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TEORIE SOCIALI E GLOBALIZZAZIONE - prof Della Pelle

01/03

MODULO A: Autori della filosofia contemporanea: Hursserl e la fenomenologia del novecento, Heidegger
teorico di una corrente collocata all’interno dell’esistenzialismo, Gadamer e l’ermeneutica filosofica (teoria
dell’interpretazione dei fenomeni), Marcuse, Wittgenstein teorico del linguaggio e della logica che ha
rivoluzionato la maniera di comprendere il mondo, Carnap, Popper, Austin. Autori ascrivibili ad un tipo di
passaggio delle teorie sociali, filosofiche, culturali che si rifanno prima ad un tipo di pensiero metafisico per
poi passare ad un altro tipo di approccio nell’età contemporanea.

Hegel, parla di pensiero metafisico e nell’evolversi della conoscenza c’è stato un progressivo abbandono
della metafisica per avvicinarsi a paradigmi quali il positivismo e il neo-positivismo, fino a capire con Croce
la differenza fra scienze proprio ed improprie (scienze di leggi e non di leggi). Questo progressivo
allontanamento della cultura da una prospettiva da un lato metafisica e dall’altro teologica, ha concentrato
gli sforzi delle scienze umane nella direzione di qualcos’altro: questi autori hanno appunto pensato che
questo qualcos’altro è il linguaggio.

Differenza fra linguaggio e le altre realtà con cui entriamo in contatto; esso è principalmente uno
strumento, è altro ed è anche pensiero (pensiamo linguisticamente, ragioniamo linguisticamente).
Propriamente, esso non è una cosa perché la sua natura strumentale fa si che abbia in se un essere così e
così, non è un essere pieno: il suo essere, il suo contenuto è ciò che gli diamo (Status di non cosa). Quando
parliamo di linguaggio, non abbiamo a che fare solamente con la lingua italiana: esistono diverse tipologie
di linguaggio per cui si assiste ad una trasformazione progressiva della parola in immagini, poadcast che ci
consentono di guardare e ascoltare il linguaggio mentre si fa comodamente altro. Linguisticità come rifugio
del pensiero e ritorno all’istanza metafisica: si cerca qualcosa che è al di la, in quell’altro mondo (non fisica
ma metafisica); quel qualcosa che è al di la è il linguaggio.

RIFUGIO E RAPPRESENTAZIONE OLTRE QUESTA REALTA’: METAVERSO COME RAPPRESENTAZIONE

MODULO B: impronta più critica che analizza parti dei manoscritti Manifesto del partito Comunista e
Manoscritti economico-filosofici (da fare brani selezionati).

Dopo aver compreso l’oggi, è fondamentale comprendere la concettualizzazione della reazione della
società dinanzi alla prima globalizzazione nella società comunista: il mondo diventava piccolo (l’oceano si
attraversa, nascono i primi sistemi di comunicazione e tipo di commercio internazionale) e attraversa una
fase di transizione perché si usciva da un modello di stato di un certo tipo: rivoluzione francese e reazioni
ad essa della società occidentale. Si stabilisce che gli uomini sono uguali nel diritto, non ci sono privilegi e
soprattutto privilegio vuol dire che c’è qualcuno che ha qualcosa che gli altri non uno quindi gli uomini sono
tutti uguali: a questo tipo di idea, c’è stata una reazione e negli anni 800 dei manoscritti sopra elencati si
sono sviluppati diversi moti di rivoluzione che vogliono fare in modo che venga promulgata una carta
costituente che gli garantisca diritti, chiedendolo ai sovrani o addirittura provando a costruirla; si inizia a
comprendere che i più (…) fino ad approfondire il discorso sull’alienazione che Marx riprende chiaramente
da Feuerbach, per poi arrivare ai giorni nostri con Capitale nel 21esimo secolo (da fare introduzione e brani
selezionati).

MODULO C: Scritto dal francese Piketty che crede che (...) e scrisse tantissimi dati sull’evoluzione delle
diseguaglianze per quanto riguarda il rapporto fra la crescita demografica e la diminuzione delle ricchezze
all’interno della globalizzazione. Sostanzialmente la storia della nostra società dal 1789 in poi è stata di
diseguaglianza non più legate all’esistenza delle organizzazioni della società (divisione di classe per nascita)
ma ad un altro tipo di diversità legata alla ricchezza: questo aumento di differenza di ricchezza fra i ricchi e i
poveri si è andata diversamente distribuendo; desso accade qualcosa di molto simile rispetto a ciò che
osservavano Marx ed Engels nel’'800.

QUESTIONE FONDAMENTALE: ANALISI MACROSCOPICA DI CONCETTI CHE HANNO ACCOMPAGNATO LO


STUDIO DELL’ECONOMIA NELLA NOSTRA SOCIETA’ E LA SUA EVOLUZIONE SULLA BASE DI TALI MUTAMENTI
LEGATI ALLA RICCHEZZA

Estratto del film il giovane Marx, ispirato ad una serie di scritti di Marx apparsi nel1841-42 in un giornale
tedesco che riguardava in particolare la legge contro i furti della legna; differenza fra la raccolta e il furto
(legni verdi e legni per terra) e si tratta chiaramente di un tipo di rappresentazione che parla di una società
diseguale, che non è più quella pre-rivoluzione francese ma riguarda appunto la differenza fra chi possiede
il bosco ed essendone proprietario, ha il diritto ad utilizzarne la legna e chi non è il proprietario e quindi
non ha il diritto ad utilizzarlo: differenza che riguarda la proprietà e l’utilizzo. Diseguaglianza non derivante
da un diritto di nascita, ma dal POSSESSO (possesso di mezzi di produzione ne Il Capitale). Marx riprende gli
studi li Locke: ragionamento sull’appropriazione legata al lavoro, quindi chi lavora il terreno si appropria del
terreno. Diseguaglianza di altro genere.

Sommariamente, si tratta di una caratteristica e tipicità di una società in confronto ad un’altra: che cos’è
che è di interesse per lo scienziato, per il ricercatore sociale? Abbiamo visto un fenomeno particolare, ma
on tutti i fenomeni particolari sono di interesse perché non tutti hanno un significato; allora la domanda è,
quando un fenomeno particolare ha significato? Il dato, per la scienza, non ha significato se non è
strutturato: è un insieme significante di interesse, ovvero sono di interesse quei fenomeni che non variano,
sono invarianti.

(Esempio della nota: nota da sola, nota nel pentagramma, insieme di note nel pentagramma: melodia, a
prescindere dalle note la parte invariante è la melodia. Esempio: uccelli che volano, il fenomeno invariante
è lo stormo non il numero di uccelli)

A noi interessa l’invarianza, non la varianza; il nostro modo di conoscenza, per fortuna, è strutturato
attraverso dei vincoli. Se tutto fosse estremamente variante non si avrebbe la conoscenza.
EDMUND HURSSERL 1859-1938- FONDATORE DELLA FENOMENOLOGIA

Nasce a Prossnitz (n Moravia, ora Repubblica Ceca) e viene da una famiglia di origine ebraica; i genitori
lavoravano nel tessile mentre egli comincia a studiare la matematica, l’aritmetica e divenne allievo di
Weiestrass. La sua è quindi una scienza dall’impostazione matematica (nei suoi primi studi aveva
individuato un errore strutturale delle lenti **) che si occupa anche della forma (gestalt); durante i suoi
studi universitari è stato anche allievo del filosofo-logico Brentano, dal quale riprende il concetto di
intenzionalità (preso dalla seconda scolastica – intentio) che in questo caso non vuol dire volontarietà ma
tendere, avere una direzione verso qualcosa: intenzionare qualcosa, essere rivolto verso.

Il fenomeno è ciò che appare, che si manifesta e quindi bisogna osservare e guardare ciò che appare.

BISOGNA TORNARE ALLE COSE STESSE!

Questo guardare alle cose stesse significa guardare alla vita, a com’è strutturato il vissuto (ragionamento
scientifico, non spiritualistico). Riprende il concetto di intenzionalità per comprendere la fenomenologia di
Hegel e per porre alla base della propria fenomenologia la coscienza nella propria soggettività. La
coscienza, riprendendo Brentano, intenziona l’oggetto e la rappresentazione interna dell’oggetto.

È come se ci fosse un duplice rapporto: la coscienza ha natura intenzionale perché è sempre riferimento di
qualcosa (fa riferimento a qualcosa che è al di fuori di se)

INTENTIO PRIMA: CONTENUTO DELLA COSCIENZA e INTENTIO SECONDA: ESTERNO, VERSO L’OGGETTO

Il contenuto della coscienza è simile a quello che è la rappresentazione: la rappresentazione è all’esterno e


così la coscienza fa sempre riferimento a ciò che è fuori di se. Studiamo l’oggetto sempre nella struttura
invariabile, quindi Hursserl dice che la fenomenologa deve essere una scienza eidetica, da eidos: idea.

SCIENZA DI IDEE, SCIENZA DI ESSENZE nella misura in cui per essenza intendiamo la struttura invariabile,
che non cambia di un oggetto, di una cosa: essenza come quell’elemento che rende la cosa ciò che è, parte
irriducibile di una cosa. Bisogna studiare le cose nella loro invarianza, nella loro struttura essenziale,
eidetica, nella sua quidditas: essenza, quel qualcosa che lo rende ciò che è.

Per studiare come essenza occorre sospendere il giudizio, mettere i dati variabili fra parentesi per andare a
studiare quella invariabile che è quella che interessa le scienze umanistiche e consente di studiare la realtà
che ci circonda.

EPOCHE’ FENOMENOLOGICA

02/03

Fenomenologia di Hursserl: esame dei modi della coscienza. È una scienza evidentica, la cui attenzione
scientifica del ricercatore non deve essere portata sul mondo materiale ma sulla struttura invariante che
torna rispetto ai fenomeni transeumeni (?) in quanto la conoscenza scientifica cerca quella parte invariante,
che da possibilità alla conoscenza di formarsi e soprattutto scienza di avere capacità di interpretare il
mondo.

In particolare questa struttura invariante è necessaria ad evidenziare le differenza, tema centrale rispetto al
discorso della diversità (ragione di questi studi) attraverso il grado di ricorrenza delle stesse strutture
invarianti che sono IDENTIFICABILI. Senza il concetto di uguaglianza, non-varianza, non esisterebbe il
diverso, la varianza. SENZA IL RICORRENTE NULLA E’ IDENTIFICABILE

COGLIERE L’ESSENZA DEI MODI DI CONOSCENZA

FENOMENOLOGIA COME ANALISI DELLA COSCIENZA NELLA SUA INTENZIONALITA’, LA COSCIENZA E’


SEMPRE INTENZIONALE: COSCIENZA DI QUALCOSA
STRUTTURA DELL’IMPOSTAZIONE FENOMENOLOGICA DI HURSSERL: la coscienza intenziona l’oggetto;
termine preso da Brentano e la scolastica (Domingo de sodo: intentio prima e intentio seconda doppia
relazione, seconda intentio=contenuto della coscienza, parte oggettiva e interna alla coscienza e prima
intentio= rivolta all’oggetto esterno). Il percepito è la seconda percezione, il percepito (il voluto, il
ricordato) è l’oggetto per la coscienza; coscienza come contenuto, ricordo e percezione di qualcosa perché
la struttura che interessa ad Hursserl è il NOEMA, e cioè il pensato della coscienza mentre il NOESIS è il
pensare, l’atto del pensare rivolto verso l’oggetto.

Il ricercatore, il fenomenologo fa una EPOCHE’ FENOMENOLOGICA: mettere fra parentesi il modo fisico-
materiale, sospendendo l’affermazione sulla realtà del mondo materiale quindi il giudizio; perché ciò che
interessa all’analisi fenomenologica è la parte invariante, l’oggettività dei fenomeni del mondo che ne
determina la struttura.

Sospendendo il giudizio, metto fra parentesi il mondo materiale riducendo a fenomeno il mondo: oggetto
di studio, perciò tutti gli oggetti esterni vengono meno perché messo fra parentesi.

Hursserl qui si richiama a Leibniz e alla MONADE: mondo percepito, privato perché è interessato alla vita, al
vissuto, alla soggettività, all’IO. C’è una differenza fra la coscienza e l’oggetto: la coscienza è immediatezza
(non mediato) mentre l’oggetto è mediato perché sta fuori, mediato da fenomeni soggettivi della
percezione (vissuti) che fa in modo che quell’oggetto sia dato alla conoscenza, coscienza.
Quindi l’intenzionalità nei confronti dell’oggetto è mediata da questi fenomeni.

Inizialmente Hursserl nelle sue prime ricerche aveva un rapporto di critica rispetto all’empirismo ed alcune
forme di psicologismo, in quanto non vedevano questa relazione fra logico e psicologico perché le tendenze
dell’epoca miravano ad identificare i due elementi. Allora inizialmente Hursserl guarda alla fenomenologa
come una sorta di psicologia identificativa; successivamente emancipa e guarda con più attenzione il
rapporto coscienza-oggetto e comincia a dire in maniera più incisiva che in realtà, quando si parla
dell’oggetto, non si parla dell’oggetto materiale ma di quello intenzionato cioè del contenuto della
coscienza, dell’oggettualità per la coscienza (per me) ma che cos’è questo per me? La propria soggettività
non può essere materiale altrimenti si tratterebbe di una corporeità che è oggetto fra gli oggetti; la
coscienza di chi pensa e studia i fenomeni è un IO TRASCENDENTALE: io che è altro rispetto alla realtà del
mondo, al quale si ha immediatamente accesso.

Non si parla del trascendentale di Kant: in Kant è come conoscere attraverso; qui invece è inteso come altro
dalla coscienza

CORPER: CORPO MATERIALE e LAIB: VISSUTO perciò l’unico di costruzione di soggettività. in questa
relazione non si parla di oggetto empirico, ma trascendente e cioè di io trascendentale rispetto all’oggetto.

L’epochè (sospensione del giudizio) vale a dire abbandonare l’atteggiamento naturale nei confronti del
mondo e porsi di fronte al mondo come uno spettatore disinteressato al mondo fisico; non si possono
avere certezze, perché interessano i fenomeni soggettivi che costruiscono il vissuto e determinano
l’oggettualità della coscienza: fa riferimento alla

RELAZIONE POSTA SUL LIVELLO DEL MODO DELLA CONOSCENZA, MANIERA IN CUI SI CONOSCE: è il modo di
fare conoscenza che è oggettivo. Il mondo è del soggetto, quindi soggettivo. Le strutture invarianti e
l’essenza sono chiaramente oggettive ed è questo che interessa: l’oggetto strutturato dai fenomeni
soggettivi ATTRAVERSO LA SOGGETTIVITA’ SI COSTRUISCE L’OGGETTIVITA’ (che nei fatti è privata, è mia).
Non è soggettiva perché ricorre, il tutto che è in se’.

Oltre che da Brentano, Hursserl prende da Bolzano l’idea di cogliere le proposizioni in se’: c’è un’esistenza
delle proposizioni che è indipendente dall’essere vere o false, in se’ è. ***es ho visto un unicorno=
proporzione che esiste a prescindere dal fatto che sia vera o falsa***
Sostanzialmente che cosa vuol dire? chiaramente c’è una intenzionalità dei fenomeni psichici, soggettivi
alla percezione che fa si che ogni fenomeno psichico alla percezione sia diretto verso un oggetto; oltre
all’intenzionalità della scolastica e Brentano (di cui Hursserl fa una disciplina: mentre Brentano riferisce
questo concetto all’esperienza in generale, lui la riferisce all’esperienza del vissuto: LAIB corpo vivente,
vissuto del corpo) è rilevante anche la dottrina della proposizione in se’: INSEITA’ DELLA PROPOSIZIONE
VERA DI PER SE’, INDIPENDENTEMENTE DAL VERSO O FALSO (è vero che sia espressa)

Nella fenomenologia, questi fenomeni della percezione costituiscono l’oggettività del nostro mondo,
mondo che percepiamo: l'intenzionalità è quindi quel rapporto effettivo che c’è fra la coscienza che è
immanente, immediata e l’oggetto che è trascendente quindi esterno ad essa (coscienza), che è altro,
trascende la coscienza. Nella definizione di questo concetto, Hursserl si allontana dalla psicologia empirica
che faceva connettere gli atti logici alle azioni psichiche. Non c’è logica ma operazioni psichiche che
costruiscono il mondo; non si desume dalla logica, l’oggettività si costruisce con gli oggetti che si danno alla
coscienza e così si costruisce attraverso i limiti della conoscenza: meccanismi che non variano.

La fenomenologia pura inizia a divenire qualcosa di diverso: una scienza diversa dalla psicologia. “la filosofia
come scienza rigorosa” articolo importante come anche il primo dei volumi sulle idee: quando sospendiamo
il giudizio sulla realtà e riduciamo il mondo a fenomeno, rimane la coscienza come residuo fenomenologico,
che rimane dopo l’epochè.

Epochè concetto che Hursserl deriva dallo scetticismo: assumevano come atteggiamento nei confronti del
mondo la necessitò di mettere in dubbio ogni certezza (dubbio iperbolico su ogni cosa); dimensione che si
pone come un rompicapo in quanto si ha la certezza di dover mettere in dubbio tutto, ma non si possono
avere certezze se si assume il dubbio come metodo di conoscenza della realtà. Ecco perché il dubbio
scettico è stato modificato dal pensiero moderno (Cartesio): il dubbio deve essere solo il metodo
dell’indagine. Nelle meditazioni metafisiche, Cartesio assume il dubbio sui sensi ma stabilisce l’esistenza di
certezze: potrebbe esserci un genio maligno che ci fa fidare dei sensi quando in realtà sono sbagliati quindi
dubbio come metodo d’indagine.

Hursserl sospende il mondo non perché lo mette in dubbio, ma perché non interessa l’affermazione della
realtà, ma il percepito e il contenuto dato alla coscienza. Il ricercatore deve prestare un attenzione nei
confronti del mondo, quindi a quel fenomeno che è il mondo attraverso la COSCIENZA COME RESIDUO DEL
MONDO: IO CHE E’ DISINTERESSATO AL MONDO E ABBANDONA L’ATTEGGIAMENTO NATURALE DI
CREDENZA.

FENOMENOLOGIA COME SCIENZA EIDETICA, INTERESSATA ALLE STRUTTURE INVARIANTI E CIOE’ ALLA
PARTE OGGETTIVA CHE SI DA ALLA COSCIENZA

L’oggetto nel darsi alla coscienza si rende EVIDENTE ad essa . C’è una differenza evidente fra
coscienza e oggetto: l’intenzionalità è quella qualità, quell’atto che la coscienza compie di trascendenza
rispetto all’oggetto come modo attraverso cui la coscienza si mette in relazione con l’oggetto. Nel
fenomeno soggettivo della percezione troviamo il noema (contenuto) e nella coscienza la noesis, la
direzione verso l’oggetto.

Il modo di essere della coscienza è diverso dal modo d’essere dell’oggetto; questa distinzione fa in modo
che la coscienza abbia una percezione immanente e immediata, mentre gli oggetti mediata e trascendente.
Per il modo di essere della coscienza c’è una distinzione fra essere e apparire: pensare al vissuto vale a dire
pensare l’Io Trascendente (diverso da quello empirico che appartiene al mondo, all’oggetto, all’altro) che
entra necessariamente il rapporto con l’alterità.

C’è una fase del pensiero di Hursserl che è spirituale: il problema dell’io trascendentale entra in relazione
con il problema dell’alterità; fino a questo punto l’altro non è stato considerato perché ci si è posti nel
rapporto soggettivo fra coscienza e oggetto e l’altro è solo un corpo materiale e quindi nel progetto
monadico (mondo del privato me) l’altro entra solo come oggetto; però questo oggetto ha un vissuto ed è
così che nelle meditazioni metafisiche di Cartesio Hursserl risponde alle accuse di solipsismo iniziando a
parlare dell’altro in termini di intersoggettività: posti dal punto di vista dell’io trascendentale che non è
solo corpo ma anche vissuto che entra in interrelazione con gli altri. Hursserl inizia ad intendere la relazione
con l’altro in termini intersoggettivi; in particolare arriva a concepire la relazione con l’altro attraverso
l’idea di empatia come relazione non solo con il corpo, ma relazione di vissuto: io entra nel vissuto
dell’altro e viceversa = RELAZIONE FRA SOGGETTI (logica della relazione fondamentale nel pensiero
contemporaneo).

07/03

La fenomenologa è una scienza eidetica: il motto è “tornare alle cose stesse”. Il dato significativo per la
scienza è la struttura, l’Eidos: l’essenza che non varia nel mutare dei fenomeni. L’interrogativo è sul modo
di essere anzitutto della coscienza.

COSCIENZA COME PROTAGONISTA sulla quale è posta l’attenzione nella sua relazione con l’oggetto. In
questa relazione è di fondamentale interesse è l’oggetto in quanto contenuto di coscienza (sempre
intenzionale, da intentio "tendere verso"): interessa l’oggetto CONTENUTO DELLA COSCIENZA:

NOEMA contenuto e NOESIS il percepito, il voluto: per andare a guardare ciò che rende oggettivo il dato, la
parte invariante, il contenuto bisogna mettere fra parentesi il mondo quindi sospendere il giudizio di
affermazione sul mondo con un atteggiamento di spettatori disinteressati e non di certezza sulla realtà del
mondo: EPOCHE’ FENOMENOLOGICA (dallo scetticismo).

Così il mondo si riduce a fenomeno e la coscienza è il residuo di essa: nella relazione fra coscienza e oggetto
ci sono dei tramiti, i fenomeni soggettivi della percezione. Quello che interessa in questa relazione non è il
corpo materiale ma chiaramente il vissuto; il livello che si vuole comprendere è un livello che trascende la
materialità: l’oggetto trascende la coscienza e anche l’io materiale perciò quello che interessa è l’io
trascendentale. Il punto di partenza di Hursserl è la critica allo psicologismo e l’empirismo: l’io logico non è
uguale all’io empirico.

Sicuramente si sta parlando delle cose del mondo e dell’essenza ma quando parliamo della coscienza
parliamo sostanzialmente di un vissuto, di un qualcosa di soggettivo alla percezione “vissuto per me” ed è
per questo che si cercano le strutture invarianti, uguali per ogni vissuto, percezione (Il dato di per sé è
strutturato, sensato, organizzato).

Questo può essere considerato un approccio SOLIPSISTICO: accusa per cui tiene conto solo del “mio
vissuto”, del per me che considera l’uomo come se fosse isolato; dal secondo volume delle idee in poi e
nelle lezioni sulle meditazioni metafisiche di Cartesio, egli abbandona la condizione solipsistica e considera
gli altri, le altre coscienze trascendentali, non solo come corpi ma come coscienze che entrano nel per me: il
vissuto dell’altro entra nel mio vissuto ed ha un effetto: RELAZIONE FRA COSCIENZE IN UNA PROSPETTIVA
SEMPRE SOGGETTIVA, PER CUI INTERSOGGETTIVITA’: la relazione con l’altro si da fra soggetti in cui l’altro è
sempre trascendente rispetto al per me in quanto esterno; l’influenza fra questi vissuti è identificata da
Hursserl come un’empatia: relazione fra i pate (condizioni pateniche dei soggetti, da pathos).

Aristotele sostiene che l’io subisca le passioni: ci sono una serie di fattori chimici organici e biologici che
determinano lo stato d’animo, indipendentemente dalla volontà; la passione è un qualcosa che è subita,
passivamente. L’empatia è proprio questo incontro fra passioni che si allineano e si muovono sulla base
delle relazioni tra questi vissuti. La concezione che Hursserl ha dell’altro è intersoggettiva: le passioni, i
vissuti stanno tra i soggetti. La prospettiva di osservazione resta però quella soggettiva: è il vissuto con
l’altro che modifica me, l’incontro fra vissuti a modificare.
In sostanza gli studi di fenomenologia hanno interessato anche la psicologia: ha significato non soltanto una
corrente scientifica dell’800/900 ma anche un metodo, atteggiamento, modo di guardare alle cose del
mondo: l’approccio fenomenologico fa si che l’attenzione non sia più posta alla soggettività come
corporeità ma come qualcosa che vediamo e che ha significato per noi. Ciò ce importa alla scienza è quindi
il modo in cui si danno le cose alla coscienza: MODO IN CUI SI CONOSCE

Hursserl è maestro di Heidegger di religione ebraica: per questo motivo avrà a che fare in termini negativi
con il nazional-socialismo stando in Germania, infatti gli verrà precluso l’accesso in biblioteca ed anche
l’insegnamento nonostante la sua notorietà. Al termine della sua vita restarono diversi scritti salvati
durante la seconda guerra mondiale come “crisi delle scienze europee” pubblicato negli anni ’50 e nel quale
Hursserl sostiene che le scienze europee avevano messo da parte e dimenticato il mondo della vita,
soffermandosi su di un mondo simbolico: avevano dimenticato ciò a cui la scienza serve all’uomo
(dannazione di prometeo che ruba il fuoco agli dei per darlo al mondo: non serve solo a scaldarsi o
mangiare ma anche uccidere); dannazione prometeica “la scienza serve solo a istruire o costruire?”
interrogativo del ‘900.
HEIDEGGER 1889-1976 – L’ESISTENZIALISMO

Nasce a Messkirch nel Baden in una famiglia sacrestana, in un ambiente sostanzialmente cattolico e
inizialmente intraprende gli studi di teologia (Hursserl di matematica) e si laurea con una tesi sulla dottrina
del giudizio dello psicologismo, con l’influenza di Hursserl nella quale cerca di mostrare la differenza fra il
logico e lo psicologico. Altra influenza subita è quella di Rickert e del Neokantismo con il quale scrive la tesi
del dottorato “dottrina della categorie e significato di Duns Scoto (in realtà di Tommaso di ??, il quale scrive
un libro ”dei modi significandi” sul quale si sofferma Hursserl pensando fosse di Scoto, nel quale c’è un
parallelismo fra i modi di comprendere e di essere, ascrivibile al pensiero medievale). Collocabile nella
corrente di pensiero dell’esistenzialismo. Si interrogava sul senso dell’essere in termini innovativi e
completamente diversi dalla filosofia precedente; non ci si pone sul semplice livello della conoscenza ma sul
livello della comprensione: quando si comprende c’è un qualcosa di motivato per cui si da conto mentre
quando si conosce si evoca semplicemente quel qualcosa (es teorema di Pitagora: conoscere il teorema è
diverso dal comprenderlo perché comprendere vuol dire fare propria quella conoscenza per poterla
applicare, fare proprio il metodo): COMPRENDERE COME APPROPRIARSI DELLA CONOSCENZA. La
comprensione è uno dei modi di essere del mio essere, fa parte di me: mi approprio di quel qualcosa, mi è
proprio: dispongo di questa conoscenza che posso utilizzare.

Nella prima fase del suo pensiero Heidegger si occupa della teologia sotto l’influenza di Hursserl e del
neokantismo di Rickert: si occupa sostanzialmente del pensiero medievale legato a tanti filosofi che sono
anche dei pensatori del cristianesimo; il sapere antico è stato custodito e tramandato da essi, che hanno
trascritto e tradotto le opere degli antichi. Ad es i medievali leggendo Platone sostengo che egli si un’anima
cristiana (pensatore cristiano), seguono da Aristotele l’idea per cui la causa del movimento è la natura ; i
pensatori cristiani riprendono il platonismo e l’aristotelismo, hanno dovuto parlare un linguaggio
comprensibile per cui il concetto di anima è stato utilizzato da essi per spiegare alcune cose (es
resurrezione del corpo). All’inizio del pensiero il dire sulla divinità (universo) è rifarsi ai concetti della prima
filosofia che riconducono il tutto ad un elemento (es. acqua, aria terra). Successivamente si comincia a
concepire una dimensione ideale: Platone e Aristotele vengono letti nel corso della storia del pensiero,
della fisica e della metafisica con categorie che successivamente si stratificano: aggiungono qualcosa ai
pensieri originario (es concetto di persona: all’interno del pensiero greco non esiste, quello più vicino è
quello di maschera; quello di persona è un concetto giuridico e latino, come quello di soggetto che è un tipo
di idea chiaramente medievale e moderno che pensa all’esistenza nei termini di relazione fra soggetto e
oggetto. Non esisteva nemmeno i l concetto di coscienza). Si sono stratificati ed oggi sono concepiti ed
utilizzati: all’origine del pensiero i filosofi dell’antichità hanno cercato di comprendere la realtà
semplicemente pensando, e non pensando il pensiero: perciò la categoria antica e fondamentale nel
pensiero è quella dell’essere, precedente alla coscienzialità e soggettività.

L’approccio di Heidegger alla fenomenologia è quello dell’assunzione di un metodo per comprendere la


realtà: distingue il livello delle cose ontico da quello dell’essere dell’uomo ontologico. Comincia ad
adottare la fenomenologia di Hursserl guardando alle cose stesse, cercando di individuare le strutture
invarianti del modo di essere dell’uomo, indagando la parte strutturale dell’esistenza che è comune, che
ritorna (strutture esistenziali). Utilizza i metodo delle LETTURE FENOMENOLOGICHE: rilegge le letture
antiche dell’origine del pensiero che sono poco stratificate e riguardano l’essere. Comincia a vedere che il
concetto di essere si dava in modo invariante e in questa maniera comincia a dar vita alla prima parte del
suo capolavoro “essere e tempo” (sein und zei) 1927, capolavoro che ha influenzato tutto il pensiero fino ad
oggi; si apre con una dedica ad Hursserl che viene poi rimossa e con un brano del pensiero antico del
“sofista” di Platone. La domanda a cui ruota la struttura dell’opera è che cos’è l’essere? E l’analisi di
Heidegger si può definire analitica esistenziale dell’uomo (metodo come strada attraverso cui arrivare a
qualcosa).
L’Io, l’uomo che è quell’ente che può porsi la domanda sul senso dell’essere: PRIMATO ONTOLOGICO CHE
HA L’UOMO RISPETTO ALLE COSE. L’essere dell’uomo è diverso dagli esseri degli enti perché è colui che può
porsi tale domanda, non si pone solo a livello ontico, corporeo delle cose. L’uomo tenta di dare risposta a
questa domanda che per Heidegger è sostanzialmente la chiave dell’opera, che non ha terminato (doveva
chiudersi con una sezione dedicata a tempo ed essere. La prima era sulla temporalità, la seconda su Kant,
Cartesio ecc.) perché si rende conto di aver utilizzato un linguaggio che non poteva più avere senso.

Utilizza per indicare l’essere dell’uomo l’espressione Da-sein (esserci), intendendo (non soggetto o
persona) l’essere come quel particolare modo di essere nell’uomo che Heidegger chiama essere-nel-
mondo: analisi dell’essere al mondo dell’uomo assumendo anzitutto una certezza, per la quale siamo
possibilità: l’essere dell’uomo cioè l’esserci è sempre possibilità, non è fisso o semplice presenza ma è
possibilità entro le quali si può scegliere, proprio perché ci si può porre la domanda sul senso dell’essere.

Possibilità=scegliere essere=scelta=possibilità da Kierkegaard che analizza l’esistenza dell’uomo come il


singolo essere che ha delle possibilità nella vita, può scegliere (aut aut)

➢ PRIMATO ONTOLOGICO COME POSSIBILITA’ DI INTERROGARSI SULL’ESSERE


➢ DAL PUNTO DI VISTA DELL’ESISTENZA, L’ESSERE DELL’UOMO E’ POSSIBILITA’

L’uomo è possibilità e nel suo essere possibilità ha chiaramente delle relazioni con le cose del mondo:
oggetti, enti ed altri esseri.

08/03

Heidegger appartiene in senso lato alla corrente dell’esistenzialismo ma rifiuterà questa posizione nel
momento in cui altri filosofi si approcciano a questa corrente di pensiero in maniera diversa dalla sua.
Allievo dei neokantiani, riprende anche posizioni di Hursserl ed utilizza la fenomenologia come metodo
d’indagine per il ritorno alle cose stesse: CENTRO D’INDAGINE NON IL SENSO DELL’ESSERE MA L’ESSERE
STESSO attraverso la lettura degli scritti antichi per andare alle origini delle stratificazioni concettuali (di
intuizioni dei filosofi greci sull’origine del pensiero).

ANALITICA ESISTENZIALE: COGLIERE LE STRUTTURE ESSENZIALI DELL’ESISTENZA DELL’UOMO NEL MONDO,


dette ESISTENZIALI strutture invarianti e ricorrenti dell’ESSERCI (esistenza dell’uomo).

