È
chiaro che se io lascio il bambino a giocare da solo tutto il tempo e vado da lui solo quando piange,
il bambino piangerà per attirare la mia attenzione.
Quindi è importante la sincronia interazionale cioè sviluppare una modalità comunicativa positiva
con il bambino. Uno dei primi segnali della sincronia internazionale si vede nei bambini molto
piccoli quando la madre distoglie lo sguardo verso un oggetto e il bambino guarda nella stessa
direzione della madre, segue lo sguardo della madre. Questo è il motivo per il quale si dice sempre
ai genitori quando il bambino sorride sorridete anche voi, quando il bambino lalleggia cioè che fa
la la la la rispondete in quel modo al bambino; questo perché aiuta a generare una sincronia.
Non sono però solo le caratteristiche dei genitori ma anche le caratteristiche dei bambini, ci sono
dei bambini con cui è molto difficile generare un attaccamento perché ogni bambino ha un proprio
temperamento caratteriale.
Temperamento del bambino, è vero che il carattere si struttura nelle relazioni però nasciamo già
con un temperamento; molti condividono l'idea che sono due i temperamenti che possiamo avere
introversione ed estroversione.
L'estroversione è manifestata dalla ricerca continua di stimolazione esterna e sono bambini molto
vivaci che ricercano gli stimoli esterni, molto attenti, attivi.
I bambini introversi invece tendono ad avere già un'attivazione fisiologica alta e quindi sono
infastiditi da eccessivi stimoli.
Il problema è che i bambini estroversi vengono iperstimolati mentre i bambini introversi che sono
tranquilli e dormono vengono ipostimolati. Tendenza questa che abbiamo tutti, in realtà
bisognerebbe fare il contrario perché l'estroversione è facile che diventi iper-attività quindi i
bambini estroversi non vanno iperstimolati mentre i bambini introversi dovrebbero essere
comunque stimolati.
171
Le circostanze familiari influenzano
tantissimo l'attaccamento e gli internal
working model dei genitori (cioè quando
avrete dei bambini vi ritorneranno in
mente tutte le esperienze che avevate
magari dimenticato, di quando eravate
bambini).
Nel dover essere genitori si riattivano
quegli schemi mentali che abbiamo nella
memoria relativi a come interagivano con
noi i nostri genitori, noi non sappiamo
come fare i genitori quindi possiamo
osservare come fanno gli altri ma
soprattutto ricordarci quello che facevano con noi i nostri genitori.
Ovviamente c'è un margine perché nel riflettere quello che abbiamo ricevuto possiamo anche
decidere in qualche modo di cambiare alcuni aspetti ma è molto più semplice ripetere che
cambiare anche perché noi non possiamo fare nulla di nuovo che non conosciamo, noi possiamo
fare solo quello che conosciamo già quindi tendiamo prevalentemente a ripetere quello che
abbiamo vissuto.
Capacità dei genitori di accettare il passato perché soprattutto quando i genitori hanno avuto delle
relazioni disfunzionali, negative con i propri genitori porteranno con sé queste paure e molto
probabilmente attaccamento disorganizzato evitante e tenderanno a ripeterlo, i genitori lo
ripeteranno in misura maggiore se non riusciranno ad accettare il loro passato e a rielaborarlo cioè
a perdonare quello che hanno vissuto.
Il perdono è il regalo più grande che possiamo fare a noi stessi, il perdono è qualcosa che facciamo
per noi stessi perché il contrario del perdono è il rancore, la rabbia e questo lede tantissimo la vita
perché la rabbia e il rancore che
viviamo nei confronti di relazioni
magari passate, finite lo riportiamo
nelle relazioni attuali.
172
In una prima fase abbiamo nel laboratorio la madre e il bambino e lo sperimentatore e si osserva
cosa fa, ci sono dei giochi quindi in sostanza di base la madre giocherà, interagirà con questo
bimbo.
Poi lo sperimentatore se ne va quindi non c'è più l'estraneo e sicuramente si creerà una sincronia
molto stretta. Ad un certo punto arriva un estraneo e si nota già la stranger ansiety cioè che fa il
bambino quando arriva questo estraneo lo evita, lo guarda, piange, guarda la madre per vedere
che fare con quell’estraneo.
Poi la madre va via e si lascia un bambino con l'estraneo e lì si vede che cosa fa con questo
estraneo. La madre ritorna e l’estranierò se ne va, la madre se ne va e il bambino resta
completamente solo e qua si potrebbe vedere la separation anxiety cioè il bambino cerca la
madre, si preoccupa, è in allerta, piange.
Poi ritorna lo sconosciuto la madre e il bambino è praticamente solo perché la madre non c'è, non
ha punti di riferimento, non ha il social referencing per capire questo estraneo se è minaccioso o
no, si vede quindi che fa il bambino, almeno dovrebbe essere riluttante, non dovrebbe buttarsi a
braccia aperte verso l'estraneo.
Poi la madre ritorna e quindi in questo caso dovremmo vedere la gioia del ricongiungimento e
anche un senso di protesta da parte dirle bambino perché è stato lasciato solo dalla madre.
Questi episodi hanno permesso a Ainswort sviluppare una spiegazione degli attaccamenti e di
definire gli stili degli attaccamenti.
173
Se tutto è andato bene abbiamo un attaccamento sicuro, il bambino si sente amato, il rapporto è
positivo e quindi c'è un attaccamento sicuro.
Se il bambino invece non si è sentito amato o addirittura è stato respinto avrà un attaccamento
evitante.
Se invece le cure sono stati inconsistenti, il rapporto è stato inconsistente cioè a volte era positivo
a volte negativo l'attaccamento il bambino sarà molto arrabbiato e confuso e quindi avrà un
attaccamento ambivalente.
176
Gli evitanti sono molto a disagio nelle
relazioni.
Gli attaccamenti evitanti sono quelle amiche
o amici che non amano il contatto fisico.
Il maternage è il contatto fisico stretto con il
bambino, tenerlo in braccio, dargli calore,
farlo giocare continuamente; questo
maternage genera l'attaccamento sicuro
altrimenti il bambino diventerà evitante
perché si impara ad autoconsolare.
Ovviamente l’autoconsolazione è utile nel
bambino ma quando non è capace di farlo
sarebbe meglio che la madre gli dia questa
autoconsolazione.
Quindi ci sono dei segnali che ci fanno capire se siamo evitanti oppure no.
Molto spesso però c'è un misto di evitamento e ambivalenza, non è proprio così netta la
separazione tra l’evitante l’ambivalente anche perché nell’evitante c'è sempre la ricerca del
dipendere dall'altro in qualche modo.
In generale gli evitanti sono molto a disagio con le persone gelose e sono molto a disagio quando
devono limitare la loro la propria libertà nella relazione cioè la relazione richiede sempre di
limitare la propria libertà esempio se ci piace fare festa e facciamo sempre festa con le nostre
amiche e ci fidanziamo, se siamo evitanti avremmo molta difficoltà a rinunciare a quelle cose per
stare con l'altro perché la vediamo come una rinuncia alla nostra libertà e ci da fastidio a sentirci
dire tu non puoi andare in discoteca, non puoi partire per il viaggio da sola, non puoi metterti la
gonna.
Quindi gli attaccamenti evitanti sono molto restii a relazionarsi soprattutto con gli ambivalenti e
non si aprono molto cioè non sono molto capaci dello svelamento del sé cioè non è che stanno là
tanto a dirti cosa pensano, cosa provano, tendono ad evitare. Questo non vuol dire che non sono
estroversi, che non sono solari, socievoli, amichevoli però sono molto bravi ad ascoltare gli altri ma
le loro difficoltà non le manifestano molto o se le raccontano, le raccontano quando le hanno
risolte.
177
riescono ad avere delle relazioni stabili da un punto di vista emotivo, sono litigiose, urlano,
piangono, si disperano quando litigano, vivono l'angoscia della separazione.
L’evitante ha bisogno quando si incavola di stare da solo, di ragionare su quello che vuole dire
anche perché levitante crescendo se è una persona molto introversa ha imparato che può ferire
moltissimo l'altro con il suo evitamento perché l’evitante di fronte alla sceneggiata potrebbe
risponderti addio e scomparire e non tornare più facendo del male a se stesso perché in realtà
vuole bene a quella persona. Quindi l’evitante crescendo man mano impara a non scappare, a
restare però la sua strategia è restare lì un po’ senza saper cosa fare. In queste situazioni si può
utilizzare per esempio la tecnica del time out cioè l’ambivalente deve imparare che quando inizia a
esserci la litigata incalzante a stopparsi e dire “senti ho capito che tu adesso non ne vuoi parlare di
questa cosa sappi che io sono molto arrabbiata, non c'è bisogno tanto di urlare tu adesso vedo che
non mi rispondi, ci devi riflettere, facciamo che ne riparliamo domani a cena” “non è che sto lì ad
aspettare te che pensi per l'eternità ma che domani tot ora ne riparliamo quindi preparati che cosa
mi vuoi dire”, così si rompe l'escalation che altrimenti l'escalation finiscono con quello che
vediamo nei film dei famosi piatti che vengono lanciati in casa.
Gli ansiosi sono molto frequentemente infelici perché ovviamente si cercano irritanti e quindi
quando per esempio litigano poi continuano a litigare in chat, l’evitante li blocca o spariscono, non
rispondono. L'ambiente sperimenta un'angoscia assurda e siccome l'ambivalente è molto
orgoglioso lo bombarda, diventa una sfida personale e quindi inizia ad incalzarlo non facendo altro
che allontanare l’evitante.
Quindi l’ambivalente quando l’evitante sparisce deve aspettare ma soprattutto non sparire anche
lui. Quindi con un evitante bisogna mostrarsi base sicura, di fronte a un evitante che va via non
bisogna né bombardarlo né sparire, semplicemente dire guarda io provo queste emozioni per te se
tu vuoi condividerle con me io sono qua senno giusto che ti allontani, sarà poi lui a decidere se è
pronto a inserirsi in una relazione.
Noi abbiamo il dovere di dire agli altri cosa proviamo, non dobbiamo esse evitanti in questo.
178
partner agisce a distanza cioè si fa i fatti suoi la persona diventa ansiosa quindi si va a fare
l'aperitivo con gli amici non ci scrive, non ci manda la foto di dov'è e noi andiamo in crisi.
Il bambino desidera una relazione esclusiva, monogama, sicura → attaccamento sicuro.
Quando i bambini spaventati, angosciati cercano il contatto fisico con la figura di attaccamento.
Quando nell'età adulta hanno paura e sono angosciati queste persone con un attaccamento sicuro
vorrebbero essere confortati dal loro partner quindi chiedono conforto, aiuto.
Gli evitanti amano le relazioni a distanza, gli ambivalenti non riescono a mantenerle.
Se abbiamo una figura di attaccamento molto sensibile nei nostri riguardi cercheremo quella
sensibilità nel partner, se abbiamo avuto una figura di attaccamento che riusciva a mettere da
parte i propri bisogni tipo la propria carriera lavorativa, proprie esigenze per noi, cercheremo quel
tipo di figura nella nostra vita cioè non ci prenderemo un egoista; se disposto a correre rischi per
proteggere il bambino = cercheremo una persona che ci protegge.
Se abbiamo stabilito un attaccamento con una figura che entrava in empatia con noi cioè che stava
male quando stavamo male noi, che era proprio presente a livello emotivo, condivideva con noi le
nostre emozioni cercheremo questo anche nelle relazioni adulte.
179
Necessità di contatto fisico.
Il maternese è il linguaggio che la mamma usa per parlare con il bambino, la mamma utilizza
quelle parole perché il bimbo è molto piccolo, non ha ancora sviluppato un linguaggio e quindi
cioè usa parole onomatopeiche. Se
abbiamo ricevuto questo linguaggio da
piccoli noi quando siamo adulti
utilizziamo toni di voce particolari
quando parliamo con i nostri partner
oppure parole, soprannomi, nomignoli di
ogni tipo, teniamo ad avere toni più
morbidi sicuramente.
180
Questa è una misura dell'attaccamento molto veloce che vi fa capire che tipo di attaccamento
siamo.
181
Il triangolo dell'amore. Teoria verissima che spiega quali sono i tre ingredienti dell'amore e come
questi tre ingredienti possono combinarsi tra loro cioè in senso di essere presenti o no e generano
diverse ricette.
Questi tre ingredienti dell'amore sono: la passione, il coinvolgimento e l'intimità.
La passione fisica è il bisogno fisico dell'altro. La passione può essere molto mentale ma di base è
fisica.
Passione che poi è anche in termini di romanticismo quindi è passione fisica e romanticismo cioè il
fatto di voler corteggiare l'altro, di volerlo stupire.
La passione per esempio è il desiderio di dormire insieme abbracciati.
Il coinvolgimento è quando si vuole far parte della vita dell'altro, implica che ci impegniamo in
attività con l'altro infatti è molto importante trovare delle attività in comune da fare con l'altro che
non siano soltanto sessuali perché altrimenti c'è passione ma non c'è coinvolgimento.
Con intimità si intende intimità emotiva cioè non avere vergogna dell'altro, non avere tabù con
l'altro, poter parlare di tutto, non avere vergogna di farsi vedere senza trucco oppure nel bagno.
Passione, coinvolgimento, intimità le possiamo avere tutte come non ne possiamo avere nessuna;
c'è mancanza di amore se non ci sono queste cose, c’è un amore strumentale non sono coinvolto,
non sono intimo, non sono appassionato.
182
Se io conosco una persona, ho una specie di colpo di fulmine e dopo poche volte che sto con
quella persona sento una passione molto forte, è proprio un sentimento dentro di me, quello non
è innamoramento ma è infatuazione perché è passeggera, la passione non può durare per sempre
ed è molto difficile riattivarla, va coltivata tantissimo perché è una questione neurochimica .
L'ossitocina, io rilascio l'ormone delle coccole stando con quella persona abbracciandola, sentendo
l'odore, non avendo delle effusioni sessuali con quella persona, dopo un po’ si crea assuefazione
non mi fa più effetto quindi la passione genera solo l'infatuazione quando non c'è altro.
L'amore insignificante è quando c'è solo un coinvolgimento, c'è l'amore insignificante nelle coppie
che stanno da tanto tempo insieme e non hanno coltivato intimità e passione e si ritrovano
insieme solo a condividere la quotidianità tipo i genitori che sono coppia genitoriale non sono più
coppia coniugale cioè non sono più amanti tra loro, svolgono le funzioni di gestione della casa
della famiglia insieme, i separati in casa.
Secondo Rosenberg che è quello che ha proposto questo triangolo dell'amore c'è solo intimità
nell’amicizia e non anche passione, c'è intimità relazionale nel senso che racconto i miei segreti,
condivido le mie emozioni questo intende per intimità.
Poi c'è l'amore fatuo c'è passione e coinvolgimento ma non c'è intimità. L'amore fatuo è quello
degli evitanti molto spesso, si fanno le cose insieme, c'è molta passione anche sessuale ma non c'è
intimità quindi andiamo a cena fuori, ci divertiamo, ci vediamo con gli amici, vengono a casa tua lo
facciamo e me ne vado.
L'amore romantico è caratterizzato da passione e intimità ma non da coinvolgimento. L'amore
romantico è molto quell’amore a distanza dove ci si incontra magari nelle varie città si va un po’ in
giro però poi non c'è la quotidianità, è l'amore senza quotidianità cioè di quelle coppie che vivono
da soli e sono anche fidanzati però non vanno a convivere.
L'amore amicale è quando stiamo insieme con una persona e non abbiamo più un'attrazione fisica
nei suoi riguardi però siamo molto coinvolti, ci piace tanto condividere la vita con quella persona e
c'è anche tantissima intimità. Capita spesso questa cosa e si va molto in crisi perché si è molto
legati a quella persona però non c'è più la passione. L'amore amicale è un'evoluzione dell'amore
completo, bisogna saper accettare che nelle relazioni ad un certo punto la passione svanisce e
bisogna capire come coltivarla, è inutile cambiare sempre partner tanto le dinamiche sono sempre
le stesse alla fine.
L’esame per i frequentanti sarà sulle slide, parte la si trova anche sul libro.
183
184
185
29/03/2022
Modulo 2
PERSUASIONE
Siamo su un piano più comunicativo sia
interpersonale che pubblico.
186
Gli studi sistematici sulla
persuasione nascono negli stati
uniti dagli anni ‘20 e ‘30 con una
grande accelerazione negli anni ‘40
‘50.
Studi sulla persuasione avviati
nell’università di Yale dove lo
studioso psicologo sociale famoso
Hovland è il punto di riferimento.
Quando gli USA entrano in guerra
vogliono creare un forte consenso
nella propria cittadinanza sia dal
punto di vista dei militari che dal
punto di vista della cittadinanza.
Allora il governo da grossi
investimenti federali, soprattutto l'esercito americano, ad un gruppo di psicologi sociali e gli chiede
di costruire un programma di costruzione del consenso, quindi gli chiede di studiare
sistematicamente i processi persuasivi con esperimenti e di applicare poi questi risultati alla realtà
e quindi a costruire il consenso.
Quindi aventi ingenti somme di finanziamento, Hovland e i suoi collaboratori iniziano a studiare
sistematicamente con degli esperimenti ricerca di arrivare a dei risultati che siano replicabili.
La Seconda guerra mondiale è un momento storico importantissimo per gli studi sulla persuasione.
Un altro famoso psicologo sociale è Levin. In guerra mancano sempre pezzi di carne pregiata e
bisognava convincere le casalinghe a usare la carne meno pregiata e Levin studiò come cercare di
cambiare le abitudini delle casalinghe.
Approccio atomistico o di Yale perché Hovland e i suoi colleghi iniziano a studiate tutte e tre le
caratteristiche della persuasione: fonte, messaggio e destinatario.
Basano tutti i loro studi sulla persuasione su questi elementi e cercano di capire le caratteristiche
di ciascuno di questi elementi per aumentare la capacità persuasiva. Atomistico perchè studia
proprio tutti i pezzettini di questi tre elementi.
Altro momento importante negli studi della persuasione sono gli studi sugli atteggiamenti. Con le
scale likert si iniziano a studiare i vari atteggiamenti.
Ultimo step importante a livello storico è lo sviluppo della social cognition negli anni ’60 ’70 che è
quel filone della psicologia sociale che studia da un lato i processi cognitivi e dall’altro i processi
sociali ossia come elaboro le informazioni sociali (memoria con le interazioni sociali).
188
Es. immaginiamo di comprare un nuovo telefono e siamo persone super informate, ben preparati,
siamo molto coinvolti nell’argomento. In un negozio con un commesso ragioniamo bene sulle
caratteristiche, facciamo fatica sullo sforzo mentale e ci piace però ragionare per decidere quale
telefono prendere perché ci interessa. In questo caso stiamo usando la via centrale (a sinistra
della slide), è un percorso questo ad alto sforzo cognitivo, le persone investono energia cognitiva,
fanno fatica. Questo percorso richiede che si passino alcune fasi: innanzitutto attenzione al
messaggio, il messaggio deve essere compreso perchè se non ho le competenze, abilità cognitive
per comprendere il messaggio non posso analizzarlo, terza fase devo essere in grado di integrare
le nuove informazioni sul messaggio con le conoscenze pregresse, già possedute, solo dopo posso
dare una valutazione al messaggio se è convincente oppure no.
Un'altra possibilità è che io devo comprare il telefono ma non sono esperta di telefoni, non mi
interessa, magari sono più focalizzata sull’aspetto estetico, di moda. Ho bisogno velocemente di un
nuovo telefono, vado in un negozio dove il venditore mi ammalia e mi fido su quello che lui mi dice
per prendere il telefono. In questo caso mi baso sulla credibilità della fonte, mi baso su quanto
sembra convincente la fonte, uso un percorso periferico, superficiale; è un processo a basso sforzo
cognitivo, non faccio fatica mentale. Mi baso non tanto sul contenuto del messaggio ma più sugli
aspetti periferici come l’aspetto della fonte, le capacità della fonte. Ci si focalizza sugli aspetti di
contorno.
Molto spesso noi utilizziamo questo ragionamento periferico, euristico che spesso funziona ma a
volte ci fa commetter errori.
189
Secondo punto della slide cambia l’attenzione, se ci riguarda da vicino il messaggio lo si valuta più
attentatamene. Se riguarda altre persone l’attenzione è minore.
Terzo punto slide misuro il cambiamento tra tempo 1 o tempo 2. Le ipotetiche cause, quindi
l’atteggiamento sono le indipendenti.
190
persuasione invece quando non c’è interesse la qualità del messaggio, delle argomentazioni fa
poca differenza. Quindi la motivazione è un elemento chiave nella persuasione.
Il modello di probabilità di
elaborazione dice che la prima
domanda da farsi è chiedersi se le
persone hanno la motivazione e la
capacità cognitiva di comprendere il
messaggio, devono averli entrambi.
Se sì, è altamente probabile che
utilizzeranno il percorso centrale,
l’elaborazione sistematica.
Se non hanno né motivazione né
abilità cognitiva utilizzeranno il
percorso periferico ossia
l’elaborazione superficiale.
In entrambi i casi si può arrivare ad un
cambiamento di atteggiamento.
La differenza è qualitativa, uno non è migliore dell’altro ma ci sono effetti nel lungo termine: è più
stabile, duraturo l’atteggiamento con la via centrale; mentre con la via periferica l’atteggiamento
decadeva di più nel tempo, effetto più effimero, meno duraturo nel tempo.
Se la via periferica è usata per comprare un prodotto non importa se è duraturo nel tempo perché
l’oggetto si compra subito.
Questo modello ha due percorsi alternativi che si escludono a vicenda, o fanno un tipo di
ragionamento o l’altro.
192
Secondo modello euristico-
sistematico, è molto simile al
precedente e anche questo definito
duale perchè ipotizza sempre due vie,
due processi di riferimento diversi alla
percezione del messaggio, quindi
ipotizza sempre una doppia via alla
persuasione:
elaborazione sistematica, del
tutto simile alla via centrale, è
esattamente la stessa cosa cioè
ipotizzano la stessa cosa.
