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Filosofia Moderna

Lezione 1

La filosofia ha sempre avuto la pretesa di dire qualcosa di vero, e questo fa sì che abbia guardato
alla storia in maniera lineare; ha guardato la storia come una serie di tappe non invertibili, e nell’ambito
della filosofia si pensa che i filosofi che vengono dopo, abbiano una visione migliore dei filosofi che li
precedono. La filosofia sostiene le proprie tesi con argomentazioni; la pratica filosofica si è affinata col
passare del tempo. Un astronomo saprà chi è Copernico, ma non ha la necessità, come invece la ha il
filosofo, di conoscere tutto il cammino che a Copernico sta dietro. La filosofia ha sempre faticato a trovare il
suo statuto epistemico, e quindi ha faticato a dire in quali e quanti modi essa si possa definire scienza. Sulla
base di ciò che abbiamo detto, è davvero possibile parlare di “rivoluzioni filosofiche”? Kant fa la stessa
rivoluzione che Copernico ha fatto sulla filosofia? Queste sono questioni della Storiografia Filosofica, una
disciplina che si occupa di studiare in che modo è stata raccontata la storia della filosofia, che si pratica fin
dai tempi in cui essa nacque. È importante che un corso come questo metta in evidenzia i vari modi di fare
filosofia.
La nascita della Storia della Filosofia ha consentito di capire che le storie della filosofia non possono
essere mere storie, ma sono sempre storie filosofiche; è qui il vero problema fra la Filosofia e la storia della
Filosofia. La storia della filosofia racconta le teorie e le strutture argomentative di determinati concetti, ma
è sempre “viziata” da un pregiudizio filosofico. C’è sempre, nella storia della filosofia, una scelta di fondo
che orienta la narrazione in una direzione. A partire dal 1805, da quando Hegel terrà le sue prime lezioni
sulla filosofia, non è un caso che egli asserva la storia della filosofia alla filosofia; per Hegel, tra la scienza
filosofica e la storia della filosofia, intesa non come le filastrocche settecentesche dei filosofi, c’è un forte
collegamento. Una storia della filosofia diretta da un’impostazione teoretica così forte tradisce il dovere del
filologo, che è sapere ciò che è davvero accaduto, scoprire cos’hanno davvero detto quei filosofi.
La storia della filosofia ha il vantaggio di disporre di una molteplicità di alternative, le quali devono
essere tutte tenute in conto dal filosofo che le utilizza. Alternative che consentono di guardare fuori dal
contenitore entro il quale gioco forzo ci si trova quando si intraprende un cammino filosofico. I manuali
sono gli strumenti degli storici, sono la maniera in cui lo storico guarda il susseguirsi e l’evolversi del
pensiero; anche il manuale ha il vantaggio di allenare la mente come una palestra, poiché si passa da
affrontare i problemi in una maniera all’altro, ad un altro metodo. È una notevole agilità nel cambiare il
punto di vista del problema, ed è questa la grande competenza dello studio degli studenti di filosofia.
Avremo noi la capacità di ragionare da tante prospettive, e da abbandonare la grande paura Husserliana:
l’ovvio, il punto da abbandonare per cercare di vedere il mondo nel suo complesso. Bisogna andare al di là
delle opinioni; un sacco di problemi della nostra quotidianità sono dovuti al fatto di non sapere affrontare
determinati problemi della quotidianità. Bisogna porsi nei confronti del proprio interlocutore mettendo in
luce tutte le componenti della tesi del mio interlocutore, che sono il frutto di supposizioni da non
considerare come totalmente ovvie. Il nostro cammino è un cammino fra le grandi vette. Questa agilità che
si sviluppa è un’agilità che scompone le teorie dei filosofi, scomporre in elementi che siamo capaci di
disperdere in punti specifici. I filosofi si servono di mattoncini, ed il nostro compito sarà quello di capire
come i filosofi uniscono e scompongono i vari mattoncini.
Nel 1936 A.Lovejoy scrisse un’opera che diceva che all’interno dei filosofi ci siano dei “Pattern”,
delle Idee Unità, che si ripetono nel tempo. Queste idee sono usate dai filosofi in maniera diversa; le Idee
Unità sono fuori dal tempo. Ci sono elementi come “sostanza” che ricorrono nella storia del pensiero, ma a
seconda del tempo e del filosofo che le utilizza, queste cambiano di significato. Dio è un’idea; l’anima è
un’idea; Kant ci da un suggerimento nella “Critica alla Ragione Pura”: quando parlo di Idea mi inspiro a
Platone, perché Platone ha visto due cose:

 Nell’idea non c’è esperienza, perché quest’ultima è una serie di condizionati


 Le idee sono regolative, è quella grazie a cui le cose sono; sono il fondamento logico e ontologico
del mondo. A Kant queste ultime due cose non interessano, ma gli interessa che l’idea sia regolativa
Kant era nutrito di cultura moderna, non poteva più pensare che avessero un’esistenza autonoma, che
esistevano nella mente del Demiurgo, poiché c’è stato Tomasso d’Acquino, Cartesio e altri filosofi che
hanno portato all’evoluzione del pensiero filosofico.

Lezione 2

Si vuole fare una categoria storiografica dell’epoca Moderna, poiché non c’è una precisa data di
nascita dell’epoca moderna. Gli storici fanno iniziare l’epoca moderna con la scoperta dell’America; gli
scienziati hanno invece come inizio dell’epoca moderna con un trattato di Copernico. In filosofia non c’è un
atto di nascita riconducibile ad una data precisa, ma ci sono una serie di circostanze che avvengono in altre
discipline che avvengono nell’ambito della scienza, della fisica, e dello scisma all’interno della riforma
protestante (Lutero). Momenti che fanno parte di un pensiero che sviluppò categorie incompatibili con
quelle precedenti. Con Cartesio si apre la modernità filosofica, per ragioni strettamente interconnesse. Nel
500 si aveva un’idea della filosofia molto meno strutturale rispetto a quella che abbiamo oggi; l’idea sulla
filosofia, sul fatto che venisse prima delle scoperte scientifiche, era molto più radicata rispetto ad oggi. Oggi
abbiamo due modi di fare filosofia:

 Specialistico, nelle aule universitarie


 Un modo più blando che finisce poi in Tv o sui giornali, e che ha a che fare con gli opinionisti

Con Hegel si chiuderà poi la modernità. Il tipo di riflessione che comincia a imporsi con Cartesio è un tipo di
riflessione che non è più commensurabile con gli autori dell’Umanesimo e del Rinascimento, ma lavorano
con categorie riconducibili al mondo classico, aristotelico e neoplatonico. Ci sono degli elementi portanti
cha fanno da collante fra autori rinascimentali che vengono radicalmente sconfessati, ed è per questo che
molti autori segnano la nascita di un nuovo modo di fare filosofia, e legittimano il fatto che la filosofia
moderna nacque con Cartesio. Con questo, ci sono pratiche che vengono da altri ambiti della produzione
culturale, e ci sono tre punti principali:

 1. Matematizzazione della Fisica: l’idea che si possa applicare la matematica a fenomeni naturali
 2. Critica al Principio di Autorità: tentativo di individuare forme del sapere che non sia l’ipse dixit;
diventa quindi ogni forma di sapere tramandato con la scrittura, ma anche, in una maniera più
modesta, l’inizio della critica a quelle concezioni che vengono assimilate sulla base della tradizione
 3. Una nuova Geografia nelle Comunità della diffusione del sapere: la nascita di circoli culturali non
soggetti al controllo dell’autorità statale, circoli non soggetti al controllo del potere spirituale,
ovvero la nascita delle Accademie, e una su tutte la Repubblica dell’Etre, di cui Leibnitz ha fatto
parte. Aveva il grande vantaggio, questa Repubblica, di estraniarsi del potere della Repubblica

Ripercorriamo ora questi tre punti:

 1. Che cosa significa? Significa un cambio di Paradigma, e ci riferisce a Thomas thum, ci riferiamo ad
una visione che diventa canonica, e che si sostituisce ad un'altra. È il passaggio da una fisica
qualitativa, Aristotelica, a una visione quantitativo, matematizzabile. Un grande autore di questa
modernità è Bacone, l’autore nel Nuovo Organo che stravolge la logica Aristotelica. L’Organo è
l’insieme degli scritti di Logica di Aristotelica, e tuttavia, le tavole Bachiane, erano tavole di stile
qualitativo, poiché si osservava il modo in cui i fenomeni apparivano e scomparivano. L’idea che
non siano le qualità gli oggetti di ricerca della filosofia, ma i principi matematizzabili, è un momento
di rottura rispetto a quello che la filosofia fino ad allor aveva insegnato. Sono molti gli autori che
cominciano a parlare di un libro con caratteri matematizzabili: chi non conosce la matematica non
fa che vagare per oscuri labirinti. È attraverso la matematica che siamo in grado di decifrare la
natura, e questo fa sì che la stessa capacità di conoscere i fenomeni naturali venga rivista; la
distinzione galileiana che è un topos nella filosofia moderna, l’idea che ci siano qualità che si
ripetono e qualità che sono solo nel soggetto, che sono il risultato dell’interazione fra soggetto e
oggetto: il solletico avviene perché un oggetto viene a contatto con un soggetto. Ci sono delle
qualità che variano a seconda dell’organismo che le percepisce, e quindi variano in base al soggetto
che le percepisce. Galileo dice: ci sono delle proprietà dei corpi oggettive, e tutti facciamo
riferimento allo stesso sistema di misurazione: grandezza, peso e misura. Posso sentire un sapore
più aspro o dolce, posso dire che questa mela è più dolce, ma entrambi concordiamo sul fatto che il
Monte Bianco sia alto. Le figure della geometria possono valere da modelli per la misurazione del
reale, poiché li uso per spiegare ciò che nella natura è inspiegabile: la convinzione di poter applicare
questi temi alla natura, è l’idea che mi spinge a rendere la natura oggettivizzatile. C’è un altro
elemento fondamentale che segue a cascata da questa convinzione: per avere una scienza stabile
occorre trovare un modello stabile per la spiegazione, ed è la negazione delle spiegazioni che non
hanno un riscontro nella riproduzione e nella misurazione dei fenomeni. Questa idea porta a
negare due grandi presupposti della filosofia non moderna: l’ilemorfismo, ovvero la convinzione
che ogni sostanza sia l’insieme di materia e forma, che il sinolo debba avere una forma immanente;
non si dà forma senza materia, e viceversa. La materia è in grado di sussistere di per sé, e non ha
bisogno di essere un ente attuale. Vengono anche espunte dalla spiegazione naturale quelle qualità
soprannaturali, che venivano usate per spiegare quei fenomeni non spiegabili: non ci sono qualità
occulte, non c’è un ambito che sfugga dall’osservazione dei fenomeni fisici, e non ci sono eventi
nella natura che non siano esprimibili con termini matematici. La matematica diventa un oggetto di
studio del tutto autonomo, e i fenomeni della natura sono i fenomeni che avvengono nell’ambito
della materia, e ciò che avviene in quest’ambito, nello spazio e nel tempo, sono i Movimenti.
Movimento e Materia sono gli unici elementi della Fisica Moderna, e quindi della fisica Newtoniana
e Cartesiana. Il Movimento è cambiamento di luogo da parte della materia. Parte delle riflessioni
Cartesiane hanno qui il loro fondamento: il fatto che la materia abbia un’estensione, il fatto che la
materia sia infinitamente divisibile, poiché ciò che è nello spazio si può dividere: lo spazio è formato
da parti che possono cambiare luogo. Qualsiasi modificazione dei corpi è spiegata nei termini di
movimento: quando un corpo muta, cambia la disposizione delle sue parti all’interno dello spazio.
Questa è, in linea generale, la cornice dove si muove il Meccanicismo, ovvero ciò che appartiene al
mondo dei corpi: ciò che appartiene al movimento, che è inteso come un urto fra parti. Un’altra
conseguenza, che incontreremo poi nei diversi filosofi, è il rifiuto di qualsiasi forma di Finalismo:
sono escluse da qualsiasi spiegazione Meccanicistica, e l’unica causa Aristotelica tenuta è la Causa
Efficiente. Ogni causa ha un effetto, ma l’effetto è il risultato di una causa che lo precede in maniera
efficiente. Introdurre le altre cause sarebbe come introdurre delle cause inosservabili. L’unico
filosofo che ha una predisposizione al finalismo è Leibnitz, per arrivare a una seria reintroduzione
del finalismo dello studio della natura bisognerà aspettare Kant con la Critica del Giudizio, quando
parla di “Non arriverà mai un Newton capace di spiegarci come cresce un filo d’erba”. Questo
qualcosa che sfugge è un fine, un orientamento verso uno scopo, una forma di teleologia che deve
essere lasciata fuori da ogni studio sulla natura. La natura non si accontenta di passare da causa ad
effetto, deve trovare una direzione, e la direzione è quella della ragione, che non può fare a meno
di trovare un fine all’interno della natura, che sembra essere ordinata secondo un fine, che sembra
essere l’uomo. Questo è il modello dell’Universo Macchina, libro di qualcuno che ci viene
consigliato, dove si spiega questa fisica dove non viene introdotto più nulla che non sia metafisico,
poiché la natura si studia su quello che si vede, e da qui lo Sperimentalismo, che è un metodo
opposto al Deduttivismo della Filosofia Classica. Questa è un’operazione importante che ci spiega il
rapporto fra gli scienziati e il loro oggetto; Hume scrive “Un tentativo di applicare un metodo
sperimentale alle scienze morali”, ovvero alla scienza dello Spirito: vuol dire lo studio dell’uomo
non in quanto corpo-macchina come ci dice di fare Cartesio. Si vuole guardare il tutto con lo stesso
atteggiamento sperimentale: Cartesio rifiuta lo stesso discorso empiristico che deriva da Aristotele,
ovvero che la natura non fosse la copia caduca di una realtà prima, ma che fosse una natura che
doveva essere studiata nell’ambito nel quale già è immersa. Anche il corpo umano è una macchina,
e si spiega sulla base dei movimenti che accadono al suo interno: non c’è bisogno di introdurre
questi principi di forza nella spiegazione di ciò che è natura corporea; processi vegetativi e processi
sensitivi si spiegano sulla base dei processi sulla natura. L’ultima opera di Cartesio si chiama “Le
passioni dell’anima” dove si espone una fisiologia materialistica: una presentazione del corpo
umano solo sulla base dei principi meccanici che determinano il corpo. Cartesio è un Dualista, non
era un materialista, ma è stato colui che ha aperto la via al materialismo moderno, poiché ha fatto
sì che si potessero spiegare tutti i fenomeni del corpo, compresi quelli cognitivi, sulla base dei
processi meccanici che regolano il corpo. Lametrie, un filosofo, scrisse, alla corte di Federico II,
“L’uomo Macchina”, che è il testo più scandaloso della modernità: è facile capire come una
professione meccanicistica ci induca a credere che non siamo liberi, e quindi non siamo
moralmente incolpabili per ciò che facciamo, e di conseguenza Dio non esiste. L’Ateismo e
Materialismo sono compagni di viaggio, che lo rendono molto inviso agli stati più conservatori della
società. Ieri abbiamo parlato di “The Ghost in the Machine”: l’anima diventa uno spirito invisibile
all’interno d’una macchina che potrebbe tranquillamente funzionare da solo. Costruisco una
narrazione intorno a questa credenza che mi porta a dire che l’anima è una mera aggiunta a ciò che
davvero mi serve, ovvero il corpo. Il mondo della natura che si può studiare in maniera
soggettivizzatile mi fa allontanare da cosmologie o visioni non ateistiche; l’autorità della scrittura
non è quella finalizzata all’ambito in cui lavorano le scienze. Questa è la prima cosa che ci viene in
mente quando pensiamo al rifiuto di un’autorità: il rifiuto dell’autoritas aristotelica, e in campo
medico si abbandona il Galismo, ovvero la spiegazione del corpo umano sulla base degli umori, e da
qui abbiamo la scoperta che il cuore non scaldi, ma è una pompa che manda sangue in giro per il
corpo. Una delle scoperte di Cartesio è stata quella della Ghiandola Pineale, mito filosofico, punto
in cui anima e corpo entrano in contatto con un passaggio che avviene tramite spiriti rarefatti, e
questo viene fatto guardando la nostra Ipofisi nel cervello: è l’unica che non ha una disposizione
geometrica; capiamo che la formazione anatomica serve per spiegare subbi filosofici. La sua teoria
dell’Idola, immagini prefigurate, pregiudizi del linguaggio, pregiudizi della balia che si assumono col
latte non appena siamo nati, pregiudizi che vengono instaurati in noi molto prima che impariamo
ad utilizzare la ragione, e che, senza quest’ultima, ci avrebbero fatto divenire persone diverse. Si
contrappongono due veri principi di autorità: la Ragione, come nel caso di Cartesio, che mi dice
cosa è vero e cosa e falso, e l’Esperienza; la verità non è più una facoltà utile, a meno che in questa
non venga riconosciuta Ragione e Esperienza. L’opera di Cartesio è un’opera che diventa poi a sé
stante, ovvero il “Discorso sul Metodo”: tutti gli uomini hanno ragione, e il discorso sul metodo sta
solo sugli accidenti, e questo lo dicevano anche gli scolastici! La Ragione non ha più o meno: il fatto
che uno sia più o meno ragionevole è solo perché uno ha un metodo che lo spinge ad usarla bene, e
ciò vuol dire avere uno strumento per mettere in discussione le cose che ci fanno sembrare di
essere più o meno intelligenti degli altri: pregiudizi e concezioni che abbiamo accumulato senza
volerlo non devono passare dalla ragione. Le Virtù Epistemiche sono quelle che vengono applicate
da coloro che hanno un uso costante dei propri principi conoscitivi; Cartesio investe il proprio uomo
nella capacità di servirsi di questa Ragione. Due parole su questa Ragione di Cartesio: il Buon Senso,
il Lume Naturale (come lo chiama Cartesio), è un sintagma che si trova nella storia della filosofia, e
lo troviamo anche in Agostino: è la scintilla divina che ci rende diversi dagli animali, ciò che ci
consente di scegliere il bene rispetto al male, ed è ciò che costituisce la nostra Coscienza Morale. Il
Buon Senso, in Cartesio, è la ragione usata correttamente: Cartesio strizza gli occhi ai suoi lettori,
che erano nutriti di Montagne, che scrisse “I Saggi”. Opera fondamentale, perché Montagne,
presentando una narrazione quasi disarmata rispetto ai raffinati strumenti metafisici, affronta la
natura umana: indaga le passioni, il rapporto fra gli uomini e gli animali, indaga le virtù, la credenza
dell’esistenza di Dio, e tutto questo lo farà guidato dal Buon Senso: Gli uomini sono superiori agli
animali perché conosce il modo di costruire sillogismi, ma non è molto più intelligente l’animale che
è in grado di costruire tele o altre cose simili? L’animale, che non ha bisogno di costituzioni o
Repubbliche? Siamo sicuri che il linguaggio ci rende più perfetti rispetto agli animali che hanno un
semplice linguaggio per comunicare fra loro? Con questo tono Montagne affronta i temi della
filosofia, e li affronta facendo fuoriuscire il suo Scetticismo. Questi temi vengono affrontati con un
po’ di moderazione, bisogna sospendere il giudizio, servirsi del lume naturale che ci fa capire che le
cose non stanno come nei manuali scolastici. Cartesio non giudica ciò che non passa in palio alla
ragione: Cartesio vuole fondare il sapere, vuole fondare la scienza, e ha la profonda convinzione
che il sapere abbia un fondamento stabile che vada cercato in un qualcosa di stabile, ovvero nella
Ragione: l’ultimo punto di riferimento della validità delle credenze, è ciò da cui si parte per fondare
un sapere che sia certo. Bisogna quindi, seguendo questo metodo, rivolgere lo sguardo al Soggetto:
il soggettivismo parte dal soggetto, ed è un tratto distintivo della filosofia moderna; si apre uno iato
fra soggetto e mondo, poiché all’interno del soggetto c’è la conoscenza che trascende l’oggetto di
cui fa conoscenza. Con quali strumenti il soggetto prende il mondo? Questo è il grande problema di
Cartesio e degli Empiristi, perché si abbandona la connessione col fatto che il mondo ha una
struttura fissa al quale il soggetto attinge per avere una conoscenza certa: la validità del sapere sta
nella ragione del soggetto. Non è la stabilità dell’oggetto a garantirmi che la conoscenza è vera, ma
io sono arrivato a quella conoscenza con una serie di regole che mi mettono al riparo da quella
serie di concetti che mi portano ad avere una conoscenza illegittima (pregiudizi e cose simili). C’è
una via attraverso cui devo condurre la ragione per arrivare ad un sapere certo: il cammino della
conoscenza passa attraverso sé stesso. C’è una Biografia quasi contemporanea di Bailet, un amico
di Cartesio, ed è l’unica fonte della vita di Cartesio, ed è una fonte più o meno attendibile: Cartesio
studia in un collegio Gesuita, e questo è il massimo grado di istruzione che si poteva, all’epoca,
ricevere. Questi collegi erano molto esclusivi, ma avevano anche posti allievi posti per allievi
meritevoli, seppure non appartenenti, questi allievi, a caste alte della società. Cartesio studiò
l’armonia musicale, pensando che determinati criteri matematici potessero essere applicati ai
convenzionali schemi della natura. Nel 1618, in Europa, scoppia la Guerra dei Trent’Anni, Cartesio si
arruola, combatte per un periodo indeterminato, al fianco degli alleati dei protestanti della Francia.
Non si sa delle esperienze belliche di Cartesio, forse non ha combattuto nemmeno una guerra. In
Olanda, Cartesio venne a conoscenza con Bekerman: Cartesio sostiene di essere il primo in
assoluto, non ha maestri, non riconosce di avere maestri: ha un ricchissimo epistolario che è l’unica
fonte attendibile della sua biografia, ed è qui che si possono rintracciare delle linee di paternità con
il matematico olandese, dal quale Cartesio comincia a assimilare le capacità matematiche che non
si limitavano all’istruzione dei Gesuiti, poiché sorge in lui l’idea che la natura possa essere
matematizzabile. Le opere di Cartesio hanno come idea principale il Sano Intelletto, che hanno
come scopo l’individuazione di un Lume Naturale, che verrà di fatto specificato soltanto nelle
“Regole alla guida all’intelletto”, che esce postumo. Nelle regole ci sono due cose importanti: l’idea
del metodo, e l’idea che la ragione vada cercata dal soggetto stesso.