KIERKEGAARD: QUANDO PARLIAMO DI ESISTENZA, AL CENTRO DEL RAGIONAMENTO C’E’ IL SINGOLO CHE
E’ L’ESSERE DELL’UOMO, AL QUALE STA LA FUNZIONE DI SCEGLIERE da qui l’essere di Heidegger come
possibilità in quanto componente fondamentale dell’esistenza

ANALISI SU UN DUPLICE LIVELLO: ONTICO delle cose ed ONTOLOGICO che riguarda l’essere dell’uomo che
ha un primato ontologico rispetto agli altri enti: PRIMA DI AVERE LA CAPACITA’ DI PORSI LA DOMANDA SUL
SENSO DELL’ESISTENZA

Tutto l’impianto del suo ragionamento in essere e tempo si colloca su un livello dell’esistenza, è un’indagine
sull’essere dell’uomo (esser-ci), sul senso dell’esser-ci e sulla comprensione; quando parla del
comprendere, dice che assieme ad esso l’essere del mondo vive un’altra dimensione e cioè quella della
situazione emotiva (affettività). Nella distinzione fra l’essere e l’essere delle cose, degli enti Heidegger
sostiene che l cose possiedono solo la dimensione temporale della semplice presenza (dimensione ontica)
mentre invece l’esserci ha da essere: possiede la propria esistenza perché può decidere/scegliere e questa
possibilità di scegliere proietta l’uomo fuori di se: esistenza come ex sistere, capacità di trascendere il suo
essere ed andare oltre se, fuori e non essere semplicemente presente. L’uomo nella sua dimensione
fondamentale è progetto: futuro; mentre le cose sono semplicemente presenti, l’uomo si proietta fuori e si
progetta avanti, ex siste dalla condizione di temporalità presente.

TUTTO DOVUTO ALLA DIMENSIONE DELLA POSSIBILITA’ (peculiarità del primato ontologico)
UOMO COME PROGETTO NEL MONDO: futuro gettato nel mondo fra le cose; infatti la condizione finita
dell’uomo è spiegata da Heidegger in termini di fattività: la vita è un factum e l’uomo, nella sua condizione
di essere, è un fatto fra i fatti (cosa fra le cose).

L’uomo può progettarsi secondo due tipi di esistenza: autentica e inautentica/propria e impropria; allo
stesso modo l’uomo può comprendere in maniera autentica e non-autentica (sapere vuol dire possedere,
fare propria una comprensione): quando esisto autenticamente mi progetto a partire da me stesso, da ciò
che mi è proprio; se comprendo autenticamente parto da qualcosa che ho interiorizzato, che mi è diventato
proprio. L’inautentico non è proprio, non è mio e progetto la mia esistenza su qualcosa che non mi è
proprio; allo stesso modo comprendo partendo da qualcosa che non mi è proprio.

L’autenticità sostanzialmente è una sorta di richiamo della coscienza, che è sentito da dentro: non si tratta
di un richiamo alla morale, al giusto o allo sbagliato ma è un richiamo legato propriamente alla nostra
esistenza in quanto tale, strettamente connesso alla possibilità che in qualche modo tende verso
un’esistenza autentica.

Quando parliamo dell’essere del mondo, l’esser-ci (essere dell’uomo) si colloca in una dimensione
esistenziale che lo pone in rapporto con le cose (enti) e gli altri esseri (esser-ci); Heidegger si propone di
analizzare questa medietà (stare in messo alle cose) tenendo conto che le cose hanno significato per
l’esser-ci in quanto sono utilizzabili: utilizzabilità intramondana che sta ad indicare il fatto che il significato
delle cose del mondo è un significato per noi. Il significato delle cose è dato sostanzialmente dall’uomo,
dalla sua capacità di dare senso alle cose e porle nei termini di utilizzabilità.

La relazione con le cose e con gli altri è definita dalla struttura fondamentale dell’esser-ci che è la cura:
struttura esistenziale propria dell’esser-ci in relazione con l’alter (dimensione ontologica). Anche nella
dimensione delle cose la prospettiva della cura è quella del prendersi cura delle cose che ci occorrono: ci
preoccupiamo, ci occupiamo e ci prendiamo cura delle cose che ci occorrono.

Nel prendersi cura esistono due dimensioni, autentica ed inautentica, ed esiste anche la dimensione di
trascendenza in quanto ci si prende cura di un qualcosa che è al di fuori; esiste anche la dimensione
progettuale (possibilità e progetto sono le due dimensioni). Si parla propriamente di un prendersi cura delle
cose a livello ontico; la prospettiva ontologica del prendersi cura riguarda il rapporto con gli altri esser-ci
(uomini) e si pone di un livello differente, quello dell’aver cura: in questa opera di cura, si può sottrarre ad
altri le cure e si può aiutare gli altri a liberarsi nella misura in cui per libertà si intende progettare l’esistenza
autenticamente, indirizzare verso l’autenticità.

L’ESISTERE, L’ESSERE NEL MONO E’ APERTURA VERSO GLI ALTRI E LE COSE DEL MONDO

L’ermeneutica heideggeriana elimina il concetto di perfezione e finitezza: l’essere è tempo, il suo senso è la
temporalità e storicità di quello che l’essere è stato, è e progetta di essere in futuro. Ogni volta che si entra
in contatto con l’esperienza e la comprensione, l’essere è sempre diverso da ciò che per prima di entrarci in
contatto; perciò si elimina ogni forma di perfezione.

Heidegger apre essere e tempo con una citazione del sofista di Platone; c’è però il teeteto, nel quale
paragona la conoscenza ad una voliera: l’uomo prende le conoscenze e le mette nella voliera ma nel
meccanismo di conoscenza si può entrare in contatto con un qualcosa che non è vero ma pare vero: il
verosimile, qualcosa che può essere effettivamente vero ma non lo è (plausibile ma non vero, reale). Una
volta messa nella nostra voliera una cosa verosimile, il problema non è averlo immagazzinato ma usarlo e
riutilizzarlo: meccanismo sulla base del quale si manifesta il fenomeno complottistico (diffusione di una
conoscenza falsa che siccome è plausibile viene ammessa per vera e si lotta per essa): pseudos.

La condizione dell’uomo rispetto agli altri è quella della co-esistenza: a proposito di essa, Heidegger parla di
con-essere, essere insieme agli altri nella comunità, essere tra gli altri. La coesistenza è letta in termini
spaziali: anche qui il coesistere può essere autentico (coesistere, essere con gli altri: con-essere) ed
inautentico (essere insieme agli altri).

Mentre Hursserl non vede nell’alterità una forma invariata della coscienza, per Heidegger esiste
un’invarianza nella relazione con l’altro: l’essere insieme (coesistere, con-essere) è una struttura
dell’esistenza dell’uomo, la cui parte invariante è il prendersi cura.

HEIDEGGER PARLA SEMPRE DELL’ESSERE MA NON PONE L’OGGETTO; HURSSER PARLANDO DI OSGGETTO
NON PUO’ NON CONTESTUALIZZARE L’ALTRO COME OGGETTO: HEIDEGGER ELIMINA SOGGETTO E
OGGETTO= C’E’ L’ESSERE E IN ESSO C’E’ L’ESSERE INSIEME E IL COESISTERE

Questo problema si pone anche dal punto di vista della comprensione: forma e momento della
progettazione, atto della trascendenza tanto che dal punto di vista di Heidegger è da analizzare nei termini
di una comprensione esistenziale che è autentica ed inautentica (alla base dell’esistenza anonima: affidarsi
a qualcosa che è fuori di se, che è altro da me). Sia dal punto di vista dell’esistenza che della comprensione,
Heidegger sostiene che chi si affida ai fenomeni (strutture concettuali) del si impersonale, dell’equivoco e
della chiacchiera vive un’esistenza anonima.

➢ Si impersonale: meccanismo di astrazione per cui nella pratica quotidiana rappresenta un


meccanismo elusivo della responsabilità (scaricata da se stessi); dare conto di qualcosa senza
prendersene responsabilità. Fa si che ci affidiamo a qualcosa di esterno e soprattutto di non certo,
non ha fonti ed è una comprensione inautentica (il si oggi è il mondo dei social).
➢ Chiacchiera: meccanismo per il quale sostanzialmente si tratta di qualcosa sempre per sentito dire;
essa genera l’equivoco.
➢ Equivoco: dettato conoscenza falsa che produce effetti veri, la potenza del linguaggio è questa.

Questi meccanismi, fenomeni, strutture della comprensione fanno riferimento ad un’esistenza anonima, ce
sostanzialmente non pena tanto ad un tipo di comprensione che parta da se ma fa riferimento ad altro, ha
come un punto di partenza il nostro essere cosa, fatti, dimensione fattuale ed in un certo senso Heidegger
dice che in realtà, progettandosi in maniera non autentica l’uomo è costretto ad un’esistenza anonima.

Ma cosa è allora l’esistenza autentica? Entra in gioco il problema della negazione dell’essere, della nullità;
parla di un essere per la morte che assume la consapevolezza di essere un nulla. La condizione a livello dei
fatti ci attraversa da un punto i vista negativo: la finitezza è la condizione nel mondo. Quella che Heidegger
chiama decisione anticipatrice della morte sta ad indicare il fatto che siccome c’è u fine alla possibilità (la
morte, la condizione di impossibilità di ogni possibilità) non possiamo che decidere in maniera autentica. Il
senso di questa decisione è ora, ed è chiaramente la temporalità il senso dell’esserci rispetto alla quale si
assume di essere finiti in quanto la morte è la condizione finale.

09/03

Heidegger e l’opera essere e tempo: l’analisi che si propone di seguire utilizza un metodo fenomenologico,
non è un’analisi della coscienza, coscienziale, non è un fenomenologo ma tuttavia segue un metodo
fenomenologico per tornare alle cose stesse. Egli è un esistenzialista (analitica esistenziale) nella misura in
cui l’esser-ci rappresenta il primato ontologico; l’essere nel mondo e la cura rappresentano le strutture
stesse: riferendoci all’esistenza e alla comprensione, si evince come nell’analitica egli distingua l’esistenza
ed il comprendere seguendo due prospettive: l’autentica e l’inautentica (proprio e improprio) (vedi in
tedesco). Ciò che è proprio è ciò di cui mi approprio: fa parte di me, della mia storicità.

C’è una differenza fra l’essere delle cose e l’essere degli enti; è collocato dal punto di vista temporale
perché vediamo come le cose siano effettivamente presenti, mentre l’uomo vive una dimensione che non è
solo e semplicemente quella della presenza: non è solo una cosa ma un ente con delle peculiarità che gli
altri enti non hanno.
È fondamentale ed insita nella stessa idea di possibilità, il potere e poter essere esattamente la dimensione
modale tipica dell’uomo: egli può scegliere, è possibilità (sua caratteristica); in questa possibilità c’è la forza
di trascendenza della presenza da parte dell’uomo che trascende la sua presenza per progettare e
proiettarsi avanti (nel futuro temporale).

PROIETTARSI AVANTI COME DIMENSIONE PECULIARE DELL’ESSER-CI PERCHE’ CONSENTE DI ENTRARE NELLA
DIMENSIONE TEMPORALE DEL FUTURO. FONDAENTALE PER LA COMPRENSIONE, IN QUANTO INDICA IL
PROGETTARE IL FUTURO

Il proiettarsi non è l’unica dimensione temporale dell’uomo; egli è anche un progetto gettato, è anche cosa
gettatezza. L’uomo oltre ad essere ora un fatto, è anche stato un fatto: dimensione storica dell’essere

DIMENSIONI TEMPORALI CHE SI ANCORANO ALL’ESSER-CI E SONO PROPRIE DELL’UOMO: PASSATO


PRESENTE E FUTURO

In questa idea c’è sempre la prospettiva dell’autenticità ed inautenticità: non c’è un giudizio di valore alla
base di tale scelta ma è esclusivamente determinato dalla possibilità. Sono dimensioni che ricorrono
sempre dal punto di vista dell’esistenza e della comprensione.

COESISTENZA E RELAZIONE CON GLI ALTRI: nella relazione con le cose l’esser-ci da un significato alle cose
del mondo posto in ragione della loro utilizzabilità (le cose del mondo sono per l’esser-ci, fine e
strumentalità) mentre la coesistenza ha propriamente due dimensioni: autentica come essere insieme, e
inautentica come coesistenza propriamente detta. Inautenticità sta nel considerare l’altro come cosa nella
sua effettività; il con-essere ci mette in relazione con l’altro, c’è una dinamica relazionale oltre che spaziale,
che entra in contatto con l’essere dell’altro.

Per quanto riguarda la comprensione, si osserva come Heidegger pari anche in questo caso di autenticità ed
inautenticità: ci sono dei fenomeni esterni all’essere che sostanzialmente fanno si che l’esser-ci assuma un
tipo di comprensione non autentico: il si, la chiacchiera e l’equivoco che consistono sostanzialmente
nell’affidarsi a qualcosa di altro che non è autentico nel momento in cui non c’è nessuno che si assume la
responsabilità di ciò che dice: sono informazioni assunte senza averle comprese e sono prive di
attendibilità. Il verosimile può essere scambiato per il simile e quindi passa per vera: errata comprensione
del plausibile (esistenza inautentico, impropria, anonima).

Dal punto di vista ella comprensione, la dimensione che si coglie è quella del linguaggio e delle insidie (es
piccionaia teetedo Platone); in un certo senso accanto alla comprensione chiaramente l’uomo non vive solo
di questa dimensione ma anche di una definita situazione emotiva. Quando si vive un’esistenza anonima
affidandosi ad altro, quando questo poter essere non viene espresso pienamente perché la scelta è dettato
da qualcosa di altro e improprio che non viene da se, l’uomo si riduce ad essere un fatto tra altri fatti.

Questo fenomeno è chiamato deiezione, dimensione nella quale l’uomo è caduto nello stato di cosa come i
fatti che lo circondano; gettato in una dimensione del mondo in mezzo gli altri enti dell’utilizzabilità. La
situazione motiva he caratterizza questa condizione di vita inautentica di fatto, fa si che l’uomo viva
l’abbandono ad essere un fatto. Come si fa a completare questo essere e realizzare la dimensione propria
ed autentica? Sostanzialmente non siamo solo delle cose, fatti; l’esser-ci realizza la sua completa
dimensione temporale ed autentica quando si assume la consapevolezza di essere sostanzialmente esser-ci
per la morte: la precedente dimensione è incompleta perché nella dimensione della deiezione e del
semplicemente presente è tipica della non autenticità e vengono meno le dimensioni temporali dell’uomo
che può essere e cosa sarà (futuro) e quella del cosa è stato (passato).

La fine dell’esser-ci è chiaramente la morte: prendere consapevolezza di questa dimensione come


possibilità più propria dell’esser-ci e del fatto che la fine sia la morte, deve essere inteso in una dimensione
che esclude essa come semplice fine dell’esistenza e semplice fatto.
MORTE COME POSSIBILITA’ ASSOLUTAMENTE PROPRIA DELL’ESSER-CI PECHE’ E’ NELL’ESSERE STESSO
DELL’UOMO; NON E’ UN FATTO MA E’ NEL SUO ESSERE STESSO, DELL’UOMO

Si sta cercando una risposta al senso di abbandono che è il risultato dell’esistenza anonima; la morte è da
considerare come un elemento che è possibilità assolutamente propria dell’essere uomo, non è il factum
della morte che non appartiene alla nostra esistenza perché la condizione di impossibilità di tutte le
possibilità come limite; è una possibilità incondizionata perché appartiene all’uomo isolato, non è più l
relazione con le cose con altri ma la relazione dell’uomo solo e lo isola in quanto se stesso.

ESTREMA POSSIBILITA’ DELL’ESISTENZA CHE SI SOSTANZIA COME UNA RINUCNI ALL’ESISTENZA STESSA:
POSSIBLITA’ CERTA ED INSORMONTABILE

Significa che è soltanto avendo e assumendo questa consapevolezza, quindi riconoscendo la possibilità
della morte come scelta anticipatrice su se stessi, che l’uomo può essere autenticamente e comprendere
veramente se stesso. Conoscere la certezza, l’ineluttabilità, insormontabilità, non si tratta però di un
richiamo al suicidio o di un desiderio scaturito ma della semplice consapevolezza autentica della morte
come assolutamente propria e come scelta che nei fatti è già possibile: viene meno la ragione della scelta
perché è già scelta.

La comprensione autentica è accompagnata anche in questo caso da una situazione emotiva che
accompagna ’'autenticità è l’angoscia (per gli esistenzialisti è la vertigine della libertà, sentimento del
possibile per Kierkegaard determinata dalla condizione di essere uomini) intesa come capacità di tenere
sempre aperta quella minaccia che proviene dalla morte: stato emotivo che pone l’esserci davanti al nulla,
che è la possibile impossibilità della propria esistenza come negazione dell’essere che annienta ogni
possibilità ????foto

Rivela il senso dell’essere nel mondo: il tenersi fermi in questo nulla. Anche per Kierkegaard c’è differenza
fra angoscia e paura: la paura è dinanzi a qualcosa di determinato mentre l’angoscia dinanzi a qualcosa di
indeterminato. L’angoscia, il sentimento del possibile è connaturata con l’uomo è una condizione che c’è
sempre: la possibilità di scelta è infinita ma la scelta è finita. Quando si comprende l’esistenza e si guada a
se stessi e prende consapevolezza di essere di fronte al nulla e questo stare dinanzi al nulla genera
angoscia.

COSAPEVOLEZZA DEL FATTO CHE LA FINITEZZA E’ LEGATA AL FATTO CHE LE SCELTE SONO LEGATE AD UNA
CONDIZIONE CHE E’ LA FINE

In termini di esistenza anonima, questa è la fuga di fronte alla morte in quanto vengono meno le
dimensioni temporali e si diventa una cosa fra le cose, senza possibilità; no si assume la consapevolezza di
finitudine (disinteressamento e ignoranza dinanzi la morte). Nell’esistenza autentica c’è una progettazione
inevitabilmente relegata alla scelta anticipatrice della morte: momento del superamento dell’esistenza
anonima che va oltre il si come atto di libertà che l’uomo compie nell’accettare la possibilità più autentica e
propria che è il suo destino di morte, accettandolo senza fuggire.

Siamo dinanzi a due distinte prospettive prive di istanze morali: l’esser-ci quale tipo di istanze richiede?
Heidegger riprendere il pensiero moderno sostenendo che nei confronti dell’esistenza autentica esiste un
richiamo ad essa che proviene dalla voce della coscienza, come se si trattasse di un richiamo dell’esistenza
a se stessa.

Ci poniamo dinanzi ad una relazione però fra l’essere e il nulla: è vero che l’essere è trascendenza ma allo
steso tempo c’è una relazione della dimensione autentica dell’esser-ci con se stesso che non si affida a
qualcosa di altro. In realtà l’esser-ci trova fondamento su se stesso FONDAMENTO DEL PROPRIO
FONDAMENTO nel senso che l’essere dell’uomo è un fondamento infondato: progetto gettato nel mondo.

Heidegger è partito con un linguaggio razionale fino ad arrivare ad un linguaggio evocativo che si pone ai
limiti della filosofia: l’uomo è fondato sul nulla; essendo l’esser-ci il proprio fondamento è il nulla in se.
L’essere nell’autenticità incontra il nulla: c’è una doppia dimensione del nulla perché da un lato l’esser-ci si
fonda sul nulla e dall’altro è nullo in quanto progetto.

Abbiamo incontrato il nulla nella esclusione di possibilità: ogni volta che decidiamo attraversiamo una
seconda volta il nulla perché eliminiamo le altre possibilità negando la dimensione progettuale.

Il progetto di Heidegger è l’uscita dalla metafisica attraverso un linguaggio metafisico: iniziano così discorsi
molto evocativi, entrando in ambiti esistenzialmente fondato ma molto complicato, difficili da spiegare
razionalmente. Arrivato a questo punto, Heidegger si ferma perché ritiene di non avere le parole adatte,
fatica a comprendere e seguire il nesso. Alla fine di tale ragionamento vediamo che l’essere autentico si
confronta sostanzialmente col nulla e non può essere il fondamento di se stesso che portano Heidegger ad
arrivare ad una non conclusione.

Certezza: l’essere è temporalità perché la struttura fondamentale dell’esistenza umana è la cura ed l senso
di questa cura è la temporalità: l’essere è passato, presente e futuro ed è deiezione e l’autenticità è
appunto vivere nel tempo, il senso della cura e dell’esistenza è temporalità e consapevolezza dell’essere
nulla.

CONSAPEVOLEZZA DEL NULLA DATA DALLA TEMPORALITA’

L’idea dell’inizio e della fine del tempo prettamente occidentale e cattolica, di tipo cronologico è differente
da quella degli antichi: la natura era vista come un flusso che scorre e diviene. Il senso della temporalità è
orizzontale per alcune tradizioni e circolare per altre.

Il problema fondamentale è che il linguaggio assume un carattere diverso dal razionale: Heidegger si
avvicina al linguaggio della poetica, all’arte; l’uomo non è padrone dell’essere ma pastore di esso: aspetto
evocativo legato alla poetica. Forzando l’etimologia di una parola, che è verità, dice che l’Alpha privativa è
qualcosa che sostanzialmente si togli e dice che la verità è qualcosa di svelativo, che svela l’essere.

LINGUAGGIO COME CASA, DIMORA E RIFUGIO DELL’ESSERE

14/03

Parte del pensiero dell’analitica esistenziale in essere e tempo: giunti a conclusione, si evince che il
linguaggio cerca di rinnovare la tradizione del linguaggio filosofico cercando di pensare in particolare
all’uomo che va letto e pensato nella sua quotidianità, fatta anzitutto di relazione (tra l’essere dell’uomo
esser-ci e le cose del modo, e gli altri esser-ci).

Il senso delle cose del mondo (enti) per l’uomo è quello dell’utilizzabilità (le cose sono esseri per
strumentali). Relazione fra ontologico ed ontico. Allo stesso modo, la relazione fra gli altri uomini è fatta di
coesistenza che può essere inautentica (uomini cose frale cose: essere insieme) ed autentica (con-essere:
uomini oltre le cose che non vivono della dimensione temporale dell’essere soltanto presenza come gli enti,
ma vivono sia nel futuro e nella progettazione che nel passato sotto forma di storicità). Il messaggio
conclusivo è che l’essere dell’uomo è tempo, laddove il tempo non è mera presenza ma dimensione di
temporalità completa: gettatezza nel futuro, presente e passato.

DALL’ESISTENZA ALLA COMPRENSIONE è co-essenziale rispetto alla comprensione la situazione emotiva:


ogni qualvolta si comprende qualcosa, si è immersi in una situazione emotiva; l’uomo ha due possibilità di
comprensione: autentica quindi propria ed inautentica (termine tedesco). I fenomeni che fanno riferimento
all’inautentico e che generano una conoscenza impropria sono il sì, la chiacchiera e l’equivoco che fanno sì
che ci si affidi a qualcosa di altro senza assumersi propria responsabilità: esistenza anonima. Ci si
riappropria della propria esistenza attraverso un esistenziale che è l’essere per la morte in termini di
decisione anticipatrice della morte che fa sì che l’uomo si metta dinanzi alla consapevolezza dell’essere
nulla: l’essere per avere una comprensione autentica deve necessariamente fondarsi su stesso e non
sull’altro, ma nel momento in cui trova fondamento su stesso si tratta di un fondamento infondato che fa sì
che l’essere di riconosca come nulla. La morte annienta ogni possibilità ed è nulla in termini di scelta e
progettualità futura che trascende il presente, quindi la scelta di una possibilità implica la negazione di
tutte le altre possibilità (vero nell’esistenza e nel linguaggio). Si pone il problema della centralità della
scelta: siamo quello che diciamo e quello che facciamo, viviamo nella storicità ed in questa situazione
dell’autenticità al cospetto del nulla, Heidegger fatica a spiegarsi e parla della situazione emotiva della
condizione umana in termini di angoscia (sentimento del possibile davanti al non determinato/paura
davanti al determinato) nella quale l’uomo resa dopo aver preso la decisione anticipatrice della morte,
compiendo un’affermazione di volontà autentica. È come se l’uomo fosse colpevole ma non abbandonato:
l’autenticità è questo stare costantemente in questa situazione emotiva dell’angoscia.

Al centro di questi pensieri c’è il senso dell’essere: l’uomo non è in grado di rispondere a questa domanda e
prende consapevolezza del fatto che non può dare risposta in termini positivi, perciò non si può cercare
nell’uomo stesso. Neanche Heidegger riesce ad individuare il senso, tanto che non termina la sua opera
essere e tempo.

INFLUENZA TUTTO IL PENSIERO DEL 900 CHE METTONO AL CENTRO L’UOMO ED IL SUO ESSERE

Mentre per Hursserl la dimensione dell’intersoggettività è tra soggetto, Heidegger coglie qualcosa di più
rispetto a queste relazioni: osserva l’essere degli uomini dalla prospettiva dell’esser-ci (chi sta indagando);
spaccato sulla società attuale: si sviluppa la dimensione individuale, in seguito ad un sempre più
progressivo affinamento di questa prospettiva rispetto alla collettiva; copre ogni ambito della società,
rendendola sempre più individuale, personale e privata (Es. cinema: fruizione individuale di film come il
fenomeno di netflix). DIMENSIONE DELL’ESSER-CI COME IO INDIVIDUALE

Heidegger fatica a trovare le parole perché cerca di mettersi alla pari con il pensiero antico greco,
eliminando la stratificazione della metafisica andando a riflettere sull’essere: quello che è considerato il
secondo Heidegger attribuirà l’accusa di (aver nascosto l’essere) oblio dell’essere alla filosofia che va da
Platone in poi. Il suo pensiero subisce una svolta per cui si comincia a curvare verso la direzione del pensare
l’essere in altri termini: (posto che per il prof non è così) accusa la metafisica da Platone in poi di aver
creato ed inventato un mondo delle idee, raddoppiando il mondo e sostenendo che quello vero dell’essere
non è quello reale, ma quello delle idee; in questo modo ha nascosto e gettato nell’oblio il mondo reale.
Quindi a suo parere bisogna partire da prima di Platone, guardando alla realtà. Altra colpa e accusa che
Heidegger porta alla metafisica tradizionale è quella di aver pensato l’essere soltanto in termini di presenza,
ignorando la dimensione del futuro e del passato; la storia metafisica è ineluttabilmente segnata da questi
errori.

Secondo Heidegger, la dimensione della verità (aletheia) è celata e va per questo svelata (alfa privativa):
togliere il velo, rivelare per uscire dall’oblio. Svelare l’essere nella dimensione dell’attimo
(DELL’ACCADERE).

ESSERE DELL’UOMO COME TEMPORALITA’ MA SOPRATTUTTO COME EVENTO: CIO’ CHE ACCADE

ESSERE=EVENTO=ACCADERE, TEMPORALITA’ CHE SI DA E SI SVELA ORA

A margine di essere e tempo scrive che il linguaggio è la casa dell’essere (dimensione di custodia): lo utilizza
per cercare di esprimere questo essere che accade, succede, si da. Qui il linguaggio fatica ed inizia ad
avvicinarsi a quello della poesia, dell’arte perché ha quel qualcosa in più che fa si che la correttezza e la
verità non siano nella frase stessa, ma il linguaggio utilizzato evoca e suscita qualcosa.

LINGUAGGIO EVOCATIVO DIVERSO DALLA METAFISICA CHE RIESCE AD EVOCARE E FAR SENTIRE QUALCOSA
DI DIFFERENTE RISPETTO ALLA CORRETTEZZA DI QUELLO CHE C’E’ SCRITTO: SUSCITA EMOZIONI

La vita di Heidegger è controversa soprattutto per quanto riguarda l’adesione al nazismo; l’utilizzo del
linguaggio poetico fa si che egli sostenga che l’uomo non è padrone del proprio essere ma pastore. Altro
aspetto è quello della critica alla tecnica vista con il prossimo autore. Egli è un allievo di Hursserl mentre
quello che vediamo oggi è allievo di Heidegger.

HANS-GEORGE GADAMER 1900-2002 – CORRENTE DELL’ERMENEUTICA CONTEMPORANEA

L’ermeneutica è quella scienza che si occupa dell’interpretazione: esiste un’ermeneutica religiosa che è
stata particolarmente viva in Germania, specie nell’abito protestante per via della potenza della riforma che
da possibilità ai fedeli di interpretare la scrittura. Disintermediazione delle scritture rispetto al fedele (es
religioni riformate che permettono di avere un’interpretazione diretta della religione): nasce così una
scienza che rappresenta un filone di interpretazione dei testi, che si configura come strumento per i fedeli.
Si tratta di una componente prettamente contemporanea: esistono possibilità interpretative che
forniscono degli strumenti e l’ermeneutica è quel tipo di scienza che ci da strumenti, principi concetti utili
ala interpretazione in particolare di un testo, all’applicazione di tali principi contenuti e strumenti.

SI OCCUPA DEL TESTO O DELLA SUA APPLICAZIONE NELLA REALTA’

L’applicazione è una dimensione pratica che è sempre presenta quando parliamo della dimensione
dell’uomo: comprendere è sempre applicare e applicare è sempre comprendere.

Gadamer ha una formazione inizialmente neokantiana e successivamente di avvicina ad Heidegger, tanto


che ascoltava le sue lezioni ed inizia a scrivere qualcosa usando i suoi termini. È sicuramente un filologo
molto attento alla dimensione storica dei testi ma soprattutto utilizza un approccio interpretativo che
concentra sempre l’attenzione su differenti livelli interpretativi e che pone la domanda, in particolare, su
chi l’ha scritto e quando, sulla dimensione conoscitiva che è propria dell’autore e sul testo stesso preso
come storicità dell’interprete (soggetto) e dell’interpretato (oggetto).

Prima critica ai neokantiani: interpretare Platone con concetti che Platone non aveva; dicono che le leggi
della natura di cui la scienza oggi parla sono le idee di Platone. Sbagliato perché Platone aveva una
concezione di scienza da quella che ora, in antichità non esistevano leggi della natura e non esisteva
normatività. Accusa di aver letto con concetti moderni un pensiero antico che non era mai stato espresso
così: bisogna sempre collocare un fenomeno nella sua dimensione storica e dell’autore. È chiaro che lo
stesso testo con interprete di ieri sarà in una maniera, con uno di oggi in un’altra.

Gadamer fa propria l’ontologia di Heidegger per cui l’essere è evento ed accadere. Il suo testo più
importante è “verità e metodo” scritto a 60 anni nel quale presenta due temi: come in Heidegger il
messaggio centrale era “essere è tempo”, in Gadamer il messaggio sarà dal suo punto di vista “la scienza
moderna fin ora è stata concentrata particolarmente sulla verità del metodo e non sul metodo della verità”:
è come se avesse cercato sempre di più di affinare il metodo conoscitivo, facendo sì che quello della verità
fosse valido (validità del metodo fondata sulla veridicità), ma in realtà esiste anche un metodo della verità
che non ha la pretesa di avere uno strumento definito che colga qualcosa di valido. Esistono quindi delle
verità metodiche conoscitive della scienza e verità extra metodiche che vanno al di là ma hanno comunque
qualcosa di valido.
Oggi prospettiva della scienza Newtoniana (importanza del metodo e della legge, discrimine vero-falso per
la validità) ma tuttavia Gadamer si interessa alla filologia classica e alla scienza del passato, dell’antichità e
si chiede cosa ci fosse prima della scienza moderna: ad un certo punto della storia della scienza, in era
moderna, c’è stata una bipartizione fra teoria e pratica e cerca l’etimologia di tali termini.

Teoria= teorein che vuol dire osservazione ed implica un atto pratico; l’osservazione è la “mia teoria”
perché si seleziona qualcosa attraverso un atto pratico e sostanzialmente nella sua ermeneutica, Gadamer
individua una coincidenza fra teoria e pratica: la bipartizione viene così superata. Sicuramente anche gli
antichi avevano osservato qualcosa di vero, pur non avendo un metodo: il far teoria è un qualcosa di
estremamente pratico e qui Gadamer taglia con l’idea di Heidegger con il pensiero antico.

Una delle verità extra metodiche che Gadamer pensa è l’arte: dimensione che non può essere metodica,
non esiste un metodo universale eppure ci dice qualcosa di vero (musica, quadro, poesia, opera, scultura),
anche a livello interpretativo specie per il fatto che fra l’uomo e l’opera d’arte accade qualcosa di
ermeneutico che ha una sua validità conoscitiva: l’arte ci si fa incontro ed ha a che fare con la dimensione
ermeneutica. La potenza dell’immagine che coglie scaturisce qualcosa di vero e pratico che non è però
spiegabile in termini metodici.

La prima dimensione extra metodica che coglie è quella della storia: come l’arte, non ha metodi e leggi
generali; questo discorso è valido anche per l’etica: non è normativa, è priva di imperativi morali sicché non
è qualcosa che si ha ma qualcosa che si è: è una exyst ?, atteggiamento dell’uomo inserito in un contesto
relazionale. Gadamer non pensa l’altro nella prospettiva dell’esser-ci ma nella relazione io e tu.