La seconda via più superficiale
è descritta in maniera diversa,
il processo che le persone
utilizzano nella via superficiale è un processo euristico, basato proprio sulle euristiche
(utilizzo quotidiano di scorciatoie mentali quindi meno energia cognitiva per prendere
decisioni).
Per prendere una decisione più velocemente si basano su ragionamenti semplificatori
euristici meccanismo molto semplice, automatico.
Una della euristiche più famose è l'euristica dell'esperto cioè le informazioni degli esperti le
riteniamo più valide.
Altra euristica famosa è quella della riprova sociale o del consenso, tendiamo a giudicare
più di valore quelle cose, opinioni, azioni adottate dalla maggioranza delle persone, se tutti
fanno una cosa noi tendiamo a seguire quello che fanno gli altri (es. se dobbiamo scegliere
un ristorante andiamo a scegliere quello pieno rispetto a quello completamente vuoto
perché deduciamo che in quello si mangerà meglio).
Altra euristica della lunghezza del messaggio, quando un’opinione, posizione viene
sostenuta da più argomentazioni rispetto a una argomentazione anche se a livello di
significato non sembra cambiare molto, noi tendiamo a ritenere quel messaggio più valido.
A volte cioè un messaggio un po’ più lungo che contiene più argomentazioni può essere,
solo sulla base del fatto che è più lungo, sembrare più convincente rispetto ad un
messaggio che è sostenuto invece da una sola argomentazione. Chi utilizza le tecniche del
linguaggio magari deduce molto linguaggio, tende a parlare molto senza aggiungere
significato per avere un effetto dal punto di vista superficiale che è comunque sempre un
effetto.
Questo modello dice che quando le persone usano la via euristiche si basano su questi meccanismi
mentali molto semplici.
Le euristiche affinché vengano utilizzate devono essere disponibili cioè le persone le devono
conoscere, devono per esempio averle utilizzate in passato, devono essere inoltre accessibili alla
nostra mente (nella nostra memoria ci sono alcune informazioni più prontamente disponibili ed
altre più sotterrate, se l'euristica sta sopra probabilmente viene utilizzata con maggiore facilità) e
devono anche essere considerate affidabili dalle persone.
Anche in questo modello la capacità cognitiva e la motivazione sono fondamentali come nel
modello di prima e l’uso di una o l’altra via dipende da quanto le persone sono motivate e dalla
capacità cognitiva.
193
Il metodo è lo stesso della ricerca di
prima degli studenti, qui però siamo in un
messaggio pubblicitario degli anni ‘90. Le
variazioni rispetto al modello sono uguali
a quelle dell'esempio fatto prima.
L’unica differenza rispetto all’altra ricerca
era che le argomentazioni erano costruite
così: c'erano dei messaggi con
argomentazioni tutte forti, convincenti,
un messaggio con argomentazioni tutte
deboli ma in questo caso c'era una terza
condizione che era una condizione di
incertezza, di ambiguità dove il
messaggio aveva sia argomentazioni forti che deboli. Può capitare nella vita di tutti i giorni che un
messaggio non sia nettamente convincente o nettamente poco convincente quindi una via di
mezzo, nella vita quotidiana le persone sono esposte ai messaggi anche un po’ dubbi con
argomentazioni buone e altre un po’ meno.
Messaggio ambigua con argomentazioni sia forti che deboli.
194
30/03/2022
Focalizziamo l’attenzione sulla catena
persuasiva.
I primi studi analizzavano tutte le
caratteristiche delle tre parti della
catena persuasiva che insieme o
speratatene possono avere influenze
persuasive.
Analizzare questo schema della catena
dal punto di vista della catena persuasiva
quindi capire cosa ha più impatto, come
si devono costruire le parti per avere più
impatto ossia quali sono le variabili
moderatrici.
LA FONTE
Può essere identificato con colui, colei o coloro che supporta quindi dà il proprio sostegno ad un
messaggio persuasivo. Quindi la fonte è chi produce e sostiene il messaggio.
In alcuni contesti la fonte è chiaramente identificabile, in altri non è così chiaramente identificabile
ad esempio nella comunicazione pubblicitaria.
La ricerca sulla comunicazione persuasiva si è soffermata su alcune caratteristiche della fonte.
Notorietà della fonte → spesso associare una persona nota ad un messaggio da forza persuasiva
alla fonte.
Similarità ossia si realizza un’identità collettiva, sociale che ha lo scopo di avvicinare
psicologicamente il messaggio alla fonte, avvicinare psicologicamente fonte e destinatario è un
meccanismo tipico.
195
La credibilità della fonte è una
delle caratteristiche che ha
ricevuto più conferme empiriche,
credibilità confermata da molte
ricerche.
Un messaggio proveniente da una
fonte credibile viene accettato più
facilmente quindi ha un maggiore
effetto persuasivo.
Quando parliamo di credibilità
facciamo riferimento sia alla
competenza e qui l’euristica che
scatta è quella dell’esperto anche
solo apparenza dell’essere
esperti, non per forza la persona
è davvero esperta. Importantissimo qui è il ruolo professionale di chi sostiene il messaggio quindi
spesso si fa leva su una competenza specifica, un ruolo professionale specifico.
Affidabilità/fiducia, quando siamo in un contesto persuasivo magari dobbiamo comprare in un
negozio, sviluppiamo delle aspettative rispetto alla fonte, noi ci aspettiamo che la fonte abbia un
determinato comportamento e quando l’aspetto è chiaro ci aspettiamo che l’intento sia
perseguito. Quando l’intento è molto chiaro e netto e la fonte si cala molto nel ruolo ed è molto
pressante es. si vede che la persona vuole davvero vendere, l'eventuale compratore tende a
opporre una certa resistenza alla persuasione, questo per un principio legato alla teoria della
reattanza psicologica per cui quando noi ci troviamo davanti a uno scopo persuasivo troppo
pressante, quando l'intento persuasivo è così chiaro ed evidente c’è un effetto boomerang per cui
le persone. proprio perché vedono una restrizione, una limitazione della propria capacità di scelta,
tendono a stoppare il messaggio di rifiutarlo, è proprio una reazione automatica psicologica in cui
noi stoppiamo la comunicazione.
Se l’intento persuasivo è troppo forte ed evidente le persone tendono a tirarsi indietro, può
succedere che ci fidiamo meno della fonte.
Diversamente se le aspettative che la fonte persegue al proprio interesse vengono disattese il
messaggio avrà maggiore forza persuasiva, es. una commessa magari ti sconsiglia un capo più
costoso perché magari è di qualità inferiore e lo fa contro il suo interesse (questa è una classica
tecnica di vendita), questo è un modo per apparire più sinceri e onesti, in quel caso spesso quello
scavalca la reattività per cui si diventa più persuasivi perché la fonte riesce ad apparire come meno
interessata per seguire i propri interessi e ottiene maggiore fiducia. Questo meccanismo deriva da
una disconferma delle aspettative che noi abbiamo nei confronti della fonte.
196
squalificanti, per esempio una fonte poco credibile, non sono più disponibili o vengono dissociati
dal contenuto del messaggio.
La fonte poco credibile solitamente ha meno effetto di quella molto credibile ma è stato
dimostrato che nel tempo la fonte poco credibile aumenta di efficacia, cioè viene ricordata di più
la fonte poco credibile nel tempo 2 rispetto al tempo 1 → Sleeper effect.
Sleeper effect è un effetto ritardato della fonte poco credibile, dell'indizio più squalificante del
messaggio ed è stato spiegato con varie ipotesi legate ai nostri meccanismi di memoria.
Ci sono diverse ipotesi alcune dicono che nella nostra memoria c'è una sorta di decadimento
dell'associazione tra le informazioni relative al messaggio con le informazioni relative alla fonte.
Cioè succede che a volte noi ci ricordiamo il contenuto di un messaggio ma non ci ricordiamo chi
l'ha detto, ci ricordiamo lo spot ma non il brand, oppure il contrario ci ricordiamo qualcuno che ha
detto qualcosa ma dissociamo alla persona dal messaggio; il ricordo della fonte e del messaggio
nel tempo rimangono meno connessi, associati e questo è il motivo per cui le fonti meno credibili
vengono ricordate di più nel lungo periodo.
Da alcuni studi è emerso che conta anche dove nella durata del messaggio è stata messa la fonte;
se messa all’inizio viene ricordata più a lungo mentre se viene messa alla fine c’è l’effetto di
recenza e quindi viene dimenticata prima.
Questo effetto ritardato ci dice
che la credibilità della fonte ha
effetti diversi nel tempo.
198
spingere sull’empatia. Qui (es. Adidas Messi) c’è proprio una connessione narrativa tra l’identità
del brand, quello che il brand ha deciso di comunicare e la storia del testimonial.
Esempio pugile con velo, un’altra operazione è la storia personale che si fa portatrice di un valore
importante. Io passo con il testimonial valori importanti e cerco di riempire di significati ancora più
ricchi e diversi i brand.
I tipi di associazione che si possono fare sono diversi.
199
carrozzina perché uno di loro è davvero in carrozzina. Quindi usare un valore molto forte, molto
condiviso per condividere qualcosa.
Pubblicità dove certi valori diventano unificanti quindi uniscono fonte e destinatario.
1/04/2022
Messaggio → secondo elemento nella
catena persuasiva.
Le caratteristiche del messaggio possono
essere classificate in:
Organizzazione contenuto quindi
scelte che chi opera può operare in
termini di costruzione del messaggio.
Si suddivide poi in: lunghezza del
messaggio; argomentazioni unilaterali
e bilaterali (si può scegliere di
utilizzare delle argomentazioni solo a
sostegno della propria opinione →
unilaterali oppure alternativamente
utilizzare sia argomentazioni a favore
sia contrarie, ovviamente confutando
quelle contrarie, dimostrando che
sono sbagliate → bilaterali); poi vividezza che ha a che fare con l’effetto emotivo che il
messaggio può avere, sulla capacità di coinvolgere il target sia dal punto di vista sensoriale
200
che emotivo, ricorso a euristiche (ossia scorciatoie cognitive) che possono essere usate
anche a livello comunicativo ossia possono inserire elementi nel messaggio che favoriscono
l’utilizzo delle euristiche; ultima caratteristica è l’ordine di presentazione (dove metto le
argomentazioni più forti)
Frame del messaggio io posso incorniciare il mio messaggio da un punto di vista
semantico, posso decidere di dare peso maggiore ad alcuni aspetti piuttosto che altri. Nel
frame è emersa la valenza del messaggio cioè io posso dare peso maggiore ai guadagni o
perdite che una determinata decisione, contenuti può dare.
Ricorso alla paura quindi analizziamo il filone di comunicazione del messaggio fear appeals
ossia i messaggi basati sulla paura nei quali si sceglie di evocare nel destinatario un
meccanismo negativo, proprio di paura per convincere il destinatario a non mettere in atto
un determinato comportamento. Tecnica molto usata soprattutto nei paesi anglo sassoni
203
Per capire questo serve la teoria
del prospetto di Kahneman e
Tversky, teoria degli anni 80.
Loro sono partiti soprattutto dallo
studio dei processi decisionali cioè
di come le persone prendono le
decisioni e partendo dal
presupposto che spesso noi
abbiamo una sorta di razionalità
limitata cioè che quando
dobbiamo decidere non siamo dei
perfetti decisori che soppesiamo
guadagni, possibili costi benefici di
qualsiasi cosa, ma a volte usiamo il
pensiero intuitivo che è quello delle euristiche che ci porta a semplificare.
Loro partono da questo presupposto e dicono che nella vita reale le decisioni che tutti noi
prendiamo sono condizionate in modo significativo dal modo in cui alle persone si prospettano i
diversi esiti delle alternative decisionali. Cioè dicono che se io presento alle persone una data
situazione il modo in cui io prospetto i possibili esiti positivi e negativi di quella situazione ha un
valore, ha un effetto e questo cambia a seconda del fatto che questi esiti siano presentati in
termini di guadagni piuttosto che di perdite.
Quindi le decisioni sono fortemente condizionate dal modo in cui alle persone si prospettano gli
esiti di guadagno o di perdita delle alternative decisionali. Guadagno e perdita non è la stessa cosa,
non è l'equivalente.
204
chi era nella condizione 2 sceglieva la condizione D. Da una parte c’è la certezza (A e C) mentre
dall’altra parte programma riflessione (B e D) e si sceglie quando le persone accettano il rischio.
Quando propongo una situazione in termini positivi le persone scelgono il guadagno, mentre nel
messaggio con termini negativi le persone sono più propense al rischio.
205
La paura affermò Hovland che la paura crea una tensione emotiva, ci disturba in qualche modo,
questo disturbo crea uno scompenso per un disequilibrio emotivo che ha una funzione secondo
Hovland di drive, di spinta è cioè uno stimolo che ci arriva però non possiamo tollerare questa
spinta, questo squilibrio emotivo quindi dobbiamo risolvere la situazione.
Quindi questa spinta porta l'individuo a mettere in atto dei comportamenti adattivi alla situazione
per ripristinare lo stato emotivo precedente.
Possiamo ristabilire il livello emotivo in due modi: o adottiamo il comportamento raccomandato
oppure l’altra alternativa per gestire questo disequilibrio è adottare delle risposte adattive
difensive: pensare che la cosa non mi riguarda da vicino ma riguarda altre persone (es. Un
incidente stradale a me non è capitato quindi non mi sento vulnerabile) oppure dire che le
immagini che hanno messo es. sulle sigarette sono finte, troppo scioccanti, non servono a niente.
Mettere in gioco tutta una serie di risposte cognitive e anche emotive di allontanamento dal
messaggio.
In questo modo c’è proprio un effetto boomerang, cioè il messaggio provoca nel destinatario un
rifiuto quindi la persona mette in atto tutti i processi di squalifica del messaggio che possono
riguardare la fonte, i contenuti, gli effetti nel tempo, in qualche modo trova tutti degli escamotage
per smontare il messaggio e quindi allontanarlo → queste sono tutte risposte adattive difensive.
206
Una modalità effettiva
è quella dell’ironia.
Spot Zalone che
normalizza la disabilità
scherzandoci sopra.
Usare l’ironia per
scavalcare le risposte
difensive.
Le ricerche
confermano che
quando nei fear
appeals cioè quei
messaggi dove ci sono
argomenti più forti,
che possono evocare
sensazioni negative,
ecc. se viene costruito
il messaggio
ironizzando senza
esagerare e sempre in modo rispettoso, in modo efficace si riduce la possibilità che il destinatario
metta in atto le risposte difensive per esempio negare la vulnerabilità.
Nello schema della slide c'è una ricerca simile e le due rette rappresentano il caso in cui c'è il
messaggio ironico, quella che va su e il caso in cui non c'è ironia che è quella che va in giù. Si
poteva dedurre che tanto più il messaggio ironico tanto più è maggiore il cambiamento di
atteggiamento che si ottiene in un contesto di messaggi di questo tipo.
L’ironia agisce perché pare che la tensione che deriva dal fatto che c'è questo drive dell'argomento
difficile da affrontare, che noi tendiamo a rifiutare questa tensione viene risolta in qualche modo e
le persone quando sono portate a ironizzare, scherzare su un argomento di questo tipo, sentono di
essere in uno stato di sicurezza emotiva dove i meccanismi difensivi diminuiscono, io riesco a
ragionare su quell'argomento perché non lo rifiuto di primo acchito quindi è più probabile che le
persone elaborino il messaggio, prestino attenzione e lo elaborino e riconoscano anche la
vulnerabilità e la minaccia, cioè si identifichino anche nella situazione.
In generale quindi l’inserimento dell'ironia produce l'effetto di aumentare l'efficacia persuasiva del
messaggio quindi è per esempio un meccanismo che funziona.
5/04/2022
LEZIONE DI APPROFONDIMENTO, NON È MATERIA DI ESAME
208
Esperienza e importanza
potenziale che rende la
selezione particolarmente
ambiziosa perchè non
valuto solo quello che c’è
ma anche quello che ci
potrà essere.
Step selezione.
Il curriculum vitae CV è stato per tanti
anni e ancora adesso almeno a livello
italiano è il primo contatto tra azienda e
candidato.
Nel tempo cambiano alcune cose
fondamentali uno di questi è il tipo di
relazione. Prima c'era l'azienda che
pubblicava un annuncio e il candidato
rispondeva, ed è questa la modalità che
va ancora per la maggiore, rispondeva
mandando la lettera di presentazione e il
CV. Adesso c'è una logica più
bidirezionale. In Linkedin ci sono un
sacco di spunti a tema lavorativo, sociale
perché adesso Linkedin è diventato non solo una piattaforma per far sì che azienda e candidato
trovino un collegamento ma è diventata anche una realtà in cui ci sono alcuni argomenti di
attualità che vengono trattati in un certo modo. Adesso le selezioni passano anche attraverso i
social quindi il movimento non è più monodirezionale ma anche bidirezionale.
Occhio alle foto sui social nei curriculum
209
L’altra modalità che qualche azienda ha utilizzato non è quello di ricevere dei CV ma dei progetti ,
sempre nell'ottica di innovazione non ti seleziono su quello che appare scritto sul CV ma su quello
che sei riuscito a farmi a vedere, un progetto che può essere ad esempio un reporter piuttosto che
un'idea, ecc.
Quindi cambia la prospettiva, cambia da quello che c'è scritto rimane lì, quello che dichiaro da
quello che effettivamente le mie dichiarazioni, il mio saper fare dimostra.
L'ambito dell'ambiente virtuale è particolarmente interessante perché sostituisce in parte tutto
quello che sono gli assesment tradizionali quindi vanno a vedere come è l'interazione nel gruppo.
La selezione vera e propria cambia, da quella solo colloquio in presenza, che è quella che va per la
maggiore perché costa di meno (l'organizzazione è anche un tema di costi del candidato con
rapporto uno a uno), nella parte di assesment invece ci sono varie fasi tra cui una delle principali
sono anche i colloqui di gruppo.
Con la pandemia la selezione ha subito un grosso cambiamento da assesment in presenza a tutti
online. Online è più complicato perchè mancano aspetti di comunicazione con gli altri anche il
semplice aspettare il proprio turno per parlare. Questo ha creato grossi problemi soprattutto nelle
selezioni di gruppo dove la comunicazione è fondamentale.
Un vantaggio è stato lo spazio perchè si possono fare colloqui anche con persone a distanza e
impossibilitatati a raggiungere il luogo del colloquio.
Un altro vantaggio è stato poter vedere le persone in quello che ora è il nostro ambiente
quotidiano di vita.
Il colloquio è il momento
principe, è dove avviene il
vero e proprio incontro tra
candidato e selezionatore o
selezionatori.
Il colloquio può essere
preceduto o seguito dalla
somministrazione di test, di
solito quando ci sono test è
riservato a persone abilitate
all’albo soprattutto per i
costi.
210
Ci sono vari tipi di colloqui che va da quello libero in cui non c'è una struttura ben specifica e il
selezionatore fa delle domande magari partendo dal CV rispetto a quello che sono degli interessi o
comunque i temi che emergono, fino ad arrivare a colloqui molto strutturati che somigliano dalle
interviste.
C'è un tipo di colloquio che attualmente sta spopolando ossia il colloquio sotto stress in cui il
selezionatore ha lo scopo di far perdere la pazienza al candidato, di solito viene usato soprattutto
per funzioni commerciali.
211
I colloqui online sono più
complicati quando manca una
parte di informazione che in
presenza ambiamo.
Quello che conta molto in una
comunicazione è il non verbale
che in online arriva meno.
Conta il 55% il non verbale, il
38% il paraverbale e solo il 7% il
verbale.
212
213
Quando si fa un colloquio la regola è lo
sfondo neutro.
Assessment
Ci sono test.
Prove di gruppo,
individuale classica è
che c’è una criticità e
voi dovete risolverla
prima individualmente
e poi in gruppo
confrontarsi e trovare
una soluzione
organizzativa.
Una cosa su cui si
viene valutati molto è
il tempo anche se
l’esaminatore non lo
dà in realtà lo sta
valutando soprattutto
nei gruppi.
Elevator pitch è il
discorso in ascensore
praticamente bisogna
convincere le persone in ascensore a fare delle cose.
In basket come si risolve una situazione critica rispondendo a delle mail.
214
È più semplice acquisire capacità tecniche, è più difficile migliorare le soft skill ecco perchè le soft
skill vengono valutate di più che delle conoscenze tecniche.
215
Le soft skill si valutano facendo, se non
c’è la possibilità di fare un assesment e
quindi di creare delle situazioni di
gruppo o comunque fare delle attività,
se non è possibile quello che il
selezionatore fa è fare delle domande a
cui poi far seguire degli esempi. Questa
parte è fondamentale perché aiuta a
capire se davvero non si sta costruendo
una capacità ma la si possiede perché si
va nello specifico e nello specifico è più
difficile essere preparato tutto.
216
Test per vedere la nostra gestione nei conflitti
6/04/2022
Famosa teoria proposta “teoria
della motivazione e protezione”
di Rogers, teoria degli anni 80.
Ipotizza che le persone per essere
colpite da un messaggio sulla
paura devo passare delle fasi, il
messaggio deve essere costruito
in modo che le persone sentano
situazioni. Le fasi sono 4:
217
1. Innanzitutto percezione della gravità dei problemi, solitamente si usano proprio dati
scientifici (gravità problema).
2. Poi deve far sentire la persona del messaggio come una persona vulnerabile, deve
sembrare che il problema possa colpire anche lo spettatore (vulnerabilità).
3. Poi i comportamenti bersaglio, quelli positivi raccomandati deve sembrare efficaci e lo si
deve dire molto concretamente.
4. Infine l’ultimo step molto importante è che bisogna far percepire il target del messaggio
come in grado di attuare quel comportamento, la self-efficacy (percezione che abbiamo di
risolvere efficacemente un problema, riguarda anche quando una persona si aspetta un
comportamento positivo). Questo step aggiunge qualcos’altro rispetto agli altri messaggi
basati sulla paura.