Lezione 3

Cartesio, nelle meditazioni, fa vedere come il soggetto ripercorra una serie di passaggi per arrivare
all’oggetto della conoscenza che non hanno un riscontro coi metodi antichi dei suoi predecessori. Le
“Regole per la Ragione/Intelligenza” è il modo che Cartesio usa per percorrere quella strada che porterà
alla conoscenza; la sua cultura è quella, come dicevamo, scolastica, poiché l’imprinting è Gesuita. Bisogna
uscire dal mondo dei libri e arrivare al mondo degli uomini, mondo che risulta essere insoddisfacente.
L’unico modo è tornare su sé stesso; c’è l’idea che la ricerca verso la verità debba partire nei confronti
d’una ricerca che il soggetto fa verso se stesso. Ciò che il soggetto deve rincorrere è presente all’interno del
soggetto, poiché lì risiede la sua capacità congenita di distinguere il vero dal falso: il buon senso, il Lume
Naturale, o, più tecnicamente, la Ragione. Cartesio ritiene che la ragione sia ciò che lo contraddistingue per
essenza. Il punto di vista soggettivo che Cartesio adotta è un punto di vista soggettivo, ma non
individualistico; sono il cammino della ragione, che parla in ognuno di noi, che parla per la verità. Gli scritti
di Cartesio nascono come opera introduttiva, che Cartesio pubblica nel più stretto anonimato, ma che viene
poi esplicitata da Padre Marsen. Solo nel ’39, pochi anni dopo l’edizione dell’opera, Cartesio acconsentirà a
farla pubblicare col suo nome in copertina. Diventò ben preso un genere letterario, un discorso sul metodo,
che si trova in tutti i grandi trattati della modernità; si trova nell’ “Enciclopedie” anche un discorso
preliminare che si ispira al discorso preliminare di Cartesio, che spiega come si intende andare a svolgere la
ricerca sul sapere.
Nella prima parte Cartesio cerca di individuare un punto di partenza per la sua ricerca, e definisce il
compito che la scienza deve avere per la ricerca di questa verità. Abbiamo detto ieri che siamo fuori da ogni
condizione contemplativa, e questa prima parte è seguita dalla seconda parte, che è la parte che Cartesio
enuncia le regole di questa nuova via che si devono condurre per compiere il miglior compito possibile:
distinguere il vero dal falso. Il metodo è uno, ed è valido in ogni campo del sapere. Qui sta la prima
connessione fra la matematica come modello metodologico del sapere, e la filosofia, una connessione che
diventerà dominante nella filosofia moderna: ha ragione chi disse che il Seicento è un secolo geometrico,
perché la matematica non è solo la chiave per comprendere i fenomeni, ma risponde alla struttura propria
del reale; la matematica è un modello di certezza, modello che mi permette di idealizzare ricondendo a una
stabilità la caducità dell’esperienza. L’esperienza deve essere ricondotta ad un modello stabile; la ragione è
quel modello unitario che permette di conferire conformità al sapere. Cartesio si serve dell’immagine della
città e della pianta della città per giustificare la sua presa di distanza dalla varietà di conoscenza che
vengono messe a disposizione dell’aspirante filosofo.
Di fronte a questa molteplicità di saperi, occorre radere tutto al suolo, e ricominciare come farebbe un
architetto che da capo ristruttura un’opera, che fa però riferimento ad un solo comandante dell’esercito,
ovvero alla Ragione. Soltanto l’opera di un solo architetto ha bellezza e ordine, e solo in questo modo si
introduce un concetto chiave del suo metodo: le scienze come sono proposte sono agglomerati che si
correggono vicendevolmente, sono vecchie mura non adatte allo scopo. In base all’opinione di molte
persone queste scienze sono state rivisitate, e come un edificio viene meglio se fatto da un solo architetto,
anche la scienza migliore sarà quella fatta da una solo testa. Il “Discorso sul Metodo” è del 37, le
“Meditazioni” sono del 41. Bisogna ripartire dalla Ragione, che ben guidata sarà in grado di trovare il suo
fondamento. La città che cresce per agglomerati urbani, che non è frutto di un solo architetto non è
ordinata: metafora che indica un sapere che cresce per progressioni progressive; dall’altro, le conoscenze
che si possiedono vanno abbattute per poter ricostruire una casa solida a partire dalle fondamenta. Il
soggetto è l’unico che può valutare la verità di questa Scienza Rigorosa. La filosofia come scienza rigorosa è
il progetto di fondazione di tutta la modernità: Cartesio è un grande autore, e quando arriveremo a studiare
Busserl vedremo quanto Cartesio c’è nel voler ridurre l’esperienza nell’Io Trascendentale. “Voglio abitare in
una casa di mia proprietà”, dove non ho paura che qualcuno possa rivendicare ciò che non mi appartiene:
questa è un’altra metafora.
Le regole sul Metodo sono quattro, mentre sono ventuno in un testo a caso. Vediamo le quattro regole:

1. Bisogna studiare la mente umana


2. Nella ricerca della verità si deve usare un metodo
3. Tale metodo prescrive di partire da concetti semplici e basilari
4. Occorre studiare la mente umana da cui dipendono tutte le altre conoscenze

Abbiamo:

1. La regola dell’Evidenza: non accettare mai nessuna cosa come vera che io non conoscessi in
maniera evidente come tale, vale a dire di evitare la prevenzione. Abbiamo qui il metodo del
dubbio, che serve per radere a zero tutte le conoscenze instabili del passato: il dubbio è uno
strumento metodologico; infatti, con Cartesio si parla di dubbio metodico, e questo è un altro
elemento fondamentale
2. La regola dell’Ordine
3. La regola della Scomposizione
4. La regola dell’Enumerazione