Dimensione dell’esser-ci pensata da Gadamer è quella dell’etica

Nel linguaggio in particolare, interessa quella parte che si colloca nella relazione fra parti (non sono soggetti
e oggetti). L’ESSERE NELLA RELAZIONE CHE E’ STRUTTURATA ATTRAVERSO IL LINGUAGGIO (dia-logos: il dia
del logos).

15/03

Snodi essenziali di essere e tempo: soluzione aporetica di un finale non concluso; seconda fase vista dalla
critica come una svolta ma in realtà c’è una concentrazione maggiore della lettura del concetto di essere in
particolare in termini di temporalità ed evento: l’attenzione è rivolta in termini critico-negativi verso la
metafisica tradizionale, considerata l’oblio dell’essere. Esiste la necessità da parte del pensiero di compiere
quell’azione di svelamento della verità. Altre questioni: necessità di approdare ad un linguaggio poetico ed
evocativo, non strettamente logico-razionale.

Gadamer invece si occupa, in verità e metodo, dell’ermeneutica come scienza dell’interpretazione che
innanzitutto nasce in quel periodo come ermeneutica religiosa. Hursserl ebreo, Heidegger cattolico e
Gadamer sostanzialmente viene educato dalla religione protestante e nei suoi scritti rivendica
quest’appartenenza soltanto sotto due punti di vista: la linea essenziale da cogliere quando si interpreta un
fenomeno è l’orizzonte storico di quel fenomeno (interpretato) e dell’interprete. La dimensione della storia
ha una sostanziale importanza quindi, inoltre Gadamer assume la prospettiva ontologica dell’essere di
Heidegger per il quale l’uomo è temporalità, è la sua storicità.

Critica sull’invenzione della scienza moderna che si sofferma sulla verità del metodo e non sul metodo della
verità: parte dal pensiero antico. Gadamer è un po' come Hegel in quanto si configurano come filosofi della
relazione. Lo schema che ha in mente quando dice che bisogna prestare attenzione al metodo della verità,
ha in mente il dialogo platonico: il dia-logos “discorso fra” che si instaura come una relazione.

L’intera idea dell’ermeneutica gadameriana gira attorno allo schema teorico della relazione ripreso da
Platone di mimesis: quando pensiamo alla rappresentazione abbiamo due parti in dialogo: il primo tipo di
rappresentazione che possiamo pensare è quella mimetica (mimesis) che ha chiaramente a che fare con
l’immagine (se rappresentiamo qualcosa possiamo pensarla come una relazione fra la copia e il modello,
per cui la copia è immagine della realtà, la mima) copia:idee:modello. Possiamo pensare alle
relazioni quindi in questo senso: due entità hanno un rapporto che in questo caso è la rappresentazione.

L’altro concetto che invece Gadamer ha in mente quando parla di ermeneutica è il rapporto di
partecipazione (metexis): in una relazione fra due parti c’è sempre partecipazione, nella quale una parte
dell’uno partecipa dell’altro e viceversa (rapporto tra l’uno e molti); sostanzialmente vuol dire che l’uno
partecipa alla moltitudine e la moltitudine è partecipata, ha in sé anche quell’uno. Se prima c’era una
relazione di imitazione, ora c’è la partecipazione che è molto importante dal punto di vista del dialogo: esso
è efficace quando queste parti effettivamente scambiano. Questo è il dia-logos.

Si tratta di uno schema teorico molto forte che Gadamer porta per tutta la sua interpretazione, tanto che
dal suo punto di vista l’approccio interpretativo che si deve avere a un concetto non è quello riproduttivo,
ma è appunto quello integrativo. (es. musei: il metodo che prima veniva utilizzato per fruire di un bene che
non esisteva più era la riproduzione da testi o immagini antiche, per sostituirlo; ora attraverso i dispositivi
tecnologici c’è la possibilità di utilizzare la realtà virtuale). L’approccio riproduttivo dice che deve essere
sostituito e ricostruito quello che non c’è, quello integrativo invece consente, attraverso degli strumenti per
comprendere, di fruire di quel qualcosa che non c’è lasciandolo nella sua dimensione storica.

CRITICA ALL’ERMENEUTICA RIPRODUTTIVA DELL’ETA’ ROMANTICA E INTRODUZIONE DELL’ERMENEUITCA


INTEGRATIVA

L’approccio di un’interpretazione non metodica contiene l’esperienza artistica, storica, dell’etica e del
linguaggio del quale Gadamer parla esplicitamente perché è il linguaggio che mette in relazione
(dimensione della relazione fra gli uomini); rappresenta la dimensione dell’esistenza umana in relazione con
gli altri. Logos come discorso e come logica matematica che mette insieme la somma: è la dimensione della
somma ad avere quel qualcosa in più rispetto al singolo; in ogni relazione c’è qualcosa di più di coloro che
partecipano alla relazione (il risultato, la dinamica che s’innesca in una relazione è qualcosa di più della
parti che sono nella relazione).

Nulla ostacola più la comprensione, cioè l’intesa, che Io e Tu: se non ci poniamo in dialogo come altri
dell’altro che abbiamo di fronte è chiaro che la comprensione, l’intesa non si può dare. L’Io che ha davanti
un Tu non comprende, è un ostacolo alla comprensione pensare il Tu: l’altro a sua volta ha davanti a sé un
altro. La non-comprensione, non-intesa è il limite rappresentato dall’Io e il Tu superata se si comprende che
l’Io è Altro dinanzi all’altro: io come altro dell’altro.

IO E TU SONO ENTRAMBI ALTRI: IO E’ ALTRO DAVANTI ALL’ALTRO PERCIO’ NON ESISTE SOGGETTO-
OGGETTO, ESISTE LA RELAZIONE

Questo tipo di schema è presente in ogni ragionamento che fa Gadamer: quando parla di comprensione ed
interpretazione, riprende un concetto già sviluppato da Heidegger: circolo ermeneutico inteso come la
propria maniera di comprendere perché l’esser-ci non è una tabula rasa ma in realtà possiede dei pre-
giudizi, non intesi come qualcosa di negativo ma come qualcosa di fondamentale che agisce nei meccanismi
di comprensione ed interpretazione dei fenomeni senza partire da zero; quel circolo del comprendere
qualcosa di nuovo si mette in moto (in gioco) attraverso quei mattoni della conoscenza che già si
possiedono (pre-giudizi).

L’interpretare secondo Gadamer è frutto di una storia degli effetti: quello che conosciamo è arrivato in
questa maniera e la sua storicità produce un effetto sulla comprensione (es. concetto di comprendere:
nozione che deriva dall’antichità che ha subito tante interpretazioni che hanno avuto un effetto sul
concetto stesso, facendo si che adesso abbia un dato significato): stratificazione storica di tante
interpretazioni; l’interpretazione (ad es. di un testo) avviene in maniera efficace quando fra le due parti in
dialogo avviene quella che Gadamer chiama una fusione degli orizzonti che considera la storicità
interprete-interpretato.

Quando si interpreta, si compie un atto ermeneutico, c’è bisogno di una distanza perché sostanzialmente
se si è troppo dentro un fenomeno, non lo si comprende a pieno; la distanza rispetto all’oggetto che si
indaga è fondamentale, in termini di distanza fisica e temporale in quanto un dato fenomeno si comprende
anche attraverso gli effetti storici che produce. Questa teoria dell’interpretazione non fornisce una vera e
propria scienza ma un metodo per ragionare ed interpretare.

Bisogna porre come presupposto la coincidenza fra teoria e pratica: l’interpretazione è un atto pratico.
Nell’ambito della filosofia pratica che Gadamer presenta alla base dell’etica, applica all’interpretazione il
concetto Aristotelico di phronesis (ragionevolezza). Per applicare una norma ad una situazione concreta,
serve sempre il criterio di ragionevolezza: se si applica in misura adeguata alla situazione interpretata, il
criterio di ragionevolezza dice che non va a diminuire la sua efficacia, in quanto si adegua alla situazione; si
può dire che l’adeguamento di una norma ad una situazione pratica non è una sua diminuzione.

Questo può avere due esiti: considerare la norma perfetta oppure pensare che essa si perfezioni nella sua
applicazione, realizzando cioè il giusto. L’applicazione della norma senza un suo adeguamento è corretta
ma non è detto che sia giusta perché la giustezza è data dall’adeguatezza della norma. Ragionevolmente la
norma si applica ad una situazione, realizzando il giusto se si adegua alla situazione stessa. Il punto di
partenza è quindi che la norma non è perfetta ma si perfeziona.

(……..)

Non si sta definendo un metodo etico, un decalogo di norme ed obblighi in quanto l’etica non è un
qualcosa che si ha, ma un qualcosa che si è intesa come exist (?) cioè maniera di comportarsi all’interno di
un contesto, che deve essere mossa da un principio di ragionevolezza (….).

16/03

Ermeneutica come disciplina dell’interpretazione e critica delle scienze metodiche. Esistono delle verità
valide che sono ulteriori rispetto a quello che le scienze della natura individuano con il metodo moderno;
esse sono la storia, l’arte, l’etica ed il linguaggio. Gadamer intende il linguaggio come relazione fra le parti
(dia-logos), in un rapporto proprio del linguaggio che consiste proprio in ciò che sta in mezzo (fra Io e Tu). È
importante nella teoria delle relazioni che l’io sia l’altro dell’altro: solamente considerando questa
soluzione si evita di cadere in una prospettiva univoca dell’Io. Nello stesso intento della teoria
dell’interpretazione sia necessaria nella comprensione dell’altro il momento della fusione degli orizzonti
(prospettive), creando qualcosa di unico che va oltre (quel TRA che si crea nella relazione con l’altro è
sempre qualcosa di ulteriore).

Storicità degli effetti e necessaria distanza che c’è nell’interpretazione fra interprete ed oggetto
interpretato, sia temporale che intesa come prossimità dell’indagine (distacco). In questo senso Gadamer
riprende l’ontologia di Heidegger. In realtà la rende anche produttiva perché attribuisce all’interpretazione
(in ogni interpretazione avviene sempre qualcosa di nuovo) una componente nuova, c’è sempre qualcosa di
nuovo che accade e che rende l’interpretazione diversa dalla precedente. L’elemento fondamentale resta
quindi la storicità: se siamo storia siamo quindi sempre diversi, perché l’esistenza è sempre tempo e
temporalità che accade sempre ed anche perché lo stesso meccanismo della comprensione (circolo
dell’ermeneutica) ha necessità di pregiudizi che agiscono e fanno sì che il meccanismo della conoscenza sia
sempre in moto (pre-conoscenza).

La questione fondamentale della storicità è legata al fatto che il modo di comprendere ha una struttura che
è sicuramente circolare; in questo senso è sempre nuova: acquisire una nuova conoscenza, porta ad avere
l’idea di tale conoscenza modificando qualcosa (da un lato ho un una conoscenza, dall’altro so di avere
qualcosa di nuovo). Questo lato della storicità è sempre vero: gli atti interpretativi dicono sempre qualcosa
di nuovo. Il criterio di ragionevolezza (applicazione della norma a qualcosa di specifico): gli atti
interpretativi saranno sempre qualcosa di nuovo. L’atto ermeneutico è sempre nuovo. Non è mai uguale
ciò che s’interpreta perché l’uomo è sempre qualcosa di nuovo, per via della circolarità della comprensione;
per questa ragione gli atti ermeneutici danno sempre vita a nuove comprensioni (nuove interpretazioni
creano sempre nuove conoscenze e nuovi significati).

Se per Heidegger il linguaggio è la custodia dell’essere, per Gadamer l’essere che può essere compreso è il
linguaggio: l’essere è linguaggio; ed è per questa ragione che comprendere è applicare e viceversa. Il fatto
che l’essere sia il linguaggio, non è questione indifferente perché l’uomo è linguaggio in termini di
relazionalità: l’uomo è l’essere che accade nel linguaggio uomo evento del linguaggio. Il vedere la
possibilità di qualcosa di nuovo che si crea è un passo innovativo perché Gadamer ritiene che si verifichi un
aumento dell’essere, una crescita nella storicità.

Si tratta di una visione estremamente contemporanea: è evidente che ci sia una linguisticità nell’essere;
quell’andare oltre la metafisica tradizionale consiste proprio nell’individuare attraverso il linguaggio
quell’elemento di relazione/interazione che l’uomo cerca continuamente (dia-logos). Nella nostra epoca
tutto ciò che ci mette in relazione con l’altro è linguaggio: linguisticità di tutte le forma razionali e
relazionali. In questo senso il linguaggio è la cifra migliore per interpretare i fenomeni.

Gadamer filosofo della relazione. Hegel “servo-padrone”: c’è questa relazione per la quale il servo
obbedisce agli ordini del padrone ma esso è tale perché il servo lo riconosce come padrone ed è il servo ad
avere tutte le capacità: in questo modo s’inverte la situazione perché senza il servo il padrone non sarebbe
tale. LOGICA DELLA RELAZIONE: C’E’ SEMPRE UN RAPPORTO FRA PARTI ED E’ L’ASPETTO PIU’
IMPORTANTE, INTESO COME IL “TRA” FRA LE PARTI CHE COSTITUISCE QUALCOSA DI VERO AL DI LA DEL
METODO DELLA SCIENZA.

È un qualcosa di vero che passa per un mezzo: l’essere dell’uomo che è sostanzialmente linguaggio,
linguisticità. Gadamer considera il comprendere come qualcosa di universale: l’uomo ha la capacitò di
comprendere se e gli altri perché è una facoltà che possiedono tutti. L’intesa è invece qualcosa che l’uomo
deve realizzare, vista come realizzazione della relazione fra parti perché in questo modo l’universalità del
comprendere diviene in questo modo reale. L’intesa presuppone e pretende sempre una volontarietà, nel
senso che all’interno di una relazione bisogna volersi intendere e trovare un accordo ma non è sempre così.

È chiaro che il pensiero contemporaneo abbia un po' cercato un rifugio nel linguaggio per una serie di
ragioni: c’è stata la fine della metafisica ma allo stesso tempo, quando la scienza ha iniziato ad affinare le
proprie specializzazioni è chiaro che le conoscenza valide siano diventate quelle conoscibili attraverso le
scienze, in quanto dicono qualcosa di vero. Il pensiero teologico si è distaccato da quello filosofico,
piscologico e sociale ed è chiaro quindi che quando si parla di teorie scientifiche non si fa più riferimento a
Dio. Questo affinamento ha fatto si che gli interessi dei filosofi contemporanei si orientasse verso il
linguaggio, in particolare si è detto che la filosofia ed il pensiero del ‘900 ha subito una cosiddetta svolta
linguistica nella quale si colloca anche un altro pensatore: Wittgenstein.

Wittgenstein 1889-1951 – il linguaggio come raffigurazione logica del mondo

Si è occupato sicuramente del linguaggio e di una dinamica relazionale fondamentale per la teoria sociale. È
stato uno di quei pensatori che ha subito un’esistenza particolare: nasce a Vienna e muore a Cambridge;
partecipa alla prima guerra mondiale ed ha dei contatti con il Circolo di Vienna, assume la cattedra a
Cambridge nel ’39 dalla quale si dimette nel ’47. Prima di andare a Cambridge (’29) era maestro di scuola
elementare: nel 1921 scrive il “trattato logico-filosofico” pubblicato ne “gli annali-filosofia della natura: si
tratta di un testo scritto in tedesco e tradotto poi in inglese con l’introduzione di Russell. Oltre al tractatus
scrive un solo articolo nel 1929 “osservazioni sulla forma logica”, dopodiché gli altri scritti sono stati
pubblicati postumi e derivano da una raccolta di appunti che egli aveva lasciato; uno di questi sono “le
ricerche filosofiche” 1953, i cosiddetti “quaderni” (quaderno blu 1933-34 e marrone 1934-35, pubblicati
però nel 1950).

La sua attenzione è rivolta in particolare al linguaggio, che intende come la raffigurazione logica del
mondo; questo vale a dire che il mondo è composto dalla totalità dei fatti, mentre invece il linguaggio è
composto dalla totalità delle proposizioni che significano quei fatti. Il linguaggio e il pensiero in sostanza
sono uguali, si identificano. È come se il linguaggio fosse una sorta di fotografia del mondo ed è altrettanto
chiaro che mentre i fatti del mondo accadono e sono soggetti ad una temporalità che passa, le proprietà
del linguaggio non devono accadere ma devono spiegare i fatti. Non c’è più il pensiero fra il mondo e
linguaggio, non c’è una forma mediata perché essi coincidono. Pensiero e linguaggio svolgono la stessa
funzione, questo fa si che fra linguaggio e mondo ci sia una relazione immediata: vuol dire che soltanto i
fatti del mondo sono pensabili, quindi dicibili ed esprimibili.

Questi fatti del mondo sono dei fatti che accadono e il loro accadere fa si che accadano in maniera
indipendente l’uno dall’altro; in questo senso Wittgenstein pensa ai fatti del mondo utilizzando
l’espressione fatti atomici (come se fossero delle unità essenziali che accadono indipendentemente dalle
altre) che, così come gli atomi si aggregano componendo quelli che definisce oggetti semplici, dando vita
alla sostanza del mondo. I modi in cui questi fatti si strutturano e si aggregano sono chiaramente la forma
degli oggetti. Da questo punto di vista, le proposizioni sono le raffigurazioni dei fatti. Wittgenstein pensa
così ad una corrispondenza, connessione fra i fatti e il linguaggio cosi che quest’ultimo possa dar senso ai
fatti del mondo.

Wittgenstein si pone il problema di individuare ciò che è valido scientificamente: pensa alla scienza
definendola come la totalità delle preposizioni vere; tutte quelle proposizioni che significano i fatti in
maniera vera sono quindi scientifiche e valide. In realtà il pensiero di Wittgenstein cambierà nel corso del
tempo ed assumerà almeno tre posizioni diverse; questa prima direzione verrà poi presa da molti altri
pensatori del linguaggio. Questa è però una visione limitata in quanto ci sono della proposizioni che sono
per loro stessa natura dei fatti, delle azioni: è chiaro che la riflessione sul linguaggio non è soltanto
riflessione sulla lingua (promettere, sperare, giurare sono delle azioni linguistiche non rappresentazioni ed
hanno quindi una peculiarità) scritta o parlata ma anche come qualcosa di più.

21/03

Per Gadamer gli ultimi aspetti considerati sono quelli che hanno concentrato l’attenzione sul fatto che egli
sia un filosofo della relazione, che pone al centro di essa il linguaggio come elemento di connessone fra le
parti (secondo un legame di partecipazione); in questo schema è possibile inserire non solo la
comunicazione, ma anche il significato stesso della relazione intesa come linguisticità non solo verbale.
Questa relazione è significativamente legata all’ontologia dell’evento che Gadamer riprende da Heidegger,
con la differenza che per Gadamer l’essere che può essere compreso è linguaggio; la comprensione è
universale, tutti possono comprendere e l’ermeneutica di Gadamer si configura come integrativa più che
costruttiva.

Applicare è comprendere e comprendere è applicare: differenza fra ciò che è corretto e ciò che è giusto.
Discorso sull’alterità, l’ermeneutica giuridica e il concetto di ragionevolezza che deve guidare le
interpretazioni per seguire l norma e realizzarla nella giusta maniera. L’ermeneutica gadameriana deve
essere intesa come un compito (più che come un metodo); fine 800 e inizio 900 esiste una grande
distinzione fra scienze della natura e dello spirito ed è chiaro che diversi interpreti hanno diversamente
concepito le scienze dello spirito: quando parliamo delle scienze della nauta possiamo parlare di leggi,
teorie, ipotesi mentre quando parliamo delle scienze dello spirito (umane, della cultura) non sono
propriamente dette perché non fanno capo ad una legge generale. Gadamer pensa a questa ermeneutica
più come un compito, interpretazione come compito (teoria e pratica stessa radice semantica), attività;
approccio tardivo fornito dalla lettura dell’etica di Aristotele.

In questa direzione si muove anche il pensiero di Wittgenstein: personaggio piuttosto particolare (rinuncia
all’eredità di famiglia), studia inizialmente ingegneria e dopo va a Cambridge ed inizia un nuovo percorso
che verrà interrotto dalla cattedra di docente elementare (non avrà dimestichezza: isteria verso gli
studenti). Sicuramente è importante per egli Russel, che scrive l’introduzione nella versione inglese del
trattato logico-filosofico; in quest’opera scrive spesso per aforismi. Il suo pensiero si può distinguere in due
fasi e molte delle sue opere vengono infatti pubblicate post-mortem.

Sostanzialmente, il rapporto che viene posto da Wittgenstein è quello tra il mondo e il linguaggio: primo
messaggio infatti il linguaggio è la raffigurazione logica del mondo; in questa relazione non c’è una vera e
propria mediazione svolta dal pensiero, perché il linguaggio e il pensiero sono identificabili ma allo stesso
tempo è vero che Wittgenstein pensa che le strutture del mono corrispondano a quelle del pensiero ed
esse si riflettono nel linguaggio.

ISOMORFISMO: HANNO LA STESSA FORMA

Es. Hume, pensatore empirista, nel pensiero ha dato diverse letture fondamentali per comprendere alcuni
aspetti del nostro modo di pensare:

➢ Critica al concetto di causalità: se dovessimo prendere un tavolo da biliardo, ci sono due palline; se
dovessimo colpirne una nella direzione dell’altra (moto di una verso l’altra), il moto della prima
viene trasferito sulla seconda, che si muove. Questo tipo di ragionamento è caratterizzato da un
nesso causale (causa moto della pallina A, effetto moto della pallina B); in un certo senso è una
questione che non deriva dal fatto che il moto della prima è causa del moto della seconda, ma si
tratta di un’inferenza frutto delle nostre esperienze, abitudini. È abitudine del pensiero considerare
che esista un nesso del tipo causa-effetto, perché nella maniera di concepire alcune cose sulla base
dell’esperienza, siamo abituati a pensare che ciò che viene dopo è causa di ciò he viene prima (post
hoc, ergo propter hoc). Non è in realtà così, tanti fatti avvenuti in successione temporale non sono i
in rapporto causa effetto: quando attribuiamo una causa ad un effetto, dobbiamo considerare che
c’è sempre il peso dell’esperienza e l’abitudine. Ciò che è successivo, non è detto che sia derivato
da quell’evento precedente.

In Wittgenstein c’è una sorta di corrispondenza fra il mondo e il linguaggio: possiamo parlare di una forma
del mondo che il linguaggio rappresenta, restituisce. Il mondo è inteso come la totalità dei fatti, il
linguaggio come totalità della proposizioni: il linguaggio conferisce quindi significato ai fatti del mondo.
Questi fatti del mondo possono essere considerati atomici che accadono in maniera indipendente l’uno
dagli altri: non esiste nesso causa-effetto.

Quando si parla dei fatti, anche lui utilizza il termine accadere: i fatti accadono e sono sostanzialmente
eventi; il messaggio di Heidegger in essere e tempo è quello che l’essere è tempo perciò la dimensione
dell’accadere è fondamentale, dell’evento è centrale; c’è sempre una temporalità da considerare ma allo
stesso tempo, c’è anche la lezione di Einstein: le cose del mondo hanno una struttura che è quella del
tempo e dello spazio, per questa ragione Wittgenstein parla di accadere, evento. Dal punto di vista
ontologico, il 900 consegna questa acquisizione che la dimensione dell’essere, le cose del mondo accadono,
non c’è al di fuori dell’accadere temporale.

Da un lato il mondo, da un altro il linguaggio come totalità di proposizioni che significano il mondo. I fatti
atomici sono alla base e costituiscono il mondo, invece quando parliamo del linguaggio gli elementi alla
stregua dei fatti atomici sono le proposizioni elementari. Per egli le stesse proposizioni sono dei fatti, che a
differenza dei fatti sono muti in quanto non significano se stesse ma il fatto che rappresenta; c’è questo
rapporto quindi di rappresentazione e raffigurazione del linguaggio: equivalenza di forma delle strutture.
Identità strutturale ed isomorfismo fra mondo e pensiero, tuttavia nel linguaggio troviamo la raffigurazione
logica del mondo; proposizione come raffigurazione di un fatto.

Così come esistono fatti atomici e proposizioni elementari, ci sono dei fatti che sono complessi, perché
sostanzialmente le cose del mondo accadono con diverse combinazioni possibili, diverse forme che
possono assumere i fatti (nella loro complessità si danno in tanti modi possibili). La stessa cosa avviene
anche nel linguaggio: le proposizioni elementari avranno poi il loro livello di complessità che, in quanto
raffigurazioni logiche, devono avere qualcosa in comune con i fatti: questa cosa in comune è proprio la
forma (struttura, possibilità di combinazione).

La proposizione ha quindi sicuramente una connessione con i fatti che è data dal fatto che i fatti sono
espressi, esprimibili attraverso il linguaggio e inoltre c’è anche un legame di senso, sono i fatti a dare senso
al linguaggio. Una proposizione ha senso se esprime la possibilità di un fatto: da ogni proposizione
elementare bon se ne può inferire un’altra ed è quindi è impossibile come per Hume inferire elementi
futuri da quelli presenti, quindi qual è il limite del linguaggio?

La fede del nesso causale è superstizione, non è qualcosa di scientifico: non esistono in senso proprio delle
leggi naturali, ma la regolarità appartiene al solo ambito della logica; al di fuori di essa tutto avviene per
caso. La dimensione della possibilità è quella fondamentale: ci sono tante combinazioni delle quali si può
cogliere solo l’elemento strutturale, struttura logica come unico elemento che si da fuori dal caso. Per
Wittgenstein, quelle proposizioni che raffigurano i fatti non hanno un carattere di necessità ma sono
contingenti (non necessario): esistono sicuramente proposizioni elementari che esprimono delle possibilità
dei fatti e queste sono quindi vere quando i fatti le confermano (si verifica quella possibilità), esse non sono
necessariamente vere ma possono esserlo se corrispondono ai fatti.

In quell’ambito che è il linguaggio, esistono delle proposizioni che invece hanno altra natura che esprimono
una necessità e sono indipendenti dal fatto che accadono.

➢ tautologie: qualunque fatto accada, questa proposizione esprime tutte le possibilità, saranno
sempre vere.
➢ contraddizioni: esprime qualcosa che è sempre falso qualsiasi fatto esprima, necessariamente falsa;
non rappresentano situazioni possibili, ma impossibilità.

(es “piove” proposizione elementare che è vero se in questo momento sta piovendo ed è quindi
confermata da un fatto; “non piove” proposizione elementare falsa, contingenti. Se invece “piove o non
piove” si tratta di una tautologia che è sempre vera, necessariamente vera. Se “quello scapolo è sposato”
sempre falso). Nell’analisi della teoria del linguaggio, bisogna tener sempre presenti questi aspetti, per
verificare la corrispondenza di un fatto.

Questa prima fase del pensiero di Wittgenstein sia poi stata messa da parte quando pare che stesse
viaggiando in treno con un suo collega, esponendogli la teoria della verificabilità del trattato: pare che egli
lo abbia mandato in crisi facendogli capire che il suo era solo un modo di interpretare il linguaggio. Il
Wittgenstein delle ricerche filosofiche, pensa infatti al linguaggio come uso: ci sono aspetti del linguaggio
che sono delle azioni; nel linguaggio rappresentiamo logicamente il mondo ma il realtà c’è anche l’uso: ci
sono strutture che in realtà esprimono qualcosa di più (es comandare, obbedire, recitare).

Il linguaggio corrisponde al suo uso: ci sono giochi linguistici che fanno si che il linguaggio sia vivo e dica
sempre qualcosa di nuovo, c’è sempre qualcosa che viene dismesso e qualcosa che viene proposto. Quel
dire qualcosa è fare quel qualcosa e questa ide di linguaggio come uso stimolerà una parte del pensiero
successivo: quello di Wittgenstein è ascrivibile all’interno della svolta linguistica del 900 (prima parte
“linguaggio come raffigurazione logica” della filosofia analitica, seconda “linguaggio come uso e gioco
linguistico” da quella orientale).

22/03

Il cambio di rotta del pensiero avviene circa negli anni 30 del '900: per il primo Wittgenstein i fatti sono
indipendenti gli uni dagli altri e le proposizioni anche; parla anche di un altro tipo di proposizioni che
esprimono qualcosa di vero ma non hanno una corrispondenza nei fatti. La posizione di Wittgenstein si
evolve, per cui il linguaggio è legato al suo uso e in particolare tale uso è visibile nei giochi linguistici.

Anche in questo caso, quando ci avviciniamo al pensiero del 900 troviamo rifugio nel linguaggio: c'è una
svolta linguistica e la questione dello spazio e del tempo come necessità di cogliere l'esistente in quanto
accadere, viene espressa tanto nell'ontologia heideggeriana quanto da scienziati come Einstein. Questa
concentrazione sul linguaggio deriva dalla sua peculiarità di essere un mezzo di un altro essere e allo stesso
tempo significa anche possedere:

il linguaggio è un qualcosa che non è pienamente (come invece è una cosa) ma si deve riempire di qualcosa

In antichità si guardava alle idee, alle forme, perché l'idea è quello che non cambia rispetto al divenire del
mondo. È come se il pensiero del 900 abbia cercato quella stabilità, che prima si scorgeva nelle idee, nel
linguaggio: l’attenzione ad esso significa che quella parte è invariante.

CARNAP 1891-1970 – eticità e non eticità del linguaggio

L'evoluzione del suo pensiero avviene in 3 momenti; il primo è quello de la costruzione logica del mondo
(1928): fase che incontra delle prossimità con il pensiero di Wittgenstein, che è stato un pensatore
fondamentale per il positivismo e per il circolo di Vienna mentre invece per i neopositivisti Carnap è stato
colui che ha tentato di definire, chiarire e mettere a punto tesi che sono proprie del neopositivismo. In
particolare Carnap è convinto che il linguaggio della scienza sia unico. La scienza ha un unico linguaggio,
l'elemento logico è quello fondamentale. Ovvio che esistono ambiti diversi delle scienze nei quali ci sono
linguaggi specifici, ma il linguaggio della scienza resta unico. Questi due pensatori sono prossimi perché
tentano di formulare una teoria del linguaggio ma si possono osservare differenze significative:

➢ Wittgenstein: abbiamo visto che parlando dei fatti atomici i fatti sono indipendenti gli uni dagli altri,
non esiste un nesso tra causa-effetto, non sono connessi.
➢ Carnap osserva invece le relazioni tra le proposizioni che le connettono l’un l'altra; si concentra
anche sul carattere sintattico del linguaggio, quindi gli elementi che in sostanza regolano il
linguaggio.

Tuttavia questa non è l'unica differenza, c'è n'è un'altra: la relazione, il contatto

➢ Per Wittgenstein, quella del linguaggio col mondo esiste in termini di una raffigurazione logica,
quindi in un certo senso il linguaggio ha un contatto con il fatto non mediato.
➢ Invece per Carnap questo elemento immediato (non mediato) non è considerato un fatto ma
qualcosa di diverso, che ha natura psichica, cioè l'esperienza vissuta. In particolare Carnap ci parla
di esperienze vissute elementari.

Queste sono degli elementi originari (che viene dall'origine). Nella "costruzione logica del mondo", il fine
che Carnap si propone è quello di formulare un sistema di concetti che costituiscono la scienza:

Quali sono gli elementi alla base del ragionamento scientifico e di cui si occupa la scienza? Come la scienza
costruisce gli oggetti logici partendo dall’elemento psichico?
A partire da queste esperienze vissute elementari è possibile ricostruire tutto il mondo fisico e psichico:
questo tipo di ricostruzione non è un esercizio metafisico, ma possiamo farlo senza ricorrere ai concetti di
sostanza e causa (secondo Carnap concetti metafisici). Ne "l'eliminazione metafisica mediante l'analisi
logica del linguaggio" (1931), Carnap dice che ci sono due elementi tipici costitutivi del linguaggio:

➢ vocabolario (lista di parole che hanno un significato)


➢ sintassi (regole che servono a formare e connettere gli enunciati)

Quando in un linguaggio mancano vocabolario o sintassi, nascono delle pseudo-proposizioni: venendo


meno il vocabolario ci possono essere delle proposizioni alle quali si attribuisce erroneamente un
significato; allo stesso tempo, quando manca la sintassi ci sono parole che individualmente hanno
significato ma sono messe insieme senza alcuna regola e quindi la proposizione perde di senso.

Differenza con Wittgenstein: la struttura logica del linguaggio per Carnap è un contesto di relazioni,
necessarie al linguaggio stesso. Fondamentalmente cerca di isolare l'elemento logico privandolo del
significato morale.

23/03

Wittgenstein: linguaggio comune - Carnap: della scienza (influenza di Mach – scienziato empiriocriticista).

