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PSICOLOGIA SOCIALE

UCSC 2022

PAOLA CRIVELLI
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22/02/22
Psicologia sociale
Livello di analisi tra studio dell’individuo, psicologia di base dell’individuo (meccanismi percezione,
ragionamento, memoria, atteggiamento) questo livello insieme al contesto sociale, società.
Studio più micro rispetto a quello macro della sociologia.
Area di mezzo tra meccanismi individuali e società.
Atteggiamento = disposizione, predisposizione verso oggetti di atteggiamento (es. persone,
argomenti).
Si studiano i comportamenti (le azioni) e poi le relazioni tra atteggiamenti e comportamenti (da
atteggiamento studiare un possibile comportamento di conseguenza).
Si studia anche la sfera emotiva e affettiva, ruolo importante delle emozioni.
Infine studio personalità, tratti della personalità combinati per studiare la psicologia sociale.

Sfera cognitiva, affettiva, emotiva/comportamentale, studiando queste sfere si studia la sociologia


se poi le uniamo alla società studiamo la psicologia sociale. Studiamo l’individuo nel gruppo
(meccanismo intra gruppo) e poi le relazioni tra i gruppi.
La psicologia sociale studia come si combinano i meccanismi sociali con quelli sociologici.

Studi intrapersonali e interpersonali


- Concetti psicologia sociale quindi terminologie di base, definizioni, teorie per comprendere
la base.
- Metodi psicologia sociale comprendiamo come testare relazioni causali per scoprire se quei
comportamenti hanno reazioni specifici nella realtà sociale.
Grazie alla ricerca sociale i ricercatori, gli psicologi hanno testato i fenomeni nella realtà (la
psicologia sociale ha portato la ricerca sul campo nella sociologia).
- Pensiero sociale andremo a studiare come noi interpretiamo la realtà. Noi vediamo la
realtà attraverso schemi sociali, attraverso occhiali (filtri personali costruiti con i materiali
che troviamo intorno a noi).
- Il sé quante maschere ogni giorno indossiamo, quale faccia del diamante decidiamo di
mostrare.
- Atteggiamenti il comportamento sociale deve essere spiegato, dobbiamo controllare la
realtà intorno a noi, per prevedere il comportamento di una persona dobbiamo capire
quella persona però l’atteggiamento non prevede il comportamento ma lo presuppone (gli
psicologi si sono divisi tra previsione e supposizione).
- Aggressività e relazioni intime ci concentreremo sulla parte amorose.

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Dimensione questa più collettiva
- Comunicazione persuasiva è una parte un po’ più di passaggio, la persuasione viene
definita come tentativo e contesto nel quale si cerca di modificare atteggiamenti delle
persone (crearne nuovi, direzionarne altri); tutte le situazioni in cui c’è un intento
persuasivo ci si chiede cosa succede a livello psicologico, quali sono i meccanismi che
portano a rifiutare o accettare il messaggio persuasivo.
- Persone nei gruppi tutti noi siamo esseri sociali e interiorizziamo le norme sociali anche
quando siamo da soli. Studiamo il condizionamento e l’influenza che l’apparenza ad un
gruppo ha su un individuo (processi intra gruppo).
- Pregiudizio e relazioni intergruppo qui siamo studiamo gli atteggiamenti delle persone di
un gruppo verso un altro gruppo e quindi la questione dei pregiudizi.
- La comunicazione non verbale questo è più spostato sulla parte comunicativo sia
interpersonale che pubblico

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Ci basiamo sulla prima impressione dopo di che conosciamo un piccolo pezzetto di realtà. Da
questa piccola realtà che abbiamo scoperto cerchiamo di completare il puzzle della persona.
La prima impressione in realtà conta molto perché su quella impressione costruiamo una nostra
eventuale fiducia.
Prima impressione molto importante perché dura nel tempo.

Chi preferisce un lavoro che gli porti un guadagno alto è perché ha altri interessi.

Dato che cerchiamo un po’ tutti di comprendere la realtà umana magari ci definiamo un po’ tutti
psicologi. La psicologia però non è quella del senso comune ma è una scienza, si basa tutto su una
scienza, non è mai qualcosa dato da un’impressione una si basa sempre su test, prove.

L’uomo cerca coerenza e se non la trova cerca giustificazioni per giustificare l’incoerenza oppure in
alcuni casi cambia atteggiamento o comportamento.

Ci sono molti esperimenti che hanno fatto la storia e nella seconda parte studieremo molti di
questi esperimenti.

Influenza sociale ci si chiede quali sono i meccanismi psicologici responsabili della tendenza della
persona a conformarsi alle posizioni assunte dal gruppo di appartenenza (fare i pecoroni).

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MODULO 1

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La psicologia sociale riguarda lo studio scientifico degli effetti dei processi sociali e cognitivi.
La psicologia sociale vuole comprendere come le persone interagiscono tra loro quindi come si
relazionano tra loro studiando soprattutto i comportamenti del singolo individuo.
La psicologia sociale è lo studio scientifico del comportamento del singolo individuo all’interno
di un contesto sociale.
Indagine di pensieri, sentimenti, comportamenti e come questi sono influenzati dalle relazioni
sociali, dal vivere nella società.
La psicologia sociale studia come regoliamo il nostro agire, il nostro pensare in relazioni agli altri.
La presenza degli altri può essere reale o implicita (es. mamma mi ha detto che non posso
prendere la caramella).
La presenza immaginata di altri ci spinge a fare molte cose. La presenza dell’altro importa già in un
contesto dove ci sono norme da seguire a prescindere dal grado di conoscenza dell’altro ma la
presenza degli altri è anche implicita, noi ci immaginiamo le aspettative che gli altri, che non
presenti fisicamente, hanno di noi.

La psicologia sociale si caratterizza per un approccio riduzionista.


Approccio riduzionista significa cercare di
spiegare un fenomeno sociale con un
livello di indagine inferiore.
Essendo animali sociali abbiamo bisogno
del rapporto umano.
Podcast “il gorilla ce l’ha piccolo”.
Per spiegare comportamenti sociali
usando la psicologia è necessario usare
livelli di analisi inferiori, la psicologia
sociale è riduzionista per natura perché
utilizza livelli analisi inferiori per spiegare
dei fenomeni sociali complessi.

Per evitare che il riduzionismo diventi un


limite nella ricerca e nell’applicazione
della psicologia sociale si usano livelli di spiegazione.
Livello di analisi, livello di spiegazione è l’utilizzo di concetti, teorie, linguaggi propri di una
determinata disciplina.
Quando quindi volgiamo spiegare un fenomeno sociale in psicologia sociale possiamo usare tanti
livelli di spiegazione, sicuramente quattro:
 intrapersonale che fa riferimento a quei processi e meccanismi che riguardano il singolo
individuo al di là di qualsiasi influenza sociale (il modo in cui l’individuo organizza la realtà,
percepisce la realtà) ci riferiamo alla psicologia dell’individuo (complessi inferiorità,
ambizione). Un livello
di spiegazione
intrapersonale per

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spiegare il perché una persona può diventare aggressivo sono genetica, esperienze
personali, personali.
 interpersonale riguarda l’interazione tra persone. In questo caso l’aggressività lo posso
spiegare es. con la vendetta. Rapporto proprio tra una persona e l’altra.
 posizionale guarda l’individuo come inserito in un contesto con norme specialmente
relative rispetto alla posizione che quella persona ha nell’individuo (status sociale, potere,
forza economica) in questo caso l’aggressività può essere spiegata, un esempio può essere
l’invidia vendicativa verso chi ha più potere di me oppure sfruttare il proprio potere.
 ideologico fare riferimento alle credenze sociali di un posto (norme, credenze, cultura,
tabù) es. il nazismo.
Quanti più livelli integriamo più la risposta ai fenomeni sociali è approfondita

Interdisciplinarità è l’unione delle discipline. Abbiamo tre aspetti dell’unione di diverse discipline:
interdisciplinare, multidisciplinare e transdisciplinare.
Multidisciplinare: per spiegare un fenomeno usiamo discipline che non parlano tra loro, ognuno
farà un lavoro in un team dove però ci sono delle specifiche competenze che non si mixano tra
loro.
Interdisciplinarità: diverse discipline o scienze cercano di prendere una dall’altra per raggiungere
la spiegazione di un fenomeno sociale. Quando diciamo che la psicologia sociale è interdisciplinare
stiamo dicendo che quello che studia la psicologia sociale viene studiato anche da altre discipline.
Transdisciplinarità: non c’è più la disciplina, la scienza da sola, ma ci sono tutte le scienze che
insieme lavorano per studiare il fenomeno sociale di interesse, così nascono le nuove discipline, le
nuove scienze.
La psicologia sociale dovrebbe essere transdisciplinare ma oggi è interdisciplinare perchè
comunica e ha temi di interesse molto simili prima di tutto alla psicologia cognitiva. La psicologia
cognitiva è una sottocategoria della psicologia generale che in sostanza studia i processi mentali
con metodi scientifici ad esempio l’apprendimento, come le persone apprendono, cos’è
l’intelligenza, come misuriamo l’intelligenza, cosa sono le emozioni, come le misuriamo, valutiamo,
indaghiamo, come apprendiamo il linguaggio.
In particolare la psicologia generale studia la percezione, es. le illusioni ottiche sono un tema di
interesse della psicologia generale.

Analogia tra funzionamento dell’uomo e di un computer. Noi abbiamo un cervello che è


l’hardware e poi abbiamo la mente che è il software. Ovvero le cellule neuronali che sono fatte di
sostanza, di materia ci permettono di avere processi cognitivi complessissimi che ci fanno leggere,

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ci fanno ricevere gli imput che derivano dall’ambiente esterno, li rielaboriamo attraverso i nostri
software e generiamo delle risposte, degli output. La psicologia cognitiva parte da assunto.
Se volgiamo comprendere il comportamento di una persona non possiamo considerarlo solo come
frutto di un singolo evento. Le reazioni ad un evento sono diverse da persona a persona per via
delle nostre interpretazioni. Processi mentali che guidano il comportamento → psicologia
cognitiva
Dalla psicologia cognitiva noi in psicologia sociale possiamo riprendere lo studio della memoria.
Se vogliamo capire come interpretare la realtà sociale dobbiamo capire come funziona la memoria
perché noi interpretiamo la realtà sociale sulla base di quello che sappiamo già. Non possiamo
sognare qualcosa che non conosciamo già, tutti i sogni sono basati su quello che sappiamo, su
tutto quello che abbiamo in memoria.
La psicologia dell’individuo studia soprattutto i tratti della personalità.
La psicologia sociale è molto vicina alla sociologia e all’antropologia sociale soprattutto per quanto
riguarda alcuni aspetti come le norme, le dinamiche di gruppo e in particolare la sociologia è
interdisciplinare perché studia il sé come frutto dell’interazione con l’altro.

Sociolinguistica, linguaggio, comunicazione per capire come le persone si influenzano tra loro
dobbiamo studiare come comunicano tra loro.

23/02/2022
Quando studiamo, e questo vale per tutte le scienze, una teoria, un modello, una proposta di
spiegazione di un fenomeno dobbiamo sempre tener conto del contesto in cui è stata prodotta la
teoria. Perché anche i ricercatori valutano la realtà partendo dal background culturale e
soprattutto storico e politico.

Nasce agli inizi del ‘900. Abbiamo assistito ad una grande diffusione di concezioni psicofisiologiche
del comportamento umano e questo ha permesso lo sviluppo non solo delle scienze umanistiche
ma anche di quelle fisiche e biologiche.
Nasce dall’idea che è necessaria una disamina scientifica dei comportamenti sociali perché agli
inizi del ‘900 iniziano ad apparire tutte quelle dinamiche nazionalistiche, anche popolari, si afferma
la società industriale e quindi sempre più le persone sono interessate a comprendere il
cambiamento sociale. Persone sempre più interconnesse, scambio valoriale e ideologico sempre
più forte dai quali possono nascere elementi sovversivi rispetto al potere dominate quindi gli
studiosi iniziano a studiare l’origine di questi movimenti anche sovversivi, nazionalistici.

La ricerca ha sempre uno sponsor, nessuno può fare un lavoro se non viene sovvenzionato da
qualcuno, qualcosa e chi sovvenziona è sempre il potere, le élite, chi ha potere economico, sociale
quindi in questo contesto la psicologia sociale era interessata a fenomeni sovversivi del popolo

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perchè il potere era molto interessato a comprendere come fare una propaganda efficace per il
consenso popolare e dall’altro lato era interessato a come sedare le folle che potevano mettere in
atto comportamenti violenti e di opposizione.

Nascita collegata al movimento filosofico della demopsicologia da un movimento che deriva da


alcuni filosofi tedeschi seguaci di Hegel i che si chiamarono demospicologi. Avevano teorizzato che
oltre ad una mente individuale, oltre al fatto che le persone sono dotate di processi cognitivi
individuali, sono anche dotati di una mente collettiva cioè una forma di pensiero transindividuale.
Una forma di pensiero che rappresenta le modalità di valutazione della realtà del gruppo di
persone all’interno del quale la persona, il soggetto vive.
Questo concetto di mente collettiva viene ripreso in forma simile da McDougall secondo cui le
persone quando sono in gruppo adottano un modo di pensare qualitativamente differente, il
nostro pensiero si modifica quando siamo con gli altri. Questo è l’interesse inziale della psicologia
sociale, capire come le persone nella massa, nel gruppo cambiano il modo di pensare.
Ci si pone quindi il problema se la psicologia sociale debba assumere un livello di analisi topdown
cioè credere che sia la società ad influenzare l’individuo, che i gruppi influenzino il pensiero
individuale o bottomup cioè che l’individuo come insieme di tante unicità individuali determinano
la società. Non c’è risposta a questo quesito, la psicologia sociale in base anche ai temi che studia
tende ad assumere un livello di analisi topdown che è tipico della sociologia; quando studia
fenomeni molto complessi, individuali come il funzionamento della mente tende a partire dalla
comprensione dell’individuo per poi estendere quello che ha compreso al gruppo e alla società
(bottomup).

Poi c’è un altro precursore della scienza moderna ossia la psicologia della folle di Gustav Le Bon
(1895), siamo sempre in filosofia, non è una scienza perché non sono modelli teorici testati sono
solo speculazioni filosofiche.
Le Bon iniziò a cercare di comprendere le folle e i loro comportamenti. Definì le folle come entità
unitarie con una loro dignità, veridicità che si esaltano da un punto di vita emotivo e quando lo
fanno diventano dotate di una forza distruttiva e priva di controllo, irrazionale, indisciplinata.
Quindi secondo lui quando sono in gruppo le persone tendono a perdere la propria volontà
autonoma e iniziano ad agire in base alle emozioni semplici intese anche estreme e primitive,
secondo Le Bon c’è quindi una regressione ad uno stato selvaggio, primitivo, come se fossimo
bambini (io bambino, io selvaggio).
Quando siamo in gruppo perdiamo la nostra unicità e tendiamo a sentirci forti nel gruppo perché
assumiamo una sensazione di potenza invincibile dello stare con gli altri che è proprio il sentirsi
parte di una massa.
Questa sensazione di stare in gruppo crea in realtà anche una sensazione di responsabilità, perché
non sono io ad agire ma è il gruppo ad agire, viene definita da Le Bon unità che si scatena
emotivamente.
Così come le folle possono essere feroci, possono essere anche fortemente condizionate proprio
perchè sono tornate ad uno stato primitivo a livello mentale, ad uno stato primitivo quindi le folle
benché feroci sono molto condizionabili. Secondo Le Bon un oratore per convincere la folla deve
usare parole semplici, immagini, parallelismi con la vita quotidiana e quando la folla assume
questa idea fa sì che il singolo individuo che compone la folla è in grado di non guardare più al
proprio interesse personale, addirittura a quello di sopravvivenza per raggiungere l’obbiettivo del
gruppo.
Questa teorizzazione di Le Bon comincia nel 1585, in quel periodo la borghesia francese iniziava ad
essere realmente preoccupata nel dover gestire le folle perché fin quando i latifondisti avevano il
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controllo dei loro contadini perché li sottomettevano e il contadino non poteva far altro che
ubbidire alle volontà. Questo va bene anche perché non c'era aggregazione, tranne rarissimi casi i
contadini non si univano per creare sommosse, erano molto dislocati anche a livello spaziale.
Quando iniziano a vivere tutti quanti insieme c'è uno scambio molto iniziano a nascere dei
movimenti (richiesta diritti dell'oratore ad esempio) e quindi iniziano a crearsi dei movimenti
politici in contrasto con quelli della borghesia ai quali viene in mente di decidere di osservare e
controllare le folle. Quindi l'obiettivo di Le Bon era principalmente borghese, lui voleva capire
come controllare le folle. Era poi spinto Le Bon da interessi medici e della criminologia, interesse a
curare le folle.
C'è anche il concetto di regressione cioè che quando siamo nella polarità crediamo che questo è
ripreso dall'ipnosi medica (uno dei metodi iniziali usati dalla psicologia per comprendere
l'individuo). L'ipnosi è uno stato di semicoscienza dove attraverso il particolare si può andare bene
a comprendere quali sono i processi associativi della persona, addirittura si possono riesumare
traumi (ipnosi regressiva).
Le Bon nello sviluppare la teoria utilizza un sacco di concetti che non sono della filosofia ma che
sono della medicina in particolare e il concetto di regressione.
Gli psicanalisti erano tutti medici all’inizio.

Le Bon riprende tutti questi concetti e questo fa comprendere anche come la stessa filosofia e poi
la psicologia, inizia a parlare con le altre scienze, a prenderne il proprio linguaggio.

Parallelamente alla psicologia delle folle c’è quella dei popoli sviluppata in Germania da Wilhelm
Wundt che è il primo psicologo che ha creato un laboratorio di psicologia.
Wundt ha scritto anche 10 volumi, mattoni sulla psicologia dei popoli.
Precede la nascita dello stato della Germania. Wundt in questa opera cerca di andare a comparare
tutte le popolazioni andando a confrontare le manifestazioni psicologiche e sociali in ciascuna
popolazione quindi paragona norme, tabù, linguaggi, costumi.
È un'opera in cui si inizia a capire che le manifestazioni individuali dipendono dal contesto nel
quale viviamo.
La forma del pensiero è linguaggio, il pensiero è parole, sono immagini dell'infanzia quando
sviluppiamo poi il linguaggio crescendo diventa parole. Questo vuol dire che se noi una cosa non la
sappiamo nominare non ne possiamo essere consapevoli. Possiamo pensare solo quello che
sappiamo dire, se non abbiamo qualcosa per esprimere un'emozione spesso significa che è un
tabù e quindi non lo nominiamo.
Se non sappiamo riconoscere le emozioni siamo fregati.
Il linguaggio è culturale perché mi viene insegnato, non posso spiegare qualcosa che la mia cultura
non spiega. Questo viene da Wundt anche se non gli viene attribuita.

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Siamo nel ventesimo secolo, la psicologia si stanca di essere definita filosofia e ci si rese conto che
la psicologia doveva assumere una veste scientifica e si arrivò a dire che la psicologia sociale si
sarebbe potuta diffondere solo se avesse assunto una veste scientifica, di scienza sperimentale
ipotesi, raccoglie dati come tutte le scienze di laboratorio.
Viene pubblicato su questo primo libro di Wundr “experimental social psychology” e vengono fatti
i primi esperimenti.
Il primo esperimento viene fatto da Norman Triplett alla fine del ‘900 scoprì che le persone
quando svolgono un compito sono più prestanti/performanti quando in presenza di spettatori o
addirittura di rivali. Sotto pressione riusciamo a dare il meglio di noi se la pressione non è troppo
elevata.
Da qui tutti psicologi sociali iniziano ad aggregarsi, a nascere delle associazioni di psicologia sociale,
cioè gli psicologi iniziano a fare gruppo e a confrontarsi tra le teorie e la psicologia si sviluppa
sempre di più.

Primo tema centrale su cui gli psicologi cominciarono a scervellarsi è il concetto di atteggiamento
(anni ‘30). Si inizia a cercare di capire perché i nostri atteggiamenti sono incoerenti con i nostri
comportamenti, l’incoerenza tra atteggiamenti e comportamenti.
Lewin stravolge la psicologia, in particolare inizia a pensare che il comportamento individuale è
frutto di una funzione tra persona e ambiente. Lewin è profugo ebreo quindi studia in Germania e
poi scappa in America dove porta tutti questi contributi filosofici, porta in primo luogo la scuola
della Gestalt, il movimento filosofico della Gestalt che dice in primo luogo che la filosofia deve
avere un approccio fenomenologico cioè deve partire dall’esperienza quotidiana e in secondo
luogo da una definizione chiarissima di sistema, se vogliamo comprendere un sistema dobbiamo
guardare alla relazione tra le parti quindi il tutto è più della somma delle parti.
Quando pensiamo a una relazione di coppia ci sono due persone, è frutto dell’insieme di due
persone X e Y, sono due parti ma il fatto che quelle due parti sono in relazioni generano il tutto, il
sistema. Questo vuol dire che se vado a modificare una parte sola del sistema, siccome quella
parte è in relazione con tutte le altre, tutto il sistema cambia.
X e Y si relazionano tra loro e creano una nuova entità che è la coppia e stare in coppia richiede
alcuni comportamenti, modi di fare tipici dell’essere in coppia quindi il noi della coppia è una terza
entità. Infatti molto spesso i problemi che derivano dallo stare con un'altra persona derivano da
come viviamo questo terzo. Non si può mantenere la propria individualità in una relazione di
coppia e pensare al proprio egoismo personale perché altrimenti non c'è una coppia, non c'è il
sistema virgola non c'è il tutto.
Quindi il tutto è più della somma delle parti perché ci sono delle relazioni tra le parti.

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Quindi Lewin porta in America questa teoria della Gestalt ma soprattutto stravolge la metodologia
della psicologia sociale perché inizia a studiare sul campo, esce dal laboratorio, dall'accademia e si
va a sporcare le mani.

Altri temi sociali che hanno determinato l’esodo della psicologia sociale sono lo studio sulle norme
di gruppo e lo studio sulle minoranze.

La psicologia sociale nasce in Europa con alcuni autori che poi migrando negli Stati Uniti
trasportano quello che avevano fatto in Europa, gli Stati Uniti ne assumono la leadership, iniziano
a investire tantissimo sugli studi della psicologia sociale.
Soprattutto negli anni ‘50 iniziano a sponsorizzare la ricostruzione dei centri di studio della
psicologia sociale in Europa, si costituisce anche nel 1966 l’Associazione Europea di Psicologia
Sociale Sperimentale.
Poi la psicologia stava morendo ma poi viene rianimata negli anni ‘60-‘70 perché erano quelli gli
anni di piombo e delle contestazioni sociali.

Sono due quelli che hanno fatto la storia della psicologia sociale in questo momento: Moscovici e
Tajfel.
Tajfel ha proposto la teoria dell’identità sociale “social identity theory”, fu quindi il primo a dire
che oltre ad una identità personale ne abbiamo una sociale e che la creiamo appartenendo a dei
gruppi che vengono definiti in-group e quando ci definiamo membri di un in-group ci definiamo in
contrapposizione all’out-group. C'è proprio uno scontro ed è questo scontro a determinare gli
elementi chiave della mia identità.
Le persone alternative lo sono rispetto ad un gruppo out-group ma sono a loro stessa volta un
gruppo, costruire l’identità sociale in contrapposizione ad un gruppo ma alla fine si va a creare a
sua volta un gruppo.
Quindi la nostra identità secondo Tajfel deriva da questa ricerca di similarità con l’in-group e di
differenza con l’outgroup.
Moscovici studiò le minoranze e ha proposto proprio una teoria sull’influenza sociale delle
maggioranze. Iniziò a capire che anche le minoranze hanno un'influenza sociale.

Psicologia sociale applicata


Distinzione tra psicologia sociale di base e la psicologia applicata.
La teoria sociale di base produce teorie mentre la teoria sociale applicata trova soluzioni.

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La psicologia sociale applicata utilizza le teorie di quella di base. Quindi uno psicologo sociale
applicato è un grande conoscitore di tutte le teorie della psicologia sociale ma anche di altre
discipline scienza perché le deve utilizzare assolutamente, ne conosci i metodi di analisi, i risultati
principali degli esperimenti, utilizza tutte queste conoscenze per trovare soluzioni ai problemi
sociali.
I problemi sociali sono causati dall’uomo, dal comportamento umano perché siamo esseri
complicati.

L’idea di base della psicologia sociale applicata è che i problemi sociali sono causati dall’uomo, dal
comportamento umano quindi i sociologi (che possono andare a cambiare il comportamento
individuale) cercano di andare a modificare il comportamento umano. L’idea è cambiare il singolo
per cambiare poi l’aspetto istituzionale, più politico, economico.
La psicologia sociale parte dall’individuo.

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La psicologia sociale applicata nasce nel ventesimo secolo e si comprende finalmente che per
comprendere la realtà ma anche la mente umana bisogna uscire dal laboratorio.
Uno psicologo sociale per cambiare qualcosa può sensibilizzare parlando o creando campagne di
promozione o sensibilizzazione e posso coinvolgere le persone nel cambiamento.

Walter Dill Scott pubblica teorie e pratiche della pubblicità, è il primo che capisce che per
cambiare le abitudini del consumatore dobbiamo guardare alla psicologia del consumatore perché
la pubblicità può e deve creare delle suggestioni emotive, non solo dare informazioni.
Hugo Munsterg fu uno dei primi a fare ciò, definì la psicologia applicata come la ricerca applicata ai
problemi.
Poi c’è nel 1917 la pubblicazione della rivista “Journal of Applied Psychology”.
Per produrre conoscenza dobbiamo sapere dove andare a pubblicarla, se non esistono giornali che
accettano lavori di psicologia sociale applicata quella conoscenza non va avanti. Ci sono un sacco di
problemi nel pubblicare articoli multidisciplinari e transdisciplinari perché sono più mani a scrivere
un articolo e spesso non vengono ascoltati se non da riviste specializzate.
Se quella conoscenza non si riesce a pubblicare resta cartacce che i ricercatori hanno collezionato.

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Watson, un genio ha creato un vero e proprio movimento nella psicologia ossia il
comportamentismo che è un'importante rivoluzione della psicologia secondo la quale per
risolvere i problemi psicologici e comprenderli non dobbiamo guardare solo all'inconscio, ciò che
abbiamo rimosso ma dobbiamo guardare anche ai comportamenti della persona e modificare i
comportamenti.
John B. Watson era professore alla John Hopkins University di Baltimora ma ad un certo punto se
ne va e va a lavorare nel settore pubblicitario e inizia ad utilizzare tutti i metodi della psicologia
sociale per creare pubblicità innovative all'epoca o comunque accattivanti quindi inizia ad
applicare la psicologia sociale alla pubblicità.

Lewin produce un'innovazione metodologica ovvero la ricerca-azione: in sostanza per produrre


conoscenza non dobbiamo testare teorie ma dobbiamo andare dalle persone, parlare dei
problemi, trovare con loro soluzioni ai problemi, chiedere alle persone di risolvere problemi sulla
base delle conoscenze e delle decisioni che si sono prese in gruppo. Per capire un fenomeno
dobbiamo provare a cambiarlo e per farlo dobbiamo coinvolgere le persone che hanno quel
problema.
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Anche lui istituisce varie organizzazioni di ricerca-azione come la società per lo studio psicologico
dei problemi sociali e il centro di ricerca sulle dinamiche di gruppo.
Lewin disse “se vuoi conoscere veramente qualcosa prova a cambiarla”; questo ovviamente non
vale con le persone ma solo con i problemi sociali.

Anni ‘50 e ‘60 la psicologia sociale inizia a seguire quello che stava accadendo in generale cioè
l'idea che per essere conosciuta come scienza e non come ramo della psicologia si deve definire
come disciplina scientifica quindi ritornano nel laboratorio.

Tornano nel laboratorio iniziano a rifare i loro esperimenti, preparano e vanno sul campo a
studiare cosa succede nella società.

Da lì gli psicologi sociali si sono divisi: c'è chi fa ricerca di base e chi fa ricerca applicata, difficile che
qualcuno faccia entrambi.
Negli anni ‘70 e ‘80 la psicologia sociale inizia a lavorare applicata quindi inizia a lavorare
tantissimo per le politiche pubbliche (riforma problema di giustizia, inizia a lavorare con i problemi
dell'istruzione, della salute pubblica) e sempre più assume prestigio.

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Tutt’oggi ci sono psicologi sociali anche nelle grandi aziende che sono interessati a comprendere la
psicologia delle persone e i comportamenti sociali in generale.

Gli psicologi sociali di base cercano di capire e risolvere questioni sociali quindi spiegare questioni
sociali con i metodi della psicologia sociale mentre gli psicologi sociali applicati creano programmi
sociali, agiscono per trovare risultati.

La psicologia sociale applicata ha un approccio interdisciplinare e transdisciplinare quindi gli


psicologi sociali stanno da soli ma stanno sempre con altre persone economisti, ingegneri, filosofi,
sociologi dipende dal fenomeno sociale che stanno studiando, coinvolgono anche tantissimi
professionisti.

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Quindi lo psicologo sociale ha conoscenze sui concetti, modelli e teorie. Conosce le abilità della
tecnica sociale che sa come applicare per la risoluzione dei problemi.

Quindi sa fare e sa essere oltre che a sapere, questa triade devono averlo tutti i sociologi e tutti i
professionisti.
Dobbiamo sapere la teoria e quando andare ad applicarla, come ci vogliamo porre con gli altri
quando vogliamo applicare delle teorie in un contesto.
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METODI DI RICERCA

La psicologia sociale utilizza i metodi perché è una scienza non deve fare speculazioni filosofiche
sui fenomeni che studia ma deve portare prove scientifiche a supporto delle sue teorie quindi in
sostanza deve collezionare dati, analizzarli quindi per questo si avvale di un metodo scientifico.
Un interesse di ricerca in uno psicologo sociale nasce dall’osservazione di un problema oppure e
soprattutto per soldi perchè i progetti vengono finanziati; è costosissimo fare un progetto di
ricerca dall'inizio alla fine, è costoso anche pubblicare una ricerca scientifica.
Per pubblicare un articolo scientifico di una mia ricerca bisogna pagare per pubblicarlo.
Ci sono delle riviste gratuite e altre a pagamento.
Le riviste non a pagamento ci impiegano circa un anno e mezzo per fare una revisione di un
articolo, quella è una pubblicazione scientifica perché è stata revisionata da un altro gruppo di
scienziati del settore. Faccio la mia ricerca, scrivo un articolo e lo invio ad una rivista, chiedo ad
alcuni revisori che gratuitamente leggono il mio articolo, le mie teorie, le mie ipotesi, le mie analisi
dati e lo giudicano, io ricevo le revisioni e rimodifico l’articolo, questi processi di revisioni vanno
avanti diverse volte fino alla pubblicazione dell'articolo.
Se viene pubblicato su una rivista a pagamento questi processi di revisione sono molto più veloci
perché le riviste hanno un interesse economico; invece se non sono a pagamento ci mettono
molto più tempo.
Le riviste poi possono essere open accesss cioè che le possono scaricare tutti oppure possono
essere a pagamento quindi bisogna pagare per scaricarli e leggerli (magari si deve pagare anche
100 dollari).
Molto spesso le ricerche sono commissionate o sono i ricercatori che cercano finanziamenti
essendo un'idea oppure sono commissionate da altri e in quel caso la ricerca sarà su temi dati da
altri ossia dai finanziatori.

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In primo luogo dobbiamo avere una domanda di ricerca e quanto più è definita tanto più
riusciremo a trovare una risposta.
Quando siamo incerti su alcune cose, su certe domande dobbiamo cambiare la domanda e non
struggerci per cercare la risposta perché quando facciamo domande assurde le risposte non le
troviamo mai, dobbiamo fare domande specifiche e questo è vero anche nella ricerca.
Domande specifiche ci permettono di avere risposte certe, valutabili e questo è vero nella scienza.

Partiamo dalla domanda di ricerca e cerchiamo come rispondere a questa domanda.

Partiamo prima da un livello di tipo teorico. Abbiamo un livello teorico in cui ci muoviamo, in cui
abbiamo costrutti psicologici. Pensando ad esempio al questionario, quando vogliamo costruire
questionario dobbiamo costruire delle scale per misurare dei costrutti quindi partiamo da un
livello teorico per arrivare poi a un livello empirico dove possiamo misurare le relazioni che ci
interessano.
Quindi operiamo continuamente in entrambi i livelli in particolare cerchiamo anche di guardare la
relazione tra costrutti.
Lo psicologo sociale ma anche un sociologo quando si fa una domanda di ricerca fa anche delle
ipotesi su possibili risposte, mette in relazione determinati concetti, a livello teorico e poi cerca
come questi concetti in effetti si traducono in manifestazioni della realtà a livello empirico.

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Il questionario è nella fase della ricerca disegno della ricerca.
Per l'esecuzione della ricerca l'unico metodo non è il questionario ma ci sono anche interviste,
focus group, ecc. ci sono vari metodi della ricerca e il questionario è un metodo di questi, un
metodo di tipo quantitativo che raccoglie i dati numerici.

25/02/2022
Una domanda di ricerca deve riguardare il comportamento dell’individuo nella società.
Qualsiasi termine della domanda di ricerca deve essere ben specificato.

Innanzitutto la ricerca è un percorso continuo, ecco perché rappresentata come circolare. Ogni
ricerca porterà nuovi quesiti, stimolerà tanti altri desideri di chiarimenti.
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Partiamo da una domanda di ricerca, volgiamo chiarire qualcosa allora ci poniamo la domanda di
ricerca, abbiamo il desiderio di specificare quell’area di studio che volgiamo indagare.
Per prima cosa dobbiamo fare la rassegna della letteratura ovvero cercare tutto quello che prima
di noi è stato fatto, scritto scientificamente rispetto al tema indagato da noi. Ora con internet è più
semplice reperire magari cose già anche tradotte. Adesso la problematica è il proliferare immenso
di ricerca scientifica e ritrovare quelli scientifici corretti.
Su Google Scholar si trovano tutti gli articoli scientifici accreditati, raccoglie solo documenti
scientifici pubblicati su riviste accreditate.
Indice H sono il numero di pubblicazioni; in media per un professore ordinario di psicologia sociale
in Italia varia tra 14 e 15 pubblicazioni.
Si ritengono attendibili le fonti degli ultimi 8-10 anni normalmente a meno che non stiamo citando
una teoria o uno studio empirico importantissimo magari uno dei primi studi di un tema.
Dopo iniziamo a costruire la metodologia d’indagine, facciamo proprio una pianificazione di quello
che volgiano fare dopodiché partiamo con la ricerca, raccogliamo i dati per poi pubblicare un
report finale.

La prima fase è l’esplorazione quindi presentiamo una domanda di ricerca. Su un tema ci possono
essere più domande di ricerca specialmente se sono specifiche, es. la criminalità nei giovani può
essere descritta con più domande di ricerca tra i giovani.
Mettiamo giù le domande e cerchiamo nella rassegna della letteratura se quella domanda non è
già stata studiata, in quel caso si studiano quegli studiosi e li si contattano per lavorare insieme.

La domanda deve essere specifica, decidiamo un tema e un comportamento (individuale, di


gruppo, ecc.)

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Innanzitutto dobbiamo scoprire cosa è già stato detto, rilevare lo stato attuale di conoscenze nel
settore di indagine. Poi dobbiamo raccogliere molti articoli scientifici e gli autori che più hanno
parlato di quelle tematiche.
Un concetto può essere definito in tanti modi a secondo della teoria di riferimento. Soprattutto in
psicologia sociale per spiegare i comportamenti degli aspetti cognitivi si usano spesso più teorie
non sempre coerenti tra loro perché essendo fenomeni non osservabili (atteggiamenti, percezione
del rischio, emotività) quindi i ricercatori negli anni hanno sviluppato delle spiegazioni teoriche
diverse e hanno raccolto dati che le supportassero, abbiamo tante teorie e ogni teoria definirà il
concetto in maniera specifica noi dobbiamo cercare la teoria che ci è più utile per la nostra
domanda.
Dobbiamo poi vedere cosa manca, cosa ancora non è stato detto. Tutte le domande che ci
facciamo sono già state studiate, noi dobbiamo cercare cosa manca (es. un tema è stato studiato
in un paese ma non in un altro).
Ci può essere anche un adattamento temporale, vedere se negli anni le teorie tengono o vanno
aggiornate/cambiate.

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Il costrutto è una definizione teorica di un fenomeno es. come definire in modo teorico
l’aggressività. In basse alla prospettiva teorica che assumiamo il costrutto cambia quindi noi
dobbiamo individuare il costrutto teorico che è più corretto per la nostra ricerca.

Dopodiché iniziamo a disegnare la nostra ricerca, si può proprio disegnare creando mappe (dove
inizio, cosa faccio, quali sono gli obbiettivi a medio lungo termine e mi stabilisco anche le scadenze
temporali).
La prima cosa che facciamo è operazionalizzare i costrutti in varabili, formuliamo delle ipotesi
quindi trasformiamo domande di ricerca in ipotesi e poi definiamo la strategia di campionamento
cioè come raccogliamo i nostri dati, su chi, su quali persone.

L’operazionalizzazione dei costrutti in una variabile vuol dire trovare il modo per misurare un
costrutto. Ad esempio il comportamento aggressivo lo possiamo misurare con azioni violente tipo
il numero di percosse o attacchi verbali. Definiamo tutti i comportamenti che per noi sono una
misurazione di quell’aggressività. Quindi stiamo operazionalizzando il nostro costrutto teorico
dell’aggressività in qualcosa di misurabile.
Tutto ciò che è misurabile è una variabile.
La cosa importante è vedere come misurare i costrutti teorici.

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La cosa dei costrutti teorici più semplice da misurare sono i fenomeni tutti umani che non possono
essere misurati ma solo osservati attraverso indici esterni.
Variabile misurabile vuol dire che possono essere raccolti dati su quella variabile.

Il genere è una variabile e che quindi possiamo misurarlo.

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Abbiamo tanti tipi di variabile che possono essere categorizzati diversamente a seconda che
prendiamo in considerazione l’oggetto della misurazione o i livelli di misurabilità, quanto quella
variabile può essere misurata numericamente. Alcune variabili possono essere misurate in
maniera molto precisa numericamente mentre alte no.
La variabile comportamentale è la misurazione del comportamento delle persone.
Variabile soggettiva è la misurazione degli stati psicologici della persona (es. comportamenti,
emozioni, percezioni sociali)
Poi abbiamo diversi tipi di variabili a seconda del livello di misurabilità.

Significa che possiamo misurare quel costrutto solo facendo riferimento a categorie, vedere la
presenza o assenza di quel genere (es. presenza o assenza del genere maschio).
Questi livelli possiamo dare un numero ma sono numeri solo rappresentati di quella categoria.

Sono sempre costrutti misurabili guardando alle categorie che compongono quel costrutto ma qui
le categorie possono essere ordinate. Si va da un livello più basso a uno più alto, possiamo
organizzarle gerarchicamente.
Una variabile ordinale può essere trasformata in una categoriale, cioè possiamo definire il livello di
istruzione in termini si/no, in questo caso stiamo utilizzando una variabile dicotomica.

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Variabili numeriche, misurare con numeri. Il numero non è più simbolicamente una categoria ma
rappresenta una quantità. Però non c’è lo zero assoluto, non c’è l’assenza della categoria (es. lo
zero in temperatura rappresenta qualcosa e non l’assenza della proprietà), non possiamo dire che
40 gradi è il doppio di 20.

Qui lo zero vale come assenza di categoria, inoltre qui si assumono anche tutti i decimali (peso,
altezza).
Ogni operazione matematica può essere applicata mentre in quelle non nominali si possono fare
solo somma e sottrazione.

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Adesso dobbiamo trasformare la domanda di ricerca in un’ipotesi.
Un’ipotesi è una trasformazione della domanda di ricerca in una relazione tra variabili
misurabili.
Quando facciamo la domanda di ricerca, quello che stiamo facendo è una proposizione cioè stiamo
ponendo una relazione tra costrutti.
Quando i costrutti diventano misurabili allora stiamo ponendo relazioni tra variabili e quindi
abbiamo delle ipotesi specifiche.

Il costrutto è la definizione teorica (quindi non misurabile) di un fenomeno (emozioni, pensieri,


comportamenti). Mentre la definizione misurabile del costrutto è la variabile.

Quando poniamo la domanda di ricerca generiamo anche delle aspettative. Noi dobbiamo cercare
di dare già una risposta a quella domanda di ricerca perché è quella che dobbiamo indagare
altrimenti ci muoveremmo sempre in ricerche descrittive che serviranno più a definire quello che
vogliamo studiare rispetto a darci delle risposte che è quello che vogliamo noi. Quindi dobbiamo
partire dal verificare se le risposte sono attendibili o no.
Quando i costrutti sono trasformati in variabili abbiamo relazioni tra variabili.

Ulteriore distinzione variabili, definite in base alla funzione di ricerca sperimentale.


Abbiamo la distinzione tra variabili indipendenti e variabili dipendenti.

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La variabile indipendente è la causa di quello che osserviamo.
Noi in laboratorio possiamo manipolare tantissimi aspetti della realtà es. possiamo indurre
emozioni. Alcune variabili indipendenti che causano effetti però non li possiamo modificare o per
etica o proprio per impedimenti fisici (es. non posso cambiare il genere di una persona per un
esperimento).

La variabile dipendente invece spiega l’effetto.


Le due variabili non sono intrinsecamente indipendenti o dipendenti, quella che è una variabile
indipendente in uno studio può essere la variabile indipendente in un altro studio quindi le
definiamo a seconda del nostro disegno di ricerca.

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La variabile interveniente interferisce o oscura addirittura la relazione tra le due variabili
dipendenti e indipendenti.
Variabili che noi non ci aspettiamo siano la causa quindi che causino il variabile della variabile
indipendente ma che comunque hanno un ruolo nella loro relazione.
Le variabili intervenienti possono essere di diversa natura, possono essere variabili che non
abbiamo controllato cioè misurato oppure possono essere variabili cha abbiamo misurato e ci
aspettiamo che abbiano questo ruolo.

Ad esempio possiamo dire che l'intelligenza determina lo stipendio medio delle persone quindi
faccio il test del quoziente intellettivo e poi gli chiedo cosa guadagnano. Questa è una relazione
causale di causa-effetto. Ma non è così diretta questa relazione ci sono tante variabili. Questo è
molto importante perché se noi non consideriamo tutte le variabili che entrano in gioco in questa
relazione, le risposte che troviamo, i dati che raccogliamo sono fallaci, errati perché non tengono
conto di variabili che spiegherebbero molto di più lo stipendio finale delle persone.
Allora andiamo a considerare il ruolo di altre variabili.

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Consideriamo ad esempio il ruolo del risultato accademico; questa è una variabile interveniente
perché si colloca in mezzo a questa relazione e per il fatto che si colloca in mezzo viene definita
variabile mediatrice.
La variabile mediatrice per sua natura è causata dalla variabile indipendente e a sua volta causa la
variabile dipendente finale del mio modello di ricerca.
Nei disegni di ricerca può non esserci la variabile mediatrice ma quando c’è ha sempre questo
ruolo, è sempre causata dalla variabile indipendente ed è causa della variabile dipendente quindi
se noi non la osserviamo la relazione diretta che osserviamo è fallace.

C'è poi anche un'altra variabile che è la variabile moderatrice.


Variabile moderatrice va a potenziare o ridurre l’effetto che osserviamo, la casualità che
osserviamo tra variabili quindi non è causata dalla variabile indipendente (mentre la variabile
moderatrice si) ma ne modera (cambia, modifica, plasma) l’effetto.
Essere raccomandati è una variabile moderatrice. La variabile moderatrice può esserci anche tra
variabile mediatrice e variabile dipendente.

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Esempio 1: la vita sedentaria o il livello di attività motoria può determinare delle problematiche
cardiache quindi la variabile indipendente è la vita sedentaria mentre la variabile dipendente è
patologia cardiaca.
Un possibile mediatore cioè cosa l'attività fisica può causare all'essere umano che può ridurre il
rischio della patologia cardiaca potrebbe essere un aspetto fisiologico che dovremmo trovare
magari ad esempio potremmo dire che fare attività fisica fortifica il funzionamento delle arterie
quindi riduco la possibilità di avere un infarto, questa è una variabile mediatrice.
La variabile moderatrice in questo caso sarebbe ad esempio aspetti climatici, ambientali ad
esempio io posso avere una patologia cardiaca perché c'è un'influenza interveniente come ad
esempio vivo in un paese dove piove tutti i giorni quindi non posso mai andare a fare la mia corsa
all'aria aperta e questo influenzerà il mio fare attività fisica.

Esempio 2: voglio sapere se la mia pubblicità è efficace oppure no nel far vendere un prodotto.
Decido di fare due pubblicità: una razionale e una emotiva.
In quella razionale spiego che se compri il mio prodotto migliorerai la funzione cardiaca, bla bla
bla; in quella emotiva dico se ti comprerai il mio prodotto sarai strafigo, faccio vedere tutte le
donne intorno all’uomo che sta usando il mio prodotto, creo una situazione molto emotiva.
Quindi ho creato una variabile indipendente la pubblicità a due livelli razionali ed emotiva.
L’output, la variabile dipendente è se hanno comprato il mio prodotto.
La variabile moderatrice potrebbe essere le persone quante volte sono state esposte a questa
pubblicità (variabili contestuali) semplicemente perché magari l'ho messa nei monitor della metro
e tante persone non prendono la metro. Posso usare altre variabili moderatrici come aspetti
psicologici cioè la pubblicità razionale come ha fatto percepire il prodotto, come l’ha fatto valutare
e come lo ha fatto valutare la variabile emotiva perché il fatto che io ho comprato realmente quel
prodotto non deriva soltanto dal fatto che me l'ha detto una pubblicità ma dall'interpretazione
cognitiva che io ho fatto di quella pubblicità.
Quindi la valutazione del consumatore di quelle pubblicità sarà la variabile mediatrice.

1/03/2022
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Un’altra scelta fondamentale è quella del metodo che deriva anche dagli obbiettivi che ci siamo
posti e dalla teoria che abbiamo trovato in letteratura.
I ricercatori si differenziano in termini di quale metodo usano, alcuni ricercatori usano
prevalentemente dei metodi mentre altri ne selezionano solo alcuni e altri li usano tutti in base
alla domanda di ricerca.
Due metodi prevalentemente: quantitativo e qualitativo
Quantitativo → basato sulla raccolta di dati numerici (es. questionario)
Qualitativo → Quando non sappiamo nulla di quel fenomeno su quella ricerca dobbiamo avere un
approccio più descrittivo, osservare il fenomeno per definire noi una teoria e costrutti
fondamentali per spiegare quel fenomeno, abbiamo quindi dati descrittivi (es. intervista quando
applichiamo il metodo dell’osservazione).
Si possono adottare anche entrambi i metodi contemporaneamente. Se abbiamo in mente un
grande processo di ricerca-azione cioè vogliamo capire un fenomeno, vogliamo trovare delle
risposte per modificare quel fenomeno possiamo decider di strutturare il nostro metodo di ricerca
partendo da un metodo qualitativo quindi ad esempio con focus group, interviste per poi andare a
definire quali sono gli aspetti più salienti e trasformare quelle informazioni che abbiamo raccolto
in domande di un questionario.
Il metodo quantitativo ci permette di raccogliere dati su larga scala cosa che il metodo qualitativo
non ci consente. Il metodo quantitativo è più semplice per applicare gli strumenti su larga scala.
L’analisi quantitativa si basa sull’utilizzo della statistica ed è relativamente più veloce.

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Metodo scelto in base ai nostri obbiettivi e quindi in particolare al disegno di ricerca posto da noi.
- descrittivo → mira a descrivere un fenomeno, iniziare a studiarlo perchè magari non
conosciamo nulla di quel fenomeno. Un esempio è lo studio di caso. Oppure se siamo
interessati a come un’azienda sta applicando politiche green, faremo un report che
descriverà come sta dottando l’innovazione green l’azienda. Quindi è un disegno di ricerca
descrittivo perché sta proprio descrivendo quello che osserviamo, quello che accade.
Poi ci sono i disegni di ricerca correlazionali e sperimentari che sono entrambi quantitativi perchè
si basano sull’analisi di dati numerici.
- correlazionale lo abbiamo quando sappiamo che alcuni fenomeni, aspetti sociali si
presentano insieme, sono associati ma non sappiamo se hanno tra loro un rapporto
causale, non sappiamo definire se un fenomeno è la causa di un altro fenomeno che sarà
l’effetto ma guardiamo solo l’associazione tra variabili.
Correlazione è il termine chiave che significa che al crescere di un fenomeno cresce un
altro fenomeno o al decrescere di un fenomeno un altro fenomeno decresce quindi
correlazione direttamente proporzionale o inversamente proporzionale ma in questo caso
correlazione non è causa-azione perché una variabile non determina l’altra, non c’è
relazione causale ma sono semplicemente associate (es. numero scarpa e taglia jeans).
- sperimentale quando sappiano o ipotizziamo che c’è una relazione causale tra due variabili
dobbiamo applicare un disegno di ricerca sperimentale cioè dobbiamo definire bene qual è
la variabile indipendente, dipendente e le variabili intervenienti. Condurremo ricerche in
laboratorio o faremo interventi dove esponiamo le persone a determinati stimoli e ne
misuriamo gli effetti perché se vogliamo testare una relazione causale tra variabili vuol dire
che possiamo poter manipolare la nostra variabile indipendente per vedere quanto causa
al variare della variabile dipendente. Se non possiamo manipolarla dobbiamo osservare il
suo variare in contesti controllati.

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Possiamo avere veri esperimenti (possiamo manipolare almeno una delle variabili indipendenti) o
quasi esperimenti.
Veri esperimenti → Assegniamo quindi i partecipanti a condizioni diverse. Nei disegni sperimentali
ci si avvale di più gruppi che vengono esposti a condizioni diverse, un gruppo (o più di uno) detto
sperimentale viene esposto a determinati stimoli e il gruppo di controllo che non riceve questi
stimoli per poter osservare il variare della nostra variabile dipendente soltanto nel gruppo
sperimentale, il gruppo non sottoposto ad alcun stimolo non dovrebbe presentare differenze nel
tempo, non dovrebbe cambiare nel tempo o comunque il gruppo sperimentale deve mostrare
variazioni prima e dopo l’esposizione. Questo è il senso del vero esperimento.
Quasi esperimenti → non manipoliamo la variabile indipendente ma creiamo diversi gruppi nei
quali osserveremo un livello della variabile indipendente (es. gruppi diversi a seconda di quanto si
è esposti ad un certo tema, domanda precedente alla suddivisione in anonimato per capire qual è
il livello di esposizione ad esempio a contenuti pornografici).
Qualsiasi ricerca deve avere il consenso etico di commissioni di ricerca strutturate apposta.
Per testare ad esempio l’ipotesi del perché i tatuaggi hanno una connotazione così negativa oggi
trasformiamo la domanda in un’ipotesi “i tatuaggi generano un pregiudizio nelle persone”. Per
poter testare questa ipotesi possiamo fare che un gruppo di lavoratori che si occupano di
assunzione del personale conduca un colloquio con una persona molto preparata ma con tatuaggi
in vista, un altro gruppo che deve essere omogeneo all’altro gruppo deve fare i colloqui con una
persona uguale all’altra ma senza tatuaggi evidenti oppure la stessa persona senza tatuaggi
evidenti e vediamo quanto varia il giudizio che hanno.
Nei tratti non modificabili etici o fisici (altezza, peso, genere, ecc.) useremo i quasi esperimenti.

Nel disegno di ricerca dobbiamo stabilire la durata del


nostro esperimento.
 one-shot, raccolta dati in un solo momento
stiamo costruendo uno studio trasversale
 se invece è una raccolta dati, uno studio nel
tempo facciamo uno studio longitudinale.

Abbiamo anche un disegno di ricerca qualitativo che ha


la stessa dignità e validità di ricerca del disegno
quantitativo. Ci sono vari tipi di ricerca qualitativa tra cui la ricerca d’archivio avvalendosi di dati
già raccolti da altre persone che avevano altri obbiettivi quando li hanno raccolti. La ricerca

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d’archivio è comodissima perché non c’è tutto il lavoro di raccolta di dati ma ci sono dei limiti
perché questi dati sono stati raccolti partendo da domande di ricerca diverse e quindi magari
hanno raccolto solo una parte dei dati che ci serviva oppure hanno misurato quelle variabili in un
modo che non rappresentata tanto la descrizione, la definizione, l’operazionalizzazione che
abbiamo fatto noi di quel costrutto teorico.
Studi di caso quando approfondiamo un evento. Es. in psicologia clinica si fa tantissimo studio di
caso quando ci sono pazienti con patologie psichiatriche molto particolari (es. film su quella
persona con 13 tipi personalità).
Possiamo fare analisi del discorso quando analizziamo il linguaggio naturale delle persone per
poterne comprendere ad esempio le emozioni, ad esempio possiamo decidere di andare ad
ascoltare un gruppo di persone che parlano di un argomento, li ascoltiamo, sbobiniamo tutto il
loro discorso e cerchiamo di capire come hanno utilizzato delle determinate parole per esprimere
delle determinate emozioni, determinati concetti, ecc.
Ricerca basata sull’inchiesta quindi interviste.
Ricerca sul campo che di solito è di tipo osservazionale, vado nel contesto che mi interessa e
osservo il comportamento delle persone (tutti i documentari sono ricerche sul campo).

Stiamo ancora pensando di iniziare una ricerca, non siamo ancora convinti di volerla fare.
Dobbiamo decidere l’unità di analisi, il bersaglio dell’indagine, possono essere persone, gruppi o
oggetti.
 persone vuol dire decido di studiare ad esempio l'abbandono scolastico e intervisto o
preparo questionari, quindi uso un metodo quantitativo, per indagare gli atteggiamenti e le
percezioni degli insegnanti nei confronti dell'abbandono scolastico; quindi raccolgo dati
sulle singole insegnanti.
 gruppo posso raccogliere dati e anche di gruppo ad esempio nelle aziende, posso andare a
studiare il comportamento di un team, osservarlo, analizzarlo quindi analizzo il team in
generale non le singole persone che lo compongono.
 oggetto quando magari voglio studiare l’effetto del sito web , per esempio devo
commercializzare qualcosa e voglio vedere l'effetto di quel sito o magari ho varie versioni e
devo decidere quale funziona di più. Esporrò quel sito a un gruppo di persone ma l’oggetto
di studio non sono le persone a cui sottopongo le versioni ma è l'effetto del mio sito, quindi
è un oggetto al bersaglio dell'indagine.
Quando facciamo l’unità di analisi dobbiamo definire anche come raccogliere i dati, ci sono varie
strategie di campionamento. Dobbiamo decidere come raccogliere i nostri dati ovvero come
raccogliere un campione che sia rappresentativo della popolazione che andiamo a studiare,
quanto più è rappresentativo della popolazione tanto più la ricerca è precisa.
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Un esempio è il campionamento a valanga vuol dire che non faccio un
preciso calcolo delle persone che mi servono in termini di genere, età,
orientamento religioso, orientamento politico, reddito, ecc. quindi
non creo un campione rappresentativo ma semplicemente chiedo alle
persone che conosco di chiedere ad altre persone che conoscono e
così via di compilare il mio questionario. Quindi raccoglierò dati che
però non saranno rappresentativi.
Dopo tutto creiamo la nostra proposta di ricerca che deve essere
finanziata e deve ricevere il consenso etico e affinché possa avere il
consenso deve essere scritta nel dettaglio tutta la ricerca. Questione
etica vuole, ancora prima che siamo stati finanziati, che abbiamo
iniziato, che abbiamo definito la domanda di ricerca e le ipotesi avendo fatto un'ottima rassegna
della letteratura, abbiamo definito come misurare le nostre variabili, abbiamo definito il metodo
della strategia di campionamento, facciamo questa proposta che deve essere approvata, cioè
ricevere il consenso etico.

Studio fondamentale è lo studio pilota.


Studio pilota vuol dire che faccio la mia ricerca su un piccolo campione perché se ho sbagliato
qualcosa sono in tempo per tornare indietro e sistemare prima di fare la ricerca in grande.
Una volta che sono sicura che la mia ricerca vada bene inizio e faccio la raccolta dati su tutti i
campioni.
Una volta raccolti i dati li analizzo con le tecniche statistiche (ricerca quantitativa) o tematiche,
linguistiche (ricerca qualitativa).
Quando ho raccolto i miei dati e li ho interpretati, sempre alla luce della mia teoria di riferimento,
scrivo il report finale.

Una volta scritto il report finale devo fare in modo che sia letto, deve arrivare quello che ho
scoperto a quante più persone possibili soprattutto alla comunità scientifica di riferimento
(disseminazione scientifica) ma anche divulgazione scientifica quando cerco di farlo arrivare a
persone che non fanno parte di quella comunità scientifica.
I report si possono fare scrivendo articoli scientifici, capitoli di libro, libri, articoli divulgativi, anche
articoli su un blog, ecc.

IL METODO SCIENTIFICO
Aspetti fondamentali della ricerca
specialmente di quella di tipo quantitativo.
Questo studiato finora è tutto così
fondamentale perché se la psicologia, e poi
quella sociale di conseguenza, vuole essere
definita come scienza e quindi non come
una disciplina teorica deve raccogliere dati
sperimentali scientifici e per farlo deve
ovviamente seguire tutti i criteri
importanti della ricerca sperimentale e
scientifica.

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La psicologia in particolare deve soddisfare quattro caratteristiche fondamentali: precisione,
falsicabilità, parsimonia, replicabilità.

I costrutti devono essere precisi, definiti in modo molto attento perché altre persone quando
leggono il report o se vogliono replicare la nostra ricerca nei loro contesti devono poter capire i
nostri costrutti teorici.

Il fatto che siano definiti in modo preciso facendo riferimento alla teoria di riferimento ci permette
di avere la validità di costrutto che si riferisce alla corrispondenza tra il piano di ricerca e la teoria
di riferimento cioè una ricerca è valida e ha validità di costrutto quando possiamo escludere
qualsiasi tipo di spiegazione alternativa alla nostra cioè quando la nostra spiegazione di quel
costrutto è l’unica plausibile, per questo è importante fare una buona rassegna della letteratura al
fine di arrivare a una definizione molto precisa del costrutto che possa essere anche riutilizzata da
altri o che comunque non sia soggetta a critiche.

Le minacce alla validità di costrutto:


Mancanza di un’analisi dettagliata dei costrutti ma anche una
inadeguata definizione operazionale cioè quando
trasformiamo il costrutto in qualcosa da misurare, la
variabile.
Se abbiamo dimenticato di misurare un aspetto, variabile,
dimensione fondamentale di quel costrutto non abbiamo una
buona validità. Ad esempio vogliamo vedere come la
personalità influenza il nostro modo di presentarci quando
conosciamo una nuova persona. La personalità ha milioni di
dimensioni quindi innanzitutto devo decidere quale
dimensione di personalità selezionare e quale sono le
dimensioni che secondo quella teoria sono quelle salienti della personalità di una persona,
potremmo fare ad esempio riferimento alla “big five theory” che sono cinque tipi di personalità e
se decidiamo di intendere la personalità così come definita da quel modello dobbiamo per forza

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andare a misurare tutte e cinque le dimensioni di personalità proposte dal modello altrimenti non
abbiamo validità di costrutto.
Un altro problema che possiamo riscontrare è
l’ambiguità delle variabili indipendenti se abbiamo
soprattutto un esperimento e dobbiamo definire quali
sono le variabili indipendenti e dipendenti se facciamo
un errore nella definizione (per esempio non teniamo
conto di variabili intervenienti o selezioniamo variabili
indipendenti che non causano in realtà quello che
stiamo osservando) abbiamo un problema di validità
di costrutto, anche quando andiamo a manipolare la
variabile indipendente dobbiamo essere sicuri che
stiamo andando a osservare tutti i possibili livelli di
quella variabile indipendente.

Per tutelarci da queste minacce facciamo uno studio pilota e controlliamo che la nostra
misurazione, operazionalizzazione dei costrutti sia adeguata.

Qualsiasi teoria che non può essere confutata con dati sperimentali non è una teoria scientifica,
non produce una conoscenza scientifica es. teorie marxiste o freudiane non possono essere
testate scientificamente quindi non sono teorie scientifiche perchè non sono confutabili.
La falsicabilità si riferisce alla misura con la quale una teoria è confutabile, può essere
disconfermata; se una teoria non può essere disconfermata scientificamente non è una teoria
scientifica.
Es. le superstizioni, il malocchio non possono essere provate scientificamente. Anche l’astrologia
non è dimostrabile scientificamente.

Per potere garantire che la nostra ricerca


sia confermabile dobbiamo prestare
attenzione alla validità interna della
ricerca che si basa sull’osservazione della

presenza di una relazione causale tra variabile


indipendente e variabile dipendente.

Minacce alla validità interna: Innanzitutto la presenza di


variabili di confusione cioè quelle variabili che vanno a
influenzare la relazione causale che stiamo osservando.
- Eventi esterni e l'effetto storia sono alcuni
elementi di confusione, ad esempio voglio
misurare l'atteggiamento delle persone nei
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confronti delle politiche della Russia e scoppia la guerra, questo è un evento storico che
andrà ad influenzare tutta la mia raccolta dati.
- Poi abbiamo il processo di maturazione cioè ci sono dei cambiamenti sistemici e
sistematici, biologici e fisiologici e psicologici nelle persone quindi se non tengo conto di
questo quando faccio disegni di ricerca longitudinali potrò osservare i cambiamenti non
dipesi dalla mia variabile indipendente ma da un effetto di cambiamento.
- Effetto delle prove es. voglio vedere quanto sia scioccante la visione di un documentario
sugli allevamenti intensivi, quindi prendo le persone le espongo a questi video e vedo
quanta carne mangiano dopo. Se quelle persone continuo a esporle a questi filmati ad un
certo punto non reagiranno più come hanno reagito la prima volta perché diventeranno
assuefatti da quelle immagini e quindi l'effetto di quelle immagini sarà meno scioccante
perché c'è un effetto di familiarità. Quando siamo esposti tanto a determinati contenuti
molto forti dopo un po’ abbiamo una assuefazione a quei contenuti e anche esperienze.
Quanto più siamo esposti a una prova, a un contenuto, tanto diventa familiare e quindi ha
meno effetto. Quindi quando pensiamo di fare studi longitudinali dove sottoponiamo a un
contenuto o una prova i nostri partecipanti dobbiamo essere in grado di dosare quei
contenuti, quelle prove e fare in modo che varino in modo che non ci sia un effetto di
abituazione.
- Possono esserci anche errori dovuti alla strumentazione anche banali magari uno
strumento è tarato male.
- Ci sono poi effetti di selezione del nostro campione perché magari il campione non è
rappresentativo oppure assegniamo male le persone alle condizioni sperimentali. Quando
abbiamo più gruppi sperimentali devono essere omogeni tra loro cioè uguali e molto simili
sulla base delle variabili per me importanti nel pretest. Se i gruppi sono diversi in partenza
le variazioni che osserverò deriveranno dal fatto probabilmente che erano già diversi in
partenza che immetto io per la mia ricerca quindi quello che osservo dopo il mio intervento
può essere falsato da questo errore della selezione.
- Problema effetto mortalità non solo che la persona è morta durante la raccolta
longitudinale ma perché magari decide di non seguire più l’esperimento, quell’individuo
viene perso.

Oltre agli aspetti che sono al di fuori dello sperimentatore e del soggetto che viene incluso nella
nostra ricerca, la validità interna può essere anche minacciata da alcune caratteristiche proprie dei
soggetti che stiamo includendo nella nostra ricerca.

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- effetto Hawthorne quando le persone sanno di essere osservate, sanno di essere in un
ambito di ricerca sono più produttive quindi cambiano il loro comportamento.
- acquiescenza è un problema dovuto al soggetto sperimentale; soprattutto quando il livello
di istruzione è basso o il soggetto pensa che il ricercatore ne sappia di più su un argomento
tenderà ad affermare sempre d’accordo nei nostri riguardi. Ecco perché nei questionari si
cerca di bilanciare le richieste di accordo con quelle di disaccordo quindi si cerca di
strutturare la frase sia in termini di conferma che di disconferma. Acquiescenza è la
tendenza a dire sempre di sì.
- desiderabilità sociale quando i soggetti rispondono ai questionari, partecipano ai nostri
interventi tendano a mostrare i lati (atteggiamenti, comportamenti, credenze, emozioni)
accettabili socialmente soprattutto quando si sanno che le risposte non sono anonime.
Questo è uno dei problemi più importanti soprattutto sui questionari della personalità.
- caratteristiche della richiesta a volte i soggetti rispondono alle domande in base al modo in
cui sono poste le domande quindi le richieste devono essere il più neutre possibili per
evitare che il soggetto ne sia influenzato.
- conoscenze del soggetto, le conoscenze pregresse fono fondamentali e vanno sempre
indagate, chieste.

Ci sono poi errori dovuti dallo sperimentatore es pregiudizi.


- caratteristiche fisiche magari per fare un gioco sociale con i bambini l’adulto vestito
elegante spaventa, mentre quello con costumi no.
- caratteristiche personalità stesso caso di prima
- aspettative sperimentatore perché lo spettatore può avere delle aspettative che possono in
maniera consapevole o meno indurre le persone a rispondere in un determinato modo a
quel questionario, quell’intervista per poter confermare le proprie ipotesi.
- errori sistematici, errori che si ripetono continuamente.

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Per tutelarci da questi errori innanzitutto ci sono
due tecniche che ci tutelano già da parecchio:
la prima è il singolo cieco cioè non si informano
le persone oggetto di ricerca degli obbiettivi che
abbiamo, gli diciamo tutt’altro rispetto al nostro
vero obbiettivo di ricerca. L’etica lo approva
quando non è nocivo per il partecipante e
sempre a fine ricerca dobbiamo informare la
persona del nostro reale obbiettivo di ricerca.
Nel questionario questo si può fare inserendo delle domande che non sono relative al nostro
oggetto di indagine.
La seconda tecnica è fare il doppio cieco cioè né lo sperimentatore né il soggetto sperimentale
conoscono l’obbiettivo della ricerca. In questo caso lo sperimentatore non è quello che ha ideato
la ricerca semplicemente il ricercatore chiede ai colleghi e collaboratori di fare le interviste con
una scaletta che ha creato ma non dice l’obbiettivo vero di indagine neanche ai collaboratori.

Tante volte possiamo aver tante spiegazioni dei fenomeni, mettere insieme tantissime variabili,
quello che dobbiamo tendere a fare come ricercatori è accettare la teoria più semplice, meglio
spiegare un fenomeno con una teoria
semplice che arrovellarsi in teorie
complesse (questo è alla base di tutte le
scienze).

La validità statistica che non può essere


raggiunta con una teoria che non è parsimoniosa, si basa sul fatto che le relazioni che abbiamo
osservate sono statisticamente significative cioè la probabilità di errore (quello che stiamo
osservando con i dati è sbagliato) è bassissima.

Un problema di molti ricercatori è il fishing. Molti


ricercatori si pongono ipotesi di ricerca, creano i
questionari, le ipotesi non vengono confermate e
quindi poi cercano di andare a cercare le relazioni

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significative tra costrutti per poter comunque raccontare una storia questo fa si che la ricerca
abbia minore validità statistica.
Poi abbiamo anche la grandezza del nostro campione, un campione troppo piccolo ci porterà a
rifiutare le nostre ipotesi con maggiore probabilità di un campione grande.
Se volgiamo validare uno strumento cioè validiamo noi un questionario e vogliamo validarlo quindi
vogliamo inventare un modo per misurare un costrutto nuovo in quel caso abbiamo bisogno di
almeno 10 persone ad item.
Per fare una ricerca dobbiamo assolutamente guardare alla numerosità campionaria.

Validità esterna cioè quanto quello che osservo può essere esteso alla popolazione, ad altre
popolazione, ad altri contesti, in altri momenti. Se la ricerca che ho fatto mi rappresenta solo il
momento esatto non posso generalizzarla quindi mi descriverà solo quello accaduto in quel
momento con quelle persone e non mi servirà per trarre conclusioni, deduzioni su larga scala
quindi è importante che la ricerca si possa generalizzare a più persone (validità di popolazione), a
più tempi (validità temporale) e a più contesti (validità ecologica).

Validità ecologica vuol dire che quello che osservo in laboratorio è quello che osserverei nella
realtà circostante.
Validità delle persone deriva dal fatto che se
raccolgo dati in Italia posso estendere quei dati che
ho raccolto in altre popolazioni.
Gli strumenti utilizzati sono fondamentali per questo
poi la validità di costrutto perché se un cinese vuole
ripetere la ricerca che ho fatto io in Italia e deve
tradurre il mio progetto di ricerca deve capire i miei
costrutti teorici e il modo in cui li ho misurati per
replicare la mia ricerca.
Ancora è importante la numerosità del campione e
bisogna tenere conto delle variazioni del campione
sia stagionali che cicliche, questo vale molto per la
validità temporale.
Le variazioni cicliche sono variazioni ricorrenti nel tempo e delle quali bisogna tenere conto,
riguardano anche l’organismo umano e poi anche le variazioni personologiche.

43
Per far si che la mia ricerca sia generalizzabile e abbia validità esterna devo poterla ripetere con
tanti soggetti in tanti contesti e in tanti momenti.

Tanto più la ricerca sarà ecologica tanto meno avrà validità interna (basata sul rapporto causale tra
variabile indipendente e variabile dipendente). Posso osservare bene questa relazione nei contesti
di laboratorio dove controllo tutte le variabili intervenienti, il contesto di laboratorio però
nonostante mi garantirà una grande validità interna mi farà osservare quel fenomeno in un
contesto fittizio che non rappresenta la realtà quindi quando poi andrò a fare le stesse misurazioni
nella realtà troverò dei risultati probabilmente diversi; se faccio osservazioni nella realtà avrò
tanta validità ecologica perché quello che osservo rappresenta veramente la realtà che voglio
studiare ma non avrò tanta validità interna perchè non posso controllare tutte le variabili
intervenienti.

2/03/2022

44
Adesione su blackboard per questionario
Compilazione questionario entro il 4 marzo

4 - 8 marzo primo questionario


25 marzo - 1 aprile secondo questionario

IL PENSIERO SOCIALE
È la base per capire la psicologia sociale e il comportamento sociale

45
Pilastri del pensiero sociale:
1. Come formiamo le impressioni sugli altri
2. Come creiamo schemi e categorie sulla realtà
3. Come elaboriamo le informazioni, in particolare come utilizziamo la nostra memoria
4. Come creiamo delle inferenze sociali
5. Come attribuiamo in particolare attribuiamo delle cause specifiche agli eventi e al
comportamento degli altri
6. Quali sono gli errori tipici di ragionamento che facciamo quando cerchiamo di spiegare la
realtà sociale
Vedremo quindi studiando il pensiero sociale quanto alla nostra mente è capace di modificare,
reinterpretare a volte in maniera anche non accurata la realtà. Questa parte di studio ci farà capire
quanti errori facciamo in sostanza nella quotidianità.

1. Le impressioni
La cognizione sociale molto spesso il termine cognizione viene spesso confuso con il concetto
pensiero, nel linguaggio comune usiamo cognizione, processi cognitivi per intendere i processi di
pensiero, le attività mentali ma il pensiero riguarda il linguaggio interiore mentre la cognizione
sociale sono processi mentali spesso
inconsci. Il dialogo interiore quindi il
pensiero è consapevole, è automatico
quindi va avanti da sé ma se noi ci
fermiamo possiamo identificarli mentre le
condizioni sono molto spesso inconsce e
per essere riconosciute bisogna fare uno
sforzo cognitivo molto importante.
La condizione sociale è l'attività mentale
attraverso cui elaboriamo la realtà
circostante e anche i processi attraverso cui
memorizziamo le informazioni percettive
cioè quelle che derivano dalla realtà.
La cognizione sociale è importante perché il
modo in cui elaboriamo le informazioni della realtà, diamo senso alla realtà e memorizziamo la
realtà influenza il nostro comportamento.
46
La cognizione sociale la possiamo misurare avvalendoci di surrogati quindi la deduciamo.
Gli psicologi sociali quando hanno iniziato a studiare la cognizione sociale, che è proprio un
approccio della psicologia sociale, hanno definito l’essere umano come un elaboratore di
informazioni.

Noi non elaboriamo le informazioni come ci vengono presentate dalla realtà ma le rielaboriamo, le
reinterpretiamo come se fosse la conoscenza sociale un compromesso tra ciò che è vero, la realtà,
e il modo in cui noi ricostruiamo queste realtà.
Noi guardiamo parti di realtà e da quelle parti cerchiamo di capire cosa succede intorno a noi . La
percezione umana non riproduce
la realtà esterna ma la
ricostruisce.

Quando gli psicologi sociali hanno


capito che questo elaboratore di
informazioni l'essere umano in
realtà ricostruisce la realtà, siamo
negli anni 70, iniziarono a
proporre un nuovo concetto in
psicologia sociale quello della
coerenza cognitiva cioè iniziano a
pensare che le persone cercano di
raccogliere informazioni della
realtà e quando le informazioni
sono contraddittorie cercano di
trovare una coerenza, modificano
proprio le loro rappresentazioni
mentali al fine di renderle coerenti tra
loro.
Captiamo degli indizi su quella persona
e cerchiamo di creare un’impressione
di quella persona unendo i dettagli.

Sappiamo stare però anche bene


nell’incoerenza cognitiva.
Quando gli psicologi sociali hanno
compreso che sì siamo degli
elaboratori delle informazioni, sì
cerchiamo coerenza cognitiva ma che
riusciamo a stare anche in situazioni di
incoerenza cognitiva hanno proposto
una nuova definizione dell'essere umano e della condizione sociale ossia “essere umano come
scienziato ingenuo”. Secondo questa definizione noi cerchiamo di descrivere la realtà intorno a noi
cercando di trovare le cause dei comportamenti e degli eventi, cerchiamo proprio di dare senso al
mondo e lo facciamo come fanno gli scienziati: cerchiamo prove, le analizziamo e troviamo
soluzioni ma a differenza dello scienziato non arriviamo a nulla di oggettivo ecco perché “ingenui”,
siamo imprecisi nel dare spiegazioni alla realtà.
47
Teorie attribuzioni che cercano di
spiegare il modo in cui attribuiamo
cause ai comportamenti nostri, di
altri, e degli eventi sociali.
Quindi il pensatore sociale con
l'evolversi di tutte queste teorie
attribuzionali, con le quali cerchiamo
di capire le cause dei
comportamenti, viene definito come
un economizzatore cognitivo. Anche
quando c'è incoerenza accettiamo
l'imprecisione delle nostre
argomentazioni, i giudizi (possiamo
essere addirittura consapevoli che
stiamo creando l'impressione di una
persona, stiamo spiegando un evento sociale in maniera imprecisa) ma lo facciamo perché siamo
degli economizzatori cognitivi, cioè abbiamo risorse cognitive limitate.
Le persone che sono molto attente nel creare giudizi, nello scegliere cosa fare nella vita molto
spesso procrastinano le scelte perché aspettano di raccogliere tutte le prove per poter arrivare a
un giudizio, non agiscono e molto spesso si
perdono delle occasioni.
Noi, secondo gli psicologi sociali, usiamo
proprio delle tattiche per spiegare il
mondo, ognuno ha le proprie tattiche,
strategie (noi abbiamo un sacco di
strategie attribuzionali di spiegazione degli
eventi sociali) e le scegliamo in base al
contesto, alla motivazione che abbiamo al
momento e le strategie che uno ha
dipendono dalla propria personalità,
esperienze passate, contesti nel quale
vive.