Il Dubbio rompe la continuità con l’antichità e dà inizio alla modernità. Si consiglia “Storia dello
Scetticismo”, in cui lo scrittore esalta la grandezza di Cartesio rispetto a tutte le tradizioni scettiche
precedenti. Lo scetticismo ha una storia molto antica, ed ha la tendenza a prendere la distanza de posizioni
ferree. Lo scetticismo è una piaga filosofica per coloro i quali ricercano, come Cartesio, un fondamento.
Cartesio trasforma il dubbio da strumento decostruttivo a dubbio costruttivo; il dubbio viene impiegato
all’interno di un’opera di costruzione di qualcosa di solido. Dubito per togliere dal terreno tutte le macerie
che mi impediscono di costruire. Tom Lock era convinto in quali confini ci si potesse muovere prima di fare
filosofia, e che fosse necessario ripulire il terreno per poter edificare la propria conoscenza. Il dubbio mi
rivela ciò che non è evidente; l’evidenza è ciò che rimane dal dubbio, e questi sono due termini opposti.
Non bisogna pensare che il linguaggio non sia tecnico; la filosofia deve servirsi di una terminologia tecnica.
Cartesio ha il proprio linguaggio tecnico, che però sembra perdersi per strada, perché non introduce
termini troppo difficili, come fa Kant.
Quello del “Chiaro Distinto” è un’endiadi riassunto nell’evidenza; una cosa è evidente quando è chiara e
distinta, ma cosa vuol dire essere chiara o distinta? Chiaro è ciò che appare nitidamente alla luce
dell’intelletto; c’è un corpo del corpo e un corpo della mente, l’occhio del corpo vede le cose sensibili,
l’occhio della mente vede le cose intelligibili (Platone). L’occhio della mente vede in maniera illuminata, e
per questo si parla d’un qualcosa di nitido; si vede chiaramente, e la distinzione è il compagno di viaggio
della chiarezza, è ciò che non confondo. Se si potesse vedere il tutto come una platea, l’occhio della mente
non sarebbe in grado di distinguere ogni singola persona. Quando pensiamo a qualcosa, dobbiamo
chiederci “Riesco a vederne i confini?”, “Il mio intelletto mette a fuoco?”. Evidente è ciò che passa l’esame
del dubbio, ed è una pratica che segue dei gradini, dei passi; non prendere per vero ciò che non è chiaro e
evidente.
La seconda regola dice di dividere la difficoltà in tantissime parti, quanto più per poter risolvere il
problema al meglio. Per risolvere il tutto bisogna risolvere prima le sue parti. Si chiama Regola della
Scomposizione, ma una volta si chiamava Regola dell’Analisi (hanno trovato delle incongruenze nel nome).
Ciò che Cartesio intende dire è che bisogna scomporre i problemi in piccole parti. In una piccola espressione
si devono prima risolvere le parentesi tonde, poi le quadre e poi le graffe: così arrivo alla soluzione del
problema tramite una serie di passaggi. Io, intuitivamente, colgo solo i problemi semplici: io, con un atto
immediato so che tre più due fa cinque, ma intuitivamente non so il risultato dell’espressione intera.
L’intelletto coglie in maniera intuitiva ciò che è evidente; l’intuizione è la modalità più certa della
conoscenza. Cartesio dice che solo l’intelletto intuisce, mentre i sensi non possono intuire: Tommaso si
sbagliava, solo l’intelletto coglie con un atto immediato l’evidenza. I sensi, dunque, non giudicano.
La terza regola è quella dell’ordine. Bisogna cominciare da pensieri facili da conoscere, fino ad arrivare
a quelli più difficili da muovere. Come nell’espressione, io non risolvo le cose nell’ordine che mi si
presentano, ma risolvo il tutto seguendo la cosa sulla base del criterio del semplice.
La quarta regola è quella dell’Enumerazione, che consiste nel ricomporre le parti e vedere di non
essersi dimenticati di nulla. Il modello del ragionamento matematico sottende queste regole nel procedere
verso la conoscenza.

La prima regola la affidiamo a questo dubbio iperbolico, che compare appunto nella prima parte dove
troviamo il fondamento della metafisica cartesiana. Le “Meditazioni” ne danno una presentazione più
coerente, e quindi ci affidiamo a queste per introdurre la questione del dubbio.
Il dubbio va esercitato nei confronti di tutte quelle conoscenze che possediamo. Tutte le conoscenze
che noi abbiamo possono riguardare le proprietà che attribuiamo alle cose, le cose stesse, e le “verità
eterne”, che so perché le ho nella testa. Il primo elemento di cui dubitare è sulle cose a cui tutti fanno
riferimento; se vedo un uomo da lontano sembra basso, se si avvicina sembra più basso. Spesso i sensi ci
inducono a creare giudizi erronei; spesso si contraddicono, come quando immergiamo un bastone
nell’acqua e questo subito sembra essere rotto. Nessuno oserebbe fare un’apologia dei sensi, tutti siamo
sue vittime. Dobbiamo dubitare anche dell’esistenza, perché l’esistenza stessa la apprendiamo coi sensi.
Pensiamo ai sogni, celebre esempio cartesiano; nel sogno penso di vivere una realtà concreta, che però è
reale solo per me. Pur ammettendo che il sogno sia una realtà ingannevole, c’è un qualcosa che rimane
vera: se io nel sogno conto, di solito conto le stesse regole che adotterei nel mondo reale. Nel sogno, però,
infrango le regole fondamentali che tengono insieme la realtà delle cose.
Il dubbio diventa iperbolico nel momento stesso in cui nessuno metterebbe in dubbio quello che è stato
messo in dubbio. Cartesio ci parla del Genio Maligno, che è il culmine del tragitto iperbolico del dubbio, ed
è l’elemento che permette di scardinare a Cartesio il dubbio, che è il fondamento da cui si può ricostruire
l’esistenza. Quel che Cartesio dice è: pur ammesso che esista un genio maligno, che ha come unico scopo
quello di ingannarmi, io per essere ingannato devo per lo meno esistere, e da questa certezza
fondamentale parte la metafisica della filosofia cartesiana. Non so se esito come corpo, come sinolo, come
anima imprigionata…esisto, ma cosa sono? Quindi l’ho trovato il punto fermo, e l’ho trovato attraverso il
dubbio; ora occorre però renderla distinta. È qui che parte la distinzione della filosofia cartesiana.
Ciò che concepisco separatamente esiste anche separatamente: quello che la mia mente è in grado di
pensare separato, ciò che evidentemente mi appare separato, è ontologicamente separato, e questo si
riflette nel pensiero. Quando io colgo qualcosa in maniera chiara e distinta, colgo la sua natura vera e
ontologica.
L’onnipotenza di Dio è tale che, oltre a creare le cose, crea anche tutte le verità di cui possiamo
disporre; Dio crea la matematica come Dio crea il mondo. Non esistono verità eterne, ovvero verità che
fanno parte della natura di Dio: Dio crea delle verità che hanno il potere di cambiare. Il vero non è vero in
sé, ma è vero perché Dio vuole che sia vero; è un Dio che può cambiare le regole da un momento all’altro. Il
Dio di Cartesio è quindi il Dio garante delle cose e della verità delle cose. Con Cartesio si introduce una sorta
di Dio dei filosofi, che non ha strettamente a che fare con ciò che viene insegnato nelle scritture. Il Dio di
Cartesio è Verace, ovvero un Dio che non mi inganna, poiché è il garante della verità. Il Dio di Cartesio ti
restituisce la realtà così com’è, e la realtà restituita è dovuta ad un corretto uso della ragione: questo è un
insegnamento epistemico.