Per Carnap è importante che il linguaggio sveli il nesso: nel linguaggio scientifico l’attenzione si concentra
sia sugli elementi che compongono il linguaggio e sia sulle connessioni. Sta a significare che il mondo fisico
è costruito concettualmente dall’elemento psichico, non esiste di per se’. Nel saggio “lo spazio”, Carnap
prende la discussione scientifica sul concetto di spazio e spiega che se ognuno attribuisse al concetto di
spazio un significato diverso, il dibattito non verrebbe mai a capo; è quindi necessario parlare con lo stesso
vocabolario al fine di comprendersi ed evitare di cadere in errore.

Mentre Wittgenstein credeva che fuori dalla logica non c’era nulla di spiegabile razionalmente (tutto ciò
che è al di fuori è superstizione), Carnap è dell’idea che le proposizioni metafisiche non hanno significato
perché ricorrono ad un vocabolario che esprime altro (es. concetto di trascendenza) rispetto al linguaggio
della scienza; la sua critica alla metafisica è molto forte: sostiene che essa utilizzi parole che non hanno
senso, ovvero che non hanno un corrispondente empirico. La superstizione utilizza proposizioni che hanno
un significato, al di la del fatto che qualcuno ci creda o meno: la stessa cosa vale per le favole, perché non
cadono in affermazioni che tra di loro si contraddicono, ma hanno una struttura che sostanzialmente tiene.

Nella prima tesi de “la sintassi logica del mondo” (1934 e tradotto in inglese nel 1937), Carnap intende la
logica come sistema di relazioni che, nei termini della logica del linguaggio ha una natura convenzionale,
ovvero arbitraria; con questa tesi viene meno l’idea per cui esistono una molteplicità di linguaggi relativi,
quindi Carnap formula il principio di tolleranza secondo cui possono esistere più linguaggi dalla natura
convenzionale. Pertanto non è compito della teoria del linguaggio stabilire le proibizioni e sostanzialmente
il linguaggio non ha una valenza morale anzi, ciascuno può costruire la propria logica e darle una forma di
linguaggio. Non esiste un linguaggio unico ma tanti linguaggi purché ci siano delle regole chiare per ognuno

Elemento della relazione più accentuato: attraverso il darsi delle regole che si può creare un linguaggio

Nella seconda tesi, esprime la necessità di una natura sintattica alla base delle regole del linguaggio; il
legame sintattico si pone come espressione di combinazione linguisticamente strutturata, per cui sono le
regole a fare il linguaggio. Man mano l’elemento psicologico di costruzione del mondo viene meno nei suoi
termini di universalità e all’interno della scienza e del linguaggio scientifico è possibile distinguere tra:

➢ linguaggio sistemico (le leggi della natura)


➢ linguaggio protocollare (delle proposizioni) che si riferisce in maniera immediata al dato e descrive i
contenuti dell’esperienza immediata, quindi consentono la verifica empirica da parte della scienza.
Questa verifica che le proposizioni protocollari danno non riguardano l’intero sistema scientifico; quando ci
si riferisce alle leggi della natura, il tipo di linguaggio è possibile: critica al principio dell’induzione, per cui
non sarà mai la singola osservazione a dare la legge generale. In questo tipo di linguaggio il punto di
osservazione è sempre soggettivo perché è l’individuo a costruire il mondo, creando una sintassi
(prospettiva metodologica).

Carnap non sostiene che non ci siano relazioni tra gli individui ma, crede il singolo possa assumere i propri
protocolli come punto di partenza per le osservazioni sul mondo. Ovviamente una dimensione
intersoggettiva deve esistere ma, come dare valenza intersoggettiva al linguaggio? Il linguaggio della fisica
ha una validità universale e intersoggettiva: materialismo metodico.

Nella prima fase il dato si presenta direttamente dall’esperienza vissuta in maniera non mediata. Ora invece
quell’elemento psichico di immediatezza si presenta come espressione linguistica, attraverso le
proposizioni protocollari: la costruzione non parte dall’elemento psichico ma dall’elemento linguistico.

Nella terza fase del suo pensiero, Carnap scrive “confermabilità e significato”(1936-37); in questo testo il
dato si presenta come possibilità, in particolare come possibilità di riduzione dei predicati descrittivi del
linguaggio scientifico nella forma di predicati osservabili: attenzione rivolta al linguaggio quotidiano.

ABBANDONO DELLA PROSPETTIVA DI VERIFICAZIONE DELLE PROPOSIZIONI SCIENTIFICHE E INTRODUZIONE


DELLA CONFERMABILITA’ (VALIDAZIONE COMPLETA=IDEALE IMPOSSIBILE)

La validità scientifica del dato possibile fa si che questa possibilità sia controllabile e confermabile: il
linguaggio della scienza deve confermare

28/03

Carnap vuole mettere in luce le connessioni tra il linguaggio e il dato:

➢ nella prima fase attraverso l’esperienza vissuta, i contenuti psichici è possibile leggere il mondo in
questi termini mediati e i concetti sono costruiti a partire dalle esperienze psichiche (costruiscono il
mondo logicamente).
➢ Nella seconda fase, le proposizioni protocollari non sono quelle che si esprimono in maniera
generale ma particolare.
➢ Nella terza fase, Carnap giunge a dire come questo dato che emerge nel linguaggio sia qualcosa di
controllabile ma mai verificabile.

Le teorie di Carnap, come quelle di Wittgenstein vengono dibattute all’interno del Circolo di Vienna
(empirismo, positivismo, neopositivismo), pensatori dai quali partono due tradizioni: quella del linguaggio
comune (w) e quella del linguaggio della scienza (c). La prospettiva epistemologica del neopositivismo è
legata in particolare al criterio di verificabilità, il dato empirico deve verificare e validare la teoria; Carnap ci
arriva grazie alla teoria del linguaggio: gli eventi sono conformabili e confermabili da enunciati particolari.

KARL POPPER 1902-1994


Negli anni relative al pensiero di Popper e le cose sono cambiate: hanno sempre posto in attenzione critica
il rapporto tra Popper e il neopositivismo:

➢ anni 50 egli era considerato un neopositivista


➢ anni '60 viene considerato anti-positivista
➢ anni '80-'90 c'è stato chi ha detto che erano presenti elementi neopositivisti e altri anti-positivisti.

Popper sostiene che la partecipazione di Einstein ad una lezione a Vienna sia stata determinante, in quanto
ha posto l'attenzione sull'ineliminabilità della condizione spazio-temporale; vedendo questa lezione Popper
resta colpito dal fatto che egli dica di cercare qualcosa che rende falsa la sua teoria. Per Einstein, c'è una
curvatura dello spazio e del tempo: sono essi a dire alla materia come muoversi, la materia ha un dialogo
con lo spazio-tempo: teoria della relatività che mette in discussione i fondamenti della fisica newtoniana
dal momento in cui crede che prendendo due oggetti, tra di questi c'è una distanza esprimibile secondo
una misura quantitativa assoluta ed il tempo che intercorre tra due eventi è misurabile.

Nella lettura di Einstein è importante tenere conto del sistema inerziale di riferimento: quando un oggetto
cade, c'è chiaramente una forza negativa che lo attira verso il basso (es del treno: due osservatori, uno fuori
e uno sopra; mettendo una pallina sul treno, l'osservatore sopra vede l'oggetto fermo mentre quello fuori
lo vede in movimento. Se il treno frena la pallina si muove in avanti. Questo è vero per l'osservatore sul
treno ma non per quello sulla terra, quindi dipende dall'osservatore). Ogni fatto assume una dimensione di
evento che accade in uno spazio e in un tempo; questo tipo di logica che è stata portata avanti da Einstein,
ha innanzitutto formulato delle previsioni, ha costruito una teoria che è RISCHIOSA. Perché chiede
all’esperienza di smentirla: la ricerca di smentite rafforza la teoria.

La teoria non chiede di essere sottoposta a un criterio di verificabilità ma chiede di essere utilizzare
un criterio di falsificabilità

Altro aspetto che Popper riprende da Einstein è il fatto che le teorie scientifiche non si basano su certezze
ma su ipotesi o congetture; per tale ragione, queste ipotesi sono fallibili. Tutto si basa su ipotesi, ci sono
continue ipotesi nella storia della scienza. Le idee che Popper riprende dal metodo di Einstein sono
Falsificabilità e Fallibilità.

Si tratta di una teoria epistemologica che sembra superare quel limite palesato dalla verificabilità empirica
alla base del principio di verificazione neopositivista. Popper pone l'attenzione alla teoria della scienza, al
come si fa scienza ed è per questo che il criterio di falsificabilità deve essere concepirlo come il criterio di
distinzione tra una teoria che è scientifica e una teoria che non lo è.

Una teoria è scientifica quando può essere falsificata dall'esperienza, nella misura in cui falsificata vuol dire
potenzialmente falsificabile grazie all’esistenza di almeno un falsificatore

Il limite che viene superato con questa posizione è che, assumendo il criterio di verificabilità positivista, una
teoria produrrebbe una serie di effetti infiniti rispetto ai controlli su di essa che sono invece finiti. Da questa
asimmetria nasce il limite, si rende palese il limite della impostazione neopositivista: una teoria non può
essere verificata completamente se non dal punto di vista ideale. Il criterio della falsificabilità invece, non
pretende infinite verificazioni visto che non si possono controllare cose che sono sempre vere: la
controllabilità sta nel fatto che ci sia possibilità di smentita.

Nella formulazione di teorie, Popper parla di asserzioni base, cioè di enunciati elementari che devono
essere pubblicamente controllabili ed espressi attraverso definizioni condivise tra gli osservatori scientifici.
Per essere scientifica quindi, una teoria o una asserzione (enunciazione della teoria) deve avere almeno un
falsificatore potenziale che non stabilisce la sua non-validità, anzi se ad es. TUTTI I CIGLI SONO BIANCHI e
viene avvistato un cigno nero, la teoria è smentita, ma metodicamente parlando il controllo empirico fa
parte della ricerca stessa: la falsificabilità è metodica. Nessuna smentita può essere definita certa,
anch’essa stessa può essere sottoposta al criterio di falsificabilità. Popper sostiene che quello da tenere
debba essere un atteggiamento metodico che deve far sì che lo scienziato possa sempre ritenere falsificabili
anche quelle falsificazioni già verificate.

LOGICA DELLA RICERCA: la natura ipotetica di una teoria è un aspetto fondamentale perché la scienza è
fatta di tante teorie; il rapporto scienza-esperienza non è mai quello teoria-esperienza empirica. Le teorie si
confrontano con l'esperienza e si rapportano ad essa. Ad es, tra l'asserzione "tutti i cigni sono bianchi" e
quella "tutti i cigni sono neri", la teoria conoscitivamente più valida è la prima perché dice qualcosa dal
punto di vista conoscitivo più valido dell'altro e che si avvicina di più all'esperienza.

Il criterio di falsificabilità distingue ciò che è scientifico da ciò che non lo è: questo per Popper è molto
differente da ciò che pensa il neopositivismo, il quale pensa il criterio di verificabilità come un criterio di
senso, per il quale le teorie scientifiche hanno significate e quelle non scientifiche no. Per Popper non è
così: lui non pensa il criterio di falsificabilità come criterio di senso, ma crede che ci siano teorie che hanno
significato che non sono scientifiche così come ci sono teorie che hanno significato e sono scientifiche.

➢ Wittgenstein dice che di tutto ciò di cui non si può parlare si deve tacere, ci sono delle proposizioni
all'interno del linguaggio che esprimono dei non sensi, che non corrispondono a una
rappresentazione empirica.
➢ Per Carnap il linguaggio che conta è quello della scienza.
➢ Popper dice che non è proprio così, per lui anche le proposizioni metafisiche hanno un significato
razionale, non sono scientifiche ma hanno un significato e questo vuol dire che è razionale.

Nell'ambito della psicologia o scienza ci sono idee metafisiche che sono fondamentali ma ci sono anche
teorie metafisiche dalle quali la scienza ha poi tratto il punto di partenza delle proprie teorie scientifiche.
Quindi per Popper questo tipo di asserzioni metafisiche sono dotate di significato ma non sono scientifiche.

29/03

Epistemologia e pensiero popperiano: il suo primo testo è pubblicato negli anni 30 in tedesco, all’interno
delle discussioni di un collana all’interno delle quali erano presenti le discussioni del Circolo di Vienna
(scriverà di essere stato lui a porre fine al circolo di Vienna); solo negli anni 50 venne pubblicato in lingua
inglese perché il Popper epistemologo sarà riconosciuto al grande pubblico in un secondo momento. Il
primo Popper è quello che si occupa del pensiero politico: per le sue origini, ha dovuto abbandonare Vienna
per andare nella Nuova Zelanda; subito dopo la seconda guerra mondiale si comincia ad occupare del
pensiero politico “la miseria dello storicismo” e “la società aperta ed i suoi nemici”. Si tratta di testi che
avranno una significativa fortuna, successivamente ai quali ci fu la traduzione inglese: in particolare, il suo
successo è derivante soprattutto ad alcuni aspetti da lui affrontati in questi testi di filosofia politica perché
diventa una sorta di bandiera per il pensiero liberale (le potenze che vincono la seconda guerra mondiale
sono occidentali, Russia): controcanto politico rispetto al marxismo.

Al centro dell’impostazione popperiana vi è una prospettiva diversa da quella del Circolo di Vienna,
anzitutto perché l’idea alla base della sua epistemologia è sostanzialmente legata ad una rivoluzione che
egli intendeva apportare nell’ambito della teoria della conoscenza scientifica: guardando ciò che aveva
fato Einstein alla fine, pensa che la ricerca scientifica nella teoria della conoscenza debba avere l stessa
audacia di elaborare teorie rischiose che non cercano una verificabilità ma smentite per essere scientifiche;
prende da Einstein anche l’idea per cui c’è una fallibilità nelle scienze.

Gli studiosi di Popper sostengono che egli abbia voluto fare con Einstein ciò che Kant fece con Newton: si
propone di portare nella teoria della conoscenza quella rivoluzione che Einstein aveva fatto per la fisica
(Newton:Kant=Einstein:Popper). Il criterio di falsificabilità è diverso da quello di verificabilità perché legge
una teoria come scientifica quando esiste almeno un potenziale falsificatore di quella teoria: se non ci sono
smentite, non c’è scientificità. Questo aspetto non deve essere inteso come se il criterio di falsificabilità
fosse applicato sul piano logico: criterio di falsificabilità (falsificatori potenziali) metodologico. il rapporto
che si v a verificare non è teoria-esperienza ma è più teorie applicate all’esperienza. Da questo punto di
vista la teoria di Popper assume un criterio di razionalità che si propone come distintivo fra ciò che
scientifico e ciò che scientifico non è.
In presenza di asserzioni metafisiche, se comprese hanno senso e sono dunque razionali ma chiaramente
non sono controllabili perché non c’è la possibilità di smentita attraverso l’esperienza (non sono
empiricamente controllabili). Il suo pensiero è stato posto in confronto con quello di Gadamer, per la
questione del metodo: epistemologicamente ci si chiede quale sia il metodo valido per avere una
conoscenza una teoria scientifica; da questo punto di vista Popper dice che non esiste una sorta di
manuale, una procedura per formulare un teoria scientifica ma in realtà essa nasce tramite la necessità che
vi siano o delle intuizioni creative oppure delle ipotesi audaci. In particolare, secondo Popper le teorie
possono avere questi due elementi; l’origine, la genesi (momento originario che diventa originale) o
l’intuizione che conferisce un valore innovativo alla teoria (le scoperte scientifiche nascono anche in maniera
del tutto casuale oppure possono avere origine da concetti metafisici) – giustificazione o valore di un
fenomeno.

Le teorie scientifiche non nascono da una procedura, ma in maniera casuale: queste devono però essere
sottoposte a prova, conferma empirica e quindi al criterio di falsificabilità (devono essere smentibili). Come
per Gadamer, anche per Popper non esiste un metodo per la scienza per trovare le teorie scientifiche, ma
per controllarle.

PROBLEMA=TEORIA/IPOTESI=CONGETTURE E CONFUTAZIONI/SMENTITE (CERCO CIO’ CHE SCONFESSA LA


TEORIA, OVVERO LA RAFFORZA)/PROVA

Il metodo procede perciò per congetture e confutazioni finché la teoria non si avvicina sempre più alla
verità: come dirà poi Popper, la mente dell’uomo non è una tabula rasa ma è impregnata di teoria: non è
un recipiente all’interno del quale accoglie informazioni, è un faro che illumina, cerca nuove ipotesi e
formula congetture, le sottopone a smentite; in questo illuminare, fa luce su un qualcosa che è già
presente. È un po’ come quando Gadamer parla di pregiudizi (comprendere sempre qualcosa sulla base di
cui si dispone). In particolare, questo meccanismo e questa prospettiva, sono veri per il fatto di applicare
quel criterio di conoscenze della falsificabilità, consapevoli del fatto che la teoria attraverso cui si analizza
un fenomeno è fallibile: frutto del gioco di congetture e confutazioni.

1963-congetture e confutazioni: qui, Popper colpisce criticamente il marxismo, la psicanalisi e la psicologia


individuale (seguaci di Marx, Freud, Adler) in quanto pone in dubbio la capacità di falsificabilità di questi tre
orientamenti: posto il criterio di distinzione fra scienza e non scienza che è il principio di falsificabilità,
sostiene che tutto ciò che non è applicabile ad esso non è scientifico. Per quanto diversi, tutti e tre hanno la
pretesa di poter spiegare tutto, avendo tale pretesa non sono sottoponibili alla falsificabilità e cioè non
sono scientifici. La teoria di Einstein non è sottoponibile a tutti i possibili fenomeni ma ad un campo
illimitato di fenomeni. Probabilmente il limite di Popper è quello di non aver avere un’adeguata conoscenza
degli autori che critica: dice che il marxismo ha cercato di dare sempre delle spiegazioni ultimative che
empiricamente non sono verificabili. Sia l’approccio freudiano che adleriano palesano il limite di avere la
pretesa di spiegare qualsiasi tipo di fenomeno, spesso con soluzioni che possono essere le medesime in
situazioni diverse (adulto che tenta di affogare un bambino cerca). Anche le teorie non strettamente
scientifiche soffrono il limite dell’impossibilità della loro falsificazione perché hanno la pretesa di essere
vere.

Il pensiero di Popper pone al centro una certezza, il fatto che l’induzione non esiste: il metodo induttivo non
esiste o quantomeno non è scientifico; il limite che palesa l’induzione nel volere definire una legge è
esattamente il fatto che non possiamo muovere da asserzioni particolari per definire una legge generale
che possa dirsi scientifica. Si tratta chiaramente di un aspetto che si pone alla base del principio di
verificabilità: cerchiamo continuamente conferme empiriche della nostra tesi partendo dal particolare per
dare conferma all’universale: secondo Popper, l’induzione non è un criterio che può essere adottato
logicamente nella ricerca scientifica. Per quanto numerose possano le osservazioni particolari che
possiamo effettuare, esse non saranno mai capaci di produrre teorie universali.
La teoria scientifica non proviene da uno schema, da un modello induttivo ma da un modello deduttivo, che
chiaramente si presenta come modello ipotetico (deduzione ipotetica, induzione categorica = modello
induttivo-categorico e deduttivo-ipotetico): muovere dall’universale per andare al particolare. La scienza
quindi non parte dai fatti ma parte dalle idee, ipotesi che devono chiaramente per deduzione essere
sottoposte all’esperienza, devono essere smentibili dall’esperienza; essa decide sulla validità delle ipotesi.

RAZIONALISMO=LOGICA DEDUTTIVA+EMPIRISMO

PROSPETTIVA DI REALISMO EMPIRISTICO CON INTENZIONE DI PRENDERE A RIFERIMENTO UNA


RAZIONALITA’ CHE SI LEGA AL CRITERIO LOGICO-DEDUTTIVO

È per questa ragione che Popper non può considerare la nostra mente una tabula rasa: attraverso il criterio
della razionalità della logica ipotetica, elabora teorie e tesi (per Gadamer sono i pregiudizi, punti di partenza
dai quali si parte quando ci si approccia ad una nuova conoscenza). Questa critica all’induzione è
fondamentale per qualsiasi studio scientifico si voglia condurre: non si può mai partire dal particolare per
arrivare al generale, si può trarre in errore.

Pensiero politico: secondo Popper, che assume molta più rilevanza con gli scritti “miseria dello storicismo”
1944-45 e “la società aperta e i suoi nemici” 1945; qui, ancora una volta, con la parola storicismo non
s’intende la corrente filosofica ma tutti quegli orientamenti di pensiero che hanno dalla sua prospettiva
eretto la storia a divinità (si pensava che la nauta fosse la divinità, invece altri pensano la storia come
divinità, es. Hegel e secondo Popper anche Marx): divinizzazione della storia. Dice Popper che questo
storicismo soffre di una velenosa malattia, che fa si che ci si trovi di fronte a delle filosofie oracolari: è come
se Popper ci stesse dicendo che pensando la storia come motore del mondo, c sono alcune maniere di
intendere il mondo che pensano che tutto sia prevedibile, giustificabile e dal suo punto di vista questo
orientamento oracolare della lettura della storia comporterebbe una visione totalitaria della società e della
politica.

Le critiche che in particolare muove a questo orientamento, consiste nel dire che questo storicismo
errerebbe nel momento in cui ha la pretesa di trarre dallo studio dei fatti delle prescrizioni di valore:
soluzioni finali, avrebbe un orientamento teleologico che è però prescrittivo, decide come deve essere la
realtà; questa maniera di intendere la storia confonderebbe le leggi storiche con quelle che sono delle
tendenze totalitarie: tutto ciò che appare come tendenza viene presa come una legge

………germe della violenza, e quindi porterebbe sempre a delle sofferenze. Altro aspetto che deriva da
questa critica a coloro che intendono leggere la società in maniera predittiva e quindi deterministica, viene
attribuita da Popper alla dimensione politica sicché riprende una distinzione tra società aperta
(democrazia) e società chiusa (totalitarismo).

L’aspetto fondamentale e qualificante che rintraccia nella democrazia sta nel fatto che essa salvaguardi
sempre la libertà di coloro che compongono, che ne fanno parte: sostanzialmente mantiene sempre la
libertà dei suoi membri. Che significa che garantisce la libertà? Il potere appartiene al popolo, e questo da
possibilità ai propri membri di controllarlo e licenziare i governanti che non hanno operato in maniera
corretta (possibilità di correzione degli errori).

Libertà, autocontrollo ed istituzioni democratiche come punti fondamentali, in particolare la prospettiva di


Popper è quella di pensare sempre alla democrazia e al suo aggiornamento in termini di un riformismo
graduale in opposizione alla rivoluzione, che non riesce mai ed anzi escono sempre delle riforme peggiori.

CAMBIARE UN PEZZETTINO ALLA VOLTA E’ LA GARANZIA DELLA DEMOCRAZIA

30/03

SEMINARIO IL GIOVANE MARK


04/04

Il modello metodologico al quale fa riferimento l’impostazione di Popper è quella di Einstein; le idee che
avevano ispirato la teoria della relatività di Einstein, dimostrano come siano rinvenibili caratteriste
dell’approccio metodologico alla scoperta scientifica come suggerisce anche Popper nella logica della
ricerca (falsificazionismo e fallibilismo). Il rapporto fra Popper e il circolo di Vienna: Popper killer del circolo
perché col principio di falsificabilità nega l’impostazione del verificazionismo che il circolo aveva portato
avanti. Questo principio di falsificabilità non pretende una verifica empirica della tesi sostenuta ma
pretende per comprovare la scientificità almeno l’esistenza di un falsificatore della teoria stessa; nella
critica al falsificazionismo l’aspetto fondamentale è quello della critica e soprattutto l’idea per la quale il
metodo logico-induttivo sia sostanzialmente da abbandonare, perché è impossibile verificare in misura
logicamente sufficiente un’affermazione che pretende una sorta di verificabilità infinita (pretesa scientifica
di infinità).

Il procedimento he conduce un’affermazione ad essere verificata e considerata vera, dal particolare al


generale (induttiva( è fallace; quello che Popper ritiene essere il metodo della scienza, è quello deduttivo-
ipotetico: FORMULARE IPOTESI E CERCARNE I FALSIFICATRI, SOTTOPONENDO A VERIFICA LA DEDUZIONE. Si
parte dalle idee, ipotesi che devono poi essere falsificabili attraverso fatti verificati empiricamente (dal
punto di vista della possibilità ovviamente, teoria vera non se effettivamente falsificabile, ma possibilmente
falsificabile).

PUNTO DI PARTENZA CHE SPOSTA L’ATTENZIONE DAI FATTI ALLE TEORIE (TEORIE E NON TEORIA PERCHE’
INEVITABILMETE IL PROESSO SCIENTIFICO HA UN ARELAZIONE CON I FATTI EMPIRICI CHE NON E’ MAI
TEORIAA-FATTO MA DIVERSE TEORIE IN RELAZIONE CON I FATTI)

Da qui Popper pensa a quell’altro principio, pensato nella prospettiva di Einstein, cioè quello del
fallibilismo: le teorie sono vere fino a prova contraria, fino a che non esce un’altra teoria che risulta
prossima ai fatti rispetto all’altra. È chiaro che allo stesso tempo questa prospettiva faccia comprendere
che anche lo stesso criterio di falsificabilità, se dal punto di vista logico fa cadere un enunciato universale
(scientifico), dal punto di vista epistemologico non comporta il totale abbandono della teoria fino a che non
ne nasce un’altra, prossima in misura maggiore a fornire una validità conoscitiva migliore.

Popper riprende da Einstein anche la capacità di formulare teorie rischiose perché il procedimento della
scienza va avanti per tentativi ed errori: CONFUTAZIONI ED ERRORI. Il procedimento va avanti per conferme
e confutazioni. Per questa ragione stessa, la capacità del ricercatore è legata ad un tipo di prospettiva per la
quale la nostra mente non è una tabula rasa (recipiente da riempire), ma un faro (qualcosa che osserva e
vede, ha delle intuizioni) perché non esiste un metodo della scoperta scientifica, un manuale per fare
conoscenza (molte delle scoperte sono legate a intuizioni e faccende fortuite, casuali). In questa
prospettiva epistemologica, possiamo cogliere anche cogliere la prospettiva del PENSIERO SULLA SOCIETA’
E SULLA APOLITICA che Popper porta avanti (Popper politico post 2guerra mondiale, vinta dalle potenze
occidentali e unione sovietica, per cui le sue analisi gli danno grande visibilità e diventano riferimento del
pensiero liberale).

Nei suoi due testi politici va a criticare alcune istanze di spiegazione del mondo e della realtà, che nella sua
prospettiva epistemologica non avevano un livello conoscitivo valido (a livello epistemico): criticava
l’impostazione del marxismo, freudiana e di Adler perché sostanzialmente diceva che questi approcci alla
lettura del mondo, in un certo senso, non potessero essere sottoponibili a quel principio di falsificabilità che
è il DISCRIMINE FRA CIO’ CHE E’ SCIENTIFICO (falsificabile) E NON SCIENTIFICO (non falsificabile). Per
STORICISMO non intende la corrente di pensiero, ma questo tipo di visoni della realtà che cercano di
spiegare teleologicamente realtà e comportamenti dell’uomo, pensando al destino e alla divinizzazione
della storia definendole FILOSOFIE ORACOLARI.
Sul pensiero del Popper politico, ne la società aperta e i suoi nemici, distingue società aperta e chiusa: la
questione che le distingue è legata alla possibilità di controllo dei governanti, per cui l’elemento che
distingue la democrazia dalla dittatura è che chi è governaTO ha possibilità di controllare i governaNTI.
Questa visione comporterebbe dalla suo punto di vista il livello di democrazia in una società: dal punto di
vista storico prende un’altra cantonata perché dire che Platone è un sostenitore della società chiusa non è
possibile (lo stesso Platone, ne La repubblica, sotto forma di un’idea cerca di spiegare l’organizzazione della
città-stato che pensava governata da tre classi, spiega la società organizzata come progetto educativo
progettato in maniera armonica).

La questione fondamentale resta questa citrica alla scientificità di tali approcci: in linea perfetta con la
lettura epistemologica che fa infatti, dice che l’approccio alla trasformazione della società che deve essere
portata avanti dalla politica è quello di un riformismo graduale più che di rivoluzione istantanea, che non
riesce a dare sostanza al mutamento sociale.

In conclusione, l’interpretazione popperiana de mondo scientifico (distinzione scienza e non scienza –


falsificabilità, perché a differenza di altri pensatori dice che questa distinzione non è identica a quella fra
teorie che non hanno significato e che hanno significato; esistono teorie non scientifiche che però hanno
significato come ad la metafisica) viene ripresa nella riflessione popperiana ultima, in particolare
riferimento all’orizzonte di senso della scienza: distingue la possibilità di indagine su tre tipi di livelli,
formulando la TEORIA DEI TRE MONDI:

➢ Mondo 1: della cose


➢ Mondo 2: della soggettività, esposizioni che il soggetto può fare sul mondo
➢ Mondo 3: contenuti del nostro pensiero. Mondo al di fuori dei vincoli dello spazio e del tempo ed è
l’ambito delle TEORIE CHE HANNO UN SIGNIFICATO (CONTENUTO DEL PENSIERO) e sono oggettive,
perché non sono dipendenti dagli stati d’animo e del secondo mondo

L’APPROCCIO DELLE SCIENZE E’ RISERVATO ALLE IDEE, DEPURATE DAGLI STATI D’ANIMO, CHE RESTANO AL
DI FUORI: OGGETTIVISMO CHE RISPONDE ALLA REALTA’ E SOPRAVVIVE (SENZA STATI D’ANIMO,
ESPERIENZE SOGGETTIVO ED ELEMTENTO DELLE COSE DEL MONDO) = FUORI DA SPAZIO E TEMPO, I
CONTENUTI DI PENSIERO SONO LA REALTA’

AUSTIN 1911-1960 – tradizione del neopositivismo analitico

L’ultimo pensatore è ascrivibile al neopositivismo: distinzione fra linguaggio scientifico e comune, Austin si
occupa di quest’ultimo. Nasce in Inghilterra, pubblica poco o niente ed il suo testo più noto viene reso
pubblico poco dopo la sua morte nel 1962 “How to do thinks with words” (come fare cose con le parole). Il
concetto centrale del suo pensiero è sviluppato a partire dal 1955 ad alcune lezioni tenute ad Harward,
durante le quali analizzando gli atti linguistici nota che nel linguaggio non esistono solamente degli
enunciati constatativi, confermativi ma esistono anche enunciati performativi (to perform= agire) che in
maniera immediata fanno qualcosa (es più comune “io battezzo te…” “prendo come moglie..”), che sono
sostanzialmente essi stessi delle azioni: dicendo di fare, in maniera immediata si produce un fatto reale.

Questo tipo di enunciati sono esprimibili in maniera diversa: ci sono atti perforativi che al loro interno
contengono verbi performativi (vietare, battezzare ecc.) e atti che invece sono formati da sostantivi semplici
(scusa, auguri, grazie, ecc.); ce ne sono altri espressi da predicati passivi (vietato sporgersi), atti espressi in
forma complessa e atti che sono riferibili a contesti di fantasia o dell’ambito della religione (lazzaro alzati e
cammina). La peculiarità di questo tipo di enunciati è quello di non poter essere ascrivibili alla distinzione
fra vero e falso, e dal punto di vista di Austin non sono né veri né falsi per cui li definisce infelici, non
completi.
Nell’analizzarli Austin si rende conto che questi enunciati possiedono una spiccata tendenza a realizzarsi e
produrre effetti immediati; soffermandosi su quelli confermativi, sostiene che anch’essi possiedono aspetti
che in un certo producono degli effetti ed esprimono delle intenzioni (es è meglio che studiate per
l’esame): enunciati confermativi che possono avere due effetti diversi, uno che coincide con l’intenzione
e l’altro che fa sì che l’intenzione non coincida con l’enunciato, scaturendo azioni diverse dal fine che si
propongono di realizzare.

Nell’analisi degli enunciati confermativi ci sono quindi aspetti che possono essere distinti: aspetto relativo
alla locuzione, in cui attraverso l’atto si forma la frase, l’enunciato con parole e regole grammaticali
(formazione dell’enunciato dotato di senso) ed aspetti relativi all’illocuzione (intenzione che l’enunciato
esprime) e aspetti relativi alla perlocuzione (fine che l’enunciato vuole realizzare); possono esserci
scollamenti fra la dimensione dell’illocuzione e perlocutoria. Gli enunciati proferiti con un intento
confermativo e constatativo, sono sempre ancorati oltre che alla loro composizione grammaticale e
lessicale, ad una dimensione che esprime un’intenzione e che ha degli effetti, che non è detto coincidano
con l’intenzione. Realmente quindi il linguaggio fa cose, in maniera immediata e mediata.