Un filone di ricerca molto recente è la


neuroscienza sociale, la neuroscienza e
quindi quella sociale cerca di trovare associazioni tra le attività cognitive e le attività elettriche del
cervello. Quindi usando strumenti come la risonanza magnetica osservano quale aree del cervello
si attivano cioè emanano stimolazioni elettriche, quando la persona è impegnata in determinati
compiti o processi mentali.
Un altro modello è quello dell’infusione dell’affetto di Forgas, Frgas è uno dei primi che ha tentato
di spiegare il modo attraverso cui l’umore influisce sulla nostra capacità di elaborare informazioni.
L’umore influisce di più nelle situazione complesse perché la razionalità viene messa a dura prova
e alla fine scegliamo dal punto di vista emotivo.
Per noi dare senso al mondo è un processo cognitivo, è qualcosa da risolvere.

A parità di indizi il giudizio che creiamo è contestuale.


48
Impressione è il modo in cui
organizziamo le informazioni che
riceviamo dall’esterno. Riceviamo
delle informazioni, le mettiamo
insieme, cerchiamo coerenza
creiamo una struttura
riconoscenza.
Coerente non significa accurato.

Una delle prime spiegazioni deriva


dal modello di Ash.
Salomon Asch (1946) ha proposto
il modello configurazionale che si
ispira al modello della scuola della Gestalt, quando dobbiamo crearci un’impressione globale della
persona non facciamo la somma di tutti i tratti che vediamo ma mettiamo in relazione quei tratti in
ordine di importanza per noi, per creare una struttura unitaria. Uno stesso tratto di personalità se
appartiene a persone diverse viene interpretato e valutato diversamente.

I tratti vengono gerarchizzati in ordine di importanza, alcuni sono centrali cioè influenzano in
maniera sproporzionata la nostra creazione dell'impressione e poi ci sono i tratti periferici che
hanno un'influenza poco significativa.
Quindi innanzitutto nella nostra mente abbiamo una gerarchia di tratti, di personalità e li
mettiamo in relazione tra loro e il modo in cui li mettiamo in relazione tra loro genera la nostra
impressione.
L’intelligenza è un tratto periferico perché viene colorato con un giudizio positivo o negativo in
base ad altri tratti della persona, se quella persona è fredda o calorosa (socievole, estroversa,
umana).
Se il tratto centrale della freddezza si presenta con il tratto periferico dell’intelligenza
l’impressione che abbiamo di quella persona sarà che è un cinico calcolatore quindi il giudizio sarà
molto probabilmente negativo. Se lo stesso tratto di intelligenza viene percepito con il tratto
calore umano, la persona viene percepita come saggia. Quindi è fondamentale il contesto in cui
siamo.

49
Costrutti personali come creiamo convenzioni sugli altri e noi stessi.
Idiosincratiche, idioma vuol dire unico, speciale, specifico quindi idiosincratico vuol dire
estremamente personale e soggettivo. Quindi ci creiamo delle impressioni sull'altro creando
costrutti personali che sono appunto delle convinzioni idiosincratiche durature che una volta che ci
creiamo un'impressione è difficile che la cambiamo. Questi costrutti personali li applichiamo a tutti
e sono specificii della nostra personalità e sulla base di questi costrutti personali, convinzioni
personali creiamo delle teorie implicite di personalità, implicite perché sono spesso inconsapevoli
nell’individuo. L'individuo, di base se non ci pensa, ragiona, non sa dire il perchè si crea nelle
impressioni sull'altro.

Quando creiamo impressioni ce le formiamo in


base all’ordine di presentazione delle
informazioni che riceviamo → effetto primacy.
Ash ha fatto un esperimento. Ha stilato una lista
di aggettivi che descrivevano una persona
positivi e negativi. Ad un primo gruppo di
persone ha messo prima gli aggettivi positivi e
poi quelli negativi, ad un altro gruppo ha fatto
l'opposto.
Le persone che avevano letto prima gli aggettivi
positivi si sono formati un'impressione della persona descritta dalla lista più positiva, le persone
che avevano letto prima gli
aggettivi negativi hanno creato
un'impressione di quella persona
più negativa.
Ecco perché quando ci viene
descritta una persona in termini
negativi quando la incontriamo
sarà più semplice che ci
formiamo un'impressione
negativa.
Veniamo influenzati nelle
aspettative verso una persona da
quello che gli altri ci dicono perché ci aspettiamo di osservare quegli aspetti quindi non facciamo
altro che cercarli per confermare le nostre impressioni. È più difficile accettare di aver sbagliato
perchè richiede sforzo cognitivo.

Le informazioni che arrivano per prime sono


aspetto fisico seguito da modo di fare.
I tratti somatici in particolare sono
strettamente connessi prime impressioni.
Nell'aspetto esteriore rientrano tutti gli
stereotipi culturali. I tratti somatici,
soprattutto connotazioni razziali e etniche,
contano tantissimo nel modo in cui formiamo
le nostre impressioni.
50
2. Schemi e categorie

Tutte le cognizioni sociali come impressioni, atteggiamenti,


convinzioni vengono organizzati in schemi perché così se
abbiamo unito tutta una serie di rappresentazioni tra loro
riusciamo a comprendere rapidamente gli eventi esterni
anche quando abbiamo informazioni limitate.
Capiamo la realtà attraverso un processo top-down, un
processo di deduzione. Ci basiamo sui pochi primi indizi che
abbiamo per capire lo schema ma il ragionamento lo facciamo
nella nostra mente.
Questi schemi
mentali che
abbiamo
influenzano il modo in cui codifichiamo informazioni
nuove, memorizziamo le informazioni e le ricordiamo
e il modo attraverso cui cerchiamo di spiegare la
realtà dai pochi indizi che abbiamo cercando nella
nostra mente altri indizi simili, vicini a quello che
stiamo vedendo per avere un'impressione di quello
che accade.
Quindi la nostra mente è piena di
schemi per questo si dice
pensare fuori dagli schemi.

Tra i vari schemi ci sono gli


schemi di persona. Tutti gli
schemi sono idiosincratici ovvero
molto personali, molto
soggettivi.
Gli schemi di persona
contengono le informazioni
usate per descrivere le persone.
Quindi formiamo schemi sia
schemi genarli che schemi specifici per ciascuna persona che incontriamo. Tra le informazioni che
inseriamo in questi schemi sono tratti personalità, caratteristiche distintive come hobby, gusti
personali, quello che studia.
Ognuno crea schemi di persona guardando a determinati tratti o indizi.
Questi schemi di persona inducono ad aspettative che non solo influenzano le nostre scelte ma
anche il ricordo di quello che accade e come comprendiamo le nuove informazioni.

Gli schemi di ruolo riguardano gruppi di persone che condividono ruoli sociali. Gli schemi di ruolo
sono strutture conoscitive che riguardano chi ricopre un determinato ruolo. Anche questi schemi
di ruolo generanno aspettative.
51
Gli schemi di ruolo benché siano molto
personali sono condivisi nella società, gli
schemi di persone sono possono essere simili
perché possono essere influenzati ma gli
schemi di ruolo sono prevalentemente
influenzati dalla società. Quando questi
schemi sono molto condivisi nella società
sono definiti stereotipi sociali.

Script è uno schema più complesso che


riguarda quasi l’insieme di più schemi.
Lo script riguarda la sequenza di azioni
proprie date in un determinato contesto.
Gli script sono sequenze di azioni anche
molto precise. Gli script vengono anche
definiti copioni.

Schema di sé, gli schemi di sé molto complessi, molto più dettagliati degli altri.

Abbiamo schemi e anche categorie


nella nostra mente.
Per attivare uno schema a partire da un
indizio devo vedere quell’indizio in che
tipo di categoria mentale rientra.
Le categorie sono insieme di esemplari
simili ma non identici, li mettiamo
insieme perché hanno qualcosa in
comune definito aria di famiglia cioè
hanno la stessa qualità, attributi,
proprietà. Quindi gli schemi mentali si
formano sulla base prevalentemente di
quello che vediamo, di ciò che è solito
a noi.

52
Per ogni categoria selezioniamo un prototipo ossia un elemento di questa categoria che ha per noi
tutte le caratteristiche più tipiche, più ideali, più comuni.
Oltre al prototipo ci sono gli esemplari che sono proprio specifici. Gli esemplari sono molto più
definiti, specifici spesso talvolta anche associati a delle immagini mentali.
Il prototipo sono tutte le sedie con seduta, schienale e quattro gambe; gli esemplari invece è
proprio quell’immagine che io ho della sedia, o quello molto molto comune o è quello più tipico.

Stereotipi quando gli schemi associati a delle categorie sono condivisi socialmente dalla
maggioranza delle persone, immagini
semplificate dei membri di un
gruppo, ampiamente condivise e
semplificate.
Soprattutto abbiamo stereotipi sul
nostro gruppo di appartenenza
(famiglia, amici, appartenenza
religiosa, squadra sportiva, ossia le
piccole comunità con cui abbiamo
comunemente a che fare).
Ma soprattutto abbiamo degli schemi
semplificati che condividiamo nel
nostro gruppo sull’outgroup e questo
porta innanzitutto ad estremizzare le
somiglianze all'interno del nostro
gruppo di appartenenza e percepire quelli degli outgroup molto dissimili da noi. Questo perché noi
abbiamo bisogno di fare categorie quanto più nette possibili per ragionare in maniera veloce.
Quando preferiamo l’ingroup quindi attribuiamo tutti i dati positivi al nostro gruppo e tutti i tratti
negativi all’outgroup stiamo definendo una prospettiva etnocentrica.
Gli stereotipi non sono per loro natura né positivi né negativi però possono avere delle
connotazioni positive o negative.
Creiamo e usiamo lo stereotipo perché abbiamo bisogno di scorciatoie cognitive veloci per
sopravvivere. Gli stereotipi difficilmente cambiano, sono acquisiti fin dall’infanzia.

Gli stereotipi molto radicati,


accettai nelle persone sono stati
dimostrati dagli psicologi sociale
Tajfel e Wilkes.
Questi due psicologi fecero un
esperimento mostrando le linee
in alto senza però le lettere
scritte sotto a un gruppo di
persone chiedendogli di stimare
la lunghezza e la differenza tra
quelle linee, hanno fatto la
stessa domanda un altro gruppo
ma inserendo sotto le linee
l’etichetta delle lettere.
Dove c'erano le etichette le
persone hanno detto che le linee A erano più corte e le linee B più lunghe, inoltre le linee A erano
53
più simili tra loro e le linee B erano più simili tra loro → questo viene spiegato come principio di
accentuazione.
Principio di accentuazione tendiamo a far risaltare le similitudini tra istanze della stessa categoria
e accentuiamo le differenze tra istanze di diverse categorie.
Dire che le linee B sono più lunghe di quelle A è corretto ma la lunghezza cresce in maniera
proporzionale quindi le linee A non possono essere più simili tra loro e le linee B più simili tra loro.

4/03/2021

Abbiamo categorie molto ampie, di media ampiezza e molto piccole.


Secondo la psicologa Rosch quando dobbiamo selezionare una categoria per dar senso al mondo
tendiamo a scegliere categorie di ampiezza media. Tendiamo prevalentemente ad accedere a
stereotipi sociali, a schemi di ruolo più che a caratteristiche di categoria inferiore come ad esempio
tratti di personalità quindi tendiamo a fare una distinzione ottimale → teoria distinzione ottimale
secondo la quale usiamo le categorie per accentuare le somiglianze tra persone, oggetti, eventi
sociali per poterli raggruppare in una categoria e quindi trovare somiglianze, tendiamo anche a
trovare differenze nette. Quando facciamo ciò adottiamo un’accuratezza circoscritta accettiamo
anche l’incoerenza cioè la presenza di contraddizioni pur di ragionare in maniera veloce e dare
senso al mondo in maniera immediata e automatica.
Questa accuratezza circoscritta però viene in qualche modo applicata sempre tranne quando il
costo della percezione cognitiva diventa molto alto ad esempio se possiamo ricevere premi o
punizioni (nel senso anche di rinforzi o punizioni sociali come un giudizio sociale negativo).
Per punizione in psicologia si intende una conseguenza ad una nostra azione che ci fa
sperimentare delle emozioni negative e quindi questa esperienza negativa ci porterà a ridurre la
probabilità di presentare di nuovo quel comportamento perché vorremmo evitare quella
punizione.

Noi tendiamo a categorizzare le persona più in base a categorie di media ampiezza come gli
stereotipi o gli schemi di ruolo rispetto a categorie più ristrette come tratti di personalità ma ci
sono situazioni in cui questo può portare a errori che ci farebbero sentire poi in difficoltà ad
esempio se dobbiamo giudicare una persona tendiamo a farlo sempre sulla base di stereotipi ma
se quelli sono prevalentemente negativi non esprimeremo quel giudizio che viene da quella
categoria media per non offendere l’altra persona perché l’offesa all’altro ci farebbe in qualche
modo sentire a disagio. Quindi tendiamo a essere più accurati quando temiamo che la nostra
inaccuratezza possa comportare delle conseguenze negative.

54
La categoria donna è l’ampiezza
grande, l’ampiezza media è il ruolo
sociale, professore di sesso
femminile magari anche napoletana
è la categoria di ampiezza piccola.
Distinzione ottimale: le persone si
sforzano di raggiungere un equilibrio
tra spinte opposte tendenti
all’inclusione in una categoria e alla
distinzione tra categorie.

Acquisiamo schemi e categorie, li formiamo da esperienze dirette (categorizziamo le cose appena


le vediamo) ma anche attraverso esperienze indirette (es. comunicazione, osservazioni e giudizi
prodotti dagli altri).
Il problema degli schemi che noi creiamo è che tendono a essere molto fissi, sono difficili da
cambiare quindi quando abbiamo creato uno schema o lo abbiamo appreso tenderemo a
mantenerlo per sempre perché cerchiamo informazioni che confermano quello schema e
eliminiamo quelle discordanti perché è più facilmente accettata da noi come accezione che come
un aspetto da includere nello schema, dovremmo ricostruire le nostre impressioni (grande sforzo
cognitivo).
Ci sono momenti in cui possiamo cambiare gli schemi e lo facciamo:
- Per registrazione, se una persona sfortunata per molto accumulerà fortuna cambierà i suoi
schemi ma ci vorranno molte prove.
- Per conversione quando oltre ad avere accumulato prove contro il suo schema
improvvisamente cambia schema, è un processo questo improvviso perché magari siamo
soggetti ad un’esperienza molto discordante.
- Oppure possiamo formare sottotipi, creiamo sottocategorie ad esempio sono sfortunato in
generale ma nel gioco d’azzardo sono fortunato, c’è una sotto dicitura in cui sono
fortunato.

3. Elaborazione delle informazioni

55
Ci focalizzeremo su come ricordiamo il mondo sociale

Innanzitutto se qualcosa entra nella nostra mente è perché ha attratto la nostra attenzione quindi
il primo step è l’attenzione, rivolgiamo la nostra attenzione cognitiva verso un imput esterno che ci
motiva ad elaborarlo, dopodiché lo codifichiamo nella nostra mente cioè lo inseriamo all’interno di
una categoria oppure attiviamo lo schema.
Quando soprattutto siamo di fronte a informazioni nuove o discoranti dobbiamo organizzarle e
riorganizzarle nella nostra mente, sia la codifica che l’organizzazione si basa su un tipo di memoria.
Quindi tutto questo avviene grazie all’attivazione della memoria.
Quello che abbiamo nella nostra mente può essere anche ricordato, abbiamo vari tipi di ricordo,
c’è il ricordo spontaneo quando all’improvviso abbiamo un flashback della nostra infanzia,
abbiamo anche un ricordo volontario quando cerchiamo di memorizzare qualcosa, di ricordare
qualcosa proprio prestando attenzione e mettendo in atto uno sforzo cognitivo per poterlo
ricordare tipo quando cerchiamo di ripetere quello che abbiamo studiato.
Ognuna di queste fasi dell’elaborazione delle informazione così descritte dal modello a tre stadi o
modello stadiale, proprio perché differenzia questo processo in tre momenti, hanno delle
caratteristiche specifiche ad esempio per poter codificare un oggetto dobbiamo considerare
quanto quell’oggetto è presente nella nostra mente in categorie o schemi e quanto velocemente
la nostra mente riesce ad accedere a quello schema a quella categoria per spiegare quell’oggetto.
L’accessibilità si basa su scopo, frequenza e recenza.
Quando organizziamo informazioni le organizziamo
attraverso la formazione di nodi e schemi e script.

56
Quando vogliamo ricordare
qualcosa lo facciamo perché o ci
sono stimoli esterni o interni
quindi c’è un richiamo o un
desiderio di richiamo e quanto più
abbiamo creato legami tra i singoli
concetti nella nostra mente,
quanto più gli schemi sono
accessibili e recenti, tanto più
riusciremo velocemente a
ricordare.

Immaginiamo la realtà esterna


come un insieme infinito di
informazioni ma noi non
prestiamo attenzione a tutte le
informazioni attorno a noi questo perché nonostante le informazioni sono tutte davanti ai nostri
occhi non sono tutte rilevanti, salienti.
Le informazioni per noi salienti sono
quelle vivide come oggetti in
movimento, colori vivaci o le
informazioni che spiccano in un
contesto monotono quindi
informazioni nuove, strane,
eccezionali.
La salienza è una proprietà che
distingue uno stimolo dagli altri quindi
fa si che tra i tanti oggetti nella nostra
esperienza rivolgiamo l’attenzione a
quell’oggetto. Di fronte a tante
informazioni non le notiamo tutte ma
solo quelle più salienti.

57
Spesso non ricordiamo i nomi delle
persone appena conosciute perchè ci
concentriamo più sulla prima impressione
che stiamo dando.

Se l’informazione è saliente le prestiamo


attenzione e la inseriamo nella nostra
mente attivando degli schemi nella nostra
mente per inserirla nelle categorie. Sono processi automatici.
La rappresentazione mentale sarà sempre
parziale es. una persona che magari non
vedo più da tanto non me la ricordo
completamente. Noi ricostruiamo una
realtà e la ricostruzione non è fedele.

Tutto questo si basa sulla codifica della


memoria.
Noi cerchiamo di memorizzare in
categorie semplici perché la sensazione di ricordare è meglio di quella di scervellarsi.
Noi creiamo continuamente falsi
ricordi es. se un parente
racconta qualcosa che facevamo
da piccoli e noi ricostruiamo il
ricordo ma è un falso ricordo (ci
vediamo dall’esterno).

Quando subiamo un trauma lo


andiamo a nascondere,
cassettino nel cassettino, nel
cassettino per difesa. Ma
comunque ci può influenzare,
anzi se non siamo consapevoli
della sua influenza ci influenza tantissimo.
La mente è strutturata così, ci sono dei neuroni, le cellule nervose che sono connesse tra loro
attraverso delle sinapsi che si connettono attraverso questa attività elettrica, si creano connessioni
neuronali. Ci sono connessioni più attive e rafforzate e connessioni meno rafforzate.
58
Quindi è proprio così la struttura del
nostro cervello proprio a livello
organico.

In questa prima fase della codifica


arriva un imput esterno che attiva la
nostra attenzione perché lo
percepiamo.
Differenza tra percezione e
sensazione. La percezione è
concreta, la sensazione è astratta. La
sensazione è la rielaborazione delle
percezioni attraverso i sensi. Noi il
mondo lo percepiamo attraverso
informazioni sensoriali.
Quindi gli stimoli esterni sono
percepiti dai sensi, questi segnali che
riceviamo viaggiano verso il talamo
del cervello e lì vengono sintetizzati in
un’esperienza, vengono rielaborati
velocemente e poi nell’ippocampo si
decide se quell’esperienza è
importante quindi memoria a lungo
termine o è inutile quindi viene
scartata.
Quindi la codifica delle informazioni,
questa ricostruzione della realtà
avviene grazie ad attivazione di
sostanze chimiche nel cervello,
impulsi elettrici.
Queste cellule nervose possono essere più o meno connesse. Ogni neurone ha una memoria
quando questi concetti, quindi questi neuroni nel cervello vengono connessi tra loro, rafforzati
avviene il potenziamento a lungo termine cioè facciamo in modo che quei neuroni siano molti
legati tra loro e quindi quando penso ad un concetto penso anche ad altri (es. se dobbiamo dire il
sesto numero del nostro numero di cellulare dobbiamo pensare anche i primi 5).

Questa codifica attraverso l’attivazione di sostanze chimiche e impulsi elettrici va a inserire le


informazioni in un modulo.
Cerchiamo di fare quante più categorie vicine per non avere memoria frammentata.

La codifica è il primo passo della memoria. Se


volgiamo memorizzare qualcosa dobbiamo per
forza codificarlo, se falliamo nella codifica non lo
ricorderemo più.
La codifica è l’organizzazione delle informazioni
sensoriali.

59
Le informazioni sensoriali vengono rielaborate dalla memoria sensoriale.
La memoria sensoriale è uno degli aspetti della memoria che ci permette di elaborare tutte le
informazioni intorno a noi. Il nostro cervello nella memoria sensoriale memorizza tutto ma ci porta
a consapevolezza solo delle informazioni rilevanti.
La memoria sensoriale raccoglie tutte le informazioni che derivano dai sensi.
Noi diamo salienza alle informazioni, decidiamo noi la prima volta con abbastanza consapevolezza
cosa è importante e cosa non lo è per noi, da lì il cervello lo memorizza e ci porterà sempre a
notare quella cosa. Questo può essere molto utile ma anche molto dannosa ad esempio
l’ipocondria.
Diamo importanza, salienza agli eventi e questo
succede anche per le superstizioni.
Noi notiamo e proviamo fastidio di fronte a
qualcosa perché quel qualcosa ci appartiene, è
famigliare, è saliente per noi.
La salienza la notiamo noi una volta e poi la
nostra mente ci protegge portandoci sempre a
notare quegli stimoli automaticamente.
Gli schemi, le categorie sono durature,
persistenti.

Questa memoria sensoriale attinge informazione dai sensi, diversi tipi di sensi quindi diversi tipi di
memoria sensoriale. Sono principalmente quattro:
 Visiva: le immagini, fotografiamo la realtà e la ricostruiamo nella nostra mente. Di solito è
l’amigdala che ci aiuta a ricordare ciò che vediamo.
 Acustica: creiamo loop fonologici per ricordarci le cose, diciamo quindi nella mente quello
che stiamo vedendo.
 Per associazioni: associamo concetti tra loro, banalmente dati ad eventi.
60
 Semantica: spiegazione dei concetti, cosa significa quella parola, è il significato che noi
attribuiamo a qualcosa in parole molto spesso. Il colore dell’erba è memoria semantica,
l’abbiamo creata nella mente questa dichiarazione.

La memoria sensoriale visiva fa si che noi memorizziamo un’immagine o un’icona ecco perchè è
detta anche iconica.
Uditiva detta anche ecoica perché è quella dei suoni. Es. magari stiamo facendo un compito e
qualcuno ci dice qualcosa allora noi diciamo “cosa?” E mentre lo diciamo capiamo cosa ci era stato
detto questo accade perché quell’informazione era lì nella memoria sensoriale di tipo uditivo ma
in quel momento eravamo talmente impegnati che non abbiamo prestato attenzione a
quell’informazione, era un rumore di sottofondo quando però abbiamo dato salienza a
quell’informazione siamo andati a ripescarla perché la memoria sensoriale resta per poco tempo
però resta nella nostra mente per un po’.
La memoria uditiva è più a lungo termine della memoria visiva.
Ci sono prove scientifiche che dicono che la memoria uditiva è più a lungo termine di quella visiva.

La memoria sensoriale è potentissima


ma dura molto poco, una frazione di
secondo. Quindi una frazione di secondo
memorizzo tutto quello intorno a me, la
frazione di secondo dopo lo rifaccio, la
frazione di secondo dopo ancora e
ancora. Quindi è molto impegnativo
tutto questo ed è anche il motivo per cui
non tutto arriva alla nostra
consapevolezza altrimenti impazziremmo
a notare tutto.

61
La codifica richiede attenzione che spesso però deriva da conoscenze pregresse, quanto più è
famigliare una cosa tanto più viene codificata, quanto più non è famigliare tanto meno viene
codificata a meno che non sia molto saliente quindi vivida, diversa, eccezionale e lo facciamo
collegando tutte le informazioni che arrivano a cose che sappiamo già.

Esiste anche la codifica sociale che è la codifica di quello che succede intorno a noi a livello sociale.
Funziona allo stesso modo, abbiamo:
1. Analisi preattentiva: facciamo una scansione della realtà automatico e inconscio.
2. Attenzione focalizzata: ci focalizziamo l’attenzione, identifichiamo cosa sta succedendo, lo
categorizziamo nella nostra mente utilizzando categorie che abbiamo già.
3. Comprensione: questo ci permette, inserendolo in categorie, di capire quell’oggetto, quel
fenomeno sociale cosa sia.
4. Elaborazione inferenziale: infine colleghiamo quello stimolo sociale ad altri stimoli per generare
elaborazioni inferenziali cioè delle spiegazioni del fenomeno molto spesso attribuzionali cioè di
causa-effetto.

62
Tutti i ricordi sono legati alle emozioni, la mente umana e anche la memoria si attiva con le
emozioni.

Le nostre memorie codificate


vanno a finire nella memoria a
breve termine che le immagazzina
per poco tempo e soprattutto
finiscono nella memoria di lavoro.
La memoria è una e ha tante
funzioni.
Memoria a breve e termine e di
lavoro non è la stessa.

63
Quando conserviamo qualcosa determina quanto
tempo lo ricorderemo e quanto nel dettaglio.
Ogni informazione si distingue per durata e
capacità.

Multi-store è il modello stadiale della memoria.


Dura 15-30 secondi.
Ha una capacità limitata, in media secondo gli
studi riesce a memorizzare 7 elementi tipo sette
numeri, se una persona ha capacità nestica elevata riuscirà a ricordarne fino a nove, se invece ha
una capacità nestica limitata ne ricorderà più o meno cinque; quindi in media è 7± 2.

8/03/2022

La memoria di lavoro è quella entro cui


vengono processate le informazioni, è molto
importante per il modo in cui ragioniamo
perché guida il processo decisionale.
Per pensare come funziona immaginiamo di
fare un’operazione a mente, la memoria di lavoro ci permette di immaginare i singoli passaggi per
arrivare alla soluzione.
Più potenziamo la memoria più possiamo conoscere il mondo esterno e soprattutto possiamo fare
ragionamenti accurati su quello che accade nella realtà intorno a noi semplicemente perché
possiamo raccogliere più indizi, ricordarli e utilizzarli nei nostri ragionamenti.
Gli anziani tendono a ricordare magari anche poesie che avevamo imparato a scuola perché in
passato non avevamo dispositivi a cui delegare la nostra memoria.
Noi non memorizziamo più tanto perché siamo bombardati da stimoli, molto peggio in città che in
campagna perché la mente è molto impegnata in processi cognitivi.

3. elaborazione informazioni
Adesso vediamo gli aspetti che riguardano
l’attenzione.
Il modello di elaborazione delle informazioni si
concentra su come le informazioni sono
organizzate cognitivamente:
1. Codifica
2. Organizzazione/conservazione
3. Recupero

64
La memoria a lungo termine è la
nostra capacità di ricordare per un
periodo illimitato (teoricamente),
indeterminato le informazioni che
raccogliamo nella realtà esterna.
Non si è mai scoperto un numero
massimo di ricordi che una
persona può ricordare.

Ci sono vari tipi di memoria a lungo termine:


 Memoria esplicita
 Memoria episodica
 Memoria semantica
 Memoria implicita
 Memoria procedurale

Esplicita e implicita sono memorie contrapposte perché quella esplicita è tutto ciò che possiamo
ricordare con consapevolezza facendo un minimo o grande sforzo. La memoria esplicita è
65
prevalente caratterizzata da
conoscenze, informazioni,
dichiarazioni secondo la logica
viene definita anche memoria
dichiarativa.
La memoria implicita o non
dichiarativa è l’opposto, è quella
memoria che abbiamo senza
consapevolezza, spesso collegata
alla memoria visiva e muscolare (es.
quando guidiamo macchina o
bicicletta). Tutte quelle volte che
sappiamo fare qualcosa ma non
sappiamo spiegarlo agli altri.
Entrambe queste memorie hanno
sotto categorie.

La memoria esplicita ha la memoria episodica che sono i nostri ricordi espliciti cioè i ricordi della
nostra vita che possiamo con consapevolezza e intenzionalmente ricordare, richiamare;
ricordiamo i ricordi come una serie tv, sono scene di noi che si susseguono. Sono eventi
significativi che ricordiamo e più sono
significativi più li ricordiamo nel
dettaglio.
La memoria episodica invecchia, le
persone vecchie infatti ricordano più le
cose di loro da giovani che quelle più
recenti.

Nella memoria esplicita rientra anche la


memoria semantica, sono informazioni
generali, conoscenze sui fatti. La
filastrocca dei mesi, i testi della canzone
sono nella memoria semantica.
La memoria semantica è quella più
stabile, sono anche quelli più difficili da
organizzare, ricordare.

Nella memoria implicita c’è la memoria


procedurale che è quella automatica, è la
capacità di ricordare qualcosa senza
pensarci.
Non rientra in questi processi di recupero
della memoria implicita, la consapevolezza.

66
Molto spesso tutte le abilità motorie che acquisiamo sono conservate nella memoria procedurale
come nuotare ad esempio, tutte le competenze sportive sono conservate nella memoria
procedurale.

Per poter ricordare organizziamo le informazioni così come le codifichiamo, creiamo delle reti
associative tra concetti, lo facciamo non solo per interpretare la realtà ma per ricordarla anche.
Tutti gli elementi che ricordiamo vengono definiti nodi, ciascun nodo ha legami con altri nodi, più
creiamo categorie e schemi più sarà facile più sarà facile creare associazioni tra schemi e categorie
e quindi sarà più facile ricordare e reperire le informazioni in memoria.
Nella slide un esempio di come funziona la memoria in termini associativi. Ad esempio una
persona anziana, un nonno potrebbe definirsi intelligente, ricco e tifoso di calcio però è anche un
nonno. Nella sua mente il nodo nonno è connesso con tutta una serie di altri concetti come
smemorato, anziano, debole. Quindi molto probabilmente la persona ricorderà di sé aspetti che
non appartengono veramente a sé stesso ma che sono collegati con l’aspetto del sé come
probabilmente il fatto che se si è nonni si è anziani e gli anziani sono fisicamente deboli.
Questi sono processi associativi che si creano nella memoria e che influenzano tantissimo il nostro
modo di definire ciò che accade noi stessi e gli altri.
Questo schema, organizzazione nodi-legami da un lato ci permette velocemente di spiegare gli
eventi e ritrovare le informazioni ma ci porta anche a tante distorsioni e ci può portare a degli
errori.

67
Possiamo ricevere diverse
informazioni sulle persone
intorno a noi. Quando
organizziamo la realtà circostante
definiamo ciascuna persona
attraverso informazioni, creiamo
nodi all’interno della memoria e
creiamo delle associazioni. Di
fatto le persone oltre ad essere
definite, schematizzate cioè
ricordate nella nostra mente sulla
base degli indizi che abbiamo
raccolto ma possono anche
essere ricordate perché inserite
all’interno di uno schema di
gruppo, creiamo quindi
un’associazione.
Se avevamo due indizi su Giovanna patita del cinema e studentessa di medicina non solo quando
penseremo a Giovanna penseremo al cinema ma quando penseremo al cinema penseremo a
Giovanna. Spesso nella vita ci ricordiamo qualcuno non perché volevamo ricordare quella persona
ma semplicemente perché abbiamo fatto una serie di associazioni.

RECUPERO - ultimo stadio della nostra memoria


Molto spesso quando cerchiamo di ricordare gli episodi tendiamo a ricordare episodi negativi per
non ripetere gli errori quindi per l’evoluzione della specie sopravvivere. Perché noi non dobbiamo
stare bene per sopravvivere ma non dobbiamo stare male.

Quando organizziamo la nostra memoria lo


facciamo attraverso associazioni perchè aiuta il
recupero. Quella a breve termina dura poco
perché lavora per sequenze.
La memoria di base lavora per associazione.

Quando organizziamo la nostra


memoria soprattutto quella a lungo
termine lo facciamo attraverso
associazioni perché questo aiuta il
recupero. La memoria a breve
termine dura poco perché lavora
prevalentemente per sequenze.

68
La memoria di base lavora per associazioni, per potenziare ancora di più il recupero il recupero
delle informazioni dobbiamo memorizzarle per associazioni.

La memoria ci permette di
entrare in relazione come
individui nel mondo sociale.
Il processo dell’elaborazione
dell’informazione si caratterizza
per tre principi fondamentali:
 accessibilità
 conservatorismo e
 profondità o
superficialità
dell’elaborazione.

Se vogliamo ricordare qualcosa oltre a fare


nodi dobbiamo far si che siano anche
facilmente ricordabili. Tanto più un concetto
è accessibile nella nostra mente tanto più lo
possiamo ricordare.

La salienza ci permette sia di


elaborare le informazioni sia di
ricordarle a lungo termine perché fa si
che dalla memoria sensoriale arrivi
con consapevolezza alla memoria a
breve termine e fa si che la memoria
di lavoro elabori per poterla ricordare
a lungo.
Quanto più un aspetto è accessibile e
saliente tanto più influenza il modo in
cui interpreteremo la realtà.
Molto spesso è più semplice ricordare
persone che numeri e informazioni
perchè attraggono di più la nostra
attenzione ed è più facile capire quello che sta accadendo perché molto spesso il contesto, il
significato del contesto lo fanno le persone e non gli oggetti.

69
Più qualcosa è recente più lo ricordiamo.

La frequenza riguarda quante volte siamo esposti


quell’informazione, tanto più siamo esposti tanto
più la ricordiamo, è accessibile nella nostra
memoria perchè siamo pigri quindi lo
memorizziamo una volta così non dobbiamo
analizzarlo una volta ma è già lì nella mente.

Tanto più è importante per noi ricordare un


episodio, un'informazione quindi tanto più
gli diamo senso e scopo, tanto più la
ricorderemo.

Un altro principio
fondamentale della memoria
è il conservatorismo.
Tendiamo a confermare
quello che sappiamo,
cerchiamo indizi per
confermare quello che
sappiamo piuttosto su
fermarsi su cosa
disconferma. Questo è un
principio anche della
memoria, ricordiamo con più
facilità ciò che conferma le
nostre opinioni e
ragionamenti.

70
Questo però comunque ci limita un po’.
Siamo degli economizzatori cognitivi,
abbiamo risorse cognitive limitate siamo
pigri e dobbiamo fare tante cose
contemporaneamente quindi vogliamo
ridurre al massimo lo sforzo cognitivo.
Oltre a guardare nella realtà e a prestare
attenzione a ciò che sappiamo già
tendiamo anche di fronte a qualcosa di
nuovo, a pensare che quel qualcosa di
nuovo conferma qualcosa che sappiamo
già quindi a inserirlo in una categoria che
già abbiamo piuttosto che creare una
nuova categoria di sforzarci a dare senza
quella nuova informazione.

Avevamo parlato del


conservatorismo con l’effetto
primacy e l’esperimento di Ash (liste
aggettivi negativi e positivi).

I bias sono distorsioni, errori cognitivi che


facciamo molto spesso quando guardiamo la
realtà. Il conservatorismo ci porta a scartare
qualsiasi tipo di contro argomentazione.

71
La misura in cui
elaboriamo le
informazioni si muove su
un continuiamo
dall’essere molto
superficiale al molto
molto approfondito.

Le informazioni possono essere


elaborate in diverso modo, abbiamo di
sistemi di elaborazione. Kahneman parla
di due sistemi, il sistema 1 quello
intuitivo e il sistema 2.

Quando attiviamo il sistema 1


elaboriamo le informazioni in modo
automatico, rapido, senza sforzo
cognitivo, senza controllo volontario.
Spesso applichiamo il sistema 1 quando
siamo di fronte a problemi pratici,
semplici, conosciuti già risolti in passato.
Ad esempio sentiamo un suono in casa
e ci orientiamo per scoprire quel suono
da dove viene e lo facciamo in modo inconsapevole, decidere di fare una faccia disgustata di
fronte a una scena che non ci piace, non ci pensiamo ma la facciamo e basta, capire frasi semplici.
Facciamo tutto questo in modo semplice, automatico, euristico, l’euristica è una scorciatoia
mentale; molto spesso si applica a problemi concreti e l’interpretazione dipende dal contesto cioè
guarderemo tutti gli indizi periferici intorno a noi per capire cosa sta accadendo.

Il sistema 2 è il contrario, sistema detto anche analitico. Viene utilizzato quando dobbiamo
svolgere attività cognitive molto complesse, richiede il controllo volontario, consapevolmente
dobbiamo decidere di rifletterci su, utilizziamo moltissimo la memoria di lavoro.
Il sistema analitico può entrare anche in gioco quando vogliamo valutare, controllare o
disconfermare quello del sistema intuitivo.
Attiviamo il sistema analitico quando in una stanza rumorosa ci concentriamo su una voce.
Attiviamo il sistema 1 quando camminiamo, se siamo di fretta e camminiamo velocemente
attiviamo il sistema 2 infatti sentiamo la stanchezza alle gambe.
72
Sistema 2 anche quando controlliamo se siamo adatti al contesto sociale.

Padronanza vuol dire che quando


elaboriamo la realtà esterna
siamo guidati dal desiderio di
controllarla e per farlo dobbiamo
conoscerla. La padronanza è
un’esigenza di controllo legittima.
Il secondo aspetto motivazionale
è il desiderio di affiliazione, non
vogliamo stare da soli, volgiamo sentirci vicini a qualcuno, il desiderio di connetterci agli altri ci
spinge a elaborare il mondo perchè così capivamo come comportarci dall’altro e essere accettato
dall’altro.
Infine la valorizzazione di me e mio cerchiamo di elaborare la realtà per mantenere la nostra
autostima; abbiamo bisogno si sentire che valiamo quindi quando interpretiamo la realtà esterna
cerchiamo di trovare il nostro valore personale, cerchiamo di mettere il nostro se sotto una luce
positiva.

Il secondo aspetto
motivazionale che ci spinge
elaborare le informazioni è il
desiderio di affiliazione. Il
desiderio di connetterci con gli
altri, di conoscere gli altri ci
spinge a dover elaborare il
mondo perché attraverso la
comprensione dell'altro quindi
anche delle situazioni
riusciamo anche a capire
come comportarci per stare
con l'altro ed essere accettato
dall'altro.
C’è poi la valorizzazione di me
e il mio cioè cerchiamo di
elaborare la realtà per mantenere la nostra autostima. L'autostima è la convinzione di avere un
valore, abbiamo bisogno di sentire che valiamo quindi ci relazioniamo con la realtà esterna,
interpretiamo la realtà esterna e cerchiamo in tutti i modi di confermare il nostro valore
personale. Cerchiamo quindi di mettere sotto una luce positiva il nostro se.

73
DISTORSSIONE DELLA MEMORIA

Distorsione della memoria vuol dire che ricordiamo qualcosa in maniera diversa da come si
presentava la realtà, quindi ricostruiamo la realtà ma anche memorizziamo in maniera ricostruita
la realtà a volte andando a fare anche ricostruzioni consistenti di quanto è accaduto, quindi
ricordiamo facendo modifiche rilevanti.
La distorsione avviene per vari morivi in particolare può avvenire perché non abbiamo codificato
bene le informazioni o perché abbiamo attivato un sistema intuitivo, non abbiamo prestato
attenzione o perché c'erano in ballo tutta una serie di emozioni che in qualche modo bloccano la
possibilità di organizzare e codificare la memoria, ci sono anche danni celebrali che possano
giustificare distorsioni di memoria (ad esempio danni al lobo frontale e temporale ma anche
problematiche connesse al sonno), l'uso di sostanze stupefacenti.
Quindi una quota di distorsioni della memoria è sempre presente. Distorsioni della memoria
importanti si verificano in certe circostanze.
Ci sono vari tipi di spiegazione di distorsione della memoria, ad oggi non abbiamo una spiegazione
certa, si sono susseguite varie teorie che hanno degli aspetti comuni.
Il lapsus è una distorsione più che altro del recupero delle informazioni perché durante il recupero
di quella informazione, siccome noi ragioniamo per associazioni l'aspetto che doveva ricordarci
quello che stiamo cercando di ricordare in realtà è associato inconsciamente a tutta un'altra serie
di legami con tutta un'altra serie di nodi quindi può capitare che uno di questi nodi emerga senza
la nostra consapevolezza.

74
Le teorie dell’oblio spiegano
perché dimentichiamo.
Dimenticare è fondamentale
perché permette di
immagazzinare altre
informazioni, non essere
stressati.

La prima spiegazione che abbiamo rispetto al perché dimentichiamo è la teoria della dimenticanza
come errore di codifica.
L’informazione era arrivata nella memoria a breve termine ma la memoria di lavoro fallisce e
quindi non conserviamo più quelle informazioni all'interno della memoria a lungo termine.
Gli errori di codifica possono derivare da vari aspetti, dai problemi neurologici ma magari anche da
qualcosa che è accaduto nel momento in cui stavamo ricordando (fonti di distrazioni o anche uso
di sostanze, anche gli eventi traumatici possono portare a una difficoltà della codifica di quello che
è accaduto).

Secondo la teoria dell’errore di codifica


non riusciamo a recuperare
l’informazione perché quelle
informazioni non sono più nella
memoria a lungo termina.
Possiamo recuperare solo quello nella
memoria a lungo termine, non quello
della memoria a breve termine.
75
Un’altra spiegazione è la teoria
dell'interferenza cioè informazioni che
interferiscono con altre informazioni e succede
perché abbiamo codificato male le
informazioni.
Due tipi di inferenza: retroattiva e proattiva

Proattiva → parcheggiamo sempre nello stesso


punto, un giorno la parcheggiamo in un altro
punto e poi non la troviamo subito e ci viene
ansia perché temiamo ci sia stata rubata. Succede questo perché il ricordo passato ha interferito
con la nostra capacità di ricordare una nuova informazione quindi l'interferenza proattiva si basa
sul fatto che le informazioni passate interferiscono con l’acquisizione di nuove informazioni.

Interferenza retroattiva cioè


dimentichiamo quello che abbiamo
appreso in precedenza per poter ricordare
qualcosa di nuovo.

Dimenticanza motivata → possiamo anche


dimenticare volontariamente le
informazioni, lo desideriamo
consapevolmente o inconsapevolmente.
Ci sono due tipi di dimenticanza motivata:
la soppressione e la repressione.
Soppressione quando decidiamo di
dimenticare. Cerchiamo di togliere
scopo, frequenza e recenza con la
memoria quando cerchiamo di
dimenticare qualcuno.
Ma ci sono anche dimenticanze
volontarie e sono tutte le
dimenticanze dovute al fenomeno
della repressione. La repressione è
un meccanismo di difesa, alcuni
elementi sono così disturbanti
emotivamente e così difficili da
elaborare che il nostro cervello
inconsciamente quindi senza che noi
ce ne rendiamo conto, elimina
completamente quella memoria,
secondo le teorie freudiane quella
76
memoria non viene eliminata ma rimane dentro di noi e influenza le nostre scelte quindi ci limita
la libertà di azione perché noi continueremo senza consapevolezza a vivere influenzati da una
memoria che abbiamo dimenticato e non del tutto cancellato.
Molto spesso le fobie sono inconsapevoli perché si sviluppano durante l'infanzia (la fobia è la
paura di un oggetto che di per sé non è temibile). Siccome durante l'infanzia abbiamo poca
capacità di elaborare le informazioni lucidamente cioè il sistema intuitivo non è analitico allora
dimentichiamo, repressione però sviluppiamo una fobia che ci protegge dal rincontrare quello
stimolo che ci ha spaventato.
Repressione inconsapevole, soppressione cosciente.
Dimentichiamo perché con il tempo le informazioni tendono a diventare sempre meno forti nella
nostra memoria. La teoria del decadimento è spiegata anche scientificamente perché i nodi e
l'associazione di nodi, legami che noi creiamo nella nostra memoria li creiamo utilizzando i neuroni
quindi attività elettriche e neurochimiche del cervello, creiamo tracce neurochimiche che
collegano neuroni tra loro, queste tracce se non vengono alimentate tendono con il tempo a
sparire.

9/03/2022
L’amnesia è un deficit di memoria, può verificarsi in un momento e poi successivamente la
memoria persa si può recuperare, altre volte invece è un danno permanente. È più facile che
l'amnesia svanisca quindi torni la memoria quando questa amnesia è stata causata da situazioni
temporanee ad esempio Rousseau (russo?) disse l'attività con la farmaci ipnotici, sostanze
stupefacenti; mentre invece quando ci sono danni cerebrali molto importanti, traumi molto
importanti l'amnesia può essere permanente.
Esistono due tipi principali di amnesia: la
media retrograda e l'amnesia anterograda.
 Amnesia retrograda: è cercare di
recuperare le informazioni acquisite
prima di una data particolare, prima
magari di un trauma. Ad esempio
secondo dei sedativi, facciamo un
intervento chirurgico se utilizzano
dei sedativi ipnotici, molto
probabilmente avremmo difficoltà a
ricordare quanto successo poco prima dell'intervento chirurgico, probabilmente
quell'informazione non la recupereremo più. Può essere molto estesa l'amnesia
retrograda, può essere estesa a decenni o anche a tutta la vita danni cerebrali importanti
infatti che causano l'amnesia
retrograda causano l'incapacità di
ricordare tutto quello successo
prima del trauma. Questo vuol dire
che la persona potrà conservare
nuove informazioni ma avrà
dimenticato completamente tutto
ciò che è accaduto prima. Questo è
quello che succede anche con

77
l’Alzheimer anche se è un processo progressivo. Nelle fasi iniziali dell’Alzheimer ci sono
delle amnesie temporanee.
 Amnesia anterograda: è il contrario della retrograda quindi non si possono conservare
informazioni nuove, quindi abbiamo una perfetta consapevolezza di tutto quello che è
successo prima del trauma fisico psicologico ma non riusciamo più a elaborare le
informazioni nella memoria di lavoro e quindi queste informazioni non accedono alla
memoria a lungo termine, anche in questo caso l'amnesia può essere temporanea. Molto
spesso però annuncia proprio però delle informazioni che non sono state conservate nella
memoria perché l'amnesia retrograda è proprio un problema di codifica, le persone non
inseriscono nella memoria a lungo termine nuove informazioni mentre nell’amnesia
retrograda le informazioni erano state inserite nella memoria a lungo termine ed è per
questo che possono essere in qualche modo poi recuperate.

Accuratezza e imprecisione nella memoria e nella cognizione.


Il nostro cervello e la nostra mente è in grado di distorcere completamente le informazioni che
memorizza e questo determina una inaccuratezza delle informazioni che accompagneranno la
nostra storia.
Nessun ricordo è perfetto, molto spesso i ricordi falliscono o perché abbiamo fallimenti nella fase
di codifica o perché li abbiamo nella fase di archiviazione e molto spesso questa in accuratezza non
dipende solo da noi ma anche dall'ambiente nel quale siamo, quindi dagli eventi che ci circondano.
A volte proprio perché non ricordiamo accuratamente la realtà possiamo fare errori sistematici
anche poi nel modo in cui interpretiamo gli eventi connessi a quel ricordo questo perché
l'attenzione dello stadio iniziale può essere più o meno accentuata.

Errore di monitoraggio della fonte: ricordiamo


l’informazione e la memorizziamo ma non ricordiamo
bene la fonte di quell’informazione, chi ce l’ha detta,
dove l’abbiamo letta, dove abbiamo raccolto
quell'informazione. Ad esempio magari qualcuno ci
racconta qualcosa, un amico ci racconta un episodio a cui
ha assistito e poi noi parleremo di quell'episodio con altri
attribuendo la fonte dell'informazione non a quel nostro
amico ma ad un'altra persona. Succede spesso con
persone molto vicine a noi perché passiamo tanto tempo insieme quindi tendiamo ad assumere il
punto di vista dell’altro, dell'interpretazione degli eventi quindi si tende a fare propri questi eventi
dimenticando la fonte. Capita questo nelle persone molto inclini alla fantasia, nei bambini e negli
anziani.
Bias di conferma quando tendiamo a prestare attenzione, codificare, memorizzare e utilizzare nel
giudizio informazioni che confermano le nostre
conoscenze ed esperienze pregresse. Questo lo
facciamo anche quando dobbiamo
categorizzare le informazioni nella nostra
memoria tendiamo ad inserirle in categorie che
già conosciamo anche se ci sono gli aspetti
discordanti e questo lo facciamo anche quando
memorizziamo le informazioni e quando poi
dobbiamo recuperarle cioè vuol dire che se io
sono convinta di qualcosa tenderò a cercare
78
sempre elementi che confermano quello
che sto dicendo.

Questo è un test fatto da Danker per


studiare il modo in cui innanzitutto le
persone cercano soluzioni e poi il risultato
ha fatto sì che il ricercatore definì il
concetto di fissità funzionale; la maggior
parte delle persone non trovava la
soluzione ma nel momento in cui lo
sperimentatore svuotava la scatola le persone trovano più facilmente la soluzione.
Quando non abbiamo le
informazioni, tendiamo a
non indagare ma tendiamo a
cercare velocemente
informazioni in memoria,
definire quegli oggetti
all'interno delle nostre
categorie per poter
rispondere alla situazione.
Noi accediamo alle nostre
categorie mentali e da lì
completiamo le informazioni
che non abbiamo accedendo
anche ai prototipi di quella
categoria e agli esemplari.
Quando non riusciamo a
trovare una soluzione è
perché ci focalizziamo su
caratteristiche specifiche dell’oggetto che ci bloccano la capacità di rivedere quell'oggetto avendo
una nuova funzione, si identifica il fenomeno della fissità funzionale cioè rimaniamo fissati sulle
funzionalità abituali di un oggetto e non riusciamo a concettualizzare in modo diverso. Questo
succede tutte le volte che non riusciamo a cambiare prospettiva, punto di vista, metterci nei panni
degli altri, trovare soluzioni creative.
Il contrario della fissità funzionale è il pensiero trasversale che è una capacità cognitiva che può
essere sviluppata. Il pensiero trasversale è fondamentale perché ci permette di trovare soluzioni
quando il problema ci sembra insormontabile.
La scoperta è quando non siamo vittime della fissità funzionale perché scopro che quella cosa può
servirmi anche per altro rispetto allo scopo per cui l’ho sempre usato.

Non solo possiamo avere una distorsione della memoria sulla base di quanto sappiamo già ma
anche sulla base di quello ci viene detto dopo, le informazioni che raccogliamo dopo un evento
possono interferire sul ricordo di quell'evento stesso. Molto spesso durante l’infanzia ci sono
capitate delle cose che non abbiamo letto come traumatiche in quel momento lì es. gli abusi sui
bambini da piccoli che non capiscono, in quel momento non hanno informazioni importanti per
codificare quell'evento poi accumulano informazioni, rileggono quell'avvenimento e quindi
attribuiscono un nuovo significato a quell'evento che diventa evento traumatico. Quindi il trauma

79
di per sé non è drammatico ma deriva dall'interpretazione che ne facciamo. L'interpretazione del
trauma può essere anche fatta dopo e non per forza nel momento stesso in cui viviamo trauma.
Questo effetto definito della disinformazione quando le informazioni sbagliate ci vengono dette
dopo è un esempio di interferenza retroattiva ovvero le informazioni che otteniamo
successivamente interferiscono con quanto abbiamo memorizzato prima.

Esperimento di Loftus e Palmer detto “incedente automobilistico” per confermare questo effetto
della disinformazione. Hanno fatto vedere lo stesso video di un incidente stradale uguale in
entrambi i casi, a due gruppi poi hanno fatto domande diverse, a uno “quanto erano veloci le
macchine quando si urtavano’” una settimana dopo hanno chiesto se i vetri si rompevano e
risposero no che in effetti era giusto. All’altro gruppo “quanto erano veloci le macchine quando si
schiantavamo” e una settimana dopo alla domanda se i vetri si erano rotti risposero di sì anche se
nel filmato i vetri delle macchine non si rompevano.
Quindi utilizzando una parola diversa, solo una, si è creato un effetto di disinformazione e ha fatto
sì che quel ricordo del video fosse distorto.
Agenti di polizia, avvocati, psicologi, hanno sempre a che fare con la disinformazione.
Lost in the mall esperimento sempre di Loftu

4.inferenza sociale
L’inferenza sociale è come spieghiamo gli
eventi e i comportamenti degli altri.
Video “are we in control of our
decisions?” di Dan Ariely
Quando abbiamo a che fare con decisioni
complesse è più facile seguire quello
che gli altri ci suggeriscono
implicitamente o esplicitamente di
fare piuttosto che prendere una
nostra decisione.

Inferenza sociale è il modo in cui


elaboriamo informazioni de farci
impressioni sulle persone ed
esprimere giudizi a loro riguardo.
Ci sono due processi di inferenza
sociale: processi botton up e
processi top-down. I primi fanno si
che elaboriamo le informazioni a partire da dati specifici, quindi diciamo qualcosa di complesso,
astratto e grande a partire da qualcosa che osserviamo è molto specifico (bottom-up); il processo
top-down è il contrario cioè diamo senso a quegli indizi, informazioni specifici che incontriamo
nella realtà attraverso conoscenze, teorie, concetti astratti pregressi che abbiamo già acquisito.

80
Le inferenze sociali sono spesso svolte in modo frettoloso,
utilizziamo scorciatoie inferenziali che vengono definite
euristiche, le euristiche sono un modo di ragionare molto
veloce e intuitivo che ci permette di farci un'impressione,
spiegare un fenomeno velocemente, questo non vuol dire
che quello che troveremo è infondato, a volte sarà anche
molto corrispondente alla realtà. Ma può ovviamente
assumendo questo modo di pensare euristico, di
raggiungere, di creare delle informazioni, spiegazioni,
impressioni poco accurate.
Utilizziamo queste scorciatoie quando dobbiamo
elaborare giudizi complessi e quando ci sono alcuni fattori
interni o esterni che influenzano l'accuratezza con la
quale vogliamo lavorare l'informazione (es. motivazione,
stanchezza, altre problematiche tipo mal di testa, ecc.). È
più facile che attiviamo processi di elaborazione delle
informazioni intuitivi, economici dal punto di vista
cognitivo proprio quando dobbiamo fornire giudizi
complessi.

Euristica della rappresentatività cioè


elaborare velocemente le informazioni
cercando degli esemplari nella nostra
mente di quella categoria con la quale
ci stiamo imbattendo.
Quando utilizziamo l'euristica della
rappresentatività vuol dire che stiamo
confrontando quello che vediamo
persona, oggetto, evento sociale con
cose simili nella nostra mente.

Euristica della disponibilità ossia valutiamo


quanto sia probabile un evento facendo
riferimento a quanto è facile per noi
ricordare esempi simili nella nostra mente,
cioè quanto è immaginabile quell'evento.
Se ci bombardano di informazioni negative
rispetto a un evento questo evento
diventerà saliente nella nostra mente e
influenzerà quanto tenderemo a ritenerlo
probabile.

81
Quindi non solo quanto è facile che lo ricordiamo ma quanto è anche accessibile nella nostra
memoria.

Euristica dell’ancoraggio e
accomodamento si utilizzano
quando creiamo un giudizio o
una stima ancorandoci a una
conoscenza nota e tendiamo di
accomodare quella stima al
numero che abbiamo.
Stimiamo qualcosa partendo da
un valore iniziale che ci viene
dato dall’esterno. Un esempio
eclatante di questa cosa è la severità delle pene quando in tribunale si susseguono i processi uno
dopo l'altro perché è stato dimostrato che quando i magistrati dovevano giudicare dei reati,
tendevano a dare pene più severe quando nei processi precedenti avevano valutato i reati più
gravi, viceversa se precedentemente avevano giudicato tutti i reati minori tendevano a dare una
pena meno severa anche ad un reato maggiore più severo che si presentava in seguito.
Quindi si può capire quanto è anche distorto il giudizio di tutti gli esseri umani anche quando
ricoprono ruoli molto importanti nella società.

Se riusciamo a immaginare tanti più scenari


ipotetici alternativi saremo più dispiaciuti
che la realtà è diversa da quello che ci
aspettavamo perché poteva andare in mille
modi diversi e migliori di come è andata
veramente. Se invece riusciamo a simulare
poco valutiamo quanto è successo con
un'interpretazione diversa, accettiamo
maggiormente quella realtà perché non ci
sono scenari ipotetici, non poteva
succedere altrimenti.
Quindi l’euristica della simulazione influenza la valutazione degli eventi che viviamo e dei
comportamenti degli altri. L'euristica della simulazione è una scorciatoia mentale che ci permette
di formulare interpretazioni degli eventi immaginando scenari ipotetici diversi; quindi tanto più
riusciamo ad avere scenari ipotetici diversi e magari migliori tanto più giudicheremo
negativamente quell'evento e al contrario se ci succede qualcosa di tranquillo ma nella nostra
mente si attivano tutta una serie possibile di scenari catastrofici di quello che poteva accadere.
Quindi le euristiche ci aiutano a giudicare velocemente, a volte sono accurate ma possono
comportare bias cioè errori cognitivi.

Bias cognitivi sono distorsioni che le persone


attuano nella valutazione di fatti e avvenimenti.
Quando i bias cognitivi sono ripetuti nel tempo
diventano pregiudizi.
La differenza tra i bias cognitivi e l’euristica è
che l'euristica non è né corretta né sbagliata di

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solito è anzi efficace in quel contesto, mentre i bias cognitivi sono sbagliati cioè sono euristiche
inefficaci.
I bias cognitivi vuol dire il modo in cui
abbiamo interpretato l'evento.

Il bias attentivo sempre rientra nei bias


cognitivi ma è uno specifico tipo di bias
che ci porta a considerare, analizzare e
controllare tutti gli stimoli che potenzialmente sono minacciosi, es. le fobie non sono bias attentivi
perché c'è una focalizzazione ma ad esempio la mosca c'è veramente, poiché non pericolosa è un
bias cognitivo ma la mosca c'è veramente.
Molto spesso però noi percepiamo cose che
non ci sono veramente ad esempio
l'ipocondriaco.

Facciamo i bias attentivi perché siano pigri e ci


vogliamo difendere.

Il bias di conferma è uno dei più frequenti


e anche uno dei più dannosi.
Il bias di conferma è quando leggiamo
nella realtà le cose per confermare quello
che sappiamo già, cerchiamo prove a
favore di quello che pensiamo già (es.
l’oroscopo se uno ci crede egli viene detto
che sarà fortunato noterà tutte le cose
fortunate che gli accadranno nella
giornata).
I bias di conferma si fanno tantissime volte
nei dibattiti politici quando abbiamo
fazioni molto polarizzate, temi di interesse pubblico come il covid (se noi vediamo determinati
sintomi tendiamo ad escluderne altri quando facciamo le diagnosi e questo ci porta magari a non
fare diagnosi complesse), nelle scelte finanziarie tipo le criptovalute, scelta di libri e giornali
(soprattutto per i giornali ne scegliamo quelli che hanno impronte politiche che interessano a noi).

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Es. i terrapiattisti che si attaccano a tutte le
prove, ne inventano anche di assurde per
poter confermare la loro idea. Tutte le teorie
dei complottisti sono più o meno così.

Quindi non solo ci impuntiamo che abbiamo


ragione ma poi dimentichiamo quelle informazioni
che potevano in qualche modo metterci in crisi.
Esempio se siamo convinti al 100% che i formaggi
sono salutari perché magari vendiamo formaggi,
uno studio ci elenca tutti i fattori per cui un
consumo eccessivo di prodotti caseari fa male alla
salute, saremo capaci di dimenticare quello studio,
i dettagli di quello studio in maniera molto veloce
pur di continuare a essere convinti che abbiamo
ragione.

11/03/2022
C’è un tipo di bias della percezione selettiva
che può essere anche abbastanza rischioso
per la diffusione della conoscenza della
creazione della conoscenza, questo bias è
definito dello status quo letterario. Questo
bias riguarda il fatto di trovare qualsiasi tipo
di conferma che giustifica la teoria
dominante che è stata selezionata e quindi
dare poca rilevanza a quegli aspetti dei dati
o a quelle teorie discordanti. Questo per
dire che scrivendo un articolo scientifico si
ometteranno tutti quei dati che
disconfermano la teoria che si era presa in considerazione.
C’è un grosso problema all'interno della ricerca scientifica che genera ancora di più questo bias ed
è relativo al fatto che le riviste internazionali pubblicano solo dati che confermano teorie, è molto
difficile pubblicare articoli che disconfermano le teorie dominanti quindi sarà molto difficile
inserire una teoria diversa, una prospettiva diversa all'interno del campo scientifico.

Un altro tipo di bias di cui siamo tutti


vittima è l’egocentrismo emotivo o bias
delle convinzioni. Cerchiamo di
comprendere lo stato d’animo delle
persone intorno a noi perché
comprendere lo stato d'animo di quelli intorno a noi ci permette anche di prevedere i
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comportamenti e lo facciamo basandoci su indizi indiretti che riguardano quello che sappiamo già
(il nostro stesso stato emotivo) quindi tenderemo a proiettare le nostre emozioni sugli altri.
Tendiamo quindi molto
spesso a cercare di
confermare le nostre
emozioni negli altri.

Bias confermato da dei


ricercatori in un
esperimento scientifico
nel 2020. Hanno
condotto una ricerca
sperimentale con
cinquanta persone e li
hanno sottoposti ad un
task di percezione
emotiva cioè hanno
chiesto loro di
identificare delle
emozioni.
I ricercatori prima di
tutto hanno esposto i
partecipanti a dei
ricordi autobiografici combinati con delle clip audiovisive per esplicitare delle emozioni specifiche.
Dopo aver stimolato queste emozioni (es. felicità, paura, tristezza, emozioni neutre) nei
partecipanti hanno chiesto loro di individuare le emozioni di alcune persone presentate in
fotografia. In realtà i visi di queste persone e le espressioni emotive di queste persone che erano
rappresentate nelle fotografie da valutare erano delle espressioni ambigue cioè erano le unioni di
facce che esprimevano emozioni diverse quindi in realtà non c'era un'espressione predominante
nel viso di queste persone ma i partecipanti tendevano a interpretare quelle espressioni in base al
loro stesso stato emotivo, gli davano una sola espressione anche se la foto era un mix di più
espressioni.

Un altro bias è quello della durata


emotiva che è una tendenza erronea a
ricordare soprattutto ma anche ad
anticipare gli stati emotivi come molto
duraturi nel tempo.
Se ad esempio dobbiamo ricordare un
periodo triste o un episodio triste della
nostra vita nel farlo tenderemo a ricordare l'intensità di quell'emozione e la durata di
quell'emozione maggiore rispetto a quella che è stata realmente.
Questo bias non riguarda solo quello che ricordiamo ma anche quello che anticipiamo.
Mettiamo in atto questo bias perché noi abbiamo un forte istinto di conservazione quindi
cerchiamo sempre di evitare esperienze dolorose quindi questo ci porta ad avere una forte
memoria amplificate distorta di quelle esperienze che ci hanno fatto soffrire perché così
aumentiamo la probabilità di difenderci.

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Un altro tipo di bias che riguarda
la sfera impulsiva è il bias di
moderazione che si può definire
con la frase “smetto quando
voglio”, è quindi la tendenza a sovrastimare la nostra capacità di moderarci (es. prendo la scatola
di gelato e mi dico ne mangio solo due cucchiai poi in realtà mangio tutta la scatola).
Abbiamo questo bias sempre per un motivo evoluzionistico, noi abbiamo bisogno di motivazioni
per iniziare comportamenti, però può diventare controproducente nelle dipendenze.

Bias di omissione. Tipico dei


procrastinatori seriali ed è la
tendenza di fronte a situazioni
pericolose, minacciose, incerte a non
agire piuttosto che agire perché
inconsapevolmente e in maniera
automatica percepiamo sia più
rischioso mettere in atto un
comportamento piuttosto che
rimanere inermi. Questo è il motivo per cui quando assistiamo a una scena di violenza per strada
tendiamo a non intervenire. Anche questo è legato all’istinto di conservazione.
Può funzionare fino ad un certo punto, ed è per questo per un bias, perché certe volte rimanere
inermi ci può esporre ancora di più al pericolo.

Bias dell’apofenia che è la


percezione di connessioni
significative tra fenomeni in
realtà non connessi tra loro.

Al casinò quando puntiamo iniziamo a creare


correlazioni illusorie tra la probabilità che
esca un numero.

Questo errore apofenia ha una sua


sottocategoria che riguarda gli aspetti
percettivi cioè il senso della vista in questo
caso. La pareidolia è la tendenza a trovare
forme ordinate o significative in realtà
distorte. Guardiamo oggetti che non riusciamo ad identificare e gli attribuiamo dei significati o
delle forme che in realtà non hanno es. il fatto che la luna sia in realtà un viso che sorride.

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Facciamo queste in maniera istintiva ma è
comunque un bias perché tutto ciò che vediamo
ovviamente non è vero.
Queste correlazioni illusorie tra fenomeni ci
portano a fare tantissimi errori

Questi sono una serie di grafici


frutto di esperimenti che
hanno messo in evidenza
come se associamo la
frequenza di alcuni
avvenimenti che in realtà sono
completamente slegati tra
loro e leggiamo quella
frequenza criticamente
troveremo delle correlazioni
molto forti.
Capita che si trovino
correlazioni tra esempi che
non esistono.
Queste correlazioni illusorie
sono molto molto tipiche
nell'essere umano.

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Il paradosso dell’ignoranza è
utilizzato per spiegare che le
persone che pensano di sapere
credono di essere migliori degli altri.
Questo fenomeno viene anche detto Dunning-Kruger che sono due ricercatori che hanno
osservato per primi questo fenomeno che causa agli individui incompetenti senza conoscenze di
credere di sapere tantissimo su un argomento, quanto più le persone sono ignoranti più
sopravvalutano le loro abilità, competenze, conoscenze in quel campo.
Fenomeno teorizzato a livello accademico a seguito di un esperimento di Dunning e di Kruger
riguardante un uomo normalissimo, che non aveva problemi cognitivi, non era né stupido né
psicopatico, non era sotto l'abuso di sostanze stupefacenti e aveva rapinato due banche nello
stesso giorno senza alcun passamontagna o altro perchè convinto di essere invisibile perché si era
spruzzato addosso il succo di limone che un suo amico gli aveva fatto vedere cancellava
l'evidenziatore sulle pagine. A sostegno della sua idea c'era il fatto che dopo essersi cosparso di
succo di limone si era scattato una foto ma erroneamente aveva inquadrato il soffitto e quindi lui
non era presente nella foto e questo gli aveva fatto credere di essere davvero invisibile. Era
talmente convinto di questa cosa che anche negli interrogatori e lui continuava a credere di essere
invisibile.

Quando siamo incompetenti


tendiamo a sovrastimare le
nostre competenze.
In un esperimento più le
persone erano incompetenti
più affermavano di essere
competenti in quel ruolo
mentre quelli competenti
che erano state brave nel
compito assegnato loro, si
ritenevano inferiori al loro
livello o al massimo a un
livello normale di
competenza.
Si fa questo per nascondere
il proprio senso di
inferiorità.
L'autostima è il livello di valore che attribuiamo a noi stessi perché valutarci in modo negativo non
è funzionale nella nostra vita quindi tendiamo a tutelare la visione che abbiamo di noi stessi.
Quanto più siamo incompetenti più cercheremo di nascondere a noi stessi questa verità per non
soffrire troppo anche perché costerebbe mettersi lì a impegnarsi per migliorarsi.
Alti i livelli di autostima o ambizione sono spesso la maschera di un forte senso di inferiorità.
Se sono sicura di me non ha senso sventarlo, se lo faccio è perché ho bisogno di dimostrarlo agli
altri affinché gli altri mi vedano con l'immagine di me che voglio.
Quindi l'ambizione, arroganza e il credersi competenti è spesso una maschera che indossiamo per
mascherare il nostro senso di inferiorità e lo facciamo in maniera automatica.
Di base più alta è l'autostima più si vuole nascondere qualcosa a se stessi.

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Il bias sovrastima sessuale è la tendenza a
sovrastimare il livello di interesse sessuale che
hanno le altre persone nei nostri confronti es.
donne che pensano che la persona con cui
stiamo parlando stia guardando la scollatura
invece che guardarci negli occhi.
È più che altro un problema maschile, spesso gli uomini fraintendono i comportamenti delle donne
come disponibilità quindi magari un atto gentile viene preso come segno di interesse.

5.casualità e causalità
Come attribuiamo le cause

Tutto ciò che facciamo nella


vita è cercare di spiegare la
realtà soprattutto le cause del
comportamento nostro e
degli altri per prevedere la
realtà sociale e lo facciamo
come scienziati ingenui cioè
cerchiamo di trovare le prove
che confermino la nostra
interpretazione e giudizio e lo
facciamo in maniera più o
meno accurata.
Heider ha proposto una distinzione tra fattori individuali e ambientali ovvero è stato il primo a
parlare di attribuzioni interna e attribuzione esterna delle cause.
Quando dobbiamo spiegare il comportamento di una persona cioè perché quella persona si è
comportata in un determinato modo secondo Heider possiamo fare due cose: attribuire la causa di
quel comportamento alla persona quindi alle disposizioni individuali di quella persona oppure a
situazioni contestuali e quindi a fattori esterni.
Questa è una delle teorie per spiegare come le persone attribuiscono delle cause a comportamenti
propri o altrui.

Un’altra teoria che cerca di fare


questo è il modello della
covariazione di Kelley.
Secondo lui il comportamento
delle persone viene giudicato
sulla base di tre informazioni:
1. coerenza
2. valore distintivo
3. consenso.
Per spiegare un comportamento
cerchiamo la causa di quel
comportamento che Kelley
chiama fattore e nell'ipotizzare i
vari fattori selezioniamo il fattore che sembra covariare di più con quel comportamento cioè che si
presenta di più quando quel comportamento è presente e tendiamo ad attribuire quel fattore a
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quel comportamento soprattutto osservando che quando non c’è quel fattore non c’è neanche
quel comportamento.

Prima di tutto guarderò la coerenza di quella spiegazione.


Non abbiamo ancora capito però se questa gentilezza è per una disposizione, interesse nei nostri
riguardi o deriva dal fatto che dobbiamo collaborare.

Andiamo quindi a guardare la distintività.

Guardiamo poi il consenso. Il consenso riguarda


quanto gli altri si comportano in modo simile o diverso
da quello che stiamo analizzando, in questo caso da
quello di X.

Poniamo che la coerenza è alta cioè durante tutto il


lavoro di gruppo X è molto gentile nei nostri
riguardi.
Se X oltre ad essere sempre gentile durante il
lavoro di gruppo, è gentile soltanto durante il
lavoro di gruppo e non in altri contesti e soprattutto
tutti sono gentili durante il lavoro di gruppo, allora
noi spiegheremo la gentilezza con un'attribuzione

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esterna cioè X è gentile con me perché gli conviene visto che dobbiamo portare a casa il nostro bel
voto per il compito di gruppo.
Se invece la distintività è bassa cioè X si comporta in maniera gentile come sempre in ogni
circostanza e in più gli altri non sono così gentili
come X allora spiegheremo il comportamento di
X con un'attribuzione interna cioè X fa così
perché è interessato a noi.

Applichiamo questo modello molto spesso per


spiegare i comportamenti. Lo facciamo in modo
automatico ma richiede comunque un dispendio
di energia mentale quindi a volte siamo molto
più approssimativi di quanto Kelley proponeva
con il suo modello della covarianza.

Valutiamo la distintività cioè non capisco la lezione della tal prof o in generale di tutti i professori.
o alta distintività non capisco solo lei
o basta distintività non capisco nessuno
Coerenza temporale e nelle modalità cioè:
o coerenza temporale bassa il fatto che non capisco la lezione succede solo a volte quindi ha
una bassa coerenza nel tempo e soltanto quando tratta alcuni argomenti e usa alcune
modalità didattiche
o coerenza temporale alta cioè a prescindere non la capisco
Se io capisco tutti i professori tranne la prof X, non la capisco mai a prescindere e nessuno la
capisce, l'attribuzione è interna cioè la prof deve cambiare lavoro.
Se invece a volte la capisco a volte no, in genere non capisco nessuno e gli altri la capiscono,
l'attribuzione è esterna alla prof cioè non dipende dalla prof.

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Weiner parte da questa attribuzione causale e la chiama locus of control. Locus of control può
essere interno cioè la stessa cosa di attribuzione interna o esterno che è la stessa cosa di
attribuzione esterna.
Rende le cose più dettagliate spiegando che al di là del fatto che questa attribuzione possa essere
interna o esterna noi valutiamo sempre quanto sia stabile e controllabile.
La stabilità dipende dalla durata della causa nel tempo. La controllabilità deriva da quanto quella
persona pensa che quella situazione sia controllabile o no.
Incrociando tra loro questi livelli possiamo avere:
o locus of control interno stabile e controllabile ad esempio sono andato male a un esame, si
attribuisco a me le cause e definisco questa situazione come stabile, spiego l'avvenimento
dicendo che io sono andato male all'esame perché vado male a tutti gli esami.
Questa percezione di una causa interna e stabile può essere vista sia come controllabile
che come incontrollabile.
In questo caso se io penso che sono andato male a questo esame ma penso che io vado
male a tutti gli esami, ma se mi impegno posso migliorare perché dipende proprio dal fatto
che non ho studiato, la situazione diventa controllabile.
o Locus of control interno stabile e incontrollabile se invece penso che qualsiasi cosa farò
quell'esame non lo passerò e non passerò tutti gli altri esami perché non sono in grado di
apprendere
o Locus of control interno instabile controllabile cioè vado male all'esame ma è strano
perché di solito vado bene quindi cerco di spiegare perché proprio è capitato quel giorno
quella bocciatura e quindi controllerò la controllabilità o incontrollabilità.
Il locus of control interno instabile è controllabile se è dipesa da me ma magari quel giorno
è successo perché avevo un forte mal di testa e avevo dimenticato l'analgesico a casa è una
cosa che quindi posso controllare perché la prossima volta non andrò a fare l'esame col
mal di testa e soprattutto non succederà più perché non è che ogni volta che andrò a fare
l'esame avrò mal di testa.