Secondo questa teoria se si inseriscono efficacemente tutti questi step il messaggio può avere
esito positivo, se manca l’ultimo step la paura è
paralizzante e basta e le persone non sanno
gestire questa paura.
218
Dissonanza cognitiva è quando cambiamo atteggiamento dopo un’incongruenza tra quello che
pensiamo di essere e quello che facciamo. Questo perchè noi abbiamo un grosso bisogno di essere
coerenti.
Tecnica del colpo basso, si fa accettare una richiesta di una certa entità e poi la modifico una volta
accettata e la persona per desiderio di coerenza è possibile che accetti anche i costi aggiuntivi .
Questa viene anche definita tecnica di induzione sociale.
Riprova sociale significa considerare più adeguata un’azione quando la fanno anche gli altri; è una
grande leva perchè quando siamo incerti, non abbiamo tempo, o capacità cognitiva ci basiamo su
quello che gli altri fanno e lo seguiamo e questo porta una sicurezza nella persona.
219
“Più di un milione copie” fa
leva sulla riprova sociale.
220
I fattori motivazionali sono un fattore
importante.
Se una persona possiede la capacità
cognitiva e non diminuisca è più
probabile che la persona che concentri
sull’aspetta contrale del messaggio.
Però questi studi hanno notato anche
fattori personali che possono modificare
la percezione del messaggio, sono tre:
Bisogno di cognizione autostima
Auto-monitoraggio
Poi c’è anche umore.
221
essere che per questo motivo anche le persone che hanno una bassissima autostima siano poco
ricettive dei messaggi perché non vi prestano neanche attenzione.
Sembra invece funzionare il meccanismo per cui le persone che hanno livelli intermedi sono quelle
che più facilmente cambiano atteggiamento.
222
Esempio di matching effect
legato alle ricerche.
Questa è una classica
ricerca che mostra come
avviene e anche come è
stato scoperto a livello
proprio di ricerca empirica.
In questo caso il matching
effect è stato studiato
relativamente a quella
caratteristica di personalità
del self-monitoring.
L’automonitoraggio è
quella caratteristica per cui
chi ha un alto
automonitoraggio tende
fortemente a modulare il
proprio comportamento a
quelle che ritiene essere le richieste situazionali, quindi gli high-monitoring quelli che vogliono
essere accettati giorni sociali sono un po’ come dei camaleonti perché si adattano molto a quelle
che pensano essere le richieste situazionali, sociali quindi ad esempio adattano le loro opinioni, il
loro modo di vestire, il loro modo di essere alla situazione in cui si trovano, modulo le mie ricerche
e i miei comportamenti in modo da essere accettata, essere conforme a quelle che sono le
situazioni sociali.
Chi ha un alto automonitoraggio si dice che ha un’alta autopresentazione, tende molto ad auto
presentarsi quindi a cambiare le proprie scelte, i propri comportamenti in base alle richieste
sociali.
Diversamente chi ha un basso automonitoraggio è sempre sé stesso nelle diverse situazioni, fa
fatica a cambiare aspetto, ad adattarsi alla situazione, a esprimere opinioni false, è una persona
che tendenzialmente invece ha un'altra autoespressione cioè rimane sé stesso a prescindere dal
contesto sociale.
È una caratteristica di personalità. Quindi se ci viene fatto un questionario tutti noi verremo
collocati in un punto della scala.
In questa ricerca misuravano l'automonitoraggio dei partecipanti, delle persone coinvolte e poi
proponevano loro una pubblicità, uno spot sullo stesso prodotto in due modi: uno era un focus
molto più orientato sulle immagini, sull'essere di moda; diversamente nell'altra condizione lo
stesso prodotto veniva pubblicizzato con un focus più informativo, dava informazioni sul prodotto.
Si chiedeva poi alle persone quanto avrebbero speso per comprare quel prodotto perché la
quantità di soldi che avrebbero speso veniva considerata come misura approssimativa del
cambiamento di atteggiamento, tanto più le persone spenderebbero per quel prodotto tanto più il
messaggio della pubblicità ha avuto successo.
Nella ricerca la dipendente si vede che la pubblicità più orientata all'immagine aveva molto più
impatto sulle persone, le persone con alto automonitoraggio erano molto più disposte a spendere
quando veniva proposta a loro una pubblicità orientata all'immagine rispetto alle persone con un
basso automonitoraggio; diversamente quando invece alle persone veniva presentata una
pubblicità più informativa, le persone che erano più intenzionata a spendere erano in questo caso
quelle con un basso automonitoraggio.
223
Da ciò si può dedurre che a
volte uno stesso messaggio
può avere un impatto diverso
a seconda delle caratteristiche
di personalità del
consumatore.
224
La terza caratteristica è la paura dell’inganno. Se in precedenza una persona è stata ingannata, ha
subito effetti negativi rispetto ad esperienze precedenti in futuro sarà molto più attento a essere
persuaso.
Queste sono tre caratteristiche personali del destinatario legate all’esperienza e personalità e
possono rendere le persone più o meno resistenti alla persuasione.
INFLUENZA SOCIALE
Ci spostiamo sul gruppo e sulla dimensione collettiva rispetto al singolo individuo.
225
Filone famosissimo della psicologia sociale ha analizzato come il fatto di essere parte di un gruppo
può condizionare i nostri atteggiamenti e comportamenti.
L'influenza sociale è il processo tramite il quale atteggiamenti e comportamenti sono influenzati
dalla presenza reale o implicita cioè immaginata di altre persone.
Quando siamo da soli spesso agiamo tenendo conto comunque di quello che gli altri potrebbero
pensare di noi perchè esistono le
norme sociali.
Per capire come si è arrivati a definire, a comprendere come funzionano le norme sociali in
psicologia sociale si fa sempre
riferimento ad un esperimento famoso
che è stato l'esperimento che ha
cominciato ad analizzare le norme sociali
e a capire cosa sono e come si creano le
norme sociali. Questo esperimento è
l'esperimento di Sherif famoso psicologo
sociale.
Molti di questi esperimenti sono fatti
inizialmente sulla percezione visiva, in
questi esperimenti fanno svolgere alle
persone dei compiti di percezione visiva
e osservano come nelle varie situazioni,
che vengono modificati in base alle diverse condizioni, queste persone come si comportano, come
rispondono alle diverse situazioni.
226
Questo filone presuppone che
tutti i meccanismi cognitivi che
noi mettiamo in atto anche solo
nella percezione poi possono
essere applicabili anche ai
nostri comportamenti sociali.
In questo esperimento si
convocavano le persone in un
laboratorio e se facevo entrare
queste persone in una stanza
buia dove si proiettava su uno
schermo un puntino luminoso.
Quando noi ci troviamo in una
stanza buia e dobbiamo
osservare un punto unico nella
stanza siamo oggetto di
un’illusione ottica,
l’autocinetico, siccome il nostro
occhio non ha più punti di
riferimento abbiamo dei movimenti automatici dell'occhio che ci fanno percepire che quel puntino
si muova ma in realtà non si sta muovendo, noi però abbiamo queste illusioni di movimento.
Sherif gioca su questa visione ottica, convoca le persone e chiede di valutare, stimare l’entità del
movimento di questo puntino luminoso. Si convocano tanti soggetti, si fanno decine di sessioni di
prova. Prima le persone si fanno entrare da sole nella stanza e si chiede a loro secondo loro
quanto si è mosso il puntino che in realtà non si muoveva neanche ma allora dovevano stimare la
quantità di movimento di quel puntino.
Compito cognitivo molto difficile.
Ogni persona dava più valutazioni e all’inizio queste stime variavano tanto sia tra persona e
persona cioè tra persone diverse, che nella stessa persona.
Ogni persona via via che faceva queste stime creava uno suo schema di riferimento quindi pian
piano queste stime si avvicinavano tra di loro e ognuno individualmente faceva la propria media e
si assestavano un po’ su quella media.
Successivamente i ricercatori decidono di coinvolgere i partecipanti non più da soli ma in gruppo
quindi non solo ricevo la mia stima ma sentivo quello che gli altri dicevano rispetto a questa
valutazione di cambiamento.
I gruppi erano piccoli di tre o quattro persone. Se all’inizio c'è una grande varietà, poi pian piano
quando le persone sono in gruppo succede che lo schema di riferimento non è più il proprio ma è
quello degli altri e quindi le persone creano una stima che è una media di quello che gli altri dicono
227
→ questo secondo Sherif è la
norma. È la stessa cosa che
facciamo quando dobbiamo
farci un'opinione,
osserviamo e ascoltiamo
quello che gli altri dicono,
usiamo quel range come
stima di riferimento e poi
rispetto allo schema di
riferimento noi facciamo
nella nostra testa una media,
una valutazione che è un po’
un compromesso tra tutte
quelle sentite, quella
valutazione media è la
norma sociale.
Succede che dopo un po’ di sessioni di gruppo i ricercatori li riconvocavano da soli ma anche se
erano da soli continuavano a utilizzare quella media che si era creata in gruppo quindi avevano
interiorizzato quelle valutazioni e quando si staccavano dal gruppo si basavano ancora su quelle
valutazioni. I partecipanti restavano ancorati al valore medio del gruppo e si era creata così la
norma di gruppo e anche quando ripetevano il compito individualmente quella norma era ancora
valida.
È lo stesso motivo per cui entro in un gruppo nuovo, vedo come le persone si comportano e
quando sono da solo ho interiorizzato quella stessa norma.
Secondo Sherif così nasce la norma sociale.
Da qui si sviluppano gli studi sul conformismo perchè comincia a nascere l'interesse circa l'effetto
che ha il gruppo sulle opinioni dei singoli.
Con conformismo noi intendiamo la tendenza che hanno i singoli individui a conformare i propri
atteggiamenti e comportamenti alle norme di un gruppo significativo quindi è quello che succede
quando noi entriamo in un gruppo, cerchiamo di capire qual è la norma di quel gruppo e solo
perché siamo parte di quel gruppo, ci sentiamo parte di quel gruppo, vogliamo essere accettati da
quel gruppo, tendiamo a confermare le nostre opinioni a quello che dice prevalentemente il
gruppo.
Secondo gli studi sul conformismo esistono tre possibili esiti quando le persone si conformano al
pensiero di gruppo, tre esisti, risultati qualitativamente diversi.
228
- Acquiescenza quando noi cambiamo atteggiamento in favore del gruppo in modo passivo e
superficiale. Solitamente si parla di acquiescenza pubblica cioè entro in un gruppo a cui tengo e
voglio essere accettato, tutte queste persone sostengono l'idea o si vestono tutti in un certo modo,
io mi adeguo a quello che fanno gli altri
non perché ci credo veramente ma
perché voglio essere accettato da quel
gruppo, è superficiale perché può
essere che poi io quando non sono più
in quel gruppo ritorno alle mie idee
precedenti perché nel mio profondo
non sono tanto convinto di quello che
quel gruppo sostiene. È un
adeguamento molto passivo delle
persone.
Cambiamento superficiale quindi mi
adeguo a quello che il gruppo fa e
pensa ma lo faccio per un desiderio di
accettazione e solitamente lo faccio pubblicamente, quando il gruppo è presente ad esempio;
mentre se invece viene chiesta l'opinione e non sono presenti gli altri membri del gruppo può
essere che io invece esprimo la mia reale idea. È quindi un desiderio di accettazione.
- Obbedienza cambiamento nel comportamento ma non negli atteggiamenti ad esso
collegati, quando le persone cambiano, adeguano il loro comportamento a quello che è il pensiero
di gruppo ma nel profondo non hanno modificato i loro atteggiamenti, lo fanno perché pensano di
poter essere puniti se non lo fanno. C’è un meccanismo di ricompensa gratificazione , sintomi in
quella situazione “devo fare così perché l'autorità me lo dice e quindi adeguo il mio
comportamento” (es. classica situazione nei crimini di guerra in cui quelli che compiono i crimini di
guerra dicono che l'hanno fatto perché gli era stato ordinato ma non perché l'origine giusto, quindi
ho adeguato il mio comportamento), da qui sono nati anche tutti gli studi sull'obbedienza.
L'obbedienza è quando io faccio quello che il gruppo fa ma non ci credo e lo faccio perché ho
paura che il gruppo mi punisca o che l'autorità che rappresenta il gruppo mi punisca e quindi lo
faccio proprio per paura, obbedienza ma io non sono convinto nel mio di quello che sto facendo
ma devo adeguare il mio comportamento a quello. È quindi una paura di essere puniti.
- Adesione è il cambiamento interiore degli atteggiamenti e dei comportamenti conseguenti,
in questo caso si parla anche di conversione tra le persone che veramente si fanno influenzare dal
gruppo e veramente cambiano atteggiamento solo perchè il gruppo lo propone, è un’adesione più
profonda non più superficiale per cui si modificano sia gli atteggiamenti che comportamenti, non
solo mi comporto come si comporta il gruppo ma ci credo veramente. Quindi è un'adesione più
approfondita a quelle che sono le opinioni prevalenti di un gruppo.
Nell’esperimento di Sherif il compito che veniva chiesto di svolgere era difficile. Quindi altri
studiosi che poi hanno provato a studiare il conformismo come il famoso sociologo Asch il quale è
stato uno studioso che ha ipotizzato che dato che l'esperimento di Sherif era una situazione di
incertezza, in un compito difficile poi può esserci che quando sono in gruppo, siccome c'è una
situazione di incertezza, guardo quello che gli altri fanno.
In teoria però questo dovrebbe succedere se il compito che mi viene proposto è un compito molto
facile.
Allora Asch crea degli esperimenti, crea una situazione di non incertezza, più facile ma sempre di
compito percettivo dove analizza gli effetti della pressione di gruppo. In laboratorio convoca dei
229
gruppi variabili tra 7 e 9 persone di quali però solo una persona è soggetto dell'esperimento
mentre tutti gli altri sono d'accordo con lo sperimentatore, sono stati istruiti a comportarsi in un
certo modo. Gli si chiede di fare i compiti, gli si fa vedere una linea modello X, poi li si fa vedere tre
linee di lunghezza diversa e gli si chiede tra queste tre linee qual è quella che in termini di
lunghezza corrisponde alla riga X, è un compito molto semplice molto facile.
Il soggetto ignaro dell'esperimento veniva messo in penultima posizione all'interno del gruppo per
dire a quale linea assomigliava di più il modello X. All’inizio i soggetti erano istruiti per dare le
risposte corrette, ad un certo punto sono istruiti a dare risposte sbagliate, risposte che erano
evidentemente sbagliate perché la risposta esatta era molto evidente. Si studia quello che il
soggetto fa, erano tanti soggetti che venivano convocati in più sessioni.
Mediamente, e questo è un risultato inaspettato per Asch, il 33% dei soggetti si adegua alla
maggioranza anche se è chiaro che quella lì è completamente sbagliata, dopo un po’ di sessioni ci
sono soggetti che addirittura in tutte le sessioni danno ragione alla maggioranza. Mediamente c'è
una percentuale molto ampia, questo era un compito davvero molto facile.
Questo meccanismo è alla base del conformismo e questo esperimento per primo ha evidenziato
come funzionano i processi di conformismo.
Alla fine dell’esperimento ai soggetti si diceva quali risposte allora non date sbagliate e si chiedeva
il perché avevano risposte in quel modo.
C'erano vari tipi di risposte.
C’era chi addirittura dubitava della propria percezione, dopo un po’ che io sento dire agli altri una
cosa diversa io dubito della mia opinione e quindi finivano per crederci veramente che quelle linee
fossero quelle giuste → influenza informativa quando l'opinione della maggioranza mette in
dubbio l'opinione del singolo al punto che il singolo dubita della propria opinione e pensa che
l'opinione della maggioranza sia quella giusta, addirittura dubitando dell'evidenza della realtà.
Oppure, e questa era la risposta più frequente, dicevano che loro sapevano benissimo che quelle
linee erano errate, erano sicuri che fossero sbagliati ma avevano paura di sentirsi ridicoli,
inadeguati, di venir percepiti come diversi, non volevano provare quel disagio che tutti noi
proviamo quando dobbiamo dire una cosa diversa dagli altri. Per minimizzare questo costo e
quindi sentirsi approvati, accettati dagli altri queste persone decidevano di dare risposte sbagliate,
quindi nel loro intimo sapevano che quelle risposte erano sbagliate ma per un desiderio di
approvazione si adeguavano a
quella che percepivano essere la
norma sociale e davano la risposta
sbagliata → influenza normativa, è
quella più forte evidenziata e che è
alla base del conformismo.
8/04/2022
230
Negli anni si è aggiunta l’informativa
del referente, sviluppatasi dall’identità
sociale, e in base a questa teoria si
ipotizza che le persone si conformano
soprattutto quando per loro è molto
importante essere parte del gruppo,
c’è un’alta salienza dell’identità di
gruppo quindi molto importanza della
parte affettiva quando una persona fa
parte di un gruppo.
Questo tipo di pressione sociale può
non essere uguale per tutti, ci possono
essere variabili che moderano la
pressione sociale.
Chi ha una bassa autostima quindi una
scarsa sicurezza di sé può essere che
accetti di più la pressione di gruppo.
Il tempo di risposta, se ho poco
tempo di pensare può essere che
mi uniformo di più alla maggioranza
perchè non ho tanto tempo per
ragionare.
Una figura autoritaria influisce
tantissimo all’uniformarsi alla
pressione del gruppo e a quello che
l’autorità dice.
Asch aveva introdotto alcune
variabili nell’esperimento, aveva
introdotto una persona
consapevole comunque del prodotto ma che dava le risposte giuste, quando c’è anche solo
un’altra persona che va contro la maggioranza si viene influenzati di meno. C’era poi una parte
dell’esperimento dove si scriveva la risposta invece di dirla e si notò che la pressione al
conformismo diminuiva molto.
Nascono quindi gli studi sull’obbedienza grazie all’esperimento di Milgram del 1963.
Negli esperimenti di Asch il compito che veniva chiesto alle persone era un compito senza
conseguenze gravi. Quindi Milgram si chiede se in una situazione simile noi chiediamo alle persone
232
di mettere in atto un comportamento
che ha delle conseguenze un po’ più
importanti per altre persone.
Mette in atto un programma di studi
dove fa un annuncio sul giornale dove
chiede di partecipare ad un
esperimento, seleziona un gruppo di
non studenti tra 20 e 50 anni, persone
assolutamente normali selezionate con
una serie di test.
Li convoca in laboratorio e li si dice che
parteciperanno ad uno studio
sull’apprendimento e dell’effetto delle
punizioni sull’apprendimento; gli si dice
che lavoravano a coppie insegnante-alunno ma in realtà tutti i veri soggetti dell’esperimento
venivano assegnati al ruolo di insegante e tutti quelli che dovevano recitare la parte dello studente
erano stati istruiti.
Il finto studente doveva imparare delle coppie di termini di parole, di associazioni di parole,
successivamente l’insegnate gli dava una delle due parole e lo studente doveva dire quella
corretta. Ai soggetti veniva detto che nel caso in cui lo studente sbagliava risposta bisognava
infliggere una scossa crescente da 15 a 450W (in realtà la scossa era finta, gli alunni recitavano),
solo all’inizio dell’esperimento si dava al soggetto sperimentale una scossa di 45W per dare l’idea.
Avevano un pannello dove
aumentavano i volt.
Le aspettative iniziali di Milgram era che nessuno sarebbe arrivato a infliggere il massimo
dell’intensità delle scosse in realtà il 65% arrivo fino al massimo.
233
I finti studenti ad un certo punto delle scosse venivano istruirti a non dare più risposte e lo
sperimentatore con il camice diceva al soggetto sperimentatore di considerare il silenzio come
risposta errata.
Le aspettative fatte da alcuni studiosi furono molto sottostimate rispetto alla realtà perchè si
aspettavano che nessuno sarebbe mai arrivato al massimo delle scosse.
Come in tutti gli esperimenti furono inserite alcune varianti, alcune condizioni diverse e alcune di
queste varianti si rivelarono essere importanti anche per capire cosa succede in queste situazioni.
Vicinanza dell’autorità il fatto che in quella situazione ci fosse un ricercatore quindi una
persona dotata di autorità faceva molto la differenza, infatti meno il ricercatore era vicino
al partecipante minore era l’obbedienza ad esempio se il ricercatore non era nella stessa
stanza o se entrava e usciva e non era costantemente presente la percentuale di
obbedienza diminuiva.
Vicinanza della vittima se la vittima attore era nella stessa stanza l’obbedienza diminuiva
drasticamente, vedere il viso della vittima diminuiva l’obbedienza. Le guerre fatte con droni
sono più spietate perchè non si vede lo sperimentatore
Presenza di altre persone disobbedienti come nell’esperimento di Asch; se c’erano più
soggetti sperimentali nel ruolo di insegnate nella stessa stanza insieme e qualcuno
cominciava a lamentarsi, interrompere l’esperimento anche in questo caso la media
dell’obbedienza diminuiva quindi l’opinione dissenziente che si esprimeva direttamente era
in grado di ridurre la pressione all’obbedienza.
Queste sono tre varianti che possono moderare il fenomeno.
Milgram propose lo stato psicologico definito da lui stato d’agente che si viene a trovare quando
persone poste in situazioni
simili si sentono agenti,
esecutori di azioni e in
qualche modo
deresponsabilizzano le
proprie azioni, diminuiscono
la percezione che quello che
fanno, le azioni che
compiono sono sotto il loro
completo controllo; è
proprio un processo
psicologico di
deresponsabilizzazione cioè
che la percezione che la responsabilità delle proprie azioni sia spostata in parte o del tutto verso
un’altra entità, un’altra persona, un altro decisore e per questo motivo sentendo le proprie azioni
meno sotto il loro controllo consapevole, sono maggiormente propensi a mettere in atto quelle
azioni. È proprio un processo psicologico per cui la propria individualità, i propri principi morali, i
propri atteggiamenti hanno meno presa, fanno meno leva, sono meno definitori di quello che
siamo e quindi gli atteggiamenti vengono normalizzati perchè quello che sta sotto queste teorie è
dire che in queste situazioni quando ci sono questi ruoli così chiari, forti e definiti è possibile che ci
sia una forte pressione a conformarsi a quello che l’autorità comanda e quindi ad una spiegazione
più situazionale.