Lezione 4

Abbiamo quindi detto che la prima certezza vada cercata nell’incertezza del soggetto stesso. Si deve
quindi riscoprire la visione soggettiva come la sede della ricerca epistemica. La riformulazione cartesiana
“Non prendere per vero quello che non ti appare chiaro e distinto” indica il contenuto di veridicità che
posso dare a un pensiero. Riprendiamo la domanda di una collega, ovvero il dubbio di come elabora la
regola dell’evidenza; il dubbio serve a mettere in discussione le certezze che mi arrivano dai sensi, poiché è
il primo contenuto che si deve mettere in discussione dal dubbio, che ha una funzione metodica. La
possibilità controintuitiva pensa alla validità dei sensi nel mondo intuitivo del soggetto. Si era parlato anche
di matematica, che è un linguaggio astratto che serve a spiegare come stanno le cose. Leggiamo ora in
classe un passo di Cartesio, dove spiega il fatto che 3+2 farà sempre cinque, e dove spiega che il quadrato
avrà sempre quattro lati.
Dubitiamo quindi delle incertezze sui sensi, che ci viene detto essere le cose con le quali entriamo in
maniera del tutto veritiera col mondo. Il metodo non può mettere solo in dubbio le conoscenze dei sensi,
ma si possono mettere in dubbio anche le conoscenze individuali. Il fatto che io ritenga che questa cosa sia
dolce o salata, mi dice qualcosa sulla natura della cosa che ho davanti? Il fondamento della validità e della
conoscenza è garantito dalla specie, e quando si sposta l’onere della veridicità e della conoscenza dalle
forme al soggetto, bisogna trovare un nuovo criterio dell’adeguatezza della rappresentazione delle cose.
Non si tratta più di specie specifiche, ma si tratta di trovare un punto di contatto fra la rappresentazione e
quella cosa. Si tratta quindi di marcare in maniera drammatica lo spazio fra il soggetto e il mondo, quindi
dal teatro rappresentativo, dove viene ritratto dall’intelletto il mondo, e il mondo stesso.
È legittimo dubitare del mondo al di fuori del soggetto; il solipsismo è molto difficile come
argomento, ed è molto difficile uscire fuori dal soggetto, che sappia unire il teatro rappresentativo e il
mondo. Locke dirà che nel momento in cui ho percezione di qualcosa posso dire che quel qualcosa esiste,
ma nel momento stesso in cui questa cosa non ci sarà più, non potrò dire che questa cosa esista. Devo
quindi dedurre la legittimità delle cose che stanno fuori da me, ed è questo l’abisso che si scava fra il
soggetto e il mondo. Perché l’esempio della matematica è importante? Perché riguarda quelle cose che
sono di patrimonio solo dell’intelletto, e la matematica sarebbe valida anche se non corrispondesse a nulla.
Il criterio della matematica sta solo nella coerenza dell’intelletto con sé stesso, la matematica ha una sua
validità perché è opera del solo intelletto. Dubitare della matematica vuol dire dubitare del nostro criterio
di stabilire se una cosa è vera o falsa, ed è per questo che dubitare della matematica devo pensare a una
regia che ha sviluppato questo sistema coerente solo col fine di ingannarmi.
Il Genio Maligno è un ente molto forte, che non ha una volontà buona, ma ha una volontà
ingannatrice. Come ci fa ad ingannare? Non coi sensi, ma ci illude di muoverci in un ambito di certezza
quando tutto ciò che noi crediamo esser vero è finto. Spinge il dubbio dell’incertezza fino a far divenire
questo iperbolico, e nella sua assurdità si svela il fatto che questo genio sia un ingannatore.
Abbiamo detto che il Cogito è il punto d’arrivo della filosofia cartesiana, ed è quindi il punto da cui
ripartire. Troveremo non un “Penso dunque sono”, ma “Sono in quanto cosa pensante”. Arrivo quindi al
Soggetto Pensante, al Cogito, all’essenza del soggetto, che è un qualcosa di immediatamente evidente e
assolutamente semplice, non scomponibile in parti. Il fatto che io esisto è l’unica certezza che si sottrae al
dubbio. Il titolo della meditazione è “Meditazione di Prima Filosofia”, dove la prima filosofia è la filosofia
che parte da ciò che è più semplice, ovvero dai fondamenti, la filosofia che serve come basse di riflessione
che serve per costruire tuti gli ambiti del sapere. Io esisto, ma esisto come? Sono uomo, e quindi sono:
corpo, anima, un insieme di anima e corpo. La domanda “esisto come?” è “qual è la mia essenza?”, qual è la
proprietà senza la quale non sarei ciò che sono? In queste pagine della Meditazione c’è un corpo a corpo
con la tradizione. C’è questa natura fisica che mi sta sotto gli occhi, e l’idea di Paola è che la prima
impressione che ho di un qualcosa è l’impressione sensoriale che ho di quel corpo. Qui Cartesio procede in
una maniera sua tipica, che consiste nel procedere per eliminazione e scomposizione del semplice,
dell’eliminazione del concetto di cui si sta servendo. Se fossi solo corpo non potrei pensarmi senza, ma
siccome, appunto, non sono solo corpo, posso immaginarmi senza; Cartesio dice che potrei continuare a
pensare me stesso anche senza corpo, perché penso di sopravvivere a questa mia vita terrena (faremo poi
un’incursione dell’immortalità dell’anima per Cartesio). Il corpo non può essere ciò che mi rende me stesso,
e quindi, forse, sono anima, ma cos’è l’anima? Qui Cartesio deve discutere con una lunga tradizione
aristotelica, ovvero con la tradizione dell’anima vegetale, sensitiva, razionale… Quest’anima, per Cartesio, è
il Pensiero, il Cogito.
“Non sono corpo, vediamo se sono anima. Devo nutrirmi e camminare, ma se non ho corpo vuol
dire che non potrei mangiare. L’altro attributo è il sentire, ma lo faccio coi sensi, col corpo, e poi c’è il
pensiero: esso, solo, non può essere distaccato da me”, è l’unica cosa che non posso concepire distaccato
da me. Io sono, io esisto, e questo è certo, ma per quanto tempo? Fino a quando penserò! Io non ammetto
nulla che non ammetto essere non vero, e non sono nulla se non ciò che penso. E che cos’è una cosa che
pensa? “È una cosa che nega, afferma, sente”. Queste tre cose sono operazioni del pensiero, e sono attività
che gli aristotelici fossero circoscritte all’attività del corpo, e dal momento che il pensare sia tutte queste
cose, e dal momento che il pensare è la mia essenza, io sono finché penso. Il pensiero è determinazione
essenziale di una cosa, res, di una sostanza, ed è una determinazione permanente; per Cartesio non esiste
che l’anima si assopisca, altrimenti avrebbe dei “vuoti d’essere”. L’anima che pensa, cosa pensa? Pensa a
Idee, a Contenuti che sono le Idee. La conoscenza che ho di me stesso è più immediata quando riguarda
l’anima che quando riguarda il corpo.
“Seconda meditazione della natura dello Spirito Umano” è il titolo della seconda meditazione. Usa
“Spirito” e non “Anima” per non essere preso come un aristotelico. L’anima è ciò che rende atto il corpo
naturale che ha vita in potenza; Cartesio sta però introducendo un soggetto nuovo, e non sta quindi
facendo riferimento alla tradizione. C’è stata una rottura, il soggetto, ora, è il soggetto del pensiero in cui si
raccolgono tutte le attività dell’ambito del mentale. È diventata una categoria portante del pensiero, e
Dualismo significa che ci sono due domini ontologici:

 Reg Cogitans
 Res Extensa

Qual è l’argomento con cui, nella sesta meditazione, dirà che questi due avranno due piani
ontologici differenti? Ciò che noi consideriamo in maniera separata, ciò che noi concepiamo come diverso,
è metafisicamente diverso, e avremmo bisogno di qualche nuovo elemento per argomentare in maniera
diversa su questa tesi. La maniera in cui le mie idee mi rappresentano le cose, è fedele alla natura, alla
sostanza, delle cose; ciò che concepisco naturalmente è sostanzialmente differente, se concepisco i corpi in
maniera distinta, so che i corpi sono Irriducibili: l’Irriducibilità è la caratteristica di ogni dualismo, le posso
concepire senza far ricorso all’altra, sono due domini diversi. Cartesio ci arriva quando dice che noi siamo
anima, poiché mi posso concepire come anima, ovvero come qualcosa che è diverso dal corpo; per farmi
un’idea di me stesso, posso quindi tenere in considerazione solo l’anima. Il primo passo è verso il sensibile,
verso il mondo dei corpi, ma è davvero così? Come funziona quando conosco qualcosa? Esempio della Cera:

Osservo un pezzo di cera con delle caratteristiche: forma, profumo e colore. Questa cera viene messa vicino
al fuoco, e cambia consistenza, colore e profumo. Se mi affidassi ai sensi, potrei dire che si tratta sempre
dello stesso pezzo di cera? Non è rimasto nulla di quel pezzo di cero iniziale, non è forse che io lo riconosco
come quello iniziale poiché si tratta sempre della stessa estensione di mondo fisico? Qual è la facoltà che mi
fa dire una cosa del genere? L’intelletto! Che riconosce essere lo stesso oggetto di partenza
La prima cosa che conosco quando conosco i corpi è la mia mente, ovvero lo Spirito, e poi, grazie
allo Spirito, conosco i corpi. Se non avessi l’intelletto, se non avessi lo Spirito, non conoscerei nulla; tutto
parte dal soggetto, e lì sta il fondamento di ogni sapere, una metafisica a fondamento di ogni scienza.
Abbiamo il problema del Solipsismo: so che il mondo lì fuori non mi dice altro che “Io esisto, io penso”, non
ho nulla che mi dice che posso dubitare dei sensi, poiché sono solo con me stesso.
Ad un esame approfondito di idea bisogna approfondire Cartesio, perché Cartesio è colui che fondò
questo termine moderno e contemporaneo. A partire da Cartesio, e da qualche suo precursore, l’idea entra
nelle menti, cosa che non era vera per Platone: le idee non sono entità autonome sussistenti, archetipi, ma
sono sempre contenuti di un contenitore, che è il pensiero. Il Cogito e l’Idea sono sempre correlati: l’Idea,
per Cartesio, in risposta ad Hobbes, disse: “Prendo il nome di idea come tutto ciò che è concepito dallo
spirito. Ciò che amo e temo è contenuto di queste idee”. Il contenuto di pensiero è racchiuso all’interno
dell’ida, ed è tutto ciò che popola il pensiero. Questo è racchiuso nella mente anche dei filosofi: le idee
erano le formule che si definivano essenze all’interno della mente di Dio. “Chiamo Idea tutto ciò che
concepisco, ed è la forma di ogni percezione”.
Le idee possono essere di tre tipi, e questo lo dice in una lettera a Padre Marsen:

 Adventizie, come l’insegna di Sole, che arriva da fuori, dai sensi


 Fittizie, prodotte dalla composizione di altre idee che abbiamo nella nostra mente, fra cui possiamo
mettere le idee degli astronomi che hanno sul Sole
 Innate, come l’idea di Dio, della Mente, del Corpo, e di tutte quelle cose che rappresentano essenze
vere ed immutabili. Nella mia mente ho idee di cose che non derivano dai sensi, ma sono innate,
idee impresse sulla mente degli uomini da Dio come sigilli sulla cera

Bisogna dimostrare l’esistenza delle idee innate, bisogna dimostrare che qualcuno me le ha impresse,
qualcuno che nel creare lo spirito le ha equipaggiate con questa dotazione originaria. Potrebbero essere
idee Fattizie, idee che ho prodotto da me, ma che non so che prodotto io; potrebbe essere l’idea indiana
che io espando il mio pensiero a ogni individuo, e finisco per colpire tutti. Le ragioni per cui suppongo che il
Sole arriva da fuori è perché sono nozioni che ci sono venute dai sensi, ma non sono idee forti; bisogna
considerare gli oggetti della matematica, che sembra che la mia mente possegga tramite l’imprinting che
qualcuno che è riuscito a darmi.
Nella terza meditazione Cartesio si domanda “Posso applicare all’idea la stessa considerazione che
costoro applicavano alle cose del mondo?”. Si leggeva che gli oggetti avessero una realtà oggettiva,
un’esistenza concreta, che è una realtà formale, la maniera con cui quelle cose esistono nella mente di Dio:
un’istanziazione con cui le cose stanno nella mente di Dio. Si può fare la stessa cosa con le Idee? Sì! Le idee
hanno una realtà formale, che significa: che cosa sono le idee dal punto di vista ontologico del Mondo?
Sono una modificazione della sostanza, ovvero della sostanza pensante, e possono essere definite come
Accidenti. Le Idee sono modificazioni di una sostanza, pensante, e tutte le idee, in questo modo, sono tutte
uguali, poiché sono modificazioni della sostanza pensante. Gli oggetti esistono come contenuti delle idee, e
quindi nella maniera in cui, nella mia mente, possono stare i miei oggetti; la realtà oggettiva è il contenuto
della mia Idea. Questa distinzione fra realtà oggettiva e soggettiva sarà quella che permetterà a Cartesio di
confutare il Solipsismo.