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La stessa situazione cioè non passare un esame può essere anche spiegata come locus of control
esterno cioè non dipende da me ma dalle situazioni e dai contesti e ancora una volta tenderò a
guardarne la stabilità e la controllabilità.
o Locus of control esterno stabile e controllabile se spiego il fatto che sono andato male a un
esame come qualcosa che non dipende da me ma come qualcosa che capita sempre e che
è controllabile mi trovo nella situazione in cui dico sto andando male a questo esame e
sono sempre andato male agli esami perché nell'aula dove svolgo l'esame c'è sempre
casino e io non riesco a concentrarmi quindi non dipende da me ma è controllabile perché
la prossima volta posso cambiare appello.
o Locus of control esterno stabile e incontrollabile perchè vado spesso male agli esami
perché in quell'università i professori sono severissimi quindi se non cambiano tutti i prof
questa laurea non la prenderò mai. Non è una cosa che dipende da me, è stabile perché è
sempre così ed è incontrollabile nel senso che non posso fare nulla per cambiare la
situazione.
o Locus of control esterno instabile e controllabile se non capita quasi mai, non dipende da
me ed è controllabile vuol dire che posso controllare qualche aspetto della situazione per
ottenere quell'esame ad esempio l'ultima volta è andata male perché il mio amico non mi
ha fatto copiare, io non studio mai ma di solito i miei amici mi suggeriscono quindi la
prossima volta mi sceglierò qualcun altro vicino a cui sedermi da cui sono sicuro potrò
copiare.
o Locus of control esterno instabile e incontrollabile è quando attribuiamo quello che è
accaduto alla fortuna es. non ho passato l'esame quando di solito succede perché sono
stato sfortunato.
Di solito tendiamo ad avere uno di questi locus, alcuni interni e altri esterni, ci sono persone che si
incolpano di tutto, che attribuiscono sempre a sé stessi le cause ,invece persone che non
riconoscono mai di essere loro colpevoli, non si assume mai la responsabilità. Poi da lì ci sono
persone che tendono avere un locus interno o esterno più controllabile o meno.

6.errori di attribuzione
Tendiamo molto spesso a spiegare il
comportamento altrui con una
spiegazione interna “quella persona si
comporta così perché quella persona
è fatta così” lo facciamo perché
dobbiamo prevedere la realtà sociale
e il comportamento degli altri. Quindi
per noi è più rassicurante spiegare il
comportamento degli altri come
dovuto dal loro modo di essere perché
così sarà stabile quella causa, se
invece dipende dal caso, dalle
situazioni esterne sarà molto difficile spiegarla o accettarla.
Tendiamo, quando osserviamo il comportamento degli altri, ad attribuire a quel comportamento
cause disposizionali, quando invece siamo attori stiamo mettendo in atto quel comportamento e
voglio spiegare le cause del nostro comportamento attribuiamo, soprattutto i comportamenti
sbagliati e i fallimenti, a disposizioni esterne. Cambiamo l'interpretazione di quel comportamento
in base al fatto che l'abbiamo fatto noi o gli altri → effetto attore-osservatore.

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Quando cerchiamo di spiegare
le cause di un comportamento
o fare delle scelte abbiamo
delle tendenze sistematiche,
scorciatoie mentali che
applichiamo e cerchiamo di
guardare alcuni aspetti, indizi
della realtà che ci fanno
arrivare subito a spiegare le
motivazioni, il comportamento
altrui.
In primo luogo diamo più peso
agli effetti non comuni. Cioè
quando gli effetti del comportamento degli altri provocano conseguenze relativamente uniche
(che non osserviamo sempre) tendiamo molto più a fare una teoria attribuzionale interna cioè dire
che quello che ho osservato, il comportamento di quella persona che ha causato un
comportamento strano, non un comune dipende proprio dalle disposizioni interne della persona .
Tendiamo anche ad attribuire agli altri delle spiegazioni disposizionali sulla base della
desiderabilità sociale, cioè quando le persone si comportano in modo non appropriato secondo lo
standard sociale, tendiamo a spiegare quel comportamento di quella persona come derivante da
fattori disposizionali. Ad esempio classici bambini iperattivi, molto spesso le maestre spiegano quel
comportamento inaccettabile del bambino che non studia o disturba la classe come qualcosa che
deriva dal suo modo di essere, molto probabilmente quel bambino che è davvero iperattivo o
svogliato lo è perché ci sono dei fattori situazionali che lo spingono all'essere così, è un contesto
che attiva quel lato del carattere della persona, bisogna semplicemente trovare il compito giusto
da fargli fare.
Quindi spieghiamo in base alla desiderabilità sociale quel comportamento, se quel
comportamento è strano, non comune e non desiderabile allora lo spieghiamo come derivante da
un modo di essere della persona.
Guardiamo anche il livello di scelta che aveva quella persona, valutiamo se quel comportamento
era frutto di una libera scelta della persona o se c’erano vincoli situazionali cioè la persona si
poteva comportare solo così. Più pensiamo che quella persona abbia libera scelta nel
comportamento più facciamo un'attribuzione interna disposizionale. Molto spesso attribuiamo
molta più libera scelta di quella che in realtà è. Quando pensiamo che la persona abbia libera
scelta nell’agire tendiamo ad attribuire quel comportamento a disposizioni individuali alla persona.
Attribuiamo delle disposizioni individuali a dei comportamenti soprattutto quando questi non sono
connessi ai ruoli sociali che quella persona svolge.

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Quando giudichiamo il
comportamento di altri tendiamo
a dare una spiegazione
disposizionale cioè lo fa perché è
così.

Attribuiamo delle cause


disposizionali al comportamento
degli altri, secondo Heider lo
facciamo perché quando
guardiamo una scena la persona
è predominante rispetto alla
situazione, si crea un effetto
figura-sfondo cioè l'attore sociale
è la figura e la situazione sociale
è lo sfondo. Siccome diamo molto salienza alle persone tendiamo a spiegare quel comportamento
concentrandoci molto sulla persona rispetto a considerare la situazione nella quale la persona si
trova.

Secondo Gilbert invece tendiamo automaticamente a creare un’attribuzione interna, di cause


interne ma se l’evidenza contrasta molto questa nostra attribuzione tendiamo a cambiarla.
Quindi in sostanza tutti concordano col dire che tendiamo a giudicare il comportamento altrui,
almeno a prima vista come frutto di disposizioni individuali.
Queste teorie spiegate sono sempre frutto di teorizzazioni e teorici occidentali, quindi tutte queste
verità sono vere per noi perché noi siamo principalmente una cultura individualistica, diamo molto
valore al se, alla persona, al modo di essere, alla prestazione della persona, siamo molto incentrati
sull’individuo quindi è chiaro che tendiamo a spiegare il comportamento degli altri su una base più
individuale. Le persone che vivono in una cultura collettivista non è detto che facciano attribuzione
disposizionale anzi molto probabilmente siccome tutti tendono a comportarsi in un determinato
modo e ci sono delle regole dello stare in società molto rigide dove non deve emergere l'individuo
ma la comunità, il gruppo il tipo e lo stile di attribuzione sarà molto più tendente alla causa esterna
e situazionale.

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L'attribuzione dei fatti disposizionali si basa sul fatto che quando giudichiamo il comportamento
mettiamo al centro del ragionamento l'attore sociale, diamo più peso all'attore sociale.
Quando invece dobbiamo spiegare il nostro comportamento tendiamo a farlo guardando molto di
più i fattori situazionali e anche all'instabilità di quel comportamento questo perché noi ci
conosciamo e sappiamo quanto siamo influenzati dalle situazioni e soprattutto per tutelare la
nostra autostima soprattutto i comportamenti negativi, gli insuccessi, le figuracce, ecc. le
spieghiamo guardando di più il contesto intorno a noi.
Noi non riusciamo tanto a essere oggetto della conoscenza perché non possiamo guardarci
dall’alto. Quindi è sempre un problema non tanto cognitivo ma anche attentivo e percettivo.

Attribuiamo le cause del nostro


comportamento a fattori situazionali
anche per proteggerci. Questi sono
bias a favore del sé o tendenze
sistematiche a vantaggio del sé cioè
vuol dire che ci sono alcuni errori
cognitivi che li facciamo proprio per
tutelarci, tutelare la nostra autostima
I comportamenti positivi lì
attribuiamo sempre a noi stessi, i
comportamenti negativi invece molto
spesso lì giustifichiamo guardando a
quello che è successo e diamo colpa
agli altri o alla situazione.
A volte ci sono addirittura delle strategie autolesive che usiamo. Se pensiamo di fallire e che
falliremo anticipiamo quel fallimento pubblicamente cioè dicendo agli altri che falliremo e già lo
giustifichiamo sulla base di situazioni esterne, già diamo una spiegazione situazionale agli altri del
nostro fallimento così da condizionarli ma anche da autoconvinci che noi falliremo ma che quella
cosa non dipende da noi.
Quando ci aspettiamo di fallire è il pessimismo difensivo.
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Guardo video sui bias attributivi https://www.youtube.com/watch?v=-m6VcfivQC0

IL SÉ

1. Sviluppo dell’identità
2. Il se nella prospettiva psicosociale
3. Conoscenza de sé (come conosciamo noi stessi)
4. Autoconsapevolezza e conoscenza di sé (come diventiamo consapevoli di noi stessi)
5. Motivazione del sé (quali sono le motivazioni che ci spingono a svilupparci, crescere o a
comportarci in un determinato modo)

Alla domanda chi sono io le persone rispondo sui tratti salienti per sé. Tendiamo a dire prima i
ruoli sociali.
La cosa importante non è tanto descriverci con i ruoli sociali ma imparare a descriverci come
persone. Descriverci con i ruoli sociali ci condiziona tantissimo quindi è importante imparare a
descriverci come persone. Anche perché sui tratti personali possiamo lavorarci, sui ruoli sociali
invece no.

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Possiamo descrivere in generale il sé (inizialmente studiato dalla filosofica) considerando
moltissimi livelli di spiegazione.
 A livello ontologico cerchiamo di spiegare che cos'è il sé, il concetto di anima cioè cos’è il
sé, dov’è il sé, di cosa è fatto.
 Poi c’è il livello evolutivo quindi cerchiamo di spiegare come il sé si sviluppa dall’infanzia
alla morte; questo aspetto evolutivo è proprio tipico della psicologia dello sviluppo (di
solito nei corsi di psicologia sociale non si fa ma noi lo faremo).
 Il livello fenomenonologico riguarda come si manifesta il sé, anche questo è molto
filosofico e anche un po' teologico.
 Infine il livello gnoseologico che è proprio della prospettiva psicosociale, cioè cosa si
conosce di sé e in che modo.

1.Lo sviluppo dell’identità


Il primo a spiegare il sé è stato Freud.
Secondo Freud noi abbiamo aspetti del
nostro sé che non conosciamo cioè in
corso quindi la nostra personalità si
suddivide in io (la parte di me
consapevole), es (la parte istintuale,
inconscia che genera degli impulsi
istintivi, di sopravvivenza, sessuali, ecc.)
e super-io (è la parte rigida di noi stessi
che ci dice come dovremmo essere,
molto spesso interiorizzato dalla cultura,
dalla relazione con gli altri).
Erikson parte dall’idea di Freud e in particolare dice che l’ego cioè l'io, la parte consapevole di noi
che media tra es e super-io, si sviluppa attraverso il superamento di crisi di natura prettamente
sociale. Ci sono crisi che affrontiamo nella nostra vita in base alle fasi di sviluppo nella quale siamo,
se usciamo vittoriosi da quella crisi sviluppiamo delle virtù, ce le portiamo avanti e siamo in grado
di passare alla fase successiva: se in una fase di età non superiamo quella crisi restiamo in quella
fase anche se continuiamo a crescere cronologicamente es. i classici Peter Pan, Don Giovanni.

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15/03/2022

Secondo Erikson ci sono varie fasce d’età e per ognuna incontriamo compiti di sviluppo che sono
aspetti, abilità che dobbiamo sviluppare e sono compiti che ci espongono a una vera e propria crisi
perché sono compiti difficili per quell’età.
Abbiamo due strade di fronte a questi compiti: superamento di questi compiti di sviluppo e quindi
sviluppo di una virtù che ci accompagnerà per tutta la vita o il fallimento che ci porterà a
sviluppare sfiducia, senso di colpa, situazioni prevalentemente di tipo emotivo che danneggeranno
la nostra identità molto probabilmente a lungo termine.

La prima fase inizia con la nascita e si


completa circa al primo compleanno.
Non c’è confine netto tra inizio e fine
delle fasi.
Bimbi completamente dipendenti dagli
adulti sia per azioni fisiche che dal punto
di vista emotivo. Chi si prende cura del
bambino deve soddisfare i bisogni del
bambino perché così il bambino sviluppa
l’aspettativa che può dispendere dagli
altri, può fidarsi, può contare sull’aiuto
esterno. La persona esterna viene
definita da Erikson come base sicura
perché il bambino percepisce che c’è
qualcuno che può dare cure permanenti (qualità e quantità), il bambino può prevedere che questo
accade → si sviluppa così un senso di fiducia che lo accampanerà per tutta la vita e tutte le fasi
successive.
La virtù che si sviluppa è la speranza che si sia qualcuno disponibile, accogliente e non minaccioso.
Ecco perché è importante la cura affidabile e coerente.
L’assenza di risposta sincrona a questo desiderio impara, fa sviluppare nel bambino l’idea che non
c’è speranza, che non deve fidarsi degli altri e infatti questi bambini imparano a consolarsi da sé,
sono sicuramente meno capricciosi ma lo fanno perché hanno capito che non c’è un altro su cui
poggiare la loro esistenza (questo sarà poi dannoso in altre fasi di sviluppo)
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Fase due è quella dell’autonomia
vs vergogna e dubbio.
Man mano che cresce inizia a
sviluppare una serie di competenze
come il controllo delle sue funzioni
fisiologiche e inizia a sviluppare
molte abilità motorie, inizia a
esplorare l’ambiente circostante
ma i genitori sono ancora una base
sicura per il bambino.
In questa fase il bambino deve
essere incoraggiato a esplorare il
mondo per favorire l’autonomia
dell’esplorazione del bambino ma
al contempo il bambino che ama esplorare incontrerà anche situazioni di insicurezza e tenderà a
tornare alla base sicura. Ci sarà un’altalena tra desiderio di esplorazione e il desiderio di conforto
della base sicura.
In questa fase si iniziano a manifestare i primi interessi (es. ama la musica quindi radio, ama le
costruzione quindi lego). È molto importante rispondere a questa fase di esplorazione e di
interessi del bambino senza assumere un atteggiamento ansioso e restrittivo.
Il fatto che il bambino ha una maggiore coordinazione muscolare lo porta a esporsi a molte
situazioni pericolose; bisogna permettere al bambino di sperimentare queste situazioni pericolose
senza trasmettergli l’ansia e al contempo proteggerlo.
Obbiettivo è che il bambino sviluppi autosufficienza.
Può capitare che il bambino si iper-stimolato, viene chiesto troppo, troppo presto e questo lo
espone molto al senso di incapacità cioè non riuscire a fare quello che gli altri si aspettano da lui.
Dove fallisce l’autonomia perché magari si chiedono compiti troppo difficili o non si permette al
bambino di essere autonomo tenderà a sentire una forte vergogna e iniziare a nutrire dubbi sulle
proprie capacità di gestire problemi da sé.
Se il bimbo esce vittorioso da questa fase inizierà a sviluppare un senso di autonomia e non
vergogna e dubbio.

Fase iniziativa vs colpa; fase prescolare


dai 3 anni a 5 anni (asilo).
L’autonomia non è pianificata, l’attività
di esplorazione del bambino non ha uno
scopo ma solo la soddisfazione della
curiosità e del desiderio di movimento.
Il bambino arriva a questa fase che ha
iniziato a padroneggiare il mondo che lo
circonda.
Qui invece inizia a compiere azioni per
uno scopo ben preciso.
I bambini in questa fase sviluppano
un’emozione molto confusa
(un’emozione che si definisce
secondaria) il senso di colpa anche per
100
situazioni che non dipendono da loro (genitori litigano, non riescono attività che avevano
pianificato), è una fase abbastanza frustrante.
Il bambino inizia a stare in gruppo, inizia a sviluppare i primi ruoli di essere membro di un gruppo,
leader, importante in questa fase è permettere al bambino di darsi uno scopo, la motivazione a
fare azioni con uno scopo.
Bisogna sostenere i bambini a fare scelte (es. scegliere i vestiti, cosa fare dopo scuola).
Quando non risolviamo un compito di sviluppo in una fase, Erikson dice, ce lo portiamo dietro per
tutta la vita, si creano aree immature di sé.

Inizia la fase scolare, scuola che è una


situazione altamente produttiva perché ci
sono i voti quindi non solo il bimbo è
autonomo e inizia a mettere in atto azioni
finalizzate ad uno scopo ma queste azioni
hanno un forte feedback sociale.
Devono essere produttivi, vogliono
sentirsi produttivi, efficienti e vogliono
essere gratificati bisogna quindi in questa
fase elogiare tantissimo i bambini per i
risultati e soprattutto per il tentativo di
raggiungere il risultato a prescindere dal
risultato finale, anche solo per la
motivazione e lo sforzo.
I bambini iniziano a sviluppare i veri e propri talenti, se nella fase pre scolare non ha scoperto gli
interessi ma gli sono stati imposti poi non svilupperanno i talenti. Il fatto di non sentirsi talentuosi,
competenti li porterà a sviluppare un senso di inferiorità perché iniziano a confrontarsi con gli altri.
Il feedback sociale è qui molto marcato, es i voti a scuola quindi iniziano ad avere un metodo di
paragone del confronto con gli altri. Quindi è anche molto importante guidare il bambino nel
confrontarsi con i suoi talenti.
Non tutti i bambini sono talentuosi a scuola quindi è sbagliato pretendere che il bambino vada
bene a scuola perché se il bambino non ha un talento soprattutto quelli che servono per andare
bene a scuola lo destiniamo a un senso di inferiorità perché tanto non emergerà mai il talento.

Fase più delicata di tutte – adolescenza.


Abbiamo almeno due compiti: sviluppo
identità sessuale e identità sociale.
L’adolescente inizia a preoccuparsi
tantissimo di come appare agli altri, molto
più di prima, cerca una continuità nella sua
esistenza.
È importante avere una fase iniziale di
esplorazione di cosa vogliamo essere. È
importante sviluppare le diverse identità
(punk, emo, ecc.), queste se non sono
nocive/pericolose per la persona vanno
incentivate perché è importante sentirsi
libero di essere altrimenti entrerà in
confusione.
101
Si deve assumere una consapevolezza della propria identità sessuale in questa fase, compito
sempre più complesso perchè se prima si seguiva più l’istinti identitario adesso gli adolescenti si
pongono una domanda alla quale è difficile rispondere se non si segue il proprio istinto.
Identità sociale quindi che posto ho nel mondo, cosa farò da grande, non si trova qui in questa
fase la risposta ma si pongono qui le basi per trovare quella risposta proprio esplorando più
interessi, più possibilità, più sé.
Identità sociale comprende anche quella religiosa, chi non sviluppa un’identità religiosa
nell’adolescenza difficilmente la svilupperà dopo, oppure un’identità politica, gli orientamenti
politici più ferrei si sviluppano durante l’adolescenza perché è la fase in cui la persona cerca di
prendere posizione nel mondo.
Fase importante perché c’è la disillusione nei confronti dei genitori perché da piccoli idealizziamo i
genitori e in questa fase scopriamo che sbagliano, sono limitati, ci frustano, magari sono chiusi
mentalmente, scopriamo gli errori. Fase che poi più avanti diventa accettazione.
In questa fase iniziamo a chiederci quali aspetti della nostra famiglia vogliamo portare con noi e
quali no.
Se tutto va bene si sviluppa la virtù della fedeltà in noi stessi, nelle proprie posizioni ideologiche, al
proprio credo, alla propria visione del mondo, alla propria identità. È importante chiedersi se
siamo fedeli a noi stessi, ossia coerenti anche agli occhi degli altri.
Questa fase si può concludere con identità o conclusione identitaria, in questo ultimo caso tutto il
resto sarà quasi impossibile da realizzare.

Dalla fine dell’adolescenza che


accade quando abbiamo
stabilito la nostra identità
sociale e sessuale.
I giovani adulti vanno dai 18 a
40 anni (per la prof lo si è fino a
quando non si diventa genitori).
In questa fase si sviluppano
davvero le relazioni intime con
gli altri, non è più solo rapporti
occasionali o emotivi ma si
creano rapporti solidi fatti da
impegno, condivisione, fedeltà.
Se non siamo pronti a essere
una coppia di fatto allora non
siamo pronti ad una relazione
seria.
Relazione in cui iniziamo a costruire per l’altro e non solo per noi stessi, possiamo costruire
un’identità con l’altro solo se abbiamo costruito una nostra identità sociale e sessuale, non
possiamo stare con l’altro se non abbiamo imparato a stare con noi stessi.
Se riusciamo a dedicarci con impegno in una relazione e non solo con intimità sessuale vuol dire
che abbiamo sviluppato la virtù dell’amore e abbiamo completato il compito di sviluppo
dell’intimità; altrimenti ci troveremo in una situazione di isolamento, solitudine interiore anche
per tutta la vita.
Se non ho sviluppato la fedeltà in me non posso esserlo verso l’altro o come faccio a credere che
l’altro sia fedele a me. Quindi la competenza dell’intimità è qualcosa che va si sviluppato ma è
molto determinato da quello che abbiamo sviluppato, raggiunto o meno nelle fasi precedenti.
102
Se sviluppiamo questa fase
arriviamo alla fase della
generatività e stagnazione.
Abbiamo un compagno stabile,
amicizie strette, una rete sociale
intorno a noi e iniziamo anche a
essere in carriera, avere una
posizione stabile, avere figli o
adottarli.
Iniziamo in questa fase a
generare che significa fare
qualcosa per la società non per
forza fare figli.
Generatività significa stare nel
mondo contribuendo al mondo.
Bisogna uscire dall’egocentrismo, dal fare le cose solo per i propri interessi e fini personali ma
deve nascere il desiderio di fare qualcosa per gli altri, non bisogna più essere centrali.
Usare il tempo libero in modo creativo. La stagnazione è non sentirsi utili nel mondo, può essere
anche una persona in carriera che però non ha sviluppato altro nel mondo a parte il lavoro.

Se si supera si arriva alla fase


finale della nostra vita.
Fase over 65, fase del
pensionamento, si può
diventare nonni, si vedono i figli
sposarsi.
In questa fase rallenta la nostra
produttività e l'efficienza, si
inizia a faticare molto per fare le
cose, le attività si iniziano a
interrompere perchè facciamo
meno cosa ma riflettiamo di più
su quello che abbiamo fatto. Se
vogliamo fare tantissime cose
questo desiderio nasce dal fatto
che non abbiamo fatto
abbastanza.
La persona in questo caso deve scoprire se è stato davvero fedele a sé stesso, se ha raggiunto i
desideri, scopi, sogni della vita. Se la risposta è si porterà la persona ad accettare se stessa, a
sentirsi completo, integro e svilupperà il senso della saggezza perché se noi abbiamo accettato i
nostri successi ma anche i nostri fallimenti cioè abbiamo accettato i compromessi nella vita,
abbiamo imparato ad avere speranza anche quando la speranza non c'era, a superare tutti i
problemi brutti nella vita non avremo paura della morte.
La paura della morte è una cosa molto umana perché abbiamo l'istinto di conservazione, la paura
è anche molto forte perché non sappiamo cosa ci sarà dopo. La paura della morte è allegata
all'attaccamento che abbiamo nei confronti della vita, se viviamo tutti i giorni con fedeltà e

103
coerenza con noi stessi non ci interessa la morte perché non abbiamo nulla da perdere; se invece
non abbiamo raggiunto quello che volevamo abbiamo paura.
Se la persona non trova la soddisfazione c’è la disperazione, se una persona magari non ha creato
legami significativi e resta sola.
Quindi la fase è integrata dell'ego o dispersione dell’ego.
Se siamo riusciti a raggiungere questa integrità la virtù sarà quella della saggezza perché avremo il
potere di condividere questa saggezza con gli altri o comunque riusciremo a trasmettere quello
che abbiamo imparato nella vita agli altri e quindi saremo saggi.
Questo è uno schema, tutte le teorie sono schemi. Non c’è una rigidità delle fasi ma ogni fase
porta con sé dei compiti di sviluppo da superare. Gli psicologi distinguono in compiti normativi (es.
l'indipendenza, la produttività e tutte le fasi che dobbiamo sviluppare) e non normativi (tutti i
compiti più grandi di noi, che non fanno parte di quello che è la normalità dello sviluppo
dell'identità (es. il divorzio dei genitori, lutto di un parente) che richiedono tutta una serie di
sviluppi di virtù per superare una certa fase che magari non appartiene a quella fase ma a fasi
successive.

2.Il se nella prospettiva psciolosociale


Il livello gnoseologico è quello che si studia di più in una prospettiva psicosociale.

La prospettiva psicosociale sul sé


focalizza l'attenzione sui processi di
costruzione sociale della
conoscenza che gli individui hanno
di se stessi cioè su come noi
impariamo a conoscere noi stessi
interagendo con gli altri e con il
mondo sociale.
Quindi di base secondo la
prospettiva psicosociale il sé si
sviluppa in interazione con l'altro.
Il sé è l'interfaccia tra il mondo
psicologico, quello che c'è dentro di
noi, e il mondo sociale.
Gergen lo definisce come l'insieme dei concetti che gli individui hanno a disposizione quando
tentano di definire sé stessi.

Risulta chiaro che lo studio del sé riguarda


non solo quesiti ontologici ma anche riguarda
come noi conosciamo soggettivamente il sé.
Non possiamo avere una conoscenza
oggettiva del sé. È soggettiva ma anche
socialmente condivisa la conoscenza che
abbiamo di noi ed è anche influenzata dagli
altri per questo si dice intersoggettività,
conoscenza di noi attraverso i filtri della
società, di quello che gli altri ci mandano di
noi stessi. Questa conoscenza intersoggettiva
ci guida nella nostra interpretazione non solo
104
di noi stessi ma anche del mondo
degli altri.

Secondo alcuni siamo gli unici


esseri animali dotati di pensiero
riflessivo cioè di pensare a noi
stessi, di riflettere su noi stessi e sul
nostro mondo interiore.
La funzione riflessiva cioè la
capacità di riflettere sul sé nasce
dal concetto filosofico del sé
riflessivo di Hegel. Secondo il
concetto di sé riflessivo attraverso
la riflessione su noi stessi
impariamo ad avere consapevolezza e controllo dei nostri stati mentali.
Il sé e l'identità al momento li usiamo come sinonimi ma in realtà non lo sono per tutti i teorici.
Sono costrutti cognitivi cioè sono conoscenze cognitive, insieme di conoscenze e informazioni.
In realtà il concetto di sé non è antico ma è una conoscenza relativamente nuova, fino al medioevo
non esisteva il concetto di sé, poi ci sono stati eventi sociali che hanno fatto sviluppare nelle
persone
il fatto che abbiamo un’identità.

Quattro cambiamenti principali:


-Secolarizzazione inizialmente moltissime religioni hanno spinto le persone a pensare che il
compimento di sé stessi sarebbe avvenuto nell'aldilà invece dopo il medioevo e le nuove
teorizzazioni anche teologiche, si iniziò a considerare che la realizzazione personale del sé debba
avvenire nella vita terrena (nasce il concetto di purgatorio che prima non esisteva), c'è quindi
un'evoluzione storica culturale che porta la persona a capire che nella vita terrena deve realizzare
il proprio sé.
-Industrializzazione le persone iniziano a vedersi come unità produttiva singolarmente. Si sviluppa
anche un’identità personale mobile, prima solo le donne di un certo stato accadeva che raramente
si sposavano con qualche uomo aristocratico di terre lontane ma era molto raro. Di base le
persone dove nascevano morivano.
-Illuminismo inizia a far credere e sperimentare che le persone possono esprimere le proprie idee
anche diverse dagli altri, che possono impegnarsi in vite differenti, possono migliorare la loro
condizione sociale, possono sovvertire i sistemi ortodossi, i valori ortodossi, ad esempio la

105
Rivoluzione francese o americana. Quindi le persone iniziano a capire che possono sovvertire
quello che è dato nel mondo sociale.
-Psicanalisi nascita teoria freudiana secondo cui le persone hanno una conoscenza limitata del sé
perché c'è tutta una struttura inconscia dei
nostri sentimenti, impulsi, emozioni. Quindi
teorici, scienziati, ecc. iniziano a studiare il
sé e l'identità.

Iniziarono a fiorire moltissime concezioni


del sé, tra le prime quella di James.
James ha proposto le basi, tutt’ora studiate,
della distinzione tra struttura e processo in
relazione al sé cioè cosa conosciamo di noi e
come conosciamo quegli aspetti. Quindi
struttura è quello che sappiamo di noi, le
caratteristiche del nostro sé i processi di costruzione di queste conoscenze.
James dice che c’è un io che è il soggetto consapevole che riflette sul sé e poi c'è un me cioè
quanto conosco del me cioè l'io riflette sul me, il soggetto io riflette sul sé in quanto oggetto.
Ovviamente non c'è una netta distinzione tra il soggetto della conoscenza e l'oggetto della
coscienza perché l'io non è mai esterno la situazione nella quale osserva il me.
James è stato molto influenzato dalla psicoanalisi però in realtà è più influenzato dal versante
sociale e la psicanalisi non guarda la società, cioè non ritiene che l'identità possa essere
influenzata dalla società ma vede il sé come qualcosa di assestante. Infatti Erikson che era uno
psicanalista in origine è stato cacciato dalla scuola di psicanalisi perchè ha iniziato a pensare che il
sé si strutturasse in relazione con queste crisi psicosociali.
Secondo la prospettiva psicosociale ci sono due processi, aspetti da comprendere: cosa sappiamo
di noi cioè le strutture di conoscenza che abbiamo di noi e come sviluppiamo queste strutture cioè
i processi conoscitivi, l'io è la parte di noi stessi che si impegnano a riflettere per conoscersi
mentre il me è la parte che scopre, la
struttura mentale che crea per spiegare se
stesso, costruisce un'idea di me. Il modo in
cui io mi vedo è il me.

Per definire noi stessi quello che possiamo


fare è iniziare a riflettere su ciò che abbiamo,
su quello che ci caratterizza, cos'è che fa
parte del me cioè cos'è che fa parte del mio.
Iniziamo a riempire questa struttura del me,
questa struttura di quello che sappiamo di noi con tutto ciò che abbiamo, materiale e immateriale
e noi sviluppiamo una identificazione emotiva rispetto a queste parti che sentiamo nostre cioè ci
leghiamo emotivamente a queste parti perché sono parte del me.
Quando proviamo a rispondere alla domanda chi sono io stiamo attivando l'io, quando
aggiungiamo le risposte stiamo creando una struttura di conoscenza che è il me.

106
Siamo molto legati a questi aspetti che inseriamo
nel me.
Tre aspetti del me che andiamo a colmare di
conoscenze:
 Me materiale cioè ciò che io so rispetto al
mio corpo e agli oggetti che possiedo.
 Me sociale cioè il sé percepito in rapporto
con gli altri, come sono io con gli altri.
 Me spirituale la conoscenza che abbiamo
dei nostri pensieri, valori, emozioni, ecc.

Looking glass self → teoria che


si basa sul fatto che noi
conosciamo noi stessi
osservando il modo in cui gli
altri ci guardano e valutano.
Questo diventa estremamente
attuale adesso con l’era del
social. Sempre più le persone
non si guardano allo specchio
perché sono abituati a guardare
filtri social.
Se consociamo noi stessi a
seconda di come gli altri ci
osservano e vedono sui social
tenderemo a mostrare tutti gli aspetti che vogliamo che siano riconosciuti dagli altri. Quindi
secondo questa teorizzazione nel nostro senso del se si basa su come gli altri ci vedono.
Quindi l’interazione è come se fosse uno specchio, io mi guardo a seconda mi guardano gli altri.

Noi ci scopriamo attraverso queste


fasi.
Innanzitutto immaginiamo come
appariamo agli altri, come ci
giudicheranno e facciamo nostri
questi giudizi.
Se io sono adeguata in un contesto
sociale che è dato dai giudizi degli
altri.
Il nostro concetto di sé deriva dagli
altri con cui mi interfaccio.

107
Questa teoria del fatto che ci
guardiamo allo specchio quando
ci relazioniamo con gli altri
quindi costruiamo il nostro sé di
riflesso ai giudizi altrui è stata
disconfermata perché si le
persone costruiscono la
conoscenza del se sulla base
degli altri ma non sulla base di
quello che gli altri pensano di
loro ma sulla base di quello loro
credono che gli altri pensano di loro cioè questo vuol dire che noi ci facciamo dei film, paranoie di
quello che gli altri pensano di noi e su quello costruiamo il nostro sé.
Ma la percezione di quello che gli altri pensano di noi non è esatta accurata ma è distorta. È una
visione distorta per due motivi principali. In primo luogo perché le persone non ci dicono
veramente quello che pensano di noi, l'immagine che gli altri hanno di noi non ci viene comunicata
in modo esplicito, diretto.
Il fatto che gli altri non siano diretti e implicita ci porta a interpretare quello che gli altri pendano di
noi e spesso lo facciamo in modo non accurato. Quindi l'immagine che ci facciamo di noi deriva da
come crediamo che gli altri ci vedano e non su come ci vedono effettivamente.

Secondo queste teorizzazioni del sé


all’interno di una prospettiva
psicosociale il sé non nasce alla nascita
ma si sviluppa all'interno dei contesti
sociali utilizzando i simboli della società,
acquisendo il linguaggio che ci permette
anche di accedere alle rappresentazioni
degli altri.
Secondo Mead l’attività di gioco è
fondamentale per la prospettiva di sé.
Questo perché attraverso i giochi di
ruolo i bambini assumono i ruoli degli
altri e sperimentano diversi tipi di sé (es.
il gioco mamma e figlio).
I giochi di ruolo dell'infanzia costruiscono il nostro sé, rappresentano il nostro sé anche futuro cioè
è una proiezione di quello che possiamo essere.

108
Con il gioco sia semplice che
organizzato i bimbi possono
costruire il sé.
Gioco semplice il bambino
acquisisce in successione
temporale il luogo e si osserva
quel ruolo.
Gioco organizzato i bambini
sono in grado
contemporaneamente più ruoli.
Noi imitiamo quello che
osserviamo nella realtà e diventano sé possibili.

La sintesi è il fatto che creiamo il sé in relazione all’altro → interazionismo simbolico.


Il sé si crea in interazione con l’altro
ed è spesso simbolico perché fatto
con il linguaggio che è simboli.

Alcuni studiosi hanno parlato solo di


sé, alcuni solo di identità e altri
hanno parlato di entrambi dando
connotazioni specifiche a ognuno.
Nella tradizione dell'identità sociale
l’identità è intesa come parte del sé.
Nella teoria dei processi di
identità invece l’identità è
sinonimo del sé.

Altri studiosi hanno usato il


termine identità per far
riferimento alla parte di sé che
conosciamo, cioè al modo in cui
definiamo il nostro sé.
Se la conoscenza che abbiamo di
noi stessi diventa fondamentale
quello che faremo nella vita è cercare di rispondere a due principi: il senso di continuità cioè noi
vogliamo sentire di essere sempre uguali, pensiamo di non cambiare nel tempo e non ci rendiamo
conto di quanto un evento possa cambiarci da un giorno all'altro, magari poi capiamo di essere
cambiati ma guardando ad un arco temporale molto distante ma comunque dentro di noi abbiamo
un senso di continuità nel tempo del nostro essere; contemporaneamente abbiamo un senso di
distintività cioè vogliamo sentirci diversi dagli altri, unici e non vogliamo sentirci uguali agli altri .

109
Il fatto di avere un senso di continuità e di distintività porta poi ad avere un senso di autoefficacia
cioè sentirci capaci di e anche ad una buona autostima cioè di avere un valore del sé positivo.
L’autostima è il valore che diamo a noi stessi.
Valore è qualcosa che noi possiamo quantificare. Se io mi do valore mi sto dando dell’oggetto
perché posso essere stimato.
Ognuno fa un’equazione mentale nociva
che è alla base quasi di qualsiasi disturbo
psicologico “valore = qualcosa”, questo
valore uguale a ci farà stare male o bene
perché noi commisureremo sempre la
nostra vita con il raggiungimento di quel
valore lì.
Per la prof l’autostima non esiste, il
valore di sé non è autostima ma
eterostima cioè io valuto me stesso sulla
base di quello che gli altri mi hanno
insegnato a considerare come degno di
valore perché l'unica cosa degna di
valore dell'essere umano sono le azioni
umane che possono essere meritevoli o
non meritevoli. L'essere umano non può essere valutato, quantificato, paragonato e quindi di per
sé non ha valore.

16/03/2022
3.conoscenza del sé
Capiamo e interpretiamo la realtà sociale attraverso la costruzione di schemi. Uno di questi schemi
è lo schema del sé cioè il modo in cui costruiamo la conoscenza intorno a noi stessi. Markus
descrive questo schema come una vera e propria struttura cognitiva quindi un insieme di elementi
attributi, relazioni e relazioni tra attributi che sono depositati in memoria e che ci forniscono una
conoscenza a noi stessi.
Abbiamo differenti schemi di sé perchè
ognuno corrisponde ai vari ambiti di
esperienza di vita quando quindi siamo in
una dimensione specifica di vita attiviamo
un determinato schema di noi stessi quindi
attiviamo nella memoria una serie di
informazioni su di noi che ci informano su
chi siamo in quella determinata situazione.
Quindi gli schemi di sé condizionano il
modo in cui noi ci comportiamo, ci
percepiamo e raccogliamo le informazioni
sugli altri s,u noi stessi nei vari contesti di
vita, in quei contesti di vita.
Quindi gli schemi di sé determinano il nostro comportamento.
Questi schemi possono essere sia positivi che negativi.

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Come tutti gli schemi si differenziamo in termini di disponibilità e accessibilità. Uno schema di sé è
disponibile se è presente in memoria.
Considereremo la disponibilità come la presenza e memoria di uno schema, l’accessibilità invece è
relativa a quanto siamo in grado, velocemente e con breve sforzo cognitivo, a richiamare nella
memoria operativa che è la memoria di lavoro, alla memoria a lungo termine quello schema di noi
stessi. Quindi più uno schema è accessibile più lo attiviamo velocemente quindi è in grado di
influenzare la nostra autopercezione cioè il modo in cui noi vediamo noi stessi e anche di
conseguenza alla selezione di altre informazioni che confermano i nostri schemi.
Noi abbiamo configurazione degli schemi di sé molto differenziate sia in base alla disponibilità sia
all'accessibilità. Livelli diversi di accessibilità di questi schemi differenti a seconda delle persone,
alcuni li attiveranno più velocemente e altri meno.
Gli schemi oltre a distinguersi per disponibilità e accessibilità si caratterizzano anche per quanto
sono centrali. Noi abbiamo tanti schemi e li organizziamo gerarchicamente, ad alcuni schemi
diamo più rilevanza di altri; ci sono quegli schemi molto salienti, molto importanti per noi e altri
schemi invece si attivano raramente. Si attivano di solito gli schemi che nella gerarchia sono ai
posti superiori.
Inoltre non tutti gli schemi sono accessibili contemporaneamente, lo schema che si attiva in un
certo momento viene definito working self-concept concetto di sé operativo.

Facciamo un uso strategico degli schemi, euristica lo facciamo anche con gli schemi e lo facciamo
in maniera strategica.
Innanzitutto più abbiamo schemi del sé più ci proteggiamo nella vita perché se fallisce uno schema
possiamo attivare l'altro. Le persone che dedicano la loro vita al lavoro dalla mattina alla sera
attivano sempre lo schema del sé e parlano sempre e solo del lavoro, lo fanno perché per loro
quello è uno schema del sé funzionale, positivo, riconoscono quello schema di sé come importante
gerarchicamente ma anche come protettivo perché magari loro sono molto bravi nel lavoro ma
fallimentari in altri ambiti di vita e quindi per proteggere la propria autostima tendono ad attivare
sempre quello schema strategicamente e non soffrono quelli del fallimento su altri schemi del sé.
Se abbiamo schemi del sé suddivisi molto rigidamente possiamo avere degli svantaggi perché
saper attivare in certi contesti anche lo schema non predominante ma non per forza coerente con
quel contesto ci può avvantaggiare.
Bisogna costruire tanti schemi del sé non rigidi e valutare quale attivare nei vari contesti.

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Markus parla anche di schemi ipotetici, possibili. Cioè noi non conosciamo soltanto di noi stessi
quello che siamo in realtà ma sappiamo anche quello che potremmo essere → questi vengono
definiti sé possibili; vorremmo essere o non vorremmo essere e spesso le decisioni che prendiamo
nella vita sono relative anche a quello che non vorremmo essere o a quello che vorremmo
diventare ed essere.
È importante avere tanti schemi di sé
possibili perchè se abbiamo molte
alternative su quello che possiamo
diventare viviamo con meno ansia e
soffriamo di meno, es. se per tutta la vita
ci siamo riscritti come calciatori poi
soffriremo molto quando non potremo
più farlo. Quindi abbiamo bisogno di tanti
schemi del sé per proteggerci e vivere con
meno ansia l'aderenza rigida ad un
determinato schema.

A partire da questa idea di schemi


possibili Higgins, che è un grande psicologo sociale, parla del modello ripartito del sé quindi di tre
sfere del sé:
 sé reale che è uno cioè ciò che pensiamo di essere negli specifici ambiti di vita. Qui
rientrano tutti gli schemi reali le
descrizioni, gli attributi che sono
relativi al nostro sé nei vari ambiti
di vita.
 sé ideali che riguardano ciò che
vorremmo o non vorremmo
essere.
 sé normativi relativi a ciò che
pensiamo di dover essere e non
dover essere.

Questi schemi vanno in conflitto, noi


costantemente confrontiamo il nostro sé
ideale con tutti i sé possibili e normativi:

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se sono abbastanza congruenti siamo sereni, invece se c'è molta discrepanza (cioè il sé reale si
allontana molto dai sé ideali-possibili e dai sé normativi-positivi) soffriamo, siamo coinvolti
emotivamente quando notiamo questa discrepanza in modo diverso.
La discrepanza tra il sé reale cioè quello che sono e il sé ideale ci fa vivere emozioni di tristezza e
insoddisfazione, in casi gravi si può incorrere in un episodio depressivo, il fatto di non sentirmi
capace di diventare come vorrei essere mi paralizza in una situazione di infelicità.
Quando il sé reale è differente dal sé normativo cioè notiamo di non essere come dovremmo
essere viviamo senso di colpa e disprezzo di noi stessi e questo genera spesso l’ansia da
prestazione.
Il sé normativo sarebbe il dover essere che ce lo insegnano i nostri genitori e chi ci educa, ci
sgridano ci fanno sentire in colpa, a
volte ci giudicano o ci disprezzano
quando non siamo come dovremmo
essere e ci spiegano come dobbiamo
essere in ogni circostanza.
I sé ideali sono più creativi e derivano
o dal confronto con il gruppo di pari
di persone simili a noi o dai nostri
desideri.

Higgins definì anche un altro schema


di noi cioè un altro modo attraverso
cui le persone possono definirsi ed è
un modo di definire la vita che
determina moltissimo i nostri
comportamenti il modo in cui regoliamo il nostro comportamento.
Regolare il comportamento vuol dire osservare quello che stiamo facendo e modificarlo affinché
quel comportamento e quella situazione sia nel nostro vantaggio, ci permettono di raggiungere i
nostri obiettivi.
Higgins dice di immaginare un continuum ai cui poli opposti abbiamo le persone molto
preoccupate nei confronti della sicurezza e dall'altro le persone molto preoccupate
dell'autoaccrescimento. Cioè abbiamo un sistema di prevenzione e uno di promozione.
È un continuum perché ci sono persone che orientano il comportamento ad entrambi gli stati.
La prevenzione è cercare di evitare l’esposizione a rischi quindi tendiamo a conservare più lo
status quo che a modificarlo, tendiamo quindi a rispettare i nostri doveri, le norme sociali e non
esporci a rischi.
Il focus di promozione caratterizza invece le persone disposte a cambiare lo status quo al fine di
realizzare le proprie speranze e le proprie aspirazioni quindi i propri ideali.
Chi tende di più verso la sicurezza, il mantenimento dello status quo e non esporsi a rischi fa
prevalere i sé di tipo normativo.
Chi invece è più sul polo della promozione fa prevalere i sé ideali. Sono quelle persone che
nonostante hanno tutti contro continuano a rimanere nelle loro idee nonostante quello porti a
creare condizioni sconvenienti a livello sociale e ci espone molto al fallimento.

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4.autoconsapevolezza
del sé
Questi schemi li creiamo, secondo
l'autoconsapevolezza lo facciamo
andando a monitorare le nostre
emozioni.
Noi non siamo consapevoli di noi
stessi come qualcosa di astratto ma
di conoscerci guardando le reazioni

emotive che abbiamo nelle situazioni.


Facciamo quindi inferenze per sviluppare l'autoconsapevolezza sui nostri stati emotivi.

Abbiamo due tipi di autoconsapevolezza: privata e pubblica.


Quando ci focalizziamo su aspetti interni, privati di noi stessi ci stiamo occupando
dell’autoconsapevolezza privata.
Quando ci focalizziamo su aspetti pubblici di noi stessi cioè quello che gli altri vedono, stiamo
sviluppando l'autoconsapevolezza pubblica.
Iniziamo a diventare autoconsapevoli cioè iniziamo a riconoscerci come entità a 18 mesi di vita. A
18 mesi il bambino diventa autoconsapevole e da lì può iniziare a sviluppare un senso di sé, di
consapevolezza di sé prima no.

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Gli psicologi hanno dimostrato questo con un esperimento: macchiavano con il rossetto rosso il
naso di bimbi molto piccoli dai 9 mesi in su e poi li mettevano davanti a uno specchio, i bimbi
prima di 18 mesi provano a togliere la macchia di rossetto al naso del bimbo allo specchio quindi
non si riconoscevano, non avevano uno schema di sé mentre dopo 18 mesi bambini iniziano a
togliere dal loro stesso naso la macchia.

L’autoconsapevolezza privata è molto legata agli stati affettivi interni.


Quando sviluppiamo un’autoconsapevolezza privata quindi focalizziamo l’attenzione sugli stati
interni tendiamo ad accentuare gli stati
interni.
Le persone molto autoconsapevoli della
propria sfera privata cioè emotiva
vivono le emozioni con molta intensità,
se sono felici si sentono super felici, se
sono tristi non fanno altro che
lamentarsi perché sono sempre in
contatto con questo tipo di
autoconsapevolezza.
È importante l’autoconsapevolezza
perchè ci permette di riflettere
accuratamente su quello che abbiamo
fatto nel passato, correggere gli errori.
Lo facciamo sempre sulla base delle emozioni che abbiamo vissuto.
Più abbiamo un’autoconsapevolezza privata, più conosceremo noi stessi in modo dettagliato
quindi faremo aderire i nostri comportamenti ai nostri standard personali quindi non è che ci
comporteremo tanto in accordo con le pressioni sociali quindi con i sé normativi ma quanto con il
nostro sè ideale.

L’autoconsapevolezza pubblica è molto legata alla preoccupazione per la valutazione altrui. Le


persone con un'altra autoconsapevolezza pubblica quindi si focalizzano molto sul capire come
appaiono gli altri lo fanno molto spesso perché vogliono apparire in un determinato modo, hanno
forti sé normativi, hanno molta paura di essere valutati negativamente e un grande desiderio di
essere riconosciuti come degni di valore.
Questo può esporre ad una momentanea perdita dell’autostima.
Più sono sul versante consapevolezza pubblica più perdo autostima perché il mio giudizio
personale e la mia auto
consapevolezza su quello che gli
altri pensano di me invece più
siamo basati su noi stessi più ci
proteggiamo soprattutto se
siamo fedeli a noi stessi e alle
nostre identità.
Più ho autoconsapevolezza
pubblica, mi preoccupo di quello
che dicono gli altri, baso il mio
valore personale su quello che
gli altri mi rimandano, più
aderirò alle aspettative degli altri
115
perché diventa per me predominante
nella vita fare quello che gli altri si
aspettano da me.

I due tipi di consapevolezza pubblica e


privata non sono uno l’opposto
dell’altro ma sono due tipi
indipendenti, quindi le persone
possono avere una bassa
autoconsapevolezza privata e un'alta
autoconsapevolezza pubblica o
viceversa oppure possono averle
entrambe alte o entrambe basse.
L'autoconsapevolezza che sia pubblica
o privata ci fa soffrire. Se uno non
riflette tanto su di sé, non ci pensa tanto questo è un meccanismo di difesa.
Cerchiamo quasi di evitare l’autoconsapevolezza e lo possiamo fare in tanti modi.

Cerchiamo a volte di evitare l’autoconsapevolezza e possiamo farlo ad esempio con il consumo di


bevande alcoliche è molto usato come meccanismo per evitare l'autoconsapevolezza. Tende a
diventare una dipendenza nelle persone che non vogliono avere autoconsapevolezza, è
pericolosissimo perchè causa gravi danni alla salute.
Ci sono metodi anche più “puliti” per evitare l’autoconsapevolezza ad esempio tecniche di
controllo dell'attenzione ad esempio quando ci tanto male una parte del corpo e iniziamo a
pensare ad un'altra parte del corpo o ad un altro dolore più piccolo per distogliere l'attenzione dal
dolore più grande. Questa è
autoconsapevolezza corporea ma si può
fare anche con gli stati emotivi interni e
qui aiutano molto le tecniche di
meditazione che partono dal
presupposto di staccarsi dall'ego.
Le persone all’estremo
dell’autoconsapevolezza negativa
tendono a togliersi la vita o anche i
disturbi alimentari, spesso i disturbi
alimentari vengono spesso da una parte
di controllo, un’esigenza di controllo
della propria vita che viene esercitata
sulla corporeità ma soprattutto dal
desiderio di scomparire ai propri occhi.
Quanto tendiamo a uscire dalla
consapevolezza privata tendiamo di più alla
depressione, a parità di episodi tristi, le persone che sono depresse vivono quella depressione più
lunga.

I sé derivano e sono delimitati dai contesti culturali in cui viviamo quindi possiamo creare sé
possibili solo in funzione della cultura nella quale viviamo. Quindi abbiamo un limite nella libertà
individuale, in quello che possiamo essere e prima lo accettiamo prima riusciamo a risolvere la
116
nostra vita semplicemente e a
vivere serenamente.
Prima del medioevo le persone
non avevano sé possibili ma solo
reali e si descrivevano
prevalentemente sulla base di
attributi stabilii: età, genere,
classe sociale.
Poi si è iniziato a lottare per le
pari opportunità e è iniziato ad
aumentare lo spazio di libertà
per la definizione del sé.

Test delle 20 affermazioni di


Zurcher. Le persone si possono descrivere in termini fisici, descrizioni sociali cioè ruoli sociali
quindi appartenenza gruppi, attributi e descrizioni globali (es. sono un essere umano, sono vivo).
Zurcher ha studiato come le persone si descrivano per tanti anni in particolare ha studiato come gli
studenti si sono definiti negli
anni 50-60 e poi ha ripetuto
questo esperimento negli anni
70.
Ha trovato delle differenze nette
nel modo in cui le persone si
riscrivano: prima erano molto in
termini sociali mentre poi hanno
iniziato a usare molto gli attributi
quindi una maggiore tendenza
all’individualismo cioè mi giudico
in base a me e non al contesto
nel quale sto.

Questo deriva dalla cultura


individualista.
Individualismo cioè dare priorità
ai propri obbiettivi personali e anche alla definizione dell’identità in termini di attributi personali è
tipica delle culture individualistiche occidentali e creano un sé idiocentrico cioè gira tutti in torno a
sé. I valori di una persona altamente idiocentrica sono libertà, realizzazione di sé e creatività.
Collettivismo è il contrario, società dove si da molta importanza all’appartenenza al gruppo, mi
definisco molto in termini di gruppo (questo è molto tipica delle culture orientali come in Cina
dove si dà molto peso alla reputazione della famiglia più che alla reputazione del singolo, il singolo
cercherà sempre di portare avanti il bene della famiglia e della sua comunità più che il bene in sè
stesso) in questo caso il sé è allocentrico cioè centrato sugli altri e questo porta a ricercare
conformità, sicurezza, uguaglianza.

117
Quando siamo molto
individualisti e viviamo in
contesti molto individualisti
tendiamo a descrivere il nostro
sé in termini guardando molto
ai nostri attributi personali e
questo deriva molto
dall'educazione che abbiamo
all'interno di quei contesti.
Nelle culture collettiviste invece
si da molto peso alla
collaborazione e quindi
sviluppare doti nello stare con
l'altro, quindi obbedienza,
dipendenza.
La distinzione culturale non è soltanto nella definizione del sé in generale ma anche in termini di
genere. In passato c'era una differenza educativa tra uomini e donne inscrivibile.
Gli schemi di sé sono molto culturali non soltanto della cultura enorme intorno a noi quindi dei
macro sistemi, ma anche dei micro sistemi nei contesti proprio familiari.

Quindi sulla base di questo e


dell'interazione tra contesto e
persona, abbiamo sé più
ideocentrici indipendenti e sé più
allocentrici interdipendenti.
Il motto interdipendente è anche
“l'importante è partecipare”.

Quindi all'interno della cultura conosciamo


sé attraverso l'autoconsapevolezza legata
all'introspezione e autopercezione
osserviamo i nostri comportamenti o
intuiamo i nostri comportamenti e
vediamo anche i feedback che abbiamo
nell'interazione sociale.

118
L’introspezione è guardarsi dall’interno.
L’essere molto introspettivi può avere
conseguenze molto negative. È utile
perché si tende a migliorare ma non è
detto che chi è molto consapevole di sé
tende a migliorare perché ci vogliono delle
strategie a parte per migliorare.
In generale l'introspezione è uno
strumento non accurato.
Molto spesso quando iniziamo a pensare a noi stessi non arriviamo a una conoscenza di noi stessi
approfondita ma molto spesso creiamo solo una serie di sovrastrutture difficili da scardinare e
questo accade perché abbiamo dei bias nel ragionamento.

Wilson, Laser e Stone vogliono studiare


come conosciamo il nostro sé e fanno fare
un esercizio ai ragazzi di prendere nota
delle loro emozioni giornaliere, del meteo
e delle ore di sonno. I ricercatori
scopriranno che le persone creavano delle
teorie implicite e collegavano il meteo e le
ore di sonno con il loro stato emotivo. Le
analisi statistiche invece dimostravano
che le emozioni erano scollegate ma loro
erano convinti di questa correlazione
illusoria perché su quegli aspetti della
realtà quindi li avevano messi insieme
nella stessa categoria e li avevano messe in relazione tra loro per via di un bias.

Tra le varie teorie che cercano di


spiegare come ci conosciamo, c’è
quella dell’autopercezione di Bem
seconda la quale le persone ricavano
informazioni rispetto ai propri stati
interni, più emotivi che cognitivi,
osservando il proprio comportamento.
Tendiamo a spiegare le nostre
emozioni in base a fattori esterni,
contestuali di situazioni in cui
eravamo. Partiamo dall'esterno e da
quello osserviamo anche il nostro
comportamento dall'esterno per
dedurre quello interno.
Questa strategia di riflettere sul nostro comportamento può essere utile per capire parti di noi
stessi e può spaventare perché magari uno può pensare che magari non arriverà mai a conoscersi
fino in fondo.
Bem però non voleva arrivare a una tesi così estrema ma voleva soffermare il fatto che molto
spesso soprattutto quando non ci vogliamo impegnare tanto nel capire i nostri stati interni
tendiamo ad osservare il nostro comportamento per capirli.
119
Ricerca di Olson: i partecipanti
leggono delle barzellette e ascoltano
delle risate di sottofondo. Ci sono tre
gruppi: ad un gruppo viene chiesto di
leggere le barzellette e gli viene
detto che le barzellette fanno ridere,
ad un altro gruppo viene chiesto di
leggere le barzellette e viene detto
che nei precedenti ascoltatori le
risate di sottofondo non aveva in
alcun modo spinto a ridere di più, in
un altro gruppo avevano detto che le
risate di sottofondo tendevano a
ridurre il fatto di ridere.

I ricercatori hanno osservato che le


persone che si aspettavano
un'influenza negativa dall'esterno,
quelle che aspettavano che le
barzellette non facevano ridere
neanche con il sottofondo di risate,
tendevano a rileggere più volte la
barzelletta rispetto invece a chi sapeva
che le barzellette erano divertenti che
gli altri avevano riso con le risate di
sottofondo. Coloro a cui che era stato
detto che le risate non facevano ridere
si concentravano di più.

Questo vuol dire che ci


comportiamo e capiamo molto di
noi stessi in base a ciò che succede
intorno a noi e consideriamo il
motivo del nostro comportamento.
Possiamo avere due tipi di
motivazioni:
 intrinseca facciamo
qualcosa per il piacere di
farlo.
 estrinseca lo faccio perché
mi permette di avere dei
vantaggi e non perché mi diverte.
Noi cerchiamo sempre di capire se siamo motivati a fare qualcosa perché lo vogliamo veramente
noi o perché riceviamo dei vantaggi nel farlo.

120
Esempio un bambino è molto felice di andare in
bicicletta e quindi gioca sulla bicicletta tutto il
giorno, la madre che è felice che il bambino vai in
bicicletta perché è salutare, pensa di dargli un
incremento della paghetta tutti i giorni che pedala.
Questo bambino inizialmente andrà in bicicletta
ma poi siccome per lui diventerà un lavoro,
qualcosa da fare per prendere una ricompensa
esterna tenderà man mano ad andare sempre
meno in bicicletta, via via vedrà l'andare in
bicicletta come un obbligo, come qualcosa che ci
viene imposto dall'esterno.
Questo effetto è chiamato di sovragiustificazione o ipergiustificazione cioè quando pensiamo di
essere costretti a fare qualcosa per ricevere un premio o evitare una punizione tendiamo a essere
meno motivati a fare quella cosa.
Se siamo rinforzati dall'esterno e non abbiamo motivazioni interne tendiamo a perdere interesse
nei confronti delle cose.

In una classe è stato fatto un esperimento


dove sono stati aggiunti dei giochi
matematici e hanno osservato per un certo
periodo quanti bambini giocavano con
questi giochi di matematica e i bambini
inizialmente ci giocavano per un bel po’,
dopodiché è stato inserito un premio quindi
chi giocava ai giochi matematici riceveva dei
premi dalle maestre quindi tutti hanno
iniziato a usarli anche quelli che non ci
giocavano prima. Con il tempo il fatto di
ricevere premi ha fatto si che tutti i bimbi
media smettessero di giocare con i giochi
aritmetici.
Questo significa che avere ricompense esterne non sempre è utile.

Premiare è giusto quando la motivazione


intrinseca, es. il bambino è pigro quindi è giusto
premiarlo pur di farlo alzare e usare la bicicletta
ma quando noi smetteremo di dargli i soldi il
bambino smetterà di usare la bicicletta,
smetterà subito quindi serve solo per attivare
un po’ di motivazione.
Le ricompense possono essere di due tipi:
dipendenti dal compito o dipendenti dalla
prestazione.
Dipendenti dal compito vuol dire che se ti
impegni ricevi il premio aldilà di quanto fai bene il compito; le ricompense dipendenti dalla
prestazione invece derivano da come compito è stato completato quindi se fai bene il lavoro ricevi
il premio.
121
Funzionano in generale di più le ricompense dipendenti dal compito meglio perché i compiti della
prestazione tendono a ridurre la motivazione intrinseca e questo è scientificamente provato
quindi è molto meglio premiare l’impegno piuttosto del perché raggiunto l'obiettivo, prima di tutto
perché la dipendenza rispetto al compito è immediata perché io mi sto impegnando adesso quindi
ricevo il premio adesso e in più perché se penso di non riuscire non sarò motivata a raggiungere
quella ricompensa della prestazione oppure perché se non raggiungerò la prestazione e mi sono
impegnata tantissimo mi sentirò una schifezza.

Quando facciamo qualcosa che riteniamo


piacevole, che a noi piace fare se
riceviamo una ricompensa esterna
iniziamo a pensare che lo stiamo facendo
perché ci pagano, ci danno quella
ricompensa e quindi baseremo tutto su
una motivazione al di fuori di noi stessi e
non coltiveremo la nostra motivazione
intrinseca o non la noteremo e questo ci
porterà col tempo a smettere di investire
in quella motivazione e magari investire
in altri tipi di motivazione intrinseca.
Invece se io faccio un'attività e non trovo
nessun tipo di condizionamento esterno
cioè mi chiedo perché lo sto facendo se nessuno mi obbliga a farla, nessuno mi dice brava perché
lo sto facendo e non ci guadagno nulla a farlo, allora lo faccio perché evidentemente mi piace e
aumenta così tantissimo la mia motivazione intrinseca, lo vedo come parte della mia identità.

Conosciamo noi stessi anche


confrontandoci con altri e lo facciamo in
maniera innata, ce lo insegnano a farlo
notando gli altri quanto sono più bravi
di noi e tendiamo a scegliere dei
modelli da seguire e ci confrontiamo
con loro.
Ma siamo prudenti nel farlo perché
tendiamo sempre a confrontarci con
persone simili a noi perché così
proteggiamo la nostra autostima, alcuni
addirittura tendono a confrontarsi al
ribasso cioè tendono a confrontare se
stessi con persone inferiori a loro.

122
Il modo con cui ci confrontiamo con gli altri
determina questa valutazione positiva o negativa
che abbiamo di noi stessi, l'autostima.
Quanto più ci confrontiamo con gli altri più il
valore che abbiamo di noi, quella valutazione
positiva o negativa che abbiamo di noi deriva da
come sono gli altri, dal confronto sociale quindi
deriva anche dagli altri che prendiamo come
confronto, chi sono e cosa fanno.
Invece più seguiamo i nostri sé ideali nel giudicare
noi stessi nel nostro valore più l’autostima sarà
influenzata dall’esterno.

Il confronto al ribasso è poco


informativo perché non ci induce
a migliorare, capire cosa
migliorare su noi stessi ma che ci
permette di tutelare la nostra
autostima.
Se invece mi confronto con un
campione sappiamo che quelle
cose lì noi non le faremo mai, è
molto informativo perché sono
molto informata sulle cose che
non farò mai ma lede la mia
autostima perché in confronto al
campione sono forse meno di
zero.
Il confronto ottimale è confrontarci con una persona simile a noi.
I confronti derivano dal contesto, dalle persone che abbiamo disponibili per il confronto. Tutti
questi confronti li facciamo con persone intorno a noi, quindi non solo persone simili ma anche
vicine a noi. Quindi più siamo in contesti dove sono tutti performanti più tenderemo ad avere un
giudizio basso di noi, ecco perché molte si scelgono amiche racchie.

18/03/2022
ATTEGGIAMENTI E
COMPORTAMENTO
L’atteggiamento non è il nostro modo di comportarsi.

La parola atteggiamento viene dal latino aptus che


significa adatto e pronto all’azione perché agli inizi si
pensava che l’atteggiamento fosse il più grande
motivatore del comportamento delle persone.

123
All’inizio in psicologia sociale le prime
idee erano che se si conosceva
l’atteggiamento delle persone si poteva
predire il loro comportamento.

Questo perché l'atteggiamento viene


definito come una tendenza psicologica
che si esprime valutando una
determinata entità con un certo grado di
favore o sfavore. L’atteggiamento è una valutazione in termini negativi o positivi di qualcosa o
qualcuno quindi oggetti, gruppi, eventi sociali.
L’atteggiamento non riguarda l’umore che è lo stato d’animo che si differenzia dalle emozioni
(emotion in movimento) che sono stati transitori.
L’umore ha una durata molto più lunga, più permanente.
L’atteggiamento non è neanche una conoscenza, ovvio per avere un atteggiamento nei confronti
di qualcosa dobbiamo averne una conoscenza ma non approfondita. Infatti il pregiudizio è una
forma di atteggiamento ma è pre-giudizio proprio perchè formiamo in quel caso una valutazione di
connotazione negativa verso qualcosa che non conosciamo bene quindi è un giudizio a priori
difatti chi ha forti pregiudizi
anche di fronte alle prove del
fatto che si sbaglia continua a
mantenere quella valutazione
negativa.

Lo studio di atteggiamento è
uno dei temi più studiati in
psicologia sociale.
I primi autori sottolineavano
l’idea che l’atteggiamento fosse
uno stato mentale di prontezza
all’azione, si pensava influisse
direttamente il nostro
comportamento, correlazione
molto stretta tra atteggiamento
e azione.
Da questo però si scopri che l’atteggiamento non si può misurare direttamente cioè non si può
dedurre solo dal comportamento delle persone, l’unico modo è chiederglielo (magari con un
questionario).

124
Le prime teorizzazioni più sistematiche del concetto di atteggiamento includono il modello
tripartito degli atteggiamenti di Rosenberg e Hovland.
Secondo questi attori l'atteggiamento ha tre componenti, è anche detto modello ABC (affect
behaviour cognition ovvero componente cognitiva, componente affettiva dell'atteggiamento e
componente comportamentale).
 La componente cognitiva riguarda le informazioni e credenze verso un oggetto, es.
crediamo che quell’oggetto sia utile a qualcosa.
 La componente affettiva riguarda la valutazione dell'oggetto, evento sociale in termini
emotivi cioè che emozioni suscita.
 La componente comportamentale richiama l’idea di prontezza all’azione, ci spinge ad
un’azione di avvicinamento o allontanamento vero quell’azione.
All’inizio queste componenti si pensavano distinte oppure che si dovessero averle tutte e tre, con
gli studi successivi si arrivò a dire che si poteva averne anche una o due e non per forza questa
una, due o tre andavano tutte nella stessa direzione positiva o negativa.
Ad esempio l'atteggiamento verso un gruppo sociale come ad esempio i russi: la componente
cognitiva sono gli aspetti che attribuiamo ai russi, la componente affettiva sono le emozioni che mi
suscitano pensare ai russi e la componente comportamentale e cosa mi sento di fare quando vedo
i russi. Questi atteggiamenti diventano di primaria importanza nelle discriminazioni razziali. Il
pregiudizio è proprio l’azione della componente comportamentale negativa.

125
Nei confronti di un soggetto
sociale possiamo ritenere
alcuni attributi positivi e altri
negativi.
Oppure possiamo essere
indifferenti. L’indifferenza è
molto presente quando non
abbiamo idee e conoscenze.

Quando studiamo l’atteggiamento


dobbiamo differenziarlo dal
pregiudizio che è come se fosse una
sotto categoria dell’atteggiamento
perchè è sempre negativo.
Quando parliamo di pregiudizio
dobbiamo richiamare il concetto di
stereotipo che è l’anticamera del
pregiudizio, lo stereotipo è la
creazione di insieme di credenze che
ci permettono di fare categorie
mentali. Lo stereotipo di per sé ha
una valutazione né negativa né
positiva, può addirittura non avere
valutazione.
Se ci aggiungo una valutazione quello stereotipo diventa un atteggiamento, se la valutazione è
negativa abbiamo il pregiudizio.
Gli stereotipi si caratterizzano per essere condivisi socialmente.

126
Creiamo queste valutazioni mentali di quello
che c’è nella realtà per risparmiare energia
così ogni volta che incontriamo con l'oggetto
già abbiamo pronta una valutazione e creiamo
queste valutazioni anche per proteggerci
perchè riconoscendo quell’oggetto e gruppo
sociale e attivando una valutazione negativa o
positiva sappiamo già cosa fare.
Quindi la funzione principale
dell’atteggiamento è utilitaristica.

Katz individua 4 funzioni


distinte atteggiamento:
Conoscitiva, gli atteggiamenti ci
permettono di elaborare
velocemente le informazioni in
ingresso.
Se influenzano le informazioni
in ingresso significa che
influenzano anche il modo in
cui noi elaboriamo la realtà, la
percepiamo quindi in sostanza
gli atteggiamenti influenzano
anche la memoria.

Gli atteggiamenti hanno una


funzione egodifensiva, ci
proteggono.

127
Gli atteggiamenti ci permettono di
esprimere i nostri valori. Cioè noi
attraverso i nostri atteggiamenti
positivi o negativi esprimiamo i nostri
valori.
Ad esempio ci sono persone che
attribuiscono tantissimo importanza al
valore dell'universalismo che adesso
sta diventando un valore sempre più
sentito, avere un valore di
universalismo significa dare molta
importanza alla protezione della
natura, all'altro, al contesto intorno a
noi cioè un sentirsi parte di qualcosa
di più grande di noi che è da
proteggere e da tutelare quindi tutti gli atteggiamenti pro-ambientali di sostenibilità derivano da
questo valore dell'universalismo. Quindi quando mostrerò una valutazione positiva in tutte le
posizioni pro ambientali starò esprimendo il mio valore dell'universalismo.
Se invece do importanza successo personale e valuto positivamente quelle persone che hanno
avuto ricchezza, successo, potere, ecc.

Infine gli atteggiamenti hanno una


funzione strumentale e di
adattamento sociale. Spesso
assumiamo atteggiamenti di quelli
intorno a noi per essere accettati,
arriviamo a cambiare anche il nostro
atteggiamento per essere accettati.
Tendiamo ad adattarci a quello che
fanno gli altri.

Gli atteggiamenti li formiamo attraverso


l’esperienza diretta con oggetti o
soggetti sociali.
Gli atteggiamenti che derivano
dall’esperienza diretta sono molto
radicati, difficilmente si cambia e sono
molto chiari nelle persone, le persone
sono molto consapevoli degli
atteggiamenti che abbiamo creato con
esperienza diretta.

128
Ma gli atteggiamenti si possono
creare con l’effetto di mera
esposizione.
In generale noi tendiamo a
confermare quello che sappiamo già
ed apprezzare quello che è familiare
e quello che è nuovo ci può
incuriosire ma di solito, soprattutto
quelle persone che hanno una
chiusura cognitiva, tendono ad
evitare tutto ciò che è nuovo.
La moda è un grande esempio di
mera esposizione. Iniziamo ad
apprezzare quello che è a noi
familiare.
Es. il tormentone dell’estate che magari all’inizio non ci piacciono e poi finiamo per canticchiarla
anche noi ma la ascoltiamo talmente tanto che poi arriviamo a non sopportarla più.

Esperienza anche però mediata o


diretta cioè ascoltiamo e
osserviamo il comportamento
d’altri e ne assumiamo gli
atteggiamenti.

129
Possiamo imparare anche per
condizionamento.
Pavlov fece un esperimento. Pavlov
scopre che il cane saliva quando
vede cibo, Pavlov è un medico,
fisiologo, in realtà sono
esperimento non era psicologico
perché lui stava studiando i succhi
gastrici degli animali e scoprii che i
cani quando venivano esposti al
cibo iniziavano a salivare di più.
Ad un certo punto osserva che
salivavano anche quando vedevano
le persone che gli portavano il cibo anche senza aver visto direttamente il cibo. Si incuriosisce per
questa osservazione e inizia a sperimentare com'è possibile che i cani associno questo istinto della
salivazione che in realtà è un riflesso incondizionato ad altro e quindi perché questa risposta
innata ad uno stimolo incondizionato poste realtà essere associata a qualcosa di condizionato.
Com’è possibile che lo stimolo neutro della persona che andava a portargli il cibo, solo la persona,
diventi ricco di significato tanto da attivare una reazione innata.
Studia questo introducendo nell’esperimento un campanello. Inizia a far vedere ai cani la pappa
suonando il campanello e dopo un po’ di esposizione vede, osserva che i cani iniziano a salvare
anche al suono del campanello anche quando non è associato al cibo e quindi lo stimolo neutro del
campanello diventa poi stimolo condizionato perché attiva una risposta innata.
Questo è un esempio fatto sugli animali ma in realtà è assolutamente vero.

Sviluppiamo atteggiamenti osservando anche i


nostri comportamenti, collegato alla teoria
dell’autopercezione di Bem.

L’esperimento è un gruppo di persone


guardano delle vignette umoristiche tenendo
una penna tra i denti in modo da alzare le
labbra come se fosse un sorriso mentre un
altro gruppo guarda le stesse vignette
umoristiche ma tiene la penna tra le labbra
serrate quindi simulando involontariamente
un'espressione del viso che simula fastidio.
Osserva che le persone che avevano visto le
vignette con la penna tra i denti simulando un sorriso avevano gradito di più le vignette e le
avevano trovate più divertenti.

130
Questo vuol dire che le persone avevano dedotto la piacevolezza, il
divertimento di quelle vignette sulla base dell'osservazione del loro
comportamento.

Possiamo sviluppare atteggiamenti attraverso comunicazioni di massa


es. ascoltare tv.
L’atteggiamento rispecchierà quello che sta ascoltando in tv. Quindi sta
sviluppando un atteggiamento perché è esposto a comunicazioni di
massa.
- Quando riteniamo che la fonte di quella comunicazione è
potente svilupperemo acquiescenza cioè assumeremo
quell’atteggiamento di quella fonte potente perché abbiamo
paura che non accettare quell'atteggiamento possa comportare
delle problematiche.
- Quando la fonte è attraente perché magari è simile a noi o
perché è attraente e vorremmo assomigliarli assumeremo gli
atteggiamenti di quella persona
attraverso identificazione.
- Interiorizzazione quando la fonte è
credibile, mi impegno ad assumere
quell’atteggiamento perché la fonte è
credibile.

Gli atteggiamenti sono, come qualsiasi schema


mentale, stabili nel tempo, non sono facilmente
cambiabili.
Possono essere sia generali o limitati a specifici eventi.

131
Gli atteggiamenti se non cognizioni, nella
mente non possiamo osservarli
direttamente ma dobbiamo desumerli e lo
possiamo fare utilizzando le misure
fisiologiche quindi gli indici corporei
(pupille dilatate, battito del cuore).
Le informazioni sono così limitate e
suscettibili da influenze esterne.
Le misurazioni fisiologiche sono poco
utilizzabili perché sono dispendiose e
complicate per i processi (richiamare

Quindi possiamo utilizzare indizi derivanti dalle


azioni cioè a seconda di come si comportano
Tra queste tecniche c’è la macchina della
verità, la macchina della verità misura le
risposte emotive e gli atteggiamenti, si
sottopongono i soggetti a tutta una serie di

Oppure abbiamo i questionari che è sempre


una misura indiretta. Le scale Likert ad esempio.

132
Oppure possiamo usare il differenziale semantico.

RELAZIONE TRA ATTEGGIAMENTO E COMPORTAMENTO


Ovvero quanto, se io capisco l'atteggiamento delle persone, riesco a prenderne il comportamento.

Lo studio dell’atteggiamento nasce perché gli psicologi sociali volevano predire il comportamento
delle persone, spiegare perché le persone si comportano in quel modo ma soprattutto predire
cosa potrebbero fare nel futuro e quindi iniziano a studiare gli atteggiamenti.
La Piere fa un esperimento che distrugge l’idea che l’atteggiamento possa predire il
comportamento delle persone.
Va in America con una coppia
cinesi (nel 1934 c’erano
pregiudizi razziali assurdi nei
confronti dei cinesi in America),
si presenta negli alberghi e
chiede se possono ospitare la
coppia di cinesi, 249 su 250
strutture accettano di ospitare la
coppia di cinesi. A distanza di
tempo manda dei questionari a
questi albergatori misurando gli
atteggiamenti nei confronti dei
cinesi chiedendo se fossero
risposte ad ospitarli, due di picche
origini cinesi non vogliono ospitarli
vuol dire che la misurazione di
atteggiamento era sbagliata.

Scoppia una guerra tra psicologi alcuni dicono che l’atteggiamento prevede il comportamento altri
dicono di no e altri sono intermedi.
Wicker analizza 47 ricerche che avevano misurato sia
l'atteggiamento che il comportamento delle persone e
scopre che molto spesso gli atteggiamenti non hanno
correlazione con il comportamento e quindi conferma la
tesi di La Piere.