Questa conformità è più forte quando il soggetto condivide o coincide proprio con l’autorità la
definizione della situazione anche dal punto di vista ideologico.
Esperimento molto criticato dal punto di vista etico.
234
Sia negli esperimenti di Asch che di
quelli di Milgram quando c’era
un’opinione discordante il
conformismo diminuiva inoltre
soprattutto in quello di Asch senza la
maggioranza le persone tornavano
sulle proprie idee. Quindi emergeva
che l’effetto di pressione sociale che si
otteneva era un effetto di adesione
pubblica, di acquiscenza cioè io mi
adeguo a quello che mi viene detto di
fare o a quello che fa la maggioranza
ma solo superficialmente, non nel mio
intimo privato.
L’influenza della maggioranza si manifesta sotto forma di acquiscenza quindi di adesione
superficiale e pubblica (perchè presente un’autorità o una maggioranza) piuttosto che sotto forma
di internalizzazione ossia la conversione privata, il cambiamento profondo, reale degli
atteggiamenti.
Alcuni scienziati dopo si chiesero se il conformismo fosse l’unica forma di influenza sociale la
società non cambierebbe mai, non ci sarebbero mai rivoluzioni.
235
È anche questo un compito percettivo, si creano dei gruppi in laboratorio (4 soggetti ingenui e 2
complici). Il compito percettivo consiste dover giudicare il colore di alcune diapositive proiettate,
sono 36 diapositive tutte blu a diversa intensità luminosa.
La valutazione di queste diapositive avviene in diverse condizioni:
una di coerenza dove i soggetti complici (la minoranza) danno la risposta sbagliata verde in
tutte le prove.
una di incoerenza dove i complici danno la risposta sbagliata verde in 24 delle 36 prove.
Moscovici vuol vedere se e come una minoranza che fa valere fortemente le proprie posizioni ha
un effetto maggiore di una maggioranza che difende in modo debole le proprie idee.
Tanto più la minoranza porta avanti una condizione in modo coerente in tutte le condizioni che
ha di farlo e più avrà maggiore possibilità di influenzare la maggioranza rispetto a una minoranza
incoerente. È comunque bassa 10% ma c’è.
12/04/2022
Acquiscenza più incline a mostrare in privato, dove non è presente la maggioranza.
Questa doppia definizione dei due tipi di influenza dell’esito è chiaramente evidenziata dalla
ricerca di Maass e Clark.
Nell’esperimento venivano chieste opinioni sul tema sociale dei diritti degli omosessuali. Si
facevano partecipare alla ricerca soggetti con atteggiamento neutro e poi li si esponeva a
un’opinione sia espressa dalla maggioranza in una condizione sia espressa dalla minoranza in
un’altra condizione quindi venivano posti in gruppi differenti, in un caso c’era la maggioranza che
237
esprimeva la stessa opinione, in un altro caso la stessa opinione veniva fatta esprimere da una
minoranza.
Si variava quindi il fattore
maggioranza minoranza e si variava
anche la posizione della maggioranza
e minoranza, in un caso la
maggioranza era a favore dei diritti
degli omosessuali, in un caso
esprimeva un’opinione contraria;
stessa cosa fatta poi però con la
minoranza.
Un’altra cosa importante che veniva
variata era l’espressione pubblica o
privata di questi atteggiamenti cioè si
vedeva quanto i soggetti si facevano
influenzare dalla maggioranza e dalla minoranza a seconda che l’espressione della loro opinione
avvenisse in un contesto pubblico davanti agli altri oppure privatamente, lo potevano scrivere o
esprimere questo giudizio da soli.
Questo studio evidenza chiaramente che l’influenza della minoranza è la condizione in cui gli
atteggiamenti vengono espressi in forma privata; la tendenza ad essere d’accordo con la
minoranza influiva di più, era più significativa nel momento in cui le persone si potevano
esprimere privatamente.
Diversamente la maggioranza aveva un maggiore effetto nel momento in cui alle persone si
chiedeva di esprimere la loro opinione pubblicamente di fronte agli altri.
Questo diverso andamento di queste due linee ci dice che la pressione minoritaria agisce
soprattutto quando le persone hanno la possibilità di esprimere la loro opinione privatamente
senza doversi mettere a confronto con gli altri. Questo cambiamento però è una conversione, è
un cambiamento più profondo, le persone davvero si stanno convincendo di questa opinione
minoritaria ciò vuol dire che nel tempo le cose possono cambiare.
Diversamente quando è la maggioranza a esercitare l’influenza questo esito, quando è positivo si
esprime di più in contesti pubblici cioè nel momento in cui la persona che è stata esposta
all’influenza maggioritaria si deve esprimere davanti agli altri.
Questa differenza qualitativa dell’influenza maggioritaria e minoritaria è molto condizionata dal
contesto pubblico o privato nel quale le persone esprimono la propria opinione.
Altri risultati interessanti provengono dalle ricerche che hanno analizzato la qualità del
cambiamento di atteggiamento dovute dalla pressione minoritaria.
Hanno influenzato che la minoranza è anche in grado di stimolare il pensiero divergente o creativo
che è il tipo di ragionamento che le persone mettono in atto quando difronte ad un problema le
persone ragionano in modo creativo, non ricopiando le soluzioni proposte da altri ma trovando
un’angolatura diversa proponendo soluzioni nuove e diverse.
In questo studio alle persone si chiedeva di indicare in quale figura di confronti fosse rintracciabile
la figura standard. In alcuni casi si trovava facilmente la figura standard, in altri casi bisognava
girare un po’ la figura.
Questo compito veniva chiesto di essere svolto sempre in influenza minoritaria o maggioritaria,
cioè in alcuni casi prima di dare la propria soluzione al problema ascoltavano le soluzioni proposte
da un gruppo minoritario, in altri casi chi proponeva le soluzioni per primi era la maggioranza.
238
Succedeva che a prescindere dalla correttezza o scorrettezza delle soluzioni che la maggioranza o
minoranza proponevano, quando le persone erano esposte a opinioni minoritarie succedeva che
questo li stimolava di più a trovare soluzioni nuove e anche più corrette che non erano già state
proposte dai complici degli scienziati nell’esperimento.
L’influenza minoritaria è in grado di stimolare un pensiero divergente e creativo dove chi ascolta la
posizione minoritaria proprio perchè diversa e attira l’attenzione è più stimolato a vedere la stessa
situazione in modo diverso, da un’angolatura diversa e questo stimola la nostra capacità a trovare
soluzioni nuove. Quindi non utilizzare un pensiero imitativo ma creativo.
L’influenza minoritaria è in grado di stimolare con maggiore probabilità un pensiero e
ragionamento da parte di chi ascolta, la posizione minoritaria, più creativo che permette di
guardare da un’angolatura diversa e quindi trovare cose nuove e mai viste.
È stato evidenziato che questo avviene in maggior misura quando la situazione in cui le persone si
trovano ha una certa rilevanza personale, le persone sono coinvolte e anche per le persone che
hanno bisogno di cognizione (es. quelle persone a cui piace fare sudoku).
LE PERSONE NEI
GRUPPI
I gruppi sono categorie di
persone caratterizzate da insiemi
sfocati di attribuiti organizzati
attorno a un prototipo. Cioè un
gruppo è un insieme di persone
che condivide uno schema, un
modello che condivide le
caratteristiche delle persone e
attorno si assemblano persone
che condividono alcune di quelle
caratteristiche.
Gruppi diversi con caratteristiche
diverse che variano per
dimensioni, norme accettate e considerate definitorie di quel gruppo, e ruoli che ogni persona in
ciascun gruppo riveste.
Noi possiamo aggregare le persone in base
ad alcune caratteristiche di base. Gli
aggregati sono persone che condividono
una caratteristica ma non è detto che si
riconoscano e diano significato a
quell’appartenenza (es. persone con gli
occhi azzurri).
Il gruppo invece per la psicologia sociale è
una categoria che ha un senso psicologico
per chi vi appartiene.
Entitatività è la proprietà che va a definire
cos’è un gruppo per la psicologia sociale ed
è una proprietà che fa apparire sia all’esterno che all’interno un gruppo come un’entità che
innanzitutto ha una sua coerenza cioè le persone condividono alcune caratteristiche che sono
239
coerentemente le stesse, ha
una caratteristica anche di
distintività cioè un gruppo
deve avere degli elementi che
distinguono, differenziano le
persone che vi fanno parte da
quelle che non vi fanno parte
(differenza in-group di
appartenenza e out-group
tutto ciò che ha a che fare
con gruppi diversi dal nostro)
e poi un senso di unitarietà
perchè le persone devono
percepire la propria categoria
come una categoria che ha
un senso di unitarietà
Questa caratteristica dell’entatività distingue i semplici aggregati di persone dai gruppi in senso
psicologico.
Le teorie e ricerche
sull’inerzia sociale invece
studiano anche le
interazioni.
Inerzia sociale: quando lavoriamo in gruppo può succedere che alcune persone diminuiscono lo
sforzo con effetto di portare un peggioramento della prestazione di gruppo. Classica dinamica di
gruppo quando ci sono alcuni che lavorano e altri che si accodano, lasciano lavorare gli altri e non
fanno lo sforzo individuale.
Ci sono stati degli studi in cui veniva fatto il gioco del tiro alla fune. In alcuni casi i gruppi erano
reali, tutti soggetti sperimentali quindi erano indotti a tirare la fune in gruppo, si variava la
dimensione del gruppo perchè l’ipotesi è che più il gruppo è grande più è probabile che avvengano
fenomeni di inerzia sociale, più il fenomeno dell’inerzia sociale è maggiore.
In una seconda condizione venivano introdotti questi pseudo gruppi nei quali solo uno era il
soggetto sperimentale che veniva messo in prima posizione così non vedeva gli altri che erano
complici istruiti a non tirare affatto ma a far finta.
In entrambi i casi veniva confermata l’ipotesi per cui più aumenta la dimensione del gruppo più il
fenomeno dell’inerzia sociale è significativo.
Un’ipotesi degli sperimentatori è che quando succede questa dinamica nei gruppi reali le persone
fanno meno sforzo individuale perchè c’è proprio problema di coordinazione tra i singoli che fanno
parte del gruppo.
Equità del risultato a volte in gruppo le persone diminuiscono il loro sforzo perchè non vogliono
fare più degli altri, non vogliono sentirsi diversi.
Paura del giudizio fare qualcosa di
diverso all’interno del gruppo può
essere un altro ostacolo, paura di
sentirsi ridicolizzati, diversi e quindi di
venir giudicati.
Conformità allo standard si capisce
qual è lo sforzo che bisogna fare in quel
gruppo e ci si adegua senza esagerare,
mi voglio accostare in termini di
risultato, prestazione.
Janis individua una serie di sintomi e difetti della decisione di gruppo per riconoscere il group think
prima che porti a questi esiti negativi.
illusione di invulnerabilità (es. come la NASA veniva da un passato di grandi successi
avevano la percezione che non potesse succedere qualcosa di negativo e ci si illuse che le
cose sarebbero andate comunque bene i che non sarebbero stati vulnerabili a questi tipi di
errori).
sottovalutazione di segnali negativi (tutti i dati discordanti alla presa di posizione scelta)
che però potrebbero tranquillamente essere presi in considerazione.
autocensura quando dei membri del gruppo che la pensano diversamente si sentono in
minoranza netta e si censurano, decidono di non esprimere appieno la propria posizione
per pressione, paura di essere discriminati, ecc.
sovrastima del consenso quindi spesso succede che le persone singolarmente si
autocensurano e sovrastimano il consenso all'interno del gruppo cioè pensano che gli altri
siano molto più d'accordo di quanto non lo siano loro stessi ma perché non si confrontano
non perché sia davvero così e quindi per paura si adeguano un po’ tutti. Questa sovrastima
del consenso aumenta ancora di più il pensiero di gruppo.
pressione sui membri del gruppo dissenzienti.
moralità scadente, le conseguenze etiche e morali di quello che il gruppo fa e le
implicazioni morali del gruppo vengono molto sottovalutate cioè si danno importanza alle
implicazioni morali di quello che può conseguire alla decisione del gruppo.
Janis dice che i principali difetti dell’adesione alla decisione di gruppo sono:
sviluppo di poche alternative quindi il fatto che quando si prende una linea decisionale non
si mettono in gioco le altre alternative, per Janis servirebbe un po’ uno che fa l’avvocato del
diavolo perchè si tende a non riesumate le opinioni escluse invece bisogna continuamente
mettere in discussione quello che si sta facendo e confutare le alternative in modo efficace.
nessun riesame delle alternative escluse.
rifiuto dell’opinione di esperti, Janis invece dice che è molto utile proprio in queste
situazioni proprio perchè il gruppo è distaccato e lavora molto in isolamento, che ci siano
delle figure terze esterne alle dinamiche di gruppo, che compensino al conformismo.
selezione preconcetta di nuove informazioni, tutte le informazioni che si accumulano
vengono scelte per avvalorale l’idea già presa.
244
Una caratteristica importante
del gruppo sono i ruoli.
Le dinamiche, le relazioni
all’interno di un gruppo sono
dinamiche, cambiano molto e
non sono stabili. Anche la fase di
entrata in un gruppo implica
tutta una serie di meccanismi.
Ci sono delle ricerche che hanno
studiato come funziona in certi
gruppi la fase di iniziazione cioè
di entrata del gruppo dove volte
questi criteri e modalità di
entrata sono resi pubblici e
vengono in qualche modo
formalizzati, in alcuni casi addirittura ci sono delle situazioni in cui le entrate in un gruppo può
essere accompagnata da condizioni negative, quasi punitive e dolorose perché a volte all'entrata
in un gruppo può avere una valenza anche simbolica e rituale particolare.
Alcune ricerche evidenziano che questi riti di iniziazione possono avere diversi significati:
Possono avere una funzione simbolica ad esempio quando le persone entrano in un certo
gruppo e iniziano a vestirsi allo stesso modo, a fare dei tatuaggi, a scegliere dei simboli di
abbigliamento e dei modi di apparire che facciano ben comprendere all'esterno che quelle
persone ora sono parte di un gruppo.
Si dice anche che questi riti di iniziazione abbiano una funzione di apprendistato es. riti in
ambiente militare nel momento in cui una persona entra a far parte del nuovo gruppo che
in casi estremi possono diventare proprio abusi e soprusi ma che a volte sono dei riti un po’
al limite ma che hanno da un lato questa funzione simbolica e dall'altro avrebbero lo scopo
di far capire, apprendere a chi entra quali sono i ruoli, come ci si deve comportare, chi
comanda, quali sono le norme che bisogna interiorizzare per far parte del gruppo.
Alcune volte hanno anche appunto funzioni di fidelizzazione cioè rendere le persone più
leali, fedeli, fede del gruppo stesso.
C’è stata una ricerca dalla quale è emerso che a volte quando un rito è accompagnato da una
punizione anche lieve, in questo caso si davano delle scosse elettriche, succedeva che quando le
persone venivano introdotte in un gruppo e gli si faceva credere che per poter entrare bisognava
sottoporsi a queste scosse, quando la scossa era un pochino più intensa addirittura trovano più
attraente far parte del gruppo → meccanismo legato un po’ alla dissonanza cognitiva per cui se io
mi sottopongo a qualcosa di negativo per far parte di un gruppo, il mio desiderio di equilibrare la
cosa che sto facendo può farmi giustificare il fatto che io lo faccio perché per me è importante
quel gruppo.
Quindi da questo esperimento veniva fuori che tanto più la scossa era elevata più le persone
apprezzavano l'entrata nel gruppo.
245
All’interno del gruppo la divisione in
ruoli è un meccanismo fondamentale
perchè un gruppo funzioni. A volte
anche a livello implicito le persone
assumono ruoli ad esempio tra gli
amici.
I ruoli sono modelli di
comportamento che distinguono le
diverse attività all’interno del gruppo
emergono e che si collegano gli uni
agli altri a maggior vantaggio del
gruppo.
Famoso per questo è Prison study
dove vengono presi degli studenti
consenzienti per fare guardie e prigionieri ed entrambe le parti si immedesimano moltissimo nelle
parti.
L’esperimento è del ’71 negli stati uniti, anni settanta negli Stati Uniti movimenti del 68, critica
anche alla società autoritaria quindi c'era tutto un clima culturale del momento che influenzò
anche il senso di questo esperimento.
L’obbiettivo di Zimbardo è verificare se i comportamenti violenti possono dipendere dalle
caratteristiche situazionali cioè dal contesto situazionale in cui le persone si vengono a trovare in
una caratteristica o disfunzioni di personalità. La sua tesi di base è perché le persone in certi
contesti si comportano in modo così violento, è perché sono caratterizzati da alcuni tratti di
personalità patologici, questo effetto lucifero è dovuto al fatto che ci sia una cattiveria e
aggressività intrinseca delle persone oppure si possono spiegare questi comportamenti alla luce
della situazione in quelle persone si vengono a trovare. Quindi mette in contrasto le caratteristiche
situazionali, i ruoli descritti in quella situazione con le caratteristiche personali.
Siamo a Stanford e l'esperimento è annnunciato con un annuncio sul giornale in cui si annuncia
che si vuole fare un esperimento sull'esperienza carceraria. Vengono convocate una serie di
246
persone che rispondono a quest'annuncio, si propone anche un pagamento di 15 dollari al giorno,
Zimbardo e i suoi collaboratori dopo una serie di interviste test selezionano 24 persone.
Queste persone vengono suddivise in due gruppi guardie e prigionieri in modo del tutto casuale,
ovviamente si controlla che le persone non abbiamo particolari caratteristiche di personalità
patologiche, non siano eccessivamente aggressive, non abbiano avuto in passato esperienze
traumatiche che possono condizionare l'esperimento.
Zimbardo cerca di creare il più possibile una situazione il più possibile simile a quella di una
situazione carceraria, si cerca di far calare veramente le persone in quel ruolo.
Agli ipotetici di prigionieri viene detto che appunto faranno i prigionieri ma non gli si dice niente di
quello che succederà, il giorno dopo alle sei di mattina arriva una macchina della polizia e viene
simulato un arresto come se fosse vero, le persone vengono portati in una finta stazione della
polizia dove li vengono prese le impronte, vengono fatti spogliare, c'è tutta una fase in cui le
persone vengono private sia della loro libertà che delle caratteristiche personali. Quindi gli si dà
una divisa gli si mette una calza di nylon a tutti in testa per rendere tutti uguali, e li si tratta proprio
come prigionieri in modo un po’ forte.
C’è l’enfasi sull’anonimato del prigioniero, gli viene dato un numero e viene omologato agli altri,
c’è una sorta di spersonalizzazione delle relazioni.
Alle guardie viene data una uniforme uguale per tutti, non hanno armi quindi non viene avvallata
la violenza fisica nell'esperimento ma li si cala anche loro nel ruolo di guardia e quindi hanno la
divisa verde militare, hanno occhiali da sole per evitare il contatto oculare con i detenuti e rendere
così ancora più evidente la distinzione di ruolo, gli si dice chiede al giorno dopo sarebbe iniziato
l'esperimento.
Si attrezza un sotterraneo di Stanford come un vero carcere e tutto viene controllato da
telecamere che riprendono quello che succede e Zimbardo e i suoi collaboratori registrano e
monitorano l’esperimento.
L’esperimento doveva durare 2 settimane.
Dopo una iniziale tranquillità della situazione le guardie cominciano subito a mettere in atto dei
comportamenti minacciosi e violenti, a ribadire quali sono le regole, a far fare flessioni alle
persone che non si conformano alle regole, da subito manifestano una loro espressione di ruolo
molto chiara. Il giorno dopo inaspettatamente i prigionieri fanno una ribellione, cominciano a
chiudersi nelle celle, ribaltano i letti e mettono in atto questa ribellione contro le guardie.
A questo punto le guardie mettono in atto comportamenti molto aggressivi e violenti non fisica ma
psicologica, si crea un clima fortemente contrapposto tra i due gruppi.
Dopo che vengono puniti si applica il principio del divide et impera quindi i ribelli più agitati
vengono isolati dagli altri e vengono messi in queste stanze di punizione di isolamento mentre
quelli che si erano ribellati di meno vengono premiati magari con cibo più buono, si cerca di
dividere tra loro i prigionieri.
Le guardie spontaneamente, senza che li si viene detto nulla mettono in atto questi
comportamenti.
I prigionieri poi cominciano a cambiare completamente diventano degli zombie, diventano molto
sottomessi e fanno tutto quello che gli viene chiesto e alcuni prigionieri arrivano ad avere disturbi
emotivi, uno in particolare cominciare avere proprio un esaurimento e a dare di matto quindi
Zimbardo lo fa uscire dall'esperimento.
Si tenta di ovviare a queste risposte emotive molto negative, ad un certo punto viene mandato un
prete a parlare con i detenuti ma Zimbardo stesso si rende conto che la situazione sta
degenerando, ci sono reazioni emotive preoccupanti dalla parte dei prigionieri e le guardie stanno
assumendo sempre di più un ruolo aggressivo.
247
Alcuni soggetti vengono fatti uscire prima del tempo ma dopo solo sei giorni dall'inizio
dell'esperimento Zimbardo decide di interrompere l'esperimento perché la situazione è andata
fuori controllo, la violenza dilaga anche se non fisica e non c'era modo di gestire la situazione e
bisognava interrompere l'esperimento.
Addirittura alcuni prigionieri quando venivano a parlare le persone esterne gli si chiedeva qual era
il loro nome e prigionieri si definivano in base al loro numero, si erano completamente
personalizzati, si erano così
calati nella situazione.