Marcuse – scuola di Francoforte

Il circolo di Vienna ha dato vita a tradizioni differenti, come sicuramente ha fatto un’altra corrente di
pensiero fondamentale per lo studio della società del ‘900, sviluppata da istanze portate avanti dalla Scuola
di Francoforte 1922 (nasce l’Istituto per la Ricerca Sociale); essa rappresenta un momento centrale per il
quale non è portata avanti un’attenzione al linguaggio comune o della scienza in maniera analitica, ma si
propongono di effettuare una critica alla società contemporanea che avevano davanti. Pensatori quali
Adorno e Horkeimer fanno parte della prima generazione di questa scuola di pensiero; nel 1936 Horkeimer
avvia la rivista della ricerca sociale (sede prima in Germania, poi a Parigi ed infine a New York) nella quale
viene sviluppato il dibattito critico sulla società. Con l’avvento del nazismo, alcuni francofortesi decidono di
andare fuori dall’Europa per rimanerci o ritornarci.

I puti di riferimento della scuola di Francoforte sono Hegel, Marx e Freud: il movimento dialettico fatto
proprio dai francofortesi è teso ad evidenziare le contraddizioni che sono presenti nella società ma allo
stesso tempo, un’istanza critica sicuramente presente è anche quella di una critica all’autorità costituita
(società totalizzante) per via della presa di potere del fascismo e del nazismo; la lettura del comunismo
sovietico è in chiave critica nella misura in cui viene letto come ulteriore forma di capitalismo: rivoluzione
cha ha fallito i propri intenti. Ultima e terza è la critica alla società tecnologica, della opulenza posta nei
termini di critica all’industria culturale (diventata un prodotto destinato al consumo anziché all’espressione
di qualcosa).

La portata innovativa è dettata dall’innesto su motivi classici del pensiero hegeliano-marxista legati ad
elementi freudiani quali rimozione, introiezione e ricerca del piacere; questo elemento è particolarmente
visibile in Marcuse. Il primo testo di riferimento quando si fa menzione del pensiero di Marcuse è Eros e
Civiltà-1955: per intero il testo è “eros and civilization and filosofical …Freud”, all’interno del quale si
propone di effettuare un’analisi filosofia del pensiero freudiano; unendo gli elementi tratti dal marxismo e
dall’approccio freudiano, sviluppa una critica alla società repressiva e una difesa dell’individuo.

Sostiene che lo sviluppo della civiltà contemporanea sia legato ad una repressione degli istinti, ovvero ad
una repressione della ricerca del piacere. Dice qualcosa di molto simile a Freud, il quale sostiene che la
repressione degli istinti era alla base dello sviluppo di qualsiasi società mentre invece per Marcuse ritiene
sia un elemento peculiare della società contemporanea che avevano di fronte; questa società per Marcuse
reprime gli istinti per due ragioni:
➢ Indirizzare le energie dell’uomo verso una produttività sempre maggiore
➢ Mantenere l’ordine sociale

La società imporrebbe queste due prospettive impedendo all’individuo di soddisfare liberamente le sue
pulsioni. Il meccanismo sarebbe quello di repressione per cui l’energia dell’uomo sarebbe incanalata nel
moto di produzione e nella prospettiva del mantenimento dell’ordine. Mentre Freud dice che questo tipo di
repressione è da intendere come costo inevitabile dello sviluppo della civiltà, Marcuse dice che la società
non è di per se’ repressiva ma la società di classe è repressiva: tutte le società adottano la repressione per
mantenere l’ordine, accettata per lo sviluppo della civiltà (Freud), la repressione è sviluppata dalla società
di classe. La critica che Marcuse fa a Freud è che egli non vedrebbe la distinzione fra la rimozione di base ed
un surplus di rimozione richiesto all’uomo da questa particolare forma storica di società di classe che si è
sviluppata in Occidente.

LA SOCIETA’ OCCIDENTALE E’ ASSERVITA AD UN PRINCIPIO: LA PRESTAZIONE PER LA QUALE L’INDIVIDUO E’


RIDOTTO AD UNA ENTITA’ PER PRODURRE (PRODUTTORE FATTO PER LAVORARE, PRODURRE E
RIPRODURSI); TUTTE LE ENERGIE PSICOFISICHE SONO INDIRIZZATE A SCOPI PRODUTTIVI E LAVORATIVI

Quindi elementi come la felicità ed il piacere sono repressi in virtù di questo principio che indirizza l’uomo
esclusivamente verso il lavoro: la società occidentale ha creato il mito della produzione (no piacere ma
lavoro produzione procreazione).

05/04

Aspetto epistemologico della teoria dei tre mondi di Popper: delle cose, degli stati d’animo e dei contenuti
di pensiero oggettivi sottratti a spazio e tempo (queste sono le teorie).

Analisi rapida del pensiero neopositivista analitico di Austin, rivolta a linguaggio comune: linguaggio come
fare, produrre, azione ed atti linguistici constatativi, performativi che immediatamente realizzano un fatto;
teoria portata a completo compimento quando Austin realizza ce anche gli atti constatativi hanno di per se’
aspetti differenti: illocutori, locutori e perlocutori. Non c’è attenzione alla grammaticalità dell’atto ma alla
sua intenzione e al suo fine, che non è detto siano coincidenti; concluso questo ragionamento, si assiste ad
una svolta linguistica del pensiero del ‘900 (in maniera particolare con Popper) che assume anche una
valenza dal punto di vista politico: oltre alle teorie della società esiste una vera e propria scienza della
società.

Uno dei momenti più importanti del pensiero critico del ‘900 sulla società è costituito dalle riflessioni della
Scuola di Francoforte: ogni autore sviluppa una teoria critica della società, naturalmente società industriale
avanzata perché le istanze portate avanti sono stimolate dall’autoritarismo portato avanti in quegli anni,
allo stesso tempo con la prospettiva del comunismo sovietico e c’è anche una critica all’industrializzazione
della cultura, che aveva iniziato a portare avanti quello che è il mito della produzione.

ES. “libro di Totti”, libri dei tik toker che hanno chiaramente un pubblico e vengono venduti. L’industria
culturale aggredisce le fette dei consumatori: creazione del consumatore, si produce ciò che
potenzialmente un consumatore/pubblico di riferimento potrebbe comprarlo. ES. iphone spinotto
caricatore e cuffie; poi unico spinotto quindi arrivano le cuffie senza filo: il cellulare ha cambiato e creato un
bisogno, perciò il consumatore che necessita o desidera quel prodotto, per cui è indotto a comprare.

Quando Marcuse porta avanti le sue riflessioni in Eros e Civiltà, faceva riferimento ad una industria
culturale avanzata che aveva già trasformato la cultura in consumo, prodotto; in un certo senso Marcuse
riprende un discorso freudiano per il quale, in ogni sviluppo della civiltà, bisogna reprimere alcuni istinti
dell’uomo; quello che Marcuse specifica è che non vengono repressi soltanto gli istinti base, ma la civiltà
legata alla società di classi richiederebbe un surplus di rimozione degli istinti rispetto ad altri tipi di società,
perché in questa società ci sarebbe il mito della produzione, per cui le energie dell’uomo devono essere
impiegate per produrre, consumare. Gli istinti vengono tenuti a freno e repressi nella società occidentale
secondo il principio di prestazione (produrre sempre di più) che riduce l’uomo ad una entità per produrre.

MARGINALIZZAZIONE DI ATTIVITA’ UMANE CHE CONDUCONO AD ALTRI FINI, QUALI FELICITA’ E PIACERE

Secondo Marcuse, tale repressione di felicità e piacere porterebbe anzitutto ad una diserotizzazione del
corpo umano e ad una tirannia genitale (piacere rimosso, sessualità esclusivamente genitale e rivolta alla
riproduzione). In questa maniera il fine della vita dell’uomo non è più il fatto di provare piacere e godere
della vita con gli altri simili, ma è solamente lavorare, faticare: azione naturale (sofferenza del lavoro giusta
punizione da subire).

NON SI PERSEGUE LA FELICITA’ MA LA COLPA, LA PUNZIONE. NON E’ NATURALE IL GODIMENTO MA IL


LAVORO

LOGICA DELLA PRIVAZIONE: differenza fondamentale fra

➢ Privazione: mancanza di qualcosa che è dovuto (es. cieco: persona priva della vista, qualcosa che è
proprio dell’uomo manca in quella persona)
➢ Negazione: mancanza di qualcosa che in un certo senso non è dovuto (es. tavolo non ha gli occhi,
negazione)

Quando parliamo di diritto, l’arresto è la privazione della libertà perché essa è dovuta; privazione come
sottrazione di qualcosa che prima c’era. Il meccanismo del bisogno sfrutta la logica della privazione:
quando parliamo di bisogni secondari, se ne avverte la privazione quando qualcosa fa presente che
esiste.

Marcuse tiene presente che la società ci priva di alcuni impulsi, reprimendo e comprimendo una parte della
vita come il piacere e la felicità (anche Nietzsche parla di questo distinguendo apollinea e dionisiaco: è
chiaro che con il razionalismo di Socrate e l’uomo è quell’essere razionale che spiega il mondo, facendo
capo solo all’istinto apollineo ha represso dentro se l’altro istinto, quello del piacere, dell’ebrezza e del
godimento. Non siamo solo razionalità, ma anche corporeità. Dice Nietzsche che l’uomo avrà sempre quel
senso di risentimento perché ha da sempre represso una parte di se= UOMO CORPO GOVERNATO DALLA
RAGIONE, ANIMA RAZIONALE E ANIMA ANIMALE).

Quello di Marcuse ripreso da Freud è un ragionamento fondamentale perché conduce a realizzare che in un
certo senso vi è un meccanismo per il quale si assiste ad una sorta di autorepressione da parte
dell’individuo che è represso (è represso e si autoreprime per lavorare; al di la di essa, comunque in questo
sviluppo della civiltà vi sono degli impulsi primordiali che sopravvivono ed indirizzano verso il piacere: egli
ritiene che questi istinti siano stipati nella memoria (inconscio e fantasie). La fuoriuscita di tali aspetti, il
ritorno del represso è esprimibile attraverso l’arte:

➢ Desiderio di libertà che è proprio degli impulsi umani


➢ Creatività che non è alienata, sottraibile ma è propria dell’uomo

Facendo riferimento al pensiero classico ed in particolare ai miti, Marcuse dice è vero che il riferimento
fondamentale per la civiltà occidentale ed il suo sviluppo è stato sempre Prometeo (diede il fuoco all’uomo)
in quanto con la tecnologia del fuoco, l’uomo sviluppa la civiltà e capacità di soddisfazione dei bisogni
primari (mangiare, riscaldarsi, confortarsi e avere casa), costruire e distruggere. Così Prometeo è portatore
della novità, dello sviluppo e del progresso ma ha rubato il fuoco agli dei: vantaggio e dannazione
(costruzione e distruzione=società).

PROMETEO SIMBOLO DELLA CIVILTA’

A questa figura, Marcuse ne aggiunge altre:


➢ Orfeo: colui che canta, balla e non parla: creatività come visione alternativa al dire del mondo della
conoscenza
➢ Narciso: la bellezza, la vita di bellezza e di creatività da contrapporre ad una di lavoro e di fatica

Perché l’uomo deve essere solo lavoro e fatica? Contro questa civiltà che reprime gli istinti, la vita deve
essere vissuta e pensata come se fosse un gioco e per questa ragione occorre risessualizzare la persona
umana; i corpi non devono essere oggetto di fatica ma oggetto di piacere. In questo modo, Marcuse dice
che è possibile uscire dalla direzione che sta prendendo lo sviluppo di questa società.

Le società sono tutte storiche, cambiano (la scienza sociale inizia quando Hegel nella sua enciclopedia parla
di eticità ed aggregazione sociale. Prende forma l’dea di scienza sociale perché comincia a cogliere e capire
il divenire che muta sempre ed ha una reale logica dello sviluppo=nasce una tradizione di pensiero che
cerca di studiare la società e come dice il giovane Marx “questa società funziona così, non tutte; finirà e ne
nascerà un’altra”).

In Eros e Civiltà, dal punto di vista della religione il ragionamento che fa Freud ha molto a che fare con il
patricidio, complesso di Edipo, ecc.; è chiaro che la relazione familiare è centrale ed è ripresa da Marcuse.

Si fa riferimento alla religione, specialmente cristiana perché Gesù è figlio del Padre. Nello studio del
principio che guida lo sviluppo della società (prestazione), Marcuse va ad individuare continuamente dei
momenti di liberazione dalla repressione e reintroduzione della repressione. Studia il rapporto padre-figlio
e sostiene che c’è sempre una forma di dialettica fra libertà e repressione: per quanto la prestazione sia
repressiva ha sempre una valvola di sfogo (prestazione ed arte): quando parla della religione dice che il
Figlio è venuto per liberare gli uomini e predicare un messaggio di libertà, che si opponesse a quello
repressivo del vecchio testamento. I discepoli hanno dato vita a delle istituzioni che hanno invece represso
quella libertà (Gesù: amore e liberazione Discepoli: istituzioni ecclesiastiche che reprimono, creano
vietazioni che Gesù non aveva vietato).

NON LA TECNOLOGICA, NON L’AUTOMATISMO MA L’EROS COME PRINCIPIO CHE CONSENTE DI


TARSFORMARE IL LAVORO IN GIOCO

Le istanze di questa critica portata avanti da Marcuse vengono riprese in un altro suo scritto “l’uomo a una
dimensione”: nella società tecnologica, l’uomo è alienato della società contemporanea a Marcuse, nel quale
prevale l’elemento razionale sostanzialmente identificabile con quello reale. È quell’uomo che pensa esista
una sola dimensione, che la società sia questa e sia sempre eterna (non crede nell’esistenza di altre
dimensioni, di altro e di altre società).

La Scuola di Francoforte, in particolare Marcuse, vuole portare avanti delle istante emancipatorie (da
emancipio: sin dall’antica Roma, mettere la mano su qualcosa significava avere un potere, possedere quella
cosa, averne il dominio: il pater familia aveva la mano sui figli, sulla moglie, gli schiavi. Avere in mano, poter
usare la mano anche con violenza. EMANCIPARE LO SCHIAVO, IL FIGLIO: TOGLIERE LA MANO, PROCESSO DI
LIBERAZIONE DAL DOMINIO DI QUALCOSA) che si pongono alla base del cambiamento della società.
L’emancipazione è legata a qualcuno che compie un atto di libertà: la società può cambiare, emanciparsi
ma l’uomo ad una dimensione crede che nulla possa cambiare. È alienato, sente estraneo a se’ tutto, il suo
ruolo nella società non esiste.

L’UOMO A UNA DIMENSIONE: DIMENSIONE TECNOLOGICA, DEL SISTEMA TECNOLOGICA

L’opera è scritta nell’epoca del dopoguerra e boom economico, di benessere e crescita


dell’industrializzazione, avanzare della tecnologica (vespa come simbolo di libertà e tempo libero); che
permette processi di automatizzazione del mondo del lavoro si fanno sempre più evidenti. Ma questo
sistema tecnologico, nei fatti viene a pervadere l’intera esistenza umana e in un certo senso anche le forma
democratiche e pluralistiche che governano la società sono di fatto illusorie: le decisioni sull’indirizzo della
società e della politica sono riservate alle mani di pochi; ed anche la tolleranza che quelle società
democratiche e pluralistiche che dicono di voler tenere fermo come principio guida, il realtà è una
tolleranza repressiva che Marcuse chiama permissivismo.

La società tecnologica riesce a far apparire razionale ciò che razionale non è: riesce a farlo perché
l’individuo è in balia id un universo consumistico. Quei comportamenti razionali che l’uomo adotta
appaiono a lui razionali, tuttavia sono frutto di questo orizzonte consumistico che definisce l’individuo nella
società tecnologica. Per quanto questa tipo di società voglia presentarsi come razionale, essa palesa degli
spetti contraddittori: non riesce ad imbavagliare tutti i problemi che cela dietro quel velo di razionalità. La
società industriale avanzata tende a mostrarsi come un sistema tecnologico razionale: e siccome possiamo
razionalmente comprenderne l’offerta (ciò che ci da), in sostanza pensiamo di esserne parte ma in realtà ne
siamo solo consumatori. Anche quegli aspetti in cui i comportamenti possono esprimere qualcosa di più, un
anelito di libertà, esso è permesso dalla società stessa e dal suo principio di permissivismo: è la società che
ci concede qualcosa.

L’ORIZZONTE DELL’INDIVIDUO IN QUESTO TIPO DI SOCIETA’ E’ CONSUMISTICO

06/04

Marcuse in eros e civiltà, sviluppando dei motivi del pensiero marxista e di Freud, tenta di leggere lo
sviluppo della civiltà, in particolare della società che ha di fronte, che secondo lui è società di classe,
portando avanti una critica che vede in questo tipo di società una società che reprime gli impulsi, istinti
dell’uomo, incanalando le forze psicofisiche solamente nella direzione di un paradigma produttivistico
lavoro, produzione, fatica, sono la direzione verso la quale l’uomo deve indirizzare la propria energia, forza.
Per questa ragione parla di una repressione che avviene nelle società occidentali in particolare, e in queste
società vi sarebbe un principio di prestazione, mito del produrre (fa riferimento al mito di prometeo come
mito che evidenzia gli aspetti della laboriosità, necessitò, fare, produrre; fuoco costruisce e distrugge) e a
questo tipo di narrazione che vede nel progresso della civiltà umana la necessità di avanzare sempre più
nella produzione, oppone altre figure mitiche che sono Orfeo (colui che canta) e narciso (bellezza) in
questa riflessione sul progresso c’è un aspetto che va sempre considerato quando si fa un’analisi della
società noi di solito siamo portati a leggere il progresso sempre in termini evoluzionisti: siamo abituati a
concepire lo sviluppo della società in termini migliorativi, come se il progresso andasse sempre in direzione
positiva, il procedere della scienza e coscienza porta sempre verso un mondo migliore questo un
presupposto positivistico che non ha risconti nella storia della società, perché c’è sempre quella dannazione
prometeica, prometeo porta il fuoco che è costruzione e distruzione e questa è la dannazione degli dei,
favorisce la comunità ma la condanna allo stesso tempo l’utilizzo della tecnica e le scoperte scientifiche
non è detto che portino la società necessariamente a un miglioramento. È sempre l’utilizzo della tecnica o
della conoscenza scientifica che determina miglioramento o peggioramento della situazione (seconda
guerra mondiale è terminata con l’utilizzo della bomba atomica, la scoperta della fissione dell’atomo è
fondamentale per l’umanità ma ha portato a distruzione) Ci sono delle scoperte, tipi di trasformazione
della società, che non portano al miglioramento di tutta la società, magari solo di una piccola parte

Questa critica di marcuse è una critica al sistema, idea di sistema è una idea di società (l’uomo a una
dimensione) dominata dalla tecnica, in cui la tecnica è pervasiva, in cui la tecnica non lascia spazio ad altro
e si propone questo sistema tecnologico come l’unica possibilità di sviluppo della società per far ciò c’è un
ricorso anche a spiegazioni di tipo razionale

Questo sistema amministra totalmente l’esistenza dell’uomo e dal suo punto di vista anche le istanze
democratiche pluralistiche in realtà sarebbero illusorie, perché le decisioni che vengono prese sono in
realtà nelle mani di pochi questione della tolleranza è propria di queste società, tuttavia questo tipo di
società sistemica che cerca di controllare e indirizzare la vita dell’individuo non riesce a imbavagliare tutti i
problemi che ha questa società, in particolare i problemi che emergono da essa sono legati ad alcune
contraddizioni che emergono, e le contraddizioni sono legate al fatto che, è vero che questa società dà la
possibilità di disporre di mezzi attraverso i quali è possibile soddisfare i bisogni dell’uomo, tuttavia è
altrettanto vero che questa possibilità è una possibilità potenziale, non reale (es. disponiamo dei mezzi di
produzione necessari a produrre cibo per tutto il mondo, tuttavia c’è una parte del mondo che non ha cibo
per vivere) le capacità di produzione di beni, per quanto siano potenzialmente disponibili a tuti, perché i
mezzi consentirebbero di produrre beni per tutti, tuttavia questa è una possibilità che non diventa reale,
concreta questo problema emerge, si può perché ci sono i mezzi, ma questa potenzialità non diventa
effettiva

Inoltre, all’interno di questo tipo di società, l’individuo è sostanzialmente un consumatore, e l’indirizzo


politico di questo tipo di società è tale che i bisogni primari vengono negati e gli individui sono invece
storditi con la presentazione alla popolazione di bisogni illusori, fittizi i bisogni primari vengono negati, ma
si presenta all’individuo la necessità di bisogni che primari non sono ma vengono presentati come tali (se
compro un telefono a rate, ci viene indotto il bisogno di un telefono nuovo e io non dispongo di tutto il
denaro al momento, lo prendo a rate e sottraggo una parte di quella disponibilità al quotidiano per un
bisogno illusorio, non primario)

Come si fa a cambiare e ad uscire da questo paradigma, da questo tipo di società tecnologica?

Qual è il soggetto rivoluzionario che può mettere in moto il cambiamento?

Osservano la società industriale avanzata che ha di fronte, marcuse dice che non può essere più, come
aveva ritenuto marx, il soggetto rivoluzionario il lavoratore salariato, perché questo è integrato in questo
tipo di sistema, non ne riesce a uscire; tuttavia ci sono dei gruppi che sono esclusi da questa società
opulenza, i reietti, gli sfruttati, stranieri, disoccupati ecc. ci sono alcuni gruppi che sono esclusi dai benefici
di questa società, quindi il soggetto rivoluzionario non può essere più il lavoratore salariato ma questi
gruppi che non beneficiano dei bisogni illusori che questo sistema tecnologico propone, e questi gruppi
possono incarnare il cd. GRANDE RIFIUTO, portare avanti questo grande rifiuto della società tecnologica,
opporsi in maniera completa a questo sistema e non affidarsi ad una utopia ma incidere sulla realtà

Questo è un po’ un problema connaturato nella stessa società che marcuse ha davanti, coloro i quali fanno
parte di questo sistema hanno di che vivere e anche di che giovarsi grazie al sistema il lavoratore salariato
he ha di che vivere e soddisfare bisogni primari e illusori non vorrà cambiare il sistema, il lavoratore è
integrato nel sistema e vive di quel sistema, mentre ci sono delle sacche escluse totalmente da questo
sistema gli unici a poter rifiutare quel tipo di società e promuovere il cambiamento di sistema sono coloro
che non beneficiano, che sono esclusi dal sistema stesso.

Marcuse forse semplifica alcuni aspetti, per lui tutti coloro che sono esclusi possono unirsi e sovvertire
questo sistema l’esclusione dovrebbe essere il collante tra questi gruppi. Il problema che concettualizza di
meno è che le condizioni di questi esclusi sono diverse, è solo l’esclusione che li tiene uniti (per marx c’era
presa di coscienza, consapevolezza del proprio ruolo rispetto al modo di produzione)

Marcuse ha un atteggiamento ambivalente nei confronti dell’utopia:

➢ Da un lato esalta l’utopia intesa come un atteggiamento verso il futuro, un andare verso una
prospettiva differente dal presente.
➢ È vero anche che nel 1968 scrive “fine dell’utopia”, in cui sostiene la tesi per la quale in quel
momento storico esisterebbero le condizioni materiali e tecniche per far sì che le utopie cessino e
quindi quella prospettiva verso il futuro divenga realtà

Nella sua accezione generale, quando parliamo di utopia, parliamo di utopia, da un lato nessun luogo, ma
quella può essere letta come contrazione di eu, come optimo società, sicché possiamo pensare all’utopia
come l’ottimo luogo in nessun luogo, la prospettiva dell’optimo società non è ancora ancorata e realizzabile
in un posto, resta affidata all’ideale

Qui fa riferimento ai non-luoghi la forza di quel momento storico è quella di poter allontanare i non-luoghi
e realizzare un progetto di cambiamento. Marcuse parla di fine dell’utopia che significa sostanzialmente
l’unire il pensare che c’è una prospettiva futura che non è realizzabile in nessun luogo (non-luoghi), ma
tuttavia occorre realizzarli nel presente, nel luogo utopia ha un valore anche presente, dobbiamo cessarla
per fala diventare realtà

Questo testo sull’utopia è successivo a “l’uomo a una dimensione” e viene sviluppato questo concetto
durante una conferenza a Berlino nel 1967, in una Berlino divisa, e qui in realtà marcuse dice che in quel
momento storico, dato lo sviluppo della società dell’epoca, qualsiasi tipo di teoria, di prospettiva utopistica,
non avrebbe mai potuto determinare un cambio della società il pensiero utopistico, non avrebbe mai
potuto determinare il cambiamento della società, sarebbe stato inutile, perché c’erano della condizioni
materiali che rendevano inutile qualsiasi prospettiva utopistica, tutte quelle teorie, idee, tipi di suggestioni
che avevano pensato a un non-luogo come prospettiva futura della società erano destinate a terminare fa
una operazione che è un po’ come dire che questo tipo di idee per la storia definirebbero una fine della
storia il cambio deve partire nella società, essere reale, per cui è terminato il pensiero utopistico

Questa critica alle utopie ha una storia il Messaggio centrale del socialismo impostato da Marx e Engels è
quello di un socialismo scientifico, e questo socialismo scientifico si oppone ad altri tipi tra i quali quello
utopistico lo criticano perché dicono che in questa maniera, spostando l istanze di cambiamento in una
prospettiva utopistica, in un non-luogo, il cambiamento della società non avverrà mai critica agli utopisti è
perché dicono che adoperano concetti astratti, che non avvengono realmente, facendo intendere che
prima o poi ci sarà un cambiamento, ma cambiamento rispetto a cosa?

Per questa ragione la questione della fine dell’utopia è in un certo senso la fine di quella maniera di vedere
la storia come una prospettiva ulteriore rispetto a ciò che avviene nella realtà.

Questa è una delle riflessioni che marcuse sviluppa durante quella lezione, ma la questione dei luoghi e
non-luoghi è ripresa spesso in sociologia la prospett9va delle idee di Marcuse hanno incontrato grande
favore presso i movimenti che si andavano organizzando negli anni 60, la cd. Nuova sinistra, in particolare
la domanda sul sogg rivoluzionario è una domanda cara ai pensatori di ispirazione francofortese dell’epoca.
Nello sviluppo di questo tema marcuse pensa che ci sono sicuramente dei gruppi che effettivamente
possono realizzare a livello globale una rivoluzione, in particolare pensa sia al cd. Mondo sviluppato,
avanzato, dice che anche nel mondo avanzato sono presenti gruppi di dissenso rispetto a questo sistema,
allo stesso tempo dice che assieme a questi gruppi di dissenso nei paesi avanzati vi sono i cd. “dannati del
terzo mondo”, e poi queste istanze sono affidate anche, da parte di marcuse, a quello che chiama
PROLETARIATO OCCIDENTALE POLITICAMENTE ATTIVO (in particolare pensa ai gruppi che si andavano
organizzando in Italia e Francia, istanze portate avanti dalla nuova sinistra, ad esempio dall’operaismo)
organizzando queste sacche di dissenso a livello globale potremmo vedere un cambio effettivo della
società.

È chiaro però che se questi gruppi agiscono in maniera non organizzata non c’è nessun effetto, mentre
questi gruppi devono organizzarsi e compiere un’azione simultanea senza organizzazione non si cambia
nulla. certo è che questa necessità di organizzazione diviene poi nei fatti un tema che connoterà il dibattito
in Italia, Francia e altri stati sulla necessità di organizzare le istanze critiche contro il sistema della società
industriale avanzata. Quindi la cd nuova sinistra che si organizza sulle istanze di marcuse è una risposta allo
spontaneismo giovanile ed è un tentativo di convogliare quelle istanze in maniera organizzata e soprattutto
attraverso istanze Che facciano leva non soltanto sulla esclusione, disperazione e difficoltà di questi strati
della società, ma che abbiamo la prospettiva del cambio della qualità della vita
Il pensiero di marcuse coglie e porta avanti uno spirito ed un tempo e, in un certo senso, la critica che
compie alla società che ha di fronte porterà poi allo sviluppo di tradizioni di pensiero critiche della società
ciò che tenta di fare la scuola di Francoforte è dare una alternativa a quella recensione del pensiero di marx
rispetto a quella sviluppata in unione sovietica. La questione non è indifferente per il 900, perché noi, se
andiamo ad analizzare l’effetto della rivoluzione sovietica in Russia, vediamo un tipo di società che
sicuramente era molto distante dalla società di cui parla marcuse non è una società tecnologica, nella
quale esistono bisogni ulteriori a quelli primari, ma è una prospettiva totalmente diversa, quindi i
francofortesi cercano di criticare la società del capitalismo industriale per mettere in luce che
contraddizioni, gli effetti sull’uomo , sulla società organizzazione economica, portando avanti una istanza
critica. Allo stesso tempo dicono che per uscire da questo tipo di società sicuramente non lo si fa con
l’utopia, ma affidando queste istanze di cambiamento ad una organizzazione di coloro che, per motivi
critici, di esclusione, di condizione di vita, vogliono cambiare questo sistema

La terminologia che usa marcuse quando parla di proletariato, parlare di proletariato negli anni 60 è
qualcosa di molto diverso dal parlare del proletariato di Marx, sono due concetti diversi perché siamo di
fronte a due società diverse.
MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA 1848 – CAPITOLO PRIMO: BORGHESI E PROLETARI

Il manifesto di Marx ed Engels si chiude con uno slogan che chiama all’appello il proletariato

“proletari di tutto il mondo, unitevi”

Nel 1847-48 li viene affidato il compito di scrivere il manifesto teorico per il partito comunista (lega dei
lavoratori) e parlano di proletari: figli=forza lavoro. Il loro ragionamento è diverso da quello di Marcuse,
perché nel corso dei loro studi incontrano l’economia classica e sono consapevoli del fatto che il valore
all’interno del modo di produzione capitalistico deriva anche dalla forza lavoro: coloro che hanno prole
possiedono null’altro che la forza-lavoro dei propri figli come unica ricchezza e valore. Nel primo
capitalismo industriale (prima rivoluzione industriale) c’era un tipo di società per la quale il lavoro era una
condizione estesa a tutti coloro che potevano farlo, così si diffonde il lavoro minorile, che era acquistato da
chi lo vendeva a un prezzo minore.

È nella società stessa dell’era di Marx che il corpo dei lavoratori è molto più esteso rispetto la società di
Marcuse (i bambini non lavorano), tanto che ci sono leggi che regolano gli orari di lavoro e si ottiene lo
statuto dei lavoratori, entrambe condizioni che i datori di lavoro devono rispettare; essa non era la sola ad
avere un numero esteso di lavoratori: in Inghilterra ce n’erano ancora di più, gli Irlandesi (alla base
dell’alimentazione dei poveri c’era la patata ed, essendoci stata la malattia della patata, c’è stata una
grande carestia che ha prodotto tanti morti mentre gli altri sono andati via) migrarono ma erano emarginati
e considerati coloro i quali erano ancora più affamati e non avevano di che vivere, per cui disposti a lavorare
in condizioni peggiori delle nostre, considerati quasi delle bestie. Ne Il Capitale, Marx ed Engels parlano di
questa situazione come un esercito industriale di riserva, il cui costo di lavoro è talmente tanto basso che
se si dovessero eliminare gli operai impiegati, ci sarebbe un esercito pronto a sostituirli.

Il manifesto proposto da Marx è indirizzato ai proletari: commissionato dalla lega dei lavoratori, diventa il
manifesto del partito comunista che da un lato viene pubblicato con un linguaggio piuttosto fluido e
comprensibile mentre dall’altro, il proposito espresso nel testo non viene portato a compimento: questo
manifesto viene dato alle stampe contemporaneamente in molte lingue ma in realtà è Marcuse ad intuire
che stanno facendo un discorso rivolto a tutti i proletari del mondo, quindi è necessario che sia pubblicato
nelle lingue diverse:

➢ Problema della forma, diffusione fisica e lingua del documento


➢ Comprensibilità della lingua (lingua vettori universali: inglese/Europa) e ei contenuti.

Da un certo punto di vista, il manifesto rappresenta una sorta di analisi sociologica che non ha nulla a che
vedere con quella che sarà poi la storia: è sostanzialmente un programma sociale e politico all’interno del
quale si sviluppa una critica della società del tempo.

Analizzando le condizioni storico-sociali della Lega dei Comunisti, si evincono le motivazioni per le quali essa
è stata spinta a chiedere a Marx ed Engels di scrivere il Manifesto: come negli anni 30, ma in maniera più
insistente, in gran parte degli stati d’Europa si sono verificati dei moti, sommovimenti causati dalle
rivoluzione che si sono propagati fino al 48, rappresentando la lotta tra due classi presenti nella società che
la rivoluzione francese aveva sovvertito.