La disponibilità si basa sul giudicare oggetti ed eventi sociali


considerando quello che più velocemente viene in
memoria.
133
Questo succede anche quando
recuperiamo atteggiamenti, se un
nostro atteggiamento lo
recuperiamo sempre torna più
facilmente in memoria ed è più
forte il legame tra atteggiamento e
comportamento e quindi è più
facile che corrispondano.

Quindi gli psicologi iniziano a


studiare la forza degli
atteggiamenti, le caratteristiche
dell’atteggiamento sono le stesse
degli schemi mentali già visti:
 Accessibilità
 Chiarezza
 Stabilità
 Certezza
Fazio definisce l’atteggiamento come struttura cognitiva costituita dall'associazione in memoria tra
la rappresentazione
dell'oggetto e la sua
valutazione.
Atteggiamenti forti hanno più
possibilità di tradursi in
comportamenti coerenti.

Da questo nasce il modello


aspettativa più valore.
Secondo Fishebein e Ajzen,
grandi psicologi sociali,
propongono che quando
creiamo un atteggiamento
innanzitutto consideriamo le
conseguenze del
comportamento.
Per ciascuna conseguenza che
prevediamo abbiamo una valutazione
positiva o negativa cioè attribuiamo un
valore a ciascun attributo di quel
comportamento.
La somma algebrica di queste azioni
determineranno un atteggiamento
favore o sfavorevole o ambivalenti.

Finora gli atteggiamenti studiati erano


specifici ma gli studiosi volevano
studiare gli atteggiamenti generali.
134
Un atteggiamento specifico predice un comportamento specifico mentre un atteggiamento
generale non predilige un atteggiamento specifico.
Ajzel ha suggerito che il comportamento può essere predetto solo da un atteggiamento molto
specifico.

Secondo Ajzen per definire comportamenti e atteggiamenti compatibili tra loro cioè che hanno lo
stesso grado di compatibilità lo possiamo fare guardando all’obbiettivo, all’azione, al contesto, al
tempo e alla natura personale delle azioni.

Es. L'atteggiamento delle persone nei confronti del consumo di vino, può essere un atteggiamento
positivo o negativo. Ipotizziamo di fare una cena a casa e chiedere ad un amico di portare il vino
per predire se la persona ci
porterà il vino e quale tipo di
vino non possiamo dedurlo dal
suo atteggiamento generale nei
confronti del vino ma
innanzitutto dobbiamo chiarire
il contesto, poi dobbiamo
pensare bene a che tipo di vino
(es. bianco), a che
atteggiamento avrà nei
confronti dell'acquisto di vino
se in enoteca o al
supermercato.
Quindi dobbiamo predire bene tutti diversi tipi di
atteggiamento che hanno nei confronti del vino bevuto
in determinate circostanze, acquistato in determinati
luoghi, per determinati motivi, ecc.

A partire da questa definizione di atteggiamento e per


predire di più il comportamento Ajzen propone la teoria
dell’azione ragionata.
Secondo Ajzen il comportamento delle persone deriva
da una pianificazione interna intenzionale a voler agire,
questa pianificazione è l'intenzione.
L'intenzione però a sua volta è predetta
dall'atteggiamento cioè da quali conseguenze si pensano
di ottenere positive o negative dall'intenzione e come
valuta le conseguenze.
Ajzen però si rende conto che c'è un'altra componente
da tenere conto se vogliamo predire il comportamento delle persone ossia la norma soggettiva.
La norma soggettiva deriva dalla pressione sociale, le credenze che abbiamo rispetto a quello che
gli altri si aspettano da noi e anche la motivazione a volerli compiacere, aderire a quelle
motivazioni degli altri.

135
Io però posso anche percepire che
gli altri hanno delle aspettative nei
miei confronti ma non essere
motivato a compiacere quelle
aspettative.
Quindi se vogliamo predire il
comportamento non basta sapere
cosa pensano le persone e che
atteggiamenti hanno, ma dobbiamo
anche pensare a come sono
influenzati o meno dalla società e
dagli altri.
Si chiama norma soggettiva e non
individuale perché sono percezioni
individuali. La norma soggettiva non è quello che la persona ritiene sia giusto o sbagliato perché
non soggettiva nel senso di norma personale ma è soggettiva perché è la percezione che la
persona ha della norma sociale.

La norma sociale è quello che gli altri per me significativi ritengono sia opportuno no, sia giusto
oppure no.

Questa teoria è stata criticata. Però alcuni teorici dissero che è possibile che gli altri si aspettano
da me che ad esempio io mangio tanta verdura e penso che sia giusto farlo e voglio farlo ma
secondo l'università e tutto quello che l'università mi offre da mangiare è junk food quindi io non
posso mangiare verdura.
Ajzel allora cambia il nome della teoria in teoria del comportamento pianificato e aggiunge un
altro fattore che è la percezione di controllo comportamentale ovvero se siamo intenzionati a fare
qualcosa ciò deriva dagli atteggiamenti, dalla norma soggettiva e da quanto Io credo di poter fare
quel comportamento, quanto pensa di controllare l'esecuzione di quel comportamento.
Questa percezione di controllo si basa sulla percezione di avere risorse interne necessarie ma
anche risorse esterne. Esempio del piatto di verdure devo essere in grado di saper cucinare le
verdure, saperle scegliere e selezionare e devo avere anche delle risorse esterne che mi
permettono di acquistare verdura fresca (soldi, tempo per andare al supermercato, cucina
attrezzata, ecc.).

136
A seguito del comportamento la volpe ha cambiato il suo atteggiamento.
Ci sono casi in cui l’atteggiamento non predice il comportamento ma è il contrario, il
comportamento determina l’atteggiamento delle persone o la modifica dell’atteggiamento.

Festinger uno dei padri della psicologia


sociale che uscì dal suo laboratorio per
studiare.
Nel 1957 a Minneapolis c’era una setta
chiamata ai cercatori, in questa setta c'era un
profeta che parlava di questi alieni del
pianeta Clarion che si chiamavano i guardiani
del pianeta Clarion che amavano gli esseri
umani, poi si sono arrabbiati e volevano
distruggerli. Il profeta disse che i guardiani
avevano deciso di distruggere il mondo e
tutti gli uomini sarebbero stati distrutti ma
che sarebbero apparsi questi guardiani in un
certo parcheggio a Minneapolis.
Tutti i ricercatori di questa setta lasciarono il lavoro, a casa e aspettarono disperati in quel
parcheggio, stettero una settimana circa in quel parcheggio ad aspettare i guardiani che
ovviamente non arrivarono e il mondo non crollò.
Questi ricercatori non lasciarono il loro credo ma cambiarono l'atteggiamento iniziarono a dire che
erano stati talmente fedeli lasciando tutto per aspettarli nel parcheggio al punto che i guardiani
avevano deciso di salvare l'umanità.

Festinger cerca di spiegare questo


comportamento con la teoria della
dissonanza cognitiva secondo cui ci sono
casi in cui i nostri comportamenti
tradiscono i nostri atteggiamenti cioè ci
comportiamo in maniera opposta a quello
che pensiamo sia giusto e di valore. In
questi casi siccome abbiamo già agito ci
137
sentiamo male cioè viviamo quello che Festinger definisce la dissonanza cognitiva cioè una
tensione emotiva che ti fa stare male. Il problema, il comportamento è fatto quindi l'unico modo
per ridurre questa dissonanza cognitiva è cambiare il nostro atteggiamento cioè giustificare il
nostro comportamento cambiando l’atteggiamento.

Festinger dimostra questo con un


esperimento.
Due gruppi di studenti divisi in due
gruppi però entrambi fanno un
compito motorio noioso. Ad un gruppo viene chiesto di mentire dicendo a quelli che veniva dopo
che il compito non era noioso per 1 dollaro e all’altro gruppo viene chiesto di fare la stessa cosa
per 20 dollari (20 dollari all'epoca in cui è stato fatto l'esperimento erano una cifra altissima, erano
tipo 200 € di adesso).
Poi viene chiesto a loro quanto era davvero noioso, quelli che avevano preso 1 dollaro hanno
valutato il compito come meno noioso (cambio di atteggiamento), mentre quelli che avevano
preso 20 dollari hanno continuato a dire che era noioso.
È successo questo perché i soggetti sottoposti all’esperimento hanno cercato di convincere in un
certo senso si sono anche autoconvinti cioè i soggetti cercando di convincere gli altri si sono anche
autoconvinti. È Successo anche nel gruppo i 20 dollari che hanno dovuto convincere gli altri e lo
hanno fatto perché 20 dollari lo prendono più come un convincere l'altro ma tanto io ho un
compenso.
È una giustificazione insufficiente il fatto di avere avuto 1 dollaro per aver mentito, la persona al
momento l'ha fatto perché lo sperimentatore gli ha chiesto di mentire ma poi ragionando sia un
po’ pentito di avermi mentito soltanto per 1 dollaro quindi ho cercato di convincere sé stesso che
non era così noioso in modo che la menzogna non era una vera e propria menzogna. Mentre chi si
è intascato 20 dollari se mi hai fregato della bugia perché avrà pensato che i suoi amici lo
capiranno se dirà che ha avuto un compenso di 20 dollari per dire con la bugia, quindi in questo
caso la giustificazione era sufficiente.
Mentre in quelli dell’un dollaro sono
entrati in dissonanza cognitiva e hanno
cambiato il loro atteggiamento per
giustificarsi.

138
Il gruppo di controllo erano quelli ai
quali non era stato chiesto di mentire
ma hanno subito la menzogna e basta.

22/03/2022
TEMA AGGRESSIVITÀ
Quando parliamo di aggressività
dobbiamo considerare cosa intendiamo
per comportamento aggressivo che può
essere violenza fisica/corporea ma
esistono varie modalità attraverso cui la
violenza può essere espressa,
manifestata ad esempio aggressività
verbale o non verbale.
Il comportamento aggressivo viene spesso definito alle
relazioni uomo a uomo ma in realtà il comportamento
aggressivo può anche essere il comportamento di un
uomo rivolto ad altri esseri viventi o comunque altri

oggetti.
Ci sono situazioni in cui la violenza viene
legittimata come nei contesti famigliari
dare una punizione corporea viene vista
come metodo educativo.
Va sempre però tenuto conto il livello
legale rispetto a come il comportamento
violento viene definito e anche viene
sanzionato e punito, in alcune culture chi
ha la patria potestà dei bambini può
esercitare violenza anche molto
accentuata nei confronti dei figli perché
questo viene visto come metodo
educativo, in altri contesti si legittima
addirittura la violenza domestica nei confronti della donna.

L’aggressività è quando qualcuno infligge in maniera intenzionale un danno.


Quindi la prima caratteristica è l’aggressività.
Si esprime a diversi livelli di intensità ma anche relazionali (genitoriale, coppia).
L’aggressività è molto variabile e si manifesta molto diversamente nelle varie culture.
Diverse definizioni di aggressività in base al contesto e periodo storico in cui la teoria è stata
sviluppata.

139
 Aggressività attiva quando
intenzionalmente è quando
provochiamo danno ad un
altro generico; l’aggressività
passiva è provocare danno
invece non agendo (es. non
interveniamo quando
vediamo una situazione di
violenza).
 Diretta quando c’è contatto
diretto tra la persona
violenza e l’oggetto verso
cui è rivolta la violenza,
contatto corporeo o visivo;
indiretta quando non c’è un contatto diretto tra le persone ad esempio le maldicenze, in
questa categoria rientrano tutti i commenti cattivi sui social.
 Autodirettivi aggressività rivolta su sue stessi es. autolesionismo, suicidio, oppure quando
le persone si offendono da sole; eterodirettivi aggressività rivolta verso l’altro.
 Strumentale la persona non aggredisce per difendersi o per evadere da una minaccia ma lo
fa per ottenere un vantaggio es. un furto con violenza fisica; reattività aggressività in
risposta a qualcosa che riteniamo minaccioso, pericoloso.

C’è una controversia riguardo l’origine e le cause dell’aggressività, se è naturale, è nel nostro DNA
o deriva dalla società.
Noi abbiamo componenti istintuali che ci possono spingere al comportamento aggressivo o
vendicativo ma il fatto che lo esprimiamo in un determinato modo dipende dal contesto in cui
viviamo.
Ci sono aspetti puramente naturali, genetici, fisiologici che spiegano l’aggressività ma ci sono
anche aspetti prettamente culturali. Quindi per ogni comportamento aggressivo possiamo valutare
se è dato da componenti fisiologiche, che parte gioca la genetica in quel comportamento e quanto
invece è dato dalla cultura.
Quando spieghiamo l’aggressività facendo
riferimento ad un fondamento genetico
offriamo, proponiamo una spiegazione
biologica dell'aggressività; mentre quando
consideriamo i fattori ambientali, contestuali,
relazionali che possono generare violenza
utilizziamo una spiegazione sociale.

In psicologia una delle prime spiegazioni


dell’aggressività è stata data da Freud che parte da componenti fisiologiche cioè che il
comportamento aggressivo è parte della natura umana.
Freud elaborò un primo concetto che intende come reazione primordiale all’impedimento che
viviamo quando non possiamo sviluppare istinti e impulsi. Secondo Freud noi ricerchiamo
continuamente il piacere se c’è qualcosa che ostacola la soddisfazione di questo desiderio e ci
sentiamo impediti agiamo in maniera aggressiva.
Poi elaborò uno secondo concetto per spiegare l’aggressività che è la pulsione di morte, secondo
Freud abbiamo una pulsione di autoconservazione che ci spinge a ricercare il piacere quindi una
140
sorta di istinto di vita e la soddisfazione degli istinti e poi abbiamo la pulsione di morte che è
un’energia distruttiva all’interno di noi e quindi l’aggressività è un modo per indirizzare
esternamente questa pulsione di morte.
Questa pulsione aggressiva secondo Freud serve per far prevalere la propria autoconservazione
quindi energia vitale che ci spinge alla soddisfazione del piacere. Freud pensa che la civiltà
imprime queste pulsioni aggressive attraverso norme, anche comandamenti quindi l’essere umano
nella storia ha imparato a sublimare socialmente cioè in modo socialmente desiderabile queste
pulsioni aggressive ossia trasformare una pulsione che non può essere soddisfatta in una pulsione
che può essere soddisfatta, secondo Freud la creazione artistica in particolare è la produzione
scientifica.

All’interno delle spiegazioni biologiche c’è l’etologia che è la scienza che spiega il comportamento
animale.
Secondo l’etologia il comportamento aggressivo è determinato geneticamente e controllato dalla
selezione naturale.
Secondo l’etologia la selezione genetica avviene perché gli organismi che riescono a sopravvivere
fanno si che il loro patrimonio genetico viene tramandato alle generazioni future. Secondo
l’etologia l’aggressività si è tramandata quando chi studia questo crede che l’aggressività è un
istinto endemico quindi fa proprio parte della specie umana.
Secondo l’etologia abbiamo questo istinto per difenderci innanzitutto perchè l’uomo non è solo
predatore ma anche preda. Inoltre essendo noi animali sociali lottiamo per il potere e abbiamo
una stretta gerarchia, se l’uomo è aggressivo può avere più donne e garantire maggiormente la
sopravvivenza del proprio patrimo io genetico.
Si sta perdendo l’istinto di procreazione perché da un punto di vista evoluzionistico si sta
riducendo la necessità della specie umana di sopravvivere ma soprattutto ora tendiamo a
sopravvivere tutti, la selezione naturale non è più così forte e tutti riusciamo a portare avanti il
nostro patrimonio genetico.
Prima il patrimonio genetico che
sopravviveva era quello degli esseri umani
che avevano un fortissimo istinto di
procreazione e quindi procreavano
tantissimo e portavano avanti il loro
patrimonio genetico, chi invece aveva meno
impulsi sessuali, era meno aggressivo, meno
capace di corteggiare le donne non
tramandava il proprio patrimonio genetico.
L’aggressività serve per difenderci e
permettere al nostro patrimonio genetico di
vincere e competere sugli altri.
La struttura dei leoni è molto gerarchica: c’è il capo leone, poi tutte le leonesse e pochi giovani
maschi quando il giovane maschi diventa adulto se ne va a crearsi la sua struttura sociale. Quando
il leone anziano invecchierà verrà attaccato, ferito e allontanato da altri leoni giovani che
cercheranno di prendersi le leonesse che sono loro che cacciano e non i leoni, il leone giovani
dopodiché uccide tutti i cuccioli e le leonesse non li difendono ma lasciano che il maschio nuovo
che ha conquistato la struttura sociale uccida i propri cuccioli perché con questo comportamento
aggressivo il maschio si sta assicurando che non verranno sprecate energie per portare avanti un
patrimonio genetico che non è il suo.

141
L’origine dell’aggressività è tutelare il
proprio patrimonio genetico, le
femmine sono custodi del patrimonio
genetico.

Uno scienziato decise di studiare le


strutture sociali. Partì dal fatto che i
comportamenti che non sono nella
norma derivano dal fatto che viviamo in
un contesto con risorse scarse.
Decise quindi di fare un esperimento
“paradiso dei topo” crea una gabbia
molto grossa, mette dentro 6 o 8 topi
con acqua, cibo e protezione dalle
malattie sempre. I topi si iniziarono a riprodurre ma nonostante ci fossero tutte condizioni da
paradiso vide che iniziarono a comportarsi in maniera aggressiva e violenta senza un reale motivo
e si creano dei ruoli sociali, ci sono topi che comandano che sono molto aggressivi e iniziano ad
attaccare indistintamente tutti, succede
quindi che ci sono gli emarginati che
sono i topi meno aggressivi che
sviluppano comportamenti di
isolamento sociale e ad emarginarsi.
Man mano che aumenta aggressività ci
sono topi che sviluppano una
dipendenza dall’acqua. Le femmine
invece siccome l’aggressività dei topi
maschi aumenta e vengono aggredite
fisicamente, iniziano ad essere molto
aggressive anche loro quindi si crea una
struttura sociale con gli aggressivi, gli
emarginati e le donne sempre più
aggressive. Queste donne aggressive
addirittura nei confronti dei loro stessi cuccioli, arrivano a rifiutarsi di procreare quindi la colonia
continua a crescere ma in maniera sempre minore. I maschi siccome hanno sempre più difficoltà
ad accedere alle donne iniziano a sviluppare comportamenti di omosessualità, dopodiché anche le
donne iniziano sempre più ad emarginarsi e a preferire di stare con le altre femmine e crescere i
cuccioli con le altre femmine. Iniziano a essere così aggressivi all’interno di questo paradiso che
alla fine muoiono tutti nella colonia.
Questo esperimento insegna che abbiamo la tendenza innata a costruire strutture sociali. Ci sono
patrimoni genetici che hanno la tendenza innata a prevalere sugli altri per il proprio piacere,
questa tendenza crea strutture sociali che fa si che chi ottiene meno potere si allontana e si
emargina.

142
L’aggressività da un punto di vista etologico è adattiva e ci permettere di difendere il territorio e
cacciare, crea una struttura sociale che permette la sopravvivenza della specie.

Poi ci sono teorie sociali di spiegazioni, si cercano di comprende le spiegazioni sociali che fanno
prendere l’aggressività.

Una della prima teorie è quella della


frustrazione-aggressività, cioè noi
diventiamo aggressivi perché siamo frustrati
dal fatto che non raggiungiamo i nostri obbiettivi.

Secondo questa teoria noi abbiamo


obbiettivi personali e questo desiderio
attiva in noi un’energia per raggiungere il
soddisfacimento dei nostri obbiettivi.
Se qualcosa interferisce nel
raggiungimento dei nostri scopi
proviamo un senso di frustrazione che ci
porta ad essere aggressivi.
Succede in alcuni casi che l’oggetto che ci
frusta ci impedisce di indirizzare la nostra
aggressività quindi dobbiamo spostare
l’aggressività verso altro che è il capro
espiatorio.
Ci sono vari studi che hanno confermato
questa teoria.
Uno di questi era dividere in due gruppi: uno aveva svolto un compito frustrante e un altro non
frustrante. Poi dovevano supervisionare un altro gruppo che svolgeva lo stesso compito frustrante
con delle scariche elettriche. Il gruppo che aveva svolto il compito frustrante puniva di più, quindi
scosse di maggiore intensità, chi non riusciva a finire il compito rispetto al gruppo di controllo.
Poi in questo studio si è fatto anche un altro esperimento ossia è stata messa accanto alla persona
che svolgeva il compito una racchetta o un'arma e si è visto che in presenza dell'arma si tendeva a
dare scosse molto più alte e punire molto di più le persone che sbagliavano (effetto arma).

143
In sostanza questa teoria spiega
l'aggressività come frutto della presenza
di un ostacolo tra i nostri obiettivi e il loro
raggiungimento.
Uno dei punti forti di questa teoria è aver
dato una spiegazione diversa da quella
prettamente biologica cioè ha inserito
anche le componenti psicologiche nella
spiegazione dell'aggressività. Però non è
solo la frustrazione che genera
comportamenti aggressivi ma esistono
anche altre emozioni che possono generare frustrazione come collera. Possiamo esprimere la
nostra frustrazione non soltanto attraverso comportamenti aggressivi ma anche attraverso altri
comportamenti tipo la depressione, l’adenomia (non trovare più piacere nel fare nulla), l’apatia (il
far nulla) o il pianto (pianto nervoso a seguito di un’arrabbiatura molto grande).

Secondo questa teoria esprimiamo l’aggressività quando abbiamo appreso come esprimerla e la
esprimiamo quando qualcosa ci allerta, eccita non in senso positivo, o che comunque aumenta il
nostro stato biologico di attivazione. Questa eccitazione può derivare da molteplici fonti e secondo
il modello del trasferimento dell’eccitazione
questa attivazione che proviamo quando siamo
di fronte ad una fonte che ci stimola da questo
punto di vista, noi mettiamo in atto il
comportamento aggressivo perché
interpretiamo quell'eccitazione come la spinta
all'aggressività e alla violenza e quella risposta
ci sembra più appropriata.
C’è un intermediario tra l’evento e la nostra risposta comportamentale che sono i nostri schemi
mentali, le nostre interpretazioni, il modo attraverso cui vediamo il mondo; noi vediamo quella
fonte come veramente minacciosa, aggressiva, dobbiamo pensare a quale risposta attivare (e
prendiamo la risposta da quello che sappiamo, già dalla nostra memoria quindi deve essere
appreso quel comportamento) e decidiamo se metterle in atto oppure no, se ci sembra
appropriato metterlo in atto oppure no.

Nelle teorie sociali c’è una delle teorie forse più importanti delle teorie.
Teoria di Bandura disse che il 90% dell’aggressività deriva dalla società sia in maniera diretta sia
perché osserviamo l’aggressività in altre situazioni.
Il comportamento dell’apprendimento sociale dice che noi da piccoli prendiamo modelli e da quelli
apprendiamo come comportarci. Dagli altri
osserviamo i comportamenti e
soprattutto le conseguenze di quegli
atteggiamenti se positive o negative (es.
ottengono quello che vogliono o vengono
puntiti).
Non saremmo l’esatta copia dei genitori ma
apprenderemo tanti atteggiamenti o
144
comunque atteggiamenti di persone molto
vicine a noi.
Questo apprendimento vicario tramite
l’osservazione è fondamentale per spiegare
molti comportamenti e non solo quello
aggressivo.

Vederli dal vivo aumenta la tendenza a


ripeterle semplicemente perché il contesto
in cui viviamo è reale mentre nei film anche
i bambini capiscono che è un film e non è il
contesto in cui viviamo.

Questo spiega anche il ruolo che hanno i


mass media e i social media perché
l’apprendimento vicario non è solo
guardare il contesto in cui viviamo ma
anche guardare un contesto digitale
online.
Vedere dal vivo le azioni aggressive
aumenta la tendenza a ripeterle
semplicemente perché il contesto in cui
viviamo è reale quindi noi diciamo che in
questo contesto noi possiamo
comportarci così, mentre quando
vediamo un cartone animato comunque
un film anche i bambini riescono a capire che quel contesto non è un contesto dove io vivo.

Bandura spiega questo con un


esperimento che si chiama “bobo doll
esperiment”.
I bambini vedono questo adulto che si
comporta in modo aggressivo verso la
bambola pungiball, poi il bambino viene
messo nella stanza con la bambola senza
ricevere istruzioni e imita i
comportamenti aggressivi dell'adulto.
I bambini imitano quello che vedono,
imitano i comportamenti aggressivi quindi
questo spiega l’origine prettamente
sociale del comportamento aggressivo.

Temiamo di non reagire alla violenza che stiamo


subendo con altrettanta violenza es. se una
145
persona entra in casa e mi sta attaccando io dubito che riesco a prendere un coltello e ammazzarlo
per difendermi, probabilmente sarà lui a aggredire me perché io non riesco a mettere in atto quel
comportamento aggressivo, lo temo.
Questo è vero tanto più non siamo desensibilizzati all'aggressività. Se noi siamo continuamente
esposti anche con i videogiochi a scene aggressive tendiamo sempre meno ad essere attivati
emotivamente da quelle scene aggressive quindi quelle scene aggressive ci spaventano meno
riusciamo anche a ripeterle meno.
Quindi noi ci desensibilizziamo a tutto quello che vediamo.
Questo vuol dire che esporre i bambini a immagini aggressive li porterà ad avere meno paura di
ripetere quell'aggressività e anche a reagire con meno attenzione emotiva di fronte alle scene
aggressive.
La desensibilizzazione riguarda anche la sessualità.
L'esposizione a scene aggressive ci porta a non essere più scossi da quelle scene aggressive quindi
aumentano le probabilità che le ripetiamo perché molto spesso noi oggi agiamo aggressivamente
perché abbiamo paura dell'aggressività ma se noi siamo esposti spesso a scene aggressive le
faremo anche noi, saremo più disposte a compierle anche noi quando saremo minacciati perché
non ho la barriera emotiva.
Quindi noi tendiamo ad essere desensibilizzati e questa teoria si chiarisce molto se la trasportiamo
nella sfera della sessualità, uomini e donne oggi di fronte a scene erotiche e sessuali sono molto
attivati di quando invece queste scene erano bandite nella società, prima non si poteva mostrare
in tv neanche un bacio a stampo adesso invece vediamo che c'è moltissima nudità quindi c'è una
desensibilizzazione alla nudità.
Le persone porno-dipendenti sono l'esempio massimo della desensibilizzazione alla sessualità,
sono talmente desensibilizzate che ne devono vedere sempre di più, sempre diverse.
Esiste una desensibilizzazione dalle scene cariche emotivamente e questo nell'aggressività ci rende
più aggressivi, nell'aggressività ci rende più aggressivi sessualmente infatti ci sono molti studi e
prove del fatto che molte persone che hanno aggredito sessualmente delle donne lo hanno fatto a
seguito della visione di materiale pornografico quindi questo ci spiega che l’esposizione continua a
scene di violenza ci porterà essere meno impauriti e sensibili alla violenza e quindi più capaci di
mettere in atto la violenza o di no reagire nei confronti della violenza.

146
I mass media aumentano
l’aggressività perché
vedere scene violente crea
in noi categorie e attiva in
noi schemi relativi cioè
vedere quelle scene
violente cosa mi ricorda
nella mente, altre situazioni
violente o altre situazioni
frustranti. Es. come quando
ci sentiamo tristi
ascoltiamo canzoni tristi
perché si richiamano
stimoli simili e se questi
stimoli sono nuovi
comunque li inseriamo all'interno della nostra memoria e all'interno di categorie e quindi
diventano accessibili.
Quanto più siamo esposti a stimoli violenti tanto più è accessibile in noi la violenza come soluzione
a un problema. Fortunatamente anche film positivi attivano reazioni positive, spronano a
comportamenti positivi anziché
aggressivi.

Se guardiamo agli aspetti della


personalità ci sono alcuni tipi di
personalità che tendono a essere
maggiormente tendenti all’aggressività
così come ci sono attività celebrali che
sono connesse alle risposte aggressive,
danni celebrali soprattutto alla corteccia
e all'amigdala che spiegano l’aggressività
e anche gli ormoni che spiegano
l’aggressività.
Rispetto invece al ruolo del contesto
dell'aggressività abbiamo una spiegazione dell'aggressività a causa dell'uso di alcolici e il fatto di
essere sotto pressione sociale, il vivere all'interno di contesti che spingono ad una maggiore
aggressività quindi contesti che sono sfidanti per esempio ambienti fisici molto caldi e affollati che
aumentano la probabilità di manifestare comportamenti aggressivi e poi ci sono aspetti più
psicosociali: innanzitutto la disinibizione (perdita della propria identità in gruppo e la tendenza a
seguire quello che fa il gruppo anche quando mette in atto atti violenti), disumanizzazioni (quando
non attribuiamo dignità alle persone).

147
Vi è una teorizzazione che può
radivare vari tipi di personalità, in
particolare questa teoria nasce da
tutt’altro, dal voler spiegare perché le
persone sviluppano malattie
cardiovascolari tipo infarti e ictus.
Secondo questa teoria psicosomatica
ovvero che spiega i sintomi e le
malattie organiche come frutto di
problematiche, tendenze psicologiche
e quindi guarda la mente e il corpo
come un tutt'uno, secondo questa
teoria esistono persone con una
personalità di tipo A che si distingue
dagli altri tipi di personalità che è
iperattiva, competitiva, molto indaffarata nel volere raggiungere il proprio successo, vincere sugli
altri, ecc. e questa esasperata competizione porta queste persone ad essere aggressive con tutte le
persone che possono in qualche modo competere. Es. nel contesto lavorativo capi e manager che
fanno di tutto per cercare di mantenere il potere e avere sempre più potere.
La personalità di tipo A si vede anche nei contesti di relazioni coi bambini tendono ad essere
aggressivi, volere il comando anche con i bambini perché vogliono che sia riconosciuta la loro
autorità.

Il comportamento aggressivo può essere spiegato


anche dal punto di vista neuronale.
È stata una scoperta della medical school che
negli ultimi anni ha trovato una proteina BDNF
che può spiegare il comportamento aggressivo e
in particolare noi abbiamo un recettore TrkB di
questa proteina che quando riceve questa
proteina attiva comportamenti di dominanza
sociale.

Gli sperimentatori per testare se è vero e


quanti recettori abbiamo di questa
proteina che spiegano l'aggressività, hanno
fatto degli interventi nei topi e gli hanno
tolto questi recettori.
Le persone con questi ricettori tendevano
a esprimere comportamenti aggressivi e
questa aggressività non era di difesa, non
era reattiva ma strumentale per ottenere
potere.

148
Due tipi di aggressività reattiva e strumentale.
I ricercatori hanno cercato di spiegare se derivano questi due tipi di aggressività da diversi
meccanismi cerebrali.
Di solito i neuroscienziati per spiegare quali aree del cervello sono responsabili di determinati
comportamenti sociali possono studiare come si modificano questi comportamenti sociali quando
ci sono dei danni a determinate aree.
Hanno scoperto che i danni alla corteccia frontale e in generale alla corteccia determinano una
maggiore aggressività. La corteccia prefrontale aumenta l’aggressività strumentale molto di più di
chi non ha danni.
Altri studi hanno dimostrato che le lesioni della parte orbito-frontale è collegato all’aggressività
reattiva.

C’è una parte del nostro


cervello, amigdala, che
gestisce molto le nostre
emozioni.
I primi studi sulla amigdala
hanno evidenziato come la
paura e l’attuazione della
paura derivano
dall’amigdala; man mano
hanno compreso anche che
l’amigdala è responsabile
anche dell'attuazione
dell'aggressività quindi la
risposta alla paura con
l'aggressività.
Quanto più l'amigdala si
attiva più riusciamo a
controllare queste
emozioni.
149
Quando riceviamo una ipoattivazione dell'amigdala (la non si attiva facilmente), le persone
tendono ad avere meno capacità di comprendere e gestire non solo le proprie emozioni ma anche
comprendere le emozioni degli altri quindi sono meno empatiche e tendono ad essere più
aggressive per ottenere il soddisfacimento dei loro desideri → mettono in atto un aggressività di
tipo strumentale.

Sembrerebbe che l’amigdala è


responsabile più dell’aggressività
strumentale e mentre l'aggressività
reattiva da più danni alla corteccia.
In realtà però gli studi stanno
continuando su tutto questo perché
sempre più gli scienziati stanno
comprendendo che non si possono
sezionare le parti del cervello come se
ogni parte ha uno specifico ruolo ma in
realtà sono molto connesse tra loro
reparti e comunicano molto
velocemente tra loro.
Quindi hanno cercato di comprendere
in realtà come quando le aree orbito-
frontali e l'amigdala non sono ben
collegate tra loro si manifestano delle reazioni violente es. una reazione aggressiva a facce
rabbiose.
Quindi il focus non è più trovare l'area del cervello che quando si attiva genera aggressività ma
guardare alla modalità attraverso cui sono in relazione le aree del cervello quindi cambia il focus.
Questi studi hanno confermato che è l’amigdala che ha un ruolo centrale nell’attuazione
dell’aggressività.

Ci sono però anche fattori


contestuali che inducono a usare di
più l'aggressività.
Tra questo c’è l’alcool che genera
una disinibizione delle aree del
cervello perché le sostanze
stupefacenti in generale vanno ad
inibire l’attivazione di alcune aree
celebrali prevalentemente le aree
deputate al controllo degli impulsi
quindi le aree prefrontali che ci
attivano nella pianificazione dei
comportamenti, nella valutazione e
nel giudizio. Disinibendo questi atteggiamenti le pulsioni e istinti aggressivi si manifestano di più.
In particolare oltre all’alcool siamo in contesti che facilitano addirittura incitano la manifestazione
aggressiva.
È stato fatto uno studio per vedere quanto la disinibizione dovuta dall’alcool spingesse le persone
ad essere più aggressive. Gli studenti (tutti maschi) sono stati invitati a partecipare a questo studio
e sono stati divisi in un gruppo alcolico e uno non alcolico. Poi questi due gruppi sono stati messi in
150
due locali adiacenti e all'interno di ciascun gruppo le persone competevano in giochi a due a due
ad esempio bandiera, nella risoluzione di un compito che prevedeva un tempo di reazione. Si è
notato che le persone che avevano bevuto si arrabbiavano di più e manifestavano più
comportamenti aggressivi e violenti nei confronti della loro squadra.
Poi hanno cercato di vedere non soltanto il ruolo nell'alcol di per sé ma ruolo della pressione
sociale cioè hanno introdotto il nuovo queste scosse e hanno proposto un gioco competitivo in cui
sbagliava riceveva una scossa. Chi aveva bevuto più alcol tendeva a dare più scosse elettriche
perché c’era una disinibizione del comportamento aggressivo e in più se c’erano dei collaboratori
che incitavano a infliggere le scosse ancora di più le persone che avevano bevuto molto davano
scosse di intensità sempre maggiore.

L’aggressività è spiegata
anche da fattori
contestuali di tipo più
culturale, basta pensare
alla questione del genere,
la teoria del ruolo sociale
cerca di spiegare le
dinamiche e i fattori
sociali, anche
comportamenti aggressivi
guardando i ruoli delle
persone che esercitano
aggressività e subiscono
l’aggressività. Guardando
il ruolo sociale, la teoria
del ruolo sociale spiega il
fatto che sono più gli
uomini che sono
aggressivi con le donne e viceversa e questo deriva da un fatto semplicemente di dominanza
sociale perchè nella società gli uomini hanno più potere e quindi esercitano questo potere anche
aggressivamente nei confronti delle donne. Un esempio di come applicare la teoria del ruolo
sociale è quando ad esempio vediamo una violenza domestica all'interno di una famiglia dove la
donna è casalinga ed è l'uomo che lavora; in questo caso si spiegherà con la violenza secondo
questa teoria guardando il fatto che la donna non può ribellarsi perché non è indipendente
economicamente e quindi si deve sottomettere al potere, lo status e il ruolo del marito.
I fattori contestuali possono aumentare l'accettazione della violenza anche perché esiste sindrome
della molestia dove l'aggressività è presa dall'infanzia, la sindrome della modestia è praticamente
quando noi acquisiamo la violenza nei contesti familiari e la ripetiamo da adulti.
Quando ci sono tanti membri nella famiglia ci sono più atti di violenza soprattutto quando si
condividono spazi più ristretti.
Ci sono poi le tensioni sociali come la disoccupazione, difficoltà economiche che attivano legami
familiari e quindi si verificano più atti di violenza, soprattutto nei nuclei tradizionali dove ci sono
regole molto rigide sul potere patriarcale dell'uomo
Il consumo di alcol anche in contesti domestici aumenta la violenza.
Questo è un ruolo dei fattori non soltanto contestuali ma anche culturali perché la cultura
legittima molto spesso alcune di queste manifestazioni violente, es. la cultura dell’onore, per anni
la legge ha giustificato il diritto d'onore, esiste ancora in altre culture. Quindi la cultura dell'onore
151
vuole che la violenza maschile sia legittima
quando la donna rovina la posizione sociale o
economica della famiglia.

Un altro tipo di fattore contestuale che può


legittimare la violenza domestica soprattutto
alla violenza di genere, è il machismo
secondo cui gli uomini devono essere rudi,
grezzi e violenti, è proprio un codice di
comportamento gli uomini non possono non
affrontare le sfide, reagire alle offese.

Per ridurre l’aggressività c’è un’ipotesi


catartica secondo cui se le persone possono
scaricare la loro aggressività su altre attività
riducono le prestazioni violente in altro.
Questa è stata dimostrata cioè ad esempio le
stanze dove puoi spaccare tutto, sicuramente
fa sentire meglio perché riduce l'attivazione al
momento.
Per la prof è una minchiata perché è vera nella
misura in cui una persona aggressiva ad
esempio arte marziale dove gli viene insegnato
ad usare e a direzionare l'aggressività.
La cosa che funziona di più sono le tecniche psicologiche, la psicoterapia, i programmi rieducativi,
lavorare nelle scuole, interventi sociali.

152
23/03/2022
ATTRAZIONE E RELAZIONI
INTIME

Il giudizio iniziale sugli altri si basa su


quello che vediamo, sui primi indizi che
sono prevalentemente visivi. Il primo
indizio che abbiamo è sempre di tipo
visivo quindi estetico.
Nel nostro DNA c’è come una regola
che ciò che è bello è buono e questo lo
vediamo anche nel cibo, questo lo
facciamo sempre per motivi
evoluzionistici abbiamo imparato a
vedere che se qualcosa, a partire dalla
sua apparenza esteriore, è buono e lo
facciamo anche con le persone nel senso che la bellezza è indice di salute, se torniamo al contesto
evoluzionistico tendiamo a essere attratti da persone in salute perché, soprattutto vale per gli
uomini, se devono regalare il loro patrimonio genetico a una donna che ne diventerà custode e
solo in quel modo può portare avanti il proprio patrimonio genetico, selezionerà una donna che
essendo in salute potrà in effetti fare in modo che anche la prole sia in salute e quindi che quel
patrimonio genetico sopravviva. Questo viene fatto ancora oggi in molti paesi, le madri per i figli
scelgono dai villaggi vicini donne che sono in salute.
Altri indicatori sono la giovinezza, la simmetria del volto, la simmetria corporea.

Le persone si sentono attratte anche su base caratteriali.


L’università della British Columbia di Vancouver ha
condotto un divertente esperimento, praticamente
analizzato come si comportavano 75 volontari invitati ad
un cocktail party, avevano diviso le persone in gruppetti
di massimo 11 persone quindi una sorta di enorme speed
date. Hanno fatto in modo che queste persone potessero
conoscersi velocemente quindi formare delle prime
impressioni e poi è stato chiesto loro di valutare
l'attrazione fisica e anche i tratti più importanti della
personalità che erano riusciti a valutare.
Tutti gli studi che vedremo per misurare i tratti di
personalità, fanno riferimento al big five che è uno
strumento di misura validato a livello crus-culturale che
valuta 5 tratti fondamentali di personalità, ognuno ha
questi tratti in maniera accentuata o no, i tratti sono:
1. Estroversione, introversione.
2. Amicabilità detta anche gradevolezza.
3. Stabilità emotiva e al polo opposto nevroticità (cioè essere ansiosi, irritabili).
4. Coscienziosità quindi quanto siamo scrupolosi, attenti davanti ai dettagli o al contrario non
scrupolosi, distratti, imprecisi.
5. Infine apertura all'esperienza, al cambiamento alle novità.
153
Chiedevano in questi studi di valutare gli altri e poi anche se stessi sulla base di questo big five. Le
persone che venivano ritenute più attraenti venivano giudicate in maniera più approfondita.
Hanno dedotto che siamo più interessati alle persone più attraente e riusciamo ad identificarle
meglio, con più precisione e organizzeremo i loro tratti con maggiore precisione rispetto a sé
fossimo meno attratti.
In realtà questi giudizi di attrazione non erano condivisi da tutti quindi non è bello ciò che è vero
ma ciò che piace.
In generale le persone più attraenti sono descritte meglio e più nel dettaglio.

L’effetto alone è un tipo di


pregiudizio che fa si che
creiamo un’impressione
generale della persona a
partire da specifici tratti.
Questo spiega perché
usiamo le celebrità quando
vogliamo promuovere un
prodotto perché magari la
persona attraente può
consigliarci quale prodotto
è in grado di migliorare la
nostra esistenza.
Quando questo effetto
alone si verifica quindi
questa impressione
generale va sull'attrattività
si parla di stereotipo
dell’attrattività fisica,
fortunatamente l’effetto alone si basa anche su altri tratti della personalità. Cioè se in una prima
impressione percepiamo un tratto positivo della personalità quel tratto positivo genera l'effetto
alone più positivamente con la persona anche su altri tratti.
L'effetto alone è quasi come una luce, una specie di aureola dei santi, praticamente partiamo da
questo tratto, l'aureola, e poi attribuiamo a quella persona tutta una serie di caratteristiche molto
luminose e positive.

Effetto alone studiato moltissimo. Thorndike fu uno dei


primi a studiarlo e disse che noi facciamo dei bias
congiuntivi quando valutiamo la personalità altrui. Fece
un esperimento chiedendo a degli ufficiali di valutare i
sottoposti in termini di leadership, spetto fisico,
intelligenza, lealtà e affidabilità. Ha notato che quando
questi comandanti, ufficiali percepivano un tratto
positivo erano più propensi ad attribuire tanti altri tratti
positivi ai loro subordinati quindi le valutazioni positive
sono correlate tra loro, quanto più avremo una
valutazione positiva tanto più ne avremo altre.

154
L’effetto alone può partire da tratti estetici o di
personalità. Questo influenza tantissimo e in
tantissimi contesti.
Ad esempio i giudici hanno meno probabilità di
definire colpevoli le persone attraenti di
comportamenti criminali.
Tuttavia questo stereotipo dell'apparenza può
essere anche un'arma a doppio taglio perché
alcuni studi dimostrano che le persone che sono
percepite più attraenti vengono percepite anche
come più vanitose, convinte di se in senso
negativo, disoneste e propensi ad utilizzare la
loro bellezza per manipolare gli altri.

Gli insegnati tendono ad agire nei confronti degli studenti in


base all’effetto alone, soprattutto in base all’attrattività cioè
a seconda di quanto pensano i bambini sono belli, il fatto
che un bambino sembra angioletto la maestra tenderà ad
essere più presente con quel bambino rispetto che con gli
altri perché si instaura a partire da quella bellezza estetica
un rapporto di maggiore vicinanza, simpatia che porterà poi
ad avere delle preferenze o a percepire alcuni tratti più
visibili. Es. i bambini vivaci se sono intelligenti si nota subito
che sono intelligenti perché magari fanno tante cose ma
cose eclatanti che fanno capire subito che sono intelligenti.
Quindi il primo indizio che ci arriva è l'intelligenza e poi da lì
inizieremo ad attribuire tutta una serie di tratti della
personalità positivi magari arriveremo addirittura a
giustificare quell’iperattività che può essere anche
mancanza di educazione. Però magari un bambino che è
parimenti intelligente e parimenti maleducato però non è
estroverso quindi non mostra bene la sua intelligenza non
verrà giustificato.
Nel contesto scolastico c'è un fortissimo effetto alone.
C’è stato uno studio su questo e hanno valutato i voti di più
di quasi 4500 studenti universitari ed è stato chiesto di valutare in base alla foto sul badge
universitario l'attraenza di quegli studenti. Hanno scoperto che gli studenti che sono valutati in
media come più attraenti avevano ricevuto voti accademici anche più alti nei corsi in presenza,
mentre nei corsi online questa differenza non c'era.
È vero però anche nei confronti dei professori, se è solare lo riterremo magari più capace.

155
Succede anche sul posto di lavoro. Chiediamo alle
persone di presentarsi con un aspetto curato
perchè influenza i clienti e le valutazioni che i capi
fanno dei dipendenti.
Chi mostra fin da subito entusiasmo vengono
percepite più competenti, quindi l’entusiasmo
oscura il talento.
L’attraenza ha influenza anche sul reddito
complessivo.

Effetto alone esiste anche nel


marketing, le influencer famose sono
sempre belle.

Su magari solo una caratteristica del


viso attribuiscono tutta una
personalità.

Hanno cercato di scoprire come le


espressioni sul volto influenzano
l’attrazione fisica.
Sono partiti da quattro emozioni
riconoscibili da tutte le culture e hanno
fatto valutare l’attraenza di ciascuna
emozione da uomini e donne.
È emerso che in media gli uomini sono
percepiti più attraenti quando non
sorridono, le donne il contrario.
Entrambi i sessi preferiscono facce
orgogliose e non trovano attraenti facce
timide.
La stellina nello schema indica se la
differenza è significativa.
Le facce neutrali sono percepite più
attraenti se femminili rispetto alle facce
maschili.
156
Hanno fatto studi mascherina e non
mascherina e anche giovani e vecchi.
Hanno dimostrato che le persone meno
attraenti senza mascherina vengono
percepiti più attraenti con la mascherina
mentre le persone belle non vengono
definite più belle con la mascherina.
Poi si sono chiesti se è specifico della
mascherina l’effetto o sul fatto che non
vediamo parte del viso e hanno
dimostrato che deriva dal fatto che ci
focalizziamo di più sugli occhi.
Se invece mostriamo solo la parte
inferiore del viso persone poco attraenti
non sono definite più attraenti. Questo è
anche perchè le donne si truccano molto
gli occhi.

Sempre psicologia sociale evoluzionista,


tutto quello che abbiamo facciamo in
maniera automatica, lo abbiamo
portato avanti nel nostro patrimonio
genetico perché ci permette di
sopravvivere, perché è adattivo.
Sopravvivere non è solo istinto di
autoconservazione ma anche di
conservazione della specie per questo
volti più simmetrici, salute fisica, indici
di massa corporea influenzano le nostre valutazioni.
Nella nostra cultura le persone non magre vengono percepite come non attraenti per via della
salute ci aspettiamo che si ammaleranno di più, che saranno meno prestanti dal punto di vista
sessuale. Tutte queste cose possiamo dirle e aspettarcele perché sappiamo che l'obesità è
collegata alla salute. L'obesità è un indice negativo dove ci sono queste conoscenze mentre nei
paesi dove non ci sono queste conoscenze è un indice positivo, di ricchezza oltre che di salute
perché magari in certi paesi dove c'è poco da mangiare sono i ricchi quelli più grassi, formosi
quindi indice di ricchezza.
Questo è spiegato anche a livello neurochimico, l’attrazione sessuale è gestita dall’ipotalamo che è
la regione deputata anche all’innamoramento (è anche per questo che ci vengono le farfalle nello
stomaco, la tachicardia).

157
Il partner ideale viene
affidato su calore e
affidabilità, siamo più attarti
da persone che sono più
interessate a noi. Ci sono poi
casi di persone, soprattutto
donne, che si innamorano di
tutte le persone che si
interessano a loro.
Anche la vitalità è molto
importante nell’attrattività.
Poi ci sono anche lo status
sociale e la ricchezza, questo
fa scattare l’innamoramento.
È il motivo per cui spesso i
sottoposti si innamorano dei
capi perchè hanno potere.

Tendiamo ad apprezzare di più le persone, non solo


attrazione sessuale ma anche amicizie innanzitutto la
vicinanza perché sono vicine a noi, basso costo e alto
profitto perché non dobbiamo far fatica a mantenere
l’amicizia e quella persona c’è (ecco perché anche si
faticano nelle amicizie a distanza).

Inoltre la familiarità, più le persone sono familiari a noi più le


apprezziamo. La prossimità ovviamente aumenta la
familiarità perché siamo esposti alle persone; più sono
vicine più diventano a noi familiari.
Ci sentiamo più a nostro agio con persone familiari che
vivono nella nostra cerchia sociale, ci somigliano in qualche
modo.

158
In particolari con familiarità intendiamo la somiglianza
degli atteggiamenti.
In generale tendiamo a scegliere persone con
atteggiamenti simili, possono avere tratti caratteriali
diversi ma di base tendiamo ad apprezzare di più
atteggiamenti simili ai nostri.

Oltre alla somiglianza però c’è la compatibilità, persone con


atteggiamenti, caratteristiche, comportamenti diversi dei
nostri magari opposti ma che sono però compatibili con noi
perché si bilanciano e quindi sono compatibili, gli
atteggiamenti sono complementari.
Capita di vedere coppie che sembrano opposte una super
pigra e una molto iperattiva ma sono compatibili perché
magari i valori di base di vita sono gli stessi e i
comportamenti e gli atteggiamenti sono complementari.
Quando ci uniamo a persone, amicizia o amore, sulla
somiglianza e compatibilità di alcune caratteristiche vuol
dire che stiamo facendo un'unione assortativa, ovviamente
anche la somiglianza culturale incide soprattutto per le persone molto legate ai propri valori,
conformiste, conservatrici, danno molta importanza ai propri valori quindi sono poco aperte a
condividere alla vita amicizia amore con persone che hanno culture diverse.

Che cosa incrementa l’apprezzamento su Tinder?


Dalla foto cerchiamo di collezionare velocemente molti indizi

I ricercatori hanno simulato tinder e hanno mostrato a ciascun partecipante 16 profili e hanno
valutato se la teoria assortativa funziona. Poi dopo la valutazione solo dalla foto hanno chiesto di
valutarne cercando di darne età, avvenenza, estroversione, gradevolezza, coscienziosità, stabilità
159
emotiva, apertura all'esperienza e poi hanno
chiesto i valutatori di valutare anche sé stessi.

Hanno dedotto che il superlike lo davano a


persone che percepivano più simili di età,
amichevoli quindi che avevano dato punteggi
più alti alla scala della gradevolezza e
amicabilità e l’apertura all’esperienza. Invece
valutazione dell’estroversione, coscienziosità e
stabilità emotiva non erano tratti che venivano
percepiti facilmente e quindi utilizzati per

definire la disponibilità o meno a


conoscere tale persona quindi
l’attraenza.
Quanto più c’era una somiglianza in
amicalità e apertura all’esperienza,
tanto più venivano percepiti come
attraenti. Quindi non solo la
gradevolezza, l'apertura
all'esperienza, l’età sono tratti che
valutiamo di più perché se non sono
amichevoli come faccio a incontrarli
e se non sono aperti all'esperienza
come fanno a essere su Tinder; però
oltre a valutare di più questi aspetti
si tendeva a valutare la persona più attraente quando era più simile a noi in quegli aspetti lì.
Ancora una volta si è dimostrato che l’avvenenza non conta cioè il fatto di essere belli non era
quello che determinava il superlike perché era più determinato da età, amicalità e apertura
all'esperienza.

Mentre ci facciamo queste impressioni su quanto sia attraente una persona siamo influenzate dal
contesto in cui siamo, anche da un punto di vista ambientale di caratteristiche ambientali. Ci sono
alcune situazioni ambientali che possono influenzare quanto troviamo
le persone attraenti. Perché quando dobbiamo creare una valutazione,
tendiamo ad associare situazioni esterne positive con la piacevolezza di
stare in quelle situazioni e quindi di conseguenza anche la piacevolezza
di stare con le persone presenti intorno a noi quindi se quindi siamo in
un contesto che troviamo bello e piacevole giudicheremo anche le
persone come belle e piacevoli → teoria di rinforzo dell’affetto.

Hanno fatto uno studio in cui hanno provato a testare questo. Hanno
innanzitutto chiesto alle persone di esprimere le loro opinioni rispetto a
tutta una serie di questioni sociali e poi hanno diviso il campione in otto
gruppi, ognuno di questi gruppi era inserito in una stanza con una
determinata temperatura, ogni stanza aveva una temperatura più alta
160
di quella precedente. Inoltre non
hanno considerato come
caratteristica ambientale soltanto la
temperatura ma quanto l'ambiente
fosse affollato, ogni gruppo più
affollato dell'altro fino a 12
persone. Poi hanno chiesto di
valutare la somiglianza
dell'atteggiamento, hanno potuto
visionare i questionari delle
persone che erano presenti nella
stanza per vedere quali erano i loro
atteggiamenti rispetto a quelle
questioni sociali.
Hanno scoperto che in situazioni
dove fa poco caldo e c’è poco affollamento tendiamo a percepire come più gradevoli le persone
simili a noi quindi questo conferma l'importanza della somiglianza dell'atteggiamento; tendiamo a
percepire come meno attraenti le persone quando siamo in condizioni ambientali fastidiose ma
comunque in quelle situazioni tenderemo a dare molto peso al fatto che quelle persone sono simili
a noi.

Quando andiamo a costruire relazioni sociali di vario tipo lo facciamo per determinante ragioni e
una di queste è il concetto di
scambio sociale quindi
andiamo a considerare quanto
dedicare del tempo a quella
persona per una relazione
significativa ci costerà in
termini di impegno, tempo,
impegno emotivo, economico
e quanto guadagneremo da
quella relazione, si fa un
calcolo costi-benefici e si
utilizza una strategia cognitiva
di valutazione chiamata
minimax cioè cerchiamo di
minimizzare i costi e
massimizzare i profitti,
cerchiamo quindi persone che ci richiedono poco impegno ma dalle quali riusciamo a ottenere
molto.
Definiremo una relazione con l'altro come una relazione con profitto quando a lungo termine i
benefici supereranno i costi.

Quando dobbiamo valutare secondo la teoria dello scambio sociale, il profitto in una relazione
utilizziamo livello di confronto, confrontiamo persone che stiamo valutando in persone del nostro
passato in scambi simili.
Se il profitto è alto nelle altre relazioni sarò pronto a impregnarmi in una nuova relazione, se
invece il confronto non sarà favorevole non mi impegnerò.
161
Più abbiamo confronti più saremo giudichevoli, più sono positive le esperienze passate più faremo
fatica a trovarne di nuove perchè noi vogliamo il nuovo migliore del passato.
Questa teoria dello scambio sociale che è una teoria ripresa dall’economia, è molto utile e cinica, è
utile perché può essere applicata a tantissime relazioni di diversa natura e ci fa anche riflettere
molto su quelli che sono i nostri livelli di confronto, su cosa prendiamo come confronto quando
valutiamo gli altri, quali aspetti valutiamo perché non abbiamo mai un confronto globale ma
valutiamo un tratto della persona nuova o della persona che già conosciamo, quali sono gli aspetti
che utilizziamo nel nostro confronto tra persone per capire con chi trascorrere il tempo, ecc.

Sempre sulla base dello scambio sociale vi è la teoria dell’equità cioè in una relazione
consideriamo molto l’equità, se l’impegno che diamo noi è lo stesso che danno gli altri.
L’equità è applicata molto quando c’è uno scambio emotivo di risorse non solo materiali ma anche
quando devono essere redistribuite le risorse (es. un giudice che deve ripartire le risorse a seguito
di un danno).

Applichiamo questa valutazione


dell’equità quando dobbiamo fare giudizi
sulla giustizia retributiva. Es. in una
redistribuzione di un’eredità è più facile
accettare una distribuzione non equa
perché chi si è impegnato di più si
aspetta di più di chi si è impegnato
meno.
Questa teoria dell'equità la
applichiamo quando dobbiamo
valutare relazioni di sfruttamento,
relazioni di aiuto e anche nelle
relazioni amorose.

Il problema è che questa equità


e giustizia distributiva la
utilizziamo solo quando ci fa
comodo e non la applichiamo
sempre e comunque perché il
contributo che ognuno da è
valutato a livello molto
personale quindi tendiamo
come valutare un contributo di
maggiore rilievo quindi più alto
162
se il contributo deriva da persone familiari piuttosto che da un familiare. Quindi anche se le due
persone si impegnano allo stesso modo nel lavoro tenderemo a percepire che il nostro amico si è
impegnato di più che l'altra persona che è un estraneo quindi non siamo giusti nel valutare il
contributo degli altri. Se poi dobbiamo confrontare il nostro contributo con quello degli altri
tenderemo sempre a dare più importanza e peso al nostro.
Eguaglianza: due persone devono ottenere le stesse risorse nello stesso modo e misura a
prescindere dall’impegno (es. comunismo)
Equità: tanto ti impegni tanto ricevi (simile alla meritocrazia)
Ci sono differenze rispetto al perché preferiamo l'una o l'altra quando dobbiamo distribuire delle
risorse, è molto influenzato dalla cultura di appartenenza e anche ci sono delle differenze di
genere, ad esempio le donne preferiscono di più l'eguaglianza mentre gli uomini tendono a dare
più valore all'equità.

STILI DI ATTACCAMENTO
Qua vediamo come creiamo la relazione con
l'altro cioè una volta che l'abbiamo scelto come
chiamo la relazione.
Per chiarire come costruiamo le dinamiche con
l’altro dipende dalla prime relazioni che abbiamo
avuto, quindi gli stili di attaccamento sono una
teoria, la teoria d'attaccamento, che cerca di
spiegare innanzitutto come creiamo le nostre
prime relazioni significative in particolare con il
caregiven cioè la persona che si prende cura di noi (es. la mamma dice allatta) e poi come, a
partire da queste relazioni significative, andiamo a costruire discrimini mentali di interpretazione
dell'altro e quindi andiamo poi a costruire le relazioni nel futuro.
Quindi secondo questa teoria dell’attaccamento che ha basi scientifiche molto solide le relazioni
che costruiamo nei primi due anni di vita sono fondamentali e determinano in maniera molto
significativa il tipo di relazione che abbiamo con gli altri nel futuro.
L’attaccamento è un legame emotivo duraturo con la persona che era speciale con noi, se abbiamo
questo legame desideriamo la vicinanza fisica soprattutto quando siamo stressati, tesi, non ci
sentiamo bene.

L’attaccamento è nei bambini ma anche


negli adulti. Così come il bambino cerca
la figura di riferimento anche gli adulti
hanno un attaccamento nei confronti
dei propri bambini.
Un attaccamento positivo è
caratterizzato dalla capacità di
rispondere in modo sensibile è
appropriato ai bisogni del bambino cioè
capirli e saperli consolare. Questo
attaccamento dell’adulto nei confronti
della prole è universale cioè è presente
in tutte le culture, di base l'istinto
materno è un istinto connaturato cioè si
manifesta in tutte le culture.
163
Abbiamo due teorie
dell’attaccamento.
La prima è la teoria
comportamentista che vede
l’attaccamento come
l’apprendimento.
Secondo questa teoria
dell'attaccamento è
semplicemente qualcosa che
abbiamo imparato, appreso sulla
base delle prime esperienze (es. la
madre ha allattato il bambino che
quindi ha appreso che la madre è
fonte di confort, è fonte di
soddisfacimento dei bisogni e
quindi si attacca alla madre).

Per questa teoria


dell'attaccamento noi formiamo
l'attaccamento perché associamo
la mamma o il caregiven al
confort ricevere cibo,
condizionamento classico come i
cani che salvavano quando
sentivano il suono.
Ma anche per un
condizionamento complesso che
è quello operante cioè che si
basa sul fatto che se i
comportamenti sono seguiti da
un rinforzo positivo aumenterà la
probabilità che quei
comportamenti saranno ripetuti anche in seguito perché la persona si aspetta di ottenere gli stessi
risultati. Quindi in questo caso se il bambino all'inizio piange random piano piano impara che
piangere fa sì che la madre si avvicini quindi quel comportamento rinforzato dall'attenzione della
madre porterà il bambino, lo tenderà a piangere di più quando vorrà essere relazione con la
madre.

164
La seconda teoria dell'attaccamento è la teoria evolutiva dell'attaccamento.
Inizialmente come il cibo per i cani è il latte per i bimbi, durante il condizionamento la madre che
prima non era presa in considerazione dal neonato viene percepita come colei che allatta quindi
poi il bambino una volta che ci sarà questa associazione tra latte e mamma percepirà anche la
mamma come qualcosa di positivo.
Si può criticare questa teoria ma c'è un fondo di verità perché c’è da tenere conto che i bambini
quando nascono riescono a guardare solo a 20-30 cm dal loro volto per il resto sono
completamente “miopi” quindi l'unica cosa che feriscono vedere è la tetta della mamma, riescono
a vedere al massimo lo sguardo della mamma.

25/03/2022
Questa teoria è stata criticata e superata
grazie alla proposta di Bowlby psicologo
molto importante che ha stravolto l’idea
della relazione madre-bambino partendo
dalle sue esperienze di vita, lavorò come
psichiatra nella Child Guidance Clinic di
Londra, una sorta di orfanotrofio e da lì
iniziò ad osservare che i bambini separati
dalla nascita o che non ricevevano cure
sufficienti dalla madre presentavano tutta
una serie di ritardi sociali, emotivi ma anche
cognitivi.
In particolare notò i bambini abbandonati
sperimentavano un intensa angoscia e
anche se nutriti da altri caregiver non
diminuiva l’ansia nel bambini.
165
Studiò l’attaccamento contrastando la
teoria dominante comportamentista
dell’attaccamento e sottolineando che il
bambino si affeziona alla madre perché
si crea una connessione psicologica,
quindi sposta l’attenzione su una
dimensione più relazionale. Secondo
Bowlby non basta soddisfare il bisogno
fisiologico della fame del bambino per
generare un attaccamento positivo che
tranquillizzi e non gli faccia
sperimentare angoscia ma c’è bisogno
di una relazione dal punto di vista
psicologico.

Bowlby sposta l’attenzione sulla


sicurezza e sulla protezione che il
bambino può ricevere dalla madre. È
sempre una teoria evoluzionista in
quanto si fonda sempre su questa
sicurezza e protezione che il bambino
riceve dalla madre è necessaria
affinché il bambino possa
sopravvivere nel mondo e dimostra
questa teoria nel fatto che affamati
ma anche sotto stress e minacciati i
bambini cercano la madre.

Partendo dagli studi dell’etologia ad


esempio gli studi di Lorenz, Bowlby
dimostra che i neonati sono pre-
programmati per cercare conforto nella
madre, geneticamente sono sopravvissuti
man mano sempre più i geni che spingono
il bambino a cercare protezione nella
madre.
In particolare il bambino cerca protezione
nella madre attraverso dei segnali definiti
di liberazione sociale come piangere e
sorridere perché apprende sin dalla
nascita che questi segnali attivano la
protezione e la sicurezza da parte della
madre.
Secondo Bowlby i bambini nascono inizialmente formando un attaccamento primario che viene
definito per questo monotropia una sorta di monogamia del bambino. Ovvero i bambini
166
selezionano una persona significativa, solo e soltanto una quando sono neonati soprattutto e
quando si sentiranno minacciati, stressati e stanchi cercheranno particolarmente il conforto di una
persona. L’importanza di studiare l'attaccamento risiede nel fatto che la relazione di attaccamento
che andiamo a strutturare nella primissima infanzia è il prototipo di tutte le relazioni future perchè
il bambino interiorizza questa relazione e le dinamiche relazionali che lo caratterizzano e genera
uno schema mentale che a sua volta produce delle aspettative su come saranno le altre relazioni
con l'altro nel mondo. Quindi tenderà in qualche modo ad aspettarsi quegli schemi relazionali e a
ripeterli.
Lorenz ha studiato il comportamento di una specie di scimmie e ha fatto vari esperimenti per
dimostrare che non basta soltanto fornire cibo ai cuccioli per far sì che loro crescano e
sopravvivono. Ha fatto degli esperimenti tra cui uno molto interessante in cui aveva fatto sì che le
scimmie potessero o avere un surrogato materno freddo che forniva soltanto latte oppure un altro
surrogato materno che invece dava calore e accoglienza dimostrando che in effetti le scimmiette
tendevano ad andare molto di più dal surrogato
materno che dava calore e protezione piuttosto
che da quello che forniva soltanto latte.

La teoria di Bowlby quindi suggerisce che nei


primi anni di vita, in particolare dei primi 2 anni
ma fino anche ai 5, si sviluppano più strutture
mentali nel bambino a partire da questo
attaccamento che vengono definite internal
working model che sono degli schemi cognitivi.
Possiamo quindi, secondo Bowlby, aggiungere
anche questo tipo di schema che non è altro che
una rappresentazione mentale sia di sé che
degli altri e in generale del mondo. Quindi a
partire dalle prime esperienze con la madre il bambino crea questi schemi.
Ad esempio se io imparo che l'altro significativo, il mio caregiver risponde attentamente alle mie
richieste con costanza, io mi sentirò degno di valore cioè degno di considerazione, amato quindi
strutturerò una visione di me come una persona degna d'amore e che può essere amata, in più
vedrò anche l'altro come disponibile e accogliente e quindi vedrò il mondo come un luogo sicuro
dove vivere. Questo schema mentale che sviluppiamo nelle primissime relazioni poi lo portiamo
con noi, questo vuol dire che se ho ricevuto cure inconsistenti da parte del mio caregiver primario
mi aspetterò anche che gli altri siano non disponibili quindi tenderò ad evitare la relazione con
l'altro perché è una relazione che in qualche modo mi può far sentire angoscia, ansia, quindi
imparerò sin da piccolo a vedermela da me perché capisco che l'altro non è disponibile e quindi
svilupperò una sorta di diffidenza nei confronti del mondo.

167
Due studiosi Schaffer and Emerson hanno fatto un esperimento per indagare quali sono i punti
critici che ci permettono di capire quando l'attaccamento è presente, si sta sviluppando, si è
sviluppato.
Hanno osservato 60 bambini a intervalli mensili per 18 mesi, i bambini sono stati studiati a casa in
particolare hanno osservato la relazione madre-caregiver e poi hanno osservato anche i caregiver
per capire quali erano le caratteristiche, i tratti di personalità, la storia di vita in particolare di
queste madri e hanno raccolto informazioni rispetto a tre caratteristiche dell'attaccamento che poi
sono diventate tre misure per valutare l'attaccamento del bambino.
 stranger anxiety è l’ansia dell’estraneo. Il bambino man mano, e questo si intensifica verso
un anno di vita, tra un anno e due anni è molto intensa, è una paura dello sconosciuto cioè
se i neonati accettano più facilmente di stare del tempo con altre persone, da un anno in
poi iniziano ad avere paura delle persone sconosciute, iniziano ad essere un po’ diffidenti.
Nella società occidentale viene visto come il segno di maturità del bambino il fatto che il
bimbo sta con tante persone, non ha paura di parlare con gli estranei, di avvicinarsi mentre
secondo questa teoria non è proprio così cioè i bambini che non mostrano ansia, paura nei
confronti dell’estraneo mostrano in realtà di non avere un attaccamento sicuro con il
proprio caregiver di riferimento.
 separation anxiety è l'ansia da separazione. Si misura andando ad osservare se il bambino
mostra ansia, angoscia, preoccupazione quando la madre si allontana es. se la mamma va a
lavorare e il bambino piange allora quello è una manifestazione dell'ansia da separazione.
Crescendo deve ridursi fino a svanire altrimenti l'ansia da separazione è una problematica,
un disturbo psicologico.
 social referencing che è un'altra misura dell'attaccamento ovvero quanto il bambino
guarda proprio caregiver per verificare come risponderà delle situazioni.
Un esperimento che ha sottolineato come il social referencing è importante ha osservato
cosa facevano i bambini quando venivano posti davanti ad un pavimento di vetro che
veniva percepito come instabile e pericoloso e viene posto un giochino alla fine di questo
pavimento di vetro. Ci si aspetta che il bambino attratto dal giochino voglia attraversare il
pavimento di vetro, si crea questa situazione in laboratorio con la madre presente e si
osserva se il bambino prima di attraversare il pericolo guarda la madre. Se il bambino non
guarda la madre vuol dire che non c'è il social referencing cioè non si assicura che la madre
approvi quel comportamento, lo trovi sicuro prima di farlo quindi la madre non è una base
sicura per il bambino, non è un punto di riferimento. Chiedono l'approvazione della madre
168
ma in maniera non verbale ma con lo sguardo guardano la madre e se la madre è tranquilla
allora agiscono, se invece vedono che la madre è preoccupata o da segnali di pericolo si
fermano.

Guardando con queste tre misure e


studiando con vari esperimenti
l'attaccamento, i teorici hanno in qualche
modo fatto una teoria che spiega le varie
fasi dell'attaccamento.
Inizialmente abbiamo una fase di pre
attaccamento dalla nascita ai tre mesi;
praticamente i bambini non mostrano
alcun attaccamento specifico per un
caregiver cioè possono stare con
chiunque, prendere il latte da chiunque,
da tutte quelle persone che riescono
avere una sincronia con il bambino.
Noi quando siamo con l'altro, anche da adulti, quando siamo molto vicini agli altri sincronizziamo il
nostro battito cardiaco con quello altrui. Se siamo abbracciati con qualcuno distesi il nostro battito
cardiaco e sincrono al battito cardiaco dell'altro questo è il motivo per il quale quando dormiamo
se qualcuno russa ci dà fastidio non soltanto per il rumore ma perché magari ha un respiro
affannato che non è in sincronia con il nostro e questo genera ansia, fastidio.
Questo è molto vero nei bambini quindi per esempio vogliamo prendere in braccio un neonato e
siamo impauriti perché abbiamo paura e abbiamo quindi la tachicardia il bambino piangerà
istantaneamente. Questo è il motivo per cui alcune madri non riescono a consolare i figli perché
vanno in agitazione e quindi trasmettono prevalentemente attraverso il respiro quest'ansia al
bambino che quindi si agita.
Il bambino cerca di attirare l'attenzione delle persone intorno a sé nei primi tre mesi di vita.

Dopodiché dai 3 mesi ai 7 mesi vi è


un attaccamento indiscriminato, i
bambini iniziano sempre di più a
mostrare il piacere di stare con
l'altro, di stare in compagnia degli
altri non vogliono stare soli,
piangono se non sono soli.
Non cerca però la madre, cerca in
generale la presenza dell'altro.
Iniziano però già a dare dei segnali
di ricerca della madre cioè del
caregiver di riferimento, diventano
sempre più bravi a distinguere le
persone familiari dalle persone non
familiari specialmente non solo dalla vista ma dall’odore e iniziano quindi a dare risposte più
positive al caregiver.
Quindi si inizia a creare un attaccamento specifico monotropia.

169
Dai 7 agli 11 mesi il bambino ha un chiaro
attaccamento con una persona di
riferimento. Da qui inizia a mostrare paura
per l'estraneo e infelicità quando viene
separato dalla madre quindi l'ansia da
separazione.
Quando i bambini mostrano più ansia di
separazione dagli altri e più paura degli
estranei questo segnale valutato
negativamente nella nostra società in realtà
è segnale di un forte attaccamento.
Un bambino che ha 5, 6, 7 mesi all'asilo
nido non piange quando lo si porta, è un
bambino che sta già mostrando i primi
segnali di un attaccamento evitante quindi è normalissimo che il bambino manifesti il suo
dispiacere quando la mamma va via. La madre deve riuscire a consolare il bambino, dargli
sicurezza con il linguaggio ma anche e soprattutto con lo stato d'animo e il comportamento non
verbale, rassicurarlo che quell'ambiente è sicuro.
All'asilo si fa l'inserimento cioè quella fase iniziale in cui la mamma sta lì, accompagna il bambino
in classe perché il bambino deve comprendere che la madre si sente sicura in quell'ambiente
quindi quello è un ambiente sicuro per il bambino.

Dai 10 mesi in poi il bambino inizia a diventare più


indipendente e inizia a manifestare più
attaccamenti quindi iniziano a manifestare ad
esempio un attaccamento molto più viscerale e
forte nei confronti dei padri. Questa è la fase in
cui i bambini e soprattutto le bambine iniziano ad
amare particolarmente il padre, a ricercarlo, ecc.

Se tutto questo ha funzionato bene ci sarà poi


man mano la formazione di relazioni
reciproche. I bambini iniziano a migliorare il
loro linguaggio, la loro autonomia motoria
capiscono che i genitori torneranno quindi
mostrano meno ansia da separazione,
mostrano gioia nel ricongiungimento ma
soprattutto iniziano a capire che la relazione
non è unidirezionale cioè ricevono soltanto
ma che possono anche dare e questo è
fondamentale, i bimbi iniziano a fare regali
alle figure di riferimento, qualsiasi tipo di regalo anche una carezza e preoccuparsi per l'altro
perché nei primi anni del primo anno di vita il bambino difficilmente manifesta questi segni di
reciprocità nella relazione, man mano inizia a capire invece che le relazioni sono reciproche.

170
I fattori che fanno si che questo
attaccamento si sviluppi. Innanzitutto
avere delle opportunità di
attaccamento che non è banale nella
nostra società perché la madre potrà
stare col bambino soltanto i primi due
mesi di vita poi dovrà tornare al
lavoro. Quindi quanto più il bambino
ha opportunità di attaccamento con la
madre più svilupperà questo
attaccamento ma non è soltanto la
quantità del tempo ma anzi è più la
qualità della relazione.
Il caregiver per far si che si formi questo attaccamento deve saper rispondere prontamente al
bambino in modo coerente che vuol dire che ogni volta che il bambino manifesta ansia, angoscia o
banalmente sorride il caregiver deve rispondere prontamente a questi segnali.
Il bambino piange perché vuole attirare l'attenzione ma questa cosa va rinforzata nel bambino,
non è sinonimo di maleducazione, di capricci perchè i bambini iniziano a fare i capricci quando
iniziano a sviluppare la teoria della mente, quando dai 3 anni iniziano a capire che possono
strumentalizzare l'altro cioè fare finta di per ottenere e quindi iniziano a piangere per finta per
ottenere quello che vogliono. I bambini prima di quest'età utilizzano questi segnali pianto, capricci,
ecc. per poter entrare in relazione con l'altro, è il modo che hanno per entrare in relazione con
l'altro; quello che possiamo fare noi è insegnargli modalità positive di relazionarsi con l'altro. È
chiaro che se io lascio il bambino a giocare da solo tutto il tempo e vado da lui solo quando piange,
il bambino piangerà per attirare la mia attenzione.
Quindi è importante la sincronia interazionale cioè sviluppare una modalità comunicativa positiva
con il bambino. Uno dei primi segnali della sincronia internazionale si vede nei bambini molto
piccoli quando la madre distoglie lo sguardo verso un oggetto e il bambino guarda nella stessa
direzione della madre, segue lo sguardo della madre. Questo è il motivo per il quale si dice sempre
ai genitori quando il bambino sorride sorridete anche voi, quando il bambino lalleggia cioè che fa
la la la la rispondete in quel modo al bambino; questo perché aiuta a generare una sincronia.
Non sono però solo le caratteristiche dei genitori ma anche le caratteristiche dei bambini, ci sono
dei bambini con cui è molto difficile generare un attaccamento perché ogni bambino ha un proprio
temperamento caratteriale.
Temperamento del bambino, è vero che il carattere si struttura nelle relazioni però nasciamo già
con un temperamento; molti condividono l'idea che sono due i temperamenti che possiamo avere
introversione ed estroversione.
L'estroversione è manifestata dalla ricerca continua di stimolazione esterna e sono bambini molto
vivaci che ricercano gli stimoli esterni, molto attenti, attivi.
I bambini introversi invece tendono ad avere già un'attivazione fisiologica alta e quindi sono
infastiditi da eccessivi stimoli.
Il problema è che i bambini estroversi vengono iperstimolati mentre i bambini introversi che sono
tranquilli e dormono vengono ipostimolati. Tendenza questa che abbiamo tutti, in realtà
bisognerebbe fare il contrario perché l'estroversione è facile che diventi iper-attività quindi i
bambini estroversi non vanno iperstimolati mentre i bambini introversi dovrebbero essere
comunque stimolati.