13/04/2022
LEADERSHIP
Quindi se noi ci atteniamo alle norme, obbediamo alle normative e regole che ci vengono imposte
non significa in quel momento che siamo guidati da un leader.
I dittatori sono esempi di non leader.
Le persone, come dice Perrot, non possono essere gestite, devono invece essere guidate.
L’immagine dice molto bene questa cosa. Il leader aiuta a interiorizzare le norme e poi collabora e
lavora insieme ai suoi collaboratori, non da un comando ma insieme raggiungono lo scopo.
252
Quando invece parliamo di un giudizio più soggettivo, quando ci troviamo di fronte a un leader che
ci ispira ma ci fa raggiungere gli obiettivi in modo un po’ contrattuale, ci ha dato delle ispirazioni
personali ma per noi può essere descritto come una persona buona o cattiva. Riconosciamo in quel
leader delle caratteristiche che lodiamo, apprezziamo e anche i mezzi che ha utilizzato per
raggiungere quello scopo.
Quindi quando noi valutiamo il leader lo dobbiamo fare in tre termini differenti:
se rimaniamo nell'ambito soggettivo lo vediamo valutare dal punto di vista caratteriale
(definiamo un leader buono o cattivo, simpatico o antipatico, carismatico).
poi c'è la moralità dei mezzi ossia il modo in cui il leader raggiunge i suoi scopi. Lo fa con la
persuasione, con un processo decisionale democratico oppure il leader sta raggiungendo i
suoi scopi attraverso mezzi di coercizione, di oppressione, di minaccia.
il terzo punto è la natura degli obiettivi
che il leader vuole raggiungere, se vuole
ridurre la fame abbiamo un tipo di
leader, se invece punta a genocidi non è
più un leader ma è semplicemente un
capo che ci sta guidando verso uno
scopo ma senza essere leader.
253
In questa teoria del controllo della
situazione Fiedler misurò questo
stile con la scala Least Preferred
Coworker Scale che è la misura del
collega meno apprezzato. Gli
intervistati davano un voto al
collega meno apprezzato, venivano
utilizzati dimensioni differenti
(gradevole-sgradevole,
interessante-noioso, amichevole-
ostile). In base alle prestazioni e al
riferimento di questa variabile
Fiedler era arrivato alla conclusione
di un'ulteriore distinzione in cui si
può parlare di un leader più orientato alla relazione e di un leader orientato al compito.
Quindi il controllo della situazione poteva essere a sua volta alto o basso e a seconda del risultato.
Fiedler ha concluso che le prestazioni migliori sono quelle di un leader orientato al compito,
viceversa nel caso di controllo intermedio riteneva che non ci fosse lo stesso risultato.
Quindi se il leader ha un alto controllo della situazione, significa che il leader ha buone relazioni coi
seguaci, il compito ben definito e l'autorità che gli è stata attribuita è stata definita al leader
giusto.
Se invece abbiamo un basso controllo dell'associazione vuol dire che il leader ha verso i suoi
collaboratori una cattiva relazione, il compito non è ben definito perché non si riesce a controllare
la situazione, non c'è contingenza della situazione quindi in qualche modo non c'è autorevolezza
da parte del leader.
254
Guardo video
255
Nelle due situazioni se i gregari sono già impegnati in un compito e sono già motivati a terminare
questo compito, se il leader interviene con una cura quindi con un comportamento più legato
all'emotività e ai bisogni personali può risultare negativo, può distrarre i gregari.
Quindi queste due classi di comportamento possono essere vantaggiose o svantaggiose a seconda
di come i gregari stanno svolgendo il compito in quel momento.
Non sempre quindi sono necessari i due atteggiamenti; se i gregari stanno svolgendo i loro compiti
senza problemi, tranquillamente, il leader non deve intervenire.
È anche questa una teoria che fa parte della teoria della contingenza, siamo ancora in un contesto
situazionale di svolgimento dell'azione del leader nell'associazione.
LEADERSHIP TRANSAZIONALE
Una seconda teoria è quella chiamata transazionale.
LEADERSHIP TRASFORMAZIONALE
Gli studiosi hanno trovato un limite nella teoria della contingenza perché l'hanno trovata più
statica rispetto a dinamica e hanno cercato di superare questo limite ponendo l'attenzione più sul
rapporto tra leader e gregario.
Se gli studiosi della leadership transazionale hanno messo la loro attenzione sul gregario, quella
trasformazionale vogliono proprio trasformare un gruppo.
257
Lo scopo sarà stimolare i gregari ad una
visione che vada al di là del loro
interesse personale e in questo modo i
gregari non solo avranno interiorizzato
gli obiettivi ma anche i leader
lavoreranno per convincere, salire a
bordo della nave ed è una convinzione
che comprende una forte motivazione.
Quindi i leader trasformazionali sono
quelli che includono carisma, secondo
gli studiosi Antonakis e House del 2003,
sono coloro che possono cambiare il modo di pensare perché il gruppo interiorizza come parte
della propria identità l'obiettivo da raggiungere.
Esempi di leadership trasformazionale che ha cambiato il modo di pensare con un aspetto più
carismatico sono Mandela o Martin Luther King.
I leader carismatici e trasformazionali sono stati accumulati dall'idea di cambiare il mondo,
stravolgerlo e migliorarlo; quali sono le caratteristiche dei leader carismatici.
Anche Obama aveva un linguaggio che convinceva molto, un modo di parlare che oggi va molto ad
esempio questi leader iniziavano sempre le frasi in un certo modo, con frasi che rimanevano
impresse. Il carisma in questi leader si esprime tanto anche nella comunicazione non verbale es. il
tono di voce, usare la voce per creare coinvolgimento emotivo nelle persone.
Nella leadership carismatica la differenza rispetto alle altre soprattutto è la motivazione che dà la
spinta all'azione quindi il discorso del leader lascia una sensazione quasi di convincimento,
entusiasmo disposti a seguire e si è motivati su quello che è stato richiesto.
258
Il leader efficace e influente è
definito leader prototipico perché
incarna proprio le caratteristiche
del gruppo, le esprimerà e le
presenta proprio come identità.
In questo senso il mio impegno di
gruppo a sua volta fanno
affidamento sul leader perché il
leader chiarisce e consolida la loro
identità.
260
In questa teoria il pilastro fondamentale su cui
poggia la teoria dell'identità è la fiducia che
viene poi definita come giustizia procedurale
che implica che il leader agisce in maniera
proceduralmente corretta.
L’idea è che questo tipo di leader riesce a dare
una percezione che le persone che fanno parte
del gruppo siano trattate in maniera equa, che
non ci siano ingiustizie all'interno del gruppo.
261
Guardo i due video.
22/04/2022
Avevano carta bianca sul comportamento che adottavano, semplicemente dovevano fare guardie
o prigionieri a seconda del ruolo assegnatogli.
Negli anni 2000 si è replicato questo esperimento con delle variabili della BBC, è stata una sorta di
ripresa televisiva di un reality dove le stesse condizioni venivano ripetute per molto più a lungo.
Replica sotto il controllo di due psicologi con un controllo quotidiano.
Zimbardo spiega questo meccanismo in termini di situazioni e ruoli assegnati alle persone.
Spiegazione diversa da quella che focalizza l'origine di questi comportamenti nella personalità,
dell'individualità, c'è proprio un rovesciamento di prospettiva dove si vuole dimostrare che nello
spiegare questi comportamenti così aggressivi non dobbiamo necessariamente farlo in termini di
persona, tratti di personalità, tipologia individuale, razionalità, diminuzione della moralità, ecc. ma
questi esperimenti vogliono dire che nel momento in cui creiamo situazioni così estreme, rigide
dove ci sono dei ruoli così costruttivi, le persone facilmente si adattano a quei ruoli e tendono a
perdere il senso di individualità e a comportarsi secondo quel ruolo.
Secondo Zimbardo insieme giocano per spiegare quello che è successo in questo perimento e
sono:
Anonimato per cui diminuisce l'importanza delle caratteristiche personali e si fa prevalere
la norma di gruppo anche online dove si perde il senso dell’individualità tende a prevalere
la norma di gruppo, anche nelle folle succede ciò.
Responsabilità diffusa per cui venendo meno le caratteristiche individuali le persone
hanno la percezione che i comportamenti che mettono in atto non siano tanto dipendenti
dal proprio controllo ma da attribuire ad una norma siano quindi spiegabili attribuendo la
responsabilità di quello che fanno non a se stessi ma ad altri, alla norma di gruppo o al
leader del gruppo ecc. Si sviluppa quindi questa responsabilità diffusa ossia la percezione
che i propri comportamenti non dipendano da un controllo individuale ma siano attribuibili
ad una norma di gruppo.
Ampiezza del gruppo perchè più il gruppo è grande, più sono le persone appartenenti al
gruppo che mettono in atto questi comportamenti, più questi meccanismi psicologici
possono essere aumentati, acuiti dalla situazione.
Queste tre condizioni insieme danno luogo secondo Zimbardo al processo di de-
individualizzazionee processo che consiste nella perdita dell'identità personale, della diminuzione
della preoccupazione per la valutazione sociale che è il fatto di non doversi rendere conto
individualmente di quello che si fa.
262
Questa preoccupazione di come ci valuteranno gli altri viene meno perché non sono solo io ma ci
sono altre persone che come me lo mettono in atto e quindi viene accettato come norma
condivisa e questo porta con maggiore probabilità le persone ad adottare comportamenti di tipo
razionale, impulsivo e anche regressivi.
Un esperimento del genere fu molto criticato da altri studiosi e creo molti dubbi.
Le critiche maggiori oltre all’aspetto etico sorsero anche critiche di tipo metodologico perchè se
viene detto esplicitamente sul giornale che sarà un’esperienza carceraria questo potrebbe
spingere un tipo particolare di
persone a rispondere all’annuncio.
Un’altra critica è il fatto che Zimbardo
non abbia dato delle regole di
comportamento e questo poteva
essere una richiesta implicita di un
certo comportamento.
L’esperimento della BBC riprodusse gli
stessi risultati ma furono spiegati
dall’incertezza perchè se non c’è una
certezza di come comportarsi le
persone tendono ad interiorizzare la
norma di gruppo, i comportamenti
degli altri e adotto quei
comportamenti che ritengo adeguati in quel gruppo. Spiegazione un po’ diversa perchè ci si
concentra sull’identità di gruppo.
Ritroviamo aspetti analizzati con l’esperimento di Zimbardo perchè questo effetto bystander e gli
esperimenti che poi sono seguiti dalla scoperta di questo effetto hanno a che fare sull’influenza
che il gruppo può avere sulla responsabilità individuale di ciascuno.
Nell’esperimento di Zimbardo uno dei meccanismi psicologici importanti era la percezione di
responsabilità diffusa, quando le persone sono in gruppo e devono decidere come comportarsi e
un'opzione è quella di assumere comportamenti regressivi, violenti, ecc. le persone si lasciano più
facilmente andare all'adozione di questi comportamenti perché percepiscono che la loro
responsabilità individuale sia in qualche modo diminuita e che quindi il loro comportamento possa
essere giustificato attribuendo le origini alla realtà di gruppo.
Famoso effetto bystander effect o effetto
spettatore, effetto studiato relativo ad una
situazione di emergenza.
Questo effetto fu scoperto dopo un
episodio di cronaca riguardante l’omicidio
di una ragazza nel 1964 a New York nel
queens. Ragazza Kitty Genovese lavorava
in un bar e tornando a casa fu inseguita e
aggredita e accoltellata 4 volte nella
schiena appena sotto casa sua. Lei gridò e
l’aggressore spaventato scappò ma
nonostante le grida della ragazza nessuno
la aiutò. La ragazza cercò di scappare ma
l’aggressore vedendo che nessuno la
263
aiutava tornò e la aggredì ancora più gravemente altre 8 volte. L’aggressione durò mezzora e
nessuno intervenì, solo 30 minuti dopo ci fu una telefonata anonima ma la ragazza morì nel
trasporto in ospedale.
Si scoprì dopo che 38 persone nel palazzo sentirono le grida della ragazza ma nessuno intervenne.
Si scatenò quindi un dibattito sul perchè le persone non aiutarono la ragazza.
Due psicologi Darley e Lanatè programmarono una serie di studi per capire questo fatto. Si
concentrarono sulla situazione sociale perchè dissero che magari le persone non sono perfide di
loro ma è la situazione sociale che li porta ad agire così.
Gli psicologi volevano creare una situazione ambigua a quella in cui si era trovata Kitty per
studiare: venne fatto uscire del fumo da una porta e se uno è da solo chiede subito aiuto, se invece
si è con altri non si reagisce o si agisce molto più lentamente (gli altri erano addestrati a non dire
nulla ma il soggetto non fa comunque nulla).
Un altro esperimento viene fatto con due persone collegate via audio e non si vedono, se si è da
soli e l’attore via audio chiede aiuto il soggetto sperimentale chiede subito aiuto per l’attore se
invece ci sono più soggetti sperimentali non chiedono aiuto perchè pensano sempre che tanto ci
sia un altro a chiedere aiuto.
È possibile che quando ci si trova in quella situazione la pressione può influenzare i comportamenti
e se magari da fuori io dico che interverrei assolutamente poi in quella situazione di emergenza
con il panico potrei non intervenire.
Tutta la teoria di Darley e Latanè e il bystander effect è stato applicato alla psicologia
dell'emergenza cioè alle dinamiche che entrano in atto quando ci sono delle situazioni di
emergenza e le persone devono reagire.
Loro hanno ipotizzato anche una serie di fasi, passaggi che devono avvenire affinché le persone
effettivamente prestino aiuto in queste situazioni e non si comportino come nel caso di Kitty.
Dicono che perchè una persona in situazioni simili debba assumersi la responsabilità individuale e
intervenire innanzitutto:
Deve percepire il pericolo ossia deve essere chiaro che c'è un pericolo.
La situazione deve poter essere definita come un caso di emergenza, la persona si deve
rendere conto che quella
situazione è una
situazione di emergenza,
dobbiamo renderci conto
che quella è una
situazione di emergenza
altrimenti il
comportamento di aiuto
non viene stimolato.
La persona che viene a
conoscenza del pericolo
deve sentire la
responsabilità di
intervenire in aiuto, ci
deve essere l'assunzione
di responsabilità
individuale che viene
diminuita dalle situazioni collettive e dalla presenza di altre persone.
264
Le persone inoltre devono avere anche qualche idea di come poter essere d'aiuto, devono
avere una conoscenza circa le modalità di come si interviene in situazioni di emergenza e
quindi la conoscenza di come intervenire in situazioni di emergenza è una variabile
importante. Alcuni esperimenti hanno evidenziato che quando le persone hanno
competenze, anche quando c'è solo una percezione di competenza le persone rispondono
al pericolo più velocemente e con maggiore probabilità.
La persona solo dopo aver percorso queste fasi accorre in aiuto.
La variabile tempo di intervento è importante perchè in molti casi la situazione di pericolo può
essere critica.
265
Richiesta di aiuto in funzione
delle tre condizioni.
Percentuale di soggetti che
chiedono aiuto sull’asse
verticale.
La relazione tra le due variabili
è molto chiara.
PREGIUDIZIO E STEREOTIPI
Studio legato principalmente alla realtà di gruppo.
Finora ci siamo occupati come il far parte di un gruppo condiziona il comportamento delle persone
all'interno del gruppo stesso quindi meccanismi intragruppo.
Questa grossa pressione influenza anche il modo in noi cui percepiamo gli altri gruppi, quindi i
gruppi diversi dall’altro.
Nella psicologia sociale si fa una grossa e forte distinzione tra l'ingroup cioè il gruppo di
appartenenza, tutte le categorizzazioni che ci appartengono identificano, e l’outgroup cioè tutti i
gruppi esterni ai nostri, quelli esterni, tutte quelle categorizzazioni che definiscono persone
diverse da noi.
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percepiscono i membri del proprio gruppo (ingroup) e i membri dei gruppi esterni al gruppo
(outgroup).
Percezioni reciproche che le persone hanno in base alle loro appartenenze.
Molti a questo proposito, sono i lavori di Henri Tajfel famosissimo psicologo sociale ebreo polacco
chi si trasferì negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale per studiare. La sua storia
familiare condizionò le sue ricerche perché la sua famiglia fu interamente sterminata nei campi di
concentramento e lui iniziò questo programma di studi per cercare di capire e spiegare i
meccanismi psicologici e psicosociali alla base del pregiudizio e discriminazione.
Tajfel si concentra in particolare sui processi percettivi e cognitivi che sono alla base della
percezione intergroup, dei pregiudizi e degli stereotipi.
La spiegazione di Tajfel e tutta la linea di ricerca che parte da lui al tema dei pregiudizi e delle
relazioni intergruppi, è molto focalizzata sul nostro modo di ragionare.
Lo spostamento da una spiegazione di tipo patologico, irrazionale tale per cui si spiega il
pregiudizio e gli atti discriminatori estremi sulla base della personalità delle persone ad una
spiegazione diversa che invece vede come meccanismo importantissimo il nostro modo di
ragionare soprattutto quello in senso semplificatorio.
Noi abbiamo una forte tendenza a semplificare il ragionamento perché siamo sovraccarichi di
informazione; tutta questa tendenza alla semplificazione gioca tantissimo anche nei meccanismi di
pregiudizi di creazione degli
stereotipi che sono un po’
alla base del pregiudizio.
26/04/2022
La definizione che la psicologia sociale
attuale condivide circa il pregiudizio è una
definizione che lo associa a dei
significativi processi di semplificazione
delle informazioni sociali.
La focalizzazione che le teorie più recenti
del pregiudizio hanno è proprio sul nostro
modo di ragionare, sui processi cognitivi.
I meccanismi psicologici e psicosociali
sottostanti alla formazione del pregiudizio
vedono questi processi portare a valutare
le persone in base alla lora appartenenza,
categorizzazione.
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Le persone vengono classificate in gruppi, categorie distinte sulla base di criteri, caratteristiche di
vari tipi.
Alcuni criteri, caratteristiche sono storicamente associati ad alcuni pregiudizi es. razza, cultura,
apparenza sociale, genere sociale.
Alcune caratteristiche proprio di aspetto delle persone subito visibili e in base a questi alcuni
gruppi sociali sono stati oggetti di pregiudizio, discriminazione e le forme più famose sono il
razzismo, sessismo.
Si è cercato di capire le
radici, i meccanismi psico
sociali che possano spiegare
i pregiudizi.
Sulla sinistra le teorie e sulla
destra il tipo di spiegazione,
macro-spiegazioni, a cui
queste teorie possono
essere associate.
Le prime teorie che hanno
provato a spiegare le forme
di pregiudizio sono teorie
che si sono focalizzate
sull’individuo e sulle
caratteristiche psicologiche
o psicodinamiche quindi c'è
una grossa influenza della
psicanalisi e di quello che
Freud aveva scoperto e proposto all'epoca, ipotizzando che le forme di pregiudizio fossero la
derivazione di alcune patologie o conflitti intrapsichici individuali responsabili delle forme di
comportamento discriminatorie nei confronti degli altri gruppi. Quindi il tipo di spiegazione è
l'individuo, sulla sua psicologia, sul tipo di socializzazione da cui l'individuo è caratterizzato e
queste teorie sentono molto l’influenza della psicanalisi quindi dei conflitti intrapsichici, di come le
persone risolvono i propri conflitti individuali e si ipotizza che il modo in cui risolvano e cercano di
gestire i conflitti intrapsichici possa avere poi un effetto sul pregiudizio e su come le persone
vedono gli altri, si comportano gli altri e quindi si spiega l'aggressività nei confronti di minoranze o
gruppi deboli.
Le altre tre teorie focalizzano invece l’attenzione sull’ideologia. Si spiega pregiudizio e
discriminazione in base alla condivisione degli individui a principi ideologici. Non è più una
spiegazione individuale ma una basata sull’ideologia di riferimento, quanto le persone accettano o
meno delle ideologie.
Terzo focus è la spiegazione focalizzata sulle relazioni intergruppo. Sono teorie tipiche della
psicologia sociale dagli anni 60 in poi e che cambiano completamente prospettiva rispetto alle
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altre. Si focalizza su come l’appartenenza a gruppo condiziona i comportamenti e si focalizza sui
processi normali di ragionamento delle persone, sui processi cognitivi. Si ipotizza in particolare che
il pregiudizio e la discriminazione sono le fette di alcuni processi cognitivi che in realtà
caratterizzano tutti noi, non sono patologici ma sono dei processi di semplificazione che combinati
con il contesto sociale in cui ci troviamo rendono più probabile il fatto che le persone aderiscano a
comportamenti, pregiudizi discriminatori.
✓ Ipotesi frustrazione-aggressività
Teoria frustrazione-aggressività.
Dollars autore di riferimento, sviluppata
negli anni 30-40.
Teoria che chiaramente si basa su assunti
psicodinamici, su come la nostra psicologia
interiore funziona.
Si ipotizza che la mente umana abbia a
disposizione una quantità di energia psichica
fissa, tutti noi abbiamo una quantità di
energia che regola la nostra vita interiore e
abbiamo la tendenza a mantenere un equilibrio interiore e per farlo abbiamo a volte bisogno di
fenomeni catarchici cioè di far uscire questa energia per mantenere l’equilibrio interiore.
Secondo questa teoria si ipotizza che per esempio quando noi veniamo frustrati nei nostri
obbiettivi, abbiamo un grosso desiderio quindi la nostra energia psichica si incanala per ottenere
questo risultato e poi questo risultato ci viene negato la persona subisce una frustrazione perchè
la sua energia psichica non viene fatta uscire, assecondata. Succede quindi che si accumula
l’aggressività e deve far uscire questa energia. L’aggressività spesso nei confronti di un altro
obiettivo diventa un modo catarchico di ristabilire l'energia psichica.