Lezione 5

Il Soggetto è certo, e c’è uno studio quindi delle Idee, a cui il soggetto è immediatamente
consapevole. Le idee sono una buona via per gettare un ponte che copre il soggetto dal mondo. La prima
via percorsa è quella delle Origine delle Idee, quelle Avventizie, Fittizie e Innate. Quelle innate potrebbero
essere le idee valide solo se il mondo non ci fosse. La via delle Origine delle Idee è un sentiero interrotto,
poiché non porta a Cartesio molti risultati, poiché si ricade nella procedura del dubbio. La via che porta a
risultati migliori è la via che porta alla Distinzione dei due piani ontologici. È una distinzione dell’antichità, e
Cartesio tratta le idee come oggetti, che non sono considerate essere sostanza. Le idee non sono, secondo
Cartesio, enti che sussistono di per sé, hanno bisogno di una mente che le pensi; le idee sono modificazione
e accidenti di una sostanza, che è quella pensante. Questo fa sì che le idee siano tutte uguali; per “idea”
Cartesio intende proprio tutto ciò che si pone immediatamente alla mente: ragionamenti, passioni e stati
mentali. Così considerate le idee sono tutte uguali. Considerandole come immagini, è evidente però che
esse siano differenti le une dalle altre: se le distinguo per il contenuto, per il fatto che l’idea rappresenta
qualcosa, vuol dire ribaltare l’immagine platonica dell’idea, che non rappresentava un bel niente, e che era
essa stessa un archetipo. Era un evidente segno di anti-platonismo, di anteporre all’oggetto originale come
sua copia, anziché mantenere l’idea come originale e l’oggetto come ogni sua copia. Nell’idea, quell’oggetto
è presente in una maniera che non sarà mai, che non saturerà mai il grado di perfezione di quel modello
che quell’idea ritrae. L’idea è in un qualche modo l’effetto dell’oggetto, e ciò che ritraggo nell’oggetto ha un
grado di perfezione maggiore rispetto a quella che ritraggo nell’idea. Cartesio lascia trasparire degli
Assiomi, ovvero delle verità che il nostro intelletto accoglie come subito vere, come per esempio “Il tutto è
maggiore della parte”. Se lo studio delle idee come origine non ci aiuta, proviamo lo studio delle idee
seconda la realtà.
Il fatto di distinguere il vero dal falso nella causa ci deve essere, maggiore realtà dell’oggetto.
L’oggetto deve possedere una realtà maggiore o uguale, dove “realtà” è la quantità dell’essere, ovvero
perfezione. Ogni causa ha un grado di realtà maggiore o uguale a quello che avrà il suo effetto. L’unica che
rappresenta un problema è l’idea di Dio, poiché dal punto di vista formale è uguale alle altre idee, ma dal
punto di vista della realtà oggettiva rappresenta un oggetto che ha tutte le perfezioni al massimo grado.
Questa causa dell’idea deve avere una realtà della realtà oggettiva dell’idea, ed io, come Res Cogitans, ho
una realtà formale minore, meno perfetta, della realtà oggettiva dell’Idea; quindi, non posso essere io la
causa. La rappresentazione non saturerà mai l’originale, non potrà mai raffigurare lo stesso grado di
perfezione che è presente nell’universale. C’è una priorità sugli accidenti sulle sostanze, e sugli oggetti sulle
idee. Le realtà oggettive delle idee sono meno reali delle realtà degli oggetti che le producono. L’idea di Dio
deve rappresentarmi un oggetto almeno pari alla mia idea di Dio considerata nella sua realtà oggettiva. E
poiché io oggetto non ho tutte le perfezioni dell’idea di Dio, non posso essere io quella causa che l’ha
prodotta. Cartesio scarta l’idea che l’idea di Dio sia un pasticcio di proprietà che poi raccolgo intorno ad un
sostrato immaginario. Una volta che trovo Dio come l’essere che ha quel grado di perfezioni, la strada è in
discesa.
In Dio sta il fondamento ontologico dei suoi effetti. Con la materia e l’estensione, Cartesio dice che
la natura può essere compresa dall’intelletto umano. La matematica è quello strumento che deve essere
rimesso da Dio sulla cera, per studiare i rapporti geometrici che fanno parte delle mie conoscenze non
spiegabili. /La res extensa è solo una per tutta la natura, mentre ogni intelletto è una sostanza a sé stante/
Il corpo è una modificazione della res extensa, mentre le sostanze sono le anime. Cartesio non riesce a
provare l’immortalità perché all’altezza delle Meditazioni si dice che l’anima è diversa dal corpo, e quindi
restituisce uno stato di cose. Quindi, le mente e i corpi sono diversi, ma come tutte le distanze finite le
menti e i corpi non hanno bisogno di altro che di Dio. Dio non ha bisogno di altri di sé stesso per sussistere,
mentre le anime e i corpi sono causate da Dio, e hanno in questo il principio del loro essere e il principio del
loro non essere. Il fatto che l’anima sia una sostanza inestesa e non corruttibile non è sufficiente a dirmi che
l’anima sia immortale e l’estensione no. Entrambi sono distruttibili, se Dio volesse potrebbe annientarle.
Non possiamo servirci dei fini di Dio per spiegarci le cose, non possiamo essere sicuri del fatto che Dio
voglia annientare le anime. Ciò che si corrompe sono i singoli corpi, che sono come le configurazioni di una
sostanza, ma la sostanza in quanto tale non perisce.
L’idea di Dio è quella che mi consente di uscire dal soggetto e di approdare a Dio. Ha qualcosa che
sta fuori da me, e questo qualcosa di garantisce in tutti quegli ambiti in cui da solo non riesco a garantirmi.
Ha come prima qualità la veracità; il Dio di Cartesio non è buono e provvidente, ma è un Dio verace, cioè
che non inganna. La veracità è il compito principale che Cartesio attribuisce a un Dio che deve far
funzionare il tutto. Fa sì che le conoscenze evidente siano vere, ovvero che si riferiscano a cosa reali. Fa sì
che io possa muovermi con un grado di sicurezza nel mondo, e conosco quindi il vero. Dio non è solo il
creatore, non è solo colui che garantisce la persistenza e l’esistenza, ma garantisce anche la verità. Il Dio di
Cartesio ha questa funzione da “elemento che mi serve”, perché se non ci fosse questa garanzia extra
soggettiva non avrei certezze. Il Dio di Cartesio non è dunque quello delle scritture. Il problema che si pone
a questo punto è un problema di Teodicea: perché se Dio non è ingannatore, io mi inganno? Dove sta la
sede dell’errore? È Dio che vuole che io mi inganni, è una mancanza della creazione? Si chiama Teodicea
perché è un esame della giustizia divina. Leibnitz fu colui che coniò il termine, poiché anni dopo scrisse su
problemi di questo genere. Se Dio è verace ed io mi inganno, è perché Dio è stato troppo generoso con
l’uomo. Gli ha dato l’intelletto capace di rispettare la regola dell’evidenza, ma gli ha dato anche, e
soprattutto, un elemento divino, ovvero la Volontà: è la libertà, il libero arbitrio. Io sono libero di volere, e
perché? Perché sono libero di dare l’assenso a quello che l’intelletto mi propone, e quando io vi dico che
una cosa è vera o falsa, io non sto giudicando solo con l’intelletto, ma sto dando l’assenso a argomenti che
vengono riportati dall’intelletto. Quando dico che nel cerchio si può iscrivere un triangolo, lo dico perché
con l’intelletto ho fatto un ragionamento tale per cui giungo a un’evidenzia che richiama il mio assenso, e la
volontà si trova indotta ad acconsentire a quel giudizio, e mi porta ad affermare che il triangolo sia
iscrivibile nel cerchio. L’evidenza ha una forza magnetica: la volontà ha il compito di dare l’assenso solo
quando ciò che è presentato dall’intelletto è evidente, e non prima; l’errore nasce con l’avventatezza.
L’errore è sul conto della volontà, e non sull’intelletto, e questo perché Dio ci ha creati liberi, e in Dio
“intelligere” è volere. Dio concepisce e crea, l’uomo no; l’uomo ha un intelletto che se ben guidato arriva
all’evidenza, e una volontà molto più ampia dell’intelletto, che rischia di essere precipitosa. Si dovrebbe
quindi sospendere il giudizio, che viene chiama come Libertà di Indifferenza, che è la libertà di
autodeterminarsi nelle scelte (l’asino di Buritano è una ridicolarizzazione di questa proprietà). L’uomo è in
grado di determinare la scelta fra una pagnotta e altro di simile, l’asino no. La Libertà di Indifferenza si
esprime quando le due opzioni proposte mancano di evidenza.
Cartesio è un intellettualista, è convinto che se so ciò che è vero, non posso non affermarlo, e se so
cosa è bene, non posso non volerlo. Questo perché il Bene e il Vero hanno molta persuasione nell’ambito
della Volontà. Quindi, perché se Dio è verace io mi inganno? Perché sono precipitoso e non seguo
adeguatamente le regole del metodo. La sospensione del giudizio è ciò che mi deve lasciare il tempo per
incrementare il mio cammino verso l’evidenza. In questo modo si conclude, nella Quarta Meditazione,
dell’Origine dell’Errore, il problema della Teodicea, mettendo la cosa sul suo conto del soggetto, non
liberando Dio dall’errore. Cartesio non sempre libererà Dio dall’errore.
Possiamo conferire l’oggettività tutta l’evidenza che il soggetto ritrova in sé stesso, ed è in questo
senso che Cartesio può affermare che lo stesso mondo materiale esiste, ed esiste sulla base del fatto che
ciò che i sensi che pure mi sono stati da Dio mi portano a credere con “magna propensio”, con una grande
propensione, non può parlare di evidenza nell’ambito della conoscenza sensibile, ma ciò che i sensi mi
testimoniano è anche vero. Dio mi ha dato la sensibilità affinché io possa avere la corrispondenza del
mondo esterno. Dio è garante anche rispetto a tutte quelle idee che sono fittizie, e che provengono dai
sensi; se i miei sensi continuano a propormi con magna propensa qualcosa, allora quel qualcosa è corretto.
Cartesio può ora continuare con la sensibilità, poiché è ora stata abilitata riconoscendone l’origine divina.
Consiste in una ragione che ha un tot di idee innate, ed è la sensibilità che fa parte di quella componente
del soggetto che è il corpo, al quale quindi si deve dare attenzione. Il mondo è la cosa materiale al quale
sono più certo, e perché Dio mi ha donato un corpo e una sensibilità? La domanda che mi porta a
rispondere a questa domanda è “Che cos’è il soggetto?”. Nessuno di noi direbbe che siamo solo Res
Cogitans, o per lo meno non è l’idea di Cartesio, e questa è l’idea della Sesta Meditazione, che chiude
l’opera, che ci mostra un Cartesio meno rigido che si scontra con la vecchia tradizione.