171
Le circostanze familiari influenzano
tantissimo l'attaccamento e gli internal
working model dei genitori (cioè quando
avrete dei bambini vi ritorneranno in
mente tutte le esperienze che avevate
magari dimenticato, di quando eravate
bambini).
Nel dover essere genitori si riattivano
quegli schemi mentali che abbiamo nella
memoria relativi a come interagivano con
noi i nostri genitori, noi non sappiamo
come fare i genitori quindi possiamo
osservare come fanno gli altri ma
soprattutto ricordarci quello che facevano con noi i nostri genitori.
Ovviamente c'è un margine perché nel riflettere quello che abbiamo ricevuto possiamo anche
decidere in qualche modo di cambiare alcuni aspetti ma è molto più semplice ripetere che
cambiare anche perché noi non possiamo fare nulla di nuovo che non conosciamo, noi possiamo
fare solo quello che conosciamo già quindi tendiamo prevalentemente a ripetere quello che
abbiamo vissuto.
Capacità dei genitori di accettare il passato perché soprattutto quando i genitori hanno avuto delle
relazioni disfunzionali, negative con i propri genitori porteranno con sé queste paure e molto
probabilmente attaccamento disorganizzato evitante e tenderanno a ripeterlo, i genitori lo
ripeteranno in misura maggiore se non riusciranno ad accettare il loro passato e a rielaborarlo cioè
a perdonare quello che hanno vissuto.
Il perdono è il regalo più grande che possiamo fare a noi stessi, il perdono è qualcosa che facciamo
per noi stessi perché il contrario del perdono è il rancore, la rabbia e questo lede tantissimo la vita
perché la rabbia e il rancore che
viviamo nei confronti di relazioni
magari passate, finite lo riportiamo
nelle relazioni attuali.

Mary Ainsworth prende le idee di


Bowlby e le testa.
Fa una ricerca che si chiama “strange
situation” praticamente è un
esperimento di laboratorio composto
da otto fasi che fanno si che il bimbo e la madre siamo insieme siamo separati in diverso modo e
poi in presenza di un estraneo.
Attraverso l'osservazione di queste fasi si può misurare l'attaccamento del bambino.

172
In una prima fase abbiamo nel laboratorio la madre e il bambino e lo sperimentatore e si osserva
cosa fa, ci sono dei giochi quindi in sostanza di base la madre giocherà, interagirà con questo
bimbo.
Poi lo sperimentatore se ne va quindi non c'è più l'estraneo e sicuramente si creerà una sincronia
molto stretta. Ad un certo punto arriva un estraneo e si nota già la stranger ansiety cioè che fa il
bambino quando arriva questo estraneo lo evita, lo guarda, piange, guarda la madre per vedere
che fare con quell’estraneo.
Poi la madre va via e si lascia un bambino con l'estraneo e lì si vede che cosa fa con questo
estraneo. La madre ritorna e l’estranierò se ne va, la madre se ne va e il bambino resta
completamente solo e qua si potrebbe vedere la separation anxiety cioè il bambino cerca la
madre, si preoccupa, è in allerta, piange.
Poi ritorna lo sconosciuto la madre e il bambino è praticamente solo perché la madre non c'è, non
ha punti di riferimento, non ha il social referencing per capire questo estraneo se è minaccioso o
no, si vede quindi che fa il bambino, almeno dovrebbe essere riluttante, non dovrebbe buttarsi a
braccia aperte verso l'estraneo.
Poi la madre ritorna e quindi in questo caso dovremmo vedere la gioia del ricongiungimento e
anche un senso di protesta da parte dirle bambino perché è stato lasciato solo dalla madre.
Questi episodi hanno permesso a Ainswort sviluppare una spiegazione degli attaccamenti e di
definire gli stili degli attaccamenti.

Ognuno di noi ha uno di questi stili qua,


li abbiamo dentro di noi questi
attaccamenti e più o meno li
applichiamo a tutti.
Ovviamente sono sempre delle
categorizzazioni quindi questo serve per
studiare poi nella realtà ci può essere un
mix tra questi attaccamenti e possono
variare in base alla relazione.

173
Se tutto è andato bene abbiamo un attaccamento sicuro, il bambino si sente amato, il rapporto è
positivo e quindi c'è un attaccamento sicuro.
Se il bambino invece non si è sentito amato o addirittura è stato respinto avrà un attaccamento
evitante.
Se invece le cure sono stati inconsistenti, il rapporto è stato inconsistente cioè a volte era positivo
a volte negativo l'attaccamento il bambino sarà molto arrabbiato e confuso e quindi avrà un
attaccamento ambivalente.

L’attaccamento sicuro si basa sull'idea che


la madre è una base sicura cioè una base da
cui partire per esplorare il mondo e da cui
tornare quando il mondo ci ferisce.
Il bambino che ha un attaccamento sicuro
sembra competente, sicuro di sé, esplora
l'ambiente, mostra precocemente empatia
verso gli altri e, importantissimo, comunica
chiaramente i suoi sentimenti. Se ho un
attaccamento sicuro quindi ho sperimentato che posso esprimere quello che provo perché l'altro è
accogliente, sarò in grado di riconoscere le mie emozioni ed esprimerle all'altro, cioè sarò in grado
di dire nel futuro al mio partner sono triste per questo motivo qua, sono arrabbiata per questo
motivo qua quindi comunicare in maniera positiva senza urlare e lanciare oggetti la mia rabbia
oppure la mia tristezza, quindi non avrò vergogna dei miei sentimenti.
Senza tabù comunicazione efficace dei propri sentimenti.

Attaccamento non sicuro ambivalente e


evitante.
L’attaccamento evitante il bambino non
risponde genitori quando è presente.
Cioè nella strange situation quando la
madre tornava il bambino non se la filava
proprio la madre oppure anche quando
erano soli il bambino giocava da sé, non è
angosciato quindi dalla separazione,
quando ritorna il genitore non si lancia
tra le sue braccia, è rallentato se andarci
o no, sicuramente non manifesta una grande gioia nel rincontrarlo.
Questi bambini sono diventati evitanti perché hanno imparato sin da piccoli che se la devono
vedere da soli perché se piangono non vengono consolati, perché se sorridono non trovano
risposta, perché se chiedono di giocare, di trascorrere del tempo con l'altro, l'altro è impegnato.
Questo/a bimbo/a diventa indipendente, al lavoro sarà cazzutissimo non guarderà in faccia
nessuno, ambizioso, determinato, indipendente.
Noi abbiamo sempre dentro di noi un io bambino oltre che adulto, questo io bambino dentro di
noi ci parla costantemente quindi quando questo adulto si troverà poi triste per qualcosa, non
andrà da nessuno e sperimenterà solitudine, impotenza, depressione, rabbia, nelle relazioni sarà
evitantee (es. in narcisisti sono evitanti).
Gli evitanti sono quelli chi ci portano a cena, ci portano a letto, noi vediamo che sono
emotivamente coinvolti ma il giorno dopo spariscono e ci dicono non sono pronti per una
relazione. Nelle donne le persone evitanti sono accetto il corteggiamento e poi ti do buca quando
174
ci dobbiamo vedere, faccio le strategie, non ti faccio capire se ci sto o non ci sto, poi ci sto poi e ti
dico che ho sofferto troppo nell'ultima relazione; queste sono le donne invitanti quindi le donne
indipendenti.
Gli uomini indipendenti in senso eccessivo un'indipendenza eccessiva, un'indipendenza che
diventa poi un'incapacità di dipendere dall'altro.
La sanità mentale vuole che noi siamo capaci di dipendere dall'altro, di mettere le nostre emozioni
nelle mani dell'altro, permettere all'altro di ferirci, avere fiducia nell'altro.
Noi dobbiamo quindi sviluppare la capacità di mettere la nostra anima nelle mani dell'altro
accettando il rischio della sconfitta quindi dobbiamo non soltanto sviluppare questa capacità ma
anche sviluppare la capacità poi di risolvere la sconfitta cioè di accettare quella sconfitta, di andare
avanti senza colpevolizzarci altrimenti manifesteremo un attaccamento evitante.
Quando noi vogliamo che i bambini diventino precoci, diventano irritanti i bambini.

L'attaccamento ambivalente si mostra


da bambino quando c'è una fortissima
ansia da separazione. Di solito l'ansia
da separazione si manifesta più o meno
così il bambino o la bambina piange
quando la mamma se ne va, continua a
fare un po’ i capricci e poi si auto
consola, non va nel panico, si dispiace
che la mamma se ne va però poi dopo
riesce a trovare dentro di sé quelle
capacità di stare da solo e di auto consolarsi. In questo caso invece c'è una fortissima ansia da
separazione.
Gli ambivalenti sono tutte quelle persone che hanno sempre l'insicurezza relazionale, hanno
sempre paura che stanno perdendo l'altro, sono a esempio le donne che non permettono agli
uomini di avere amici femmine e gli uomini che non permettono alle donne di avere amici maschi.
Ambivalenza quando i genitori ritornano sono incavolati neri i bambini piangono, si dimenano, li
colpiscono e protestano tantissimo del fatto che se ne sono andati sembrano quindi arrabbiati e in
generale sono molto immaturi questi bimbi.
Si diventa ambivalenti perché abbiamo osservato nelle prime relazioni che i genitori a volte ci sono
e a volte no, inconsistenza dei genitori quindi divento insicuro perché non riesco a capire quando
quell'altro sarà disponibile o no o ancora peggio quando vengo amato o amata se. L'amore
dovrebbe essere incondizionato soprattutto l'amore nei confronti dei figli cioè noi dovremmo
amare i nostri figli al di là di tutto ma non è sempre così quindi noi impariamo che non siamo degni
di essere amati perchè siamo esseri umani e loro ci hanno messo al mondo, ma siamo amabili solo
se mostriamo il meglio di noi stessi.
Le persone ambivalenti sono anche molto spesso perfezioniste e cercano continuamente di avere
conferma di essere amabili e questo è il motivo per il quale vanno in crisi facilmente appena
vedono che c'è un momento dell'altro che non è presente perché subito cercano di capire perché
l'altro non è presente, hanno paura, hanno paura di perdere l'altro.
L’evitante invece non è ha paura di perdere l'altro ma ha paura di legarsi all'altro perché l'altro
interiorizzato è minaccioso e abbandonante quindi l’evitante ha lo stesso bisogno dell'altro, il
bambino evitante ha lo stesso bisogno del bambino ambivalente, di avere la sicurezza.
Quindi con persone ambivalenti ed evitanti bisogna comportarsi da basi sicure.
Questi attaccamenti noi ce li portiamo per tutta la vita ma c'è una speranza di cambiamento,
dobbiamo fare in modo di cercare persone che siano delle basi sicure, tanto sicure da essere in
175
grado di scardinare quello che abbiamo interiorizzato e farci interiorizzare un nuovo schema cioè
la base sicura esiste e c'è. Invece vediamo che gli ambivalenti si cercano sempre gli evitanti questo
perché ristabilisco la dinamica relazionale quindi io sono insicura e mi trovo sempre quello che non
mi fila che c'è e che non c'è, che non mi vuole e lo perseguito, mi innamoro sempre delle persone
che alla fine non sono pronte ad amarmi questa è l’ambivalente.
L’evitante inizialmente prova piacere nello stare con l’ambivalente ma ad un certo punto non ce la
fa più perché lui non si vuole legare e l'altra persona continua a fare pressioni per avere
dimostrazioni del legame. Gli evitanti molto spesso si mettono con gli evitanti quindi due persone
estremamente indipendenti che hanno una relazione equilibrata ma non profonda.
Diventare una base sicura è molto difficile.

Il disorganizzato è stato aggiunto dopo


alla teoria perché poi hanno iniziato a
studiare l'attaccamento anche nei
bambini traumatizzati che hanno ricevuto
violenza di diverso genere o che sono
stati abbandonati, questi bambini
mostrano un mix di attaccamenti mai
quello sicuro quindi sono ambivalenti,
sono evitanti, non si capisce che tipo di
attaccamento hanno quindi a volte
reagiscono alla separazione piangendo, a volte no, a volte quando c'è il ricongiungimento, la
riunione con l'altro significativo sono felici, a volte protestano, a volte li evitano, in generale sono
bambini che sembrano molto storditi e confusi e molto spesso sono anche sadici ad esempio con
gli animali.

Come quindi tutto quello che abbiamo detto finora


si trasforma nell'attaccamento in età adulta.

Attaccamenti sicuri da bambini uguale


attaccamenti sicuri da adulti.
C'è una grandissima condivisione non solo di
informazioni ma anche di sentimenti negli
attaccamenti sicuri, sono persone che quindi
riescono a godere dello stare con l'altro.

176
Gli evitanti sono molto a disagio nelle
relazioni.
Gli attaccamenti evitanti sono quelle amiche
o amici che non amano il contatto fisico.
Il maternage è il contatto fisico stretto con il
bambino, tenerlo in braccio, dargli calore,
farlo giocare continuamente; questo
maternage genera l'attaccamento sicuro
altrimenti il bambino diventerà evitante
perché si impara ad autoconsolare.
Ovviamente l’autoconsolazione è utile nel
bambino ma quando non è capace di farlo
sarebbe meglio che la madre gli dia questa
autoconsolazione.
Quindi ci sono dei segnali che ci fanno capire se siamo evitanti oppure no.
Molto spesso però c'è un misto di evitamento e ambivalenza, non è proprio così netta la
separazione tra l’evitante l’ambivalente anche perché nell’evitante c'è sempre la ricerca del
dipendere dall'altro in qualche modo.
In generale gli evitanti sono molto a disagio con le persone gelose e sono molto a disagio quando
devono limitare la loro la propria libertà nella relazione cioè la relazione richiede sempre di
limitare la propria libertà esempio se ci piace fare festa e facciamo sempre festa con le nostre
amiche e ci fidanziamo, se siamo evitanti avremmo molta difficoltà a rinunciare a quelle cose per
stare con l'altro perché la vediamo come una rinuncia alla nostra libertà e ci da fastidio a sentirci
dire tu non puoi andare in discoteca, non puoi partire per il viaggio da sola, non puoi metterti la
gonna.
Quindi gli attaccamenti evitanti sono molto restii a relazionarsi soprattutto con gli ambivalenti e
non si aprono molto cioè non sono molto capaci dello svelamento del sé cioè non è che stanno là
tanto a dirti cosa pensano, cosa provano, tendono ad evitare. Questo non vuol dire che non sono
estroversi, che non sono solari, socievoli, amichevoli però sono molto bravi ad ascoltare gli altri ma
le loro difficoltà non le manifestano molto o se le raccontano, le raccontano quando le hanno
risolte.

L’attaccamento ansioso che sarebbe


l’ambivalente.
Gli attaccamenti ansiosi si innamorano
facilmente.
L'attaccamento evitante è quello che si
innamora la prima volta a 24, il prototipo
dell’evitante è la persona che si è
innamorata raramente nella vita, ha
avuto poche relazioni significative, ha
quindi difficoltà ad innamorarsi.
L'attaccamento ansioso invece si
innamora facilmente quindi sono le
persone che hanno avuto molte relazioni con tante persone, si innamorano degli amori a prima
vista, si innamorano molto facilmente perché sono sempre alla ricerca di ricevere amore, sanno
fare chiodo schiaccia chiodo che è una meraviglia e hanno relazioni piene di alti e bassi cioè non

177
riescono ad avere delle relazioni stabili da un punto di vista emotivo, sono litigiose, urlano,
piangono, si disperano quando litigano, vivono l'angoscia della separazione.
L’evitante ha bisogno quando si incavola di stare da solo, di ragionare su quello che vuole dire
anche perché levitante crescendo se è una persona molto introversa ha imparato che può ferire
moltissimo l'altro con il suo evitamento perché l’evitante di fronte alla sceneggiata potrebbe
risponderti addio e scomparire e non tornare più facendo del male a se stesso perché in realtà
vuole bene a quella persona. Quindi l’evitante crescendo man mano impara a non scappare, a
restare però la sua strategia è restare lì un po’ senza saper cosa fare. In queste situazioni si può
utilizzare per esempio la tecnica del time out cioè l’ambivalente deve imparare che quando inizia a
esserci la litigata incalzante a stopparsi e dire “senti ho capito che tu adesso non ne vuoi parlare di
questa cosa sappi che io sono molto arrabbiata, non c'è bisogno tanto di urlare tu adesso vedo che
non mi rispondi, ci devi riflettere, facciamo che ne riparliamo domani a cena” “non è che sto lì ad
aspettare te che pensi per l'eternità ma che domani tot ora ne riparliamo quindi preparati che cosa
mi vuoi dire”, così si rompe l'escalation che altrimenti l'escalation finiscono con quello che
vediamo nei film dei famosi piatti che vengono lanciati in casa.
Gli ansiosi sono molto frequentemente infelici perché ovviamente si cercano irritanti e quindi
quando per esempio litigano poi continuano a litigare in chat, l’evitante li blocca o spariscono, non
rispondono. L'ambiente sperimenta un'angoscia assurda e siccome l'ambivalente è molto
orgoglioso lo bombarda, diventa una sfida personale e quindi inizia ad incalzarlo non facendo altro
che allontanare l’evitante.
Quindi l’ambivalente quando l’evitante sparisce deve aspettare ma soprattutto non sparire anche
lui. Quindi con un evitante bisogna mostrarsi base sicura, di fronte a un evitante che va via non
bisogna né bombardarlo né sparire, semplicemente dire guarda io provo queste emozioni per te se
tu vuoi condividerle con me io sono qua senno giusto che ti allontani, sarà poi lui a decidere se è
pronto a inserirsi in una relazione.
Noi abbiamo il dovere di dire agli altri cosa proviamo, non dobbiamo esse evitanti in questo.

TEORIA DELL’ATTACCAMENTO APPLICATA ALLE RELAZIONI ADULTE

Questi sono dei parallelismi tra l'attaccamento infantile e quello adulto.


Quando la figura di attaccamento è assente il bambino è ansioso e incapace di esplorare →
attaccamento ambivalente. Questo attaccamento ambivalente quando diventa adulto, quando il

178
partner agisce a distanza cioè si fa i fatti suoi la persona diventa ansiosa quindi si va a fare
l'aperitivo con gli amici non ci scrive, non ci manda la foto di dov'è e noi andiamo in crisi.
Il bambino desidera una relazione esclusiva, monogama, sicura → attaccamento sicuro.
Quando i bambini spaventati, angosciati cercano il contatto fisico con la figura di attaccamento.
Quando nell'età adulta hanno paura e sono angosciati queste persone con un attaccamento sicuro
vorrebbero essere confortati dal loro partner quindi chiedono conforto, aiuto.
Gli evitanti amano le relazioni a distanza, gli ambivalenti non riescono a mantenerle.

Se abbiamo una figura di attaccamento molto sensibile nei nostri riguardi cercheremo quella
sensibilità nel partner, se abbiamo avuto una figura di attaccamento che riusciva a mettere da
parte i propri bisogni tipo la propria carriera lavorativa, proprie esigenze per noi, cercheremo quel
tipo di figura nella nostra vita cioè non ci prenderemo un egoista; se disposto a correre rischi per
proteggere il bambino = cercheremo una persona che ci protegge.
Se abbiamo stabilito un attaccamento con una figura che entrava in empatia con noi cioè che stava
male quando stavamo male noi, che era proprio presente a livello emotivo, condivideva con noi le
nostre emozioni cercheremo questo anche nelle relazioni adulte.

179
Necessità di contatto fisico.
Il maternese è il linguaggio che la mamma usa per parlare con il bambino, la mamma utilizza
quelle parole perché il bimbo è molto piccolo, non ha ancora sviluppato un linguaggio e quindi
cioè usa parole onomatopeiche. Se
abbiamo ricevuto questo linguaggio da
piccoli noi quando siamo adulti
utilizziamo toni di voce particolari
quando parliamo con i nostri partner
oppure parole, soprannomi, nomignoli di
ogni tipo, teniamo ad avere toni più
morbidi sicuramente.

Quindi le relazioni sono guidate dagli


stessi sistemi comportamentali che ci guidavano da bambini.

180
Questa è una misura dell'attaccamento molto veloce che vi fa capire che tipo di attaccamento
siamo.

181
Il triangolo dell'amore. Teoria verissima che spiega quali sono i tre ingredienti dell'amore e come
questi tre ingredienti possono combinarsi tra loro cioè in senso di essere presenti o no e generano
diverse ricette.
Questi tre ingredienti dell'amore sono: la passione, il coinvolgimento e l'intimità.
La passione fisica è il bisogno fisico dell'altro. La passione può essere molto mentale ma di base è
fisica.
Passione che poi è anche in termini di romanticismo quindi è passione fisica e romanticismo cioè il
fatto di voler corteggiare l'altro, di volerlo stupire.
La passione per esempio è il desiderio di dormire insieme abbracciati.
Il coinvolgimento è quando si vuole far parte della vita dell'altro, implica che ci impegniamo in
attività con l'altro infatti è molto importante trovare delle attività in comune da fare con l'altro che
non siano soltanto sessuali perché altrimenti c'è passione ma non c'è coinvolgimento.
Con intimità si intende intimità emotiva cioè non avere vergogna dell'altro, non avere tabù con
l'altro, poter parlare di tutto, non avere vergogna di farsi vedere senza trucco oppure nel bagno.
Passione, coinvolgimento, intimità le possiamo avere tutte come non ne possiamo avere nessuna;
c'è mancanza di amore se non ci sono queste cose, c’è un amore strumentale non sono coinvolto,
non sono intimo, non sono appassionato.

182
Se io conosco una persona, ho una specie di colpo di fulmine e dopo poche volte che sto con
quella persona sento una passione molto forte, è proprio un sentimento dentro di me, quello non
è innamoramento ma è infatuazione perché è passeggera, la passione non può durare per sempre
ed è molto difficile riattivarla, va coltivata tantissimo perché è una questione neurochimica .
L'ossitocina, io rilascio l'ormone delle coccole stando con quella persona abbracciandola, sentendo
l'odore, non avendo delle effusioni sessuali con quella persona, dopo un po’ si crea assuefazione
non mi fa più effetto quindi la passione genera solo l'infatuazione quando non c'è altro.
L'amore insignificante è quando c'è solo un coinvolgimento, c'è l'amore insignificante nelle coppie
che stanno da tanto tempo insieme e non hanno coltivato intimità e passione e si ritrovano
insieme solo a condividere la quotidianità tipo i genitori che sono coppia genitoriale non sono più
coppia coniugale cioè non sono più amanti tra loro, svolgono le funzioni di gestione della casa
della famiglia insieme, i separati in casa.
Secondo Rosenberg che è quello che ha proposto questo triangolo dell'amore c'è solo intimità
nell’amicizia e non anche passione, c'è intimità relazionale nel senso che racconto i miei segreti,
condivido le mie emozioni questo intende per intimità.
Poi c'è l'amore fatuo c'è passione e coinvolgimento ma non c'è intimità. L'amore fatuo è quello
degli evitanti molto spesso, si fanno le cose insieme, c'è molta passione anche sessuale ma non c'è
intimità quindi andiamo a cena fuori, ci divertiamo, ci vediamo con gli amici, vengono a casa tua lo
facciamo e me ne vado.
L'amore romantico è caratterizzato da passione e intimità ma non da coinvolgimento. L'amore
romantico è molto quell’amore a distanza dove ci si incontra magari nelle varie città si va un po’ in
giro però poi non c'è la quotidianità, è l'amore senza quotidianità cioè di quelle coppie che vivono
da soli e sono anche fidanzati però non vanno a convivere.
L'amore amicale è quando stiamo insieme con una persona e non abbiamo più un'attrazione fisica
nei suoi riguardi però siamo molto coinvolti, ci piace tanto condividere la vita con quella persona e
c'è anche tantissima intimità. Capita spesso questa cosa e si va molto in crisi perché si è molto
legati a quella persona però non c'è più la passione. L'amore amicale è un'evoluzione dell'amore
completo, bisogna saper accettare che nelle relazioni ad un certo punto la passione svanisce e
bisogna capire come coltivarla, è inutile cambiare sempre partner tanto le dinamiche sono sempre
le stesse alla fine.
L’esame per i frequentanti sarà sulle slide, parte la si trova anche sul libro.

183
184
185
29/03/2022
Modulo 2
PERSUASIONE
Siamo su un piano più comunicativo sia
interpersonale che pubblico.

Un primo piano è quello della


comunicazione pubblica.
Un messaggio persuasivo è un contenuto
che viene comunicato sia dal punto di
vista interpersonale che dal punto di
vista mediatico, della comunicazione
pubblica che ha lo scopo di convincere
qualcun’altro di qualcosa.
L’ambito pubblicitario è il classico
contesto, i messaggi pubblicitari sono un
classico. Si sceglie di far leva su alcuni
elementi, contenuti che facciano effetto, che convincano innanzitutto le persone a ricordarsi del
messaggio, a catturare l'attenzione che è il primo elemento, a ricordarsi del messaggio e poi
eventualmente a seguire quello che il messaggio dice quindi ad esempio comprare il prodotto.
Alcuni messaggi persuasivi possono essere riempiti di contenuti di vario tipo per esempio
contenuti emotivi, ad esempio sono molto famosi messaggi persuasivi che contengono un
messaggio negativo quindi l'idea di fondo e ti spavento perché ti voglio convincere di qualcosa es.
le cosiddette etichette persuasive sui pacchetti delle sigarette che sono molto scioccanti perché
vogliono convincere a smettere di fumare.
Questo tipo di tecnica persuasiva è una tecnica che si usa nelle campagne sociali (sigarette,
incidenti, sla, beneficenza), in questi casi il messaggio viene riempito da un'emozione negativa, si
vuole provocare un'emozione negativa per convincere.
Un altro esempio sono i dibattiti politici dove il vero pubblico in realtà è il popolo che dovrà votare
non tanto l’avversario perché il popolo deve essere convinto.

Siamo consapevoli della


persuasione da parecchio tempo,
già dai greci.
La persuasione comincia a essere
studiata in modo sistematico
dagli anni ‘20 e ‘30 per poi subire
un’accelerazione durante la
Seconda guerra mondiale dove
diventa molto chiaro che puntare
sulla propaganda diventa un
elemento molto importante, si
era creato addirittura un
ministero della propaganda.

186
Gli studi sistematici sulla
persuasione nascono negli stati
uniti dagli anni ‘20 e ‘30 con una
grande accelerazione negli anni ‘40
‘50.
Studi sulla persuasione avviati
nell’università di Yale dove lo
studioso psicologo sociale famoso
Hovland è il punto di riferimento.
Quando gli USA entrano in guerra
vogliono creare un forte consenso
nella propria cittadinanza sia dal
punto di vista dei militari che dal
punto di vista della cittadinanza.
Allora il governo da grossi
investimenti federali, soprattutto l'esercito americano, ad un gruppo di psicologi sociali e gli chiede
di costruire un programma di costruzione del consenso, quindi gli chiede di studiare
sistematicamente i processi persuasivi con esperimenti e di applicare poi questi risultati alla realtà
e quindi a costruire il consenso.
Quindi aventi ingenti somme di finanziamento, Hovland e i suoi collaboratori iniziano a studiare
sistematicamente con degli esperimenti ricerca di arrivare a dei risultati che siano replicabili.
La Seconda guerra mondiale è un momento storico importantissimo per gli studi sulla persuasione.
Un altro famoso psicologo sociale è Levin. In guerra mancano sempre pezzi di carne pregiata e
bisognava convincere le casalinghe a usare la carne meno pregiata e Levin studiò come cercare di
cambiare le abitudini delle casalinghe.
Approccio atomistico o di Yale perché Hovland e i suoi colleghi iniziano a studiate tutte e tre le
caratteristiche della persuasione: fonte, messaggio e destinatario.
Basano tutti i loro studi sulla persuasione su questi elementi e cercano di capire le caratteristiche
di ciascuno di questi elementi per aumentare la capacità persuasiva. Atomistico perchè studia
proprio tutti i pezzettini di questi tre elementi.
Altro momento importante negli studi della persuasione sono gli studi sugli atteggiamenti. Con le
scale likert si iniziano a studiare i vari atteggiamenti.
Ultimo step importante a livello storico è lo sviluppo della social cognition negli anni ’60 ’70 che è
quel filone della psicologia sociale che studia da un lato i processi cognitivi e dall’altro i processi
sociali ossia come elaboro le informazioni sociali (memoria con le interazioni sociali).

Persuasione è un termine molto ampio, che si


può definire in molti modi. In psicologia sociale
la persuasione è il processo che mediante atti
di comunicazione porta alla formazione, al
rafforzamento e alla modificazione degli
atteggiamenti.
La persuasione è un processo, implica che ci
sia una sequenza di eventi che riguardano più
fasi e più soggetti. Fonte che produce un
messaggio che arriva al destinatario, il fatto
che ci sia un passaggio ci fa dire che siamo in
un processo.
187
Non c’è persuasione se non c’è comunicazione, la persuasione non può prescindere dalla
comunicazione. La persuasione avviene sempre in contesti comunicativi con due o più attori.
In ultima analisi un messaggio mira a cambiare un atteggiamento.
L’atteggiamento può essere formato ex novo es. quando viene immesso un nuovo prodotto nel
mercato, la comunicazione in quel contesto è creare un nuovo atteggiamento che prima non
esisteva. Oppure c’è già un atteggiamento, chi comunica sa che esiste e vuole rafforzarlo (es.
politico che rafforza l’atteggiamento), nel mercato si parla di brand loyalty. Oppure si può
cambiarlo.
Da questo discende che la persuasione è sempre un processo intenzionale, questo carattere
intenzionale distingue la persuasione da altri processi.
Seconda cosa è un atto di comunicazione perché persuadere non può prescindere dall’atto
comunicativo.

Quando noi mettiamo in atto, utilizziamo un


messaggio persuasivo abbiamo lo scopo di
influire su:
 opinione e credenze di una persona
su un determinato tema.
 atteggiamenti in senso stretto es.
insegnante che cerca di convincere gli
alunni a essere più generosi, valori,
magari la maestra vuole trasmettere
un valore.
 comportamento e sulle azioni delle
persone es. politico che vuole
convincere di una sua idea, vuole che concretamente gli elettori lo votino.
La persuasione quindi riguarda sia piano cognitivo (opinioni, credenze, valori) che il piano
comportamentale. Una persuasione veramente efficace riesce a coinvolgere entrambi i piani
cognitivo e comportamentale.

Due modelli teorici più


importanti che hanno cercato di
capire la persuasione. La
domanda da cui sono partiti è
come ragioniamo, come la
nostra mente ragiona, che
meccanismo si scatena quando
veniamo raggiunti da un
messaggio persuasivo.
Negli anni ‘80 si rendono
necessari modelli più generali
che cercano di spiegare come
avviene la persuasi. I modelli più
importanti sono i modelli duali
che ipotizzano che quando le
persone sono raggiunte da un messaggio persuasivo possono usare due ragionamenti, modalità di
risposta cognitiva che possono portare sia all’accettazione del messaggio che al rifiuto.

188
Es. immaginiamo di comprare un nuovo telefono e siamo persone super informate, ben preparati,
siamo molto coinvolti nell’argomento. In un negozio con un commesso ragioniamo bene sulle
caratteristiche, facciamo fatica sullo sforzo mentale e ci piace però ragionare per decidere quale
telefono prendere perché ci interessa. In questo caso stiamo usando la via centrale (a sinistra
della slide), è un percorso questo ad alto sforzo cognitivo, le persone investono energia cognitiva,
fanno fatica. Questo percorso richiede che si passino alcune fasi: innanzitutto attenzione al
messaggio, il messaggio deve essere compreso perchè se non ho le competenze, abilità cognitive
per comprendere il messaggio non posso analizzarlo, terza fase devo essere in grado di integrare
le nuove informazioni sul messaggio con le conoscenze pregresse, già possedute, solo dopo posso
dare una valutazione al messaggio se è convincente oppure no.
Un'altra possibilità è che io devo comprare il telefono ma non sono esperta di telefoni, non mi
interessa, magari sono più focalizzata sull’aspetto estetico, di moda. Ho bisogno velocemente di un
nuovo telefono, vado in un negozio dove il venditore mi ammalia e mi fido su quello che lui mi dice
per prendere il telefono. In questo caso mi baso sulla credibilità della fonte, mi baso su quanto
sembra convincente la fonte, uso un percorso periferico, superficiale; è un processo a basso sforzo
cognitivo, non faccio fatica mentale. Mi baso non tanto sul contenuto del messaggio ma più sugli
aspetti periferici come l’aspetto della fonte, le capacità della fonte. Ci si focalizza sugli aspetti di
contorno.
Molto spesso noi utilizziamo questo ragionamento periferico, euristico che spesso funziona ma a
volte ci fa commetter errori.

Ricerca famosa di Petty, Cacioppo e


Goldman per far capire come funziona
questo modello e come avviene la ricerca
sulla persuasione.
La ricerca sulla persuasione quello che si fa,
lo schema del disegno sperimentale di
queste ricerche è misurare un
atteggiamento verso qualcosa, un tema, un
argomento, ecc. poi propongo il messaggio
persuasivo e lo costruisco in modo da
variare alcuni aspetti e poi dopo rimisuro
l’atteggiamento in un tempo 2 e guardo se
c’è stato un cambio di atteggiamento tar
tempo 1 e tempo 2.
Variava qui la credibilità della fonte.
In queste ricerca si testa se si sta davvero
manipolando quello che si sta cercando di
manipolare.

Primo punto della slide c’erano tutta una


serie di condizioni a sostegno
dell’introduzione di un esame in più nel
corso di studio e si variava qui la qualità
delle informazioni, alcuni messaggi più
convincenti e latri meno convincenti.

189
Secondo punto della slide cambia l’attenzione, se ci riguarda da vicino il messaggio lo si valuta più
attentatamene. Se riguarda altre persone l’attenzione è minore.
Terzo punto slide misuro il cambiamento tra tempo 1 o tempo 2. Le ipotetiche cause, quindi
l’atteggiamento sono le indipendenti.

Una ricerca del genere è un classico disegno


che si chiama 2x2x2 dove i due
rappresentano le variabili indipendenti usate
nella ricerca che sono:
 expertise della fonte
 qualità delle argomentazioni
 coinvolgimento personale
Tutte e tre queste variabili indipendenti
sono a due livelli ecco perché 2x2x2 perché
sono i livelli della variabile: alto o basso.
In queste ricerche si vede se tutte queste variabili se e come si combinano tra di loro,
interagiscono nel cambiare l'atteggiamento. Vado a vedere che cosa influenza di più
l'atteggiamento e quindi qual è il tipo messaggio che risulta essere più o meno persuasivo.
Queste sono le tre indipendenti e l'atteggiamento è la dipendente.

Sull’asse verticale la dipendente. Più i


valori sono alti più c’è stato un cambio di
atteggiamento quindi più quel messaggio
è risultato efficace. Nell’asse orizzontale
c'è la variabile tipo di coinvolgimento
(basso l'esame sarebbe stato introdotto
10 anni dopo, alto l'esame sarebbe stato
introdotto l'anno successivo).
Il coinvolgimento e il tipo di
argomentazioni interagiscono tra di loro
nel produrre il cambiamento di
atteggiamento, quindi queste due
indipendenti si combinano tra di loro per
avere un effetto sulla dipendente.
Si guarda in verticale da sinistra. Quando le persone sono molte coinvolte nel messaggio, sono
motivate ad analizzarlo, il fatto che le argomentazioni siano tanto o poco deboli ha una grande
importanza, la differenza tra il punto rosso in alto e il punto blu in basso è grande, è una differenza
significativa dice che quando al messaggio ci sono delle forti argomentazioni c'è un forte
cambiamento di atteggiamento quindi più un messaggio è convincente più le persone cambiano
atteggiamento in direzione del messaggio quindi nel nostro caso sono più favorevoli al fatto che
quell'esame venga introdotto.
Quando invece le argomentazioni sono deboli ma c'è un forte coinvolgimento, c'è uno scarso
cambiamento di atteggiamento.
Nella parte destra la differenza si assottiglia molto quindi le argomentazioni fanno poca differenza
perché le persone non sono molto coinvolte nel messaggio.
Quando c’è un coinvolgimento elevato nel messaggio le argomentazioni forti hanno un effetto
elevato rispetto a quelle deboli (qualità importante) quindi utilizzano la via centrale della

190
persuasione invece quando non c’è interesse la qualità del messaggio, delle argomentazioni fa
poca differenza. Quindi la motivazione è un elemento chiave nella persuasione.

Risultato speculare. È antagonista.


Qua al posto delle argomentazioni si va a vedere la fonte.
Da sinistra quando le persone sono molto coinvolte il fatto che la fonte sia esperta o meno non fa
differenza perché chi è molto coinvolto si fa influenzare dal contenuto del messaggio e non dalla
fonte. Invece chi è poco coinvolto nel messaggio è più probabile che ci si influenzi dalla fonte, ci si
basa sul prestigio della fonte; in questo caso fa differenza l’espertività della fonte. Qui si usa la via
periferica della persuasione.

Primo grafico: via centrale della


persuasione, se sono più coinvolto
mi focalizzo sugli elementi centrali
della persuasione.
Secondo grafico: via periferica, se
sono poco coinvolto mi focalizzo di
più sugli elementi superficiali, di
contorno e non direttamente
legati al contenuto del messaggio.
Sulla base di ciò i tre autori dicono
che la via maestra della
persuasione passa attraverso la
via sistematica. Quindi il modo per
persuadere le persone più
profondamente è quello centrale dove le persone ragionano e si analizzano forza e qualità
dell'argomentazione.
Il cambiamento di atteggiamento però si può ottenere anche con la via superficiale, si ottiene in
entrambi i casi ma in un caso è qualitativamente diverso.
L’aspetto motivazionale, emerge da questa ricerca, è una variabile chiave. L’aspetto della
motivazione fa la differenza, determina l’uso della via centrale rispetto a quella periferica, è
discriminante perchè a seconda che ci sia o no motivazione cambia quale via usare.
191
Queste sono le variabili personali e
situazionali che possono
discriminare l'uso di una o l'altra
via della persuasione.
Perché si scelga una via o l’altra
bisogna tenere conto di due
aspetti:
1. Uno di questi è la
motivazione del soggetto
rispetto a cosa vogliono
magari comparare; userà la
via centrale quindi sarà
propenso a fare fatica, fare un ragionamento cognitivo più importante, più faticoso.
2. L’altra variabile discriminante è l’abilità cognitiva. L'individuo deve essere in grado di
elaborare il messaggio non solo in termini di capacità ma anche in termini di condizioni
contingenti che influenzano sul suo sforzo cognitivo. Affinché io possa comprendere un
messaggio devo avere abilità cognitiva, devo capirlo, devo avere sufficienti conoscenze che
mi permettono di comprendere quel messaggio e di analizzarlo.
Non solo abilità individuale ma la nostra abilità cognitiva può essere influenzata da fattori
situazionali, le distrazioni diminuiscano la capacità cognitiva di comprendere i messaggi.
Quindi non è solo la nostra capacità ma ci sono fattori contingenti, situazionale che possono
diminuire quell'abilità cognitiva per capire il messaggio.
Gli autori dicono che questi due aspetti sono importantissimi perché discernano l'una o l'altra via.

Il modello di probabilità di
elaborazione dice che la prima
domanda da farsi è chiedersi se le
persone hanno la motivazione e la
capacità cognitiva di comprendere il
messaggio, devono averli entrambi.
Se sì, è altamente probabile che
utilizzeranno il percorso centrale,
l’elaborazione sistematica.
Se non hanno né motivazione né
abilità cognitiva utilizzeranno il
percorso periferico ossia
l’elaborazione superficiale.
In entrambi i casi si può arrivare ad un
cambiamento di atteggiamento.
La differenza è qualitativa, uno non è migliore dell’altro ma ci sono effetti nel lungo termine: è più
stabile, duraturo l’atteggiamento con la via centrale; mentre con la via periferica l’atteggiamento
decadeva di più nel tempo, effetto più effimero, meno duraturo nel tempo.
Se la via periferica è usata per comprare un prodotto non importa se è duraturo nel tempo perché
l’oggetto si compra subito.
Questo modello ha due percorsi alternativi che si escludono a vicenda, o fanno un tipo di
ragionamento o l’altro.

192
Secondo modello euristico-
sistematico, è molto simile al
precedente e anche questo definito
duale perchè ipotizza sempre due vie,
due processi di riferimento diversi alla
percezione del messaggio, quindi
ipotizza sempre una doppia via alla
persuasione:
 elaborazione sistematica, del
tutto simile alla via centrale, è
esattamente la stessa cosa cioè
ipotizzano la stessa cosa.
 La seconda via più superficiale
è descritta in maniera diversa,
il processo che le persone
utilizzano nella via superficiale è un processo euristico, basato proprio sulle euristiche
(utilizzo quotidiano di scorciatoie mentali quindi meno energia cognitiva per prendere
decisioni).
Per prendere una decisione più velocemente si basano su ragionamenti semplificatori
euristici meccanismo molto semplice, automatico.
Una della euristiche più famose è l'euristica dell'esperto cioè le informazioni degli esperti le
riteniamo più valide.
Altra euristica famosa è quella della riprova sociale o del consenso, tendiamo a giudicare
più di valore quelle cose, opinioni, azioni adottate dalla maggioranza delle persone, se tutti
fanno una cosa noi tendiamo a seguire quello che fanno gli altri (es. se dobbiamo scegliere
un ristorante andiamo a scegliere quello pieno rispetto a quello completamente vuoto
perché deduciamo che in quello si mangerà meglio).
Altra euristica della lunghezza del messaggio, quando un’opinione, posizione viene
sostenuta da più argomentazioni rispetto a una argomentazione anche se a livello di
significato non sembra cambiare molto, noi tendiamo a ritenere quel messaggio più valido.
A volte cioè un messaggio un po’ più lungo che contiene più argomentazioni può essere,
solo sulla base del fatto che è più lungo, sembrare più convincente rispetto ad un
messaggio che è sostenuto invece da una sola argomentazione. Chi utilizza le tecniche del
linguaggio magari deduce molto linguaggio, tende a parlare molto senza aggiungere
significato per avere un effetto dal punto di vista superficiale che è comunque sempre un
effetto.
Questo modello dice che quando le persone usano la via euristiche si basano su questi meccanismi
mentali molto semplici.
Le euristiche affinché vengano utilizzate devono essere disponibili cioè le persone le devono
conoscere, devono per esempio averle utilizzate in passato, devono essere inoltre accessibili alla
nostra mente (nella nostra memoria ci sono alcune informazioni più prontamente disponibili ed
altre più sotterrate, se l'euristica sta sopra probabilmente viene utilizzata con maggiore facilità) e
devono anche essere considerate affidabili dalle persone.
Anche in questo modello la capacità cognitiva e la motivazione sono fondamentali come nel
modello di prima e l’uso di una o l’altra via dipende da quanto le persone sono motivate e dalla
capacità cognitiva.

193
Il metodo è lo stesso della ricerca di
prima degli studenti, qui però siamo in un
messaggio pubblicitario degli anni ‘90. Le
variazioni rispetto al modello sono uguali
a quelle dell'esempio fatto prima.
L’unica differenza rispetto all’altra ricerca
era che le argomentazioni erano costruite
così: c'erano dei messaggi con
argomentazioni tutte forti, convincenti,
un messaggio con argomentazioni tutte
deboli ma in questo caso c'era una terza
condizione che era una condizione di
incertezza, di ambiguità dove il
messaggio aveva sia argomentazioni forti che deboli. Può capitare nella vita di tutti i giorni che un
messaggio non sia nettamente convincente o nettamente poco convincente quindi una via di
mezzo, nella vita quotidiana le persone sono esposte ai messaggi anche un po’ dubbi con
argomentazioni buone e altre un po’ meno.
Messaggio ambigua con argomentazioni sia forti che deboli.

A livello di risultati succede esattamente


quello che succede nel primo studio,
esattamente gli stessi risultati: la fonte
conta di più per i poco motivati e le
argomentazioni forti contano di più per i
motivati ma il risultato interessanti è
nella condizione di ambiguità cioè
quando il messaggio è incerto. In questa
condizione quando le argomentazioni
rendono il messaggio ambiguo la
credibilità della fonte poteva co-
determinare la valutazione del
messaggio insieme alle argomentazioni cioè in quella condizione le persone pensavano a tutte e
due le vie, si basavano sia sulla fonte sia sulle argomentazioni, li usavano insieme perché erano
incerti, non avevano una condizione chiara del messaggio quindi valutavano sia la validità della
fonte che il contenuto del messaggio.
Le due vie quella euristica e quella sistematica non si escludono a vicenda come diceva il primo
modello, possono avere degli effetti indipendenti ma anche interattivi cioè possono co-
determinare gli effetti persuasivi.
Queste due vie sono confermate da questo modello ma la differenza fondamentale tra i due
modelli è appunto che in un caso si ipotizza che le vie siano nettamente separate tra di loro, invece
nel caso del secondo modello (euristico-sistematico) si ipotizza, e le ricerche lo confermano, che la
via euristica e quella sistematica non siano nettamente separate ma interagiscono tra di loro nel
determinare la persuasione quindi che ci sia un effetto di interazione.
Secondo il modello, le persone possono usare simultaneamente i due tipi di percorso quando tutte
le condizioni sono presenti: quindi quando c'è motivazione, abilità cognitiva e quando le euristiche
sono disponibili, accessibili e affidabili (considerate di memoria, accessibili ossia che ci vengano in
mente e che le consideriamo affidabili nel prendere le nostre decisioni).

194
30/03/2022
Focalizziamo l’attenzione sulla catena
persuasiva.
I primi studi analizzavano tutte le
caratteristiche delle tre parti della
catena persuasiva che insieme o
speratatene possono avere influenze
persuasive.
Analizzare questo schema della catena
dal punto di vista della catena persuasiva
quindi capire cosa ha più impatto, come
si devono costruire le parti per avere più
impatto ossia quali sono le variabili
moderatrici.

LA FONTE
Può essere identificato con colui, colei o coloro che supporta quindi dà il proprio sostegno ad un
messaggio persuasivo. Quindi la fonte è chi produce e sostiene il messaggio.
In alcuni contesti la fonte è chiaramente identificabile, in altri non è così chiaramente identificabile
ad esempio nella comunicazione pubblicitaria.
La ricerca sulla comunicazione persuasiva si è soffermata su alcune caratteristiche della fonte.
Notorietà della fonte → spesso associare una persona nota ad un messaggio da forza persuasiva
alla fonte.
Similarità ossia si realizza un’identità collettiva, sociale che ha lo scopo di avvicinare
psicologicamente il messaggio alla fonte, avvicinare psicologicamente fonte e destinatario è un
meccanismo tipico.

Hovland e i successori hanno ipotizzato


che si possa parlare di due macro-
dimensioni.
Una è la credibilità divisa in
competenza quindi essere esperti, e la
fiducia cioè la percezione da parte del
destinatario, target che la fonte dica la
verità.
Seconda macro-dimensione è
l’attrattività della fonte che genera il
desiderio di identificazione nel
ricevente. Anche questo si suddivise in
due: aspetto/notorietà quindi bellezza
e il fatto che la fonte sia conosciuta, e
somiglianza/condivisione tanto più nel messaggio persuasivo la fonte è vicina al destinatario tanto
più scatta il processo di identificazione della fonte.

195
La credibilità della fonte è una
delle caratteristiche che ha
ricevuto più conferme empiriche,
credibilità confermata da molte
ricerche.
Un messaggio proveniente da una
fonte credibile viene accettato più
facilmente quindi ha un maggiore
effetto persuasivo.
Quando parliamo di credibilità
facciamo riferimento sia alla
competenza e qui l’euristica che
scatta è quella dell’esperto anche
solo apparenza dell’essere
esperti, non per forza la persona
è davvero esperta. Importantissimo qui è il ruolo professionale di chi sostiene il messaggio quindi
spesso si fa leva su una competenza specifica, un ruolo professionale specifico.
Affidabilità/fiducia, quando siamo in un contesto persuasivo magari dobbiamo comprare in un
negozio, sviluppiamo delle aspettative rispetto alla fonte, noi ci aspettiamo che la fonte abbia un
determinato comportamento e quando l’aspetto è chiaro ci aspettiamo che l’intento sia
perseguito. Quando l’intento è molto chiaro e netto e la fonte si cala molto nel ruolo ed è molto
pressante es. si vede che la persona vuole davvero vendere, l'eventuale compratore tende a
opporre una certa resistenza alla persuasione, questo per un principio legato alla teoria della
reattanza psicologica per cui quando noi ci troviamo davanti a uno scopo persuasivo troppo
pressante, quando l'intento persuasivo è così chiaro ed evidente c’è un effetto boomerang per cui
le persone. proprio perché vedono una restrizione, una limitazione della propria capacità di scelta,
tendono a stoppare il messaggio di rifiutarlo, è proprio una reazione automatica psicologica in cui
noi stoppiamo la comunicazione.
Se l’intento persuasivo è troppo forte ed evidente le persone tendono a tirarsi indietro, può
succedere che ci fidiamo meno della fonte.
Diversamente se le aspettative che la fonte persegue al proprio interesse vengono disattese il
messaggio avrà maggiore forza persuasiva, es. una commessa magari ti sconsiglia un capo più
costoso perché magari è di qualità inferiore e lo fa contro il suo interesse (questa è una classica
tecnica di vendita), questo è un modo per apparire più sinceri e onesti, in quel caso spesso quello
scavalca la reattività per cui si diventa più persuasivi perché la fonte riesce ad apparire come meno
interessata per seguire i propri interessi e ottiene maggiore fiducia. Questo meccanismo deriva da
una disconferma delle aspettative che noi abbiamo nei confronti della fonte.

Rispetto alla credibilità della fonte è


stato evidenziato un effetto particolare
e diverso come durata nel tempo. Se si
va a misurare il cambiamento di
atteggiamento in un tempo 2 può
succedere che la persuasività di un
messaggio possa aumentare quando
nella memoria del ricevente alcuni indizi

196
squalificanti, per esempio una fonte poco credibile, non sono più disponibili o vengono dissociati
dal contenuto del messaggio.
La fonte poco credibile solitamente ha meno effetto di quella molto credibile ma è stato
dimostrato che nel tempo la fonte poco credibile aumenta di efficacia, cioè viene ricordata di più
la fonte poco credibile nel tempo 2 rispetto al tempo 1 → Sleeper effect.
Sleeper effect è un effetto ritardato della fonte poco credibile, dell'indizio più squalificante del
messaggio ed è stato spiegato con varie ipotesi legate ai nostri meccanismi di memoria.
Ci sono diverse ipotesi alcune dicono che nella nostra memoria c'è una sorta di decadimento
dell'associazione tra le informazioni relative al messaggio con le informazioni relative alla fonte.
Cioè succede che a volte noi ci ricordiamo il contenuto di un messaggio ma non ci ricordiamo chi
l'ha detto, ci ricordiamo lo spot ma non il brand, oppure il contrario ci ricordiamo qualcuno che ha
detto qualcosa ma dissociamo alla persona dal messaggio; il ricordo della fonte e del messaggio
nel tempo rimangono meno connessi, associati e questo è il motivo per cui le fonti meno credibili
vengono ricordate di più nel lungo periodo.
Da alcuni studi è emerso che conta anche dove nella durata del messaggio è stata messa la fonte;
se messa all’inizio viene ricordata più a lungo mentre se viene messa alla fine c’è l’effetto di
recenza e quindi viene dimenticata prima.
Questo effetto ritardato ci dice
che la credibilità della fonte ha
effetti diversi nel tempo.

Un messaggio proveniente da una


fonte attraente viene accettato
per stabilire una relazione
gratificante con la fonte e cercare
di identificarsi con la fonte stessa.
Associo il messaggio ad una fonte
nota, piacevole per cercare di
stabilire piacevolezza. Il
meccanismo che si vuole
innescare è di identificazione
quindi le persone si avvicinano alla fonte.
Qui è stata definita l’euristica dell’attrattiva che anche questo è un meccanismo di semplificazione
del ragionamento che fa sì che noi tendiamo a concordare con chi è per noi attraente.
Qui sono famose le ricerche di una psicologa sociale Chaiken che fece una serie di studi in cui
associava dei messaggi persuasivi a delle persone presentate come esseri più o meno attraenti e
trovò che quando il messaggio era comunicato da una persona con un aspetto fisico piacevole
tendevano a essere più persuasivi.
La stessa Chaiken negli anni però ha rivisto questi risultati e a differenza dei risultati emersi dalla
credibilità della fonte, i risultati che ha trovato sull’attrattiva non sono così chiari ma sono un po’
controversi perché in alcuni casi sembra essere maggiormente efficace il messaggio sostenuto da
fonti attraenti mentre in altre un po’ meno quindi i risultati sono un po’ controversi.
Hanno ipotizzato la Chaiken e altri ricercatori che non sia solo questione di aspetto fisico ma anche
di percezione sociale che le persone con un aspetto fisico più piacevole possono avere. Ad
esempio può innescarsi nel ricevente del messaggio un meccanismo di ricompensa sociale cioè
essere amici di persone considerate belle o attraenti, popolari può essere considerato da alcune
persone come una ricompensa sociale, può contribuire ad accrescere un po’ l'autostima delle
persone che basano molto alla loro autostima su questo aspetto; oppure al contrario la persona
197
che ha un aspetto fisico piacevole nel corso della sua vita può avere rafforzato le proprie abilità
comunicative perché magari ha ricevuto molti riscontri positivi quindi è possibile che le persone di
aspetto fisico un po’ più attraente abbiano delle abilità comunicative più efficaci perché le hanno
sviluppate nel tempo e hanno ricevuto diverse conferme.
Le ipotesi sono diverse, non c’è una chiarissima spiegazione di questo effetto ma è sicuramente un
effetto che c'è e viene utilizzato spesso soprattutto nella comunicazione pubblicitaria dove si
associa una fonte attraente a un messaggio.

Risultati interessanti tra aspetto della fonte


e percezione di credibilità della fonte.
Alcune ricerche hanno evidenziato che le
caratteristiche fisiche possono influire sulla
percezione sociale, percezione di ruolo e
sull'attribuzione di tratti da parte del
ricevente.
Ad esempio un meccanismo, un effetto
evidenziato è il baby-facedness cioè è stato
evidenziato che a volte le persone che
hanno dei tratti del viso di un certo tipo in
particolare tratti del viso molto simile a
quelle di un bambino, tratti infantili (viso
arrotondato, occhi grandi, fonte alta) vengono tendenzialmente percepiti come persone che
posseggono in maggiore misura tratti come quello della sincerità, dell'onesta, dell'affidabilità.
Quindi c'è una sorta di connessione tra tratti del viso e percezione della persona stessa.
Altri tipi di ricerca fatti anche relativamente ai politici, sono stati fatti sulla competenza, lo si vede
nello schema a destra, si è provata a variare la forma del viso di alcuni potenti politici che
presentavano delle proposte e questa variazione è stata fatta su un gradiente forme del viso dove
da una parte il viso viene creato da un software del computer come molto arrotondato e dall'altra
lo stesso viso viene modulato in modo più squadrato, spigoloso.
Dove il viso è spigoloso le persone tendono ad attribuire maggiore tratti di competenza mentre
dove è più tondo il viso la stessa persona viene percepita come meno competente.

Un altro modo di rendere il messaggio più


persuasivo è presentarlo supportandolo con
una fonte nota, una persona famosa.
All’inizio c’era un’idea esemplificata dei
testimonial quindi si usavano persone famose
a caso ai prodotti senza una connessione
narrativa tra testimonial e brand. Poi si è
capita l’importanza di questa connessione e
sono stati fatti studi per capire i testimonial
adatti.
Certe volte c’è una connessione narrativa tra
testimonial e brand, altre volte i brand usano
un altro tipo di connessione.
Ci sono altri brand dove il testimonial
racconta la sua storia quindi magari si cerca di

198
spingere sull’empatia. Qui (es. Adidas Messi) c’è proprio una connessione narrativa tra l’identità
del brand, quello che il brand ha deciso di comunicare e la storia del testimonial.
Esempio pugile con velo, un’altra operazione è la storia personale che si fa portatrice di un valore
importante. Io passo con il testimonial valori importanti e cerco di riempire di significati ancora più
ricchi e diversi i brand.
I tipi di associazione che si possono fare sono diversi.

Quando si parla di somiglianza si fa


riferimento al fatto che quando una fonte
viene percepita come essere simile o vicina
a noi, al destinatario, al target questo non
fa altro che aumentare la persuasività del
messaggio.
Per somiglianza si intende innanzitutto la
somiglianza fisica e psicologica perché
normalmente le persone sono sempre
meglio predisposte verso una fonte, una
persona che percepiscono come essere
simile a loro.
Esiste a questo proposito un bias evidenziato in psicologia sociale che si chiama il congeniale di
bias per cui tendiamo a disporci a quegli stimoli che rispecchiano un po’ quello che noi siamo.
Questa esposizione selettiva facilità il meccanismo e quindi il fatto di trovare delle connessioni con
il mio destinatario di qualsiasi tipo è un modo per gettare delle basi per essere più persuasivi.
Questo è un primo meccanismo molto noto e molto efficace che aumenta, rende più probabile che
la fonte diventi persuasiva, che ci sia cioè avvicinamento psicologico.
Questa somiglianza si può basare sia sulla somiglianza fisica che psicologica ma anche sulla
condivisione, sull'appartenenza.

Se la fonte condivide con noi


l’appartenenza ad un gruppo
rilevante, l’adesione al messaggio
persuasivo e l’elaborazione
saranno facilitate dall’avere
un’identità sociale condivisa.
L’identità ci deriva dal fatto di
appartenere a gruppi, categorie.
Nella comunicazione pubblicitaria,
tanto più si fa leva su una stessa
appartenenza tanto più si avvicina
fonte e destinatario
psicologicamente quindi il
messaggio diventa più persuasivo.
È molto diffuso l’apparenza ad uno
gruppo sull’età.
Un’altra modalità è che posso
usare anche valori molto ampi, condivisi in cui tutti si possono riconoscere per creare una
condivisione, connessione es. pubblicità in cui un gruppo di amici giocano a basket tutti in

199
carrozzina perché uno di loro è davvero in carrozzina. Quindi usare un valore molto forte, molto
condiviso per condividere qualcosa.
Pubblicità dove certi valori diventano unificanti quindi uniscono fonte e destinatario.

1/04/2022
Messaggio → secondo elemento nella
catena persuasiva.
Le caratteristiche del messaggio possono
essere classificate in:
 Organizzazione contenuto quindi
scelte che chi opera può operare in
termini di costruzione del messaggio.
Si suddivide poi in: lunghezza del
messaggio; argomentazioni unilaterali
e bilaterali (si può scegliere di
utilizzare delle argomentazioni solo a
sostegno della propria opinione →
unilaterali oppure alternativamente
utilizzare sia argomentazioni a favore
sia contrarie, ovviamente confutando
quelle contrarie, dimostrando che
sono sbagliate → bilaterali); poi vividezza che ha a che fare con l’effetto emotivo che il
messaggio può avere, sulla capacità di coinvolgere il target sia dal punto di vista sensoriale
200
che emotivo, ricorso a euristiche (ossia scorciatoie cognitive) che possono essere usate
anche a livello comunicativo ossia possono inserire elementi nel messaggio che favoriscono
l’utilizzo delle euristiche; ultima caratteristica è l’ordine di presentazione (dove metto le
argomentazioni più forti)
 Frame del messaggio io posso incorniciare il mio messaggio da un punto di vista
semantico, posso decidere di dare peso maggiore ad alcuni aspetti piuttosto che altri. Nel
frame è emersa la valenza del messaggio cioè io posso dare peso maggiore ai guadagni o
perdite che una determinata decisione, contenuti può dare.
 Ricorso alla paura quindi analizziamo il filone di comunicazione del messaggio fear appeals
ossia i messaggi basati sulla paura nei quali si sceglie di evocare nel destinatario un
meccanismo negativo, proprio di paura per convincere il destinatario a non mettere in atto
un determinato comportamento. Tecnica molto usata soprattutto nei paesi anglo sassoni

Spesso i messaggi più lunghi con


più argomentazioni sono più
persuasivi.
È emerso che l’efficacia
persuasiva dipende da alcuni
fattori relativi al target, emerso
informazioni rispetto al grado di
informazioni e dagli
atteggiamenti pre-esistenti. Se
mi rivolgo ad un pubblico molto
informato sull’argomento sarà
meglio adottare
un’argomentazione bilaterale
perché il pubblico avrà strumenti per contrastare le argomentazioni contrarie.
Diversamente se il pubblico è poco informato sono più efficaci le argomentazioni unilaterali.
Altro argomento discriminatori sono gli atteggiamenti pre-esistenti, se si parla con un pubblico già
dalla propria parte non c’è bisogno di smontare le argomentazioni contrarie quindi se
l’argomentazione del pubblico è simile alla fonte sono più efficaci le argomentazioni unilaterali.
Invece se l’audience ha un atteggiamento eterogeno non simile alla mia posizione sarà più efficace
l’argomentazione bilaterale perchè dovrò portare il pubblico dalla mia parte smontando le
argomentazioni che magari il pubblico sostiene ma che non sono simili alla fonte.
Teoria della vaccinazione che ha evidenziato il meccanismo che le persone che cambiano
atteggiamento dopo essere persuasi da un’argomentazione bilaterale, sembrano essere più
resistenti a tentativi di persuasione successivi perché si ha già in memoria argomentazioni per
smontare argomentazioni contrarie.

Vividezza, un messaggio vivido al contrario di


uno pallido è in grado di evocare immagini,
sensazioni, è vicino alla persona quindi è un
messaggio in grado di essere coinvolgente,
acchiappa la persona in qualche modo e
riesce a coinvolgere il destinatario dal punto
di vista emotivo e quindi rimane più in
memoria.
201
Però ci può essere anche un lato negativo della vividezza perché magari uno spot è talmente
vivido, coinvolgente che si dissocia il nome del brand e si ricorda solo lo spot. Quando il messaggio
è molto complesso utilizzare un messaggio troppo vivido può essere controproducente.
I messaggi vividi infatti sono più utili per passare messaggi semplici, universali, altrimenti è meglio
usare un messaggio pallido.

Altro aspetto del messaggio è


il ricorso a euristiche. Chi
comunica, chi crea il
messaggio può inserire come
ingrediente persuasivo le
euristiche cioè può nella
costruzione del contenuto del
messaggio decidere di fare
leva su alcune scorciatoie
cognitive.
Ce ne sono alcune che
vengono usate di più nella
comunicazione persuasiva
soprattutto nella
comunicazione pubblicitaria
oppure nella presentazione
dei prezzi, il cosiddetto
priceing. Rispetto alle tecniche
di priceing per esempio viene utilizzata molto l’euristica dell’ancoraggio che è quell’euristica per
cui le persone semplificano il loro ragionamento ancorandosi solitamente ad un valore, ad un
punto di riferimento per poi fare delle comparazioni, operare degli aggiustamenti e raggiungere
una posizione finale es. se andiamo a vedere delle case il prezzo della prima funzionerà da ancora
per le successive. Es. se ci sono tre prezzi per un’offerta, questo è fatto per spingere a scegliere
l’offerta di mezzo.
Poi c’è l’euristica della riprova sociale o del consenso per cui se tutti scelgono quel prodotto allora
sarà valido.
Poi può essere utilizzata anche l’euristica della rappresentatività che è quella per cui i nostri giudizi
si basano sul grado di rappresentanza della categoria, noi abbiamo degli schemi in testa che sono
più forti del giudizio di probabilità. Effetto del paese di origine dove a volte etichettare un prodotto
dicendo viene da è un classico meccanismo per dire che quel prodotto sia valido.

Altra caratteristica è l’ordine di


presentazione delle argomentazioni. Ci si
può chiedere se mettere in certe
posizione alcuni tipi di argomentazioni
può fare la differenza, può essere più o
meno persuasivo.
A questo proposito sono stati evidenziati
due effetti che sono un po’ quelli più
importanti:
 effetto di primacy → mettendo all’inizio del messaggio alcune argomentazioni queste
vengono ricordate maggiormente soprattutto a medio e a lungo termine, quindi se io
202
rimisuro la memorizzazione di queste argomentazioni dopo un periodo che può essere
definito meglio-lungo, quelle argomentazioni se sono state messe all'inizio del messaggio
probabilmente si crea questo meccanismo per cui tutte quelle successive a cui io vengo
esposto si agganciano in qualche modo alle prime. Per questo motivo se c'è questa
integrazione, questo aggancio le prime informazioni vengono ricordate di più a lungo
termine perché entrano di più nella memoria a lungo termine (la memoria a lungo termine
è quella che rimane per sempre e che più che altro sono critici i meccanismi di recupero
lungo termine). In questo caso le informazioni successive alle prime entrano, passano nella
memoria a lungo termine quindi vengono ricordate di più queste argomentazioni.
 effetto di recency → cioè quando invece le informazioni, argomentazioni del messaggio
vengono inserite alla fine hanno effetto più a breve termine. Qui gioca l’accessibilità delle
informazioni che si basa sul fatto che più è recente l’informazione più la ricordo meglio.
C’è poi la scelta di mettere le informazioni sia all’inizio che alla fine del messaggio se è possibile, la
classica struttura panino, all’inizio bastano solo pochi indizi sul brand e poi alla fine lo esplicito
veramente.

Fino ad esso abbiamo parlato di


costruzione di contenuto qui
adesso invece parliamo della
cornice interpretativa del
messaggio.
Frame è la cornice interpretativa
di un evento, di una situazione,
di un tema.
Quando racconto un evento
posso decidere di dare una
cornice interpretativa, semantica
cioè posso decidere di
comunicare al target con lo stesso
messaggio ma facendo leva su
elementi diversi. Un elemento che
è emerso essere importante nella
comunicazione persuasiva è quello della valenza positiva o negativa di un messaggio.
Il presupposto di base da cui sono partite queste ricerche e che quando io comunico un
messaggio, rappresento un evento posso decidere di enfatizzare i guadagni, benefici, aspetti
positivi oppure le perdite e gli aspetti negativi.
Queste ricerche ora molto importanti, hanno evidenziato che evidenziare gli aspetti positivi
piuttosto che negativi ha conseguenze diverse, due facce della diversa medaglia.

203
Per capire questo serve la teoria
del prospetto di Kahneman e
Tversky, teoria degli anni 80.
Loro sono partiti soprattutto dallo
studio dei processi decisionali cioè
di come le persone prendono le
decisioni e partendo dal
presupposto che spesso noi
abbiamo una sorta di razionalità
limitata cioè che quando
dobbiamo decidere non siamo dei
perfetti decisori che soppesiamo
guadagni, possibili costi benefici di
qualsiasi cosa, ma a volte usiamo il
pensiero intuitivo che è quello delle euristiche che ci porta a semplificare.
Loro partono da questo presupposto e dicono che nella vita reale le decisioni che tutti noi
prendiamo sono condizionate in modo significativo dal modo in cui alle persone si prospettano i
diversi esiti delle alternative decisionali. Cioè dicono che se io presento alle persone una data
situazione il modo in cui io prospetto i possibili esiti positivi e negativi di quella situazione ha un
valore, ha un effetto e questo cambia a seconda del fatto che questi esiti siano presentati in
termini di guadagni piuttosto che di perdite.
Quindi le decisioni sono fortemente condizionate dal modo in cui alle persone si prospettano gli
esiti di guadagno o di perdita delle alternative decisionali. Guadagno e perdita non è la stessa cosa,
non è l'equivalente.

Fanno delle ricerche,


come tutti gli psicologi,
e propongono alle
persone delle situazioni
al seguito delle quali
chiedono di prendere
decisioni rispetto alle
situazioni, queste
situazioni variano per
alcune caratteristiche.
Si dice la stessa cosa ma
nel primo caso si
accentua l’effetto
positivo perché si
salvano quindi accentuo
il guadagno, mentre
nella seconda effetto
negativo perché si usa
la parola “muoiono”
quindi si accentua la
perdita. Ma in entrambi i casi sto dicendo la stessa cosa quindi dovrei aspettarmi che le persone
facciano la stessa scelta ma non è così. Chi era nella condizione 1 sceglieva la condizione A mentre

204
chi era nella condizione 2 sceglieva la condizione D. Da una parte c’è la certezza (A e C) mentre
dall’altra parte programma riflessione (B e D) e si sceglie quando le persone accettano il rischio.
Quando propongo una situazione in termini positivi le persone scelgono il guadagno, mentre nel
messaggio con termini negativi le persone sono più propense al rischio.

Curva asimmetrica. Il valore delle perdite


è più ripido mentre l’andatura del
guadagno è più lenta. Sento più la
perdita rispetto al guadagno
soggettivamente, il dispiacere è maggiore
nella perdita che nel guadagno.
Più perdo più rischio perché il valore
della perdita mi porta a rischiare di più
(es. gioco d’azzardo).
Nei test diagnostici funzionano di più i
frame di perdita perché portano più la
persona a rischiare. Se invece devo
promuovere la sicurezza es. cinture
funzionano meglio di frame di guadagno.

Ricorso alla paura. La tecnica persuasiva è


inserire nel messaggio qualcosa di negativo
soprattutto dal punto di vista emotivo quindi a
spaventare per persuadere, convincere a non
mettere in atto quel comportamento.

Fear appelas = messaggio attraverso i


quali si minacciano alcuni esiti
indesiderabili che si verificheranno
qualora non si adottino le
raccomandazioni contenute nel
messaggio.
Hovland, che ha studiato la paura
durante la guerra fredda, fece degli
esperimenti variando il livello di paura.
Da queste ricerche emergeva che il
livello di spavento aumentava con il
livello di paura ma le persone
sembravano più persuase delle
condizioni in cui i messaggi evocavano un livello di paura medio quindi si iniziò a ragionare sulla
quantità di paura da usare, sull'intensità della paura che io evoco.

205
La paura affermò Hovland che la paura crea una tensione emotiva, ci disturba in qualche modo,
questo disturbo crea uno scompenso per un disequilibrio emotivo che ha una funzione secondo
Hovland di drive, di spinta è cioè uno stimolo che ci arriva però non possiamo tollerare questa
spinta, questo squilibrio emotivo quindi dobbiamo risolvere la situazione.
Quindi questa spinta porta l'individuo a mettere in atto dei comportamenti adattivi alla situazione
per ripristinare lo stato emotivo precedente.
Possiamo ristabilire il livello emotivo in due modi: o adottiamo il comportamento raccomandato
oppure l’altra alternativa per gestire questo disequilibrio è adottare delle risposte adattive
difensive: pensare che la cosa non mi riguarda da vicino ma riguarda altre persone (es. Un
incidente stradale a me non è capitato quindi non mi sento vulnerabile) oppure dire che le
immagini che hanno messo es. sulle sigarette sono finte, troppo scioccanti, non servono a niente.
Mettere in gioco tutta una serie di risposte cognitive e anche emotive di allontanamento dal
messaggio.
In questo modo c’è proprio un effetto boomerang, cioè il messaggio provoca nel destinatario un
rifiuto quindi la persona mette in atto tutti i processi di squalifica del messaggio che possono
riguardare la fonte, i contenuti, gli effetti nel tempo, in qualche modo trova tutti degli escamotage
per smontare il messaggio e quindi allontanarlo → queste sono tutte risposte adattive difensive.

Hovland e altri ricercatori sulla


persuasione dicono quindi che il
messaggio deve baipassare le
risposte adattive difensive. Perché
alcune ricerche hanno evidenziato
che la relazione tra induzione alla
paura ed effetto persuasivo è una
relazione con la forma di U
rovesciata.
Fino ad un certo punto
effettivamente all'aumentare della
paura aumenta il cambiamento
dell'atteggiamento cioè le persone si
convincono; quando questo livello di
paura è troppo, è esagerato c'è una
diminuzione del cambiamento di atteggiamento.
Con questa ipotesi si dice che innanzitutto bisogna ragionare sulla quantità di paura perché se i
messaggi di paura sono troppo le persone smontano il messaggio e lo rifiutano (effetto
boomerang).
Quindi la comunicazione deve provare a scavalcare, affrontare, baipassare le strategie difensive.

206
Una modalità effettiva
è quella dell’ironia.
Spot Zalone che
normalizza la disabilità
scherzandoci sopra.
Usare l’ironia per
scavalcare le risposte
difensive.
Le ricerche
confermano che
quando nei fear
appeals cioè quei
messaggi dove ci sono
argomenti più forti,
che possono evocare
sensazioni negative,
ecc. se viene costruito
il messaggio
ironizzando senza
esagerare e sempre in modo rispettoso, in modo efficace si riduce la possibilità che il destinatario
metta in atto le risposte difensive per esempio negare la vulnerabilità.
Nello schema della slide c'è una ricerca simile e le due rette rappresentano il caso in cui c'è il
messaggio ironico, quella che va su e il caso in cui non c'è ironia che è quella che va in giù. Si
poteva dedurre che tanto più il messaggio ironico tanto più è maggiore il cambiamento di
atteggiamento che si ottiene in un contesto di messaggi di questo tipo.
L’ironia agisce perché pare che la tensione che deriva dal fatto che c'è questo drive dell'argomento
difficile da affrontare, che noi tendiamo a rifiutare questa tensione viene risolta in qualche modo e
le persone quando sono portate a ironizzare, scherzare su un argomento di questo tipo, sentono di
essere in uno stato di sicurezza emotiva dove i meccanismi difensivi diminuiscono, io riesco a
ragionare su quell'argomento perché non lo rifiuto di primo acchito quindi è più probabile che le
persone elaborino il messaggio, prestino attenzione e lo elaborino e riconoscano anche la
vulnerabilità e la minaccia, cioè si identifichino anche nella situazione.
In generale quindi l’inserimento dell'ironia produce l'effetto di aumentare l'efficacia persuasiva del
messaggio quindi è per esempio un meccanismo che funziona.