Negli anni 80 del 700 si creano le condizioni per la Rivoluzione Industriale (1780) in Inghilterra, che fece si
che la conformazione della distribuzione della popolazione cambi in maniera significativa: la popolazione
abbandona le campagne e si sposta verso le città, all’interno della quale nascono le industrie meccanizzate.
Nelle città iniziano a crearsi le periferie, all’interno delle quali andavano a vivere i lavoratori delle industrie
in condizioni di vita infime e allo stesso tempo c’è una grande richiesta di lavoro femminile e minorile:
cambiano condizioni e possibilità di vita della popolazione, il tenore di vita consente di vivere più a lungo
cambia la qualità della vita ma la mortalità nelle città è molto più precoce in termini numerici rispetto alle
campagne.

PRIMA ISTANZA RIVOLUZIONARIA: CAMBIO DELLA QUALITA’ DI VITA E DEI RAPPORTI SOCIALI

Con l’avvento della Rivoluzione francese (1789), la borghesia (burgua: abitanti delle città con ruoli nel
contesto cittadino) si rivolta e sovverte il potere politico che era in mano alla nobiltà; fu così che per effetto
della rivoluzione il potere politico viene preso dalla borghesia, portando la nobiltà a declinarlo secondo i
valori rivoluzionari di Libertà, Uguaglianza e Fraternità.

SECONDA ISTANZA RIVOLUZIONARIA: MOTI DI SOVVERTIMENTO FRA DUE CLASSI, BORGHESIA E NOBILTA’

Per tutto l’800 si assiste ad un tentativo di organizzazione del potere politico nelle mani dell’intera società:
la borghesia vuole realizzare i tre principi rivoluzionari. In realtà, nel 1848 durante i moti inizia a comparire
quello che vedono Marx ed Engels: la borghesia inizia a trovare davanti a sé un altro soggetto sociale e
politico che rappresenta degli interessi che non riesce a soddisfare, la classe operaia; si rende così evidente
una nuova contraddizione: non più antagonismo nobiltà-borghesia ma antagonismo borghesia-
proletariato, per cui il proposito di organizzazione del potere borghese non ha dato i suoi frutti a causa di
interessi diversi da parte degli operai, dei lavoratori dell’industria, proletari.

Nel manifesto viene fotografata questa realtà sociale in mutamento, all’interno della quale si iniziano a
percepire gli effetti derivanti dagli esiti organizzativi e politici della rivoluzione francese e quelli sociali ed
economici della rivoluzione industriale.

Se prima delle rivoluzioni vigeva un sistema nobiliare e feudale, ora emerge progressivamente una nuova
figura, il proprietario dell’industria: si evolve la figura del commerciante che vende solo qualcosa,
diventando colui che acquista i diversi fattori di produzione (macchine, materie prime, forza lavoro),
trasforma le materie prime e produce delle merci che vanno sul mercato.

AUTOMAZIONE DEI MECCANISMI E DEL LAVORO CHE RIDUCONO I TEMPI DI PRODUZIONE: COMPARE LA
FIGURA DELL’INDUSTRIALE NEL CONTESTO DEL CAPITALISMO

Il Capitalista, da Capitale=ricchezza, è colui che accumula ricchezza per definizione; i teorici del liberismo
hanno dato una loro distinzione fra chi accumula capitale e chi no: Il capitalista si astiene dal consumo per
necessità proprie al fine di acquistare macchinari, forza lavoro e materie prime, mentre il proletariato non
accumula ricchezza, possiede la forza lavoro come unica ricchezza e la vende al capitalista per soddisfare i
bisogni primari.

In un certo senso, Locke pone la stessa questione: la proprietà è un diritto naturale e l’uomo con il proprio
lavoro da valore alla terra generando ricchezza e legittimando la proprietà, perciò la proprietà è naturale e
preesiste allo stato. Locke pone però dei limiti all’utilizzo e accumulazione dei frutti che derivano dalla
proprietà, sostenendo che la proprietà privata è sicuramente un diritto di natura ma tuttavia, il denaro e la
sua accumulazione che ne deriva non esiste in natura: denaro come convenzione sociale posta dall’uomo a
misura delle cose.

Non esiste più il potere politico nobiliare ed il sistema economico legato al feudo; la creazione dei nuovi
assetti politici ed economici hanno reso la proprietà non più qualcosa che si tramanda per stirpe, perché la
Rivoluzione francese porta alla abolizione dei privilegi nobiliari che conduce alla dichiarazione dei diritti del
cittadino, tutti uguali dinanzi la legge.

ACCUMULAZIONE DEL DENARO COME PRINCIPIO DELLA GENERAZIONE DI DISEGUAGLIANZA SOCIALE A


SCAPITO DEI LAVORATORI: CONTRAPPOSIZIONE BORGHESIA-PROLETARIATO
In questo momento si assiste ad una vera e propria riorganizzazione del diritto: se prima le norme che
regolavano la giustizia e gli assetti sociali erano frammentarie e attribuivano privilegi alla nobiltà, con il
codice napoleonico oltre ad essere riscritte tutte le disposizioni, la proprietà diviene qualcosa di diverso e il
diritto non è più solo di qualcuno ma dell’intera società.

Per quanto concerne il contratto ed i meccanismi di regolazione, la proprietà diviene un fatto della società e
dal punto di vista teorico ciascuno può disporne, non è un privilegio di qualcuno. Con il terzo libro oltre al
contratto vengono fornite una serie di indicazioni sulla successione delle eredità: c’erano istituti legati al
potere che imponevano una certa linea di discendenza o trasmissione dei beni che avveniva per una sorta
di automatismo.

La contraddizione di questi meccanismi sta nel fatto che alla dichiarazione dei diritti avrebbe dovuto
corrispondere una realizzazione di essi per tutta la società, invece Marx sostiene che c’è qualcuno che si
trova in una situazione di subalternità: la classe operaia; ciò significa che questo diritto non è realizzato per
tutti, la borghesia ha realizzato soltanto i propri interessi come ha fatto la nobiltà ed è per questo che
nascono leghe come quella comunista. Se c’è chi possiede e chi non possiede c’è una diseguaglianza.

Questo ha molto a che vedere con l’incipit del manifesto di Marx: c’è uno “spettro che si aggira”, qualcosa
che non è visibile ai più che però serpeggia in Europa. Seguendo l’organizzazione che Marx ed Engels danno
al manifesto:

➢ Nella prima parte del testo troviamo un’analisi sociologica della funzione storica della borghesia
➢ Nella seconda parte un’analisi della storia intesa come lotta di classe e Marx ritiene fondamentale
la funzione delle classi nella storia tanto da soffermarsi sui rapporti tra proletari e comunisti,
dilungandosi poi sulla critica dei socialismi non scientifici.

Marx ed Engels non sono i primi a pensare ad una società socialistica, infatti tali istanze erano state portate
avanti da altri socialisti qual Saint Simon, Owen. Il progetto di Marx ed Engels, non è quello di fare un
modello utopistico ma fare una analisi scientifica della società del loro tempo: elaborano una sorta di
teoria sociale, mentre gli utopisti fanno qualcosa di diverso in quanto concepiscono una società ottimale
con il proposito di realizzarla.

MARX ED ENGELS VOGLIONO ANALIZZARE LA SOCIETA’ E ALLA LUCE DEI RISULTATI INDIVIDUARE LA
MANIERA PER MODIFICARLA NELLE SUE CONDIZIONI DI DISEGUAGLIANZA: PROSPETTIVA SCIENTIFICA NON
UTOPISTICA

Nella prima parte del Manifesto mettono in luce le conquiste della borghesia con i relativi limiti, meriti e le
criticità; individuano in particolare due elementi da tenere in considerazione per la lettura della funzione
storica della borghesia: occorre tener presente gli strumenti di produzione ed i rapporti che ci sono
all’interno della società. La forza della borghesia è stata quella di aver continuamente rivoluzionato questi
due elementi, donandogli dinamicità piuttosto che staticità come avevano fatto le classi dominanti del
passato: la borghesia ha reso dinamico il modo di produzione mentre nel passato c’era chi aveva il
privilegio della proprietà e chi no, non c’è dinamica e mutamento sociale.

LA BORGHESIA HA OPERATO AD UNA TRASFORMAZIONE SOCIALE, DISSOLVENDO LE VECCHIE CONDIZIONI


DI VITA E AD UNA RIVOLUZIONE CULTURALE, AFFERMANDO CHE IL POTERE POLITICO È DI TUTTI

Marx evidenzia come tale dinamicità abbia prodotto degli effetti positivi, la borghesia ha insegnato che
l’attività umana è l’elemento principale che modifica la storia. Nei fatti essa ha unificato il genere umano: la
stessa prospettiva per la quale la borghesia ha creato una rete di commercio che andasse oltre i confini
delle singole nazioni, ha iniziato a unificare il mondo con i commerci = funzione determinante per la storia.
Si tratta di una prospettiva prettamente occidentale: l’abolizione del privilegio nobiliare, i codici istituzionali
che derivano da quello napoleonico, l’eguaglianza dinanzi la legge sono meccanismi portati avanti in Europa
per via di correnti rivoluzionarie che hanno sovvertito la prospettiva. La storia dell’Europa è fatta di
oscillazione tra prospettive che hanno pensato alla necessità di tutelare i diritti e altre che hanno detto che
i diritti vanno realizzati: essendo un contesto in cui vengono aboliti i privilegi e tutti diventano uguali
davanti alla legge, questa apparente eguaglianza viene messa in discussione con i moti del 1848. È da
questa contrapposizione che Marx cercherà di analizzare la società.

Quell’eguaglianza formale sancita nel diritto viene negata nel momento in cui esistono delle diseguaglianze
nella società, non esisteva eguaglianza sostanziale. L’effetto della rivoluzione industriale è sicuramente che
la proprietà dei mezzi di produzione e delle macchine dell’industria è nelle mani sempre più di poche
persone, in virtù di alcuni elementi:

➢ Dato lo spostamento d’ampie fette di popolazione dalle campagne alla città, nascono le periferie ed
in Inghilterra per la prima volta il numero degli operai nell’industria supera quello dei contadini. Le
condizioni operaie di vita erano pessime: masse di persone vivono in quartieri nei quali non
esistono fognature e gli operai erano a diretto contatto con le emissioni di carbone nelle fabbriche,
per cui la diffusione delle malattie è molto frequente.
➢ Una giornata lavorativa consisteva in 12/13 ore, dunque il tempo della vita era inesistente perché
coincideva con quello del lavoro ed il salario era bassissimo.
➢ Condizioni del lavoro minorile erano inumane, manodopera minorile molto richiesta e previste
punizioni fisiche per i bambini che sbagliavano.

Le contraddizioni che Marx evidenzia nella società vengono fuori per effetto dell’incrociarsi del tentativo di
realizzazione dei principi della rivoluzione francese con gli effetti della rivoluzione industriale; mentre la
rivoluzione francese ha preteso che gli interessi che il potere politico poteva realizzare non fossero solo
nobiliari, la rivoluzione industriale non lascia la possibilità a chi non detiene i mezzi di produzione di fare
una progressione e mobilitazione sociale: lavorare 12 o 13 ore determina aspettative di vita breve e il
lavoro minorile scaturisce il venir meno dell’istruzione. Accanto alla questione dell’eguaglianza subentra il
concetto di libertà: non avendo mezzi di produzione, l’operaio non è libero ed è obbligato a vedere la
propria forza lavoro.

SOCIETA’ DI DISEGUALI IN CUI POCHI HANNO MOLTO E MOLTI HANNO POCO

Nel Manifesto Marx riprende l’impostazione di tre correnti di pensiero:

I. Dal punto di vista economico riprende l’Economia classica: Smith e Ricardo avevano studiato la
società del loro tempo elaborando la teoria del VALORE-LAVORO, cercando di impostare una
analisi della società capitalistica.

I concetti di plusvalore o sfruttamento non sono propri della loro analisi ma della critica che Marx opera
alla società capitalistica attraverso gli strumenti da essi fornitogli: scorge lo sfruttamento in essere nella
società capitalistica e lo evidenzia attraverso l’esistenza del plusvalore.

La caratteristica principale degli oggetti e dei prodotti all’interno della società capitalistica è quella di essere
merce: la produzione di beni è destinato a soddisfare un bisogno (pane per sfamare). Con la produzione
industriale del Capitalismo invece, i prodotti sono merce sia per le necessità che per essere venduti: la
produzione di beni è finalizzata al commercio.

La MERCE possiede due valori portanti:

➢ VALORE D’USO, fondato sull’utilità propria


➢ VALORE DI SCAMBIO, quello che possiede sul mercato ed è misurato attraverso il denaro
Marx si pone una domanda: che cos’è che rende merci diverse e cose diverse, equiparabili? Alla base di tutte
queste merci c’è una caratteristica comune: il fatto che sono prodotte attraverso l’utilizzo di forza-lavoro.
L’unità di misura di tale valore non può che essere il lavoro, quantificabile nel tempo impiegato per
produrre una data merce.

LA MERCE HA VALORE PERCHE’ IN ESSA È CONTENUTA UNA CERTA QUANTITA’ DI FORZA-LAVORO

I concetti, per Marx, sono storici ed hanno un valore sociale per cui valgono in quella data società, non sono
astratti. La forza lavoro è considerata, per questa ragione, uno dei fattori di produzione all’interno di quella
specifica modalità di produzione della società capitalistica. Non c’è solo la forza-lavoro del lavoratore, ma
anche macchine e materie prime; da ciò si deduce che il capitalista non corrisponde al lavoratore tutto ciò
che gli spetta per la sua forza-lavoro: è come se il capitalista corrispondesse un salario pari a 3/4 ore
rispetto alle 12 effettive.

FORZA-LAVORO MERCE SUL MERCATO, DELLA QUALE IL CAPITALISTA SE NE APPROPRIA SFRUTTANDOLA

L’economia classica non aveva considerato questo sfruttamento, nota che la forza lavoro è il fattore che dà
valore alla merce. Secondo Marx il valore della merce corrisponderebbe al lavoro vivo e cioè alla sola forza
lavoro dell’operaio posto. Si tratta di una teoria sociale per la quale il lavoro è al centro della produzione
della ricchezza nella società capitalistica: la società attuale, nella quale la ricchezza è prodotto in forma
residuale dal lavoro e in gran parte da meccanismi di tipo finanziario, il lavoro non è più il maggior
produttore di ricchezza.

La Rivoluzione francese è l’evento attorno al quale si concentrano tutte le costruzioni di pensiero di quel
periodo, in cui ci si chiede come realizzare la libertà dell’uomo e, nell’interpretazione della società del suo
tempo, Marx utilizza un metodo dialettico:

II. Dal punto di vista analitico, la prospettiva di Marx non è quella idealistica ma materialistica,
facendo propria la critica di Feuerbach ad Hegel: egli sosteneva che Hegel avesse reso la storia
puro spirito ma in realtà bisogna vedere le basi concrete della storia: economia, rapporti sociali e di
produzione. MATERIALISMO STORICO: è possibile conoscere le leggi storico sociali dato che la
storia è fatta del fare degli uomini

Marx riprende la stessa idea, sostenendo che sono le condizioni materiali a determinare la coscienza sociale
ed il tipo di società deriva da determinati rapporti sociali e di produzione: di fatti, fra borghesia e
proletariato intercorrono rapporti di produzione e relazioni sociali che si creano per effetto di un sistema
economico che sta alla base

SOCIETA’ ANALIZZATA DALLA BASE, DALLA CONTRADDIZIONE FRA EGUAGLIANZA FORMALE E


DISEGUAGLIANZA SOSTANZIALE

III. Dal punto di vista politico, Marx teorizza le sue posizioni è quello politico a partire dal pensiero
rivoluzionario francese, fino ad arrivare al socialismo utopista.

Marx critica Proudon perché farebbe riferimento a categorie di pensiero astratte: infatti, mentre Proudon
parla di uomo (categoria astratta) Marx parla di proletario, riferendosi a qualcuno che storicamente e
concretamente esiste, e cioè quel lavoratore che non ha vita e può solo contare sulla forza lavoro.

ARCHITETTURA DEL MANIFESTO: analisi della funzione storica della borghesia, concetto di storia come
lotta di classe e critica ai socialismi non scientifici.

La cosa più importante è che Marx riconosce i meriti alla funzione della borghesia, leggendoli in positivo
rispetto alla staticità della classe nobiliare; la Rivoluzione francese è stata un successo, ma si assiste ad una
dichiarazione del principio di eguaglianza formale che non coincide con quello sostanziale.
Alla borghesia viene anche attribuito il merito di aver costruito una dimensione globale attraverso la
produzione di merci e la creazione di un mercato mondiale, gettando le basi per una prospettiva
cosmopolitica ed è per questa ragione che il manifesto, almeno nel suo proposito iniziale, intende
raggiungere tutti: dimensione cosmopolitica colta positivamente anche da Marx. Tuttavia per Marx, il
mutamento ha avuto anche un aspetto negativo: la città ha predominato sulla campagna, distruggendo la
civiltà rurale e contadina e industrializzando anche il settore dell’agricoltura.

La borghesia ha creato un mondo a sua immagine e somiglianza, perché c’è uno scollamento tra gli
interessi che realizza e i principi egualitari a cui essa si richiama. Infatti secondo Marx, la borghesia ha fatto
una cosa molto simile allo stregone: evoca forze misteriose che non riesce più a dominare e quindi le
subisce; allo stesso modo, le forze produttive sociali moderne si rivoltano verso gli stessi rapporti di
proprietà. In questa società industriale di diseguali la proprietà è ancora come nella società nobiliare, nelle
mani di pochi.

RAPPORTI DI PROPRIETA’ DELLA SOCIETA’ INDUSTRIALE UGUALI ALLA SOCIETA’ NOBILIARE: PRIVATISTICI E
SOTTOPOSTI ALLA LOGICA DEL PROFITTO PERSONALE (IN QUESTO CASO DEL CAPITALISTA)

Si tratta di una persistenza dei vecchi rapporti di proprietà che prima o poi genererà delle crisi, che trovano
fondamento in questa contraddizione (potere nelle mani di tutti-società diseguale) che è propria della
società capitalistica. Le crisi sono effetto della stessa società capitalistica: si tratta di crisi endemiche
rispetto al sistema di produzione capitalistico che vive di contraddizioni; è un sistema che autogenera crisi
in un certo senso e nella prospettiva marxista è come se il capitalismo si dissolverà da sé (prospettiva
fatalistica).

LA NUOVA CLASSE OPPRESSA, IL PROLETARIATO, PER SUPERARE QUESTA CONTRADDIZIONE E QUINDI IL


CAPITALISMO DEVE DAR VITA AD UNA LOTTA DI CLASSE

Marx riprende qualcosa dall’economia politica: la proprietà era stata ridisegnata dai codici napoleonici, la
società diviene un fatto e si assiste ad una sorta di istituzionalizzazione giuridico-sociale funzionale. Per
operare un cambiamento dello stesso calibro di quello che la borghesia aveva realizzato nei confronti della
nobiltà, il proletariato deve porre in essere una lotta di classe. Per quanto questo discorso esisteva già in
alcuni pensatori dell’economia politica, è declinato in maniera originale da Marx nel momento in cui pensa
l’esistenza delle classi all’interno di determinate fasi storiche: parla di quella classe esistente in quel
determinato momento storico.

Le classi inoltre, si definiscono in relazione alla proprietà e ai mezzi di produzione: leggendo la società nei
termini di proprietari e non proprietario, esisteranno sempre due classi. Allo stesso tempo, l’elemento
peculiare di questo concetto marxiano è che la lotta di classe conduce necessariamente alla soppressione
delle classi: ci sarà prima o poi una società senza classi. Dal venir meno dei mezzi di produzione, la
prospettiva è quella di una socializzazione per la quale non ci sarà più chi è costretto a vendere la propria
forza-lavoro e tutti avranno a disposizione i mezzi di produzione.

LOTTA DI CLASSE COME CONCETTO STORICO CHE DETERMINA LA SCOMPARSA DELLE CLASSI, DETTATA DA
UNA SOPPRESSIONE NECESSARIA.

Le crisi sono un momento essenziale: Marx intende la storia come una storia di lotta di classe, per cui il
conflitto è il motore della storia. Prospettiva importante perché coloro che avevano fotografato l’economia
politica, vedendo questo nuovo sistema di produzione credevano avesse portato ad un progresso così
significativo che avrebbe determinato in un certo senso la fine della storia. Quello che fanno Marx ed
Engels è diverso: sostengono che in quel momento storico i rapporti sociali erano tali, ma ci sarà sempre
una dinamica per la quale ci saranno nuovi oppressi e nuovi oppressori.
A parere di Marx ed Engels sono i rapporti di produzione a fare la società: è la società capitalistica che
funziona così ma non è eterna, è un oggetto storico e come tutti gli oggetti storici muta, si trasforma. Non
si può concepire alcuna teoria sulla società che non sia storica. La prospettiva di Marx è fondata su di un
ragionamento scientifico, molto più ampio di quello che riscontriamo nel manifesto: rivendica la validità
conoscitiva rispetto ai fenomeni. Marx sostiene che non si può partire dalle idee per indagare la società
storica concreta del capitalismo, ma occorre muovere dallo studio delle condizioni economiche, sociali e dei
rapporti di produzione: critica al socialismo non scientifico che coglie aspetti per i quali si deve partire da
una indagine storica concreta della società per avere conoscenze valide sui fenomeni. Critica diversi tipi di
socialismi che si discostano da questa idea di socialismo scientifico:

➢ SOCIALISMO REAZIONARIO: prospettiva socialistica aspira ad un ritorno a una società


sostanzialmente feudale, portando indietro l’orologio della storia. Nel manifesto distinguono a loro
volta tre forme di questo socialismo che, dal loro punto di vista avevano tutte l’intenzione di
reagire allo sviluppo della società capitalistica facendo un passo indietro rispetto alla storia.

1. Socialismo FEUDALE: soffre del desiderio di voler tornare ad un sistema precedente


capitalistico-feudale che guarda ad una prospettiva della società che è pre-capitalistica. Intento
di ripristinare i rapporti di produzione che erano esistenti nella società feudale, tornare a un
passato pre-industriale. Marx non nega la necessità del progresso scientifico, ma questi
rapporti di produzione creano una società di sfruttati; allo stesso tempo nega la possibilità di
distruggere le macchine, abolendo l’industria (come dicevano i lobbisti in Inghilterra) ma crede
che i rapporti di produzione debbano cambiare all’interno del modo di produzione capitalista.
Per questa ragione critica il socialismo feudale, definendolo un “residuo medievale”, qualcosa di
romanticheggiante.
2. Socialismo PICCOLO-BORGHESE: istanze reazionarie perché soppiantata dall’industria
capitalistica; i piccoli borghesi sono quella parte di borghesia messa in crisi dal capitalismo
industriale, che vuole ritornare all’industria manifatturiera. Per Marx è sbagliato, in quanto
ritornare ad un sistema dell’agricoltura sostanzialmente patriarcale non costituisce una
soluzione.
3. Socialismo TEDESCO: all’epoca si definiva da sé vero socialismo e questi reazionari sono
sostanzialmente tutti teorici di ispirazione hegeliana che utilizzano un tipo di categorie e
terminologia astratte. Questi ragionamenti astratti favorirebbero ancora di più il fatto che non
vi sarebbe nessuno disposto a cambiare realmente il modo di produzione, operare una
rivoluzione all’interno della società, perché l’uomo è tutti, categoria talmente tanto ampia che
include tutti, anche gli sfruttatori (critica all’idea astratta di uomo di F a H che Marx riprende
parlando di uomo in quel momento storico come operaio, lavoratore vivo).

➢ SOCIALISMO CONSERVATORE o BORGHESE: vorrebbe restaurare dei piccoli poteri borghesi, senza
eliminare lo sfruttamento del lavoro ma anzi intende ridistribuirlo in maniera più diffusa a piccoli
gruppi sociali; secondo Marx ed Engels peccherebbe nel momento in cui vuole conservare la società
capitalistica: una serie di economisti, pensatori credono che in fin dei conti questa società è
sbagliata ma si può porre rimedio, inserendo qualche correzione. Vogliono rimediare al capitalismo
senza distruggere il capitalismo: Marx sostiene sarcasticamente che vorrebbero una borghesia
senza proletariato, una proprietà senza il fulcro. Proudon non è per l’abolizione della proprietà
privata ma per la distribuzione di essa ai lavoratori: secondo Marx non risolverebbe le cose e critica
la posizione proudhoniana perché presupporrebbe il concetto di proprietà, tipicamente borghese.
➢ SOCIALISMO UTOPISTICO→ ha pensato astrattamente ad un’idea di società che non potrebbe
corrispondere ad una effettivamente realizzabile o esistente, che si contrappone al socialismo di
tipo scientifico: si tratta dei pensatori pre-marxiani Saint. Simon, Fourier e Owen; essi riescono a
intuire l’esistenza, all’interno della società capitalistica, di un antagonismo (lotta tra le classi) e
riescono a vedere le contraddizioni proprie del capitalismo industriale. Tuttavia, non sarebbero
capaci di vedere qual è il soggetto storico capace di operare il rivolgimento della struttura
capitalistica: il proletariato che, dal punto di vista di Marx, ha una funzione storica che ha una
propria ragion d’essere. Infatti, il limite di questi utopisti era quello di non riconoscere una
funzione autonoma e rivoluzionaria al proletariato e rivolgono il loro appello a tutte le classi sociali.

A queste tre prospettive va opposta quella del SOCIALISMO SCIENTIFICO: analisi critico-scientifica dei
meccanismi sociali del capitalismo che individua nel proletariato la forza per costruire l’alternativa alla
società capitalistica. È scientificamente possibile che avvenga una rivoluzione, date le condizioni
economico-politico-sociali che il restringimento dei confini nel mercato ha prodotto il capitalismo, dando
vita ad una proletarizzazione del mondo=rivoluzione universale.

Nel periodo di Marx l’economia politica era una scienza piuttosto recente e i cd. Classici del pensiero
economico, si sono interrogati sulle diseguaglianze presenti all’interno della società capitalistica industriale:
è parso evidente che questa società nei fatti produceva diseguaglianze. In particolare, c’era una tendenza a
dire che gli strati di popolazione più umile e povera, lo erano per una condizione quasi naturale: se avessero
consapevolezza di essere poveri, non metterebbero al mondo nessuno; invece, non avendo prontezza del
fatto che non hanno già loro di che sopravvivere, facendo figli non potrebbero far sopravvivere nemmeno
loro: condizione di miseria voluta dettata da una linea di pensiero che normalizza e giustifica la povertà.

Thomas Robert Malthus fornisce una legge che considera naturale: nel 1798 scrive un saggio dedicato a
questo principio della popolazione; scrive che, data l’incapacità alla contenenza sessuale da parte dei
poveri, esiste la miseria. Formula quindi una sorta di legge che giustificherebbe questa prospettiva.

Inoltre egli condusse uno studio dedicato in particolare alle colonie del New England, luoghi in cui riscontra
un incremento demografico ma dal momento in cui le terre fertili coltivabili non sono moltissime,
riscontrerebbe il limite di non poter generare nutrimento necessario per una popolazione in continua
crescita: aumenta la popolazione ma gli alimenti a disposizione no. Questa penuria determina un freno allo
sviluppo economico: la popolazione crescerebbe secondo una progressione geometrica, mentre
l’alimentazione secondo una progressione aritmetica:

progressione di ragione 2: geometrica 1,2,4,8,16 – aritmetica 3,5,7,9,11

La popolazione cresce in maniera esponenziale rispetto alla disponibilità alimentare, così più cresce il
numero di persone e più diminuisce la disponibilità alimentare

Oltre ad esserci spiegazioni e cause di tipo naturale (incontinenza sessuale), questo fenomeno della
disparità popolazione-alimenti quindi la povertà, è ascrivibile anche a cause di tipo sociali-private in quanto
tale condizione deriva da contratto fra due parti, all’interno del quale il lavoratore sceglie di vendere la
propria forza-lavoro. A parere di Marx, si tratta di una spiegazione e giustificazione che da la borghesia per
rispondere alle accuse per le quali, all’origine delle disparità sociali c’è la loro classe.

Marx si scaglia contro, sostenendo che le leggi sono storiche e non naturali; l’economia classica sta
cercando di elaborare una legge naturale dove non è possibile farlo: “se la ricchezza dei pochi fosse di tutti,
tutti avrebbero di che vivere” = se dessimo a tutti i mezzi di produzione non avremmo la miseria e la storia
si fermerebbe in quanto seguirebbe leggi naturali.
Le crisi a cui il capitalismo sottostava erano cicliche e legate a sovrapproduzione o sottoproduzione di beni,
c’era necessità di spiegare questi fenomeni: Marx vede in sostanza la condizione degli operai in termini di
schiavitù e pone essi come i lettori protagonisti del Manifesto.

Parla di storicità affrontando questioni concrete, non astratte e sostiene che è andata sempre così:

➢ Prima c’erano i signori feudatari


➢ Poi è iniziata fase industriale
➢ Poi c’è chi è cresciuto sempre più

Ognuno di questi stadi fu legato a una crescita e un cambiamento politico, in questo caso della società
capitalista

La società del 1848 era in condizioni di miseria e indigenza, nella quale si pone il problema delle differenze
sociali già affrontate dall’economia politica del tempo precedente a Marx, descrivendo la condizione
naturale e privata di pauperismo. In realtà, sono spiegabili tenendo presente le condizioni sociali, politiche
e materiali di vita della società capitalistica. Marx ritiene che l’economia politica abbia effettuato uno
scollamento fra il sociale e il politico, particolarmente evidente negli USA: vi era una condizione di libertà
politica superiore rispetto agli stati europei perché vi era una condizione nella quale alla gran parte della
popolazione era stata effettivamente attribuita una libertà politica effettiva (suffragio che in Europa era
censitario anche in ragione dei propri possedimenti, negli USA storia diversa).

Tocqueville ci dice che nonostante questo, la società statunitense dell’epoca riportava una condizione di
disparità sociale tra ricchi e poveri; in particolare faceva riferimento allo Stato della Pennsylvania, con un
numero significativo di poveri messo in prigione per debiti che erano sostanzialmente poco significanti.
Osservava quindi che i poveri che non potevano onorare piccoli debiti contratti restavano in galera, mentre
i ricchi avevano possibilità di uscire, acquistando la propria libertà sotto cauzione; sicuramente a fronte di
questa libertà politica vi era un sistema di leggi che comunque creava condizioni di disparità all’interno
della società, di tutela giuridica e sociale che garantiva chi aveva denaro.

(paragone Pennsylvania dell’epoca e popolazione carceraria italiana= nel 2002 la popolazione povera è il
6% della popolazione nazionale e sostanzialmente il 90% di essi costituisce la popolazione carceraria. La
stragrande maggioranza della popolazione carceraria è povera, a dimostrazione del fatto che le condizioni
sociali fanno l’essere sociale (disuguaglianza porta a emarginazione e devianza)

Sono le condizioni materiali a fare le differenze sociali: a fronte di una libertà politica proclamata e
conclamata si oppone una legge civile che nei fatti crea disparità. Dal punto di vista sociale va segnalato che
la questione dell’eguaglianza dei diritti politici si lega anche alla questione dell’estensione del suffragio:
alcuni teorici del pensiero liberale, mettevano in guardia dal pericolo di allargamento del suffragio
universale perché se si dovesse dare libertà di voto a tutti (anche a chi ha meno ricchezza che è in
maggioranza) si produrrebbe una maggioranza politica che andrebbe a contrastare la piccola parte più
ricca. Per questa ragione, diversi teorici liberali avversavano il suffragio universale perché vedevano in esso
un ribaltamento dei rapporti sociali attraverso la diffusione del potere politico, dando a tutti egualmente
alla sovranità.

PER QUANTO SIA REALIZZATA LA LIBERTA’ POLITICA (ESTENSIONE DEL SUFFRAGIO) SI ASSISTE LO STESSO AD
UNA DIVISIONE DELLE RELAZIONI SOCIALI FONDATA SULL’AMBITO DELLA POLITICA

Contesto nel quale riversava il manifesto, ma dal punto di vista teorico la questione è un’altra: la libertà
difesa dai liberali inglesi si potrebbe definire libertà negativa nella misura in cui per essa si intende la
libertà nei termini di una assenza di costrizioni, garantendo libertà di agire, viere, pensare senza alcuna
costrizione esterna (dimensione formale del diritto). A questa concezione è chiaro che se ne contrappone
un’altra, la libertà positiva che è possibilità di realizzare le proprie condizioni di vita, sociali, politiche
(realizzazione della sostanzialità del diritto). Nella società capitalistica la libertà negativa non era realizzata,
non tutti detenevano i mezzi di produzione e non avevano il diritto di realizzare questa possibilità.