Lezione 6

Siamo arrivati alla dimostrazione dell’esistenza di Dio, e in quanto è perfetto dev’essere verace, e
quindi non deve essere non ingannatore. La parola cartesiana dice che Dio deve essere esistente, altrimenti
mancherebbe una perfezione. L’essenza di Dio implica l’esistenza come l’essenza del triangolo implica che
la sua somma degli angoli interni sia di centottanta gradi. Leibnitz dirà che ciò che posso concepire è quello
che non risulta contradditorio al pensiero. Estensione e pensiero sono due attributi incompatibili: il primo
implica la materia, il secondo un qualcosa che non ha materia, e quindi un singolo ente non può avere
entrambe le proprietà. L’ambito del concepibile è quello dell’ontologicamente possibile, l’esistenza non
rientra nelle proprietà del nulla. L’esistenza è una proprietà che, per quanto riguarda le cose finite, viene
data da Dio, e questo è il Volontarismo Cartesiano. L’esistenza è il passaggio dalla realtà formale a quella
oggettiva, e questa è un’osservazione interessante rispetto a quello che dicevamo ieri sull’immortalità. CI
sono proprietà che esistono perché Dio vuole che esistano, e Dio ha il potere di togliere le sostanze. Nella
natura non c’è una potenza tale da poter sovvertire la potenza di Dio. Le Meditazioni ci insegnano che ciò
che capita all’anima non è ciò che capita al corpo, ma ci vorrà la fisica per dire che i corpi singoli non sono
sostanze, ma sono soltanto la modificazione della Res Extensa, il risultato delle modificazioni che
avvengono nella materia che altro non sono che movimenti.
Il punto con cui si apre la sesta meditazione riguarda l’esistenza delle cose materiali; è un elemento
a cui Cartesio non è ancora riuscito ad arrivare. La fonte di informazione rispetto alle cose materiali sono i
sensi, i canali che mi testimoniano dell’esistenza di qualcosa fuori da noi, di qualcosa che non appartenendo
a un dominio diverso della res cogitans. Ho una sensazione non solo esterna, ma anche interna, poiché del
mio corpo non ho percezione solo attraverso i sensi, ma anche attraverso quel sistema di sensazioni che
non sembrano passare attraverso gli organi sensori, e attraverso tutte quelle passioni che derivano
immediatamente dal corpo. I nostri sensi, nella loro passività, ci fanno ritenere che le loro modificazioni
provengono da qualche cosa di esterno, che possono essere: sostanze finite o Dio stesso. Questa seconda
ipotesi, secondo Cartesio, condurrebbe ad un infrangimento del principio di economia, poiché perché Dio
dovrebbe trasmetterci delle sensazioni esterne? È più lineare pensare che i sensi danno, con una grande
propensione, è anche vero. Se i miei sensi, all’origine della mia rappresentazione con la rosa, ci sia una rosa
esterna, dal momento che quella rosa può essere prodotta da qualcosa di esterno, si pensa che
quell’oggetto sia la causa della mia sensazione. Il ragionamento è questo: i sensi sono passivi, e contraddice
il fatto che gli oggetti producono oggetti, e affinché questi oggetti possano produrre devono esistere. Una
volta ancora il tipo di procedimento è lo stesso: parte delle idee e arriva alle cause delle idee. Nel caso
dell’esistenza dei corpi esterni, parto dalle idee avventizie e arrivo poi alla loro causa. Quel Dio di cui si
parlava prima non è un ingannatore, e in questo modo Cartesio finisce per arrivare ad affermare il
dualismo.
Fra le cose corporee il nostro corpo occupa una posizione particolare, perché è strettamente
connesso all’anima. Bisogna trovare una giustificazione della natura composita dell’essere umano che è
anima e corpo. Noi siamo essenzialmente anima, e questa ha un rapporto particolare col corpo. Cartesio
deve scontrarsi con vecchi modelli di dualismo classico; si pensava ad un’unione sostanziale dove la
separazione fra il corpo era pensabile solo su base logico, e poi il modello platonico, dove l’anima è
imprigionata all’interno del corpo. Cartesio non accetta nessuno di questi due modelli, ma propone una
crasi, una sintesi, di ciò che è utile delle due concezioni; c’è un passo chiaro dove Cartesio prende posizione
verso la via naturale del proprio dualismo: anima e corpo sono due domini distinti, vediamo come stanno
insieme.
Dal passo che abbiamo letto ci viene detto che le due sostanze sono intimamente connesse, e se
così non fosse io non avrei un’immagine completa del mio corpo. Avrei, in caso contrario, una conoscenza
esterna ci ciò che capita al mio corpo, e questo non accade perché quel che accade al corpo entra
nell’anima in una maniera tale da far suppore una mescolanza, una supposizione, una confusione, fra
spirito e corpo. Metafisicamente anima e corpo sono distinti, antropologicamente sono mescolati, e sono
mescolati sulla base di un fine, che Dio ha voluto realizzare nel creare l’uomo composto da anima e corpo.
Questo è l’unico passo delle Meditazioni che si appella ad una finalità divina; ha sempre sottolineato che i
fini siano imperscrutabili, perché il volere di Dio è imperscrutabile. Il caso dell’unione dell’anima al corpo è
l’unico caso che fa appellare Cartesio a Dio; l’unione di anima e corpo serve a preservare e conservare la
vita dell’individuo. Sta avendo un corpo a corpo con le concezioni aristoteliche e platoniche; il fatto che
l’anima sia il timoniere della nave è dovuto al fatto che ci sia uno svalutamento della conoscenza sensibile.
L’unione sostanziale di Aristotele era per far acquisire più importanza alla conoscenza. Se Cartesio avesse
preso la posizione del vascello, come avrebbe potuto giustificarsi? Il corpo sarebbe divenuto un altro
ostacolo nei confronti della conoscenza.
Il senso della conoscenza sensibile è quella di mantenere la conservazione dell’individuo, ma è
attraverso il corpo che noi sappiamo come muoverci, è attraverso la sensazione di fame che io nutro il mio
corpo. Le sensazioni che arrivano dal corpo mi spingono a conservarmi. Dal punto di vista metafisico c’è un
dualismo, ma dal punto di vista antropologico sono unite, come a formare una nuova sostanza. Quando
parliamo della conoscenza dei sensi abbiamo una regola del metodo. La questione dell’anima e il corpo
sotto il punto di vista fisiologico è fallimentare, poiché si cerca una cerniera per rendere comunicabili due
enti incomunicabili. Il fatto che il corpo fosse solo una macchina, che funzionava a presse idrauliche,
diventava difficile da far combaciare con un qualcosa che non ha materia ed è solo pensiero. Cartesio si
sofferma molto sulla struttura del corpo, e abbiamo ora una doppia immagine dei cartesiani:
 Cartesiani delle Meditazioni
 Cartesiano Scienziato, che spiega non soltanto i movimenti fisiologici del corpo legati al vecchio
ambito dell’anima vegetativa, ma anche quelli legati all’anima sensitiva, ossi a tutte le materie in cui
il corpo sente, percepisce, registra ciò che viene fuori di lui