5/04/2022
LEZIONE DI APPROFONDIMENTO, NON È MATERIA DI ESAME

La selezione è un processo per cui si individuano dei


candidati che faranno parte di un’organizzazione.
Processo particolarmente dedicato perchè significa
inserire skill, risorse in un’organizzazione.
Selezione del personale perchè bisogna investire e
bisogna farlo sulle persone giuste perchè se sono
sbagliate si può perdere tutto.
Nella selezione si cerca di minimizzare i rischi inserendo
risorse che faranno si che l’organizzazione cresca non solo
dal punto di vista economico ma importante anche del benessere psicologico perchè le persone
207
che funzionano bene sono quelle che stanno bene nelle organizzazioni perchè la persona migliore
nel contesto sbagliato non funziona.
Pensiero divergente cioè per quanto alcune cose c’erano già, è riuscito a leggerle in modo diverso.
Questo è una delle cose più importanti nelle aziende e che si richiede in tutte sempre ossia
l’innovazione che è la base del funzionamento delle organizzazioni.
Un’altra cosa che ha permesso a Steve Jobs ad avere successo è perchè ha fatto un passo in dietro,
ha cominciato ad ascoltare i suoi soci e gli altri e quindi ha iniziato a lavorare non solo sulle sue
idee ma anche su quelle degli altri.
All’inizio lui non funzionava, fu addirittura licenziato perchè mancava delle skill che permettono di
lavorare all’interno delle organizzazioni.
Le selezioni non si basano più solo sulle conoscenze, è importante anche sviluppare tutta a una
parte di skill che mi permettono di funzionare nel mondo del lavoro.
Il team, lavorare in gruppo permette di crescere in conoscenze e permette di aumentare il
pensiero divergente.
Nell’ambito organizzativo le soft skill vanno valutate soprattutto in potenza e non solo in ingresso
durante la selezione.
Queste soft skill sono anche quelle più importanti nel mondo delle organizzazioni, quelle più
valutate nelle selezioni.
Problem solving, capacità analitica, capacità di sintesi, leadership, flessibilità (riuscire a essere nei
diversi contesti efficienti) sono tutte soft skill. Adesso si sta diffondendo la resilienza che però non
è ancora totalmente entrata nelle soft skill.
Tutto questo è importante cosa un selezionatore guarda in un candidato per lavorare in
un’organizzazione.
Non esiste mai il candidato perfetto innanzitutto perchè in un’organizzazione devo valutare non
solo la posizione per cui andrò a valutare la risorsa ma anche dove verrà collocata in
un’organizzazione quindi valuto non solo la persona ma anche la struttura dove la colloco perchè
lo stesso gruppo in una struttura può funzionare e in un’altra no.

Poi c’è il cambiamento


storico. Organizzazioni di anni
diverse hanno esigenze molto
diverse.
Adesso sono richiesti
cambiamenti velocissimi
quindi bisogna consultarsi
molto frequentemente e
rinnovarsi completamente.

208
Esperienza e importanza
potenziale che rende la
selezione particolarmente
ambiziosa perchè non
valuto solo quello che c’è
ma anche quello che ci
potrà essere.

Step selezione.
Il curriculum vitae CV è stato per tanti
anni e ancora adesso almeno a livello
italiano è il primo contatto tra azienda e
candidato.
Nel tempo cambiano alcune cose
fondamentali uno di questi è il tipo di
relazione. Prima c'era l'azienda che
pubblicava un annuncio e il candidato
rispondeva, ed è questa la modalità che
va ancora per la maggiore, rispondeva
mandando la lettera di presentazione e il
CV. Adesso c'è una logica più
bidirezionale. In Linkedin ci sono un
sacco di spunti a tema lavorativo, sociale
perché adesso Linkedin è diventato non solo una piattaforma per far sì che azienda e candidato
trovino un collegamento ma è diventata anche una realtà in cui ci sono alcuni argomenti di
attualità che vengono trattati in un certo modo. Adesso le selezioni passano anche attraverso i
social quindi il movimento non è più monodirezionale ma anche bidirezionale.
Occhio alle foto sui social nei curriculum

Accade molto oltreoceano, adesso molte


aziende americane multinazionali la selezione
non la fanno più con i CV, non esiste proprio
più ma ci sono degli ambienti virtuali tipo
giochi di ruolo online in cui le persone
possono giocare, hanno delle prove da fare,
delle modalità di interazione in qualche modo
l'azienda li valuta su quello, senza il CV.

209
L’altra modalità che qualche azienda ha utilizzato non è quello di ricevere dei CV ma dei progetti ,
sempre nell'ottica di innovazione non ti seleziono su quello che appare scritto sul CV ma su quello
che sei riuscito a farmi a vedere, un progetto che può essere ad esempio un reporter piuttosto che
un'idea, ecc.
Quindi cambia la prospettiva, cambia da quello che c'è scritto rimane lì, quello che dichiaro da
quello che effettivamente le mie dichiarazioni, il mio saper fare dimostra.
L'ambito dell'ambiente virtuale è particolarmente interessante perché sostituisce in parte tutto
quello che sono gli assesment tradizionali quindi vanno a vedere come è l'interazione nel gruppo.
La selezione vera e propria cambia, da quella solo colloquio in presenza, che è quella che va per la
maggiore perché costa di meno (l'organizzazione è anche un tema di costi del candidato con
rapporto uno a uno), nella parte di assesment invece ci sono varie fasi tra cui una delle principali
sono anche i colloqui di gruppo.
Con la pandemia la selezione ha subito un grosso cambiamento da assesment in presenza a tutti
online. Online è più complicato perchè mancano aspetti di comunicazione con gli altri anche il
semplice aspettare il proprio turno per parlare. Questo ha creato grossi problemi soprattutto nelle
selezioni di gruppo dove la comunicazione è fondamentale.
Un vantaggio è stato lo spazio perchè si possono fare colloqui anche con persone a distanza e
impossibilitatati a raggiungere il luogo del colloquio.
Un altro vantaggio è stato poter vedere le persone in quello che ora è il nostro ambiente
quotidiano di vita.

Il colloquio è il momento
principe, è dove avviene il
vero e proprio incontro tra
candidato e selezionatore o
selezionatori.
Il colloquio può essere
preceduto o seguito dalla
somministrazione di test, di
solito quando ci sono test è
riservato a persone abilitate
all’albo soprattutto per i
costi.

210
Ci sono vari tipi di colloqui che va da quello libero in cui non c'è una struttura ben specifica e il
selezionatore fa delle domande magari partendo dal CV rispetto a quello che sono degli interessi o
comunque i temi che emergono, fino ad arrivare a colloqui molto strutturati che somigliano dalle
interviste.
C'è un tipo di colloquio che attualmente sta spopolando ossia il colloquio sotto stress in cui il
selezionatore ha lo scopo di far perdere la pazienza al candidato, di solito viene usato soprattutto
per funzioni commerciali.

211
I colloqui online sono più
complicati quando manca una
parte di informazione che in
presenza ambiamo.
Quello che conta molto in una
comunicazione è il non verbale
che in online arriva meno.
Conta il 55% il non verbale, il
38% il paraverbale e solo il 7% il
verbale.

212
213
Quando si fa un colloquio la regola è lo
sfondo neutro.

Uno degli aspetti principali che viene


valutato all'interno di un colloquio di
selezione è la voce. Ci sono stati proprio
degli studi specifici, nella slide ce n'è uno, su
quello che è l'impatto del parlato, di quanto
è importante nell'ambito di un colloquio
online tener conto di questi quattro aspetti:
1. Potenza.
2. Pitch.
3. Passo.
4. Pausa.
Il passo è il ritmo che nell'online diventa
ancora più importante per catturare
l'attenzione, se il ritmo non è eccellente
nell’online diventa ancora
più difficile seguirlo.

Assessment
Ci sono test.
Prove di gruppo,
individuale classica è
che c’è una criticità e
voi dovete risolverla
prima individualmente
e poi in gruppo
confrontarsi e trovare
una soluzione
organizzativa.
Una cosa su cui si
viene valutati molto è
il tempo anche se
l’esaminatore non lo
dà in realtà lo sta
valutando soprattutto
nei gruppi.
Elevator pitch è il
discorso in ascensore
praticamente bisogna
convincere le persone in ascensore a fare delle cose.
In basket come si risolve una situazione critica rispondendo a delle mail.

214
È più semplice acquisire capacità tecniche, è più difficile migliorare le soft skill ecco perchè le soft
skill vengono valutate di più che delle conoscenze tecniche.

Soft skill principali.


Resilienza non ufficiale ma di grande importanza.
L’innovazione non è il creativo dal nulla ma il ripensamento di quello che già c’è in modo diverso.

Soft skill principali

215
Le soft skill si valutano facendo, se non
c’è la possibilità di fare un assesment e
quindi di creare delle situazioni di
gruppo o comunque fare delle attività,
se non è possibile quello che il
selezionatore fa è fare delle domande a
cui poi far seguire degli esempi. Questa
parte è fondamentale perché aiuta a
capire se davvero non si sta costruendo
una capacità ma la si possiede perché si
va nello specifico e nello specifico è più
difficile essere preparato tutto.

Tutti abbiamo bisogno di saper gestire il


conflitto, è importante saperlo gestire
ma è importante anche che ci sia.
Il conflitto ha una potenzialità generativa molto importante in un’organizzazione.

216
Test per vedere la nostra gestione nei conflitti

Ci sono 5 possibili collocazioni nella gestione del conflitto.


 Competere è ottenere il potere. Quindi la persona che ha questo stile di conflitto non è
tanto una gestione quanto cerco di mettermi sopra l’altro. Quindi persegue il proprio
interesse a spese di un altro usando qualsiasi forma di potere.
 Negoziare questo è lo stile di gestione del conflitto migliore, migliore anche di cercare il
compromesso perché nel negoziare si trovano vantaggi e svantaggi per entrambi mentre
nel cercare il compromesso questa cosa non avviene. Il negoziare ha una logica win win, il
compromesso un po’ meno. Il negoziare è cercare di massimizzare per prospettive positive
di ogni singole parti.
 Cercare il compromesso è un approccio più passivo.
 Evitare è ignorarlo, è a fare come quegli animali che si fingono morti davanti al predatore
sperando che a un certo punto quello se ne vada.
 Compiacere è l'opposto del competere. Entro in un altro tipo di ottica per cui non dico più
la mia, lascio che l'altro decida tutto.

6/04/2022
Famosa teoria proposta “teoria
della motivazione e protezione”
di Rogers, teoria degli anni 80.
Ipotizza che le persone per essere
colpite da un messaggio sulla
paura devo passare delle fasi, il
messaggio deve essere costruito
in modo che le persone sentano
situazioni. Le fasi sono 4:

217
1. Innanzitutto percezione della gravità dei problemi, solitamente si usano proprio dati
scientifici (gravità problema).
2. Poi deve far sentire la persona del messaggio come una persona vulnerabile, deve
sembrare che il problema possa colpire anche lo spettatore (vulnerabilità).
3. Poi i comportamenti bersaglio, quelli positivi raccomandati deve sembrare efficaci e lo si
deve dire molto concretamente.
4. Infine l’ultimo step molto importante è che bisogna far percepire il target del messaggio
come in grado di attuare quel comportamento, la self-efficacy (percezione che abbiamo di
risolvere efficacemente un problema, riguarda anche quando una persona si aspetta un
comportamento positivo). Questo step aggiunge qualcos’altro rispetto agli altri messaggi
basati sulla paura.
Secondo questa teoria se si inseriscono efficacemente tutti questi step il messaggio può avere
esito positivo, se manca l’ultimo step la paura è
paralizzante e basta e le persone non sanno
gestire questa paura.

Principi della persuasione sono stati introdotti da


uno psicologo sociale Robert Cialdini uno
psicologo sociale che ha iniziato i suoi studi
lavorando sul campo fingendo di essere un
venditore della Chevrolet e ha studiato tutte le
tecniche di vendita. Ha elaborato questa teoria
generale sulla persuasione che si basa su alcuni
principi, lui dice che le tecniche di persuasione
possono essere messe in atto applicando questi
principi fondamentali perché la persuasione è regolata da questi principi fondamentali che sono
sei:
1. Reciprocità
2. Scarsità
3. Autorità
4. Coerenza
5. Riprova sociale
6. Simpatia

Alcune tecniche persuasive vanno


leva su nostre percezioni molto
forti.
Reciprocità tendiamo molto a
contraccambiare quello che
abbiamo ricevuto.
Il ripiegamento dopo rifiuto è
quando una delle due parti fa una
richiesta volutamente alta che
sappiamo già che non sarà
accettata, io voglio qualcosa di più
basso ma miro comunque in alto, chiedo quindi una concessione e la controparte potrebbe
accettare la richiesta più bassa. Non funziona sempre ma è una tecnica che si utilizza moltissimo.

218
Dissonanza cognitiva è quando cambiamo atteggiamento dopo un’incongruenza tra quello che
pensiamo di essere e quello che facciamo. Questo perchè noi abbiamo un grosso bisogno di essere
coerenti.
Tecnica del colpo basso, si fa accettare una richiesta di una certa entità e poi la modifico una volta
accettata e la persona per desiderio di coerenza è possibile che accetti anche i costi aggiuntivi .
Questa viene anche definita tecnica di induzione sociale.
Riprova sociale significa considerare più adeguata un’azione quando la fanno anche gli altri; è una
grande leva perchè quando siamo incerti, non abbiamo tempo, o capacità cognitiva ci basiamo su
quello che gli altri fanno e lo seguiamo e questo porta una sicurezza nella persona.

La scarsità è quel principio per cui le


opportunità che ci vengono
presentate sono poche, scarsamente
disponibili esse ci appaiono come più
desiderabili. Pensiamo qui come nella
comunicazione in rete si usi tanto il
principio della scarsità “una sola
camera rimasta”, “ultimi 10 posti
rimasti”, “pochi prodotti rimasti”. È
questa una moneta molto frequente,
è molto utilizzata perché
psicologicamente quando io ti
presento una risorsa come limitata,
disponibile in quantità limitata quella risorsa per te diventa più appetibile.
Il principio di reattanza psicologica cioè che quando un messaggio è troppo persuasivo le persone
poi si sentono limitate nelle loro libertà; anche qui succede la stessa cosa perché se io ti dico che
questa cosa che tu vuoi probabilmente può esaurirsi, scatta nella persona questa percezione che la
libertà di scelta venga limitata e quindi la persona si vuole limitare questa libertà di scelta
prendendo subito l'oggetto.
Simpatia, quando abbiamo parlato della fonte abbiamo parlato di similarità e qui è una cosa molto
simile. Quando in una trattativa si cerca di entrare in sintonia con l’altra persona, spesso un
venditore cerca di risultare simpatico, di trovare elementi in comune, di parlare di qualcosa che
possa condividere con il suo cliente, questo è un modo efficace per gettare le basi per una buona
negoziazione, ottenere una buona vendita perchè la fonte si avvicina psicologicamente al
destinatario. Noi tendiamo ad avvicinarci alle cose più simili a noi, che ci piacciono quindi è un
primo step spesso per costruire poi una strategia persuasiva e quindi risultare simili, simpatici,
piacevoli, ecc. Questa tecnica si chiama “Mirror and match” cioè se una persona vuole essere
persuasiva con un'altra può cercare di rispecchiare come l'altro si comporta, le preferenze
dell'altro e cercare di trovare un match per intercettare questa persona.
Infine autorità, abbiamo una grossa tendenza a sentirci deferenti rispetto a chi rappresenta il
potere e l’autorità, anche solo i simboli di potere sembrano più persuasivi es. la divisa è spesso un
elemento di credibilità.

219
“Più di un milione copie” fa
leva sulla riprova sociale.

“edizione limitata” fa leva


sulla scarsità.

“critiche positive su tutti i


giornali” “leva sull’autorità.

IL DESTINATARIO NEI MESSAGGI PERSUASIVI

Gli effetti persuasivi, tutti possono


variare in funzione di alcune
caratteristiche individuali dei
destinatari. Gli effetti persuasivi
non sono uguali per tutti.
Queste variabili sono definite
moderatrici o moderatori degli
effetti persuasivi del messaggio.
Sono definiti anche come
moderatori degli effetti di framing.

220
I fattori motivazionali sono un fattore
importante.
Se una persona possiede la capacità
cognitiva e non diminuisca è più
probabile che la persona che concentri
sull’aspetta contrale del messaggio.
Però questi studi hanno notato anche
fattori personali che possono modificare
la percezione del messaggio, sono tre:
 Bisogno di cognizione autostima
 Auto-monitoraggio
 Poi c’è anche umore.

Ognuno ha un bisogno di cognizione che è


la tendenza individuale a impegnarsi in
attività cognitive che richiedono sforzo. Ci
sono persone che nonostante la loro
intelligenza si divertono a risolvere
problemi, ricavano piacere a risolvere
problemi con sforzi cognitivi alti.
Ci sono delle scale per vedere il grado di
cognizione. Più è alto più le persone
useranno la via centrale.

L’autostima è una forte


valutazione di noi stessi. Anche
qui ci sono tantissime scale per
misurare il livello di autostima,
sono scale che usano una batteria
di item per misurare le varie
dimensioni che vanno a comporre
l'autostima.
Le persone con un’alta autostima
tendono a resistere alla
persuasione perchè sono molto
sicure delle proprie opinioni, chi
ha un'alta autostima è molto
sicuro, a volte un po’ dogmatico
cioè ritiene che le proprie opinioni
siano giuste e non le mette in
discussione, quindi quando riceve un messaggio persuasivo sono un po’ più scettiche, dubbiose
circa il contenuto del messaggio persuasivo. Quindi l’alta autostima sembra essere legata ad una
maggiore resistenza ai tentativi persuasivi.
Le persone con una bassa autostima diversamente tendono a prestare poca attenzione ai
messaggi. L’attenzione è il primo step affinché ci sia persuasione per cui se c'è questa forte
disattenzione nei messaggi è improbabile che abbiano luogo tutte le fasi successive quindi può

221
essere che per questo motivo anche le persone che hanno una bassissima autostima siano poco
ricettive dei messaggi perché non vi prestano neanche attenzione.
Sembra invece funzionare il meccanismo per cui le persone che hanno livelli intermedi sono quelle
che più facilmente cambiano atteggiamento.

Altra caratteristica del destinatario


che può moderare l’efficacia
persuasiva è l’umore è una cosa
diversa dalle emozioni, può essere
definito come uno stato affettivo a
bassa intensità. Normalmente si parla
di umore positivo o negativo
diversamente da un'emozione che
invece ha un significato
completamente diverso, è uno stato
emotivo che ha una durata limitata
mentre l'umore ha una durata più
lunga.
L'impatto persuasivo di un messaggio tende a essere maggiore quando le persone sono di umore
positivo. Quando l’umore è negativo si tende a resistere di più ai messaggi persuasivi, ad
analizzare più nello specifico un messaggio e questo sembra essere una sorta di ostacolo alla
comunicazione persuasiva.
L’umore inquisitivo influenzerebbe la ricettività del messaggio attraverso la motivazione perché le
persone che sono indotte ad essere di umore positivo possono essere maggiormente motivate ad
analizzare il messaggio ed eventualmente accettarlo.

Esiste poi un effetto diverso che è il


matching effect, è un fenomeno che
riguarda proprio l'interazione che ci
può essere tra tipo di messaggio e
tipo di destinatario.
È emerso che i messaggi persuasivi
sono più di impatto, hanno maggiore
successo se fanno appello a ragioni
cioè se contengono argomentazioni
che in qualche modo vanno ad
intercettare il destinatario, a
collimare con le caratteristiche
cognitive e motivazionale del
destinatario es. se un messaggio pubblicitario fa leva su alcune nostre caratteristiche personali ci
rende più ricettivi di quel messaggio stesso quindi è una sorta di match, interazione reciproca tra
caratteristiche del messaggio e caratteristiche del destinatario, questo vale molto sull’online (basta
cercare una volta qualcosa e poi arriveranno un sacco di pubblicità). Messaggi molto ritagliati
sull’esigenze di consumo e sulle personalità che viene dedotta da like, ricerche sui social. Si usa
molto questo modello di personalità chiamato Big five, è uno dei modelli di personalità più
utilizzati.

222
Esempio di matching effect
legato alle ricerche.
Questa è una classica
ricerca che mostra come
avviene e anche come è
stato scoperto a livello
proprio di ricerca empirica.
In questo caso il matching
effect è stato studiato
relativamente a quella
caratteristica di personalità
del self-monitoring.
L’automonitoraggio è
quella caratteristica per cui
chi ha un alto
automonitoraggio tende
fortemente a modulare il
proprio comportamento a
quelle che ritiene essere le richieste situazionali, quindi gli high-monitoring quelli che vogliono
essere accettati giorni sociali sono un po’ come dei camaleonti perché si adattano molto a quelle
che pensano essere le richieste situazionali, sociali quindi ad esempio adattano le loro opinioni, il
loro modo di vestire, il loro modo di essere alla situazione in cui si trovano, modulo le mie ricerche
e i miei comportamenti in modo da essere accettata, essere conforme a quelle che sono le
situazioni sociali.
Chi ha un alto automonitoraggio si dice che ha un’alta autopresentazione, tende molto ad auto
presentarsi quindi a cambiare le proprie scelte, i propri comportamenti in base alle richieste
sociali.
Diversamente chi ha un basso automonitoraggio è sempre sé stesso nelle diverse situazioni, fa
fatica a cambiare aspetto, ad adattarsi alla situazione, a esprimere opinioni false, è una persona
che tendenzialmente invece ha un'altra autoespressione cioè rimane sé stesso a prescindere dal
contesto sociale.
È una caratteristica di personalità. Quindi se ci viene fatto un questionario tutti noi verremo
collocati in un punto della scala.
In questa ricerca misuravano l'automonitoraggio dei partecipanti, delle persone coinvolte e poi
proponevano loro una pubblicità, uno spot sullo stesso prodotto in due modi: uno era un focus
molto più orientato sulle immagini, sull'essere di moda; diversamente nell'altra condizione lo
stesso prodotto veniva pubblicizzato con un focus più informativo, dava informazioni sul prodotto.
Si chiedeva poi alle persone quanto avrebbero speso per comprare quel prodotto perché la
quantità di soldi che avrebbero speso veniva considerata come misura approssimativa del
cambiamento di atteggiamento, tanto più le persone spenderebbero per quel prodotto tanto più il
messaggio della pubblicità ha avuto successo.
Nella ricerca la dipendente si vede che la pubblicità più orientata all'immagine aveva molto più
impatto sulle persone, le persone con alto automonitoraggio erano molto più disposte a spendere
quando veniva proposta a loro una pubblicità orientata all'immagine rispetto alle persone con un
basso automonitoraggio; diversamente quando invece alle persone veniva presentata una
pubblicità più informativa, le persone che erano più intenzionata a spendere erano in questo caso
quelle con un basso automonitoraggio.

223
Da ciò si può dedurre che a
volte uno stesso messaggio
può avere un impatto diverso
a seconda delle caratteristiche
di personalità del
consumatore.

Esistono tipo di ricerche che


invece hanno cercato cosa
rende più resistente la
persuasione.
In generale quando ci si mette
dalla parte di chi vuole
comunicare bisogna tenere
presente che in generale noi
tendiamo al conservatorismo
cognitivo, a non far fatica quindi facciamo fatica a cambiare idea perciò preferiamo una conferma
delle nostre idee piuttosto che una smentita.
Ci sono però alcune caratteristiche, tratti di personalità che possono ancora più acuire, aumentare
questa riluttanza al cambiamento.
Sempre parlando di Big five una delle 5 dimensioni di personalità è l'apertura al cambiamento.
L’apertura al cambiamento è quel tratto di personalità per cui le persone che hanno un’alta
apertura al cambiamento sono quelle persone molto curiose, molto interessate all'arte e alla
cultura, a fare nuove esperienze, che vogliono sperimentare cose nuove, che sono proprio aperte
a conoscere. Le persone con una bassa apertura al cambiamento sono le persone più
conservatrici, meno curiose, hanno meno interessi e questo tipo di tratto di personalità può essere
considerato un moderatore della resistenza alla persuasione perché le persone che hanno una
bassa apertura al cambiamento sono più resistenti alla persuasione.
C’entra anche il dogmatismo, le persone dogmatiche sono quelle che fondano il loro
ragionamento, le loro opinioni su dei dogmi cioè su dei principi assoluti che non mettono mai in
discussione e che li portano a non prendere in considerazione le alternative rispetto a questi
principi. Chi ha un pensiero dogmatico, molto rigido, molto assolutista ha quell'opinione per tutta
la vita, non la cambia e ragiona per dogmi quindi è una persona che è più difficile da convincere
perché è un modo di ragionare molto assoluto, rigido.
Inoltre c’è la questione della reattanza psicologica che è un elemento di resistenza alla
persuasione, esiste questa forte tendenza da parte di tutti noi a sentirci liberi di scegliere e chi
cerca di convincerci è troppo esplicito, troppo evidente, troppo forte scatta in noi il meccanismo di
reattanza psicologica. Questo ci dà fastidio quindi si crea in noi uno stato emotivo negativo
solitamente assimilabile alla rabbia e questo provoca a livello cognitivo di contro argomentazione
e in definitiva questo porta il più delle volte al cosiddetto effetto boomerang quindi il messaggio
viene rifiutato.
Quindi quello che deve fare la persuasione, chi invece vuole convincerci, è cercare di scavalcare
questa tendenza alla reattanza psicologica.
Naturalmente la reattanza psicologica si è dimostrata essere influenzata da vari fattori anche
socio-demografici es. l'età (in età adolescenziale c'è un'enorme reattanza psicologica perché è una
fase di costruzione della propria identità, quando si dice fare una cosa in genere si tende a fare
l'opposto proprio per questo meccanismo di reattanza psicologica che viene molto acuito).

224
La terza caratteristica è la paura dell’inganno. Se in precedenza una persona è stata ingannata, ha
subito effetti negativi rispetto ad esperienze precedenti in futuro sarà molto più attento a essere
persuaso.
Queste sono tre caratteristiche personali del destinatario legate all’esperienza e personalità e
possono rendere le persone più o meno resistenti alla persuasione.

INFLUENZA SOCIALE
Ci spostiamo sul gruppo e sulla dimensione collettiva rispetto al singolo individuo.
225
Filone famosissimo della psicologia sociale ha analizzato come il fatto di essere parte di un gruppo
può condizionare i nostri atteggiamenti e comportamenti.
L'influenza sociale è il processo tramite il quale atteggiamenti e comportamenti sono influenzati
dalla presenza reale o implicita cioè immaginata di altre persone.
Quando siamo da soli spesso agiamo tenendo conto comunque di quello che gli altri potrebbero
pensare di noi perchè esistono le
norme sociali.

Norme sono le credenze condivise


dai membri di un gruppo circa gli
atteggiamenti e i comportamenti
ritenuti appropriati.
Una persona in un nuovo gruppo
cerca di capire anche le norme
implicite di come ci si comporta in
un gruppo, cosa gli altri si
aspettano da noi.
Le norme derivano dalle relazioni
all’interno del gruppo e
dall’osservazione del
comportamento degli altri nel
gruppo, diventiamo quindi degli osservatori e moduliamo il nostro comportamento rispetto a
quello che gli altri fanno.
Tutti i comportamenti nel gruppo offrono uno schema di riferimento.
In base a questo schema ciascun individuo si crea nella sua testa una sorta di media di
comportamento comune che mette insieme tutto quello che vede perché ci sarà una varietà di
comportamenti non saranno tutti uguali quindi nella nostra testa che siamo una sorta di media, di
comportamento comune intendiamo ad adattarci a quella che riteniamo essere la norma implicita.
Quindi questi comportamenti comuni o medi sono considerati più corretti e solo quelli all'interno
di un gruppo vengono adottati più di frequente.

Per capire come si è arrivati a definire, a comprendere come funzionano le norme sociali in
psicologia sociale si fa sempre
riferimento ad un esperimento famoso
che è stato l'esperimento che ha
cominciato ad analizzare le norme sociali
e a capire cosa sono e come si creano le
norme sociali. Questo esperimento è
l'esperimento di Sherif famoso psicologo
sociale.
Molti di questi esperimenti sono fatti
inizialmente sulla percezione visiva, in
questi esperimenti fanno svolgere alle
persone dei compiti di percezione visiva
e osservano come nelle varie situazioni,
che vengono modificati in base alle diverse condizioni, queste persone come si comportano, come
rispondono alle diverse situazioni.

226
Questo filone presuppone che
tutti i meccanismi cognitivi che
noi mettiamo in atto anche solo
nella percezione poi possono
essere applicabili anche ai
nostri comportamenti sociali.
In questo esperimento si
convocavano le persone in un
laboratorio e se facevo entrare
queste persone in una stanza
buia dove si proiettava su uno
schermo un puntino luminoso.
Quando noi ci troviamo in una
stanza buia e dobbiamo
osservare un punto unico nella
stanza siamo oggetto di
un’illusione ottica,
l’autocinetico, siccome il nostro
occhio non ha più punti di
riferimento abbiamo dei movimenti automatici dell'occhio che ci fanno percepire che quel puntino
si muova ma in realtà non si sta muovendo, noi però abbiamo queste illusioni di movimento.
Sherif gioca su questa visione ottica, convoca le persone e chiede di valutare, stimare l’entità del
movimento di questo puntino luminoso. Si convocano tanti soggetti, si fanno decine di sessioni di
prova. Prima le persone si fanno entrare da sole nella stanza e si chiede a loro secondo loro
quanto si è mosso il puntino che in realtà non si muoveva neanche ma allora dovevano stimare la
quantità di movimento di quel puntino.
Compito cognitivo molto difficile.

Ogni persona dava più valutazioni e all’inizio queste stime variavano tanto sia tra persona e
persona cioè tra persone diverse, che nella stessa persona.
Ogni persona via via che faceva queste stime creava uno suo schema di riferimento quindi pian
piano queste stime si avvicinavano tra di loro e ognuno individualmente faceva la propria media e
si assestavano un po’ su quella media.
Successivamente i ricercatori decidono di coinvolgere i partecipanti non più da soli ma in gruppo
quindi non solo ricevo la mia stima ma sentivo quello che gli altri dicevano rispetto a questa
valutazione di cambiamento.
I gruppi erano piccoli di tre o quattro persone. Se all’inizio c'è una grande varietà, poi pian piano
quando le persone sono in gruppo succede che lo schema di riferimento non è più il proprio ma è
quello degli altri e quindi le persone creano una stima che è una media di quello che gli altri dicono
227
→ questo secondo Sherif è la
norma. È la stessa cosa che
facciamo quando dobbiamo
farci un'opinione,
osserviamo e ascoltiamo
quello che gli altri dicono,
usiamo quel range come
stima di riferimento e poi
rispetto allo schema di
riferimento noi facciamo
nella nostra testa una media,
una valutazione che è un po’
un compromesso tra tutte
quelle sentite, quella
valutazione media è la
norma sociale.
Succede che dopo un po’ di sessioni di gruppo i ricercatori li riconvocavano da soli ma anche se
erano da soli continuavano a utilizzare quella media che si era creata in gruppo quindi avevano
interiorizzato quelle valutazioni e quando si staccavano dal gruppo si basavano ancora su quelle
valutazioni. I partecipanti restavano ancorati al valore medio del gruppo e si era creata così la
norma di gruppo e anche quando ripetevano il compito individualmente quella norma era ancora
valida.
È lo stesso motivo per cui entro in un gruppo nuovo, vedo come le persone si comportano e
quando sono da solo ho interiorizzato quella stessa norma.
Secondo Sherif così nasce la norma sociale.

Da qui si sviluppano gli studi sul conformismo perchè comincia a nascere l'interesse circa l'effetto
che ha il gruppo sulle opinioni dei singoli.
Con conformismo noi intendiamo la tendenza che hanno i singoli individui a conformare i propri
atteggiamenti e comportamenti alle norme di un gruppo significativo quindi è quello che succede
quando noi entriamo in un gruppo, cerchiamo di capire qual è la norma di quel gruppo e solo
perché siamo parte di quel gruppo, ci sentiamo parte di quel gruppo, vogliamo essere accettati da
quel gruppo, tendiamo a confermare le nostre opinioni a quello che dice prevalentemente il
gruppo.
Secondo gli studi sul conformismo esistono tre possibili esiti quando le persone si conformano al
pensiero di gruppo, tre esisti, risultati qualitativamente diversi.

228
- Acquiescenza quando noi cambiamo atteggiamento in favore del gruppo in modo passivo e
superficiale. Solitamente si parla di acquiescenza pubblica cioè entro in un gruppo a cui tengo e
voglio essere accettato, tutte queste persone sostengono l'idea o si vestono tutti in un certo modo,
io mi adeguo a quello che fanno gli altri
non perché ci credo veramente ma
perché voglio essere accettato da quel
gruppo, è superficiale perché può
essere che poi io quando non sono più
in quel gruppo ritorno alle mie idee
precedenti perché nel mio profondo
non sono tanto convinto di quello che
quel gruppo sostiene. È un
adeguamento molto passivo delle
persone.
Cambiamento superficiale quindi mi
adeguo a quello che il gruppo fa e
pensa ma lo faccio per un desiderio di
accettazione e solitamente lo faccio pubblicamente, quando il gruppo è presente ad esempio;
mentre se invece viene chiesta l'opinione e non sono presenti gli altri membri del gruppo può
essere che io invece esprimo la mia reale idea. È quindi un desiderio di accettazione.
- Obbedienza cambiamento nel comportamento ma non negli atteggiamenti ad esso
collegati, quando le persone cambiano, adeguano il loro comportamento a quello che è il pensiero
di gruppo ma nel profondo non hanno modificato i loro atteggiamenti, lo fanno perché pensano di
poter essere puniti se non lo fanno. C’è un meccanismo di ricompensa gratificazione , sintomi in
quella situazione “devo fare così perché l'autorità me lo dice e quindi adeguo il mio
comportamento” (es. classica situazione nei crimini di guerra in cui quelli che compiono i crimini di
guerra dicono che l'hanno fatto perché gli era stato ordinato ma non perché l'origine giusto, quindi
ho adeguato il mio comportamento), da qui sono nati anche tutti gli studi sull'obbedienza.
L'obbedienza è quando io faccio quello che il gruppo fa ma non ci credo e lo faccio perché ho
paura che il gruppo mi punisca o che l'autorità che rappresenta il gruppo mi punisca e quindi lo
faccio proprio per paura, obbedienza ma io non sono convinto nel mio di quello che sto facendo
ma devo adeguare il mio comportamento a quello. È quindi una paura di essere puniti.
- Adesione è il cambiamento interiore degli atteggiamenti e dei comportamenti conseguenti,
in questo caso si parla anche di conversione tra le persone che veramente si fanno influenzare dal
gruppo e veramente cambiano atteggiamento solo perchè il gruppo lo propone, è un’adesione più
profonda non più superficiale per cui si modificano sia gli atteggiamenti che comportamenti, non
solo mi comporto come si comporta il gruppo ma ci credo veramente. Quindi è un'adesione più
approfondita a quelle che sono le opinioni prevalenti di un gruppo.

Nell’esperimento di Sherif il compito che veniva chiesto di svolgere era difficile. Quindi altri
studiosi che poi hanno provato a studiare il conformismo come il famoso sociologo Asch il quale è
stato uno studioso che ha ipotizzato che dato che l'esperimento di Sherif era una situazione di
incertezza, in un compito difficile poi può esserci che quando sono in gruppo, siccome c'è una
situazione di incertezza, guardo quello che gli altri fanno.
In teoria però questo dovrebbe succedere se il compito che mi viene proposto è un compito molto
facile.
Allora Asch crea degli esperimenti, crea una situazione di non incertezza, più facile ma sempre di
compito percettivo dove analizza gli effetti della pressione di gruppo. In laboratorio convoca dei
229
gruppi variabili tra 7 e 9 persone di quali però solo una persona è soggetto dell'esperimento
mentre tutti gli altri sono d'accordo con lo sperimentatore, sono stati istruiti a comportarsi in un
certo modo. Gli si chiede di fare i compiti, gli si fa vedere una linea modello X, poi li si fa vedere tre
linee di lunghezza diversa e gli si chiede tra queste tre linee qual è quella che in termini di
lunghezza corrisponde alla riga X, è un compito molto semplice molto facile.
Il soggetto ignaro dell'esperimento veniva messo in penultima posizione all'interno del gruppo per
dire a quale linea assomigliava di più il modello X. All’inizio i soggetti erano istruiti per dare le
risposte corrette, ad un certo punto sono istruiti a dare risposte sbagliate, risposte che erano
evidentemente sbagliate perché la risposta esatta era molto evidente. Si studia quello che il
soggetto fa, erano tanti soggetti che venivano convocati in più sessioni.

Mediamente, e questo è un risultato inaspettato per Asch, il 33% dei soggetti si adegua alla
maggioranza anche se è chiaro che quella lì è completamente sbagliata, dopo un po’ di sessioni ci
sono soggetti che addirittura in tutte le sessioni danno ragione alla maggioranza. Mediamente c'è
una percentuale molto ampia, questo era un compito davvero molto facile.
Questo meccanismo è alla base del conformismo e questo esperimento per primo ha evidenziato
come funzionano i processi di conformismo.
Alla fine dell’esperimento ai soggetti si diceva quali risposte allora non date sbagliate e si chiedeva
il perché avevano risposte in quel modo.
C'erano vari tipi di risposte.
C’era chi addirittura dubitava della propria percezione, dopo un po’ che io sento dire agli altri una
cosa diversa io dubito della mia opinione e quindi finivano per crederci veramente che quelle linee
fossero quelle giuste → influenza informativa quando l'opinione della maggioranza mette in
dubbio l'opinione del singolo al punto che il singolo dubita della propria opinione e pensa che
l'opinione della maggioranza sia quella giusta, addirittura dubitando dell'evidenza della realtà.
Oppure, e questa era la risposta più frequente, dicevano che loro sapevano benissimo che quelle
linee erano errate, erano sicuri che fossero sbagliati ma avevano paura di sentirsi ridicoli,
inadeguati, di venir percepiti come diversi, non volevano provare quel disagio che tutti noi
proviamo quando dobbiamo dire una cosa diversa dagli altri. Per minimizzare questo costo e
quindi sentirsi approvati, accettati dagli altri queste persone decidevano di dare risposte sbagliate,
quindi nel loro intimo sapevano che quelle risposte erano sbagliate ma per un desiderio di
approvazione si adeguavano a
quella che percepivano essere la
norma sociale e davano la risposta
sbagliata → influenza normativa, è
quella più forte evidenziata e che è
alla base del conformismo.

8/04/2022

Tendenzialmente c’è la tendenza a


guardare quello che gli altri fanno e
utilizzare quel comportamento
come comportamento prototipo,
guida per capire cosa fare.
Due tipi di risposta prevalente, la
terza fu aggiunta in seguito.

230
Negli anni si è aggiunta l’informativa
del referente, sviluppatasi dall’identità
sociale, e in base a questa teoria si
ipotizza che le persone si conformano
soprattutto quando per loro è molto
importante essere parte del gruppo,
c’è un’alta salienza dell’identità di
gruppo quindi molto importanza della
parte affettiva quando una persona fa
parte di un gruppo.
Questo tipo di pressione sociale può
non essere uguale per tutti, ci possono
essere variabili che moderano la
pressione sociale.
Chi ha una bassa autostima quindi una
scarsa sicurezza di sé può essere che
accetti di più la pressione di gruppo.
Il tempo di risposta, se ho poco
tempo di pensare può essere che
mi uniformo di più alla maggioranza
perchè non ho tanto tempo per
ragionare.
Una figura autoritaria influisce
tantissimo all’uniformarsi alla
pressione del gruppo e a quello che
l’autorità dice.
Asch aveva introdotto alcune
variabili nell’esperimento, aveva
introdotto una persona
consapevole comunque del prodotto ma che dava le risposte giuste, quando c’è anche solo
un’altra persona che va contro la maggioranza si viene influenzati di meno. C’era poi una parte
dell’esperimento dove si scriveva la risposta invece di dirla e si notò che la pressione al
conformismo diminuiva molto.

Ci sono poi le caratteristiche situazionali del gruppo.


Se aumentano i membri del gruppo fino a 3-4 c’è conformismo nel gruppo poi se aumentano i
membri il conformismo si stabilizza. Quindi il conformismo non è direttamente proporzionale al
numero di membri del gruppo, la curva del conformismo sale fino ad un certo punto (3-4 membri
del gruppo) e poi si stabilizza.
Basta anche una sola opinione diversa anche se sembra poco credibile e competente contrastanti
alla maggioranza per diminuire il conformismo.

Ci sono poi le caratteristiche personali.


L’autostima, quelli con un’alta autostima si conformano di meno perchè sono sicuri delle proprie
opinioni; viceversa chi ha una bassa autostima quindi un’alta insicurezza sentirà il bisogno di
conformazione sociale maggiore quindi tenderà a conformarsi di più.
Un’altra variabile importante è l’automonitoraggio che è quella caratteristica di personalità per cui
le persone sono molto sensibili alle situazioni sociali, hanno un forte desiderio di approvazione
231
sociale e modulano il proprio
comportamento in base a quelle che
ritengono essere le richieste situazionali.
Sono le persone con un’alta
autopresentazione conformano le proprie
opinioni a quelle che ritengono essere
maggioritarie, sono le persone più
sensibili alle mode, che a seconda delle
situazioni manifestano opinioni diverse,
mentre le persone con un basso
automonitoraggio sono le persone che
sono sempre loro stesse nelle diverse
situazioni sociali.
Naturalmente chi ha un alto
automonitoraggio tende a
conformarsi di più,
diversamente chi ha un basso
automonitoraggio tende a
conformarsi di meno perchè è
meno sensibile alle richieste
sociali.
Un’altra caratteristica è
l’apparenza culturale. A livello
di definizione del sé c’è
differenza tra le culture
individualiste e collettiviste, nel
primo caso si definiscono più
sulle proprie caratteristiche
rispetto al secondo caso dove ci
si identifica di più con le
appartenenze di gruppo. Nelle
culture collettiviste il conformismo è più forte perchè viene visto come una regola sociale.

In alcune situazioni le norme sociali spingono le persone a cambiare il proprio comportamento in


atti molto contrari ai loro atteggiamenti e pensieri.
Queste osservazioni nacquero dopo lo sterminio nei campi di concentramento.
Durante il processo a Heickman il suo atteggiamento era molto freddo e si difese dicendo che lui
aveva compiuto quelle azioni su ordine di un’autorità.
La Arendt disse che in ognuno di noi c’è un male e in alcuni comportamenti questa cattiveria può
emergere senza contare le caratteristiche personali.

Nascono quindi gli studi sull’obbedienza grazie all’esperimento di Milgram del 1963.
Negli esperimenti di Asch il compito che veniva chiesto alle persone era un compito senza
conseguenze gravi. Quindi Milgram si chiede se in una situazione simile noi chiediamo alle persone
232
di mettere in atto un comportamento
che ha delle conseguenze un po’ più
importanti per altre persone.
Mette in atto un programma di studi
dove fa un annuncio sul giornale dove
chiede di partecipare ad un
esperimento, seleziona un gruppo di
non studenti tra 20 e 50 anni, persone
assolutamente normali selezionate con
una serie di test.
Li convoca in laboratorio e li si dice che
parteciperanno ad uno studio
sull’apprendimento e dell’effetto delle
punizioni sull’apprendimento; gli si dice
che lavoravano a coppie insegnante-alunno ma in realtà tutti i veri soggetti dell’esperimento
venivano assegnati al ruolo di insegante e tutti quelli che dovevano recitare la parte dello studente
erano stati istruiti.
Il finto studente doveva imparare delle coppie di termini di parole, di associazioni di parole,
successivamente l’insegnate gli dava una delle due parole e lo studente doveva dire quella
corretta. Ai soggetti veniva detto che nel caso in cui lo studente sbagliava risposta bisognava
infliggere una scossa crescente da 15 a 450W (in realtà la scossa era finta, gli alunni recitavano),
solo all’inizio dell’esperimento si dava al soggetto sperimentale una scossa di 45W per dare l’idea.
Avevano un pannello dove
aumentavano i volt.

Il finto studente era istruito ad un


certo punto per sbagliare le risposte.
Il finto studente non era nella stessa
stanza con il soggetto ma in una
vicina dove il soggetto sentiva le
reazioni senza vederlo.
Inizialmente lo studente si lamentava,
via che aumentavano i volt lo
studente era istruito a lamentarsi
sempre di più fino a supplicare di
smettere.
Di fianco al soggetto c’era sempre
una figura con un camice bianco che
era il ricercatore dell’esperimento. Il soggetto si poneva dei dubbi durante il processo e chiedeva
se era ok, se non ci fossero state conseguenze e il ricercatore era istruito a dare delle risposte tipo.
Quello che si osservava era il livello di scosse a cui il soggetto arrivava, alcuni soggetti si
fermavano, altri arrivavano fino all’intensità massima delle scosse.
L’intensità massima delle scosse raggiunte dal partecipante prima di interrompere l’esperimento
era la misura dell’obbedienza, la variabile dipendente era l’obbedienza e la definizione
operazionale di questa variabile era a quanto sarebbero arrivati.

Le aspettative iniziali di Milgram era che nessuno sarebbe arrivato a infliggere il massimo
dell’intensità delle scosse in realtà il 65% arrivo fino al massimo.
233
I finti studenti ad un certo punto delle scosse venivano istruirti a non dare più risposte e lo
sperimentatore con il camice diceva al soggetto sperimentatore di considerare il silenzio come
risposta errata.
Le aspettative fatte da alcuni studiosi furono molto sottostimate rispetto alla realtà perchè si
aspettavano che nessuno sarebbe mai arrivato al massimo delle scosse.
Come in tutti gli esperimenti furono inserite alcune varianti, alcune condizioni diverse e alcune di
queste varianti si rivelarono essere importanti anche per capire cosa succede in queste situazioni.
 Vicinanza dell’autorità il fatto che in quella situazione ci fosse un ricercatore quindi una
persona dotata di autorità faceva molto la differenza, infatti meno il ricercatore era vicino
al partecipante minore era l’obbedienza ad esempio se il ricercatore non era nella stessa
stanza o se entrava e usciva e non era costantemente presente la percentuale di
obbedienza diminuiva.
 Vicinanza della vittima se la vittima attore era nella stessa stanza l’obbedienza diminuiva
drasticamente, vedere il viso della vittima diminuiva l’obbedienza. Le guerre fatte con droni
sono più spietate perchè non si vede lo sperimentatore
 Presenza di altre persone disobbedienti come nell’esperimento di Asch; se c’erano più
soggetti sperimentali nel ruolo di insegnate nella stessa stanza insieme e qualcuno
cominciava a lamentarsi, interrompere l’esperimento anche in questo caso la media
dell’obbedienza diminuiva quindi l’opinione dissenziente che si esprimeva direttamente era
in grado di ridurre la pressione all’obbedienza.
Queste sono tre varianti che possono moderare il fenomeno.
Milgram propose lo stato psicologico definito da lui stato d’agente che si viene a trovare quando
persone poste in situazioni
simili si sentono agenti,
esecutori di azioni e in
qualche modo
deresponsabilizzano le
proprie azioni, diminuiscono
la percezione che quello che
fanno, le azioni che
compiono sono sotto il loro
completo controllo; è
proprio un processo
psicologico di
deresponsabilizzazione cioè
che la percezione che la responsabilità delle proprie azioni sia spostata in parte o del tutto verso
un’altra entità, un’altra persona, un altro decisore e per questo motivo sentendo le proprie azioni
meno sotto il loro controllo consapevole, sono maggiormente propensi a mettere in atto quelle
azioni. È proprio un processo psicologico per cui la propria individualità, i propri principi morali, i
propri atteggiamenti hanno meno presa, fanno meno leva, sono meno definitori di quello che
siamo e quindi gli atteggiamenti vengono normalizzati perchè quello che sta sotto queste teorie è
dire che in queste situazioni quando ci sono questi ruoli così chiari, forti e definiti è possibile che ci
sia una forte pressione a conformarsi a quello che l’autorità comanda e quindi ad una spiegazione
più situazionale.
Questa conformità è più forte quando il soggetto condivide o coincide proprio con l’autorità la
definizione della situazione anche dal punto di vista ideologico.
Esperimento molto criticato dal punto di vista etico.

234
Sia negli esperimenti di Asch che di
quelli di Milgram quando c’era
un’opinione discordante il
conformismo diminuiva inoltre
soprattutto in quello di Asch senza la
maggioranza le persone tornavano
sulle proprie idee. Quindi emergeva
che l’effetto di pressione sociale che si
otteneva era un effetto di adesione
pubblica, di acquiscenza cioè io mi
adeguo a quello che mi viene detto di
fare o a quello che fa la maggioranza
ma solo superficialmente, non nel mio

intimo privato.
L’influenza della maggioranza si manifesta sotto forma di acquiscenza quindi di adesione
superficiale e pubblica (perchè presente un’autorità o una maggioranza) piuttosto che sotto forma
di internalizzazione ossia la conversione privata, il cambiamento profondo, reale degli
atteggiamenti.
Alcuni scienziati dopo si chiesero se il conformismo fosse l’unica forma di influenza sociale la
società non cambierebbe mai, non ci sarebbero mai rivoluzioni.

L’attenzione di molti scienziati si concentra sull’influenza delle minoranze, quindi sull’influenza


minoritaria. Una persona che non ha potere può mettere in atto un’azione che ha una fortissima
influenza sull’opinione pubblica.

Vengono condotti esperimenti per studiare gli effetti della minoranza.


Uno psicologo francese Moscovici fa un esperimento dove il paradigma di Asch viene
completamente rovesciato.

235
È anche questo un compito percettivo, si creano dei gruppi in laboratorio (4 soggetti ingenui e 2
complici). Il compito percettivo consiste dover giudicare il colore di alcune diapositive proiettate,
sono 36 diapositive tutte blu a diversa intensità luminosa.
La valutazione di queste diapositive avviene in diverse condizioni:
 una di coerenza dove i soggetti complici (la minoranza) danno la risposta sbagliata verde in
tutte le prove.
 una di incoerenza dove i complici danno la risposta sbagliata verde in 24 delle 36 prove.
Moscovici vuol vedere se e come una minoranza che fa valere fortemente le proprie posizioni ha
un effetto maggiore di una maggioranza che difende in modo debole le proprie idee.
Tanto più la minoranza porta avanti una condizione in modo coerente in tutte le condizioni che
ha di farlo e più avrà maggiore possibilità di influenzare la maggioranza rispetto a una minoranza
incoerente. È comunque bassa 10% ma c’è.

Moscovici conclude che una


minoranza numerica anche se priva
di status, potere o conoscenza può
influenzare l’opinione altrui se
difende le proprie posizioni in modo
coerente quindi è molto importante
la modalità con la quale la minoranza
difende, porta avanti, comunica,
sostiene la propria opinione. Se
questa è una modalità convincente e
coerente allora è possibile fare
breccia nella posizione maggioritaria.
Questo avviene perchè ci sono vari
effetti che la minoranza può
produrre:
 Una posizione minoritaria attira l’attenzione, la rottura dello schema anche solo
percettivamente attira l’attenzione della maggioranza.
 Una minoranza coerente mostra sicurezza e forte coinvolgimento; il fatto di essere molto
convinti delle proprie posizioni fa si che la maggioranza attribuisca quel comportamento ad
un atteggiamento molto sicuro e quindi questo è in grado di produrre una forte incertezza
o un dubbio.
 Fa capire che esiste un punto diverso quindi comincia a dare la percezione che quella
stessa situazione che fino a quel momento era stata definita in un modo possa essere
definita da un’angolatura diversa, da una lettura differente da quella che siamo abituati ad
adottare.
 Quando riesce a far accettare che
quel punto di vista minoritario è
l’unico accettabile riescono a far
accettare la visione diversa.

Moscovici sulla base di tutto questo elabora


la teoria della conversione dove mette a
confronto i processi di influenza sociale che
sono prodotti dalla maggioranza e dalla
minoranza che lui definisce attiva.
236
Abbiamo due percorsi diversi:
- nel caso della minoranza attiva quindi quando la minoranza difende le proprie posizioni in
modo coerente secondo Moscovici avverrebbe nella maggioranza un processo di convalida che è
un’analisi accurata delle argomentazioni portate avanti dalla minoranza che implica uno sforzo
cognitivo delle posizioni sostenute dalla minoranza (processo di convalida molto simile alla via
centrale) che se vengono accettate queste argomentazioni, portano ad un processo di conversione
privata cioè se effettivamente l’influenza della minoranza ha un effetto, quell’effetto
qualitativamente è un effetto di interiorizzazione di questo atteggiamento quindi di accettazione
privata, vera e profonda di quello che la minoranza sostiene e che quindi avrà una certa durata nel
tempo perchè le persone si convincono
veramente di quello che la minoranza
sostiene.
- il processo di influenza sociale
prodotto dalla maggioranza
diversamente è un processo definito da
Moscovici di confronto, molto più simile
al processo più superficiale, le persone
non fanno un grande sforzo cognitivo,
semplicemente confrontano alcune
posizioni della maggioranza, alcuni
aspetti più superficiali di quello che la
maggioranza propone quindi è un
processo più superficiale, meno
approfondito di analisi di quello che la
maggioranza propone ed essendo più
superficiale dove quello che conta di più non è tanto quello che dice la maggioranza ma è la paura
di essere disapprovati, questo porta ad un cambiamento di atteggiamento che viene definito di
acquiscenza che è una forma di cambiamento di atteggiamento che è sostanzialmente una
adesione superficiale alla posizione maggioritaria, è tipica dei contesti pubblici dove devo dire la
mia opinione quando sono posto di fronte alla maggioranza e ho paura di essere disapprovato, di
provare una situazione di disagio che deriva dal dire una cosa diversa, se la maggioranza non c’è
più, non c’è più il gruppo di cui io sento la pressione può essere che io cambio opinione perchè
non c’è un’interiorizzazione profonda degli atteggiamenti.
Sono due processi qualitativamente diversi, uno con un più alto sforzo cognitivo che comporta un
atteggiamento più duraturo, più approfondito che è frutto di un’elaborazione più approfondita e
un altro processo invece più superficiale il cui risultato è invece un cambiamento superficiale e
quindi anche più legato alla situazione e meno duraturo nel tempo.
Sono due processi molto simili al percorso superficiale e centrale della persuasione.

12/04/2022
Acquiscenza più incline a mostrare in privato, dove non è presente la maggioranza.

Questa doppia definizione dei due tipi di influenza dell’esito è chiaramente evidenziata dalla
ricerca di Maass e Clark.
Nell’esperimento venivano chieste opinioni sul tema sociale dei diritti degli omosessuali. Si
facevano partecipare alla ricerca soggetti con atteggiamento neutro e poi li si esponeva a
un’opinione sia espressa dalla maggioranza in una condizione sia espressa dalla minoranza in
un’altra condizione quindi venivano posti in gruppi differenti, in un caso c’era la maggioranza che
237
esprimeva la stessa opinione, in un altro caso la stessa opinione veniva fatta esprimere da una
minoranza.
Si variava quindi il fattore
maggioranza minoranza e si variava
anche la posizione della maggioranza
e minoranza, in un caso la
maggioranza era a favore dei diritti
degli omosessuali, in un caso
esprimeva un’opinione contraria;
stessa cosa fatta poi però con la
minoranza.
Un’altra cosa importante che veniva
variata era l’espressione pubblica o
privata di questi atteggiamenti cioè si
vedeva quanto i soggetti si facevano
influenzare dalla maggioranza e dalla minoranza a seconda che l’espressione della loro opinione
avvenisse in un contesto pubblico davanti agli altri oppure privatamente, lo potevano scrivere o
esprimere questo giudizio da soli.
Questo studio evidenza chiaramente che l’influenza della minoranza è la condizione in cui gli
atteggiamenti vengono espressi in forma privata; la tendenza ad essere d’accordo con la
minoranza influiva di più, era più significativa nel momento in cui le persone si potevano
esprimere privatamente.
Diversamente la maggioranza aveva un maggiore effetto nel momento in cui alle persone si
chiedeva di esprimere la loro opinione pubblicamente di fronte agli altri.
Questo diverso andamento di queste due linee ci dice che la pressione minoritaria agisce
soprattutto quando le persone hanno la possibilità di esprimere la loro opinione privatamente
senza doversi mettere a confronto con gli altri. Questo cambiamento però è una conversione, è
un cambiamento più profondo, le persone davvero si stanno convincendo di questa opinione
minoritaria ciò vuol dire che nel tempo le cose possono cambiare.
Diversamente quando è la maggioranza a esercitare l’influenza questo esito, quando è positivo si
esprime di più in contesti pubblici cioè nel momento in cui la persona che è stata esposta
all’influenza maggioritaria si deve esprimere davanti agli altri.
Questa differenza qualitativa dell’influenza maggioritaria e minoritaria è molto condizionata dal
contesto pubblico o privato nel quale le persone esprimono la propria opinione.

Altri risultati interessanti provengono dalle ricerche che hanno analizzato la qualità del
cambiamento di atteggiamento dovute dalla pressione minoritaria.
Hanno influenzato che la minoranza è anche in grado di stimolare il pensiero divergente o creativo
che è il tipo di ragionamento che le persone mettono in atto quando difronte ad un problema le
persone ragionano in modo creativo, non ricopiando le soluzioni proposte da altri ma trovando
un’angolatura diversa proponendo soluzioni nuove e diverse.
In questo studio alle persone si chiedeva di indicare in quale figura di confronti fosse rintracciabile
la figura standard. In alcuni casi si trovava facilmente la figura standard, in altri casi bisognava
girare un po’ la figura.
Questo compito veniva chiesto di essere svolto sempre in influenza minoritaria o maggioritaria,
cioè in alcuni casi prima di dare la propria soluzione al problema ascoltavano le soluzioni proposte
da un gruppo minoritario, in altri casi chi proponeva le soluzioni per primi era la maggioranza.

238
Succedeva che a prescindere dalla correttezza o scorrettezza delle soluzioni che la maggioranza o
minoranza proponevano, quando le persone erano esposte a opinioni minoritarie succedeva che
questo li stimolava di più a trovare soluzioni nuove e anche più corrette che non erano già state
proposte dai complici degli scienziati nell’esperimento.
L’influenza minoritaria è in grado di stimolare un pensiero divergente e creativo dove chi ascolta la
posizione minoritaria proprio perchè diversa e attira l’attenzione è più stimolato a vedere la stessa
situazione in modo diverso, da un’angolatura diversa e questo stimola la nostra capacità a trovare
soluzioni nuove. Quindi non utilizzare un pensiero imitativo ma creativo.
L’influenza minoritaria è in grado di stimolare con maggiore probabilità un pensiero e
ragionamento da parte di chi ascolta, la posizione minoritaria, più creativo che permette di
guardare da un’angolatura diversa e quindi trovare cose nuove e mai viste.

È stato evidenziato che questo avviene in maggior misura quando la situazione in cui le persone si
trovano ha una certa rilevanza personale, le persone sono coinvolte e anche per le persone che
hanno bisogno di cognizione (es. quelle persone a cui piace fare sudoku).

LE PERSONE NEI
GRUPPI
I gruppi sono categorie di
persone caratterizzate da insiemi
sfocati di attribuiti organizzati
attorno a un prototipo. Cioè un
gruppo è un insieme di persone
che condivide uno schema, un
modello che condivide le
caratteristiche delle persone e
attorno si assemblano persone
che condividono alcune di quelle
caratteristiche.
Gruppi diversi con caratteristiche
diverse che variano per
dimensioni, norme accettate e considerate definitorie di quel gruppo, e ruoli che ogni persona in
ciascun gruppo riveste.
Noi possiamo aggregare le persone in base
ad alcune caratteristiche di base. Gli
aggregati sono persone che condividono
una caratteristica ma non è detto che si
riconoscano e diano significato a
quell’appartenenza (es. persone con gli
occhi azzurri).
Il gruppo invece per la psicologia sociale è
una categoria che ha un senso psicologico
per chi vi appartiene.
Entitatività è la proprietà che va a definire
cos’è un gruppo per la psicologia sociale ed
è una proprietà che fa apparire sia all’esterno che all’interno un gruppo come un’entità che
innanzitutto ha una sua coerenza cioè le persone condividono alcune caratteristiche che sono
239
coerentemente le stesse, ha
una caratteristica anche di
distintività cioè un gruppo
deve avere degli elementi che
distinguono, differenziano le
persone che vi fanno parte da
quelle che non vi fanno parte
(differenza in-group di
appartenenza e out-group
tutto ciò che ha a che fare
con gruppi diversi dal nostro)
e poi un senso di unitarietà
perchè le persone devono
percepire la propria categoria
come una categoria che ha
un senso di unitarietà
Questa caratteristica dell’entatività distingue i semplici aggregati di persone dai gruppi in senso
psicologico.

Filone della facilitazione sociale.


Uno studioso faceva svolgere compiti molto semplici (avvolgere filo davanti alla bobina) sia
individualmente che davanti alle altre persone e notò che la prestazione, la velocità in alcuni casi
aumentava e in altri diminuiva.
Quindi notò che la presenza di altre persone condiziona il nostro comportamento perchè siamo
esseri sociali.
Dalle ricerche sulla facilitazione sociale è emerso che quando alle persone viene chiesto di
svolgere dei compiti davanti ad altri in alcuni casi le prestazioni aumentano, in altri la prestazione
diminuisce.
Questi due tipi di risultati evidenziano che quando c’è la presenza degli altri si assiste ad un
miglioramento dei compiti, azioni che per un individuo sono considerati facili (es. so pattinare
bene), se invece mi viene richiesta di svolgere un’azione che non ho ben appreso, che io considero
difficile la presenza degli altri può peggiorare la mia prestazione perchè il tipo di risposta non è
ben consolidata.
Questa teoria della facilitazione sociale quindi dice che in ogni caso quando ci viene chiesto di
svolgere delle azioni in presenza di altri il fatto che ci siano altre persone compresenti porta in noi
una sorta di attivazione. Questa attivazione porterebbe a sua volta ad un aumento dell’esecuzione
delle risposte dominanti cioè delle risposte che in quella situazione sono richieste e se queste
risposte sono riposte ben apprese che noi gestiamo, sappiamo fare bene allora c’è un processo di
facilitazione sociale, gli altri migliorano la nostra prestazione quindi influenza positiva degli altri
sulla nostra prestazione.
Se invece la risposta che ci viene stimolata è scorretta o si tratta di un compito difficile che non
abbiamo ben appreso avviene un processo inverso che viene definito un processo di inibizione
sociale cioè la presenza degli altri in questo caso provocherebbe un risultato opposto per cui
provocherebbe un peggioramento delle prestazioni e dell’esecuzione dei compiti.
Secondo la teoria della facilitazione sociale la variabile chiave sarebbe la sicurezza e il grado di
apprendimento della risposta che noi dobbiamo dare.
Questo è un tipo di teoria dove per la prima volta si va ad analizzare se e come la presenza degli
altri condiziona il comportamento delle persone.
240
Questo tipo di ricerche e
studi vengono fatti tra
gruppi senza interazione tra
loro.

Le teorie e ricerche
sull’inerzia sociale invece
studiano anche le
interazioni.
Inerzia sociale: quando lavoriamo in gruppo può succedere che alcune persone diminuiscono lo
sforzo con effetto di portare un peggioramento della prestazione di gruppo. Classica dinamica di
gruppo quando ci sono alcuni che lavorano e altri che si accodano, lasciano lavorare gli altri e non
fanno lo sforzo individuale.
Ci sono stati degli studi in cui veniva fatto il gioco del tiro alla fune. In alcuni casi i gruppi erano
reali, tutti soggetti sperimentali quindi erano indotti a tirare la fune in gruppo, si variava la
dimensione del gruppo perchè l’ipotesi è che più il gruppo è grande più è probabile che avvengano
fenomeni di inerzia sociale, più il fenomeno dell’inerzia sociale è maggiore.
In una seconda condizione venivano introdotti questi pseudo gruppi nei quali solo uno era il
soggetto sperimentale che veniva messo in prima posizione così non vedeva gli altri che erano
complici istruiti a non tirare affatto ma a far finta.
In entrambi i casi veniva confermata l’ipotesi per cui più aumenta la dimensione del gruppo più il
fenomeno dell’inerzia sociale è significativo.
Un’ipotesi degli sperimentatori è che quando succede questa dinamica nei gruppi reali le persone
fanno meno sforzo individuale perchè c’è proprio problema di coordinazione tra i singoli che fanno
parte del gruppo.
Equità del risultato a volte in gruppo le persone diminuiscono il loro sforzo perchè non vogliono
fare più degli altri, non vogliono sentirsi diversi.
Paura del giudizio fare qualcosa di
diverso all’interno del gruppo può
essere un altro ostacolo, paura di
sentirsi ridicolizzati, diversi e quindi di
venir giudicati.
Conformità allo standard si capisce
qual è lo sforzo che bisogna fare in quel
gruppo e ci si adegua senza esagerare,
mi voglio accostare in termini di
risultato, prestazione.

Esiste però anche il fenomeno inverso


della compensazione sociale quando ci
241
sono dei membri del gruppo che si impegnano molto per compensare la mancanza di impegno
degli altri componenti e può essere che il risultato alla fine sia positivo.
Avviene quando le persone sono fortemente motivate e quando il compito viene ritenuto
interessante.
Questo processo avviene
quando l’appartenenza di
gruppo è importante per loro
e anche quando il compito è
importante, motivante per le
persone che vanno a
compensare.

Per essere un gruppo la


categoria alla quale le persone
appartengono deve avere un
significato psicologico positivo
al gruppo.
Affinché un gruppo sia un
gruppo vero con un senso
psicologico ci deve essere un legame tra le persone che vi fanno parte.
Per coesione di gruppo intendiamo il legame affettivo che c’è tra le persone che compongono quel
gruppo e che conferisce al gruppo stesso un senso di unità e solidarietà.
Si dice che la coesione di gruppo possa essere definita il cemento del gruppo.
Attrazione personale ossia che all’interno del gruppo ci sono delle persone che si piacciono però è
un apprezzamento individuale, interpersonale.
Attrazione sociale è l’attrazione tra i membri del gruppo dovuta a caratteristiche strettamente
legate a quel gruppo (es. gruppo di volontariato e le persone si piacciono perchè condividono
quell’interesse).
Quindi polo individuale e polo di
gruppo.
Il fatto che ci sia coesione è una
caratteristica importantissima
affinché il gruppo lavori in modo
efficiente.

La ricerca però ha evidenziato


anche gli aspetti negativi.
Il group think è una dinamica di
gruppo che è stata evidenziata da
un famoso psicologo sociale Janis
negli anni 80 il quale ha cominciato
a studiare delle decisioni di gruppo
storiche soprattutto relative alla
storia americana, che si sono poi rivelate essere decisioni sbagliate. Per esempio Janis studiò tutti i
meccanismi decisionali e tutte le dinamiche che avevano caratterizzato la linea politica del
presidente Johnson durante la guerra in Vietnam per perseverare, continuare la guerra in Vietnam
nonostante a un certo punto degli eventi fosse chiaro che quella non era una guerra continuare.
Janis analizzò come Johnson e tutto il suo staff che era comunque uno staff preparato a prendere
242
quel tipo di decisioni, fosse arrivato a decidere che questa era la linea decisionale corretta quando
poi in realtà la decisione si rivelò essere una dalle conseguenze disastrose.
Studia storicamente una serie di fatti dove viene fuori che c’è un gruppo che lavora a stretto
contatto che prende decisioni importanti che però si rivelano sbagliate.
Il group think è quindi il modo di pensare adottato dalle persone profondamente coinvolte in un
gruppo coeso quando lo sforzo dei membri per raggiungere unanimità supera la loro motivazione
a valutare realisticamente azioni alternative.
Il group think è tipico dei gruppi
molto coesi, molto in contatto. È
più forte la pressione all’unanimità
che invece rivedere la linea
decisionale e vedere delle
alternative.

Un altro esempio è il disastro dello


Shuttle Challenger del ’86.
Siamo in un periodo ancora di
guerra fredda, gli Stati Uniti con la
NASA vengono da una scia di
successo di missioni spaziali.
Sulla scia del grande successo viene organizzato il lancio dello shuttle Challanger dove per la prima
volta si sceglie di mandare nello spazio una civile. Grande attrazione mediatica perchè per la prima
volta una civile, un’insegnate di scienze sarebbe dovuta andare nello spaio e fare la prima lezione
di scienze dallo spazio.
Prima del lancio ci sono problema i tecnici, viene fuori un problema alle guarnizioni dei raggi
propulsori che non hanno subito una valutazione della loro efficienza in diverse condizioni
atmosferiche in particolare a temperature basse (siamo a fine gennaio e ci sono in quei giorni delle
temperature molto al di sotto della media), viene fuori da un gruppo di ingegneri che non era
parte della NASA ma un gruppo che lavorava come consulente della NASA ai vari componenti dello
shuttle. Questo gruppo di ingegneri disse alla NASA che non erano sicuri che le guarnizioni
avrebbero retto perché non avevano una base sufficiente di dati dei test fatti prima del lancio.
Giorni in cui c'è grande tensione tra questo gruppo di ingegneri e la NASA e quest'ultima farà
grande pressione perché il lancio venga fatto poiché era già stato rimandato più volte e alla fine
viene fuori chiaramente che non hanno una base di dati sufficienti. In particolare l'ingegnere che è
la persona dissenziente che non è d'accordo con questa decisione e fino alla fine esprime questa
decisione contraria finché poco prima del lancio c'è una riunione a distanza con interfono dove la
NASA fa una grande pressione a questo gruppo di ingegneri affinché il lancio venga fatto al il punto
che il singolo ingegnere che era contrario tace, si autocensura e accetta di fare il lancio
conformandosi alla decisione unanime degli altri ingegneri.
Il giorno dopo quando viene fatto il lancio pochi secondi dopo il lancio lo shuttle esplode e
precipita e muore tutto l'equipaggio in diretta mondiale.
Una delle caratteristiche del pensiero di gruppo è l’illusione di invulnerabilità.
Una prima caratteristica molto caratterizzante Janis dice è la forte coesione di gruppo (gli ingegneri
lavoravano molto coesi tra loro).
Di solito chi incorre in questo errore ha una chiusura verso l’esterno quindi mancanza di coesione
di gruppo.
Leadership imparziale che invece si sposta molto su una linea e fa muovere il gruppo su quella
linea senza tener conto delle altre linee possibili.
243
Di solito lavora in situazioni di forte stress e situazioni difficili.
Janis dice che questo meccanismo si può rivedere in situazioni storiche o anche attuali dove si
rischiano conseguenze catastrofiche o comunque negativi a seguito di decisioni errate.

Janis individua una serie di sintomi e difetti della decisione di gruppo per riconoscere il group think
prima che porti a questi esiti negativi.
 illusione di invulnerabilità (es. come la NASA veniva da un passato di grandi successi
avevano la percezione che non potesse succedere qualcosa di negativo e ci si illuse che le
cose sarebbero andate comunque bene i che non sarebbero stati vulnerabili a questi tipi di
errori).
 sottovalutazione di segnali negativi (tutti i dati discordanti alla presa di posizione scelta)
che però potrebbero tranquillamente essere presi in considerazione.
 autocensura quando dei membri del gruppo che la pensano diversamente si sentono in
minoranza netta e si censurano, decidono di non esprimere appieno la propria posizione
per pressione, paura di essere discriminati, ecc.
 sovrastima del consenso quindi spesso succede che le persone singolarmente si
autocensurano e sovrastimano il consenso all'interno del gruppo cioè pensano che gli altri
siano molto più d'accordo di quanto non lo siano loro stessi ma perché non si confrontano
non perché sia davvero così e quindi per paura si adeguano un po’ tutti. Questa sovrastima
del consenso aumenta ancora di più il pensiero di gruppo.
 pressione sui membri del gruppo dissenzienti.
 moralità scadente, le conseguenze etiche e morali di quello che il gruppo fa e le
implicazioni morali del gruppo vengono molto sottovalutate cioè si danno importanza alle
implicazioni morali di quello che può conseguire alla decisione del gruppo.
Janis dice che i principali difetti dell’adesione alla decisione di gruppo sono:
 sviluppo di poche alternative quindi il fatto che quando si prende una linea decisionale non
si mettono in gioco le altre alternative, per Janis servirebbe un po’ uno che fa l’avvocato del
diavolo perchè si tende a non riesumate le opinioni escluse invece bisogna continuamente
mettere in discussione quello che si sta facendo e confutare le alternative in modo efficace.
 nessun riesame delle alternative escluse.
 rifiuto dell’opinione di esperti, Janis invece dice che è molto utile proprio in queste
situazioni proprio perchè il gruppo è distaccato e lavora molto in isolamento, che ci siano
delle figure terze esterne alle dinamiche di gruppo, che compensino al conformismo.
 selezione preconcetta di nuove informazioni, tutte le informazioni che si accumulano
vengono scelte per avvalorale l’idea già presa.
244
Una caratteristica importante
del gruppo sono i ruoli.
Le dinamiche, le relazioni
all’interno di un gruppo sono
dinamiche, cambiano molto e
non sono stabili. Anche la fase di
entrata in un gruppo implica
tutta una serie di meccanismi.
Ci sono delle ricerche che hanno
studiato come funziona in certi
gruppi la fase di iniziazione cioè
di entrata del gruppo dove volte
questi criteri e modalità di
entrata sono resi pubblici e
vengono in qualche modo
formalizzati, in alcuni casi addirittura ci sono delle situazioni in cui le entrate in un gruppo può
essere accompagnata da condizioni negative, quasi punitive e dolorose perché a volte all'entrata
in un gruppo può avere una valenza anche simbolica e rituale particolare.
Alcune ricerche evidenziano che questi riti di iniziazione possono avere diversi significati:
 Possono avere una funzione simbolica ad esempio quando le persone entrano in un certo
gruppo e iniziano a vestirsi allo stesso modo, a fare dei tatuaggi, a scegliere dei simboli di
abbigliamento e dei modi di apparire che facciano ben comprendere all'esterno che quelle
persone ora sono parte di un gruppo.
 Si dice anche che questi riti di iniziazione abbiano una funzione di apprendistato es. riti in
ambiente militare nel momento in cui una persona entra a far parte del nuovo gruppo che
in casi estremi possono diventare proprio abusi e soprusi ma che a volte sono dei riti un po’
al limite ma che hanno da un lato questa funzione simbolica e dall'altro avrebbero lo scopo
di far capire, apprendere a chi entra quali sono i ruoli, come ci si deve comportare, chi
comanda, quali sono le norme che bisogna interiorizzare per far parte del gruppo.
 Alcune volte hanno anche appunto funzioni di fidelizzazione cioè rendere le persone più
leali, fedeli, fede del gruppo stesso.
C’è stata una ricerca dalla quale è emerso che a volte quando un rito è accompagnato da una
punizione anche lieve, in questo caso si davano delle scosse elettriche, succedeva che quando le
persone venivano introdotte in un gruppo e gli si faceva credere che per poter entrare bisognava
sottoporsi a queste scosse, quando la scossa era un pochino più intensa addirittura trovano più
attraente far parte del gruppo → meccanismo legato un po’ alla dissonanza cognitiva per cui se io
mi sottopongo a qualcosa di negativo per far parte di un gruppo, il mio desiderio di equilibrare la
cosa che sto facendo può farmi giustificare il fatto che io lo faccio perché per me è importante
quel gruppo.
Quindi da questo esperimento veniva fuori che tanto più la scossa era elevata più le persone
apprezzavano l'entrata nel gruppo.

245
All’interno del gruppo la divisione in
ruoli è un meccanismo fondamentale
perchè un gruppo funzioni. A volte
anche a livello implicito le persone
assumono ruoli ad esempio tra gli
amici.
I ruoli sono modelli di
comportamento che distinguono le
diverse attività all’interno del gruppo
emergono e che si collegano gli uni
agli altri a maggior vantaggio del
gruppo.
Famoso per questo è Prison study
dove vengono presi degli studenti
consenzienti per fare guardie e prigionieri ed entrambe le parti si immedesimano moltissimo nelle
parti.