Marx ed Engels scrivono a favore del suffragio, diversamente dai pensatori liberali che guardavano solo alla
libertà negativa, ma si schierano contro la borghesia: si propongono di realizzare una libertà positiva e
negativa con assenza di costrizioni ed attuazione dei diritti che garantiscano un’eguaglianza sostanziale.

ENTRAMBE LE CONDIZIONI: UNIVERSALIZZAZIONE DEI DIRITTI E CONSEGUENTE REALIZZAZIONE

Questi due tipi di libertà ai quali si lega una diversa concezione del diritto, si connette anche una maniera
diversa di intendere lo stato: nella libertà negativa lo Stato ha un ruolo essenzialmente di istituzione di
sicurezza, garanzia e tutela del diritto; nella libertà positiva lo stato ha il compito di realizzare il diritto e
renderlo effettivo.

Marx ed Engels si scagliano contro l’industria capitalista e nel manifesto si fanno promotori di una lotta per
l’emancipazione che muove dal basso, per cui come soggetto capace di operare uno stravolgimento
all’interno della società il proletariato; l’individuazione di un soggetto collettivo è in un certo senso una
novità, opposto ad una certa visione della società per la quale al centro delle questioni sociali vi dovesse
essere l’individuo e non una classe. Questa idea fu considerata negativamente dagli economisti classici del
tempo come Smith perché deve essere il singolo a realizzarsi piuttosto che una collettività che condivide
interessi.

Questo appello e questa maniera di intendere il proletariato come una classe, sono sicuramente il punto di
forza del messaggio marxista che si contrappone al pensiero dell’epoca: Marx vede la contrapposizione fra
classi, nella quale il potere politico è sostanzialmente nelle mani della società borghese. Per questa ragione,
il proletariato: deve comprendere di non dover essere soltanto forza lavoro e strumento per il capitalista
ma in realtà avere la possibilità di ergersi a soggetto politico attivo della storia.

PROLETARIATO POTENZIALE PORTATORE DI UNA RIVOLUZIONE

Secondo Marx la società borghese ha avuto il privilegio di creare una dimensione, condizione e
cosmopolitica: ha accorciato il mondo, espandendo il commercio e rendendo gli interessi economici
interdipendenti. Cossan aveva notato come questa nuova situazione avesse comportato un affievolimento
del fenomeno della guerra e in un certo senso, anche nel manifesto troviamo un eco di questa idea nel
momento in cui Marx ed Engels dicono che effettivamente con lo sviluppo della libertà di commercio e del
mercato mondiale c'è un affievolimento delle contrapposizioni fra le nazioni e i popoli, come se l’ostilità
scomparisse a fronte di questa unificazione prodotta dal mercato mondiale. Tuttavia la guerra fra eserciti
contrapposti è una istituzione che in quegli anni comincia a venir meno, assumendo altre forme come
quelle di guerra industriale.

Oggi si fa riferimento alla guerra ibrida: azioni di sabotaggio e hackeraggio informatico, intellligence,
previsione o sottrazione di azioni e informazioni. Marx ed Engels colgono un aspetto fondamentale, ovvero
il fatto che esista una guerra fra nazioni: dove indietreggia quella fra eserciti avanza quella industriale fra
capitali, i prezzi bassi delle merci costituiscono l’arma della guerra.

DA GUERRA BELLICA A GUERRA INDUSTRIALE-FINANZIARIA DI ANNIENTAMENTO FRA NAZIONI:


DALL’INDUSTRIA BELLICA ALL’ECONOMIA COMMERCIALE

Rinnovamento profondo della lettura della società: quest’ultimo aspetto della guerra industriale di
annientamento delle nazioni è profetica nella misura in cui Marx ed Engels prefigurano esplicitamente
come il potere pubblico perderà il suo carattere politico.
MANOSCRITTI ECONOMICO-FILOSOFICI 1844 – IL LAVORO ESTRANEATO (22-23-24)

Mentre il manifesto è frutto di un compito dato a Marx ed Engels dalla lega dei comunisti ed Il Capitale
1867 è uno dei tre capitoli che Marx stesso pubblica (gli altri da Engels dopo la sua morte), i manoscritti
economico-filosofici 1844 riportano una datazione precedente al manifesto e sono stati pubblicati nel 1932
in un contesto che è quello della Repubblica Socialista Sovietica; per quanto siano importanti le riflessioni
contenute al suo interno, non si può dire che sia uno scritto voluto e concepito in questa forma
propriamente da Marx, che non ha infatti voluto renderlo teoricamente importante e rilevante. È infatti
intorno agli anni '30 che comincia a produrre degli effetti storici

RIFERIMENTO PER UN SISTEMA ECONOMICO-SOCIALE-POLITICO RUSSO CHE PUBBLICA IL DOCUMENTO:


MARX È QUALCOSA DI DIVERSO QUI, NON È IL MARX FILOSOFO

Porta avanti questo lavoro durante la sua permanenza a Parigi ed è suddiviso in tre parti, dette quaderni:

➢ Economia classica-borghese e politica del tempo


➢ Proprietà privata superamento tramite il comunismo
➢ Divisione del lavoro e critica al pensiero di Hegel

EMERGONO MOLTI DEI CONCETTI CHE SARANNO POI RIPRESI NEL CAPITALE

Gli influssi sono in questo caso sono tre:

➢ economisti classici: Smith e Ricardo


➢ filosofia del diritto, fenomenologia dello spirito e la logica di Hegel
➢ influenza di Feuerbach e l’essenza del cristianesimo (1848)

In quest’opera si misura per la prima volta con gli economisti classici del calibro di Smith e Ricardo, che
avevano colto la teoria del valore-lavoro; Marx qui applica il proprio pensiero politico in forma economica,
criticando l’economia politica classica-borghese della società capitalista e sostenendo che essa aveva fatto
in modo che le differenze emergenti avessero un’origine naturale o privatistica. Per Marx invece è il modo
di produzione capitalista a creare diseguaglianze.

ECONOMIA BORGHESE ANATOMIA DELLA SOCIETA’ CAPITALISTICA CHE SOFFRE IL LIMITE DI NON POTER
PENSARE IN MANIERA DIALETTICA: INCAPACE DI COGLIERE LA DIMENSIONE STORICA, TANTO CHE
PENSEREBBE AL SISTEMA CAPITALISTICO COME UN SISTEMA ETERNO ED IMMUTABILE, CAPACE DI PORRE IN
ESSERE DA SÉ, RICCHEZZA E DISTRIBUZIONE SENZA RICORRERE AD ALCUN ALTRO SISTEMA

Marx sostiene che la proprietà privata dei mezzi di produzione non è da intendere come qualcosa di eterno,
ma come fatto storico e la coglie come postulato dell’economia scientifica. L’economia classica è incapace
di scorgere la natura conflittuale del sistema capitalistico, insita nell’opposizione fra il capitale e il lavoro
salariato (borghesia e proletariato). Quest’opposizione è leggibile nei termini del concetto di alienazione,
già rinvenibile in Feuerbach: uno dei primi eredi del pensiero hegeliano (sx).

➢ HEGEL: alienazione come fuoriuscita della coscienza da sé, che si oggettivizza nella natura per poi
tornare in sé più arricchita, come spirito (spirito soggettivo – tesi, spirito oggettivo – antitesi, spirito
assoluto – sintesi).

➢ FEUERBACH: alienazione patologica, auto-fuoriuscita di sé. La religione costituirebbe una forma di


alienazione, per la quale l’uomo si scinderebbe proiettando al di fuori di sé una potenza superiore,
creando egli stesso il Dio nel quale si sottomette (scissione-proiezione-sottomissione): si tratta di
un processo di oggettivazione alienata e alienante in cui più l’uomo si scinde e ripone nella
divinità, tanto più toglierà a sé stesso.
MARX: alienazione come fatto reale di carattere socio-economico, legato alla dimensione storica del
lavoro salariato. Il proletariato vive una scissione in questo tipo di società, secondo quattro livelli:

➢ Primo livello: alienazione rispetto al prodotto della propria attività lavorativa

LAVORATORE PRODUCE CAPITALE CHE NON È PROPRIO, ANZI DOMINA IL LAVORATORE STESSO:
LAVORATORE ALIENATO RISPETTO AL PRODOTTO CHE LUI STESSO PRODUCE E DAL QUALE È DOMINATO

➢ Secondo livello: alienazione rispetto la sua stessa attività (mezzo di produzione: forza-lavoro)

FORZA-LAVORO STRUMENTO DEL CAPITALISTA PER ESTRARRE PROFITTO: L’UOMO NEL LAVORARE,
ESSENDO STRUMENTALIZZATO SI SENTE UNA BESTIA MENTRE NEI MOMENTI PIU’ ANIMALI QUALI
MANGIARE, RIPRODURSI E PROVARE PIACERE SI SENTE UMANO=SI SENTE ANIMALE QUANDO LAVORA E
UOMO QUANDO SVOLGE FUNZIONI TIPICAMENTE ANIMALI (INVERSIONE)

➢ Terzo livello: alienazione rispetto la sua stessa essenza, genere

L’ESSENZA È QUELLO CHE FA DI QUALCOSA QUELLA COSA E NON UN’ALTRA, ELEMENTO INELIMINABILE;
QUELLA DELL’UOMO È ESSERE FATTO PER UN LAVORO CREATIVO, LIBERO ED UNIVERSALE MA NELLA
SOCIETA’ CAPITALISTA IL LAVORO È OBBLIGATO, RIPETITIVO E NON SUO

➢ Quarto livello: alienazione rispetto al prossimo, capitalista

COLUI CHE COMPRA, USA, TRATTA IL LAVORATORE COME SE FOSSE UNO STRUMENTO E LO SFRUTTEREBBE
ESPRORPIANDOLO DELLA SUA FATICA, DEL SUO LAVORO

ALIENAZIONE ED ESTRANEITA’ DETTATA DALLA CONDIZIONE DI DISEGUAGLIANZA PER CUI QUALCUNO


DETIENE I MEZZI DI PRODUZIONE E QUALCUNO NO: SENZA PROPRIETA’ PRIVATA IL LAVORATORE SAREBBE
PADRONE DEL SUO PRODOTTO, DELLA SUA ATTIVITA’, ESSENZA E SULLO STESSO LIVELLO DEL CAPITALISTA

Nella copertina del Manifesto c'è la statua di Marx ed Engels a Berlino, mentre è interessante notare come
nei manoscritti sia stata inserita in copertina la figura di Charlie Chaplin, regista e attore comico che ha
cambiato non solo la storia del film muto e di quello comico ma ha anche portato avanti dei film di critica
del suo tempo. Uno dei più iconici è "Tempi moderni" 1936 che coglie uno spaccato della storia del suo
tempo, mostrando le questioni dell'automazione tecnica, del consumismo e dell’alienazione del modo di
produzione capitalistico, che si fanno sempre più intensi a causa di un elemento che Marx aveva già
individuato: la seconda rivoluzione industriale (anni 70 e 80 Inghilterra) che inizia a produrre i propri effetti
su larga scala, coprendo anche Paesi Bassi, Francia, Italia, Germania, Giappone. Il ricorso alle macchine
diventa più significativo e si nota come il modo di produzione del capitalismo industriale sia molto diverso
da quello sovietico.

Chaplin attraverso questa trasposizione filmografica, rappresenta l’alienazione del Capitalismo nei confronti
dell'uomo e l'aumento della tecnologia, che farà in modo che l'uomo si senta più animale nelle sue funzioni
più umane, e più umano nelle funzioni tipicamente animali. È una situazione un po' orwelliana: critica un
altro tipo di società, in cui lo Stato è onnipresente e controlla tutto. Orwell e Chaplin parlano di due sistemi
sociali differenti in cui però avviene una cosa comune: il controllo onnipresente dello stato, entrambi i
sistemi rendono l'uomo qualcosa di diverso, privandolo della libertà, del proprio tempo e della propria vita.

La macchina nel secondo spezzone del film, non dà da mangiare all'operaio ma lo nutre: situazione analoga
alla macchina che nutre i polli negli allevamenti intensivi per far si che continui a produrre. L'operaio viene
nutrito perché DEVE produrre, non c'è tempo di riposo. Nessuno all'interno della fabbrica si rende conto di
essere vittime della macchina stessa, anzi tutti si mettono in moto per cercare di farla funzionare. Si vede
chiaramente come l'uomo sia estraneo ai quattro tipi di alienazione evidenziati da Marx: non è la
macchina ad adeguarsi ai tempi lavorativi dell'uomo ma l'uomo che deve adeguarsi a quelli della macchina.
Mentre Orwell ci mostra al suo tempo come lo stato possiede il controllo della società, in "tempi moderni"
Chaplin ci mostra come chi ha i mezzi di produzione controlla la società.

Il concetto di alienazione nasce da una situazione di opposizione tra lavoro salariato e capitale. Marx
conferisce però solamente una dimensione negativa a questo concetto: riprende da Feuerbach l’idea che
sia un fatto di coscienza, interiore e negativo. Marx inserisce la sua riflessione all'interno di un contesto di
studi che per quanto impostato in termini critici, si rifà ad un contesto dialettico: la stessa prospettiva del
materialismo storico viene fornita da Hegel, per cui la dimensione dialettica accompagna Marx nel suo
pensiero. La storia, per Hegel, è un processo dialettico ma l’ha camminare la storia sulla testa, e come
sostiene Feuerbach "tocca a noi rimetterla sui piedi": essa non è fatta di astrazioni, ma per Engels sono le
condizioni materiali della vita, dell'economia e dei rapporti di produzione a fare la storia.

Marx affida un’importanza fondamentale all’Hegel de "I lineamenti di filosofia del diritto" e ne parla
facendo riferimento alla "fenomenologia dello spirito" e a "la logica": la figura dialettica tipica è quella
della figura servo-padrone, che introduce l’alterità della coscienza nel momento in cui esce fuori ed
incontra l’altro, divenendo autocoscienza perché prende consapevolezza di sé. Il servo, lavorando per il
padrone acquisisce capacità di fare cose del mondo mentre il padrone no. Il servo è in quella condizione
perché ha accettato la subordinazione per paura che il padrone lo uccidesse; nel riconoscimento del
padrone come tale, egli si scontra con il servo e si rende conto di dipendere dalla sua capacità, realizzando
di essere lui stesso di essere servo: il potere formativo del servo è ciò dal quale dipende il padrone, quindi il
servo diventa padrone del padrone.

Marx aggiunge a questo aspetto un elemento di critica: il servo ha capacità formativa ma dipende dal
padrone perché non dispone dei mezzi di produzione per formare le cose. Mentre Hegel pensa
all’alienazione come un qualcosa di positivo e Feuerbach la intende come un fatto di coscienza, Marx la
coglie invece come un fatto reale: la condizione di questo fatto storico-reale è che il lavoratore non
possiede i mezzi di produzione.

PROPRIETA’ PRIVATA COME CAUSA DELL’ALIENAZIONE

La soluzione che Marx prospetta per superare l'alienazione e l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di
produzione, attraverso il comunismo. Marx pensa la storia come una continua appropriazione e perdita
dell'essenza stessa dell'uomo, quindi come un meccanismo di alienazione e superamento di essa. Per
questo è necessaria secondo Marx una rivoluzione, in cui l'uomo si riappropria della propria essenza.

Prima parte – IL LAVORO ESTRANEATO XXII, scrive Marx: “Non trasferiamoci, come fa l’economista quando
vuol dare una spiegazione, in uno stato originario fantastico. Un tale stato originario non spiega nulla. Non
fa che rinviare il problema in una lontananza grigia e nebulosa. Presuppone in forma di fatto, di
accadimento, ciò che deve dedurre, cioè il rapporto necessario tra due fatti, per esempio tra la divisione del
lavoro e lo scambio. Allo stesso modo la teologia spiega l'origine del male col peccato originale, cioè
presuppone come un fatto, in forma storica, ciò che deve spiegare.”

Marx qui fa una critica: quando si esamina un sistema economico, si deve in prima sede partire da una
realtà ed è esattamente l’opposto del metodo idealistico; non occorre partire dall’idea ma dai fatti: chiave
del materialismo storico. Bisogna muovere dalle condizioni attuali della società per poterla esaminare.
Tant’è che Marx continua dicendo:

‘Noi partiamo da un fatto dell'economia politica, da un fatto presente. L'operaio diventa tanto più povero
quanto maggiore è la ricchezza che produce, quanto più la sua produzione cresce di potenza e di estensione.
L'operaio diventa una merce tanto più vile quanto più grande è la quantità di merce che produce. La
svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose. Il
lavoro non produce soltanto merci; produce sé stesso e l'operaio come una merce, e proprio nella stessa
proporzione in cui produce in generale le merci.’’

Qui inizia a comparire il discorso di alienazione: più valore assume la merce meno valore assume l’uomo –
frase chiave. Per effetto, all’interno della società capitalistica, il profitto (plus valore) non è del lavoratore,
ma è appropriata al capitalista; perciò tanto più vale quello che il lavoratore produce, tanto meno valore è
attribuito alla forza lavoro necessaria alla produzione di quella stessa merce. Aumenta di valore la merce e
diminuisce di valore la componente umana. E qui Marx per iniziare a comprendere il discorso
dell’alienazione dice: ‘’ Il lavoro non produce soltanto merci; produce sé stesso e l'operaio come una merce”.
All’interno del modo di produzione capitalistico, la forza lavoro è una merce nonché strumento; quindi il
lavoratore percepisce la sua stessa essenza e attività lavorativa come qualcosa di estraneo.

‘’Questo fatto non esprime altro che questo: l'oggetto che il lavoro produce, il prodotto del lavoro, si
contrappone ad esso come un essere estraneo, come una potenza indipendente da colui che lo produce. Il
prodotto del lavoro è il lavoro che si è fissato in un oggetto, è diventato una cosa, è l'oggettivazione del
lavoro. La realizzazione del lavoro è la sua oggettivazione. Questa realizzazione del lavoro appare nello
stadio dell'economia privata come un annullamento dell'operaio, l'oggettivazione appare come perdita e
asservimento dell'oggetto, l'appropriazione come estraniazione, come alienazione”.

La frase su cui soffermarsi è ’’Il prodotto del lavoro è il lavoro che si è fissato in un oggetto,’’; qui Marx
dice che il lavoratore dispone di un potere “forza-lavoro” che è oggettivato nella merce prodotta, è
contenuto in essa. Il valore della merce è dato dalla forza lavoro necessaria per la sua produzione: è come
se nella merce fosse racchiusa una potenza derivante dal lavoro così che il valore derivi dall’attività
lavorativa oggettivata, non più lavoro vivo – lavoro incorporato. La realizzazione del lavoro si presenta
come annullamento: l'operaio è derubato degli oggetti più necessari non solo per la vita, ma anche per il
lavoro. Già, il lavoro stesso diventa un oggetto, di cui egli riesce a impadronirsi soltanto col più grande
sforzo e con le più irregolari interruzioni.

Quell’ aver dato più valore all’oggetto, da un lato fa si che l’attività lavorativa assuma più valore, ma allo
stesso tempo diventa qualcosa di staccato, di altro. Marx dice: L'appropriazione dell'oggetto si presenta
come estraniazione in tale modo che quanti più oggetti l'operaio produce, tanto meno egli ne può possedere
e tanto più va a finire sotto la signoria del suo prodotto, del capitale. Il lavoratore trasformando
quell’oggetto in merce, gli ha dato una potenza tale da rendere la merce un qualcosa che ha valore di per
sé, non più in ragione dell’attività lavorativa. La forza lavoro da potenza a un oggetto che una volta
prodotto è indipendente dalla forza lavoro, la quale è stata necessaria per la sua produzione.

Tutte queste conseguenze implicano che quanto più l'operaio si consuma nel lavoro, tanto più potente
diventa il mondo estraneo che egli crea dinanzi e tanto più povero diventa egli stesso, tanto meno il suo
mondo interno gli appartiene; lo stesso accade nella religione: quante più cose l'uomo trasferisce in Dio,
tanto meno egli ne ritiene in sé stesso. L'operaio ripone la sua vita nell’oggetto e d'ora in poi la sua vita non
appartiene più a lui, ma all'oggetto. Quanto più grande è dunque questo prodotto, tanto più piccolo è egli
stesso. L'alienazione dell'operaio nel suo prodotto significa non solo che il suo lavoro diventa un oggetto,
ma che esso esiste indipendente da lui, gli è estraneo diventando una potenza per sé stante; la vita che egli
ha dato all'oggetto gli si contrappone ostile ed estranea.

IL LAVORO ESTRANEATO XXIII Considerando l'oggettivazione, la produzione dell'operaio e in essa


l'estraniazione e la perdita del suo prodotto: l’operaio non può produrre nulla senza la natura, il mondo
esterno sensibile che incarna la materia su cui si realizza il suo lavoro, per mezzo della quale esso produce.
Come la natura fornisce al lavoro i mezzi di sussistenza (oggetti su cui applicarsi), essa fornisce anche i
mezzi di sussistenza in senso più stretto, per il sostentamento fisico dello stesso operaio.
Quindi quanto più l'operaio si appropria attraverso il lavoro del mondo esterno, tanto più si priva dei mezzi
di sussistenza a seguito di due ragioni: prima di tutto per il fatto che il mondo esterno cessa sempre più di
essere un mezzo di sussistenza del suo lavoro, e poi per il fatto che lo stesso mondo esterno cessa sempre
più di essere un mezzo di sussistenza per il suo sostentamento fisico. In questa duplice direzione, dunque,
l'operaio diventa uno schiavo del suo oggetto: in primo luogo, perché riceve un oggetto da lavorare; in
secondo luogo, perché riceve dei mezzi di sostentamento – uomo operaio che è soggetto fisico, e viceversa
interdipendenza.

Secondo le leggi dell'economia politica, l'estraniazione dell'operaio nel suo oggetto si esprime nel fatto che
quanto più l'operaio produce, tanto meno ha da consumare; quanto maggior valore produce, tanto minor
valore e minore dignità egli possiede: quanto più bello è il suo prodotto, tanto più l'operaio diventa
deforme; quanto più raffinato il suo oggetto, tanto più egli s'imbarbarisce; quanto più potente il lavoro,
tanto più egli diventa impotente; quanto più il lavoro è spirituale, tanto più egli è diventato materiale e
schiavo della natura. Rapporto di inversione: l’operaio perde le caratteristiche dell’essere umano perché,
muovendo dalla natura attraverso il lavoro inizia a divenire schiavo di essa e l’attività lavorativa diventa
estranea.

ALIENAZIONE RISPETTO AL PRODOTTO, RISPETTO ALL’ATTIVITA’ E RISPETTO ALL’ESSENZA

Alienazione alla stessa attività: Marx analizza l’attività lavorativa domandandosi il fine di essa; non è quello
di ottenere i mezzi di sussistenza ma la creazione di merci destinate al mercato. È quindi evidente che
l’attività del lavoratore diventa qualcosa che si distacca dalla stessa essenza di sopravvivenza: sfinisce il
corpo del lavoratore e lo spirito, perché è un’attività fine a sé stessa.

Alienazione del lavoro: consiste nel fatto che il lavoro non appartiene al suo essere e quindi nel suo lavoro
egli si nega, sentendosi insoddisfatto e infelice: non sviluppa una libera energia spirituale ma lo svilisce per
cui l’operaio solo al di fuori del suo lavoro si sente presso di sé. L’attività lavorativa dipende dalla capacità
di dar vita alle cose, tipicamente umana ma nel fare ciò l’uomo si sente alienato: non si sente tale ma una
bestia e si sente prossimo all’umanità quando svolge attività feline – È a casa propria se non lavora; e se
lavora non è a casa propria. Il suo lavoro quindi non è volontario ma costretto, forzato: non è il
soddisfacimento di un bisogno, ma soltanto un mezzo per soddisfare bisogni estranei.

Il lavoro esterno in cui l'uomo si aliena, è un lavoro di sacrificio di sé stessi e di mortificazione. Nella
religione l'attività propria della fantasia umana influisce sull'individuo indipendentemente da esso, come
un'attività estranea divina o diabolica; cosi l'attività dell'operaio appartiene ad un altro; è la perdita di sé.
Ne viene come conseguenza che l'uomo (l'operaio) si sente libero soltanto nelle sue funzioni animali come
il procreare e invece si sente nulla più che una bestia nelle sue funzioni umane.

Marx a differenza di Feuerbach ed Hegel, sta facendo un ragionamento critico che ha una base scientifica:
sta esaminando il modo di produzione capitalista notando la presenza del fenomeno dell’estraniazione. Nel
momento in cui il lavoro dell’uomo è una merce sottoposta a regole del mercato, si venderà a prezzo più
basso; di conseguenza, sempre meno valore avrà la forza lavoro, tanto valore in più avrà il profitto in
quanto aumenteranno le ore di lavoro gratuito che l’operaio svolge per conto del capitale. (guadagno 10
ma domani qualcuno lavora con 8 euro: sono i di due euro che svalutano il lavoratore, dando quel plus al
capitalista).
FINANZCAPITALISMO di GALLINO – 133/143, 168/234, 252/291

Nella definizione di finanzcapitalismo, Gallino ha in mente un tipo di capitalismo che non ha necessità di
creare valore attraverso la produzione di merci come per il capitalismo industriale; nel capitalismo
finanziario la produzione di valore non ha necessità di forza lavoro che trasformi la merce, tanto che Gallino
non parla più di produzione di valore ma di estrazione di valore. Il Capitalismo contemporaneo, per
produrre ricchezza, e cioè prodotti finanziari, si serve di tre bracci operativi:

➢ Sistema banco centrico


➢ Finanza ombra – società veicolo
➢ Investitore istituzionale

I prodotti finanziari non sono merci intese in senso classico, infatti elementi come i derivati sono dei
contratti alla base dei quali è ormai rarissimo che ci sia una merce reale: parte da una somma inferiore.

CAPITALISMO INDUSTRIALE: DENARO-MERCE-DENARO – CAPITALISMO FINANZIARIO: DENARO-DENARO:


ACCUMULARE DENARO DAL DENARO STESSO

Il sistema bancocentrico è una grande rete societaria che attraverso il meccanismo di espansione dei
depositi, partendo da una quantità molto inferiore di denaro può produrre direttamente più denaro;
questo accade in virtù di alcuni accordi inter-bancari che fanno si che esse prestino più denaro di quello che
hanno in deposito. Allo stesso modo opera la finanza-ombra che costituisce una piccola società finanziaria
che opera al banco (direttamente sul mercato finanziario) senza però sottostare a vincoli, bilanci e controlli
del governo. L’investitore istituzionale è il cosiddetto capitale da lavoro: società che agisce sul mercato
finanziario investendo i suoi grandi patrimoni per realizzare nuovi guadagni.

Nell’ambito della produzione globale di ricchezza, il profitto derivante dal capitalismo industriale è
estremamente minoritario rispetto alla produzione del capitalismo finanziario, per cui l’imprenditore
industriale rappresenta una figura ormai residuale. Attualmente, la produzione è concentrata sempre in
meno proprietari che producono sempre più prodotti: concentrazione dei prodotti in meno mani dovuto al
meccanismo della fusione: un’azienda x è interessata ad ottenere le quote di mercato di un prodotto
concorrente, così da espandere le proprie per avere un numero maggiore di consumatori – interesse rivolto
al cliente, per cui non è detto che l’acquirente tenga in piedi gli stabilimenti acquistati ma può chiuderli e
iniziare a produrre i loro marchi per proprio conto. Su scala mondiale, questo determina un progressivo
impoverimento di alcuni territori a fronte di altri nei quali viene concentrata sempre più ricchezza.

Anche la produzione industriale sottostà a questo tipo di regole: la ditta che produce una data merce, per la
sua compra-vendita propone all’acquirente un pagamento rateizzato – processo di finanzializzazione.
Spesso la vendita del prodotto è marginale: anche se acquistato a tasso zero, comunque quel credito lo
rendiamo disponibile immediatamente alla ditta perché sottoscriviamo un contratto che diventa un titolo
immediatamente disponibile. Quindi la stessa natura societaria di chi produce è mutata: l’interesse
prevalente di chi produce non è quello di vendere primariamente la merce ma ci sono delle fonti più
redditizie, per cui ci sono infatti prodotti finanziari che devono essere venduti, come prestiti-finanziamenti.
(es. cellulare: costo di produzione inferiore rispetto a quello di vendita; nel momento in cui un cliente lo
acquista a rate, sottoscrive un finanziamento a rate di 100 euro; ad esempio: immediatamente, la
finanziaria che ha il contratto investe questi 100 euro per creare più denaro).

È chiaro che un grande produttore può fare questo ragionamento che lo porta a guadagnare non solo con
la vendita della merce, ma anche con i prestiti. Un piccolo produttore invece, non potendo fare
direttamente lui un prestito, dovrà ricorrere ad una banca esterna.

FARE ATTIVITA’ FINANZIARIA (AVERE UNA BANCA INTERNA) PER CHI PRODUCE È VANTAGGIOSO:
FINANZIALIZZAZIONE DELL’INDUSTRIA
I tre bracci operativi sono delle componenti che si sono sviluppate nel corso del tempo, partendo dal
capitalismo industriale:

➢ il sistema bancario era inizialmente a servizio della produzione, di fatti il prestito prevedeva una
corrispondenza tra i depositi che c’erano in banca e quanto veniva prestato al contraente.
➢ per quanto concerne la finanza ombra, i derivati nascono con una funzione assicurativa, sono una
garanzia.
➢ Il rafforzamento degli investitori istituzionali è generato soprattutto da un effetto che deriva dalla
marginalizzazione del lavoro e del lavoratore, all’interno dell’industriale capitalistica.
(investitori istituzionali=fondi pensione, assicurazioni, ecc.)

In Italia si è passati da un sistema pensionistico retributivo a uno contributivo: fino a qualche decennio fa la
pensione era commisurata rispetto alla retribuzione che un lavoratore aveva a fine carriera. Da questo
sistema si è passato a uno contributivo: pensione basata sui contributi versati, inferiore rispetto ad una
pensione calcolata sulla retribuzione di fine carriera. Accade che i lavoratori, per compensare questa
pensione contributiva iniziano a versare volontariamente una parte della propria busta paga su un fondo
(100 euro al mese, 20 euro nel fondo per tot anni di lavoro). Se questo accade su una platea di lavoratori
che genera delle masse di denaro molto significative: questa quantità di ricchezza non è gestita da coloro
che ripongono la cifra nel fondo; nel 90% dei casi il lavoratore è del tutto ininfluente rispetto all’utilizzo del
denaro che viene fatto dal fondo: il lavoratore contribuisce alla creazione di quel capitale ma non lo
gestisce.

Questo chiaramente pone un problema dal punto di vista etico: questo capitale del lavoro si potrebbe
ritorcere sulla stessa attività del lavoratore; questa massa è talmente tanto grande che potrebbe e può
determinare la fortuna o la sfortuna di interi stati. Quando un fondo ha investito su quella determinata
produzione ad esempio turistica in una città, chiaramente ne determina l’arricchimento; questi fondi sono
quindi entità molto potenti che nei fatti possono decidere se uno stato può arricchirsi o meno, e ciò
indifferentemente dalla provenienza dei lavoratori che versano su quel fondo.

Gli investitori istituzionali hanno un ruolo molto significativo sia rispetto al sistema bancocentrico che
rispetto alla finanza ombra, perché è chiaro che se questo “più denaro” viene ad essere molto produttivo e
redditizio, una volta investito in derivati si accrescerà sempre di più, creerà sempre più denaro: gestirà
quella ricchezza per un tot di anni poi dovranno essere date le pensioni, questo è anche il motivo per cui
poi molti fondi hanno avuto dei problemi.

IL SENSO DEL DENARO OGGI: Possibilità di acquisto, un mezzo, una proprietà di valore: promessa di valore.
Sicuramente il denaro esprime un rapporto sociale, quindi un rapporto di potere; questa natura di
“promessa” è fondamentale per comprendere che il denaro non è solo la moneta. Le transizioni che
avvengono sono di natura elettroniche: c’è sempre più propensione all’acquisto elettronico e sempre meno
all’utilizzo del contante. (cap. 7)

Le carte di credito in realtà sono carte di debito e viceversa: il credito ce lo dà la banca, promettiamo valore
quando acquistiamo una carta di credito e c’è qualcuno che garantisce valore (promettiamo di rimettere
quei soldi e la banca li anticipa). In una transizione online non c’è un valore reale alla base, ma un passaggio
di dati elettronico che sposta delle cifre, dei dati; meccanismo alla base dei prestiti: non viene fornito
fisicamente il quantum ma vengono iscritti dei dati nel conto corrente che vengono resi disponibili.