Quindi l'ipotesi è che nel momento in cui noi veniamo frustrati rispetto a un nostro obiettivo
accumuliamo energia psichica, accogliamo aggressività e abbiamo bisogno di sfogare in qualche
modo questa aggressività.
Secondo questa teoria l’aggressività non può essere diretta contro l'oggetto, colui che ci ha creato
la frustrazione, l’aggressività può essere direzionata verso altri obbiettivi.
Secondo questa teoria nel momento in cui c'è l'interferenza di un comportamento diretto ad uno
scopo, le persone accumulano energia psichica quindi aumenta l'aggressività interiore,
l'aggressività è diretta verso altri obiettivi più deboli, più accettabili da aggredire.
Spesso succede che la fonte della frustrazione non può essere direttamente aggredita perché ad
esempio è una fonte autorevole oppure è una fonte non chiaramente identificabile. Questo
meccanismo fa si che le persone direzionino l'aggressività verso bersagli più deboli che diventano
capri espiatori, soggetti più accettabili.
Questa teoria dice che questa cosa che avviene a livello individuale può avvenire anche a livello di
gruppo.
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Dollar e Miller
usano questa teoria
per spiegare quello
che è successo in
Germania nella
Seconda guerra
mondiale.
Teoria questa molto
criticata
innanzitutto una
critica è come si
individua il bersaglio
di “sfogo”
dell’energia. Inoltre
c’era la critica sul
fatto che molte
persone nello stesso
momento
sperimentassero
questa frustrazione.
✓ La personalità autoritaria
Personalità autoritaria e autoritarismo.
Teoria elaborata da Adorno e
collaboratori negli anni 50.
Questa teoria ipotizza che il pregiudizio
sia l’esito di un tipo di personalità,
esisterebbe secondo questa visione un
tipo di struttura di personalità detta
personalità autoritaria che renderebbe
l’individuo più propenso a condividere
atteggiamenti di pregiudizio e a mettere
in atto comportamenti di
discriminazione.
Secondo la teoria dell’autoritarismo
esisterebbe una specifica struttura di
personalità detta personalità autoritaria
che viene definita come un insieme di valori, opinioni e atteggiamenti che hanno origine la
struttura e profonde della personalità e da un'educazione autoritaria e punitiva. Questo tipo di
spiegazione è fortemente radicata delle spiegazioni psicanalitiche.
Si fa ricondurre il tipo di educazione che le persone hanno subito nel corso della loro infanzia, in
particolare un tipo di educazione molto autoritaria, punitiva basata su un meccanismo di
ricompense e punizioni, un genere di personalità che da adulto porterebbe le persone a
condividere ed accettare atteggiamenti di pregiudizio e discriminazione.
Quindi le pratiche autoritarie e punitive eseguite dai genitori nei confronti dei figli sarebbero
responsabili dell'emergere in età adulta di varie combinazioni di credenze cioè la condivisione di
vari atteggiamenti, valori, ecc.
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C’è un'origine che ha a che fare con il tipo di infanzia che le persone hanno vissuto e il tipo di
educazione in particolare.
Questo insieme di caratteristiche di personalità, questa struttura della personalità sarebbe
caratterizzata secondo Adorno da alcune dimensioni principali, la prima è l’antisemitismo. Loro
dicono che una prima espressione della personalità autoritaria è specificatamente l'antisemitismo
cioè l'avversione nei confronti della cultura ebraica, del popolo ebraico. Si parte dal presupposto
che chi nutre un forte pregiudizio, che è in quel periodo storico era molto sostenuto da vari
individui e ideologie e quindi dal punto di vista normativo è un tipo di pregiudizio molto
strutturato, avrà lo stesso atteggiamento pregiudiziale e discriminatorio anche verso altri gruppi.
Questi studiosi sviluppano una serie di scale costituite dai diversi item che nei loro obiettivi, nelle
loro ipotesi andrebbero a misurare la personalità autoritaria.
Elaborano tutta una serie di batterie e di item per andare a individuare proprio dal punto di vista
anche metodologico delle modalità di misurazione della personalità autoritaria.
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Ci furono diverse critiche alla teoria soprattutto metodologiche perchè buona parte degli item
sviluppati per misurare la tendenza autoritaria erano unidirezionali cioè che andavano tutti nella
stessa direzione per cui le persone erano indotte con il meccanismo di acquiescenza, si tendeva ad
essere sempre accordo. Poi emerse che tutti i ricercatori che somministravano i test o facevano le
interviste alle persone che erano state utilizzate per avvalorare queste ipotesi, erano tutti a
conoscenza dell'ipotesi della teoria e questo è un problema perché c'era magari anche solo
inconsciamente una tendenza a vedere confermate le ipotesi della teoria.
Poi è stato criticato anche il fatto che si sottostimi troppo l'importanza dei fattori situazionali,
contestuali e del fatto che questo tipo di atteggiamento discriminatorio contro gli ebrei fosse
anche da spiegare dal punto di vista storico e culturale.
Terza critica fatta è che questa teoria non spiegherebbe il veloce nascere di alcuni atteggiamenti
discriminatori, a volte l'emersione di pregiudizi è talmente veloce che non si può spiegare proprio
in termini di tempo questo tipo di pregiudizio con questa teoria che vede un inter comunque
piuttosto lungo.
Inoltre è una teoria tanto focalizzata sui tratti di personalità e sull'origine del pregiudizio nella
psiche individuale, nella vita interiore e addirittura nell'infanzia e nell'educazione delle persone.
✓ Autoritarismo di destra
Teoria autoritarismo di
destra o scala RWA.
Negli anni 80 ispirandosi
molto alla teoria della
personalità autoritaria si
cambia prospettiva e si cerca
di misurare la condivisione
rispetto ad alcuni
atteggiamenti di pregiudizi e
di discriminazione non
venendo più spiegati come
l'esito di un certo tipo di
personalità ma per
autoritarismo di destra si
intende una serie di
atteggiamenti sociali,
condivisione di alcuni atteggiamenti sociali che le persone apprenderebbero nel corso della
socializzazione, nell'interazione con la famiglia, con la scuola, con i pari, attraverso i media e che in
generale adotterebbe e avvalorerebbero nel corso della loro vita.
Non sono più tratti di personalità ma atteggiamenti che si combinano secondo una certa
costellazione e vi sarebbero secondo questa visione tre gruppi di atteggiamenti principali che
comporrebbero l'autoritarismo.
Si creerebbero anche qui una serie di scale che sono affermazioni che riguardano vari aspetti della
vita quotidiana e la condivisione di alcune di queste credenze sarebbero tipiche dell'autoritarismo
inteso come una costellazione di atteggiamenti e non più un tipo di personalità.
I tre gruppi di atteggiamento a cui fanno riferimento gli autori sono:
convenzionalismo → si intende l'adesione incondizionata a dei valori più condivisi
all'interno di una determinata comunità cioè si tende per convenzione a condividere quei
valori che sono già comunemente accettati all’interno di una società.
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sottomissione autoritaria → porterebbe le persone ad essere molto sensibili alle autorità e
quindi a essere molto propensi a sottomettersi e ad accettare totalmente acriticamente
tutto quello che le autorità dicono senza mai essere messa in discussione; forte
propensione ad accettare tutto ciò che viene definita persona autoritaria.
aggressività autoritaria → la prontezza a punire anche psicologicamente le persone o i
gruppi considerati come devianti, considerati come diversi, come una rottura rispetto ai
valori e alle regole convenzionali.
Chi ha questo atteggiamento ha la tenenza a svalutare quindi anche punire, discriminare
quei gruppi che deviano dai valori, dalle norme costituite.
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Per spiegare la teoria della deprivazione relativa, spesso si fa riferimento all'origine di alcuni casi
storici molto noti di conflitto tre gruppi es. conflitto etnico, i disordini razziali.
Nel 1991 esplode il caso di Rodney King nero americano che viene inseguito dalla polizia, lui non si
ferma e quando viene fermato dalla polizia viene pestato violentemente da agenti bianchi e il
video filmato scalda un po’ la situazione. L’anno dopo al processo gli agenti vengono tutti assolti
da una giuria tutta bianca, la notizia si diffonde e. poche ore dopo la notizia della sentenza nella
parte meridionale di Los Angeles si scatena il putiferio; prima saccheggi e poi in particolare un
incrocio di un quartiere di Los Angeles si scatena una violenza inaudita. Per tre giorni questo
quartiere viene completamente abbandonato dalla polizia che non riesce ad intervenire e in balia
della violenza interetnica.
La cosa interessanti è che questo incrocio è in un quartiere di Los Angeles non tra più svantaggiati
ma è un quartiere che negli anni aveva visto una progressione economica, un miglioramento delle
condizioni sociali economiche e quindi un'aspettativa di miglioramento da parte della minoranza
nera che via via si era moltiplicata.
La teoria della deprivazione relativa ipotizza che il conflitto tra gruppi e quindi anche il pregiudizio,
si origini da una sorta di mancata corrispondenza tra le aspettative di un gruppo e i risultati che
quel gruppo ottiene.
Si chiama relativa perché è l'esito di un confronto sociale che le persone fanno tra la situazione del
proprio gruppo e la situazione di altri gruppi.
Gli autori della teoria dicono che il pregiudizio sarebbe originato dal fatto che il proprio gruppo
non goda di un bene, di una situazione a cui ha diritto. I neri americani del quartiere avevano visto
nel corso degli ultimi anni una progressione, un miglioramento delle loro condizioni di vita sociali
ed economiche. Avevano sviluppato una aspettativa di miglioramento che è stata disattesa, c'è
stata poi la miccia che ha fatto esplodere il conflitto e cioè la mancata condanna dei poliziotti,
miccia che fa esplodere e rende che esplicita e chiara la discriminazione quindi il mancato
miglioramento.
Il gruppo crede di aver diritto a questo miglioramento e attribuisce la mancanza del
raggiungimento di questi risultati ad un altro gruppo. Quindi quelle persone non stavano così male
ma comparandosi alla situazione di altri gruppi etnici consideravano la loro situazione come
frustrante e per questo si scatenerebbe il pregiudizio.
È questo esito del confronto sociale secondo la teoria che porterebbe le persone a sviluppare
atteggiamenti di pregiudizio.
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✓ La teoria del conflitto realistico
Un’altra teoria famosa che si focalizza ancora di più sulle relazioni intergruppo è quella del
conflitto realistico di Sherif.
Sherif ha avviato i famosi studi chiamati studi di Robbers Cave o studi sul campo estivo dove lui ha
studiato le relazioni tra i gruppi, mette in relazione alcuni ragazzini che venivano invitati a
partecipare ai campi estivi.
Variando la situazione di interazione tra questi ragazzi ha provato a dare delle spiegazioni della
formazione del pregiudizio e degli stereotipi.
Questi studi prevedevano alcune fasi.
In una prima fase Sherif lavorava sulla formazione dei gruppi quindi convocava i ragazzi e creava
ciascun gruppo. I ragazzi sapevano dell'esistenza di altri gruppi ma all'inizio veniva creato una
condizione per creare un'identità di gruppo quindi era una fase di formazione e di cooperazione
tra i gruppi es. si devono svolgere dei compiti dove il gruppo doveva lavorare in un obiettivo
comune, per consolidare proprio l'idea di gruppo.
Ad un certo punto dell’esperimento Sherif istituiva una fase di competizione tra i gruppi cioè
rendeva noto ai vari gruppi che esistevano altri gruppi nel campo estivo e avviava delle situazioni
competitive, creazione di alcune situazioni di oggettivo conflitto fra i gruppi, delle relazioni che lui
definiva di interdipendenza negativa, tutte quelle situazioni in cui un gruppo deve competere con
un altro e quello che ottiene un gruppo va a scapito dell'altro. In questa fase osservava il
comportamento dei ragazzi che partecipavano a questa fase competitiva e osservava espressioni
di grande pregiudizio, aggressività, denigrazione, presa in giro dei membri dei gruppi diversi dal
proprio.
In una terza fase provava a ridurre il conflitto che aveva creato ed era una fase appunto di
riduzione del conflitto creava quindi delle situazioni da lui definite di interdipendenza cooperativa
positiva es. un camion che trasportava il materiale necessario per vedere un film che i ragazzi
volevano vedere si guastava e doveva essere spinto e poteva essere spinto solo se tutti i gruppi
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cooperavano insieme per spingere il camion, quindi si creavano delle situazioni di interdipendenza
cooperativa, situazioni in cui solo cooperando e collaborando per un obiettivo comune i gruppi
potevano ottenere insieme un risultato. In questi casi si osserva una significativa riduzione del
conflitto tra gruppi.
Da questi studi di Robert Cave Sherif dice che i gruppi vanno in conflitto, si discriminano a vicenda
nelle situazioni di interdipendenza competitiva, risorse scarse che possono essere ottenute solo da
un gruppo e in queste situazioni di interdipendenza competitiva i pregiudizi aumentano.
Secondo Sherif queste ostilità possono potenzialmente diminuire nel momento in cui si instaura
una situazione di interdipendenza cooperativa, cioè nel momento in cui si riescono a creare le
condizioni per cui i gruppi cooperando riescono a negoziare a trovare un vantaggio da entrambe le
parti.
Quindi secondo questa
visione il conflitto tra gruppi
è l’esito di una competizione
tra gruppi attorno a risorse
scarse attorno a cui i gruppi
ambiscono.
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27/04/2022
✓ La teoria dell’identità
sociale
Iniziano tutti gli studi che
hanno dato vita alla teoria
dell’identità sociale.
Il principale autore di questa
teoria è Henry Tajfel che
lavora tantissimo sul
pregiudizio.
Lui dice che il pregiudizio può
essere studiato non
focalizzandosi sugli spetti
individuali ma dobbiamo
concentrarci sui cosiddetti
normali processi di pensiero
umani.
Il suo focus è su alcune tendenze sistematiche del comportamento umano.
Esperimento di Tajfel e Wilkes del 1963 sulla percezione visiva perchè si presuppone che i processi
di ragionamento che usiamo a seguito di stimoli visivi siano gli stesi di quando ragioniamo su
gruppi sociali.
Vengono presentate 8 linee che aumentano del 5% di lunghezza. Però vengono presentate in tre
modi diversi:
• classificazione: le 4 linee più corte vengono etichettate con la lettera A, le 4 più lunghe con la
lettera B.
• non classificazione: le linee sono presentate senza essere accompagnate da alcuna lettera.
• casualità: non c’è relazione tra lunghezza delle linee e lettera con cui sono etichettate.
La variabile dipendente, ai soggetti viene chiesto di stimare la lunghezza di ogni linea. I ricercatori
confrontarono i valori di differenza, obbiettivi quindi quanto effettivamente erano diverse e valori
stimati ossia quanto i soggetti ritenevano fossero distante la lunghezza tra le linee.
280
La differenza quando cambia la
lettera è stimata dai soggetti di
studio come molto alta.
Quindi il fatto di aver assegnato
delle lettere fa si che nella mente
delle persone scatti una
categorizzazione cioè vedere
comunque due gruppi di linee, è
proprio una tendenza di pensiero.
Quindi le persone sovrastimano le
differenze tra elementi di gruppi
diversi.
Sovrastima sistematica che
emergeva in tutte le sessioni
avveniva solo nella classificazione.
Questo permette la
categorizzazione sociale.
Dall’esperimento si capisce
che c’è la tendenza del
nostro pensiero a
categorizzare gli stimoli.
differenziazione
categoriale ossia la
tendenza ad
accentuare le
differenze tra
elementi collocati in
categorie diverse,
vedere molto di più
le differenze tra
stimoli che
appartengono a gruppi diversi. Esagerazione delle differenze tra elementi appartenenti a
categorie diverse.
assimilazione intracategoriale accentuare somiglianze a elementi che appartengono alla
stessa categoria quindi sottostimare le differenze della stessa categoria, raggruppamento.
Per Tajfel si usa la categorizzazione sociale perchè è un processo di semplificazione della realtà che
ci aiuta si, ma ci fa anche incorrere in errori.
Secondo Tajfel e collaboratori questi processi di categorizzazione non solo li ritroviamo nella
percezione visiva che è il meccanismo base ma quel meccanismo base lo possiamo applicare anche
agli stimoli sociali quindi alle persone, a come tutti noi valutiamo e ci formiamo delle opinioni e dei
giudizi sulle persone, accesso ai membri dei gruppi sociali. Quindi questi giudizi percettivi Tajfel
dice che li possiamo applicare anche al pregiudizio sociale e questo fenomeno è alla base della
formazione dei pregiudizi e degli stereotipi sociali.
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La ricerca poi va avanti e c’è
un altro famoso esperimento
conosciuto come paradigma
dei gruppi minimi.
Questa tendenza a
categorizzare si associa alla
valutazione del gruppo che ci
appartiene.
Nell’esperimento i soggetti
venivano convocati in
laboratorio, gli si faceva
vedere dei quadri astratti e
tra due quadri gli si faceva
scegliere quale tra i due
quadri di autori diversi
piaceva di più. Poi gli si diceva ad alcuni hai scelto il quadro di Klee e ad altri si diceva hai scelto il
quadro di Kandinski, in realtà questa assegnazione circa le loro preferenze era del tutto inventata,
era casuale.
Poi si diceva sulla base della tua preferenza rispetto al quadro ti assegniamo nel gruppo di persone
che preferisce un quadro o l’altro, quindi divisione basata su una preferenza e del tutto casuale.
Poi si faceva fare un compito e si usavano le matrici: si faceva decidere di distribuire delle somme
di denaro a membri del proprio gruppo e a membri del gruppo esterno, si faceva scegliere tra tre
opzioni (il fatto di sceglierne una quindi un valore per il proprio gruppo implicava che all'altro
gruppo ne andava un altro, quindi erano state tirate per capire quale strategia alle persone
avrebbero preferito):
Se io sono un membro del gruppo Klee e opto per la prima opzione, do 19 al mio gruppo il
25 all'altro. All’altro sto dando di più però io sto guadagnando rispetto a tutte le altre
opzioni il massimo → strategia di massimo profitto per l’ingroup.
Se io do 13 al mio gruppo e do 13 all'altro → strategia dell'imparzialità.
Se invece opto per le opzioni verso la destra delle matrici quindi verso la C io come gruppo
prendo il minimo che posso prendere però faccio guadagnare molto meno agli altri →
massimo favoritismo per l’ingroup.
Le persone non si vedevano, semplicemente sapevano a quale gruppo appartenevano e gli si
faceva scegliere tra la matrice quali opzioni di denaro dare al proprio gruppo e a quello esterno.
Succedeva che le persone molto più frequentemente tendevano a optare per l'opzione C cioè per
l'opzione che pur facendo guadagnare di meno in valore assoluto faceva sì che il proprio gruppo si
distinguesse positivamente dal gruppo esterno, ci fosse la massima differenza a favore del proprio
gruppo.
In questa creazione minimale del gruppo (non c'era nessuna precedente interazione, conoscenza
quindi senso del tutto arbitrario del gruppo) solo l'introduzione dell'idea che c'erano due gruppi
faceva sì che le persone sistematicamente favorissero, optassero per delle strategie di scelta che
andavano a favorire il proprio gruppo rispetto a quello esterno, anche a costo di guadagnare di
meno.
Tajfel e collaboratori dissero che la pura e semplice introduzione della nozione di gruppo sembra
essere sufficiente perché vi sia un orientamento a favore dell’ingroup e a sfavore dell’outgroup. È
una tendenza sistematica quando viene detto all'uomo che ci sono due gruppi, c'è questa forte
pressione a tendere a favorire il proprio gruppo, i membri del proprio gruppo rispetto ai gruppi
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esterni. È proprio un bias, bias
dell’ingroup.
Identità sociale
Tajfel definisce l’identità sociale come
quella parte dell’immagine di sé
dell’individuo che deriva dalla sua
consapevolezza di appartenere ad un
gruppo sociale (o a più gruppi), unita al
valore e al significato emotivo attribuito a
tale appartenenza.
Ognuno di noi ha delle categorizzazioni
più o meno importanti che nei contesti
sociali contribuiscono a darci un’identità.
Per prima cosa l’identità sociale è essere consapevoli, definirsi quel gruppo, essere consapevoli
che quel gruppo mi definisce es. essere tifoso del Liverpool (è proprio cognitivo).
Il fatto di appartenere ad un gruppo è un valore.
Una terza dimensione è il significato emotivo, l’emozione che ci provoca, la componente affettiva
di far parte di quel gruppo. Appartenenze fortemente costruite anche sulle emozioni che proviamo
rispetto al fatto di definirci in quel modo.
Queste tre componenti definiscono il senso di appartenenza sociale delle persone.
283
Nelle nostre interazioni quotidiane a volte quando interagiamo con gli altri in alcune condizioni, in
alcuni contesti la nostra interazione è soprattutto caratterizzata dalle nostre caratteristiche
individuali, personali e quindi le nostre appartenenze magari sono meno condizionanti. In altre
condizioni invece quando le persone interagiscono anche individualmente sono le identità e le
appartenenze a condizionare fortemente la loro interazione.
Ogni situazione sociale, di interazione può variare a seconda di quanto le identità sociali e le
categorizzazioni condizionano il modo di comportarsi delle persone.
Quindi il concetto di identità sociale secondo Tajfel e secondo tutti i ricercatori della psicologia è
sociale molto fluido, non abbiamo delle categorie che ci caratterizzano in ogni situazione in modo
uguale e senza alcuna variazione ma è strettamente dipendente da ciascuna situazione sociale.
Anche il senso del gruppo,
secondo questi studiosi, è
un senso che si costruisce
molto sulla situazione.
Stereotipi sociali
Anche gli stereotipi sono
semplificazioni.
Gli stereotipi sono credenze
socialmente condivise circa
le caratteristiche che si
ritiene siano proprie di
gruppi o categorie sociali.
Anche gli stereotipi sono
l'esito di una semplificazione,
anche gli stereotipi hanno
una radice cognitiva nella
categorizzazione perché
derivano da quel processo e
sono fondamentalmente delle pre concezioni, delle semplificazioni, delle credenze socialmente
condivise perché condivise da una società, dei membri di un gruppo, circa le caratteristiche che si
ritiene essere tipiche di alcune categorie sociali.