L’esperimento è del ’71 negli stati uniti, anni settanta negli Stati Uniti movimenti del 68, critica
anche alla società autoritaria quindi c'era tutto un clima culturale del momento che influenzò
anche il senso di questo esperimento.
L’obbiettivo di Zimbardo è verificare se i comportamenti violenti possono dipendere dalle
caratteristiche situazionali cioè dal contesto situazionale in cui le persone si vengono a trovare in
una caratteristica o disfunzioni di personalità. La sua tesi di base è perché le persone in certi
contesti si comportano in modo così violento, è perché sono caratterizzati da alcuni tratti di
personalità patologici, questo effetto lucifero è dovuto al fatto che ci sia una cattiveria e
aggressività intrinseca delle persone oppure si possono spiegare questi comportamenti alla luce
della situazione in quelle persone si vengono a trovare. Quindi mette in contrasto le caratteristiche
situazionali, i ruoli descritti in quella situazione con le caratteristiche personali.
Siamo a Stanford e l'esperimento è annnunciato con un annuncio sul giornale in cui si annuncia
che si vuole fare un esperimento sull'esperienza carceraria. Vengono convocate una serie di

246
persone che rispondono a quest'annuncio, si propone anche un pagamento di 15 dollari al giorno,
Zimbardo e i suoi collaboratori dopo una serie di interviste test selezionano 24 persone.
Queste persone vengono suddivise in due gruppi guardie e prigionieri in modo del tutto casuale,
ovviamente si controlla che le persone non abbiamo particolari caratteristiche di personalità
patologiche, non siano eccessivamente aggressive, non abbiano avuto in passato esperienze
traumatiche che possono condizionare l'esperimento.
Zimbardo cerca di creare il più possibile una situazione il più possibile simile a quella di una
situazione carceraria, si cerca di far calare veramente le persone in quel ruolo.
Agli ipotetici di prigionieri viene detto che appunto faranno i prigionieri ma non gli si dice niente di
quello che succederà, il giorno dopo alle sei di mattina arriva una macchina della polizia e viene
simulato un arresto come se fosse vero, le persone vengono portati in una finta stazione della
polizia dove li vengono prese le impronte, vengono fatti spogliare, c'è tutta una fase in cui le
persone vengono private sia della loro libertà che delle caratteristiche personali. Quindi gli si dà
una divisa gli si mette una calza di nylon a tutti in testa per rendere tutti uguali, e li si tratta proprio
come prigionieri in modo un po’ forte.
C’è l’enfasi sull’anonimato del prigioniero, gli viene dato un numero e viene omologato agli altri,
c’è una sorta di spersonalizzazione delle relazioni.
Alle guardie viene data una uniforme uguale per tutti, non hanno armi quindi non viene avvallata
la violenza fisica nell'esperimento ma li si cala anche loro nel ruolo di guardia e quindi hanno la
divisa verde militare, hanno occhiali da sole per evitare il contatto oculare con i detenuti e rendere
così ancora più evidente la distinzione di ruolo, gli si dice chiede al giorno dopo sarebbe iniziato
l'esperimento.
Si attrezza un sotterraneo di Stanford come un vero carcere e tutto viene controllato da
telecamere che riprendono quello che succede e Zimbardo e i suoi collaboratori registrano e
monitorano l’esperimento.
L’esperimento doveva durare 2 settimane.
Dopo una iniziale tranquillità della situazione le guardie cominciano subito a mettere in atto dei
comportamenti minacciosi e violenti, a ribadire quali sono le regole, a far fare flessioni alle
persone che non si conformano alle regole, da subito manifestano una loro espressione di ruolo
molto chiara. Il giorno dopo inaspettatamente i prigionieri fanno una ribellione, cominciano a
chiudersi nelle celle, ribaltano i letti e mettono in atto questa ribellione contro le guardie.
A questo punto le guardie mettono in atto comportamenti molto aggressivi e violenti non fisica ma
psicologica, si crea un clima fortemente contrapposto tra i due gruppi.
Dopo che vengono puniti si applica il principio del divide et impera quindi i ribelli più agitati
vengono isolati dagli altri e vengono messi in queste stanze di punizione di isolamento mentre
quelli che si erano ribellati di meno vengono premiati magari con cibo più buono, si cerca di
dividere tra loro i prigionieri.
Le guardie spontaneamente, senza che li si viene detto nulla mettono in atto questi
comportamenti.
I prigionieri poi cominciano a cambiare completamente diventano degli zombie, diventano molto
sottomessi e fanno tutto quello che gli viene chiesto e alcuni prigionieri arrivano ad avere disturbi
emotivi, uno in particolare cominciare avere proprio un esaurimento e a dare di matto quindi
Zimbardo lo fa uscire dall'esperimento.
Si tenta di ovviare a queste risposte emotive molto negative, ad un certo punto viene mandato un
prete a parlare con i detenuti ma Zimbardo stesso si rende conto che la situazione sta
degenerando, ci sono reazioni emotive preoccupanti dalla parte dei prigionieri e le guardie stanno
assumendo sempre di più un ruolo aggressivo.

247
Alcuni soggetti vengono fatti uscire prima del tempo ma dopo solo sei giorni dall'inizio
dell'esperimento Zimbardo decide di interrompere l'esperimento perché la situazione è andata
fuori controllo, la violenza dilaga anche se non fisica e non c'era modo di gestire la situazione e
bisognava interrompere l'esperimento.
Addirittura alcuni prigionieri quando venivano a parlare le persone esterne gli si chiedeva qual era
il loro nome e prigionieri si definivano in base al loro numero, si erano completamente
personalizzati, si erano così
calati nella situazione.

La sua idea era che nel


momento in cui una
situazione porta le persone a
depersonalizzarsi, processo
definito di de-
individualizzazione, si creano
delle situazioni così
totalizzanti dove le persone
vengono indotte a perdere la
propria identità personale,
succede che la prescrizione di
ruolo che viene data è
talmente forte che le persone
si conformano facilmente a
quel ruolo e quindi mettono
in atto dei comportamenti che individualmente probabilmente non avrebbero mai messo in atto.

13/04/2022
LEADERSHIP

La leadership non opera solo nel mondo ma è proprio


parte integrante del mondo.
La leadership è uno schema di comportamento fisico e
verbale che il leader attua in funzione dei collaboratori
che ha a disposizione.
Il leader viene definito non in base a come lui si vede ma
proprio a come appare rispetto a coloro che il leader
cerca di influenzare.

Spesso leader e management si confondono


all’interno delle organizzazioni ma non sono
le stesse cose ed è questo che fa la differenza
tra il successo di un'azienda, l'efficacia
produttiva di un'azienda, di collaborazione
all'interno di un gruppo e ciò che invece fa sì
che un'azienda semplicemente produca in
maniera abbastanza meccanica ma non in
modo efficace.
248
Le aziende per essere eccellenti hanno bisogno di entrambe le figure perché da una parte la
leadership mobilita le persone che fanno parte del gruppo di lavoro quindi in qualche modo il
leader dà una motivazione aggiuntiva al gruppo di lavoro e quindi cerca di far conseguire dei livelli
di performance più alti, quelli che normalmente si potrebbero ottenere dagli stessi individui. Il
management invece è proprio questa capacità di decidere cosa occorre fare per eseguire il
compito, quindi il management distribuisce il lavoro all'interno del gruppo ma spesso lo fa senza
entrare nel merito dei singoli individui di quindi fare in modo che questi individui possano
posizionare le loro capacità rispetto al meglio di quelle che sono le proprie caratteristiche.
La leadership è comunque parte integrante del management e gioca un ruolo fondamentale.
I grandi cambiamenti avvenuti nelle organizzazioni sono avvenuti grazie a leader efficaci che hanno
capito come mobilitare e innovare l’azienda e le strategie aziendali.

Il leader è una guida che insieme


al gruppo, si pone davanti ma è
insieme al gruppo, lavora e
collabora per raggiungere uno
scopo collettivo.
Questa mobilitazione cambia
secondo la personalità del leader
perché se il leader ha un
atteggiamento efficace ed
empatico rispetto ai suoi gregari,
non solo lo scopo viene raggiunto
in modo efficace ma magari i
gregari interiorizzano anche lo
scopo e l'obiettivo del gruppo
stesso.
Quindi la figura più efficace è il
leader che riesce a far interiorizzare lo scopo e l'obiettivo del gruppo quasi come se fosse il proprio
obiettivo individuale del singolo gregario.

Il leader in contrapposizione al management che


comunque è un punto di forza per l'azienda,
promuove comunque la stabilità ma è il leader
quello che fa la differenza perché promuove il
cambiamento.
Ci sono stati diversi studi che hanno evidenziato
quali sono i diversi valori aziendali, tra questi quelli
fondati da Thomas Watson nel 1928 che aveva
definito tra i valori principali della sua azienda il
rispetto dell'individuo, il miglior servizio del mondo al cliente e la ricerca dell'eccellenza.
Questi valori erano stati poi applicati in modo sistematico all'interno del management quindi in
qualche modo avevano stabilito un'organizzazione equilibrata e su più livelli perché era strutturata
intorno a dei valori precisi.
Questo aspetto di mantenere e promuovere la stabilità in funzione dei valori del proprio fondatore
è un concetto fondamentale che il leader poi riprende in quanto è parte integrante di questo
management.
Non sono quindi figure distinte.
249
Un buon leader è quello che si identifica per primo nei valori aziendali o in un'istituzione politica,
questo perché se è soprattutto il leader ad interiorizzare questi valori sarà maggiore l’efficacia
motivazionale che avrà nei confronti dei propri collaboratori o gregari a seconda del contesto.

I leader “lean” sono coloro che legano in qualche


modo, fanno in modo di realizzare un interesse
comune creando un consenso generale delle
diverse persone.
Il leader prima di tutto deve costruire la sua meta,
l’obbiettivo e deve far sì che i suoi collaboratori
salgano a bordo per raggiungere la stessa meta; il
leader deve si controllare che questa meta venga
seguita ma soprattutto deve dare gli strumenti e
l'autonomia dei suoi collaboratori affinché
possano compiere in modo autonomo i compiti
che gli vengono assegnati.
L’entusiasmo del leader porta la motivazione ad essere più alta ed efficace.

Quando il cambiamento è cercato


da noi quindi facciamo
un’autopromozione di attuazione di
questo cambiamento ci sentiamo
motivati. Questo cambiamento che
mettiamo in atto per noi stessi che
magari parte da una nostra
passione, ci crea entusiasmo e
motivazione.
Viceversa se il cambiamento avviene
in un'istituzione magari lavorativa in
qualche modo imposta e con
risultati negativi, magari si può
arrivare al licenziamento quando si
fanno grossi cambiamenti nelle
aziende.
250
Il cambiamento ci fa paura e lo viviamo in modo estenuante forse proprio per il modo in cui ci
viene posto, il modo in cui ci viene data la soluzione di questo cambiamento.
Se ci mettiamo al centro delle varie trasformazioni e cambiamenti ci mettiamo in gioco e
cerchiamo di seguire questi cinque punti slide che possono renderci dei leader, anche delle piccole
vite di noi stessi.
Innanzitutto bisogna inspirare e formare. Per Jim Hemerling è il primo obiettivo, il primo scopo
quindi i leader in qualche modo hanno bisogno di connettersi il più possibile con il senso dello
scopo; anche noi dobbiamo porci al centro per capire qual è il nostro scopo e facendo così la
prospettiva e il metodo di studio ad esempio verso gli esami cambiano notevolmente e cambiano
anche i risultati perché la motivazione è aumentata, non è più in funzione dell'esame in sé ma in
funzione della crescita personale.
Un’altra qualità importante che ritroviamo nel leader è dare alle persone le competenze. Ci sono
state delle aziende che anziché tagliare personale hanno dato nuove competenze alle persone,
hanno formato i collaboratori in modo che potessero svolgere altri ruoli dell'azienda. Hanno
formato i collaboratori in modo che potessero dapprima studiare questo nuovo programma di
informatica (esempio) e poi avere l'autonomia di gestione perseguire direttamente loro i clienti su
questo nuovo pacchetto di informatica.
L'obiettivo dell’innovazione, lo scopo principale era quello di pensare al consumatore finale e
quindi a colui che avrebbe poi usufruito della trasformazione operata dall'azienda.
Quindi ispirare anche l'apprendimento continuo, è fondamentale la formazione che viene fatta per
aumentare le proprie competenze, sono una chiave fondamentale per riuscire ad ampliare le
proprie capacità. Questo si fa anche soprattutto attraverso l'ascolto, quando un leader ascolta i
bisogni dei propri collaboratori è un'altra chiave fondamentale di equilibrio all'interno di un
gruppo.
Il quinto aspetto è che il leader deve avere una visione quindi un percorso chiaro e in questo
percorso deve anche stabilire delle tappe
intermedie.

La personalità da sola non è sufficiente per


formare un buon leader perché secondo la teoria
di Filder(?) sostiene che secondo lui in qualche
modo i leader nascono quindi hanno delle
predisposizioni ben distinte e quindi la leadership
è qualcosa di naturale.
Mentre altre teorie dicono che queste caratteristiche non sono sufficienti ma in qualche modo
occorre una continua trasformazione e motivazione.
In questo è importante anche la disponibilità che un leader che deve avere, anche una forma di
umiltà e di mettersi continuamente in discussione per potersi riaffermare in situazioni e contesti
nuovi.

Quindi se la leadership, dice Cialdini, è incentrata sul


processo di influenza, si può dire che consiste proprio
nell'ottenere qualcosa per mano di qualcun altro e
questo qualcun altro è fondamentale e determina la
differenza sul raggiungimento dello scopo.
Non è solo importante la figura del leader ma sono
anche fondamentali coloro che stanno attorno al
leader, quanto credono a questa figura e quanto
251
hanno intenzione di applicare le direttive che
leader ha dato.

Quando viene usata la forza o la minaccia non si


può parlare di leader quindi l'uso del potere non è
definito come un’influente capacità di
raggiungimento degli obiettivi che definisce la
persona in quanto leader.

Quindi se noi ci atteniamo alle norme, obbediamo alle normative e regole che ci vengono imposte
non significa in quel momento che siamo guidati da un leader.
I dittatori sono esempi di non leader.

Le persone, come dice Perrot, non possono essere gestite, devono invece essere guidate.
L’immagine dice molto bene questa cosa. Il leader aiuta a interiorizzare le norme e poi collabora e
lavora insieme ai suoi collaboratori, non da un comando ma insieme raggiungono lo scopo.

Quando parliamo di leader efficace, la valutazione


di efficacia viene data come un dato oggettivo.
La domanda da porci per capire se un leader è
efficace e quanta influenza aveva il leader nel
fissare questi obiettivi e se questi obiettivi sono
stati raggiunti.
Se sono stati raggiunti c’è già stata anche una
comunicazione che non ha riscontrato minaccia o autorevolezza ma c'è stata un’interiorizzazione
dello scopo è stato raggiunto, si può parlare di una leader efficace.

252
Quando invece parliamo di un giudizio più soggettivo, quando ci troviamo di fronte a un leader che
ci ispira ma ci fa raggiungere gli obiettivi in modo un po’ contrattuale, ci ha dato delle ispirazioni
personali ma per noi può essere descritto come una persona buona o cattiva. Riconosciamo in quel
leader delle caratteristiche che lodiamo, apprezziamo e anche i mezzi che ha utilizzato per
raggiungere quello scopo.
Quindi quando noi valutiamo il leader lo dobbiamo fare in tre termini differenti:
 se rimaniamo nell'ambito soggettivo lo vediamo valutare dal punto di vista caratteriale
(definiamo un leader buono o cattivo, simpatico o antipatico, carismatico).
 poi c'è la moralità dei mezzi ossia il modo in cui il leader raggiunge i suoi scopi. Lo fa con la
persuasione, con un processo decisionale democratico oppure il leader sta raggiungendo i
suoi scopi attraverso mezzi di coercizione, di oppressione, di minaccia.
 il terzo punto è la natura degli obiettivi
che il leader vuole raggiungere, se vuole
ridurre la fame abbiamo un tipo di
leader, se invece punta a genocidi non è
più un leader ma è semplicemente un
capo che ci sta guidando verso uno
scopo ma senza essere leader.

I tratti della personalità del leader si possono


distinguere a seconda delle diverse
caratteristiche.
Non per tutte queste definizioni corrisponde la
definizione di leader, non tutti gli autori definiscono e pensano che il leader venga definito dalla
propria personalità.
Stogdill, ad esempio, afferma come la leadership non consiste in una mera combinazione di tratti.
Nelle ricerche sulla Big Five era risultato che le caratteristiche che maggiormente venivano
evidenziate in una leader efficace erano ad esempio l'estroversione, l'iniziativa, la piacevolezza, la
coscienziosità, la stabilità emotiva,
l'intelligenza, l'apertura mentale (in
particolare estroversione, coscienziosità e
apertura mentale).

TEORIA DELLA CONTINGENZA

Teoria della contingenza: dipende proprio


dalla natura della situazione, contingenza in
questo senso, in cui la leadership si
manifesta.
All’interno di questa teoria della contingenza
si possono distinguere altre due teorie:
A. Quella di Fred Fiedler del 1964.
B. Quella del percorso-obiettivo.

253
In questa teoria del controllo della
situazione Fiedler misurò questo
stile con la scala Least Preferred
Coworker Scale che è la misura del
collega meno apprezzato. Gli
intervistati davano un voto al
collega meno apprezzato, venivano
utilizzati dimensioni differenti
(gradevole-sgradevole,
interessante-noioso, amichevole-
ostile). In base alle prestazioni e al
riferimento di questa variabile
Fiedler era arrivato alla conclusione
di un'ulteriore distinzione in cui si
può parlare di un leader più orientato alla relazione e di un leader orientato al compito.
Quindi il controllo della situazione poteva essere a sua volta alto o basso e a seconda del risultato.
Fiedler ha concluso che le prestazioni migliori sono quelle di un leader orientato al compito,
viceversa nel caso di controllo intermedio riteneva che non ci fosse lo stesso risultato.
Quindi se il leader ha un alto controllo della situazione, significa che il leader ha buone relazioni coi
seguaci, il compito ben definito e l'autorità che gli è stata attribuita è stata definita al leader
giusto.
Se invece abbiamo un basso controllo dell'associazione vuol dire che il leader ha verso i suoi
collaboratori una cattiva relazione, il compito non è ben definito perché non si riesce a controllare
la situazione, non c'è contingenza della situazione quindi in qualche modo non c'è autorevolezza
da parte del leader.

Caratteristiche già anticipate da Robert Deils(?) che


fu un pioniere nella comunicazione nei gruppi, lui
aveva già identificato i ruoli chiave alla leadership
poi ripresi da Fiedler aveva già iniziato a
distinguere lo specialista del compito che si
concentra sul raggiungimento delle soluzioni
piuttosto che lo specialista socioemotivo che è
invece più attento ai sentimenti dei membri del
gruppo.
Da questa distinzione Fiedler ha specificato le
caratteristiche dei leader orientati al compito e orientati alla relazione.
 I leader orientati al compito sono autoritari, che puntano al successo del gruppo, traggono
autostima dal risultato piuttosto che dall'apprezzamento del gruppo.
 I leader più orientati alla relazione sono più rilassati, amichevoli, non autoritari e traggono
autostima da relazioni di gruppo e sono felici e armoniosi.
La differenza fondamentale rispetto alle slide precedenti dove si ipotizzava che ci fossero dei tratti
tipici dell'essere leader, questa teoria fa un passo avanti dicendo che il buon leader è quello che si
incastra bene nella situazione; quindi è proprio una visione diversa della leadership che deve
essere contingente con la situazione.

254
Guardo video

La seconda teoria è la teoria del percorso-


obiettivo.
Studio fatto dal House nel 1996 il presuppone
che una delle funzioni principali del leader sia di
motivare i gregari chiarendo i percorsi ossia
come comportarsi per aiutare poi a raggiungere
i propri obiettivi.
In questa situazione si possono distinguere due
classi di comportamento:
 Strutturazione quando leader dirige
l'attività connessa al compito cioè in
qualche modo questo aspetto,
comportamento è più facile quando i
gregari non hanno chiari i propri obiettivi e i modi attraverso cui raggiungerli. In questa ci
situazione ci si trova quando un compito è nuovo, è difficile e ambiguo per cui leader deve
strutturare il compito e dare la motivazione e le caratteristiche del compito da raggiungere.
 Cura, in questo caso il leader si dedica più ai bisogni personale dei motivi. In questo caso la
strutturazione è meno efficace perché il compito evidentemente è più chiaro ma quando il
compito è invece noioso e sgradevole la cura che il leader può dare può sopperire al
compito.

255
Nelle due situazioni se i gregari sono già impegnati in un compito e sono già motivati a terminare
questo compito, se il leader interviene con una cura quindi con un comportamento più legato
all'emotività e ai bisogni personali può risultare negativo, può distrarre i gregari.
Quindi queste due classi di comportamento possono essere vantaggiose o svantaggiose a seconda
di come i gregari stanno svolgendo il compito in quel momento.
Non sempre quindi sono necessari i due atteggiamenti; se i gregari stanno svolgendo i loro compiti
senza problemi, tranquillamente, il leader non deve intervenire.
È anche questa una teoria che fa parte della teoria della contingenza, siamo ancora in un contesto
situazionale di svolgimento dell'azione del leader nell'associazione.

LEADERSHIP TRANSAZIONALE
Una seconda teoria è quella chiamata transazionale.

La teoria transazionale è quella di


Edwin Hollander del 1958.
Hollander si focalizza sulla
transazione di risorse tra leader e
gregari. In qualche modo Hollander
aveva percepito che la teoria della
contingenza rimaneva statica e
rimanendo nella situazione non
coglieva la dinamica della
leadership.
Questo limite viene superato dalla teoria della leadership transazionale perché considera la
leadership come processo di scambio, per questo transazione.
Uno studioso Messic(?) nel 2005 diede come definizione che i gregari si forniscono sostegno e
gratificazioni reciproci e questo permette ai leader di guidare e incoraggiare i gregari a seguirli.
Quindi se questo processo di scambio avviene reciprocamente allora secondo questo studioso e
poi anche secondo Hollander, è ancora più efficace l'azione della leadership.

La teoria più conosciuta tra quelle della


leadership transazionale è quella dello scambio
leader gregario.
Questa teoria chiamata LMX Leader Member
Exchange Theory, in questa teoria vengono
intrattenute dal leader relazioni di scambio con i
singoli collaboratori.
Secondo Graen, Uhl-Bien e Sparrowe e Liden fare
attenzione a questo scambio di relazioni significa
sviluppare le azioni di scambio personali che possono essere di qualità elevata o scarsa. A seconda
che vengono sviluppate relazioni di scambio personali di buona o cattiva qualità con i singoli
gregari il risultato sarà diverso.

In questa leadership transazionale da un lato


con Hollander veniva messo appunto il
raggiungimento di obiettivi per arrivare ad
essere relativamente autonomi e Hollander
parla proprio del credito personale cioè
256
secondo lui i leader hanno bisogno di ottenere dal gruppo questo credo personale ovvero per
essere efficaci hanno bisogno che li lasciano essere innovativi, li diano la possibilità di
sperimentare nuove idee e nuove direzioni che permettano anche al leader di essere autonomo.
Secondo Hollander per accumulare questo credito personale un leader innanzitutto si deve
confrontare in maniera stretta alle norme del gruppo, alle regole che definiscono il gruppo, quindi
innanzitutto c'è un confronto che è anche un conformarsi in qualche modo.
In secondo luogo il leader si deve assicurare che il gruppo percepisca il fatto che lui sia diventato
leader in modo democratico quindi deve essere sicuro di essere accettato da tutti i collaboratori in
modo democratico.
In terzo luogo si deve assicurare che dal gruppo è ritenuto adeguato al raggiungimento di quegli
obiettivi specifici del gruppo.
Infine deve mostrare la propria identificazione con il gruppo e quindi deve dimostrare che i suoi
ideali e le sue ispirazioni coincidano con le ispirazioni e gli ideali del gruppo.
Questo credito personale di cui parla Hollander è fondamentale perché se c'è un buon livello di
credito personale del leader rispetto al gruppo allora si ha una legittimazione che permette al
leader di esercitare la sua influenza e quindi di potere prendere la distanza dalle norme, lavorare
in modo autonomo, e da qui diventare innovativo, perché è una volta che ha eliminato la
legittimazione che il leader può fare il salto di innovazione e lo può fare grazie alla sua creatività, le
sue doti personali, la sua formazione, ecc.

Nella leadership transazionale sono


fondamentali due teorie quella di Hollander
con il credito personale per raggiungere
l'autonomia e l'altra quello dello scambio
leader gregario dove è importante che il
leader sviluppi delle relazioni di scambio
personali che possono essere o di qualità
elevata o scarsa.
Quando parliamo di qualità elevata parliamo
di una fiducia, di un rispetto, di un impegno
reciproco e se avviene questa fiducia, questo rispetto i collaboratori sono favoriti dal leader e
ricevono a loro volta altre risorse; più c'è una maggiore fiducia reciproca maggiore sarà
l'autonomia data al gruppo, il fatto che il leader abbia fiducia crea una maggior motivazione e
quindi il gruppo ha interiorizzato maggiormente l'obiettivo da raggiungere e si troveranno come
caratteristiche la lealtà, la gratitudine e il senso di inclusione.
Quindi in questa teoria riusciamo ad arrivare con una qualità elevata di relazioni di scambio
personali tra leader e gregario a questi tre caratteristiche: lealtà, gratitudine e senso di inclusione.
Mentre se si ha una qualità scarsa di relazione, di scambio personale si è più nella linea del
management quindi i dipendenti svolgono il proprio obiettivo in maniera più meccanica,
ottemperano di doveri ma non li interiorizzano.

LEADERSHIP TRASFORMAZIONALE
Gli studiosi hanno trovato un limite nella teoria della contingenza perché l'hanno trovata più
statica rispetto a dinamica e hanno cercato di superare questo limite ponendo l'attenzione più sul
rapporto tra leader e gregario.
Se gli studiosi della leadership transazionale hanno messo la loro attenzione sul gregario, quella
trasformazionale vogliono proprio trasformare un gruppo.

257
Lo scopo sarà stimolare i gregari ad una
visione che vada al di là del loro
interesse personale e in questo modo i
gregari non solo avranno interiorizzato
gli obiettivi ma anche i leader
lavoreranno per convincere, salire a
bordo della nave ed è una convinzione
che comprende una forte motivazione.
Quindi i leader trasformazionali sono
quelli che includono carisma, secondo
gli studiosi Antonakis e House del 2003,
sono coloro che possono cambiare il modo di pensare perché il gruppo interiorizza come parte
della propria identità l'obiettivo da raggiungere.
Esempi di leadership trasformazionale che ha cambiato il modo di pensare con un aspetto più
carismatico sono Mandela o Martin Luther King.
I leader carismatici e trasformazionali sono stati accumulati dall'idea di cambiare il mondo,
stravolgerlo e migliorarlo; quali sono le caratteristiche dei leader carismatici.
Anche Obama aveva un linguaggio che convinceva molto, un modo di parlare che oggi va molto ad
esempio questi leader iniziavano sempre le frasi in un certo modo, con frasi che rimanevano
impresse. Il carisma in questi leader si esprime tanto anche nella comunicazione non verbale es. il
tono di voce, usare la voce per creare coinvolgimento emotivo nelle persone.
Nella leadership carismatica la differenza rispetto alle altre soprattutto è la motivazione che dà la
spinta all'azione quindi il discorso del leader lascia una sensazione quasi di convincimento,
entusiasmo disposti a seguire e si è motivati su quello che è stato richiesto.

I LEADER GUIDANO I GRUPPI


Definizione di leader prototipico. In questo si distinguono due teorie:
 la teoria della categorizzazione del leader
 la teoria dell’identità sociale della leadership

Nella definizione del leader che guida i


gruppi, in qualche modo i gruppi
forniscono alle persone un'identità
sociale.
Quando parliamo di leader prototipico
parliamo di un leader che è più
influente di altri, questo leader è
considerato la fonte dell'influenza, è
apprezzato e popolare, la loro identità e
destino sono legati strettamente al
gruppo e acquisiscono carisma grazie ai
membri del gruppo.

258
Il leader efficace e influente è
definito leader prototipico perché
incarna proprio le caratteristiche
del gruppo, le esprimerà e le
presenta proprio come identità.
In questo senso il mio impegno di
gruppo a sua volta fanno
affidamento sul leader perché il
leader chiarisce e consolida la loro
identità.

Con questa caratteristica abbiamo la teoria


della categorizzazione del leader perché
l'individuo è categorizzato come un particolare
tipo di leader e quindi questo schema, questa
categoria definisce nei dettagli il modo in cui il
leader si comporterà.
Quindi a seconda dello schema e della
categoria a cui appartiene il leader possiamo
sapere in che modo il leader si comporterà →
categorizzazione del leader.

L’altra teoria è quella dell'identità sociale.


Questa teoria interpreta la leadership come un
processo di identità caratterizzata dalla
maggiore efficacia.

Secondo la teoria dell’identità Haslam, Reicher e


Platow hanno costruito la leadership identitaria
come una leadership fondata su quattro pilastri
fondamentali. Innanzitutto i leader
rappresentano il gruppo che ambiscono a
guidare, sono paladini dei loro interessi,
esercitano un'influenza quindi facilitando
l'identità di gruppo e il coinvolgimento collettivo
e realizzano questa identità mobilitando le
energie.
259
Da una parte il leader deve apparire come
uno di noi e quindi agli occhi di seguaci deve
rappresentare ciò che lo distingue del
gruppo e il leader deve apparire prototipo
dell’ingroup, quindi fa proprio parte del
gruppo come “uno di noi”.

Il secondo pilastro è che il leader deve


apparire come uno che “lo fa per noi”,
agisce nell'interesse dell’ingroup.
Se i potenziali seguaci sono convinti che il
leader persegua gli interessi dell’ingroup
allora sono disposti a investire le proprie
energie e a tradurre in realtà la visione del
leader.

Il terzo pilastro è che il leader deve costruire


un senso del noi.
Quindi non deve limitarsi a identificarsi
nell’ingroup ma deve essere attivamente
impegnato alla riforma a questo senso
condiviso di chi siamo noi, deve proprio
dargli un senso.

Infine il quarto pilastro è che il leader deve


farci contare nella realtà.
Il leader prende le idee, i valori, i principi del
gruppo e li cala nella realtà quindi
contribuisce a costruire un mondo in cui i
valori del gruppo sono messi in pratica,
vengono attuate le sue potenzialità.

260
In questa teoria il pilastro fondamentale su cui
poggia la teoria dell'identità è la fiducia che
viene poi definita come giustizia procedurale
che implica che il leader agisce in maniera
proceduralmente corretta.
L’idea è che questo tipo di leader riesce a dare
una percezione che le persone che fanno parte
del gruppo siano trattate in maniera equa, che
non ci siano ingiustizie all'interno del gruppo.

L'ultimo aspetto è la differenza di genere


ovvero come viene percepita la
leadership nelle donne.
Si parla di una teoria che viene applicata
alle disuguaglianze quindi parla in
qualche modo al genere della leadership
perché spesso le persone di sesso
femminile sono giudicate leader di poco
valore.
Questo è stato definito da una teoria
della coerenza con il ruolo che spiega anche in qualche modo la modalità di funzionamento della
definizione di soffitto di vetro.
La teoria del soffitto di vetro dice che è come se noi
dovessimo immaginare un soffitto invisibile che
impedisce alle donne e alle minoranze di ottenere
una leadership di alto livello.

Questo è dovuto soprattutto agli stereotipi negativi


riguardanti il loro sesso e per questo si sentono meno
motivate ad assumere il comando.
In questo contesto e il sentimento di pensare di
essere giudicati, trattati sulla base di stereotipi
negativi che in qualche modo fanno sì che la donna
sia meno
presente come dire perché sente la minaccia dello
stereotipo.
Michelle Obama e Kamala Harris sono esempi di
donne che hanno fatto discorsi molto efficaci.

Questa definizione riassume un po’ tutte le varie


caratteristiche delle slide precedenti perché c'è il
termine “noi” dell'identità, quindi non si definisce
come io, c'è poi funzionamento della squadra, l'identificazione e il termine di compito e gruppo.

261
Guardo i due video.

22/04/2022

Avevano carta bianca sul comportamento che adottavano, semplicemente dovevano fare guardie
o prigionieri a seconda del ruolo assegnatogli.
Negli anni 2000 si è replicato questo esperimento con delle variabili della BBC, è stata una sorta di
ripresa televisiva di un reality dove le stesse condizioni venivano ripetute per molto più a lungo.
Replica sotto il controllo di due psicologi con un controllo quotidiano.
Zimbardo spiega questo meccanismo in termini di situazioni e ruoli assegnati alle persone.
Spiegazione diversa da quella che focalizza l'origine di questi comportamenti nella personalità,
dell'individualità, c'è proprio un rovesciamento di prospettiva dove si vuole dimostrare che nello
spiegare questi comportamenti così aggressivi non dobbiamo necessariamente farlo in termini di
persona, tratti di personalità, tipologia individuale, razionalità, diminuzione della moralità, ecc. ma
questi esperimenti vogliono dire che nel momento in cui creiamo situazioni così estreme, rigide
dove ci sono dei ruoli così costruttivi, le persone facilmente si adattano a quei ruoli e tendono a
perdere il senso di individualità e a comportarsi secondo quel ruolo.
Secondo Zimbardo insieme giocano per spiegare quello che è successo in questo perimento e
sono:
 Anonimato per cui diminuisce l'importanza delle caratteristiche personali e si fa prevalere
la norma di gruppo anche online dove si perde il senso dell’individualità tende a prevalere
la norma di gruppo, anche nelle folle succede ciò.
 Responsabilità diffusa per cui venendo meno le caratteristiche individuali le persone
hanno la percezione che i comportamenti che mettono in atto non siano tanto dipendenti
dal proprio controllo ma da attribuire ad una norma siano quindi spiegabili attribuendo la
responsabilità di quello che fanno non a se stessi ma ad altri, alla norma di gruppo o al
leader del gruppo ecc. Si sviluppa quindi questa responsabilità diffusa ossia la percezione
che i propri comportamenti non dipendano da un controllo individuale ma siano attribuibili
ad una norma di gruppo.
 Ampiezza del gruppo perchè più il gruppo è grande, più sono le persone appartenenti al
gruppo che mettono in atto questi comportamenti, più questi meccanismi psicologici
possono essere aumentati, acuiti dalla situazione.
Queste tre condizioni insieme danno luogo secondo Zimbardo al processo di de-
individualizzazionee processo che consiste nella perdita dell'identità personale, della diminuzione
della preoccupazione per la valutazione sociale che è il fatto di non doversi rendere conto
individualmente di quello che si fa.

262
Questa preoccupazione di come ci valuteranno gli altri viene meno perché non sono solo io ma ci
sono altre persone che come me lo mettono in atto e quindi viene accettato come norma
condivisa e questo porta con maggiore probabilità le persone ad adottare comportamenti di tipo
razionale, impulsivo e anche regressivi.
Un esperimento del genere fu molto criticato da altri studiosi e creo molti dubbi.
Le critiche maggiori oltre all’aspetto etico sorsero anche critiche di tipo metodologico perchè se
viene detto esplicitamente sul giornale che sarà un’esperienza carceraria questo potrebbe
spingere un tipo particolare di
persone a rispondere all’annuncio.
Un’altra critica è il fatto che Zimbardo
non abbia dato delle regole di
comportamento e questo poteva
essere una richiesta implicita di un
certo comportamento.
L’esperimento della BBC riprodusse gli
stessi risultati ma furono spiegati
dall’incertezza perchè se non c’è una
certezza di come comportarsi le
persone tendono ad interiorizzare la
norma di gruppo, i comportamenti
degli altri e adotto quei
comportamenti che ritengo adeguati in quel gruppo. Spiegazione un po’ diversa perchè ci si
concentra sull’identità di gruppo.

Ritroviamo aspetti analizzati con l’esperimento di Zimbardo perchè questo effetto bystander e gli
esperimenti che poi sono seguiti dalla scoperta di questo effetto hanno a che fare sull’influenza
che il gruppo può avere sulla responsabilità individuale di ciascuno.
Nell’esperimento di Zimbardo uno dei meccanismi psicologici importanti era la percezione di
responsabilità diffusa, quando le persone sono in gruppo e devono decidere come comportarsi e
un'opzione è quella di assumere comportamenti regressivi, violenti, ecc. le persone si lasciano più
facilmente andare all'adozione di questi comportamenti perché percepiscono che la loro
responsabilità individuale sia in qualche modo diminuita e che quindi il loro comportamento possa
essere giustificato attribuendo le origini alla realtà di gruppo.
Famoso effetto bystander effect o effetto
spettatore, effetto studiato relativo ad una
situazione di emergenza.
Questo effetto fu scoperto dopo un
episodio di cronaca riguardante l’omicidio
di una ragazza nel 1964 a New York nel
queens. Ragazza Kitty Genovese lavorava
in un bar e tornando a casa fu inseguita e
aggredita e accoltellata 4 volte nella
schiena appena sotto casa sua. Lei gridò e
l’aggressore spaventato scappò ma
nonostante le grida della ragazza nessuno
la aiutò. La ragazza cercò di scappare ma
l’aggressore vedendo che nessuno la
263
aiutava tornò e la aggredì ancora più gravemente altre 8 volte. L’aggressione durò mezzora e
nessuno intervenì, solo 30 minuti dopo ci fu una telefonata anonima ma la ragazza morì nel
trasporto in ospedale.
Si scoprì dopo che 38 persone nel palazzo sentirono le grida della ragazza ma nessuno intervenne.
Si scatenò quindi un dibattito sul perchè le persone non aiutarono la ragazza.
Due psicologi Darley e Lanatè programmarono una serie di studi per capire questo fatto. Si
concentrarono sulla situazione sociale perchè dissero che magari le persone non sono perfide di
loro ma è la situazione sociale che li porta ad agire così.
Gli psicologi volevano creare una situazione ambigua a quella in cui si era trovata Kitty per
studiare: venne fatto uscire del fumo da una porta e se uno è da solo chiede subito aiuto, se invece
si è con altri non si reagisce o si agisce molto più lentamente (gli altri erano addestrati a non dire
nulla ma il soggetto non fa comunque nulla).
Un altro esperimento viene fatto con due persone collegate via audio e non si vedono, se si è da
soli e l’attore via audio chiede aiuto il soggetto sperimentale chiede subito aiuto per l’attore se
invece ci sono più soggetti sperimentali non chiedono aiuto perchè pensano sempre che tanto ci
sia un altro a chiedere aiuto.
È possibile che quando ci si trova in quella situazione la pressione può influenzare i comportamenti
e se magari da fuori io dico che interverrei assolutamente poi in quella situazione di emergenza
con il panico potrei non intervenire.

Tutta la teoria di Darley e Latanè e il bystander effect è stato applicato alla psicologia
dell'emergenza cioè alle dinamiche che entrano in atto quando ci sono delle situazioni di
emergenza e le persone devono reagire.
Loro hanno ipotizzato anche una serie di fasi, passaggi che devono avvenire affinché le persone
effettivamente prestino aiuto in queste situazioni e non si comportino come nel caso di Kitty.
Dicono che perchè una persona in situazioni simili debba assumersi la responsabilità individuale e
intervenire innanzitutto:
 Deve percepire il pericolo ossia deve essere chiaro che c'è un pericolo.
 La situazione deve poter essere definita come un caso di emergenza, la persona si deve
rendere conto che quella
situazione è una
situazione di emergenza,
dobbiamo renderci conto
che quella è una
situazione di emergenza
altrimenti il
comportamento di aiuto
non viene stimolato.
 La persona che viene a
conoscenza del pericolo
deve sentire la
responsabilità di
intervenire in aiuto, ci
deve essere l'assunzione
di responsabilità
individuale che viene
diminuita dalle situazioni collettive e dalla presenza di altre persone.

264
 Le persone inoltre devono avere anche qualche idea di come poter essere d'aiuto, devono
avere una conoscenza circa le modalità di come si interviene in situazioni di emergenza e
quindi la conoscenza di come intervenire in situazioni di emergenza è una variabile
importante. Alcuni esperimenti hanno evidenziato che quando le persone hanno
competenze, anche quando c'è solo una percezione di competenza le persone rispondono
al pericolo più velocemente e con maggiore probabilità.
 La persona solo dopo aver percorso queste fasi accorre in aiuto.

Una variabile importante è la numerosità del gruppo.


Più è alto il numero tanto meno sarà la responsabilità individuale di agire.

La variabile tempo di intervento è importante perchè in molti casi la situazione di pericolo può
essere critica.

Esperimento vero e proprio dove


c’è la manipolazione di variabili
dipendenti e dove la variabile
indipendente fondamentale è il
numero di persone nel gruppo.

265
Richiesta di aiuto in funzione
delle tre condizioni.
Percentuale di soggetti che
chiedono aiuto sull’asse
verticale.
La relazione tra le due variabili
è molto chiara.

Secondo risultato: i tempi di


reazione, si calcolava con quale
velocità le persone reagivano
alla richiesta di aiuto
Nella tabella c’è il tempo medio
in secondi di risposta alla
richiesta di aiuto a seconda di
quante persone c’erano nel
gruppo.

Secondo Darley e Lanatè


l’effetto spettatore si
266
può spiegare con due meccanismi psicologici.
Uno è l’ignoranza pluralistica ossia che le persone davanti a situazioni ambigue, incerte nelle quali
non sanno come comportarsi, tendono fortemente a basarsi sul comportamento degli altri quindi
tendono a guardare molto quello che gli altri fanno e ognuno pensa che gli altri abbiano più
informazioni rispetto alla situazione e quindi si suppone che gli altri ne sappiano di più e osservano
il comportamento delle altre persone per cercare di interpretarli.
Spesso questa incertezza, questo meccanismo di ignoranza pluralistica paralizzazione ossia fa si
che le persone non facciano nulla o che passi del tempo prezioso prima che le persone
intervengano.
La focalizzazione di questi psicologi sociali è molto sulla situazione di gruppo, loro dicono che la
situazione è proprio strutturale del gruppo che a volte condiziona il comportamento delle persone.
Il meccanismo base dell’effetto spettatore è la diffusione di responsabilità, quindi la sensazione di
non dover intervenire perché si percepisce che altri lo faranno quindi c'è una diminuzione della
propria responsabilità individuale e la percezione che altre persone lo faranno ma alla fine il
risultato è che le persone non agiscono.

PREGIUDIZIO E STEREOTIPI
Studio legato principalmente alla realtà di gruppo.
Finora ci siamo occupati come il far parte di un gruppo condiziona il comportamento delle persone
all'interno del gruppo stesso quindi meccanismi intragruppo.
Questa grossa pressione influenza anche il modo in noi cui percepiamo gli altri gruppi, quindi i
gruppi diversi dall’altro.
Nella psicologia sociale si fa una grossa e forte distinzione tra l'ingroup cioè il gruppo di
appartenenza, tutte le categorizzazioni che ci appartengono identificano, e l’outgroup cioè tutti i
gruppi esterni ai nostri, quelli esterni, tutte quelle categorizzazioni che definiscono persone
diverse da noi.

Filone storico della psicologia


sociale, relazioni intergruppo che si
sposta sulle percezioni reciproche
influenzate dall’appartenenza.
Il concetto base è che tutte le
appartenenze di gruppo
definiscono aspetti importanti e
cruciali di noi e influenzano come le
persone percepiscono se stesse,

267
percepiscono i membri del proprio gruppo (ingroup) e i membri dei gruppi esterni al gruppo
(outgroup).
Percezioni reciproche che le persone hanno in base alle loro appartenenze.
Molti a questo proposito, sono i lavori di Henri Tajfel famosissimo psicologo sociale ebreo polacco
chi si trasferì negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale per studiare. La sua storia
familiare condizionò le sue ricerche perché la sua famiglia fu interamente sterminata nei campi di
concentramento e lui iniziò questo programma di studi per cercare di capire e spiegare i
meccanismi psicologici e psicosociali alla base del pregiudizio e discriminazione.
Tajfel si concentra in particolare sui processi percettivi e cognitivi che sono alla base della
percezione intergroup, dei pregiudizi e degli stereotipi.
La spiegazione di Tajfel e tutta la linea di ricerca che parte da lui al tema dei pregiudizi e delle
relazioni intergruppi, è molto focalizzata sul nostro modo di ragionare.
Lo spostamento da una spiegazione di tipo patologico, irrazionale tale per cui si spiega il
pregiudizio e gli atti discriminatori estremi sulla base della personalità delle persone ad una
spiegazione diversa che invece vede come meccanismo importantissimo il nostro modo di
ragionare soprattutto quello in senso semplificatorio.
Noi abbiamo una forte tendenza a semplificare il ragionamento perché siamo sovraccarichi di
informazione; tutta questa tendenza alla semplificazione gioca tantissimo anche nei meccanismi di
pregiudizi di creazione degli
stereotipi che sono un po’
alla base del pregiudizio.

Ci sono tre parole chiave che


giocano fortemente quando
si parla di relazioni
integruppi: pregiudizio,
discriminazione e stereotipi.
 Il pregiudizio è un
atteggiamento. È un
giudizio a priori, ci si
fa un'idea prima di
avere effettivamente
un'esperienza con
qualcosa.
 La discriminazione ha
a che fare con un comportamento, è quando io sulla base di un'idea preconcetta quindi di
un pregiudizio, di un qualcosa che io non conosco, un'idea rigida metto in atto un
comportamento che discende da quella idea rigida.
Sto discriminando con la persona cioè sto trattando in maniera differente solo perchè ha
un’idea differente dalla mia. C’è differenza con il pregiudizio perché il pregiudizio è un'idea
preconcetta mentre la discriminazione è il comportamento, l'azione che discende da
quell'idea. Quindi un trattamento differente a seconda dell'idea preconcetta che io ho.
La discriminazione è invece un comportamento.
 Gli stereotipi sono credenze condivise circa le caratteristiche che si suppone accomunino i
membri di un gruppo. Qui si tende a ritenere che le persone solo perchè sono parte di un
gruppo condividono delle caratteristiche tipiche di quel gruppo. Si suppone che le persone
che fanno parte di quel gruppo solo perché fanno parte di quel gruppo debbano
condividere una stessa caratteristica.
268
È una cosa ancora diversa dal pregiudizio e dalla recriminazione perché questo è proprio
uno schema mentale che abbiamo in testa e che si è creato nel corso della nostra
esperienza quindi la nostra memoria e mette in associazione alcune caratteristiche tipiche
con l'appartenenza a dei gruppi. Si dice che gli stereotipi possono essere un po’ alla base
del pregiudizio.
Ovviamente esistono anche stereotipi positivi. Ma spesso questo meccanismo per cui noi abbiamo
un prototipo, un'idea schematizzate di un gruppo che non conosciamo, sta alla base del
pregiudizio. Quando assume quindi una concezione negativa e ci porta a ritenere quel gruppo in
un certo gruppo solo perché è parte di quel gruppo allora diventa pregiudizio.
Il pregiudizio è stato definito in mille modi dalla psicologia sociale anche perchè fu il primo
concetto dei tre.
Il pregiudizio è un atteggiamento sfavorevole e talvolta ostile verso un gruppo sociale ai suoi
membri; quindi è un atteggiamento aprioristico.
Il pregiudizio può essere anche positivo, alcuni autori l'hanno definito anche positivo ma
tendenzialmente quando si parla di pregiudizio è negativo, è una percezione di ostilità o
comunque atteggiamento negativo verso un altro gruppo.
La discriminazione si sposta sul piano del comportamento, non è più un atteggiamento ma è
un'azione.
La discriminazione è un comportamento ostile nei confronti di un gruppo che spesso deriva da
atteggiamenti che sottendono il pregiudizio.
La discriminazione si mette in atto nel momento in cui le persone trattano i membri di un altro
gruppo in modo differente, solitamente sfavorevole solo perché quelle persone sono parte di quel
gruppo. Quindi è un trattamento ingiusto e sfavorevole nei confronti dei membri di un gruppo.
Possiamo definire gli stereotipi come un'immagine valutativa di un gruppo sociale e dei suoi
membri ampiamente condivisa e semplificata.
Lo stereotipo è l’esito di un processo di semplificazione del pensiero, è una schematizzazione, una
semplificazione che deriva dalla nostra tendenza a risparmiare energie cognitive.
La spiegazione più consolidata è più condivisa che la psicologia sociale dà attualmente del
pregiudizio degli stereotipi, è una spiegazione di tipo cognitivo che deriva tantissimo dai
meccanismi di semplificazione, fa leva tanto sulla tendenza umana semplificare e categorizzare e
non è una spiegazione di tipo più individualistico, moralizzante, ecc. o di personalità.

26/04/2022
La definizione che la psicologia sociale
attuale condivide circa il pregiudizio è una
definizione che lo associa a dei
significativi processi di semplificazione
delle informazioni sociali.
La focalizzazione che le teorie più recenti
del pregiudizio hanno è proprio sul nostro
modo di ragionare, sui processi cognitivi.
I meccanismi psicologici e psicosociali
sottostanti alla formazione del pregiudizio
vedono questi processi portare a valutare
le persone in base alla lora appartenenza,
categorizzazione.

269
Le persone vengono classificate in gruppi, categorie distinte sulla base di criteri, caratteristiche di
vari tipi.
Alcuni criteri, caratteristiche sono storicamente associati ad alcuni pregiudizi es. razza, cultura,
apparenza sociale, genere sociale.
Alcune caratteristiche proprio di aspetto delle persone subito visibili e in base a questi alcuni
gruppi sociali sono stati oggetti di pregiudizio, discriminazione e le forme più famose sono il
razzismo, sessismo.

Le forme di pregiudizio possono e


hanno storicamente assunto sia
forme dirette e esplicite ma
anche forme più sottili, forme di
pregiudizio diretto o manifesto
esplicito e forme di pregiudizio
indiretto o nascosto o sottile.
Relativamente al sessismo un
fenomeno piuttosto noto è come
i media descrivono le notizie
rispetto ai casi di cronaca, ci sono
ricerche che hanno analizzato
come il linguaggio copre le
notizie, i linguaggi sottolineano
cose che magari i giornalisti non
esprimono.
C’è un po’ la tendenza dei giornali infatti a giustificare l’uomo. Le testate tendono anche a
raccontare una storia che finisce quasi per colpevolizzare la vittima.
È una forma sottile di pregiudizio, storia che si crea che va poi a creare delle basi di un pregiudizio
sottile nei confronti dei ruoli di uomo e donna.

Dal punto di vista della ricerca


è noto che il trattamento di
discriminazione favorevole nei
confronti del gruppo può
manifestarsi in modo sottile e
diretto.
Ci sono diverse modalità di
discriminazione sottile
indiretta:
 Riluttanza ad aiutare,
tutti i meccanismi per
cui il gruppo
dominante rifiuta di
integrare, aiutare il
gruppo minoritario.
Non lo discrimina
esplicitamente ma non
aiutandolo favorisce la
discriminazione nei loro confronti.
270
 Tokenism pratica ricorrente per cui si danno piccole concezioni ai gruppi minoritari ad
esempio quando si assumono poche persone nere nell’azienda. Dalla mia immagine
pubblica faccio vedere che non discrimino perchè assumo ma in realtà sto ancora
mantenendo una discriminazione perchè rimarrà sempre dominante il gruppo
maggioritario (tecnica sottile di discriminazione)
 Discriminazione inversa (forma estrema di tokenism) meccanismo per cui all’interno del
gruppo di maggioranza i membri del gruppo di minoranza vengono favoriti più che quelli di
maggioranza es. la maestra favorisce i bambini neri in classe per far vedere che non
discrimina. Questo è stato dimostrato ha causato problemi di autostima nella minoranza
perchè si sentono premiati solo perchè minoranza. Può avere effetto positivo sul breve
termine ma non sul lungo termine.
La discriminazione può manifestarsi anche in modo molto violento, diretto estremo:
 Violenza
 Genocidio è la forma più estrema, tentativo di eliminare il gruppo

Si è cercato di capire le
radici, i meccanismi psico
sociali che possano spiegare
i pregiudizi.
Sulla sinistra le teorie e sulla
destra il tipo di spiegazione,
macro-spiegazioni, a cui
queste teorie possono
essere associate.
Le prime teorie che hanno
provato a spiegare le forme
di pregiudizio sono teorie
che si sono focalizzate
sull’individuo e sulle
caratteristiche psicologiche
o psicodinamiche quindi c'è
una grossa influenza della
psicanalisi e di quello che
Freud aveva scoperto e proposto all'epoca, ipotizzando che le forme di pregiudizio fossero la
derivazione di alcune patologie o conflitti intrapsichici individuali responsabili delle forme di
comportamento discriminatorie nei confronti degli altri gruppi. Quindi il tipo di spiegazione è
l'individuo, sulla sua psicologia, sul tipo di socializzazione da cui l'individuo è caratterizzato e
queste teorie sentono molto l’influenza della psicanalisi quindi dei conflitti intrapsichici, di come le
persone risolvono i propri conflitti individuali e si ipotizza che il modo in cui risolvano e cercano di
gestire i conflitti intrapsichici possa avere poi un effetto sul pregiudizio e su come le persone
vedono gli altri, si comportano gli altri e quindi si spiega l'aggressività nei confronti di minoranze o
gruppi deboli.
Le altre tre teorie focalizzano invece l’attenzione sull’ideologia. Si spiega pregiudizio e
discriminazione in base alla condivisione degli individui a principi ideologici. Non è più una
spiegazione individuale ma una basata sull’ideologia di riferimento, quanto le persone accettano o
meno delle ideologie.
Terzo focus è la spiegazione focalizzata sulle relazioni intergruppo. Sono teorie tipiche della
psicologia sociale dagli anni 60 in poi e che cambiano completamente prospettiva rispetto alle
271
altre. Si focalizza su come l’appartenenza a gruppo condiziona i comportamenti e si focalizza sui
processi normali di ragionamento delle persone, sui processi cognitivi. Si ipotizza in particolare che
il pregiudizio e la discriminazione sono le fette di alcuni processi cognitivi che in realtà
caratterizzano tutti noi, non sono patologici ma sono dei processi di semplificazione che combinati
con il contesto sociale in cui ci troviamo rendono più probabile il fatto che le persone aderiscano a
comportamenti, pregiudizi discriminatori.

✓ Ipotesi frustrazione-aggressività
Teoria frustrazione-aggressività.
Dollars autore di riferimento, sviluppata
negli anni 30-40.
Teoria che chiaramente si basa su assunti
psicodinamici, su come la nostra psicologia
interiore funziona.
Si ipotizza che la mente umana abbia a
disposizione una quantità di energia psichica
fissa, tutti noi abbiamo una quantità di
energia che regola la nostra vita interiore e
abbiamo la tendenza a mantenere un equilibrio interiore e per farlo abbiamo a volte bisogno di
fenomeni catarchici cioè di far uscire questa energia per mantenere l’equilibrio interiore.
Secondo questa teoria si ipotizza che per esempio quando noi veniamo frustrati nei nostri
obbiettivi, abbiamo un grosso desiderio quindi la nostra energia psichica si incanala per ottenere
questo risultato e poi questo risultato ci viene negato la persona subisce una frustrazione perchè
la sua energia psichica non viene fatta uscire, assecondata. Succede quindi che si accumula
l’aggressività e deve far uscire questa energia. L’aggressività spesso nei confronti di un altro
obiettivo diventa un modo catarchico di ristabilire l'energia psichica.
Quindi l'ipotesi è che nel momento in cui noi veniamo frustrati rispetto a un nostro obiettivo
accumuliamo energia psichica, accogliamo aggressività e abbiamo bisogno di sfogare in qualche
modo questa aggressività.
Secondo questa teoria l’aggressività non può essere diretta contro l'oggetto, colui che ci ha creato
la frustrazione, l’aggressività può essere direzionata verso altri obbiettivi.
Secondo questa teoria nel momento in cui c'è l'interferenza di un comportamento diretto ad uno
scopo, le persone accumulano energia psichica quindi aumenta l'aggressività interiore,
l'aggressività è diretta verso altri obiettivi più deboli, più accettabili da aggredire.
Spesso succede che la fonte della frustrazione non può essere direttamente aggredita perché ad
esempio è una fonte autorevole oppure è una fonte non chiaramente identificabile. Questo
meccanismo fa si che le persone direzionino l'aggressività verso bersagli più deboli che diventano
capri espiatori, soggetti più accettabili.
Questa teoria dice che questa cosa che avviene a livello individuale può avvenire anche a livello di
gruppo.

272
Dollar e Miller
usano questa teoria
per spiegare quello
che è successo in
Germania nella
Seconda guerra
mondiale.
Teoria questa molto
criticata
innanzitutto una
critica è come si
individua il bersaglio
di “sfogo”
dell’energia. Inoltre
c’era la critica sul
fatto che molte
persone nello stesso
momento
sperimentassero
questa frustrazione.

✓ La personalità autoritaria
Personalità autoritaria e autoritarismo.
Teoria elaborata da Adorno e
collaboratori negli anni 50.
Questa teoria ipotizza che il pregiudizio
sia l’esito di un tipo di personalità,
esisterebbe secondo questa visione un
tipo di struttura di personalità detta
personalità autoritaria che renderebbe
l’individuo più propenso a condividere
atteggiamenti di pregiudizio e a mettere
in atto comportamenti di
discriminazione.
Secondo la teoria dell’autoritarismo
esisterebbe una specifica struttura di
personalità detta personalità autoritaria
che viene definita come un insieme di valori, opinioni e atteggiamenti che hanno origine la
struttura e profonde della personalità e da un'educazione autoritaria e punitiva. Questo tipo di
spiegazione è fortemente radicata delle spiegazioni psicanalitiche.
Si fa ricondurre il tipo di educazione che le persone hanno subito nel corso della loro infanzia, in
particolare un tipo di educazione molto autoritaria, punitiva basata su un meccanismo di
ricompense e punizioni, un genere di personalità che da adulto porterebbe le persone a
condividere ed accettare atteggiamenti di pregiudizio e discriminazione.
Quindi le pratiche autoritarie e punitive eseguite dai genitori nei confronti dei figli sarebbero
responsabili dell'emergere in età adulta di varie combinazioni di credenze cioè la condivisione di
vari atteggiamenti, valori, ecc.
273
C’è un'origine che ha a che fare con il tipo di infanzia che le persone hanno vissuto e il tipo di
educazione in particolare.
Questo insieme di caratteristiche di personalità, questa struttura della personalità sarebbe
caratterizzata secondo Adorno da alcune dimensioni principali, la prima è l’antisemitismo. Loro
dicono che una prima espressione della personalità autoritaria è specificatamente l'antisemitismo
cioè l'avversione nei confronti della cultura ebraica, del popolo ebraico. Si parte dal presupposto
che chi nutre un forte pregiudizio, che è in quel periodo storico era molto sostenuto da vari
individui e ideologie e quindi dal punto di vista normativo è un tipo di pregiudizio molto
strutturato, avrà lo stesso atteggiamento pregiudiziale e discriminatorio anche verso altri gruppi.
Questi studiosi sviluppano una serie di scale costituite dai diversi item che nei loro obiettivi, nelle
loro ipotesi andrebbero a misurare la personalità autoritaria.
Elaborano tutta una serie di batterie e di item per andare a individuare proprio dal punto di vista
anche metodologico delle modalità di misurazione della personalità autoritaria.

Secondo tipo di personalità autoritaria è


l’etnocentrismo che è la preferenza
valutativa verso il gruppo sociale di
appartenenza e tendenza a svalutare e
respingere i gruppi esterni al proprio,
soprattutto se si tratta di minoranze.
Nella slide ci sono esempi di item. Forte
avversione verso quei gruppi che non
condividono la valutazione positiva del
gruppo nazione di appartenenza.

Terza dimensione, che comunque sono


tutte scale che hanno creato per misurare
la teoria autoritario, la scala di
conservatorismo politico-economico che
consiste in una resistenza al mutamento
sociale e al sostegno dello status quo e dei
valori conservatori. Tendenza delle
persone a voler mantenere cultura,
tradizioni come sono, non volerli cambiare
e quindi condividere valori
tendenzialmente conservatori.

Quarta scala di fascismo potenziale detta


da loro delle tendenze antidemocratiche e
fascismo tendenziale. Sono scale pensate per il periodo storico. Scala anche qui del mantenimento
dello status quo, del potere che non coincide con la democrazia.
Spiegazione che ha origine nella psiche individuale e addirittura nell'educazione infantile che le
persone riceverebbero e che poi originerebbe in età adulta la condivisione di questo tipo di valori.

274
Ci furono diverse critiche alla teoria soprattutto metodologiche perchè buona parte degli item
sviluppati per misurare la tendenza autoritaria erano unidirezionali cioè che andavano tutti nella
stessa direzione per cui le persone erano indotte con il meccanismo di acquiescenza, si tendeva ad
essere sempre accordo. Poi emerse che tutti i ricercatori che somministravano i test o facevano le
interviste alle persone che erano state utilizzate per avvalorare queste ipotesi, erano tutti a
conoscenza dell'ipotesi della teoria e questo è un problema perché c'era magari anche solo
inconsciamente una tendenza a vedere confermate le ipotesi della teoria.
Poi è stato criticato anche il fatto che si sottostimi troppo l'importanza dei fattori situazionali,
contestuali e del fatto che questo tipo di atteggiamento discriminatorio contro gli ebrei fosse
anche da spiegare dal punto di vista storico e culturale.
Terza critica fatta è che questa teoria non spiegherebbe il veloce nascere di alcuni atteggiamenti
discriminatori, a volte l'emersione di pregiudizi è talmente veloce che non si può spiegare proprio
in termini di tempo questo tipo di pregiudizio con questa teoria che vede un inter comunque
piuttosto lungo.
Inoltre è una teoria tanto focalizzata sui tratti di personalità e sull'origine del pregiudizio nella
psiche individuale, nella vita interiore e addirittura nell'infanzia e nell'educazione delle persone.

✓ Autoritarismo di destra
Teoria autoritarismo di
destra o scala RWA.
Negli anni 80 ispirandosi
molto alla teoria della
personalità autoritaria si
cambia prospettiva e si cerca
di misurare la condivisione
rispetto ad alcuni
atteggiamenti di pregiudizi e
di discriminazione non
venendo più spiegati come
l'esito di un certo tipo di
personalità ma per
autoritarismo di destra si
intende una serie di
atteggiamenti sociali,
condivisione di alcuni atteggiamenti sociali che le persone apprenderebbero nel corso della
socializzazione, nell'interazione con la famiglia, con la scuola, con i pari, attraverso i media e che in
generale adotterebbe e avvalorerebbero nel corso della loro vita.
Non sono più tratti di personalità ma atteggiamenti che si combinano secondo una certa
costellazione e vi sarebbero secondo questa visione tre gruppi di atteggiamenti principali che
comporrebbero l'autoritarismo.
Si creerebbero anche qui una serie di scale che sono affermazioni che riguardano vari aspetti della
vita quotidiana e la condivisione di alcune di queste credenze sarebbero tipiche dell'autoritarismo
inteso come una costellazione di atteggiamenti e non più un tipo di personalità.
I tre gruppi di atteggiamento a cui fanno riferimento gli autori sono:
 convenzionalismo → si intende l'adesione incondizionata a dei valori più condivisi
all'interno di una determinata comunità cioè si tende per convenzione a condividere quei
valori che sono già comunemente accettati all’interno di una società.

275
 sottomissione autoritaria → porterebbe le persone ad essere molto sensibili alle autorità e
quindi a essere molto propensi a sottomettersi e ad accettare totalmente acriticamente
tutto quello che le autorità dicono senza mai essere messa in discussione; forte
propensione ad accettare tutto ciò che viene definita persona autoritaria.
 aggressività autoritaria → la prontezza a punire anche psicologicamente le persone o i
gruppi considerati come devianti, considerati come diversi, come una rottura rispetto ai
valori e alle regole convenzionali.
Chi ha questo atteggiamento ha la tenenza a svalutare quindi anche punire, discriminare
quei gruppi che deviano dai valori, dalle norme costituite.

✓ Orientamento alla dominanza sociale


Teoria dell’orientamento
alla dominanza sociale.
Teoria elaborata da Patrizia
Pratto nel 1994.
Il tema è la relazione tra
gruppi e soprattutto c'è una
dimensione che rincorre
molto che è quella
dell'uguaglianza sociale cioè
è un tipo di spiegazione del
pregiudizio.
Chi ha ideato questa teoria
dice che il pregiudizio si può
spiegare in base al grado di
accettazione che le persone
hanno di un'ideologia che
legittima una tendenza sistematica a favorire il proprio gruppo di appartenenza e a rifiutare tutti
quelli di origine che si basano sul principio di uguaglianza.
Chi ha più pregiudizio, più orientamento alla dominanza sociale accetta la disuguaglianza e accetta
tutte quelle ideologie che giustificano la diseguaglianza, che giustificano, rendono normale la
diseguaglianza tra gruppi.
Spiegazione più ideologica e non più basata sulla personalità. Tanto più le persone accettano le
ideologie che accettano la discriminazione tra gruppi tanto più saranno persone che vedono giusta
la discriminazione tra gruppi.

✓ La teoria della deprivazione relativa


Questa teoria della deprivazione relativa è la prima teoria che comincia a spiegare il pregiudizio
dal punto di vista delle relazioni
intergruppo, ci si focalizza in modo diretto
sulle relazioni che si instaurano tra gruppi
diversi e su come il fatto di essere parte di un
gruppo piuttosto che di un altro condizioni la
percezione delle persone e questo sia alla
radice della formazione di atteggiamenti di
aggressività e pregiudizio.

276
Per spiegare la teoria della deprivazione relativa, spesso si fa riferimento all'origine di alcuni casi
storici molto noti di conflitto tre gruppi es. conflitto etnico, i disordini razziali.
Nel 1991 esplode il caso di Rodney King nero americano che viene inseguito dalla polizia, lui non si
ferma e quando viene fermato dalla polizia viene pestato violentemente da agenti bianchi e il
video filmato scalda un po’ la situazione. L’anno dopo al processo gli agenti vengono tutti assolti
da una giuria tutta bianca, la notizia si diffonde e. poche ore dopo la notizia della sentenza nella
parte meridionale di Los Angeles si scatena il putiferio; prima saccheggi e poi in particolare un
incrocio di un quartiere di Los Angeles si scatena una violenza inaudita. Per tre giorni questo
quartiere viene completamente abbandonato dalla polizia che non riesce ad intervenire e in balia
della violenza interetnica.
La cosa interessanti è che questo incrocio è in un quartiere di Los Angeles non tra più svantaggiati
ma è un quartiere che negli anni aveva visto una progressione economica, un miglioramento delle
condizioni sociali economiche e quindi un'aspettativa di miglioramento da parte della minoranza
nera che via via si era moltiplicata.
La teoria della deprivazione relativa ipotizza che il conflitto tra gruppi e quindi anche il pregiudizio,
si origini da una sorta di mancata corrispondenza tra le aspettative di un gruppo e i risultati che
quel gruppo ottiene.
Si chiama relativa perché è l'esito di un confronto sociale che le persone fanno tra la situazione del
proprio gruppo e la situazione di altri gruppi.
Gli autori della teoria dicono che il pregiudizio sarebbe originato dal fatto che il proprio gruppo
non goda di un bene, di una situazione a cui ha diritto. I neri americani del quartiere avevano visto
nel corso degli ultimi anni una progressione, un miglioramento delle loro condizioni di vita sociali
ed economiche. Avevano sviluppato una aspettativa di miglioramento che è stata disattesa, c'è
stata poi la miccia che ha fatto esplodere il conflitto e cioè la mancata condanna dei poliziotti,
miccia che fa esplodere e rende che esplicita e chiara la discriminazione quindi il mancato
miglioramento.
Il gruppo crede di aver diritto a questo miglioramento e attribuisce la mancanza del
raggiungimento di questi risultati ad un altro gruppo. Quindi quelle persone non stavano così male
ma comparandosi alla situazione di altri gruppi etnici consideravano la loro situazione come
frustrante e per questo si scatenerebbe il pregiudizio.
È questo esito del confronto sociale secondo la teoria che porterebbe le persone a sviluppare
atteggiamenti di pregiudizio.

277
✓ La teoria del conflitto realistico

Un’altra teoria famosa che si focalizza ancora di più sulle relazioni intergruppo è quella del
conflitto realistico di Sherif.
Sherif ha avviato i famosi studi chiamati studi di Robbers Cave o studi sul campo estivo dove lui ha
studiato le relazioni tra i gruppi, mette in relazione alcuni ragazzini che venivano invitati a
partecipare ai campi estivi.
Variando la situazione di interazione tra questi ragazzi ha provato a dare delle spiegazioni della
formazione del pregiudizio e degli stereotipi.
Questi studi prevedevano alcune fasi.
In una prima fase Sherif lavorava sulla formazione dei gruppi quindi convocava i ragazzi e creava
ciascun gruppo. I ragazzi sapevano dell'esistenza di altri gruppi ma all'inizio veniva creato una
condizione per creare un'identità di gruppo quindi era una fase di formazione e di cooperazione
tra i gruppi es. si devono svolgere dei compiti dove il gruppo doveva lavorare in un obiettivo
comune, per consolidare proprio l'idea di gruppo.
Ad un certo punto dell’esperimento Sherif istituiva una fase di competizione tra i gruppi cioè
rendeva noto ai vari gruppi che esistevano altri gruppi nel campo estivo e avviava delle situazioni
competitive, creazione di alcune situazioni di oggettivo conflitto fra i gruppi, delle relazioni che lui
definiva di interdipendenza negativa, tutte quelle situazioni in cui un gruppo deve competere con
un altro e quello che ottiene un gruppo va a scapito dell'altro. In questa fase osservava il
comportamento dei ragazzi che partecipavano a questa fase competitiva e osservava espressioni
di grande pregiudizio, aggressività, denigrazione, presa in giro dei membri dei gruppi diversi dal
proprio.
In una terza fase provava a ridurre il conflitto che aveva creato ed era una fase appunto di
riduzione del conflitto creava quindi delle situazioni da lui definite di interdipendenza cooperativa
positiva es. un camion che trasportava il materiale necessario per vedere un film che i ragazzi
volevano vedere si guastava e doveva essere spinto e poteva essere spinto solo se tutti i gruppi
278
cooperavano insieme per spingere il camion, quindi si creavano delle situazioni di interdipendenza
cooperativa, situazioni in cui solo cooperando e collaborando per un obiettivo comune i gruppi
potevano ottenere insieme un risultato. In questi casi si osserva una significativa riduzione del
conflitto tra gruppi.
Da questi studi di Robert Cave Sherif dice che i gruppi vanno in conflitto, si discriminano a vicenda
nelle situazioni di interdipendenza competitiva, risorse scarse che possono essere ottenute solo da
un gruppo e in queste situazioni di interdipendenza competitiva i pregiudizi aumentano.
Secondo Sherif queste ostilità possono potenzialmente diminuire nel momento in cui si instaura
una situazione di interdipendenza cooperativa, cioè nel momento in cui si riescono a creare le
condizioni per cui i gruppi cooperando riescono a negoziare a trovare un vantaggio da entrambe le
parti.
Quindi secondo questa
visione il conflitto tra gruppi
è l’esito di una competizione
tra gruppi attorno a risorse
scarse attorno a cui i gruppi
ambiscono.

Anche questa teoria ha delle


difficoltà.
Nello stesso esperimento di
Sherif emergere esempio
che non necessariamente il
conflitto e l'aggressività nei confronti degli altri emergeva quando c'era un conflitto di interessi ma
i ragazzi nel momento in cui venivano a sapere che c'era un altro gruppo che non conoscevano
esprimevano delle valutazioni, degli atteggiamenti di pregiudizio nei confronti del gruppo senza
conoscerli.
Lo stesso Sherif si rende conto che in alcune condizioni non è così necessario che ci sia un conflitto
chiaro e esplicito affinché ci sia ostilità tra i gruppi.
Comincia ad essere chiaro che il solo fatto di essere in un gruppo, cioè la sola condizione della
realtà del gruppo e l'essere consapevoli dell'esistenza di un altro gruppo diverso dal nostro può
essere sufficiente per far emergere un sentimento di competitività e quindi un sentimento
negativo degli altri, non è necessario un conflitto per acuire le ostilità ma a volte la sola percezione
che noi siamo parte di un gruppo e c'è un altro gruppo, a prescindere dal fatto che ci conosciamo
che ci siano delle ostilità pregresse o meno, può essere una condizione psicologica sufficiente per
attivare dei sentimenti di competitività nei confronti di questo gruppo.

279
27/04/2022
✓ La teoria dell’identità
sociale
Iniziano tutti gli studi che
hanno dato vita alla teoria
dell’identità sociale.
Il principale autore di questa
teoria è Henry Tajfel che
lavora tantissimo sul
pregiudizio.
Lui dice che il pregiudizio può
essere studiato non
focalizzandosi sugli spetti
individuali ma dobbiamo
concentrarci sui cosiddetti
normali processi di pensiero
umani.
Il suo focus è su alcune tendenze sistematiche del comportamento umano.

Esperimento di Tajfel e Wilkes del 1963 sulla percezione visiva perchè si presuppone che i processi
di ragionamento che usiamo a seguito di stimoli visivi siano gli stesi di quando ragioniamo su
gruppi sociali.
Vengono presentate 8 linee che aumentano del 5% di lunghezza. Però vengono presentate in tre
modi diversi:
• classificazione: le 4 linee più corte vengono etichettate con la lettera A, le 4 più lunghe con la
lettera B.
• non classificazione: le linee sono presentate senza essere accompagnate da alcuna lettera.
• casualità: non c’è relazione tra lunghezza delle linee e lettera con cui sono etichettate.
La variabile dipendente, ai soggetti viene chiesto di stimare la lunghezza di ogni linea. I ricercatori
confrontarono i valori di differenza, obbiettivi quindi quanto effettivamente erano diverse e valori
stimati ossia quanto i soggetti ritenevano fossero distante la lunghezza tra le linee.

280
La differenza quando cambia la
lettera è stimata dai soggetti di
studio come molto alta.
Quindi il fatto di aver assegnato
delle lettere fa si che nella mente
delle persone scatti una
categorizzazione cioè vedere
comunque due gruppi di linee, è
proprio una tendenza di pensiero.
Quindi le persone sovrastimano le
differenze tra elementi di gruppi
diversi.
Sovrastima sistematica che
emergeva in tutte le sessioni
avveniva solo nella classificazione.

Questo permette la
categorizzazione sociale.
Dall’esperimento si capisce
che c’è la tendenza del
nostro pensiero a
categorizzare gli stimoli.
 differenziazione
categoriale ossia la
tendenza ad
accentuare le
differenze tra
elementi collocati in
categorie diverse,
vedere molto di più
le differenze tra
stimoli che
appartengono a gruppi diversi. Esagerazione delle differenze tra elementi appartenenti a
categorie diverse.
 assimilazione intracategoriale accentuare somiglianze a elementi che appartengono alla
stessa categoria quindi sottostimare le differenze della stessa categoria, raggruppamento.
Per Tajfel si usa la categorizzazione sociale perchè è un processo di semplificazione della realtà che
ci aiuta si, ma ci fa anche incorrere in errori.
Secondo Tajfel e collaboratori questi processi di categorizzazione non solo li ritroviamo nella
percezione visiva che è il meccanismo base ma quel meccanismo base lo possiamo applicare anche
agli stimoli sociali quindi alle persone, a come tutti noi valutiamo e ci formiamo delle opinioni e dei
giudizi sulle persone, accesso ai membri dei gruppi sociali. Quindi questi giudizi percettivi Tajfel
dice che li possiamo applicare anche al pregiudizio sociale e questo fenomeno è alla base della
formazione dei pregiudizi e degli stereotipi sociali.