Le azioni del corpo sono slegate da ciò che accade nell’anima. Cartesio, nelle Meditazioni, citerà la
Ghiandola Pineale, che è il luogo dove si raccoglie la sensibilità, ciò che all’anima arriva dal corpo. Dovrebbe
essere il raccordo fra due domini ontologici differenti, e Cartesio da poi una spiegazione meccanicistica di
come si formano le idee nella mente. Il tutto nasce in maniera meccanica dal corpo, che viene poi riportato
al cervello, e da qui, grazie alle linfe degli animali, Gli Spiriti animali, si rarefaranno e passeranno dalla
Ghiandola Pineale, che perdono la loro natura corporea e acquistano la natura incorporea. La ragione di
questa spiegazione è la ricerca del raccordo fra ciò che la metafisica gli insegna essere compatibile, e ciò
che la fisiologia gli insegna essere congiunto. Introdurrà questa nozione inconcepibile di idee materiali:
determinate configurazioni del cervello fisiche che hanno corrispettive dell’anima. Le idee di Cartesio
devono appartenere ad una sostanza pensante, quindi, tutti i materiali che costituiscono l’oggetto delle
idee della mente non entrano nella mente, ma hanno solo una natura corporea. Trova una soluzione
diversa sul piano pratico, antropologico, in cui mi trovo costretto a riconoscere che la mia mente non è un
pilota al vascello, ma è strettamente connessa al corpo da un piano inventato da Dio. Questo perfette di
salvare la conoscenza sensibile e un Dio che non mi inganna.
Questo pone di fronte a un problema, ovvero della comunicazione non funzionale di corpo e anima,
tutte quelle sensazioni che mi risultano nocive per il mantenimento dell’individuo. Non sempre la voglia di
nutrirmi è benefica per l’organismo. L’esempio di Cartesio è quello dell’idrotico: colui che ha sempre una
sensazione di sete, e la soddisfa, e in tal modo danneggia l’organismo. Cartesio qui parla di un Errore della
Natura, per cui i segnali della gran parte dei casi funzionano, in alcuni casi isolati sono patologici, mancano il
loro obbiettivo, che è quello di preservare la salute dell’individuo, del composto. Emanuela Scribano ritiene
che questo sia il primo caso si un’ammissione d’un errore di Dio, dovuto non alla sua impotenza, ma dovuto
all’imperfezione della materia con cui Dio lavora. Questi corpi hanno dei difetti, tali per cui non riescono ad
assumere la posizione per cui sono stati pensati; ciò succede che queste sensazioni, al posto di andare nella
direzione prevista, vanno in un’altra direzione. Dio potrebbe intervenire, ma non interviene a correggere il
tiro della natura dopo averla creata; Dio non può correggere sé stesso, dovrebbe concepire una natura
perfetta, ma una natura perfetta non è una natura! Questo è un riconoscimento della limitatezza a cui la
perfezione di Dio si trova a lavorare con l’imperfezione della materia. Questo modello è chiamato
“Influssionistico”; quando si spiegherà la causalità fra sostanza diverse o intersostanziali, si parlerà di
influssionistico, ovvero il modo meccanicamente una sostanza entra in contatto con un’altra. La spiegazione
del rapporto tra i domini ontologici sarà una delle preoccupazioni più grandi.
Alcuni seguaci di Cartesio, per confutare questo modello, si deciderà di mettere delle sostanze che
fra loro non posso entrare in contatto; a ogni atto del corpo corrisponde il desiderio di alzare il braccio.
Questo modello poco antieconomico farà emergere il modello Cartesiano; occorreva ricondurre tutto a una
causa comune, in grado di comunicare con entrambe le sostanze. Pensiamo poi al modello Armonicistico di
Leibnitz: il fatto che le modificazioni dell’Universo avvengo tutte sul piano prestabilito dell’intelligenza
divina, e quello che io vedo come causa ed effetto altro non è che una correlazione che non ha nessun tipo
di determinazione causale. Spiegare la causalità diretta è difficile senza ricorrere ad un qualcosa di fisico, ed
è per questo che Leibnitz introduce il piano stabilito. Questo è il problema che rincorre la filosofia. Non a
caso alcuni filosofi post cartesiani tenteranno di seguire questo eliminando un pezzo di queste due metà del
mondo che sembrano incompatibili. La soluzione è quella di uno dei grandi avversari di Cartesio, un suo
grande Antagonista, che è Thomas Hobbes, che è l’altro autore al quale arriveremo, che è l’estensore delle
terze obiezioni delle meditazioni metafisiche. Le Meditazioni iniziano una circolazione precedente alla
prima edizione, grazie a Padre Marseinne, che aveva anche un prestigioso salotto che era un circolo di
raccolta di uomini colti. Hobbes era un precettore privato, e accompagna i giovani rampolli per l’Italia. In
Francia Hobbes conobbe Marseinna, e conoscerà poi Cartesio, che tramite la mediazione di Casandì, si
impacificherà con Cartesio molto tardi. Hobbes accusa Cartesio di plagio, perché ritiene che Cartesio gli
abbia preso degli spunti sulle luci. Hobbes è l’autore delle più celebri confutazioni sulle meditazioni, perché
ci consentono di introdurci in un’alternativa alla filosofia cartesiana.
La filosofia deve contenere il sapere più alto di tutte le scienze. Separa molta strada da questo
punto a quando Hume dirà “Se vedi un libro di Metafisica, buttalo”. La Metafisica fonda la scienza, e la
scienza verrà fortemente influenzata da Cartesio. Hobbes rimane nel solco della filosofia cartesiana, coese
alla Meditazione di Cartesio. Quando gli arrivano le Meditazioni ha già formato un sistema filosofico che gli
permette di non incappare nel dualismo, che taglia via una delle due parti della metafisica cartesiana, e
riconosce che sostanza e corpo siano nella stessa cosa, sono due nomi per la stessa cosa. Le obiezioni che
Hobbes fa a Cartesio ruotano intorno alla possibilità di dare una spiegazione di tipo materialistico ai
contenuti di tipo dualistico che Cartesio offre. Sono tutte risolvibili, queste obiezioni, in una metafisica di
tipo materialista: è sempre una posizione metafisica, e sostengono che esiste una realtà metafisica, e
questa è corpo.
La prima obiezione che prendo in considerazione per vedere poi più da vicino il suo sistema, è l’idea
che il cogito non implichi un io spirituale, ossia il passaggio dal pensiero a “Io sono una cosa pensante” è un
passaggio indebito. “Io penso” vuol dire che ho la facoltà di pensiero, e dire che io sono pensiero vuol dire
ipostatizzare una proprietà, “Se passeggio non sono una passeggiata”. Il passaggio da una proprietà a una
sostanza è incorretto. Sono una sostanza pensante, ma non necessariamente ho il pensiero come una
sostanza pensante, perché potrebbe essere l’interazione, il prodotto, del corpo. Per Hobbes la ragione non
ha un fondamento metafisico, è una facoltà logica che può essere esercitata da corpi, e non determina
l’essenza metafisica dei soggetti razionali. C’è una forma di ragione analoga a quella degli uomini, a
differenza che gli uomini hanno il linguaggio (Hobbes è colui che si fa portatori dell’antica tradizione
nominalistica), ed è quello che mi permette di pensare astrattamente. Se denomino una cosa, so poi che su
quella cosa potrò lavorarci, e potrò “osservarla” meglio. La ragione non è un lume divino, è una facoltà
computazionale, che posso esercitare a prescindere che io abbia o meno un’anima, una sostanza pensante.
La capacità pensante di Cartesio può essere tranquillamente una proprietà del corpo, e questo è confortato
dal fatto che le idee di Hobbes sono tutte idee avventizie, che ci provengono dai sensi, e tutte queste
pervengono al mondo mentale semplicemente col meccanismo dei sensi, che è messa in moto da oggetti
materiali.
Quando penso a qualcosa che non ho mai visto nell’esperienza, metto insieme delle cose che non
ho mai visto. Questa però non è un’idea dell’“angelo”. Credendo che ci siano angeli, noi diamo ad una cosa
che supponiamo esistere prende il nome di “angelo”. Ritiene che la mente sia qualcosa che si sia schierata
contro i pregiudizi; per Hobbes lo devo riempire questo nome, e lo riempio con ciò che ho a disposizione,
ovvero con le immagini visibili, con ciò che mi è entrato nella mente. I contenuti dell’idea sono di cose solo
sensibili, e ho quindi un inganno nella mente, che altro non sono, alcuni pensieri, che nomi. La stessa cosa
succede con l’idea di Dio per Cartesio; non lo mettiamo per immaginare perché dovremmo concepire
l’inconcepibile.
Abbiamo tre questioni:

 Confusione fra Idea e Nome, e quest’ultimo lo do come segno comunicativo ad un qualcosa. È


comunicativo perché con una parola suscito un’immagine nella mente del mio interlocutore. L’idea
è sempre immagine, è qualcosa che mi deriva dai sensi. Le cose di cui non ho sensazione sono cose
di cui non posso sapere. Nella teoria della mente di Cartesio c’è un inganno, perché le idee sono
tutte immagini e hanno un’origine materiali. Le idee che non ho come immagini, che non ho
nell’esperienza, non saranno idee, ma meri nomi
 Nel De Corpore, Hobbes ci spiega che le idee non sono altro che immagini per il fatto che sono il
prodotto della nostra reazione fisica alle pressioni che vengono esercitate su di noi dall’esterno.
Quando tocco o vedo qualcosa, (Hobbes è convinto che il vuoto non ci fosse) c’è una pressione che
si esercita sul mio organo di senso, e questa pressione arriva fino agli organi sensori, i quali
reagiscono alla pressione, e reagendo alla pressione producono un movimento in direzione
contraria, e il movimento è quel che noi chiamiamo essere immagine. L’immagine, il fantasma,
l’idea per Cartesio, non appartiene a un qualcosa di esterno al dominio del corpo, sta all’interno
della sostanza corporea. L’immagine che mi formo di qualcosa è un’immagine legata all’oggetto che
l’ha prodotta, ma non mi dice nulla in più rispetto, appunto, a come l’oggetto mi appare. Queste
immagini sono Fantasmi, Raffigurazioni, nella maniera in cui le cose mi appaiono. Le idee sono
quindi immagini, e sono sempre avventizie. Le idee mi appaiono fuori dalla mente perché sono il
risultato di una sensibilità passiva. Non c’è una res cogitans in cui queste modificazioni sono
impresse, ma sono il frutto di un movimento. È su queste immagini che lavora il pensiero, tanto
degli uomini quando degli animali; non c’è ragione di negare la cosa ai corpi che sono simili
all’essere umano. Il corpo, la macchina del corpo, è in grado di riprodurre rappresentazioni, ma non
solo, poiché riproduce anche l’ordine. Anche l’animale si aspetta che dopo aver fatto esperienza
alla bastonata segua al dolore, ma anche l’animale registra le immagini. Fa tutto parte della stessa
esperienza, ma quello che l’animale è in grado di fare è astrarre, ovvero trasformare la sequenza
delle immagini in un discorso verbale. Quindi, l’animale scappa di fronte al bastone, ma magari non
scappa di fronte a qualcosa che può ricondurre al bastone. L’animale ha un modo di conoscere che
è legato alla Sola Prudenza: prevedere sulla base di un’esperienza particolare un’esperienza futura.
Raccogliendo le classi di fantasmi sotto nome l’essere umano è in grado non soltanto di prevedere
sul breve termine, ma di congetturare ipotesi e arrivare alle tesi. La capacità di calcolo che ha la
ragione non si applica alle singole immagini, ma ai nomi, e così è impossibile congetturare quelli che
saranno gli effetti di determinate cause. La filosofia è una forma di sapere che muove dagli effetti
alle cause, e dalle cause agli effetti.

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