285
Termine coniato da Lippman nel 1922. Il nome viene da uno stampo tipografico che viene
utilizzato per fare le copie tutte uguali di un'edizione di un giornale ipotizzando che ci sia un
prototipo, uno stampo sempre uguale che viene utilizzato per imprimere uno schema
semplificatorio di ciascun gruppo; quello stampo tipografico sarebbe proprio la semplificazione
dell'idea che si ha di un gruppo e delle sue caratteristiche che ci fa percepire i membri di quel
gruppo siano molto simili tra di loro e quindi difficilmente distinguibili l'uno dall'altro.
Se chiediamo alle persone di descrivere alcuni gruppi in base delle caratteristiche succede che
soprattutto per alcuni gruppi ci sono delle caratteristiche che tutti noi condividiamo, conosciamo
ma non necessariamente approviamo e condividiamo ma che associamo a dei determinati gruppi.
Ci sono associazioni che possono essere molto diverse da persona a persona perchè uno può avere
percezioni diverse però sappiamo che lo stereotipo è quello.
La nostra memoria è fatta di nuclei associativi cioè noi abbiamo come dei nodi concettuali che
contengono le informazioni e questi nodi tra di loro hanno dei collegamenti che possono essere
più o meno forti e in alcuni casi abbiamo delle più forti associazioni tra nodi concettuali.
Questa è l'essenza dello stereotipo ed è fortemente legata anche da come le informazioni sono
depositate in memoria.
L’origine degli stereotipi e diversa: da un lato c’è l’esigenza di semplificazione, dall’altra c’è anche
l’esposizione all'informazione, a quello che noi sentiamo dire in famiglia, dei media, ecc.
Gli stereotipi sono conosciuti e
percepiti dai bambini ad un’età
molto tenera, i pregiudizi
nascono molto precocemente, si
radicano e condizionano le
percezioni reciproche.
3/05/2022
LA COMUNICAZIONE
NON VERBALE
Tutto quello che passa nel
linguaggio del corpo.
Inizialmente gli studi della
comunicazione non verbale si
focalizzano molto sul tema
dell’importanza, quanto pesa la
comunicazione non verbale
rispetto a quella verbale.
In senso ampio la
comunicazione umana avviene
con l’uso simultaneamente di
tanti codici, uno è quello
verbale (attraverso contenuti)
e l’altro è non verbale (che passa attraverso atteggiamenti, comportamenti, ecc.).
Un esempio grosso di comunicazione non verbale è la politica.
Nella campagna Trump-Clinton fu molto forte il confronto di genere. Trump usava molto
l’espansività del proprio corpo anche per invade lo spazio altrui. Clinton nonostante l’esperienza
risultava un po’ fredda.
Gesti deittici sono i gesti puntatori quando si indica una persona, un oggetto, un’entità.
Il sorriso fa apparire sicuri, in controllo della situazione.
Clinton si avvicina molto al pubblico quando parla per cercare di apparire il più possibile empatica
dato che viene definita fredda.
Anche l’aspetto della posizione è importante dal punto di vista delle implicazioni, essere più
rialzato dell’altro.
Con Biden-Trump è stato molto confusionale.
290
Biden indica il pubblico. La sua voce è molto profonda, abbassa la voce anche quando cerca di
agganciare, intercettare, coinvolgere emotivamente il pubblico.
Esempio Putin con capo servizi segreti. Putin per dimostrare potere mette i gomiti sul tavolo.
Sembra all’inizio annoiato, ha un’aria di insufficienza, noia (tamburella sul tavolo, si sistema la
cravatta). Il capo dei servizi invece è
molto chiuso su sé, la voce trema e finisce
il discorso con quello che Putin vuole lui
dica.
292
Attualmente uno degli approcci più
condivisi rispetto allo studio della
comunicazione non verbale è quello che
vede la focalizzazione sui processi di
codifica e decodifica un po’ come il fulcro
di analisi dei segnali non verbali.
Negli studi sulla comunicazione quando si
analizza un'interazione comunicativa si
distingue tra due processi importantissimi:
codifica e decodifica.
La codifica può essere definita come la fase
di produzione del messaggio, fase
attraverso cui quello che voglio
comunicare viene trasformato in un segnale vero e proprio verbale o non verbale (pianto, voce
rotta).
La decodifica è la fase di lettura da parte dell’interlocutore di quello che sto trasmettendo;
percezione, riconoscimento e interpretazione dei segnali non verbali.
Queste fasi sono tipiche della comunicazione verbale ma vengono usati anche per la
comunicazione non verbale.
La capacità di codifica e ricodifica dei segnali è un’importante capacità sociale.
293
Espressione del volto prima
componente del sistema cinesico.
Volto canale più importante della
comunicazione non verbale, il
volto è la sede dei principali
ingressi sensoriali quindi vista,
udito, gusto, olfatto. Il viso ci
identifica fortemente, noi facciamo
molta attenzione al nostro viso e a
quello che traspare dal nostro viso.
Dal punto di vista fisiologico sono i
muscoli facciali che muovono le
espressioni del viso. I muscoli del
viso, responsabili delle emozioni, sono fondamentalmente suddivisi in alcune fasce, zone del viso:
La fascia centrale che è quella occupata soprattutto dai muscoli zigomatici ossia quelli delle
guance che sono per esempio responsabili del sorriso.
La fascia superiore in cui i muscoli più importanti, sono i muscoli corrugatori che sono
quelli che stanno tra le sopracciglia e spesso coinvolti nelle emozioni più negative.
La fascia più inferiore del viso che è quella che riguarda l'uso della bocca e del mento .
Dal punto di vista fisiologico il nervo di collegamento con le aree centrali che attivano le nostre
espressioni del viso è il nervo facciale ossia una sorta di canale di comunicazione tra le aree del
cervello che sono attivate per esempio dalle emozioni e una vera e propria espressione del viso.
L’espressione del volto quindi è particolarmente importante ed è stata soprattutto studiata in
relazione alle espressioni delle emozioni. È il canale più importante, uno dei più importanti che
permette di calcolare le emozioni delle persone.
Si è capito molto di più su come vengono veicolate le emozioni dalla distinzione tra espressioni
volontarie e involontarie. Cioè si è scoperto che quando le espressioni del viso arrivano sul nostro
viso queste espressioni possono avere sia origini spontanee, involontarie, non controllate
coscientemente da noi e sia origini più controllate e volontarie.
Dal punto di vista fisiologico i percorsi che partono dal cervello al viso sono differenti nei due casi.
Nel caso di espressione volontaria e spontanea è l'ipotalamo la parte cerebrale che viene
attivata e attraverso un sistema piramidale arriva al viso.
Quando invece noi controlliamo l’emozione quindi facciamo trasparire dal nostro viso
un'espressione controllata, non spontanea perché per esempio la situazione sociale ce lo
richiede, il percorso fisiologico è totalmente differente perché parte dalla corteccia
celebrale quindi centri superiori e si chiama via piramidale e da al nostro viso il comando
facendo proprio un'altra strada differente rispetto a quella del caso di prima.
Rispetto all’origine evolutiva allo scopo di capire se le espressioni del viso sono universali e quindi
uguali per tutti a prescindere dalla cultura oppure sono connotate culturalmente, ci sono dei
famosi studi di Paul Ekman.
Ekman feci degli studi sugli aborigeni appartenenti a delle culture che non avevano nessuna
relazione con il mondo civilizzato, non avevano mai avuto relazioni. Aveva studiato queste persone
aveva mostrato loro le fotografie delle più importanti, principali emozioni e i soggetti occidentali
aveva chiesto di codificare quindi dire a quale espressioni si riferissero e effettivamente avevano
una capacità di codificare molto simile a quella dei soggetti occidentali.
Quindi arrivò alla conclusione che ci sono delle espressioni che passano attraverso il viso che sono
universali, universalmente condivise riconosciute tuttavia queste espressioni sono modificate,
294
modellate dall'appartenenza culturale che ne determina alcune sfaccettature → ecco perché
teoria neuro-culturale. Espressione del viso viste come mix tra fattori biologici, patrimonio
genetico e fattori culturali.
Rispetto a come le emozioni passano sul viso e come possono essere studiate sono stati sviluppati
dei famosi sistemi di classificazione. Sistemi sviluppati Ekman e dai suoi collaboratori e sono
fondamentalmente due, il secondo è un'evoluzione del primo.
Una prima versione più semplificata di questo sistema si chiama FAST (facial affect scoring
tecnique) ed è un sistema che basa la classificazione delle espressioni del viso suddividendo il viso
in tre aree principali: un'area superiore del viso, un'area centrale e un'area inferiore.
Ipotizza che ci siano alcune posizioni tipiche, sempre le stesse che ricorrono per ciascuna parte del
viso es. vengono individuate 8 posizioni base che le sopracciglia possono assumere, 17 per gli
occhi, ecc. si suppone ci siano dei movimenti, delle posizioni tipici, basici che combinati vanno poi
a produrre l'espressione del viso.
Questo primo sistema di classificazione nel tempo, con gli studi che Ekman fa viene modificato in
un altro e più raffinato sistema di classificazione chiamato FACS (facial affect coding scheme), è in
realtà un sistema molto più elaborato, è il sistema più elaborato di codifica delle espressioni del
viso e ipotizza che alla base dell'espressione del viso ci siano alcuni movimenti muscolari di base
che vengono chiamati unità d'azione.
Quando vogliamo classificare le espressioni del viso dobbiamo tener conto che ci sono dei
movimenti base, in tutto questi movimenti sono 46; quindi ci sarebbero queste 46 unità di azione
quindi movimenti muscolari di base che combinati insieme vanno a produrre tutte le principali
espressioni del viso, ognuna si riferisce a un movimento particolare del viso.
È uno strumento standardizzato, inizialmente questo strumento viene creato e applicato con un
metodo carta-matita ossia ci sono delle griglie di classificazione e le persone vanno a segnare quali
movimenti ciascuna situazione del viso ha, col tempo le cose si sono volute e adesso ci sono dei
software specifici che vengono applicati per andare a codificare le principali espressioni del viso.
È quindi uno strumento molto diffuso che ha ricevuto dal punto di vista dell'affidabilità diverse
conferme dallo strumento più utilizzato per andare a decodificare le espressioni del viso.
295
Quando si parla di espressioni del viso Ekman ipotizza che si possa fare riferimento alle espressioni
di alcune emozioni fondamentali cioè esisterebbero proprio delle espressioni di base che possono
essere considerate molto simili a prescindere dalla cultura e che si riferiscono alle emozioni
primarie, quelle più importanti, più condivise che sono la sorpresa, la paura, la felicità, la tristezza,
la rabbia, il disprezzo e il disgusto. Disprezzo e disgusto a volte vengono considerate insieme a
volte no, dipende dalle classificazioni.
Ogni espressione dell’emozione è caratterizzata da movimenti tipici.
Questi studi sono stati tutti condotti da Ekman il quale ipotizza ci siano alcune repressioni che si
possono diventare primarie che sono le grandi famiglie di emozioni e poi ci sono tutte le
sfaccettature.
296
Ekman ha categorizzato anche i segni del volto in sottocategorie. Lui dice che tutti i segni che
passano al volto si possono descrivere in queste categorie.
Segnali statici quelli che rimangono fissi nel tempo e non cambiano.
Segnali a variazione lenta sono quelli che cambiano nel tempo, segnali che modificano il
viso per il trascorrere del tempo es. rughe
Segnali rapidi, quelli maggiorenti studiati da Ekman che suddivise ancora in
o Messaggi emotivi sono i messaggi veloci del viso, assomigliano un po’ alla mimica,
che trasmettono un’emozione particolare, simulazioni di emozioni (quello che
fanno gli attori).
o Messaggi emblematici messaggi del viso sempre controllati che noi mettiamo in
atto che hanno significati specifici o simbolici, possono essere considerati
l’equivalente di una parola o di una frase es. strizzare l’occhio, ha un suo significato
emblematico socialmente condiviso, è un emblema, un simbolo e a volte si utilizza
consapevolmente l'espressione del viso per trasmettere qualcosa il cui significato è
condiviso all'interno della cultura.
o Punteggiatura di una comunicazione sono quei movimenti del viso, quei segnali
che servono mentre una persona parla a dare un ritmo e un senso al contenuto
verbale di quello che la persona sta esprimendo. Ekman dice che a volte le
espressioni del viso funzionano un po’ come dei punti, virgole cioè punteggiano,
cioè danno un ritmo alla conversazione e servono a far capire meglio
all'interlocutore quello che il parlante sta esprimendo. Anche questi sono
movimenti brevi del viso che hanno proprio la funzione di punteggiare il discorso.
o Micro-espressioni sono i movimenti del viso scoperti da Ekman. Ekman inizialmente
inizia a studiare la comunicazione non verbale in ambito terapeutico, partecipa ai
team di psicologi e psicoterapeuti, segue dei pazienti che hanno delle patologie
psichiatriche e lavora tanto sul palo della comunicazione non verbale nell'aiutare la
terapia. Spesso lui racconta il caso di questa paziente, dalla quale è nata un po’ la
definizione di micro-espressioni, di nome Mary ricoverata in un ospedale
psichiatrico, dove Ekman collaborava, perché aveva una forte depressione. Era
ricoverata da un po’ di tempo a un certo punto questa paziente nei colloqui
manifesta la volontà di uscire dall'ospedale, dice di stare meglio ed effettivamente
esprime con il suo comportamento un migliore benessere e via via durante i
colloqui il team di psicologi e psicoterapeuti si convince che effettivamente questa
paziente sta meglio e quindi si puoi decidere di farla uscire. Finché poco prima di
essere dimessa questa paziente crolla durante un colloquio e confessa che in realtà
297
lei stava malissimo, aveva simulato il suo apparente benessere solo per uscire e
tentare di suicidarsi; quindi il suo comportamento apparente aveva ingannato
totalmente un team di psichiatri psicologi. Da qui grande crisi, grandi dubbi, grande
messa in discussione anche delle tecniche terapeutiche finché Ekman suggerisce di
rivedere i colloqui di questa paziente per capire se c'era qualcosa che si era perso
ma poteva far comprendere che c'era qualche incongruenza. Rivedono a
rallentatore tutti i colloqui con questa paziente Mary e si accorgono che durante
questo apparente ci sono dei momenti molto veloci di espressioni facciali che
invece disconfermano completamente il suo stato positivo, sono espressioni
velocissime di disperazione viva, di profonda tristezza ma analizzabili e visibili solo a
rallentatore.
Da qui nasce lo studio delle micro-espressioni e quindi si viene a conoscenza del
fatto che esistono movimenti molto veloci (meno di un secondo) difficilmente
percettibili a occhio nudo, talvolta impossibili ma che sono fortemente rivelatrici
dello stato reale, del vero stato emotivo delle persone. Da qui nasce tutta una
tradizione di ricerca che Ekman avvia sulle micro-espressioni e che poi applica a
diversi altri ambiti per esempio quello criminologico (lie detection filone
dell'individuazione della menzogna quindi va a studiare tutti quei segnali non
verbali che possono essere identificati come indicatori di menzogna del fatto che le
persone stanno controllando emotivamente il loro comportamento e che spesso
entrano a far parte di alcune indagini. Gli esperti in questi lavori sono spesso dei
consulenti che vengono
utilizzati ad esempio negli
iter processuali).
298
4/05/2022
299
sull’interpretazione dell'uso dei gesti, teorie di matrice filo-nazista, queste teorie che l'eccessiva,
l'elevata gestualità fosse tipica di quelle culture inferiori rispetto alla razza ariana. Anche la cultura
ebraica che si caratterizza per particolare marcata, questo elemento veniva considerato un altro
elemento che secondo questa visione andava a riprova del fatto che si trattasse di un elemento di
inferiorità. David Efron allo scopo anche di mettere in dubbio questa interpretazione, compara
queste due comunità dal punto di vista della gestualità e nota che via via che nel tempo queste
persone si integrano nella comunità americana anche il loro stile gestuale viene modificato quindi
arriva a concludere che c'è una forte componente culturale che incide sull'uso dei gesti.
I gesti sono forse una delle espressioni non verbali più condizionati dall'appartenenza culturale
perché si legano anche al linguaggio e al modo di esprimersi di ciascuna cultura.
In generale gli studi sui gesti hanno evidenziato che la funzione dei gesti è soprattutto quella di
accompagnare il discorso cioè il parlato quindi vengono studiati in corrispondenza con il contenuto
della parlato.
In particolare è emerso che i gesti hanno questa funzione di poter andare a sostenere e modificare
completamente il potere di comunicare del parlato andando a svolgere in particolare due funzioni
principali e poi una terza:
Illustrativa esistono delle tipologie di gesti che vanno proprio ad illustrare, rendere più
chiaro, esplicito e comprensibile dei concetti di cui sto parlando.
Coordinamento i gesti però possono anche andare in coordinazione con il parlato, il loro
scopo è dare ritmo, coerenza, coesione al contenuto del parlato. Gesti ripetitivi che non
hanno significato preciso ma vanno magari ad enfatizzare quello che si dice dal punto di
vista espressivo e non dei contenuti.
In un terzo caso estremo i gesti possono andare anche a sostituire il parlato ad esempio
questo capita quando si
utilizza la lingua dei segni.
La lingua dei segni è una vera e
propria lingua, esistono le lingue
nazionali dei segni e in Italia c’è la
Lingua Internazionale dei Segni
(LIS).
Ogni lingua dei segni a livello
nazionale ha una sua struttura,
una sua sintassi, un suo lessico e al
di là dell’alfabeto ha una capacità
di andare ad esprimere dei
concetti, delle nozioni, una
capacità di complessità semantica
lessicale che è quasi del tutto
comparabile alla lingua parlata.
In Italia in realtà la lingua LIS non è
riconosciuta come vera e propria lingua ma in tanti paesi europei, è difficile trovare lavoro come
interprete LIS, in Italia abbiamo gli assistenti alla comunicazione.
300
Relativamente ai gesti ci sono tante classificazioni.
Una delle più interessanti che prendiamo come riferimento è quella proposta da Bonariuto e altri
autori che si è basato su altre classificazioni famose una delle quali proposta da Ekman e l’ha un
po’ rivista.
Gesti divisi in due grandi categorie:
-CONNESSI AL DISCORSO sono tutti quelli che vengono messi in atto quando una persona parla
quindi esprime un contenuto verbale e che hanno diversi tipi di connessione con il contenuto
verbale, vanno ad arricchire il significato di quello che si dice, renderlo più esplicito ma lo fanno in
due modalità differenti: esiste una funzione di coordinazione con il parlato o funzione coesiva e
una funzione di illustrazione o funzione ideativa.
La funzione coesiva è la funzione che hanno i gesti quando servono a dare coesione al
discorso, ad aumentarne l’espressività, a dare ritmo, enfasi ad alcune parti del discorso.
Sono tutti quei gesti solitamente con ritmo ripetitivo, vengono ripetuti con una o entrambe
le mani. Esempi di questi gesti sono le chele (gesto di allontanare e avvicinare le mani
quando si parla), la matassa che può essere fatta con una o due mani, la stella (aprire o
chiudere le dita e da chiuse formare un becco di papera), il mulinello, la pinza (unire i
polpastrelli di pollice e indice) e poi in generale i gesti ritmici che sono tutti quei gesti visti
prima che vengono usati con una funzione ritmica.
Tutti questi gesti non vanno a disegnare concetti nello spazio ma servono ad aumentare
l'espressività del discorso.
Ideativi sono i gesti che illustrano il discorso.
o Emblematici sono tutti i gesti simboli e culturalmente appresi, sono i gesti di cui noi
conosciamo significato perché l'abbiamo preso durante la nostra socializzazione,
sono i gesti che hanno un valore simbolico culturalmente appreso e che sono
condivisi dagli stessi membri della cultura, della società a cui appartengono.
o Gli illustratori sono sempre gesti che hanno una funzione illustrativa e che vanno a
disegnare nello spazio alcuni concetti. A loro volta si suddividono in: iconici sono i
gesti attraverso cui disegniamo con le mani dei concetti o degli oggetti nello spazio,
più oggetti nella realtà, e queste descrizioni hanno un valore di concretezza cioè io
vado a disegnare nello spazio un oggetto concreto; metaforici faccio la stessa cosa
ma vado ad illustrare un concetto astratto (es. forza), sto sempre usando un gesto
illustratore perché illustro qualcosa nello spazio ma l'oggetto, il concetto è astratto;
301
i deittici invece sono i gesti puntatori, i gesti attraverso i quali le persone indicano
solitamente con l'indice ma anche con tutta la mano una persona, un oggetto, un
qualcosa presente nella situazione comunicativa, anche qualcosa di idealmente
presente nella situazione comunicativa (nei dibattiti politici l'uso frequente dei gesti
dei medici ma se si accompagna ad uno stile di comunicazioni di attacco, aggressivo
dove le persone cercano di sminuire l'immagine dell'avversario.
-GESTI NON CONNESSI AL DISCORSO sono tutti quei gesti che vengono messi in atto mentre le
persone stanno parlando, accompagnandosi il parlato, sono messi in atto contemporaneamente al
parlato ma non hanno nessuna connessione con il contenuto del parlato quindi con quello che si
sta comunicando. Anche questi si possono distinguere in due
Gesti auto-adattatori sono le auto manipolazioni, quando le persone compiono delle auto
manipolazioni sul proprio corpo, significa toccare parti del proprio corpo.
Gesti etero-adattatori sono i gesti che le persone utilizzano mentre parlano ma che
consistono invece nel toccare degli oggetti (oggetto-adattatori) o delle persone (persona-
adattatori) che sono presenti nella situazione, nello spazio gestuale.