281
La ricerca poi va avanti e c’è
un altro famoso esperimento
conosciuto come paradigma
dei gruppi minimi.
Questa tendenza a
categorizzare si associa alla
valutazione del gruppo che ci
appartiene.
Nell’esperimento i soggetti
venivano convocati in
laboratorio, gli si faceva
vedere dei quadri astratti e
tra due quadri gli si faceva
scegliere quale tra i due
quadri di autori diversi
piaceva di più. Poi gli si diceva ad alcuni hai scelto il quadro di Klee e ad altri si diceva hai scelto il
quadro di Kandinski, in realtà questa assegnazione circa le loro preferenze era del tutto inventata,
era casuale.
Poi si diceva sulla base della tua preferenza rispetto al quadro ti assegniamo nel gruppo di persone
che preferisce un quadro o l’altro, quindi divisione basata su una preferenza e del tutto casuale.
Poi si faceva fare un compito e si usavano le matrici: si faceva decidere di distribuire delle somme
di denaro a membri del proprio gruppo e a membri del gruppo esterno, si faceva scegliere tra tre
opzioni (il fatto di sceglierne una quindi un valore per il proprio gruppo implicava che all'altro
gruppo ne andava un altro, quindi erano state tirate per capire quale strategia alle persone
avrebbero preferito):
 Se io sono un membro del gruppo Klee e opto per la prima opzione, do 19 al mio gruppo il
25 all'altro. All’altro sto dando di più però io sto guadagnando rispetto a tutte le altre
opzioni il massimo → strategia di massimo profitto per l’ingroup.
 Se io do 13 al mio gruppo e do 13 all'altro → strategia dell'imparzialità.
 Se invece opto per le opzioni verso la destra delle matrici quindi verso la C io come gruppo
prendo il minimo che posso prendere però faccio guadagnare molto meno agli altri →
massimo favoritismo per l’ingroup.
Le persone non si vedevano, semplicemente sapevano a quale gruppo appartenevano e gli si
faceva scegliere tra la matrice quali opzioni di denaro dare al proprio gruppo e a quello esterno.
Succedeva che le persone molto più frequentemente tendevano a optare per l'opzione C cioè per
l'opzione che pur facendo guadagnare di meno in valore assoluto faceva sì che il proprio gruppo si
distinguesse positivamente dal gruppo esterno, ci fosse la massima differenza a favore del proprio
gruppo.
In questa creazione minimale del gruppo (non c'era nessuna precedente interazione, conoscenza
quindi senso del tutto arbitrario del gruppo) solo l'introduzione dell'idea che c'erano due gruppi
faceva sì che le persone sistematicamente favorissero, optassero per delle strategie di scelta che
andavano a favorire il proprio gruppo rispetto a quello esterno, anche a costo di guadagnare di
meno.
Tajfel e collaboratori dissero che la pura e semplice introduzione della nozione di gruppo sembra
essere sufficiente perché vi sia un orientamento a favore dell’ingroup e a sfavore dell’outgroup. È
una tendenza sistematica quando viene detto all'uomo che ci sono due gruppi, c'è questa forte
pressione a tendere a favorire il proprio gruppo, i membri del proprio gruppo rispetto ai gruppi
282
esterni. È proprio un bias, bias
dell’ingroup.

Sulla base di questa tendenza


a categorizzare c’è la diffusa
simmetria valutativa a favore
dell’ingroup e non
dell’outgroup.
Le persone tendono a vedere
più positivamente il proprio
gruppo rispetto agli altri
gruppi.
Tono positivo per l’ingroup e
tono negativo o meno positivo
per valutare l’outgroup.

Identità sociale
Tajfel definisce l’identità sociale come
quella parte dell’immagine di sé
dell’individuo che deriva dalla sua
consapevolezza di appartenere ad un
gruppo sociale (o a più gruppi), unita al
valore e al significato emotivo attribuito a
tale appartenenza.
Ognuno di noi ha delle categorizzazioni
più o meno importanti che nei contesti
sociali contribuiscono a darci un’identità.
Per prima cosa l’identità sociale è essere consapevoli, definirsi quel gruppo, essere consapevoli
che quel gruppo mi definisce es. essere tifoso del Liverpool (è proprio cognitivo).
Il fatto di appartenere ad un gruppo è un valore.
Una terza dimensione è il significato emotivo, l’emozione che ci provoca, la componente affettiva
di far parte di quel gruppo. Appartenenze fortemente costruite anche sulle emozioni che proviamo
rispetto al fatto di definirci in quel modo.
Queste tre componenti definiscono il senso di appartenenza sociale delle persone.

Questa teoria ipotizza anche che nelle


relazioni tra le persone si possa parlare
di continuum interpersonale,
intergruppo. Tutti noi quando
interagiamo quotidianamente possiamo
collocarci in qualche punto di questo
continuum che va da un polo che si
identifica con l’identità personale a un
altro polo che si identifica con l'identità sociale.

283
Nelle nostre interazioni quotidiane a volte quando interagiamo con gli altri in alcune condizioni, in
alcuni contesti la nostra interazione è soprattutto caratterizzata dalle nostre caratteristiche
individuali, personali e quindi le nostre appartenenze magari sono meno condizionanti. In altre
condizioni invece quando le persone interagiscono anche individualmente sono le identità e le
appartenenze a condizionare fortemente la loro interazione.
Ogni situazione sociale, di interazione può variare a seconda di quanto le identità sociali e le
categorizzazioni condizionano il modo di comportarsi delle persone.
Quindi il concetto di identità sociale secondo Tajfel e secondo tutti i ricercatori della psicologia è
sociale molto fluido, non abbiamo delle categorie che ci caratterizzano in ogni situazione in modo
uguale e senza alcuna variazione ma è strettamente dipendente da ciascuna situazione sociale.
Anche il senso del gruppo,
secondo questi studiosi, è
un senso che si costruisce
molto sulla situazione.

L’identità sociale assolve


quali funzioni. Ci sono due
ipotesi.
In primo luogo l’identità
sociale porta ad una
riduzione dell’incertezza
soggettiva, porta quindi le
persone a sapere chi sono.
La seconda funzione viene definita di distintività positiva ossia cercare attraverso il confronto
sociale, tra gruppi elementi che definiscano positivamente il proprio gruppo rispetto agli altri.
Questo deriva dal bisogno di autostima.
Questa teoria da una grande importanza anche in positivo alla caratterizzazione dell'identità degli
individui che deriva dalle appartenenze.
Si pone un quesito riguardo al caso in cui queste appartenenze possono essere problematiche,
succede che spesso le persone possono venire a far parte di gruppi che nella struttura sociale in
cui convivono, che condividono sono gruppi svantaggiati. Nei diversi contesti può succedere che
l’appartenenza di gruppo sia problematica cioè possa riflettersi negativamente sulla percezione di
sé che hanno le persone perché
sulla percezione di si è quindi
sulle apparenze di se stessi.

La teoria dell’identità sociale deve


essere gestita in qualche modo ed
esistono strategie che
permettono ai gruppi e alle
persone che appartengono a tali
gruppi di cercare di ottenere e
mantenere un’identità il più
possibile positiva.
Queste strategie tutte
psicologiche dipendono da altre
percezioni dette sistemi di
credenze.
284
La prima discriminante è la percezione di permeabilità dei gruppi, quando io sono all'interno di un
gruppo questo gruppo può essere più o meno permeabile cioè può essere più o meno facile uscire
dal gruppo.
Se i confini del gruppo sono permeabili ossia se è facile, possibile uscire dal gruppo le persone
intraprenderanno delle strategie di tipo individuale cioè la mobilità individuale, cercheranno di
passare ad un gruppo ad alto status. È una strategia individuale.
Diversamente se invece i confini del gruppo sono impermeabili quindi non possono uscire da quel
gruppo le persone dovranno usare strategie collettive, non si muovono più individualmente, ma
dipendono da altre due caratteristiche la legittimità o illegittimità della situazione tra gruppi e la
stabilità o instabilità sempre delle relazioni tra gruppi.
Io posso considerare una situazione in cui una differenza di status di gruppo è considerata
legittima, giustificata, la stabilità invece ha a che fare con la durata nel tempo . In questi casi non
posso fare niente se è legittima e durerà nel tempo, sono parte di quel gruppo e non posso uscire,
la situazione è legittima dal sistema non vedo cambiamenti in futuro quindi non posso fare nulla a
livello di comportamento.
Secondo questo schema le persone utilizzeranno la strategia della creatività sociale che è una
ridefinizione psicologica della situazione, io ridefinisco il valore che è la caratteristica per cui sono
stato inserito in un gruppo che dovrebbe essere definito un gruppo di basso status ma lo
ridefinisco e gli do un valore positivo oppure cambio la dimensione di confronto, se vengo
considerato di status inferiore rispetto a un gruppo più alto tenderò a confrontarmi con un gruppo
più basso del mio.
Tutte queste strategie di ridefinizione del valore e delle comparazioni del proprio gruppo che può
avere una connotazione negativa, quando la situazione viene vista come immodificabile si
chiamano strategie di creatività sociale, è una ristrutturazione psicologica della situazione.
Se i confini vengono percepiti e impermeabili quindi non posso uscire dal gruppo ma percepisco
che quella divisione di status è ingiusta e percepisco anche che quella situazione è instabile, si può
modificare nel tempo, in questo caso i gruppi intraprendono strategie di competizioni sociali che
sono le azioni sociali (es.
proteste).

Stereotipi sociali
Anche gli stereotipi sono
semplificazioni.
Gli stereotipi sono credenze
socialmente condivise circa
le caratteristiche che si
ritiene siano proprie di
gruppi o categorie sociali.
Anche gli stereotipi sono
l'esito di una semplificazione,
anche gli stereotipi hanno
una radice cognitiva nella
categorizzazione perché
derivano da quel processo e
sono fondamentalmente delle pre concezioni, delle semplificazioni, delle credenze socialmente
condivise perché condivise da una società, dei membri di un gruppo, circa le caratteristiche che si
ritiene essere tipiche di alcune categorie sociali.

285
Termine coniato da Lippman nel 1922. Il nome viene da uno stampo tipografico che viene
utilizzato per fare le copie tutte uguali di un'edizione di un giornale ipotizzando che ci sia un
prototipo, uno stampo sempre uguale che viene utilizzato per imprimere uno schema
semplificatorio di ciascun gruppo; quello stampo tipografico sarebbe proprio la semplificazione
dell'idea che si ha di un gruppo e delle sue caratteristiche che ci fa percepire i membri di quel
gruppo siano molto simili tra di loro e quindi difficilmente distinguibili l'uno dall'altro.
Se chiediamo alle persone di descrivere alcuni gruppi in base delle caratteristiche succede che
soprattutto per alcuni gruppi ci sono delle caratteristiche che tutti noi condividiamo, conosciamo
ma non necessariamente approviamo e condividiamo ma che associamo a dei determinati gruppi.
Ci sono associazioni che possono essere molto diverse da persona a persona perchè uno può avere
percezioni diverse però sappiamo che lo stereotipo è quello.
La nostra memoria è fatta di nuclei associativi cioè noi abbiamo come dei nodi concettuali che
contengono le informazioni e questi nodi tra di loro hanno dei collegamenti che possono essere
più o meno forti e in alcuni casi abbiamo delle più forti associazioni tra nodi concettuali.
Questa è l'essenza dello stereotipo ed è fortemente legata anche da come le informazioni sono
depositate in memoria.
L’origine degli stereotipi e diversa: da un lato c’è l’esigenza di semplificazione, dall’altra c’è anche
l’esposizione all'informazione, a quello che noi sentiamo dire in famiglia, dei media, ecc.
Gli stereotipi sono conosciuti e
percepiti dai bambini ad un’età
molto tenera, i pregiudizi
nascono molto precocemente, si
radicano e condizionano le
percezioni reciproche.

La forza dello stereotipo si rileva


quando gli stereotipi vengono
smentiti.

Un meccanismo alla base della formazione


degli stereotipi è la categorizzazione
sociale quindi questa esigenza di
semplificazione, i processi che ne derivano
sono la differenziazione intercategoriale e
l'assimilazione intracategoriale,
ovviamente sono meccanismi come nel
caso del pregiudizio che sono alla base
della formazione degli stereotipi.
286
Dal punto di vista cognitivo c’è un altro meccanismo individuato come tipicamente alla base dello
stereotipo → la correlazione illusoria che ha luogo quando dobbiamo fare valutazioni
relativamente ad un gruppo di maggioranza e uno di minoranza. È stato evidenziato che se
dobbiamo attribuire ad una maggioranza o a una minoranza dei comportamenti sia positivi che
negativi in un certo numero, poi diceva alle persone di richiamare memoria il numero di
comportamenti sia positivi che negativi messi in atto sia dalla maggioranza che dalla minoranza.
Succedeva era una tendenza significativa ad associare quindi a correlare e a sovrastimare i
comportamenti negativi messi in atto dalla minoranza. Il fatto che ci sono minoranze, il fatto che ci
siano comportamenti negativi è probabilmente un meccanismo che richiama più l'attenzione
perché rompe una routine e attira l'attenzione essendo comportamenti inusuali, succede quindi
che nella nostra mente e vengono associati di più e quindi noi tendiamo a ritenere più numerosi i
comportamenti negativi che vengono messi in atto dalle minoranze (es. noi tendiamo a
sovrastimare che i co portamenti negativi messi in atto da un certo gruppo minoritario e quindi
questo non fa altro che rafforzare lo stereotipo negativo nei confronti di questo gruppo).
Anche questo meccanismo di correlazione illusoria quindi sovrastima dei comportamenti negativi
di una minoranza è un altro meccanismo cognitivo semplificatorio che sta sempre alla base
dell'affermazione dello stereotipo
perché spiega un po’ come nella
nostra mente si vanno a creare gli
stereotipi sociali.

Un aspetto molto interessante è


anche quello che riguarda gli
effetti che gli stereotipi hanno sul
comportamento delle persone
perché è stato dimostrato che gli
stereotipi non solo influenzano le
percezioni reciproche dei gruppi
ma influenzano anche il
comportamento vero e proprio
delle persone.
Infatti nelle aspettative gli
stereotipi a volte possono condizionare le interazioni sociali portando le persone a comportarsi in
modo da realizzare e confermare dal punto di vista dei comportamenti queste aspettative. Questo
meccanismo è quello della profezia che si auto avvera → a volte succede che noi abbiamo
un'aspettativa talmente forte nei confronti delle altre persone, ci aspettiamo che le persone ci si
comportino in un certo modo e questa aspettative è talmente forte e persuasiva al punto che la
persona si conferma a quella aspettativa e va effettivamente a comportarsi in modo coerente con
l'aspettativa.
Questo succede anche a livello di stereotipi con tutte le implicazioni negative che ne possono
derivare.
Per esempio il famoso effetto pigmaglione evidenziato in contesti scolastici educativi. I ricercatori
Rosenthal e Jacobson avevano fatto degli esperimenti in classi di ragazzini dove avevano effettuato
dei test di quoziente intellettivo dicendo che poi avrebbero fatto avere i risultati alle maestre. Però
alle maestre venivano dati dei risultati falsi, del tutto mischiati casualmente, il quoziente
intellettivo associato ad un alunno non era il suo reale ma quello di un altro compagno.
L’esperimento consisteva nel seguire l'andamento scolastico dei ragazzi nel corso dell'anno quindi
venivano fatti dei test reali senza che l'insegnante conoscesse lo scopo dell'esperimento.
287
Succedeva a livello di rendimento scolastico, che gli alunni segnalati alle maestre con un quoziente
intellettivo più alto effettivamente andavano meglio scolasticamente nel corso dell'anno. Si era
quindi creata un'aspettativa positiva da parte degli insegnanti che si aspettavano che questi alunni
effettivamente performassero meglio e questa forte aspettativa nei loro confronti non faceva altro
che migliorare le loro prestazioni, lo stesso al contrario quando una maestra si crea un'aspettativa
negativa nei confronti di un alunno e questa aspettativa è molto forte e pervasiva può succedere
che abbiamo un effetto confermatorio nel comportamento dell'alunno e quindi effettivamente
l'alunno vada peggio scolasticamente perché sente molto questo etichettamento.
A volte queste aspettative così forti hanno l'effetto di venir confermate.
Un altro meccanismo simile è la minaccia dello stereotipo, quando in alcune situazioni vengono
rese salienti le credenze negative circa un determinato gruppo e quando si chiede ai membri di
questo gruppo di fare una performance relativa a queste capacità, succede spesso che i membri di
quel gruppo tenderanno a confermarsi alle aspettative negative, stereotipi ad esempio
peggiorando la performance.
Questo meccanismo è stato evidenziato in tante ricerche sulle performance delle donne in
matematica, questi esperimenti fatti negli Stati Uniti ad esempio c'erano da fare dei test
matematici a uomini e donne, in alcuni condizioni si rendeva chiaro lo stereotipo quindi si rendeva
evidente il fatto che il test riguardava un'abilità cioè la matematica, rispetto alla quale solitamente
ci si attende che le donne performino peggio e succedeva che nel momento in cui questa salienza
dello stereotipo veniva resa evidente, le persone erano consapevoli di questa aspettativa negativa
e questo incideva negativamente sulle loro prestazioni.
A volta la solo percezione di far parte di un gruppo oggetto di stereotipo, di performare e di
compiti tradizionalmente considerati di svantaggio per quel gruppo, può essere che le persone
svolgano in malo modo quei compiti
solo perchè sentono la pressione.
Lo stereotipo può avere quindi
anche effetti sui comportamenti e
non solo sulle percezioni.

Ipotesi del contatto.


Si sono fatte delle ipotesi se si
possano ridurre gli stereotipi. Una
famosa teoria è l’ipotesi del
contatto di Allport del 1954 che
diceva che affinché le relazioni dei
gruppi migliorino non è sufficiente
far conoscere le persone di etnie
diverse.
1. Ma in primo luogo serve un sostegno sociale e istituzionale quando le persone di
gruppi diversi vengono messi in contatto.
2. Poi il contatto deve essere frequente e non superficiale e non una tantum perchè
altrimenti non si conoscono in modo approfondito culture diverse dalla propria.
3. Poi il contatto dovrebbe avvenire in condizione di uguaglianza di status.
4. Quarta cosa è la presenza di uno scopo sovra-ordinato, uno scopo comune,
obbiettivi comuni.
5. Infine la piacevolezza del contatto, il contatto tra gruppi diversi deve essere positivo
e non costantemente di scontro altrimenti si rafforzano gli stereotipi.
Queste sono le condizioni base da rispettare per ridurre le discriminazioni.
288
29/04/2022
LEZIONE DI APPROFONDIMENTO, NON È MATERIA DI ESAME
La discriminazione del mobbing è un tema molto contemporaneo.
Il termine è della fine anni 80 quindi è nato molto più tardi della nascita del lavoro.
To mob si traduce con attaccare, avvilire inteso in maniera aggressiva.
Il mobbing è una violazione dell’integrità personale, comportamenti aggressivi nei confronti
della persona che varcano il confine del lecito e minano l’autostima.
Il tutore di lavoro in quanto tale deve tutelare la salute dei lavoratori, è il pilastro su cui si basa il
diritto del lavoro. Dall’altra parte il lavoratore deve essere dirigente e fedele nei confronti dei
datori.
Questi comportamenti, mancanza di rispetto, discriminazione incide anche sulla produttività del
lavoratore che è meno disposto a lavorare meglio.
Non esiste una vera definizione di mobbing, chi ha dato la definizione più chiara è stato un
tribunale con un giudice. È un fenomeno che sfugge, non è così facile da individuare.
Di solito che fa il mobbing è una persona molto intelligente, scaltra che non lascia traccia.
È stato suddiviso dai giudici federali di Losanna in 5 categorie:
- Attacchi alla possibilità di comunicare, per esempio non lasciar parlare, interrompere,
sgridare.
- Attacchi alle relazioni sociali quindi rifiuto di contatto, consiste nel non salutare e ignorare.
- Attacco alle immagini sociali, attaccare quello che la persona è o appare ridicolizzandola,
punzecchiarla offenderà oppure anche diffondendo voci, pettegolezzi.
- Attacchi alla qualità della professionalità e alla vita privata della persona ad esempio
criticare ingiustamente, sottrarre compiti importanti quindi demansionamento.
- Attacchi alla salute quindi violenza o molestia fisica
Non sempre è mobbing o discriminazione, i litigi o gli attacchi isolati non fanno scattare il mobbing
ma il tutto può nascere da episodi difficilmente interpretabili e agendabili perchè spesso le
persone non tengono una cronologia delle molestie e non sono singoli atti che determinano la
situazione di atti.
“una concatenazione di parole, dicerie, atti ostili ripetuti di frequente sul lungo periodo
(classificato in 12 mesi) con i quali si tende ad isolare, emarginare, escludere una persona dal
posto di lavoro. La vittima è posta in una situazione tale per cui ogni atto considerato
singolarmente può apparire sopportabile mentre l'insieme dei vari comportamenti conduce ad
una destabilizzazione della personalità” definizione del giudice.
Spesso la persona che denuncia è una persona difficile, magari chi è più debole.
Queste discriminazioni vanno a toccare direttamente la personalità e la sfera personale e
psicologica della persona.
Sotto i 12 mesi non è considerato mobbing, non viene riconosciuto, ma stress.
Non essendo definito da nessuna parte cos’è il mobbing, non c’è una legge chiara, il giudice decide
in base agli elementi che ha.
Si può però prevenire il mobbing.
Nel mobbing rientrano anche le molestie sessuali di tutti i tipi.
Il dirigente aziendale è fondamentale nella conduzione di un'azienda e nella creazione di un clima
aziendale proficuo che faccia sì che il mobbing e le molestie vengano ridotte all'osso. Per evitare il
mobbing, l'esaurimento nervoso serve una pianificazione del lavoro chiara, coinvolgimento delle
persone delle decisioni aziendali, ascolto fondamentale quindi la possibilità di mostrare apertura
289
verso il collaboratore, identificare le competenze del collaboratore e metterlo al posto giusto
affinché sia soddisfatto del lavoro e soprattutto oltre alla comunicazione la qualità della
comunicazione senza sottovalutare le problematiche o il disagio esposto dai collaboratori.
Uno stile dirigenziale negativo è basato sull’intimidazione, paura, senso di competizione
opprimente che mette in competizione i collaboratori facendoli competere più che collaborare è
un atteggiamento organizzativo troppo militarista, quasi autoritario.
Un dirigente deve ascoltare e non sottovalutare le problematiche stesse dei collaboratori, che la
sua porta sia sempre aperta e che sia veramente una persona che riesca ad approfondire.
Ascolto e dialogo. Bisogna andare oltre l’apparenza, il fatto di definire facilmente giudicare una
persona ma c'è molto di più perchè non sono tutti furbetti i lavoratori, alcuni hanno sotto delle
problematiche.
Oltre lo stile dirigenziale anche l'organizzazione del lavoro quindi informazioni efficaci, personale
sufficiente, sono queste tutte strategie sono per limitare il mobbing e l’esaurimento legato al
lavoro.
Anche la comunicazione deve essere funzionale, è un aspetto molto importante, il dialogo deve
essere sia dall’alto verso il basso che dal basso verso l’alto.
Importantissima poi la formazione continua dei dirigenti.
Ogni ruolo deve avere la propria identità nel lavoro.

3/05/2022
LA COMUNICAZIONE
NON VERBALE
Tutto quello che passa nel
linguaggio del corpo.
Inizialmente gli studi della
comunicazione non verbale si
focalizzano molto sul tema
dell’importanza, quanto pesa la
comunicazione non verbale
rispetto a quella verbale.
In senso ampio la
comunicazione umana avviene
con l’uso simultaneamente di
tanti codici, uno è quello
verbale (attraverso contenuti)
e l’altro è non verbale (che passa attraverso atteggiamenti, comportamenti, ecc.).
Un esempio grosso di comunicazione non verbale è la politica.
Nella campagna Trump-Clinton fu molto forte il confronto di genere. Trump usava molto
l’espansività del proprio corpo anche per invade lo spazio altrui. Clinton nonostante l’esperienza
risultava un po’ fredda.
Gesti deittici sono i gesti puntatori quando si indica una persona, un oggetto, un’entità.
Il sorriso fa apparire sicuri, in controllo della situazione.
Clinton si avvicina molto al pubblico quando parla per cercare di apparire il più possibile empatica
dato che viene definita fredda.
Anche l’aspetto della posizione è importante dal punto di vista delle implicazioni, essere più
rialzato dell’altro.
Con Biden-Trump è stato molto confusionale.

290
Biden indica il pubblico. La sua voce è molto profonda, abbassa la voce anche quando cerca di
agganciare, intercettare, coinvolgere emotivamente il pubblico.
Esempio Putin con capo servizi segreti. Putin per dimostrare potere mette i gomiti sul tavolo.
Sembra all’inizio annoiato, ha un’aria di insufficienza, noia (tamburella sul tavolo, si sistema la
cravatta). Il capo dei servizi invece è
molto chiuso su sé, la voce trema e finisce
il discorso con quello che Putin vuole lui
dica.

Differenza della distanza a diversa dei


leader, o situazioni.

Uno degli studi più importanti studi


sulla comunicazione non verbale
viene da Mehrabian (uno degli
studiosi più famosi della
comunicazione non verbale) che già
negli anni 30 aveva cominciato a fare
degli studi sistematici sulla
comunicazione non verbale.
Le prime indagini sistematiche sulla
comunicazione non verbale arrivano
circa negli anni 30.
L’approccio di questi primi studi è quantitativo cioè si vuole cercare di capire in generale quanto
pesa la comunicazione non verbale rispetto a quella verbale.
Negli studi Mehrabian presentava delle immagini di persone che assumevano espressioni in alcuni
casi positive e in alcuni negative e associava queste immagini delle parole neutre; dopodiché
chiedeva ai soggetti quanto secondo loro valutavano l'atteggiamento delle persone rappresentate
come positivo o negativo.
Da una serie di studi e calcoli e da altre ricerche Mehrabian arriva a quantificare il peso che la
comunicazione non verbale ha, lui quantifica in questo modo dicendo che la comunicazione non
verbale in un'interazione, in una comunicazione pesa addirittura il 55% di quella conversazione
mentre il verbale peserebbe solo il 7% e il paraverbale (voce e tutte le caratteristiche della voce)
peserebbe circa 38%.
Nel 1970 un altro studioso Argyle fa altre ricerche e in alcune di esse convoca delle persone in
laboratorio, istruisce una persona ossia un finto ricercatore che deve raccontare un'esperienza che
in alcuni condizioni questo racconto è positivo, in altre situazioni questo racconto è negativo.
Variava in questi esperimenti la congruenza o l’incongruenza tra verbale e non verbale.
291
Poi alle persone si richiedeva di dire se secondo loro quelle persone avevano avuto un'esperienza
positiva negativa e quando c'era incongruenza quindi vi era una condizione di incertezza, le
persone utilizzavano di più la comunicazione non verbale per dedurre la positività o negatività
dell'atteggiamento. Quindi in condizioni in cui non si capisce bene se una persona che sta
comunicando è felice o triste perché magari ci sono contraddizioni tra quello che dice come si
comporta, si tende più a guardare il comportamento non verbale piuttosto che fare attenzione a
quello che dice.
Quindi le persone si basano molto sulla comunicazione non verbale per decodificarsi e
decodificare ossia dare un senso a quello che gli altri dicono perchè la comunicazione non verbale
è molto immediata.
Anche Argyle seppur in modo diverso (secondo lui la comunicazione non verbale è 7,5 volte più
potente della comunicazione non verbale nell'espressione di atteggiamenti interpersonali)
concorda anche lui seppure in modo diverso, condivide questa idea che la comunicazione non
verbale persa molto, è molto importante, c'è una grande immediatezza con la forza e esprime
soprattutto questa immediatezza quando si devono comunicare aspetti intrapersonali. Spesso è
più forte l’immediatezza non verbale di quello che le persone dicono.

Anche dal punto di vista teorico si cerca di


capire l'origine della comunicazione non
verbale.
Dal punto di vista si confrontano due visioni
rispetto all’origine della comunicazione non
verbale:
Da un altro ci sono le teorie innatiste che
propongono che la comunicazione non
verbale abbia una forte componente
genetica cioè che tutti noi nasciamo con un
patrimonio genetico che fa si che nel corso
della vita siamo già programmati su come
utilizzare la comunicazione non verbale.
A questa visione si contrappongono le teorie di tipo ambientalista che hanno una visione
completamente opposta, ipotizzano che la compone è culturale cioè ambiente, li apprendiamo e
per questo motivo questa sarebbe l'origine.
In realtà nel corso degli anni, grazie anche agli sviluppi delle neuro scienze, ha preso sempre più
forza l’approccio multidisciplinare che è un misto tra i due approcci. Secondo questo approccio
l’origine della comunicazione non verbale sarebbe ritrovabile in una commissione di fattore sia
biologico-genetici, sia fattori legati all'apprendimento che alla prevalenza sociale.
Questo approccio ha supportato dalle scoperte sulle neuroscienze dove rispetto allo studio della
comunicazione non verbale emerge chiaramente che nei segnali non verbali spesso c’è sia una
componente spontanea, quando noi proviamo veramente un'emozione e l'emozione passa
attraverso il nostro viso, dal punto di vista cerebrale c'è un tipo di percorso che parte
dall'ipotalamo (base del nostro emozioni ed espressioni spontanee); quando invece noi simuliamo
un'emozione dal punto di vista cerebrale c'è tutto un altro percorso che riflette la componente
volontaria.
Il fatto di aver scoperto una componente spontanea e una componente volontaria dell'utilizzo dei
segnali non verbali ha fatto sì che fosse chiaro che in realtà l’origine è mista deriva sia da fattori
biologico genetici i quali vengono modificati, influenzati dai fattori culturali e sociali.

292
Attualmente uno degli approcci più
condivisi rispetto allo studio della
comunicazione non verbale è quello che
vede la focalizzazione sui processi di
codifica e decodifica un po’ come il fulcro
di analisi dei segnali non verbali.
Negli studi sulla comunicazione quando si
analizza un'interazione comunicativa si
distingue tra due processi importantissimi:
codifica e decodifica.
La codifica può essere definita come la fase
di produzione del messaggio, fase
attraverso cui quello che voglio
comunicare viene trasformato in un segnale vero e proprio verbale o non verbale (pianto, voce
rotta).
La decodifica è la fase di lettura da parte dell’interlocutore di quello che sto trasmettendo;
percezione, riconoscimento e interpretazione dei segnali non verbali.
Queste fasi sono tipiche della comunicazione verbale ma vengono usati anche per la
comunicazione non verbale.
La capacità di codifica e ricodifica dei segnali è un’importante capacità sociale.

Sistemi della comunicazione non verbale.


Quando si parla e descrive la comunicazione non
verbale si fare riferimento a dei sistemi o a dei
codici della comunicazione non verbale cioè ci si
focalizza su alcune funzioni, parti del corpo
considerati i canali della comunicazione non
verbale.
 Sistema cinesico che deriva da chinesis
che vuol dire movimento. È come sistema
della comunicazione non verbale che ha al
suo interno comprende sia le espressioni del viso quindi come tutto quello che sentiamo e
proviamo o vogliamo esprimere passa attraverso il volto, sia la gestione dello sguardo e sia
anche la gestualità.
 Sistema vocale ha a che fare con tutte le caratteristiche della voce che veicolano significati,
emozioni, contenuti cognitivi (es. tono, volume, intensità voce, pause, silenzi).
 Sistema prossemico di gestione dello spazio ha a che fare con le modalità con cui le
persone gestiscono lo spazio interpersonale. Si focalizza l’attenzione sul ruolo delle
distanze interpersonali della comunicazione e la postura ossia la posizione che il corpo
assume nello spazio e nelle relazioni interpersonali.

293
Espressione del volto prima
componente del sistema cinesico.
Volto canale più importante della
comunicazione non verbale, il
volto è la sede dei principali
ingressi sensoriali quindi vista,
udito, gusto, olfatto. Il viso ci
identifica fortemente, noi facciamo
molta attenzione al nostro viso e a
quello che traspare dal nostro viso.
Dal punto di vista fisiologico sono i
muscoli facciali che muovono le
espressioni del viso. I muscoli del
viso, responsabili delle emozioni, sono fondamentalmente suddivisi in alcune fasce, zone del viso:
 La fascia centrale che è quella occupata soprattutto dai muscoli zigomatici ossia quelli delle
guance che sono per esempio responsabili del sorriso.
 La fascia superiore in cui i muscoli più importanti, sono i muscoli corrugatori che sono
quelli che stanno tra le sopracciglia e spesso coinvolti nelle emozioni più negative.
 La fascia più inferiore del viso che è quella che riguarda l'uso della bocca e del mento .
Dal punto di vista fisiologico il nervo di collegamento con le aree centrali che attivano le nostre
espressioni del viso è il nervo facciale ossia una sorta di canale di comunicazione tra le aree del
cervello che sono attivate per esempio dalle emozioni e una vera e propria espressione del viso.
L’espressione del volto quindi è particolarmente importante ed è stata soprattutto studiata in
relazione alle espressioni delle emozioni. È il canale più importante, uno dei più importanti che
permette di calcolare le emozioni delle persone.
Si è capito molto di più su come vengono veicolate le emozioni dalla distinzione tra espressioni
volontarie e involontarie. Cioè si è scoperto che quando le espressioni del viso arrivano sul nostro
viso queste espressioni possono avere sia origini spontanee, involontarie, non controllate
coscientemente da noi e sia origini più controllate e volontarie.
Dal punto di vista fisiologico i percorsi che partono dal cervello al viso sono differenti nei due casi.
 Nel caso di espressione volontaria e spontanea è l'ipotalamo la parte cerebrale che viene
attivata e attraverso un sistema piramidale arriva al viso.
 Quando invece noi controlliamo l’emozione quindi facciamo trasparire dal nostro viso
un'espressione controllata, non spontanea perché per esempio la situazione sociale ce lo
richiede, il percorso fisiologico è totalmente differente perché parte dalla corteccia
celebrale quindi centri superiori e si chiama via piramidale e da al nostro viso il comando
facendo proprio un'altra strada differente rispetto a quella del caso di prima.
Rispetto all’origine evolutiva allo scopo di capire se le espressioni del viso sono universali e quindi
uguali per tutti a prescindere dalla cultura oppure sono connotate culturalmente, ci sono dei
famosi studi di Paul Ekman.
Ekman feci degli studi sugli aborigeni appartenenti a delle culture che non avevano nessuna
relazione con il mondo civilizzato, non avevano mai avuto relazioni. Aveva studiato queste persone
aveva mostrato loro le fotografie delle più importanti, principali emozioni e i soggetti occidentali
aveva chiesto di codificare quindi dire a quale espressioni si riferissero e effettivamente avevano
una capacità di codificare molto simile a quella dei soggetti occidentali.
Quindi arrivò alla conclusione che ci sono delle espressioni che passano attraverso il viso che sono
universali, universalmente condivise riconosciute tuttavia queste espressioni sono modificate,
294
modellate dall'appartenenza culturale che ne determina alcune sfaccettature → ecco perché
teoria neuro-culturale. Espressione del viso viste come mix tra fattori biologici, patrimonio
genetico e fattori culturali.
Rispetto a come le emozioni passano sul viso e come possono essere studiate sono stati sviluppati
dei famosi sistemi di classificazione. Sistemi sviluppati Ekman e dai suoi collaboratori e sono
fondamentalmente due, il secondo è un'evoluzione del primo.
Una prima versione più semplificata di questo sistema si chiama FAST (facial affect scoring
tecnique) ed è un sistema che basa la classificazione delle espressioni del viso suddividendo il viso
in tre aree principali: un'area superiore del viso, un'area centrale e un'area inferiore.
Ipotizza che ci siano alcune posizioni tipiche, sempre le stesse che ricorrono per ciascuna parte del
viso es. vengono individuate 8 posizioni base che le sopracciglia possono assumere, 17 per gli
occhi, ecc. si suppone ci siano dei movimenti, delle posizioni tipici, basici che combinati vanno poi
a produrre l'espressione del viso.
Questo primo sistema di classificazione nel tempo, con gli studi che Ekman fa viene modificato in
un altro e più raffinato sistema di classificazione chiamato FACS (facial affect coding scheme), è in
realtà un sistema molto più elaborato, è il sistema più elaborato di codifica delle espressioni del
viso e ipotizza che alla base dell'espressione del viso ci siano alcuni movimenti muscolari di base
che vengono chiamati unità d'azione.
Quando vogliamo classificare le espressioni del viso dobbiamo tener conto che ci sono dei
movimenti base, in tutto questi movimenti sono 46; quindi ci sarebbero queste 46 unità di azione
quindi movimenti muscolari di base che combinati insieme vanno a produrre tutte le principali
espressioni del viso, ognuna si riferisce a un movimento particolare del viso.
È uno strumento standardizzato, inizialmente questo strumento viene creato e applicato con un
metodo carta-matita ossia ci sono delle griglie di classificazione e le persone vanno a segnare quali
movimenti ciascuna situazione del viso ha, col tempo le cose si sono volute e adesso ci sono dei
software specifici che vengono applicati per andare a codificare le principali espressioni del viso.
È quindi uno strumento molto diffuso che ha ricevuto dal punto di vista dell'affidabilità diverse
conferme dallo strumento più utilizzato per andare a decodificare le espressioni del viso.

295
Quando si parla di espressioni del viso Ekman ipotizza che si possa fare riferimento alle espressioni
di alcune emozioni fondamentali cioè esisterebbero proprio delle espressioni di base che possono
essere considerate molto simili a prescindere dalla cultura e che si riferiscono alle emozioni
primarie, quelle più importanti, più condivise che sono la sorpresa, la paura, la felicità, la tristezza,
la rabbia, il disprezzo e il disgusto. Disprezzo e disgusto a volte vengono considerate insieme a
volte no, dipende dalle classificazioni.
Ogni espressione dell’emozione è caratterizzata da movimenti tipici.
Questi studi sono stati tutti condotti da Ekman il quale ipotizza ci siano alcune repressioni che si
possono diventare primarie che sono le grandi famiglie di emozioni e poi ci sono tutte le
sfaccettature.

Le emozioni primarie sono le grandi


famiglie si emozioni. Sono comuni a tutte
le specie, sono riconoscibili da tutte.
Le emozioni primarie sono spontanee, non
sono frutto di controllo consapevole.
Sono inoltre innate. Il repertorio di base
con cui si nasce è lo stesso e ha base
genetica.
Poi nelle grandi famiglie si possono trovare
varie sfaccettature, gradazioni differenti di
intensità

296
Ekman ha categorizzato anche i segni del volto in sottocategorie. Lui dice che tutti i segni che
passano al volto si possono descrivere in queste categorie.
 Segnali statici quelli che rimangono fissi nel tempo e non cambiano.
 Segnali a variazione lenta sono quelli che cambiano nel tempo, segnali che modificano il
viso per il trascorrere del tempo es. rughe
 Segnali rapidi, quelli maggiorenti studiati da Ekman che suddivise ancora in
o Messaggi emotivi sono i messaggi veloci del viso, assomigliano un po’ alla mimica,
che trasmettono un’emozione particolare, simulazioni di emozioni (quello che
fanno gli attori).
o Messaggi emblematici messaggi del viso sempre controllati che noi mettiamo in
atto che hanno significati specifici o simbolici, possono essere considerati
l’equivalente di una parola o di una frase es. strizzare l’occhio, ha un suo significato
emblematico socialmente condiviso, è un emblema, un simbolo e a volte si utilizza
consapevolmente l'espressione del viso per trasmettere qualcosa il cui significato è
condiviso all'interno della cultura.
o Punteggiatura di una comunicazione sono quei movimenti del viso, quei segnali
che servono mentre una persona parla a dare un ritmo e un senso al contenuto
verbale di quello che la persona sta esprimendo. Ekman dice che a volte le
espressioni del viso funzionano un po’ come dei punti, virgole cioè punteggiano,
cioè danno un ritmo alla conversazione e servono a far capire meglio
all'interlocutore quello che il parlante sta esprimendo. Anche questi sono
movimenti brevi del viso che hanno proprio la funzione di punteggiare il discorso.
o Micro-espressioni sono i movimenti del viso scoperti da Ekman. Ekman inizialmente
inizia a studiare la comunicazione non verbale in ambito terapeutico, partecipa ai
team di psicologi e psicoterapeuti, segue dei pazienti che hanno delle patologie
psichiatriche e lavora tanto sul palo della comunicazione non verbale nell'aiutare la
terapia. Spesso lui racconta il caso di questa paziente, dalla quale è nata un po’ la
definizione di micro-espressioni, di nome Mary ricoverata in un ospedale
psichiatrico, dove Ekman collaborava, perché aveva una forte depressione. Era
ricoverata da un po’ di tempo a un certo punto questa paziente nei colloqui
manifesta la volontà di uscire dall'ospedale, dice di stare meglio ed effettivamente
esprime con il suo comportamento un migliore benessere e via via durante i
colloqui il team di psicologi e psicoterapeuti si convince che effettivamente questa
paziente sta meglio e quindi si puoi decidere di farla uscire. Finché poco prima di
essere dimessa questa paziente crolla durante un colloquio e confessa che in realtà
297
lei stava malissimo, aveva simulato il suo apparente benessere solo per uscire e
tentare di suicidarsi; quindi il suo comportamento apparente aveva ingannato
totalmente un team di psichiatri psicologi. Da qui grande crisi, grandi dubbi, grande
messa in discussione anche delle tecniche terapeutiche finché Ekman suggerisce di
rivedere i colloqui di questa paziente per capire se c'era qualcosa che si era perso
ma poteva far comprendere che c'era qualche incongruenza. Rivedono a
rallentatore tutti i colloqui con questa paziente Mary e si accorgono che durante
questo apparente ci sono dei momenti molto veloci di espressioni facciali che
invece disconfermano completamente il suo stato positivo, sono espressioni
velocissime di disperazione viva, di profonda tristezza ma analizzabili e visibili solo a
rallentatore.
Da qui nasce lo studio delle micro-espressioni e quindi si viene a conoscenza del
fatto che esistono movimenti molto veloci (meno di un secondo) difficilmente
percettibili a occhio nudo, talvolta impossibili ma che sono fortemente rivelatrici
dello stato reale, del vero stato emotivo delle persone. Da qui nasce tutta una
tradizione di ricerca che Ekman avvia sulle micro-espressioni e che poi applica a
diversi altri ambiti per esempio quello criminologico (lie detection filone
dell'individuazione della menzogna quindi va a studiare tutti quei segnali non
verbali che possono essere identificati come indicatori di menzogna del fatto che le
persone stanno controllando emotivamente il loro comportamento e che spesso
entrano a far parte di alcune indagini. Gli esperti in questi lavori sono spesso dei
consulenti che vengono
utilizzati ad esempio negli
iter processuali).

Altro interessante fenomeno, movimento


del viso sempre studiato da Ekman è
l’asimmetria del viso.
L’asimmetria è un altro aspetto delle
espressioni del viso per cui anche a
partire da tutto quello che si è venuto a
sapere relativamente alle neuroscienze, è
emerso che siccome il nostro cervello è
lateralizzato (l'emisfero destro e sinistro
svolgono funzioni differenti), ci sono
alcune funzioni che sono più fortemente localizzate in un emisfero piuttosto che in un altro.
Questo fa si che ci sia una parte del nostro viso maggiormente sotto il nostro controllo
consapevole e una parte meno sotto il controllo consapevole.
Si è scoperto che la parte sinistra del volto è quella dove le emozioni appaiono più spontanee sono
meno difili da controllare e questo fa si che la nostra capacità di controllare il corpo agisce più sulla
parte destra del corpo.

298
4/05/2022

Terza tipologia di segnale non verbale del


sistema cinesico ossia i gesti.
Già i greci erano consapevole dell’importanza
retorica e persuasiva dei gesti.
Lo studio dei gesti inizia a essere basato su
ricerca dagli anni 30-40. Lo psicologo David
Efron, di origine israeliana, aveva fatto degli
studi comparativi tra la gestualità della
popolazione italiana e israeliana migrata a New
York perchè in quel tempo in Europa erano
diffuse e dominavano delle teorie

299
sull’interpretazione dell'uso dei gesti, teorie di matrice filo-nazista, queste teorie che l'eccessiva,
l'elevata gestualità fosse tipica di quelle culture inferiori rispetto alla razza ariana. Anche la cultura
ebraica che si caratterizza per particolare marcata, questo elemento veniva considerato un altro
elemento che secondo questa visione andava a riprova del fatto che si trattasse di un elemento di
inferiorità. David Efron allo scopo anche di mettere in dubbio questa interpretazione, compara
queste due comunità dal punto di vista della gestualità e nota che via via che nel tempo queste
persone si integrano nella comunità americana anche il loro stile gestuale viene modificato quindi
arriva a concludere che c'è una forte componente culturale che incide sull'uso dei gesti.
I gesti sono forse una delle espressioni non verbali più condizionati dall'appartenenza culturale
perché si legano anche al linguaggio e al modo di esprimersi di ciascuna cultura.
In generale gli studi sui gesti hanno evidenziato che la funzione dei gesti è soprattutto quella di
accompagnare il discorso cioè il parlato quindi vengono studiati in corrispondenza con il contenuto
della parlato.
In particolare è emerso che i gesti hanno questa funzione di poter andare a sostenere e modificare
completamente il potere di comunicare del parlato andando a svolgere in particolare due funzioni
principali e poi una terza:
 Illustrativa esistono delle tipologie di gesti che vanno proprio ad illustrare, rendere più
chiaro, esplicito e comprensibile dei concetti di cui sto parlando.
 Coordinamento i gesti però possono anche andare in coordinazione con il parlato, il loro
scopo è dare ritmo, coerenza, coesione al contenuto del parlato. Gesti ripetitivi che non
hanno significato preciso ma vanno magari ad enfatizzare quello che si dice dal punto di
vista espressivo e non dei contenuti.
 In un terzo caso estremo i gesti possono andare anche a sostituire il parlato ad esempio
questo capita quando si
utilizza la lingua dei segni.
La lingua dei segni è una vera e
propria lingua, esistono le lingue
nazionali dei segni e in Italia c’è la
Lingua Internazionale dei Segni
(LIS).
Ogni lingua dei segni a livello
nazionale ha una sua struttura,
una sua sintassi, un suo lessico e al
di là dell’alfabeto ha una capacità
di andare ad esprimere dei
concetti, delle nozioni, una
capacità di complessità semantica
lessicale che è quasi del tutto
comparabile alla lingua parlata.
In Italia in realtà la lingua LIS non è
riconosciuta come vera e propria lingua ma in tanti paesi europei, è difficile trovare lavoro come
interprete LIS, in Italia abbiamo gli assistenti alla comunicazione.

300
Relativamente ai gesti ci sono tante classificazioni.
Una delle più interessanti che prendiamo come riferimento è quella proposta da Bonariuto e altri
autori che si è basato su altre classificazioni famose una delle quali proposta da Ekman e l’ha un
po’ rivista.
Gesti divisi in due grandi categorie:
-CONNESSI AL DISCORSO sono tutti quelli che vengono messi in atto quando una persona parla
quindi esprime un contenuto verbale e che hanno diversi tipi di connessione con il contenuto
verbale, vanno ad arricchire il significato di quello che si dice, renderlo più esplicito ma lo fanno in
due modalità differenti: esiste una funzione di coordinazione con il parlato o funzione coesiva e
una funzione di illustrazione o funzione ideativa.
 La funzione coesiva è la funzione che hanno i gesti quando servono a dare coesione al
discorso, ad aumentarne l’espressività, a dare ritmo, enfasi ad alcune parti del discorso.
Sono tutti quei gesti solitamente con ritmo ripetitivo, vengono ripetuti con una o entrambe
le mani. Esempi di questi gesti sono le chele (gesto di allontanare e avvicinare le mani
quando si parla), la matassa che può essere fatta con una o due mani, la stella (aprire o
chiudere le dita e da chiuse formare un becco di papera), il mulinello, la pinza (unire i
polpastrelli di pollice e indice) e poi in generale i gesti ritmici che sono tutti quei gesti visti
prima che vengono usati con una funzione ritmica.
Tutti questi gesti non vanno a disegnare concetti nello spazio ma servono ad aumentare
l'espressività del discorso.
 Ideativi sono i gesti che illustrano il discorso.
o Emblematici sono tutti i gesti simboli e culturalmente appresi, sono i gesti di cui noi
conosciamo significato perché l'abbiamo preso durante la nostra socializzazione,
sono i gesti che hanno un valore simbolico culturalmente appreso e che sono
condivisi dagli stessi membri della cultura, della società a cui appartengono.
o Gli illustratori sono sempre gesti che hanno una funzione illustrativa e che vanno a
disegnare nello spazio alcuni concetti. A loro volta si suddividono in: iconici sono i
gesti attraverso cui disegniamo con le mani dei concetti o degli oggetti nello spazio,
più oggetti nella realtà, e queste descrizioni hanno un valore di concretezza cioè io
vado a disegnare nello spazio un oggetto concreto; metaforici faccio la stessa cosa
ma vado ad illustrare un concetto astratto (es. forza), sto sempre usando un gesto
illustratore perché illustro qualcosa nello spazio ma l'oggetto, il concetto è astratto;
301
i deittici invece sono i gesti puntatori, i gesti attraverso i quali le persone indicano
solitamente con l'indice ma anche con tutta la mano una persona, un oggetto, un
qualcosa presente nella situazione comunicativa, anche qualcosa di idealmente
presente nella situazione comunicativa (nei dibattiti politici l'uso frequente dei gesti
dei medici ma se si accompagna ad uno stile di comunicazioni di attacco, aggressivo
dove le persone cercano di sminuire l'immagine dell'avversario.
-GESTI NON CONNESSI AL DISCORSO sono tutti quei gesti che vengono messi in atto mentre le
persone stanno parlando, accompagnandosi il parlato, sono messi in atto contemporaneamente al
parlato ma non hanno nessuna connessione con il contenuto del parlato quindi con quello che si
sta comunicando. Anche questi si possono distinguere in due
 Gesti auto-adattatori sono le auto manipolazioni, quando le persone compiono delle auto
manipolazioni sul proprio corpo, significa toccare parti del proprio corpo.
 Gesti etero-adattatori sono i gesti che le persone utilizzano mentre parlano ma che
consistono invece nel toccare degli oggetti (oggetto-adattatori) o delle persone (persona-
adattatori) che sono presenti nella situazione, nello spazio gestuale.
Dal punto di vista della comunicazione pubblica, comunicazione politica soprattutto i gesti auto
adattatori sono emersi come essere gesti piuttosto lesivi dell'immagine pubblica di un personaggio
che per esempio partecipa a un dibattito politico oppure fa un discorso; l'uso eccessivo di auto
manipolazioni, di auto-adattatori da parte di un personaggio pubblico solitamente fa apparire quel
personaggio come poco sicuro, poco determinato, emotivo.
Un po’ meno lesivi risultano essere i gesti etero-adattatori che hanno la funzione soprattutto nella
fase iniziale di permettere alle persone di controllare emotivamente alla situazione, anche in
questo caso però se vengono usati insistentemente possono risultare dannosi. Servono questi
gesti etero-adattatori da parte del soggetto a sentirsi più sicuri, può essere che all'inizio del
discorso le persone li usano un po’ di più e poi si stabilizzino, se però l'uso è eccessivo dal punto di
vista di chi ascolta, la persona viene percepita come insicura quindi possono essere consigli
televisivi e le ricerche di politica evidenziano che c'è questo legame forte tra l'uso esagerato di
gesti non connessi al discorso soprattutto gli adattatori e la percezione di competenza e anche di
credibilità del personaggio pubblico.

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303
Gesto lista tripartita quando una persona elenca e tocca tre dita della mano, è un iconico che va
ad illustrare la lista tripartita.
Quando una persona è spontanea i gesti sono più frontali, sono in alto; mentre se si vuole
controllare la propria gestualità si tende a tenere le mani in basso e fare i gesti in basso.

Si registra la frequenza dell’uso


gestuale nei dibattiti politici con
dei software, una volta si faceva
con carta e matita adesso invece
ci sono dei software che
supportano questa analisi. In
questa ricerca su un dibattito
politico si registrava oltre la
frequenza gestuale dei politici,
l’aspetto retorico che ciascuno
dei due aveva utilizzato ma in
questa ricerca venivano anche
misurate le percezioni del
pubblico ossia se e come l’uso di
questi gesti si andava ad associare al modo in cui il politico veniva visto dal pubblico quindi si
valutava anche l’effetto possibile che la gestualità ha sulla percezione di chi ascolta il parlante.
In comune tra i due politici si ha un uso molto frequente dei gesti coesivi che si usano tantissimo
nel discorso.

304
Esiti di analisi di correlazione
fra uso di gesti e risposte di
valutazione da parte del
pubblico.
Mentre vedevano il dibattito
veniva chiesto al pubblico di
compilare un questionario
dove gli si chiedeva di valutare
il politico in termini ad esempio
di simpatia, credibilità,
competenza e gli si chiedeva di
valutare anche quanto secondo
loro le risposte del politico
erano credibili, interessanti,
ecc.

Rispetto ai gesti anche qui sono state condotte


delle ricerche tra gesti e menzogna cioè tra gesti e
tentativo di controllare quello che si sta dicendo.
Ekman ha individuato dei segnali, indici che
potrebbero essere di tentativo di controllo della
persona:
 Lapsus gestuali stessa cosa come nel
parlato semplicemente però che solo un
accenno di un gesto, stanno per usare un
gesto spontaneamente ma poi si
controllano e poi viene subito abortito quindi il risultato è un lapsus gestuale cioè un
accenno di un gesto.
 Gesti fuori posizione quando le persone utilizzano gesti che non sono spontanei quindi
tengono le mani fuori dal normale spazio gestuale, in basso si stanno controllando e quindi
in questo caso si può ipotizzare che stanno mentendo.
 Inoltre chi si controlla diminuisce anche i gesti perché si è consapevoli che la gestualità può
tradire le emozioni quindi è stato evidenziato che a volte la menzogna si associa anche ad
una riduzione dei gesti in generale ma soprattutto di quelli illustratori che sono quelli sotto
il nostro controllo consapevole.
 Auto-manipolazioni, classico segnale noto anche a livello di percezione normale, quando
c'è un numero elevato di gesti auto adattatori può essere anche se non è mai un segnale
oggettivo, che la persona sia in uno stato emotivo di agitazione, imbarazzo e che quindi si
possa associare ad esempio ad un'intenzione di mentire, un'intenzione di simulare
un'emozione o un contenuto verbale.
Questi sono segnali che Ekman individua come segnali gestuali che possono essere associati alla
menzogna o al controllo consapevole da parte degli individui.

305
Un’altra classificazione che ha a che fare con il sistema della voce,
La voce è un altro canale importante della comunicazione non verbale. È stata studiata in relazioni
diverse funzioni e una di queste è il modo in cui la voce e l'uso che le persone fanno della voce
accompagna il contenuto del parlato.
Anche questa classificazione individua alcune categorie in base alle quali si possono categorizzare i
segnali vocali che in generale possono essere suddivisi in segnali verbali (parole) e segnali vocali
non verbali.
I segni vocali non verbali o vocalizzazioni non verbali. Le vocalizzazioni non verbali possono
essere a loro volta suddivise in:
 Segnali prosodici detti anche legati al parlare. Sono tutte quelle caratteristiche che noi
utilizziamo quando parliamo della voce che possono veicolare dei significati quindi che
possono andare a rafforzare, enfatizzare o dare una connotazione emotiva a quello che
stiamo dicendo. Tipici segnali prosodici sono:
o Tono è l’intonazione che noi diamo al parlato, solitamente si distingue tra tono
ascendente, discendente, interrogativo (se facciamo una domanda), ironico,
esclamativo. Tutto quello che noi diciamo può veicolare un significato diverso a
seconda dell'intonazione che noi utilizziamo.
o Enfasi o intensità. L’enfasi quando le persone esprimono un concetto, una frase o
delle parole possono enfatizzare attraverso ad esempio la cadenza, alcune parole o
parti di frase. Enfatizzando alcune parole in una stessa frase io veicolo dei
significati cioè posso far sì che l'interlocutore diriga l'attenzione verso alcune cose
piuttosto che altre. L’intensità è il volume della voce.
o Pause o tempo. Le pause e i silenzi possono avere un significato anch'esse e
possono giocare un ruolo nel discorso.
Si distingue tra diversi tipi di pause: ci sono le pause vuote che sono quelle proprio
silenziose dove le persone non emettono suoni e solitamente servono per dare un
carattere enfatico (attirare l’attenzione) oppure possono essere anche dei momenti
in cui le persone razionalizzano quello che stanno per dire; le pause piene sono
quelle in cui ci sono dei suoni che vengono emessi (mm, eh, ecc.) che non hanno un
significato ben preciso e sono delle pause che di solito denotano un'interruzione
del pensiero, quindi quando ci incappiamo piano nel nostro discorso queste sono
delle pause piene; oppure ci sono le pause interattive che hanno la funzione di

306
regolare l'alternanza dei turni (es. possono dire mi fermo per darti la parola, mi
fermo ti guardo negli occhi e ti sto dicendo che voglio darti la parola).
Il tempo è la velocità dell'eloquio, quando le persone parlano possono decidere di
parlare molto velocemente in alcuni passaggi oppure di rallentare il parlato e anche
questo può veicolare dei significati, enfatizzare alcune parti o attirare meno
l'attenzione su altre.
 Segnali indipendenti dal parlare sono tutte quelle caratteristiche della voce, sono le
caratteristiche idiosincratiche della voce. Ognuno di noi ha e delle caratteristiche che sono
personali come il timbro (il timbro si dice essere l'impronta digitale della voce, ognuno ha
un timbro unico e personale), oppure tutte quelle caratteristiche della voce che derivano
dalla provenienza geografica come l'accento dialettale condizionato dalla provenienza
geografica in generale tutte le qualità della voce, avere la voce un po’ più grave, un po’ più
acuta, ecc.
Nei discorsi gli “emm” sono pause pieno oppure possono essere considerati rumori emotivi ossia
tutti quei suoni che noi mettiamo che non sono parole come mugolii, sospiri, anche il pianto sono
considerati rumori motivi che entrano in gioco durante il parlato e che possono denotare un tratto
di emozione, dipende dal contesto.

Punto b la voce è molto studiata anche per


quanto riguarda l'espressione delle emozioni. Ci
sono diverse ricerche che analizzano proprio le
caratteristiche fisiche della voce (frequenza, tono)
e che hanno provato a mettere insieme le singole
emozioni (quelle relative alle espressioni del viso)
con tutte le caratteristiche della voce tipiche di
quell'emozione e quindi quali sono i correlati
proprio vocali di ciascuna emozione.

Tutte quelle caratteristiche che abbiamo visto prima si possono correlare diversamente a ciascuna
emozione.
307
Famosa classificazione data da Hall
negli anni 60 delle distanze
interpersonali cioè di come
possono essere classificate le
distanze interpersonali.
È condizionata dalla relazione
interpersonale che abbiamo con le
altre persone più o meno formale.
Hall dice che le relazioni con gli
altri possono essere classificate sia
in termini di formalità che invece
informalità, intimità. L’altra
dimensione che viene considerata
è il coinvolgimento sensoriale
quindi più andiamo verso le distanze vicine più tutti i sensi sono coinvolti.
 Lo spazio dell'intimità è quello riservato agli affetti, riservata a madre e neonato, tra
moglie e marito, tra fidanzati dove si tollera una distanza molto vicina e dove c'è un forte
coinvolgimento sensoriale.
 Lo spazio personale è quello che si utilizza con le persone con cui si ha una certa
confidenza, amici, familiari ma con cui non si ha una relazione di intimità. Qui c'è un
coinvolgimento sensoriale ma minore. Questa è un po’ la bolla di sicurezza che noi
utilizziamo di solito, tutti noi e ogni cultura un po’ la cambia, ha una bolla di sicurezza che
se viene violata cioè le persone invadono questa bolla di sicurezza, abbiamo disagio.
 Lo spazio sociale è quello che si tiene quelle persone con cui non si ha confidenza quindi
ad esempio in relazioni lavorative con i colleghi, con il proprio capo, con i professori. È
quello tenuto con persone con le quali sia una relazione quotidiana ma non di confidenza.
Qui il coinvolgimento sensoriale è sempre minore e il contatto qui non è assolutamente
tollerato.
 Lo spazio sociale pubblico è quella più ampia e della distanza che si tiene in situazioni
come discorsi pubblici, convention, teatri, spettacoli dove c'è il palco dove sta una persona
e tutto il pubblico che ascolta. Qui il coinvolgimento sensoriale è sempre più limitato e chi
parla deve cercare di utilizzare al meglio tutto il suo stile non verbale per cercare di
coinvolgere il pubblico ad esempio gesticolando in modo più marcato, alzando il tono della
voce, ecc.

308
La discriminazione della donna nel lavoro
Il caso di Rosalind Franklin
Secoli di lotte femministe hanno preceduto la nostra generazione: un percorso impegnativo che ha
coinvolto grandiose donne, grazie alle quali sono stati raggiunti numerosi traguardi. Tuttavia,
questo cammino non ha ancora raggiunto l’obiettivo ultimo. L’unico modo per fronteggiare questo
problema è denunciare e parlarne apertamente, affrontare coloro che ancora non apprezzano e
stimano le donne. La parità dei sessi in ambito economico, artistico, sociale e lavorativo viene
ancora oggi sottovalutata. In questo elaborato verrà analizzata la disparità di genere nel ramo
scientifico ripercorrendone alcune fasi salienti.
La discriminazione della donna in campo scientifico ha origine nell’antica Grecia con Ippocrate che
mediante i suoi trattati descrive la forma e lo studio del corpo femminile che era basato
interamente sulle credenze popolari e sulle idee maschili di come funzionasse, nonostante nessun
uomo avesse mai effettuato alcuno studio pratico sui corpi femminili.
Tra gli argomenti più dibattuti da molti filosofi, tra i quali Parmenide ed Empedocle, c’era quello
del ruolo della donna nel concepimento dei figli. Alcuni vedevano quest’ultimo come di
competenza esclusivamente dell’uomo e ritenevano la donna un semplice contenitore del seme
maschile.
Un altro tema di rilevo era quello del cosiddetto “utero vagante”, che era una sindrome in cui si
immaginava che, in mancanza di rapporti sessuali, l’organo femminile si spostasse verso zone più
umide del corpo, causando sintomi tra cui l’isteria e il livore della pelle. Secondo Ippocrate la
soluzione a questa sindrome era il matrimonio in quanto alle donne era consentito avere rapporti
solamente una volta sposate. Per questo motivo, fino all’inizio del Novecento, i padri di famiglia si
preoccupavano di dare in sposa le figlie il prima possibile.
Nei secoli successivi la posizione della donna nel mondo scientifico non migliorò affatto, l’unica
mansione che rimaneva femminile, come da tradizione, era quella dell’ostetricia, ma anche in
questo caso non senza forte opposizione da parte del mondo maschile. Ciò è constatabile, ad
esempio, nella pratica della “caccia alle streghe” avvenuto in tutta Europa e America del nord circa
dal 1450 al 1750. Infatti, tra le vittime di questo fenomeno, la cui maggioranza erano donne,
figuravano anche ostetriche e guaritrici capaci di usare erbe e altre medicine tradizionali, viste con
sospetto solo per le loro conoscenze. Testimonianza storica di questo fatto è data dal capitolo
tredicesimo del Malleus Maleficarum, testo ecclesiastico ufficiale scritto da due inquisitori
domenicani per guidare questa pratica. Nel capitolo, interamente dedicato alle ostetriche,
vengono presentate queste figure come estremamente pericolose per via del loro contatto con i

309
bambini prima del battesimo. Le prove fornite per dimostrare ciò sono testimonianze forzate
ottenute da donne sotto tortura poi messe al rogo.
Dopo la fine di questo brutale fenomeno, tuttavia la situazione non migliorò, nemmeno con
l’avvento dell’illuminismo che si prefiggeva di illuminare con la luce della ragione il mondo ancora
dominato dalla superstizione e tradizione.
Sebbene le lotte e le richieste che si sono protratte nel corso dei secoli per ottenere qualche
diritto, la discriminazione della donna è tutt’ora presente ed evidenziata anche all’interno del
mondo del lavoro.
A livello globale le donne hanno il 30% in meno di possibilità di entrare nel mondo del lavoro
nonostante l’istruzione sia pari a quella degli uomini.
Gli stessi dati dimostrano che sono molto poche le donne che sono riuscite ad ottenere posizioni di
rilievo, ancor meno ai vertici delle aziende. Risulta che la maggior parte delle donne è occupata in
lavori sottopagati, e si osserva che, in tutto il mondo, il salario femminile è inferiore del 20% circa
rispetto a quello degli uomini a parità di mansione.
Oltre al divario retributivo, molte sono le difficoltà con cui una lavoratrice deve scontrarsi
quotidianamente, tra le quali le molestie sessuali. Per molestie sessuali si intendono tutti quei
comportamenti indesiderati che violano la dignità della lavoratrice creando un clima ostile e
sgradevole.
Una donna, indipendentemente dalla sua collocazione gerarchica, può subire ingiustizie e
maltrattamenti sul lavoro; inoltre, sono molte le donne che devono subire abusi per ottenere e
mantenere il posto di lavoro. Ma la principale fonte di discriminazione è la maternità che in molti
casi comporta licenziamento, demansionamento e ostacoli alla carriera.
Uno dei campi in cui la disparità di genere è ben evidenziata è quello scientifico: oggi, meno del
30% dei ricercatori nel mondo sono donne.
I maggiori ostacoli che limitano le donne nel portare avanti la propria carriera scientifica sono la
minor collaborazione dei colleghi maschi, il sessismo e la difficoltà nel bilanciare lavoro e impegni
familiari.
Sebbene oggi i contributi delle donne alla scienza vengano riconosciuti, resta il fatto che le
scienziate, per emergere, devono generalmente lavorare di più dei loro colleghi e devono ancora
superare numerosi pregiudizi.
Fino al secolo scorso molte erano le scienziate che non sono state riconosciute, uno dei casi più
esemplari è quello di Rosalind Franklin, colei che per prima fotografò la struttura del DNA.
Rosalind Franklin nacque nel 1920 a Londra, Kensington. Era una bambina molto intelligente e
appassionata di aritmetica fin da piccola. Durante la sua adolescenza ricevette una borsa di studio,
rarità per una donna in quell’epoca. Entro i 26 anni vantava già un dottorato e la pubblicazione di
cinque articoli scientifici.
Date le sue capacità di chimica, fisica e cristallografa, nel 1951 fu richiesta dal Kings College come
ricercatrice associata per aiutare lo scienziato Maurice Wilkins ad analizzare la struttura del DNA.
Wilkins la credeva sua assistente e non sua pari, questo portò molti litigi fra i due data la
superiorità intellettiva della Franklin.
L’aspettativa sociale di sottomissione della donna danneggiò la reputazione della Franklin e
proprio perché Wilkins non tollerava l’idea di lavorare allo stesso livello di una donna i due
continuarono le loro ricerche separatamente.
Nel 1951 Rosalind scattò la “Foto 51”, la prima immagine nitida raffigurante una vera e propria X
che le consentì di scoprire la struttura a doppia elica del DNA.
Wilkins riprodusse segretamente il materiale rubato alla Franklin e lo mostrò a James Watson, che
nel frattempo stava lavorando con Francis Crick per tentare di costruire un modello 3D attendibile
della struttura della DNA. I due ricercatori dopo il rifiuto di Rosalind a collaborare con loro
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utilizzarono il lavoro a lei rubato e nel 1953 pubblicarono un articolo senza mai citarla.
Successivamente venne pubblicato anche un articolo scritto dalla Franklin facendolo però passare
per un mero articolo di supporto. Nonostante l’assenza del processo metodologico che portò loro
alla conclusione della ricerca, nel 1962 Watson, Crick e Wilkins vinsero il Premio Nobel per la
scienza senza citare in alcun modo il lavoro della Franklin.
Nel 1958 Rosalind morì a seguito dell’esposizione continua ai raggi X e questo le impedì di
denunciare l’ingiustizia subita.
Rosalind Franklin essendo una femminista credeva fermamente nella parità di genere ed era
convinta che la scienza fosse per tutti. Essendo una delle poche donne in un ambiente fortemente
maschilista come questo, ella combatté tutta la vita per la parità di genere che riteneva essenziale
per il progresso scientifico senza preoccuparsi di rovinare la sua “reputazione di donna”.
Il mancato riconoscimento femminile rimane tuttora un fenomeno molto diffuso nell’ambito
scientifico; basti pensare che tutti noi ricordiamo che fu un uomo a inventare il telefono, ma pochi
sanno che fu una donna ad inventare la lavatrice nonostante siano entrambi oggetti che la
maggior parte della popolazione mondiale utilizza tutti i giorni.
L’avvicinamento delle donne alla scienza, per il quale si è iniziato a lottare duramente nel secolo
scorso, aveva un grande problema alla base: l’alfabetizzazione. La percentuale di donne che
riceveva un’adeguata istruzione era molto esigua e generalmente di classe sociale elevata.
Molte università non accettavano donne perché le ritenevano una distrazione per gli uomini, ci
furono però delle eccezioni, una delle quali l’università di Cambridge che arrivò a un compromesso
accettando che solo il 10% degli studenti fosse donna e obbligandole a sedersi in prima fila per
essere “controllate”.
Il divieto alle donne di accedere alle università ha fatto sì che esse emergessero dove era
consentito loro; quindi, nella cura della casa o negli ambiti in cui era maggiore l'uso dell'empatia e
dei sentimenti e questo ha contribuito alla nascita del pregiudizio per cui le donne sarebbero
meno adatte agli ambiti scientifici.
Le donne si trovano a dover lottare contro questi pregiudizi, persistenti nella storia, che si sono
radicati a tal punto da essere poco visibili se non ci si presta attenzione; ad esempio, risulta che il
70% dei genitori è più propenso a far intraprendere una carriera scientifica ai figli maschi rispetto
alle figlie femmine e tendono a investire per loro più risorse.
L’effetto di ciò è visibile nei risultati scolastici: i ragazzi nelle materie scientifiche in media hanno
punteggi più alti rispetto alle ragazze, però ciò non è dato da una maggior propensione maschile
alle scienze, ma per il fatto che i maschi vengono spinti maggiormente verso questi ambiti.
Anche gli stessi professori dedicano ai ragazzi un 20% di tempo in più rispetto alle ragazze che di
conseguenza hanno meno possibilità di sviluppare le proprie capacità scientifiche.
La cultura è uno degli ingredienti per il raggiungimento della libertà; lo sapevano bene i grandi
comandanti e dittatori che, per evitare che le donne potessero sviluppare una propria opinione e
“ribellarsi” alla situazione, ne hanno sempre vietato loro l’accesso. Per esempio, Mussolini,
durante il suo regime fascista fece di tutto per invogliare le donne a stare a casa a prendersi cura
della famiglia e a non proseguire i loro studi. Egli, infatti, aumentò l'importo delle tasse scolastiche
per le studentesse delle scuole medie e delle università. Nonostante questo, molte donne
dell’epoca non demorsero e non abbandonarono la carriera scolastica, permettendo alle
generazioni future di ragazze di avere la forza di combattere per la loro istruzione e, di
conseguenza, per la loro indipendenza.
Anche i mass media rappresentano un terreno molto fertile per sfidare e mettere alla prova gli
stereotipi di genere, ma allo stesso tempo essi continuano a riaffermare che gli uomini sono
mediamente più intelligenti delle donne; in televisione le donne brillanti e intelligenti vengono
ritenute l’eccezione e non la “norma”. Nella nostra società un uomo non si deve preoccupare di
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apparire più colto e capace della sua collega, non deve comportarsi come lo stereotipo della “bella
donna attraente” per attirare l’attenzione in ambito lavorativo. In particolare, la televisione risalta
la figura della donna affascinate ed accattivante su quella acculturata e con una carriera avviata, la
quale viene automaticamente classificata come non all’altezza di considerazione. Risulta che le
donne per ottenere il rispetto e la stima per il loro lavoro devono faticare molto di più rispetto ad
un uomo che viene in ogni caso messo in primo piano.
Nell'ambito lavorativo le donne si trovano in difficoltà a superare il cosiddetto “soffitto di cristallo”
che è «L’insieme di barriere sociali, culturali e psicologiche che si frappone come un ostacolo
insormontabile, ma all’apparenza invisibile, al conseguimento della parità dei diritti e alla concreta
possibilità di fare carriera nel campo del lavoro per categorie storicamente soggette a
discriminazioni1».
Le donne vengono spesso criticate per la loro incapacità nel riuscire a far coincidere il lavoro con le
esigenze familiari. In particolare, la maternità viene vista come un problema per i datori di lavoro
che devono pagare gli stipendi nonostante l’assenza delle dipendenti. Il valore sociale della
maternità viene fatto ricadere sul genere femminile, mentre gli uomini raramente prendono del
tempo dal loro lavoro per partecipare alla cura dei figli. C’è un mancato riconoscimento del valore
sociale della maternità anche da parte dello Stato che non offre servizi adatti per aiutare le donne
che vogliono avere sia una famiglia che una carriera di successo. Per questo, per esempio, negli
Stati Uniti oltre il 40% delle donne dopo il primo figlio lascia un lavoro a tempo pieno in un campo
legato alle STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica).
Nell'ambito scientifico, la preferenza che gli uomini del settore hanno nel collaborare tra di loro
rappresenta un ostacolo per le donne che, di conseguenza, hanno meno opportunità lavorative
portando meno studentesse ad intraprendere un percorso scientifico. Le scienziate guadagnano il
17% in meno rispetto ai loro colleghi maschi nell'UE ed è più probabile che siano part-time o non
siano affatto impiegate. Le scienziate guadagnano il 17% in meno rispetto ai loro colleghi maschi
nell'UE ed è più probabile che siano part-time o non siano affatto impiegate.
A partire dal 2015 ogni anno l’11 febbraio si festeggia la giornata Internazionale per le Donne e le
Ragazze nella Scienza. L’obbiettivo della federazione creatrice di questa giornata è quella di
avvicinare sempre più ragazze nella loro giovane età alla scienza stimolando la loro curiosità
scientifica.
Nonostante tutto quello che ha insegnato la storia sono ancora molti i passi avanti che la società e
le donne stesse devono compiere affinché la parità di genere possa essere riconosciuta e
normalizzata in tutti i campi.
Nell'ultimo decennio in particolare questo argomento è diventato più diffuso globalmente.
Anche le donne, con il passare delle generazioni hanno interiorizzato questa misoginia nelle loro
vite limitando loro stesse e rendendo normali le discriminazioni.
Affinché questa trasformazione abbia un esito effettivo, risulta necessaria la collaborazione di
entrambi i sessi e un radicale cambiamento della società a partire dall’educazione delle
generazioni future e dalla sensibilizzazione dei “boomer e millennials” rimasti ancorati a
concezioni ormai superate.

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Da vocabolario Treccani
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