Dal punto di vista della comunicazione pubblica, comunicazione politica soprattutto i gesti auto
adattatori sono emersi come essere gesti piuttosto lesivi dell'immagine pubblica di un personaggio
che per esempio partecipa a un dibattito politico oppure fa un discorso; l'uso eccessivo di auto
manipolazioni, di auto-adattatori da parte di un personaggio pubblico solitamente fa apparire quel
personaggio come poco sicuro, poco determinato, emotivo.
Un po’ meno lesivi risultano essere i gesti etero-adattatori che hanno la funzione soprattutto nella
fase iniziale di permettere alle persone di controllare emotivamente alla situazione, anche in
questo caso però se vengono usati insistentemente possono risultare dannosi. Servono questi
gesti etero-adattatori da parte del soggetto a sentirsi più sicuri, può essere che all'inizio del
discorso le persone li usano un po’ di più e poi si stabilizzino, se però l'uso è eccessivo dal punto di
vista di chi ascolta, la persona viene percepita come insicura quindi possono essere consigli
televisivi e le ricerche di politica evidenziano che c'è questo legame forte tra l'uso esagerato di
gesti non connessi al discorso soprattutto gli adattatori e la percezione di competenza e anche di
credibilità del personaggio pubblico.
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Gesto lista tripartita quando una persona elenca e tocca tre dita della mano, è un iconico che va
ad illustrare la lista tripartita.
Quando una persona è spontanea i gesti sono più frontali, sono in alto; mentre se si vuole
controllare la propria gestualità si tende a tenere le mani in basso e fare i gesti in basso.
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Esiti di analisi di correlazione
fra uso di gesti e risposte di
valutazione da parte del
pubblico.
Mentre vedevano il dibattito
veniva chiesto al pubblico di
compilare un questionario
dove gli si chiedeva di valutare
il politico in termini ad esempio
di simpatia, credibilità,
competenza e gli si chiedeva di
valutare anche quanto secondo
loro le risposte del politico
erano credibili, interessanti,
ecc.
305
Un’altra classificazione che ha a che fare con il sistema della voce,
La voce è un altro canale importante della comunicazione non verbale. È stata studiata in relazioni
diverse funzioni e una di queste è il modo in cui la voce e l'uso che le persone fanno della voce
accompagna il contenuto del parlato.
Anche questa classificazione individua alcune categorie in base alle quali si possono categorizzare i
segnali vocali che in generale possono essere suddivisi in segnali verbali (parole) e segnali vocali
non verbali.
I segni vocali non verbali o vocalizzazioni non verbali. Le vocalizzazioni non verbali possono
essere a loro volta suddivise in:
Segnali prosodici detti anche legati al parlare. Sono tutte quelle caratteristiche che noi
utilizziamo quando parliamo della voce che possono veicolare dei significati quindi che
possono andare a rafforzare, enfatizzare o dare una connotazione emotiva a quello che
stiamo dicendo. Tipici segnali prosodici sono:
o Tono è l’intonazione che noi diamo al parlato, solitamente si distingue tra tono
ascendente, discendente, interrogativo (se facciamo una domanda), ironico,
esclamativo. Tutto quello che noi diciamo può veicolare un significato diverso a
seconda dell'intonazione che noi utilizziamo.
o Enfasi o intensità. L’enfasi quando le persone esprimono un concetto, una frase o
delle parole possono enfatizzare attraverso ad esempio la cadenza, alcune parole o
parti di frase. Enfatizzando alcune parole in una stessa frase io veicolo dei
significati cioè posso far sì che l'interlocutore diriga l'attenzione verso alcune cose
piuttosto che altre. L’intensità è il volume della voce.
o Pause o tempo. Le pause e i silenzi possono avere un significato anch'esse e
possono giocare un ruolo nel discorso.
Si distingue tra diversi tipi di pause: ci sono le pause vuote che sono quelle proprio
silenziose dove le persone non emettono suoni e solitamente servono per dare un
carattere enfatico (attirare l’attenzione) oppure possono essere anche dei momenti
in cui le persone razionalizzano quello che stanno per dire; le pause piene sono
quelle in cui ci sono dei suoni che vengono emessi (mm, eh, ecc.) che non hanno un
significato ben preciso e sono delle pause che di solito denotano un'interruzione
del pensiero, quindi quando ci incappiamo piano nel nostro discorso queste sono
delle pause piene; oppure ci sono le pause interattive che hanno la funzione di
306
regolare l'alternanza dei turni (es. possono dire mi fermo per darti la parola, mi
fermo ti guardo negli occhi e ti sto dicendo che voglio darti la parola).
Il tempo è la velocità dell'eloquio, quando le persone parlano possono decidere di
parlare molto velocemente in alcuni passaggi oppure di rallentare il parlato e anche
questo può veicolare dei significati, enfatizzare alcune parti o attirare meno
l'attenzione su altre.
Segnali indipendenti dal parlare sono tutte quelle caratteristiche della voce, sono le
caratteristiche idiosincratiche della voce. Ognuno di noi ha e delle caratteristiche che sono
personali come il timbro (il timbro si dice essere l'impronta digitale della voce, ognuno ha
un timbro unico e personale), oppure tutte quelle caratteristiche della voce che derivano
dalla provenienza geografica come l'accento dialettale condizionato dalla provenienza
geografica in generale tutte le qualità della voce, avere la voce un po’ più grave, un po’ più
acuta, ecc.
Nei discorsi gli “emm” sono pause pieno oppure possono essere considerati rumori emotivi ossia
tutti quei suoni che noi mettiamo che non sono parole come mugolii, sospiri, anche il pianto sono
considerati rumori motivi che entrano in gioco durante il parlato e che possono denotare un tratto
di emozione, dipende dal contesto.
Tutte quelle caratteristiche che abbiamo visto prima si possono correlare diversamente a ciascuna
emozione.
307
Famosa classificazione data da Hall
negli anni 60 delle distanze
interpersonali cioè di come
possono essere classificate le
distanze interpersonali.
È condizionata dalla relazione
interpersonale che abbiamo con le
altre persone più o meno formale.
Hall dice che le relazioni con gli
altri possono essere classificate sia
in termini di formalità che invece
informalità, intimità. L’altra
dimensione che viene considerata
è il coinvolgimento sensoriale
quindi più andiamo verso le distanze vicine più tutti i sensi sono coinvolti.
Lo spazio dell'intimità è quello riservato agli affetti, riservata a madre e neonato, tra
moglie e marito, tra fidanzati dove si tollera una distanza molto vicina e dove c'è un forte
coinvolgimento sensoriale.
Lo spazio personale è quello che si utilizza con le persone con cui si ha una certa
confidenza, amici, familiari ma con cui non si ha una relazione di intimità. Qui c'è un
coinvolgimento sensoriale ma minore. Questa è un po’ la bolla di sicurezza che noi
utilizziamo di solito, tutti noi e ogni cultura un po’ la cambia, ha una bolla di sicurezza che
se viene violata cioè le persone invadono questa bolla di sicurezza, abbiamo disagio.
Lo spazio sociale è quello che si tiene quelle persone con cui non si ha confidenza quindi
ad esempio in relazioni lavorative con i colleghi, con il proprio capo, con i professori. È
quello tenuto con persone con le quali sia una relazione quotidiana ma non di confidenza.
Qui il coinvolgimento sensoriale è sempre minore e il contatto qui non è assolutamente
tollerato.
Lo spazio sociale pubblico è quella più ampia e della distanza che si tiene in situazioni
come discorsi pubblici, convention, teatri, spettacoli dove c'è il palco dove sta una persona
e tutto il pubblico che ascolta. Qui il coinvolgimento sensoriale è sempre più limitato e chi
parla deve cercare di utilizzare al meglio tutto il suo stile non verbale per cercare di
coinvolgere il pubblico ad esempio gesticolando in modo più marcato, alzando il tono della
voce, ecc.
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La discriminazione della donna nel lavoro
Il caso di Rosalind Franklin
Secoli di lotte femministe hanno preceduto la nostra generazione: un percorso impegnativo che ha
coinvolto grandiose donne, grazie alle quali sono stati raggiunti numerosi traguardi. Tuttavia,
questo cammino non ha ancora raggiunto l’obiettivo ultimo. L’unico modo per fronteggiare questo
problema è denunciare e parlarne apertamente, affrontare coloro che ancora non apprezzano e
stimano le donne. La parità dei sessi in ambito economico, artistico, sociale e lavorativo viene
ancora oggi sottovalutata. In questo elaborato verrà analizzata la disparità di genere nel ramo
scientifico ripercorrendone alcune fasi salienti.
La discriminazione della donna in campo scientifico ha origine nell’antica Grecia con Ippocrate che
mediante i suoi trattati descrive la forma e lo studio del corpo femminile che era basato
interamente sulle credenze popolari e sulle idee maschili di come funzionasse, nonostante nessun
uomo avesse mai effettuato alcuno studio pratico sui corpi femminili.
Tra gli argomenti più dibattuti da molti filosofi, tra i quali Parmenide ed Empedocle, c’era quello
del ruolo della donna nel concepimento dei figli. Alcuni vedevano quest’ultimo come di
competenza esclusivamente dell’uomo e ritenevano la donna un semplice contenitore del seme
maschile.
Un altro tema di rilevo era quello del cosiddetto “utero vagante”, che era una sindrome in cui si
immaginava che, in mancanza di rapporti sessuali, l’organo femminile si spostasse verso zone più
umide del corpo, causando sintomi tra cui l’isteria e il livore della pelle. Secondo Ippocrate la
soluzione a questa sindrome era il matrimonio in quanto alle donne era consentito avere rapporti
solamente una volta sposate. Per questo motivo, fino all’inizio del Novecento, i padri di famiglia si
preoccupavano di dare in sposa le figlie il prima possibile.
Nei secoli successivi la posizione della donna nel mondo scientifico non migliorò affatto, l’unica
mansione che rimaneva femminile, come da tradizione, era quella dell’ostetricia, ma anche in
questo caso non senza forte opposizione da parte del mondo maschile. Ciò è constatabile, ad
esempio, nella pratica della “caccia alle streghe” avvenuto in tutta Europa e America del nord circa
dal 1450 al 1750. Infatti, tra le vittime di questo fenomeno, la cui maggioranza erano donne,
figuravano anche ostetriche e guaritrici capaci di usare erbe e altre medicine tradizionali, viste con
sospetto solo per le loro conoscenze. Testimonianza storica di questo fatto è data dal capitolo
tredicesimo del Malleus Maleficarum, testo ecclesiastico ufficiale scritto da due inquisitori
domenicani per guidare questa pratica. Nel capitolo, interamente dedicato alle ostetriche,
vengono presentate queste figure come estremamente pericolose per via del loro contatto con i
309
bambini prima del battesimo. Le prove fornite per dimostrare ciò sono testimonianze forzate
ottenute da donne sotto tortura poi messe al rogo.
Dopo la fine di questo brutale fenomeno, tuttavia la situazione non migliorò, nemmeno con
l’avvento dell’illuminismo che si prefiggeva di illuminare con la luce della ragione il mondo ancora
dominato dalla superstizione e tradizione.
Sebbene le lotte e le richieste che si sono protratte nel corso dei secoli per ottenere qualche
diritto, la discriminazione della donna è tutt’ora presente ed evidenziata anche all’interno del
mondo del lavoro.
A livello globale le donne hanno il 30% in meno di possibilità di entrare nel mondo del lavoro
nonostante l’istruzione sia pari a quella degli uomini.
Gli stessi dati dimostrano che sono molto poche le donne che sono riuscite ad ottenere posizioni di
rilievo, ancor meno ai vertici delle aziende. Risulta che la maggior parte delle donne è occupata in
lavori sottopagati, e si osserva che, in tutto il mondo, il salario femminile è inferiore del 20% circa
rispetto a quello degli uomini a parità di mansione.
Oltre al divario retributivo, molte sono le difficoltà con cui una lavoratrice deve scontrarsi
quotidianamente, tra le quali le molestie sessuali. Per molestie sessuali si intendono tutti quei
comportamenti indesiderati che violano la dignità della lavoratrice creando un clima ostile e
sgradevole.
Una donna, indipendentemente dalla sua collocazione gerarchica, può subire ingiustizie e
maltrattamenti sul lavoro; inoltre, sono molte le donne che devono subire abusi per ottenere e
mantenere il posto di lavoro. Ma la principale fonte di discriminazione è la maternità che in molti
casi comporta licenziamento, demansionamento e ostacoli alla carriera.
Uno dei campi in cui la disparità di genere è ben evidenziata è quello scientifico: oggi, meno del
30% dei ricercatori nel mondo sono donne.
I maggiori ostacoli che limitano le donne nel portare avanti la propria carriera scientifica sono la
minor collaborazione dei colleghi maschi, il sessismo e la difficoltà nel bilanciare lavoro e impegni
familiari.
Sebbene oggi i contributi delle donne alla scienza vengano riconosciuti, resta il fatto che le
scienziate, per emergere, devono generalmente lavorare di più dei loro colleghi e devono ancora
superare numerosi pregiudizi.
Fino al secolo scorso molte erano le scienziate che non sono state riconosciute, uno dei casi più
esemplari è quello di Rosalind Franklin, colei che per prima fotografò la struttura del DNA.
Rosalind Franklin nacque nel 1920 a Londra, Kensington. Era una bambina molto intelligente e
appassionata di aritmetica fin da piccola. Durante la sua adolescenza ricevette una borsa di studio,
rarità per una donna in quell’epoca. Entro i 26 anni vantava già un dottorato e la pubblicazione di
cinque articoli scientifici.
Date le sue capacità di chimica, fisica e cristallografa, nel 1951 fu richiesta dal Kings College come
ricercatrice associata per aiutare lo scienziato Maurice Wilkins ad analizzare la struttura del DNA.
Wilkins la credeva sua assistente e non sua pari, questo portò molti litigi fra i due data la
superiorità intellettiva della Franklin.
L’aspettativa sociale di sottomissione della donna danneggiò la reputazione della Franklin e
proprio perché Wilkins non tollerava l’idea di lavorare allo stesso livello di una donna i due
continuarono le loro ricerche separatamente.
Nel 1951 Rosalind scattò la “Foto 51”, la prima immagine nitida raffigurante una vera e propria X
che le consentì di scoprire la struttura a doppia elica del DNA.
Wilkins riprodusse segretamente il materiale rubato alla Franklin e lo mostrò a James Watson, che
nel frattempo stava lavorando con Francis Crick per tentare di costruire un modello 3D attendibile
della struttura della DNA. I due ricercatori dopo il rifiuto di Rosalind a collaborare con loro
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utilizzarono il lavoro a lei rubato e nel 1953 pubblicarono un articolo senza mai citarla.
Successivamente venne pubblicato anche un articolo scritto dalla Franklin facendolo però passare
per un mero articolo di supporto. Nonostante l’assenza del processo metodologico che portò loro
alla conclusione della ricerca, nel 1962 Watson, Crick e Wilkins vinsero il Premio Nobel per la
scienza senza citare in alcun modo il lavoro della Franklin.
Nel 1958 Rosalind morì a seguito dell’esposizione continua ai raggi X e questo le impedì di
denunciare l’ingiustizia subita.
Rosalind Franklin essendo una femminista credeva fermamente nella parità di genere ed era
convinta che la scienza fosse per tutti. Essendo una delle poche donne in un ambiente fortemente
maschilista come questo, ella combatté tutta la vita per la parità di genere che riteneva essenziale
per il progresso scientifico senza preoccuparsi di rovinare la sua “reputazione di donna”.
Il mancato riconoscimento femminile rimane tuttora un fenomeno molto diffuso nell’ambito
scientifico; basti pensare che tutti noi ricordiamo che fu un uomo a inventare il telefono, ma pochi
sanno che fu una donna ad inventare la lavatrice nonostante siano entrambi oggetti che la
maggior parte della popolazione mondiale utilizza tutti i giorni.
L’avvicinamento delle donne alla scienza, per il quale si è iniziato a lottare duramente nel secolo
scorso, aveva un grande problema alla base: l’alfabetizzazione. La percentuale di donne che
riceveva un’adeguata istruzione era molto esigua e generalmente di classe sociale elevata.
Molte università non accettavano donne perché le ritenevano una distrazione per gli uomini, ci
furono però delle eccezioni, una delle quali l’università di Cambridge che arrivò a un compromesso
accettando che solo il 10% degli studenti fosse donna e obbligandole a sedersi in prima fila per
essere “controllate”.
Il divieto alle donne di accedere alle università ha fatto sì che esse emergessero dove era
consentito loro; quindi, nella cura della casa o negli ambiti in cui era maggiore l'uso dell'empatia e
dei sentimenti e questo ha contribuito alla nascita del pregiudizio per cui le donne sarebbero
meno adatte agli ambiti scientifici.
Le donne si trovano a dover lottare contro questi pregiudizi, persistenti nella storia, che si sono
radicati a tal punto da essere poco visibili se non ci si presta attenzione; ad esempio, risulta che il
70% dei genitori è più propenso a far intraprendere una carriera scientifica ai figli maschi rispetto
alle figlie femmine e tendono a investire per loro più risorse.
L’effetto di ciò è visibile nei risultati scolastici: i ragazzi nelle materie scientifiche in media hanno
punteggi più alti rispetto alle ragazze, però ciò non è dato da una maggior propensione maschile
alle scienze, ma per il fatto che i maschi vengono spinti maggiormente verso questi ambiti.
Anche gli stessi professori dedicano ai ragazzi un 20% di tempo in più rispetto alle ragazze che di
conseguenza hanno meno possibilità di sviluppare le proprie capacità scientifiche.
La cultura è uno degli ingredienti per il raggiungimento della libertà; lo sapevano bene i grandi
comandanti e dittatori che, per evitare che le donne potessero sviluppare una propria opinione e
“ribellarsi” alla situazione, ne hanno sempre vietato loro l’accesso. Per esempio, Mussolini,
durante il suo regime fascista fece di tutto per invogliare le donne a stare a casa a prendersi cura
della famiglia e a non proseguire i loro studi. Egli, infatti, aumentò l'importo delle tasse scolastiche
per le studentesse delle scuole medie e delle università. Nonostante questo, molte donne
dell’epoca non demorsero e non abbandonarono la carriera scolastica, permettendo alle
generazioni future di ragazze di avere la forza di combattere per la loro istruzione e, di
conseguenza, per la loro indipendenza.
Anche i mass media rappresentano un terreno molto fertile per sfidare e mettere alla prova gli
stereotipi di genere, ma allo stesso tempo essi continuano a riaffermare che gli uomini sono
mediamente più intelligenti delle donne; in televisione le donne brillanti e intelligenti vengono
ritenute l’eccezione e non la “norma”. Nella nostra società un uomo non si deve preoccupare di
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apparire più colto e capace della sua collega, non deve comportarsi come lo stereotipo della “bella
donna attraente” per attirare l’attenzione in ambito lavorativo. In particolare, la televisione risalta
la figura della donna affascinate ed accattivante su quella acculturata e con una carriera avviata, la
quale viene automaticamente classificata come non all’altezza di considerazione. Risulta che le
donne per ottenere il rispetto e la stima per il loro lavoro devono faticare molto di più rispetto ad
un uomo che viene in ogni caso messo in primo piano.
Nell'ambito lavorativo le donne si trovano in difficoltà a superare il cosiddetto “soffitto di cristallo”
che è «L’insieme di barriere sociali, culturali e psicologiche che si frappone come un ostacolo
insormontabile, ma all’apparenza invisibile, al conseguimento della parità dei diritti e alla concreta
possibilità di fare carriera nel campo del lavoro per categorie storicamente soggette a
discriminazioni1».
Le donne vengono spesso criticate per la loro incapacità nel riuscire a far coincidere il lavoro con le
esigenze familiari. In particolare, la maternità viene vista come un problema per i datori di lavoro
che devono pagare gli stipendi nonostante l’assenza delle dipendenti. Il valore sociale della
maternità viene fatto ricadere sul genere femminile, mentre gli uomini raramente prendono del
tempo dal loro lavoro per partecipare alla cura dei figli. C’è un mancato riconoscimento del valore
sociale della maternità anche da parte dello Stato che non offre servizi adatti per aiutare le donne
che vogliono avere sia una famiglia che una carriera di successo. Per questo, per esempio, negli
Stati Uniti oltre il 40% delle donne dopo il primo figlio lascia un lavoro a tempo pieno in un campo
legato alle STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica).
Nell'ambito scientifico, la preferenza che gli uomini del settore hanno nel collaborare tra di loro
rappresenta un ostacolo per le donne che, di conseguenza, hanno meno opportunità lavorative
portando meno studentesse ad intraprendere un percorso scientifico. Le scienziate guadagnano il
17% in meno rispetto ai loro colleghi maschi nell'UE ed è più probabile che siano part-time o non
siano affatto impiegate. Le scienziate guadagnano il 17% in meno rispetto ai loro colleghi maschi
nell'UE ed è più probabile che siano part-time o non siano affatto impiegate.
A partire dal 2015 ogni anno l’11 febbraio si festeggia la giornata Internazionale per le Donne e le
Ragazze nella Scienza. L’obbiettivo della federazione creatrice di questa giornata è quella di
avvicinare sempre più ragazze nella loro giovane età alla scienza stimolando la loro curiosità
scientifica.
Nonostante tutto quello che ha insegnato la storia sono ancora molti i passi avanti che la società e
le donne stesse devono compiere affinché la parità di genere possa essere riconosciuta e
normalizzata in tutti i campi.
Nell'ultimo decennio in particolare questo argomento è diventato più diffuso globalmente.
Anche le donne, con il passare delle generazioni hanno interiorizzato questa misoginia nelle loro
vite limitando loro stesse e rendendo normali le discriminazioni.
Affinché questa trasformazione abbia un esito effettivo, risulta necessaria la collaborazione di
entrambi i sessi e un radicale cambiamento della società a partire dall’educazione delle
generazioni future e dalla sensibilizzazione dei “boomer e millennials” rimasti ancorati a
concezioni ormai superate.
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Da vocabolario Treccani
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