Questa natura di promessa ha a che fare con il futuro: con la fine degli accordi di Bretton Woods negli anni
70 non c’è più il concetto di convertibilità della moneta in oro, la banconota non è più un valore aureo.
Alcune delle più grandi società che si occupavano di bitcoin sono fallite, visto il venir meno della garanzia sa
parte dello Stato che scaturisce il decadimento della promessa di valore.
CAPITOLO 7 – EFFETTI PERVERSI DELLA CREAZIONE DEL DENARO

Nell'esaminare la peculiarità del denaro in quanto potere Gallino cita Simmel, il quale sostiene che questo
tipo di potere, a differenza di altri, non ha davanti a se un futuro incerto: "l'incertezza è completamente
scomparsa nei confronti del denaro. Perché il carattere specifico del potere raggiunga il proprio culmine, si
tratta di una pura possibilità, in quanto il presente è importante solo in rapporto al futuro. Ma si tratta
anche di un potere autentico perché abbiamo la completa certezza della realizzabilità di questo futuro".

DENARO COME POTERE, RELAZIONE SOCIALE E MEZZO DI SCAMBIO SOGGETTO A SPAZIO E TEMPO,
UNIVERSALMENTE RICONOSCIBILE – Simmel

Vale a dire che il denaro è sicuramente una forma di potere che ha delle particolarità osservabili:

➢ è una pura possibilità: il denaro ha una proiezione verso il futuro che non è qualcosa che passa:
non ha quella caratteristica che ogni relazione sociale intesa come forma di potere assume nel
momento in cui è legata al solo presente. Il denaro assume una sostanza presente ma è una
promessa di un valore futuro.

A parere di Gallino, il denaro è una promessa di valore garantita dallo stato: le stesse banconote, che sono
una percentuale quasi residuale rispetto al denaro circolante a livello globale, hanno una corrispondenza di
cambio con il loro valore nominale. A partire dagli anni 70, il superamento degli accordi di Bretton Woods
abolisce la convertibilità del denaro; viene abbandonato questo sistema di corrispondenza che fa si che la
moneta divenga ancora di più promessa di valore quanto garantita dallo stato (Esempio – le prime monete
emesse cambiavano di materiale: il valore della moneta all'origine era corrispondente al metallo in cui era
forgiata, più la lega era preziosa più la moneta valeva).

➢ il problema della moneta di un metallo prezioso, che corrisponde al valore nominale è l’uso: esse
vengono deteriorate nell'utilizzo, oppure possono essere limate per avere altro oro. L'usura
volontaria o involontaria determina il venir meno del valore della moneta.

➢ altro problema fondamentale è la portabilità della moneta, in quanto perde valore nel momento
in cui attraversa lo spazio e il tempo.

Esempio di Gallino: a parità di banconota, fra una banconota lasciata in un cassetto per un certo periodo ed
una depositata per aprire un libretto di risparmio, egli nota come la prima perderà la metà del suo valore
(calcolando l'inflazione del 2/3% all'anno) mentre la seconda trascritta in formato elettronico mantiene il
suo valore – effetto diverso nella variabile tempo. Per quanto concerne la variabile spazio, con la moneta
elettronica esso sarà differente rispetto all'utilizzo della moneta tradizionale: acquistando attraverso
internet in uno store di un’altra città il processo è immediato, se invece si acquista fisicamente tempo e
spazio hanno effetti diversi. Quindi vengono abbattute le barriere di spazio e tempo con la moneta
elettronica.

È evidente la differenza fra la moneta tradizionale e quella elettronica: oggi è possibile acquistare nell'altra
parte del mondo con un tipo di denaro che non ha sostanza, ma è un bit – codice elettronico. La natura di
promessa di valore del denaro elettronico si fa qui ancora più evidente: promettendo un valore,
qualcun’altro accetta tale promessa; non si tratta di un acquisto diretto: c'è qualcuno al quale si promette
un valore, che a sua volta lo promette ad un istituto di credito, che a sua volta lo promette ad un negozio.

Il VALORE REALE DELLA MONETA DI OGGI È SEMPRE DI PROMESSA

Il fatto che fosse stata abolita la possibilità di emettere banconote in metallo, generò un comportamento
illecito da parte di alcuni istituti di credito: in Italia ci fu infatti lo scandalo della Banca Romana (banca di
emissione), per cui non dovendo più mantenere fede alla corrispondenza tra emissione di moneta e valore
del tenuto nei depositi, hanno cominciato a produrre molte più banconote dal nulla, più di quante ne
avrebbero potute produrre per legge. La non necessità di corrispondenza tra depositi e capacità di
emissione delle banconote crea degli effetti perversi: si potrebbero stampare infinite banconote ed
emetterle senza alcun valore, oppure creare dei contratti che promettono valore dal nulla.

In ultima istanza, Gallino sostiene che il denaro è anche linguaggio indifferente al mezzo che lo trasporta;
parla di due caratteristiche:

➢ semantica: capacità o possibilità di dare un prezzo a qualsiasi cosa; tale caratteristica è sempre più
visibile nelle forme dematerializzate.
➢ sintattica: regole che stabiliscono un prezzo e che permettono il gioco domanda-offerta,
consentendo i meccanismi di matematica finanziaria.

CHI CREA IL DENARO OGGI? CHI HA POSSIBILITÀ DI CREARE DENARO DAL NULLA?

Attualmente l'emissione di banconote è nelle mani delle banche centrali (BCE), il punto però è che non
sono solo esse a crearlo: gran parte del denaro in circolazione è creato dalle banche commerciali-private.
Entrambe creano denaro, concedendo crediti privi di un adeguato collaterale (bene concesso da chi
contrae un debito al creditore come garanzia di ripagamento); la maggior parte del denaro che viene
prestato, esse non lo possiedono ma è lo stesso meccanismo del prestito a far sì che venga creato. Il
meccanismo di creazione di denaro viene svolto in maniera simile sia per le banche centrali che per le
private: quelle private non hanno direttamente una funzione per effetto del potere statale, quindi pongono
in essere la creazione di denaro attraverso la concessione di crediti sotto forma di mutui e prestiti che
vengono erogati da altre banche, famiglie, imprese ed enti pubblici.

All'interno dei comuni, i trasferimenti statali non vengono erogati all'inizio dell'anno ma in momenti diversi:
il comune chiede a una banca una anticipazione, la quale svolge una funzione di tesoreria. Il comune è
quasi "obbligato" a chiedere questo prestito, chiedendo un credito il comune contrae un debito.

Pag. 150 del libro: Il credito non viene finanziato con i depositi effettuati, ma accade che i depositi abbiano
origine in ragione del credito: in virtù di accordi interbancari, le banche centrali hanno la possibilità di
prestare molto più denaro rispetto a quanto ne hanno in deposito; a fronte di una piccola quantità di
denaro che le banche hanno in deposito, possono prestarne una quantità maggiore. Chiedendo un prestito
ad un istituto di credito aumentano i depositi di quell'istituto: esso scrive sul conto corrente i dati (200mila
euro) che verranno trasferiti sul conto corrente del costruttore ma, chiaramente dovrà progressivamente
essere rimesso nel conto della banca che ha creato quel valore. EFFETTO LEVA: PRESTARE PIU’ DI QUEL
CHE SI HA IN CASSA – LEVA FINANZIARIA

Non sono quindi i depositi a generare credito ma è il credito (quel debito che io contraggo) a generare i
depositi.

Questo tipo di principio viene utilizzato anche dalle banche commerciali-private, per fare in modo che i
depositi possano avere origine dal credito. In sostanza è il credito che crea il denaro. Gallino cita un
manuale della FED – 1994: Banca Federale di Chicago, che compone il sistema della FED statunitense ed
esplica come funziona questo meccanismo:” Ovviamente le banche non erogano davvero prestiti usando il
denaro che ricevono in deposito, se lo facessero non si creerebbe denaro addizionale. Quel che fanno
quando concedono prestiti è accettare una scrittura promissoria, in cambio della somma che viene
accreditata sul conto del mutuatario.”

Il sistema si lega alla promessa che il contraente fa al momento del prestito: esso, per il cliente diventa un
debito mentre per la banca un credito; la somma viene accreditata sul conto corrente del debitore – si crea
denaro – “Questo denaro, creato attraverso il prestito, non è creato usando il denaro che le banche
ricevono in deposito”: le banche non possiedono in deposito quella somma di denaro, è stato
semplicemente stipulato un contratto con il quale il cliente ottiene un prestito, e quindi quella cifra viene
iscritta sul conto del cliente – accordo/promessa tra il contraente e la banca di rendere quel denaro.

Da questo meccanismo nasce quello di espansione dei depositi: quel credito che la banca da al correntista,
verrà utilizzato ad esempio per fare acquisti; chi riceverà quel denaro a sua volta potrà riutilizzarlo per
acquistare altro ancora o lo depositerà presso il proprio istituto di credito; quel credito inizierà così ad
essere immesso nei fatti nel sistema bancario, che a sua volta continuerà a moltiplicare quel denaro. Negli
Stati Uniti il meccanismo che regola i prestiti dà possibilità alle banche di erogare (concedere in prestito)
fino a 10 dollari per ogni dollaro che si possiede in deposito – leva finanziaria 1:10; ciò significa che se una
banca commerciale ha un dollaro depositato, ne può prestare 10. Questo meccanismo è solo l’inizio per il
seguente ragionamento: concedendo un prestito di 10 dollari, se ne creano 9 che restano sul conto
corrente del cliente e che per la banca sono un deposito; per ognuno di quei 9 dollari se ne possono
erogare altri 9→ il meccanismo di espansione dei depositi si decuplica per ognuno di quei dollari. Invece
nell’Unione Europea in virtù degli accordi di Basilea 1 e 2 (Il testo non è attuale, per cui Gallino accenna 2 e
nel frattempo è stato firmato il 3), la quota di riserva minima frazionaria obbligatoria (patrimonio di
vigilanza: cifra che le banche devono tenere in deposito a garanzia del prestito) è pari all’8%. Questo
significa che a fronte di 8 euro depositati, ne possono essere prestati 100: le banche hanno la possibilità di
creare 92 euro, a fronte degli 8 detenuti in deposito.

Crisi del 2007 per la questione dei mutui: le banche effettuavano diversi mutui subprime a creditori con
alto rischio d’insolvenza; si assistette ad un grande indebitamento di famiglie ed investitori, che non
potevano risarcire il debito e vennero così pignorati diversi beni – esplosione della bolla speculativa
finanziaria. Se il meccanismo fosse stato tradizionale, la crisi sarebbe stata impossibile perché se una banca
presta quello che ha in cassa e il cliente non riesce a renderli, essa avrebbe comunque in cassa soldi di altri
correntisti. Il problema si pone con il nuovo meccanismo finanziario: se la banca presa soldi che non ha in
cassa e non vengono resi, questi non esistono (in cassa 10 euro e prestati 100: se non vengono restituiti, la
banca non può averne 90 perché non esistono visto che li ha creati essa stessa).

Gli accordi di Basilea 3 tutelano maggiormente i meccanismi di prestito, nascono i prestiti a breve periodo:
si sono dovuti stabilire degli accordi per cercare di rafforzare il sistema bancario, dato che la creazione di
denaro significativa risulta molto rischiosa; La questione della crisi dei mutui subprime è dovuta anche alla
concessione di prestiti a famiglie che non se lo potevano permettere, esponendo a dei rischi molto elevati
per cui il credito poi non rientra: quei soldi non esistono e sono stati prestati nella speranza che qualcuno li
rendesse. Basilea 3 quindi per prevenire le crisi, ha ristretto le condizioni per poter erogare questi prestiti,
mantenendo però il patrimonio di vigilanza all’8%. Sostanzialmente questo accordo ha rafforzato la
credibilità di chi deve onorare quel debito: prima di concedere dei prestiti, soprattutto significativi come
quelli per le case, c’è più difficoltà di ottenimento: si utilizzano strumenti finanziari più robusti e meccanismi
di patrimonio di vigilanza più severi. (dopo Basilea 3, adesso siamo a Basilea 4).

GLI ACCORDI DI BASILEA SONO L’EFFETTO DELLA CRISI DEL 2007

All’interno del sistema bancocentrico, le banche commerciali con poco denaro riescono a crearne molto.
Mentre un artigiano per avere denaro deve faticare per ottenere un prodotto e venderlo, qui anziché
esserci la trasformazione della merce, i meccanismi sono semplificati: da denaro creo più denaro. Le banche
centrali sono banche d’emissione: facendo riferimento agli USA esiste la FED – Federal Reserve System
(composta da 12 banche private) mentre in Europa la BCE – Banca Centrale Europea.

Gallino ha notato come la parte di denaro materiale circolante è intorno al 3-4% del totale del denaro
creato a livello globale; nella seconda metà del’900 c’è stata una crescita significativa di questo tipo di
denaro, salendo al 30-40%. Le banche centrali oltre alla funzione di emettere moneta ne hanno un’altra:
prestano denaro alle banche private.
MECCANISMO DEL QUANTITATIVE EASING – allentamento quantitativo: meccanismo di politica monetaria
espansiva messa in atto dalle banche centrali allo scopo di stimolare la crescita economica che consiste nel
creare moneta acquistando titoli di stato ed altre obbligazioni sul mercato (credito trasformato in prodotto
finanziario tramite la cartolarizzazione – prendere parti di credito e renderli negoziabili: venderli a investitori
che hanno come garanzia quel prestito, per finanziare il Paese). La politica effettuata da Draghi quando era
al vertice della BCE: questione dell’acquisto dei titoli di stato, c’era l’immissione di liquidità che non veniva
dalle nostre tasche, dai prestiti che la BCE erogava alle banche commerciali: Immissione di liquidità si, ma
nelle banche. Gallino pensa alla funzione delle banche centrali come banche delle banche; C’è questo
meccanismo di immissione di liquidità da parte delle banche centrali nelle banche private al fine di
moltiplicare l’espansione dei depositi.

Gallino spiega questo meccanismo: “preminente, tra i modi seguiti da una banca centrale per creare
denaro, è l’acquisto di titoli di stato, tipo i buoni del tesoro. Si supponga che essa (cioè la banca
commerciale) voglia procedere ad acquistare 100 mila euro da un istituto IT (italiano di tecnologia),
autorizzato a vendere titoli di stato. Al fine di concludere l’acquisto, la banca centrale BC accredita sul conto
della banca di deposito BD, indicata dall’istituto stesso, la somma di 100 mila euro. La banca BD accredita
quindi sul conto corrente dell’istituto autorizzato, venditore dei titoli, la somma indicata. Per questa via, 100
mila euro che prima non esistevano sono stati immessi nel sistema bancario, e tramite questo nel sistema
economico. Dopodiché la creazione di denaro prosegue grazie alla meccanica già richiamata sopra. Dato
che un prestito figura in bilancio come un attivo, la banca BD, avendo accresciuto il totale degli attivi di 100
mila euro, può ora concedere, una volta detratta la quota di riserva di 8 mila euro, fino a 92 mila euro di
altri prestiti o crediti. Ciascuno dei quali, a scalare, può aggiungersi ai precedenti sino a che il prestito
iniziale si è moltiplicato per dieci volte e più.”

Il meccanismo quantitative easing avviene in maniera tale per cui le banche centrali ad esempio la BCE,
acquistando un titolo di stato di 100 mila euro, non lo fanno direttamente ma accreditano la somma su una
banca commerciale di deposito – BD, che a sua volta andrà poi ad acquistare questo Titolo di Stato che
diviene denaro perché è stato depositato (da BC in BD): entra nella quota di riserva finanziaria e può quindi
essere prestato. ” dato che un prestito figura in bilancio come un attivo, la BD, avendo cresciuto il totale
degli attivi di 100 mila euro, può concedere, una volta detratta la quota di riserva di 8 mila euro, fino a 92
mila euro di altri prestiti o crediti”: di 100 mila, 8mila vanno in riserva e 92 mila sono utilizzabili: una volta
depositati vengono scritti in bilancio, perciò esistono e possono essere concessi in prestito o credito.

Questi depositi delle banche private – BP possono venire da tante fonti, tra cui il denaro depositato dalle
banche centrali: la BCE non potendo acquistare direttamente i titoli di stato, immette liquidità alle BD, che
a loro volta possono prestare soldi ai clienti. Il meccanismo attraverso cui lavorano le banche centrali è
sempre indiretto: ci sono agenzia che vendono i titoli di stato e non è la BC ad acquistarli, ma la BD; questo
tipo di acquisto avviene a seguito della concessione di credito da parte della BCE e dal momento che la BD
ha questo prestito iscritto in bilancio ha un effetto moltiplicatore – si immette liquidità nel sistema
economico in maniera indiretta.

LO STATO SI FINANZIA ANCHE ATTRAVERSO QUESTA VENDITA DI ALCUNI PRODOTTI

Quantitative easing meccanismo di prestito che generava credito; un titolo di stato è un’obbligazione
emessa dallo stato che ha una scadenza: a scadenza di tale titolo acquistato a cifra x, avrà un x più di valore.
È una sorta di investimento per il quale, dopo tot anni oltre la cifra che vale quel titolo si riscuote un più.

Meccanismo di investimenti che va a finanziare il bilancio dello Stato.

Meccanismo di emissione di moneta utilizzato dalle banche centrali per creare denaro di una certa
consistenza: depositata una cifra in banca privata (commerciale, di deposito) si ha la possibilità di
espandere quei depositi: su 100mila, mantenendone 8 in vigilanza si vanno a moltiplicare i 92 restanti.
Altra funzione alla quale assolve la BCE dovrebbe essere quella regolatoria sulla massa monetaria: lo fa
agendo sui tassi di sconto-interesse del denaro prestato alle banche di debito e agendo sula parte che
viene invece tenuta in riserva.

AZIONE NEI CONFRONTI DEI PRESTITI: TASSI DI SCONTO SUI PRESTITI EROGATI DALLA BC, ALTRA AZIONE
SUL CAPITALE DI RISERVA DETENUTO NEI DEPOSITI

Funzione è fortemente marginale: agendo su questi elementi la bc dovrebbe poter creare dei limiti alla
creazione incontrollata di denaro da parte dell’intero sistema bancocentrico; ciò non è stato perché i tassi
sui prestiti sono stati bassissimi ed hanno prodotto un effetto a catena, viste le ragioni della crisi 2007 (bc
presta a tassi bassissimo e le bp agevolano molto i prestiti, applicando politiche sui tassi vantaggiose per
coloro che stipulavano dei prestiti).

Altro meccanismo di produzione di massa monetaria deriva dalla cartolarizzazione-titolarizzazione che


rendono più forte il meccanismo di espansione dei depositi e consentono all’effetto leva di agire in maniera
ancora più veloce: CARTOLARIZZAZIONE ATTRAVERSO LE SOCIETA’ VEICOLO

La banca di deposito per effettuare un prestito di 100 euro, deve averne 8 in deposito per crearne 92. Per il
signor x questi 100 euro sono un DEBITO; a fronte di esso la banca ha un CREDITO che all’interno della
contabilità della banca è sempre frutto di 8+92 e sostanzialmente questi 8 sono fermi e la banca non può
utilizzarli per fare nulla. Cosa accade con la titolarizzazione? LA BANCA, ATTRAVERSO UNA SOCIETA’
VEICOLO SIV, TIRA FUORI QUESTO CREDITO DAL SUO BILANCIO E LO TRASFORMA IN UN TITOLO
COMMERCIALE VENDENDOLO. IN BILANCIO NON C’E’ PIU’ ALCUN CREDITO E QUINDI QUEGLI 8 EURO
POSSONO GENERARE ALTRO CREDITO. AVENDO RESO VENDIBILE IL CREDITO, LA BANCA LO CANCELLA DAL
SUO BILANCIO E RENDE DI NUOVO UTILIZZABILE QUEL PATRIMONIO DI VIGILANZA CHE COSTITUIVA LA
GARANZIA DI QUEL CREDITO.

SIV: SOCIETA’ CREATE TALVOLTA DALLE STESSE BANCHE DI DEPOSITO CHE PERO’ SONO ESTERNE:
MECCANISMO FINANZIARIO ATTRAVERSO IL QUALE UN ATTIVO FINANZIARIO DIVENTA UNO STRUMENTO,
UN CONTRATTO. NON SI ASSISTE AD UNA TRASFOMAZIONE DELLA MERCE MA E’ COME AVERE UN VALORE
IN BILANCIO CHE VIENE CONNOTATO IN UN PRODOTTO FINANZIARIO CHE ASSUME QUEL VALORE. QUEI
100 EURO DIVENTANO UN CONTRATTO CHE HA 100 EURO DI VALORE (SIV AGENTE CHE NON HA IN MANO
QUEL CREDITO MA HA IN MANO UN VALORE CHE VALE QUEL CREDITO.

Alla base della crisi del 2007 la banca si è troppo esposta dando tantissimi presti a tante persone. Il
problema si pone quando i contraenti hanno problemi a far rientrare quel debito ma il credito non è più
della banca: è di chi lo ha acquistato, che ha in mano un titolo che in termini generali è una promessa di
valore, quindi denaro. Mettendo caso che questo titolo sia stato scambiato per denaro diventa un titolo
tossico perché non mantiene la promessa di valore: non è più 100 ma assume un valore negativo che ha
contagiato tutto il sistema mondiale bancocentrico.

Gallino cita l’economista Minsky e nl 1987 spiegava: “ ‘la cartolarizzazione getta luce sulla natura del
denaro: il denaro è uno strumento finanziario (un debito) che si sviluppa dal finanziamento di attività e
posizioni costituite da attivi e diventa generalmente accettato in una comunità economica quale mezzo di
pagamento per beni e servizi, e quale strumento con cui i debiti sono ripagati.’ È concepibile che in futuro
non troppo distante finiremo a usare i titoli a breve portatore di interesse come contante…La
cartolarizzazione implica che non c’è limite nel creare crediti, perché non comporta un ricorso al capitale
della banca, e perché i crediti non assorbono patrimonio di qualità (le riserve di una banca).”

Le bc hanno inoltre negli anni creato una grandissima quantità di denaro FIAT (moneta cartacea
inconvertibile accettata come mezzo di pagamento in quanto dichiarata dallo stato che la emette) che si
crea dal nulla ed assume valore in maniera forzosa: è l’autorità stessa a darle valore e questo ulteriormente
contribuisce a inserire denaro in circolazione. La natura di promessa è ancora più evidente, sostanzialmente
la massa monetaria ha assunto una quantità molto significativa: il denaro in circolazione è incontrollabile.

Ci sono inoltre istituzioni finanziarie internazionali: organizzazioni a fondo monetario internazionale che a
loro volta hanno, attraverso specifiche forme di prestito a tassi molto agevolati, offerto dei capitali a bc e b
nazionali in forma di prestito ad un certo tipo di interessi: sono sostanzialmente i DSP (Diritti Speciali di
Prelievo). Le bc e bn sono invogliate a richiedere questi prestiti perché il tasso è molto basso. Anche questo
meccanismo, attraverso il debito crea moltissimo denaro: Sono i tassi a stimolare la volontà di contrarre
prestiti.

DERIVATI, TITOLI CANESTRO: promessa di valore e forma di denaro che, secondo gallino, costituisce un
contratto fra due controparti di cui una s’impegna a vendere e l’altra ad acquistare un determinato
prodotto ad un determinato prezzo in un determinato tempo; sono prodotti OTC – Over The Counter,
venduti al banco e non sul mercato primario.

Questo crea un meccanismo vorticoso: non essendo registrati possono essere venduti sulla base della sua
promessa di valore; hanno però una natura particolare di scommessa e nella sua forma classica è una
forma di assicurazione dal rischio che quel valore mutui nel tempo. La particolarità di questo contratto è il
tempo (x scommette che il valore che deriva da un bene, dicendo che vale un tot. Y possiede quel bene e
non raggiunge quel valore ma propone di acquistarlo fra 6 mesi a un tot. Campo di arance: x scommette
che fra 6 mesi il prezzo è superiore rispetto ad oggi ed y scommette che varrà di meno).

IL VALORE EFFETTIVO SCAMBIATO E’ QUELLO CHE DERIVA DALLA SCOMMESSA, DALLA DIFFERENZA CHE STA
NELLA SCOMMESSA CHE CREA VALORE

CAPITOLO 8 dedicato alla comprensione della trasformazione del meccanismo che ruota intorno al lavoro
nei meccanismi del capitalismo finanziario. La questione delle diseguaglianze legata al prestito vantaggia
chiaramente chi richiede dei prestiti, ma vantaggia in maniera esponenziale chi possiede questi enormi
capitali: società, holding, banche, fondi, assicurazioni, ecc.

MODIFICA DEL CONTESTO LAVORATIVO CON L’AVVENTO DEL FINANZCAPITALISMO: IL PASSAGGIO DA


CAPITALISMO INDUSTRIALE A FINANZIARIO STA NEL FATTO CHE TUTTI I MECCANISMI RELATIVI AL SISTEMA
BANCOCENTRICO SOSTANZIALMENTE CONSENTONO LA CREAZIONE DI PROFITTO SENZA LA
TRASFORMAZIONE DELLA MERCE

Ciò significa che a parità di denaro, il profitto generato dai prodotti finanziari è sicuramente maggiore
rispetto a quello dei profitti che derivano dalla produzione industriale; la produzione industriale implica più
costi (macchina, manodopera, materie prime).

Nella produzione di prodotti finanziari ci sono dei meccanismi automatici per il quali esistono delle
macchine (computer) che fanno queste operazioni al posto degli uomini, cambiando il valore del profitto;
per tale ragione, il meccanismo che si osserva ed è sempre più evidente nel tempo è di finanziarizzazione
delle imprese, che hanno iniziato a creare al proprio interno delle divisioni finanziare per offrire prodotti
finanziari. Gallino si riferisce in particolare alla produzione automobilistica: i grandi colossi dell’auto hanno
sviluppato delle divisioni finanziarie molto significative tanto che il profitto deriva più dai prodotti finanziari
che dalla produzione di auto. La Fiat ha una divisone finanziaria che finanzia l’acquisto della macchina e,
possedendo un grosso mercato in Argentina decide di aprirvi una banca.

NELLA STRAGRANDE MAGGIORANZA DEI CASI CAPITA CHELA DIVISIONE CHE SI OCCUPA DELLA
PRODUZIONE AUTOMOBILISTICA RISULTA ESSERE IN PERDITA, MENTRE QUELLA CHE I OCCUPA DI
PRODOTTI FINANZIARI IN ATTIVO
CASO RIPORTATO DA GALLINO: dagli anni ’50 la General Motors aveva istituito un fondo pensione per i
propri dipendente e aveva deciso di investirli in titoli azionari, per compensare l’oscillazione del fondo
(fondo pensione sostenuto dalle pensioni dei lavoratori e allo stesso tempo sostiene le pensioni).
Sostanzialmente investe i capitali derivanti dagli stipendi dei lavoratori in alcuni titoli, cercando di
equilibrare i profitti; questo meccanismo ha funzionato fintanto che il numero dei lavoratori manteneva in
equilibrio il numero dei pensionati, così negli anni 80 i dipendenti che versavano le quote erano 400mila
mentre i pensionati 200mila ma il numero dei dipendenti inizia a scendere in maniera progressiva mentre
quello dei pensionati cresceva. Accadde che anche in virtù di quest’effetto il fondo entra in un deficit
significativo di -26 miliardi fino al momento di rottura totale: nel 2003 i dipendenti erano 100mila mentre i
pensionati 1milione ed esplode il debito della General Motors. (non ha smesso di produrre ma di avere
dipendenti)

Si nota come questo tipo di finanziarizzazione del sistema produttivo viva in un certo senso di
contraddizioni e produca squilibrio; questo perché ad es. una delle strategie che vengono adottate da
grandi società ed imprese per abbassare i costi del lavoro oltre che delocalizzare la produzione in Paesi con
costi di lavoro più bassi, è quella di esternalizzare: mentre ad esempio la Olivetti (macchine da scrivere,
computer ecc.) produceva ogni singola componente all’interno del suo stabilimento, adesso questi
meccanismi non sono più tali ma la maggior parte delle società che fanno produzione affidano all’esterno la
quasi totalità della produzione dei pezzi che compongono un prodotto così che loro si occupino solo
assembramento o di imprimere il marchio: meccanismo dell’indotto.

POLITICHE ATTRAVERSO CUI L’ATTIVITA’ PRIMARIA NON E’ QUELLA DELLA PRODUZIONE MA QUELLA
FINANZIARIA

Si tratta di un tipo di azioni legato ad una logica: sostanzialmente vengono messe a capo figure di
determinati enti e società: i manager, figure che hanno nel loro compito principale la necessità-missione di
aumentare il valore della società per gli azionisti: AUMENTARE I DIVIDENDI PER COLORO I QUALI
POSSEGGONO DELLE AZIONI DELLA SOCIETA’. Posto ciò, per aumentare il valore delle azioni si diminuiscono
i costi necessari alla produzione attraverso meccanismi quali l’esternalizzazione (casa automobilistica che
deve produrre un pezzo per il quale serve assumere 10 operai con contratto, tutele, scadenze e devo
comprare pezzi, macchine, ecc.…risulta più conveniente comprare direttamente il prodotto finito, es il
fanale rispetto a fare contratti e acquistare componentistiche: MODI PER ABBATTERE I COSTI).

Gallino spiega come negli anni 50-60 veniva fabbricato tutto internamente mentre ai suoi tempi il 75% della
fiat veniva prodotto esternamente; nel 2010 la Renault produce esternamente oltre l’80%. È chiaro che ad
oggi la maggior parte dei prodotti vengono prodotti esternamente per abbattere i costi: chi ha più potere
sul mercato è colui che riesce a ridurre in misura maggiore i costi perché accresce i propri capitali, riuscendo
a porre in essere operazioni di assorbimento e fusione dei proprio concorrenti, andando verso dei veri e
propri oligopoli.

Nell’ambito della produzione delle merci, la quota di mercato globale è nelle mani di grandi gruppi tanto
che ad oggi le casi produttrici sono sempre le stesse: si producono molteplici prodotti ma la produzione è
sempre più nelle mani di pochi (Nike acquista converse, Heineken acquista Ichnusa, ecc., lux ottica ha
comprato la maggior parte della produzione di occhiali compreso Ray-Ban, per acquistare maggiori quote di
mercato). Si tratta si processi talmente tanto enormi che condizionano l’intera economia ed è un
meccanismo posto alla base della dislocazione geografica della maggioranza delle diseguaglianze sociali
oggi: se sempre meno realtà hanno sempre più quote di mercato, gli stabilimenti produttivi sono sempre
minori e collocati in sempre meno luoghi geografici.

La questione sostanziale è che c’è stata una trasformazione del lavoro che si è determinata su scala globale:
da un lato la produzione si è spostata nei luoghi dove costa meno, luoghi in cui c’è stata concentrazione
della gran parte della produzione di un settore; queste società oligopolistiche non sono interessate allo
stabilimento ma alla quota di mercato, tanto che quando c’è necessità di ridurre i costi chiudono ciò che
non è necessario per riaprire stabilimenti dove costa meno.

MECCANISMI UTILIZZATI DALLE GRANDE SOCIETA’ PER DIMINUIRE I COSTI E IN PARTICOLARE GALLINO
PRENDE A RIFERIMETO L’INDUSTRIA DELL’AUTO PERCHE’ E’ STATA LA PRIMA A PRODURRE TALI
MECCANISMI FINANZIARI

Gallino dice che questi processi hanno avuto ricadute negative sul lavoro perché c’è stata una riduzione
della quota salariale sul PIL dell’ordine di 10punti percentuali in media, intervenuto tra metà anni 70 e 2006
per proseguire negli anni successivi: significa che rispetto la produzione di ricchezza di un Paese, nell’arco di
30 anni la ricchezza derivate dalle quote salariali del lavoro è scesa del 10%.

La FIAT decide di aprire uno stabilimento in Polonia, Paese con costo di lavoro più basso e condizioni di
lavoro più svantaggiose: la normativa sul lavoro non da ai lavoratori tutte quelle garanzie che ad esempio la
normativa italiana da. Quando in Italia è stato approvato il Jobs act (riforma del diritto del lavoro volta a
flessibilizzarne il mercato) in Europa ci sono state una serie di riforme che hanno reso il lavoro più precario,
presentandolo in termini più flessibile ma sostanzialmente sono state ridotte le tutele dei lavoratori.

RIDUZIONE DELLE TUTELE A SEGUITO DELLA RICHIESTA DEI MERCATI DI POTER COMPRARE LAVORO A
COSTO MINORE

Alla Fiat di Pomigliano viene introdotto un sistema con una serie di condizioni del lavoro svantaggioso,
sotto lo spettro della minaccia che altrove si poteva produrre quello stesso tipo di veicolo a costo minore.

FIGURA DEI MANAGER: la differenza dalla figura del proprietario del capitalismo industriale è che il
manager è un esperto totalmente indifferente rispetto al tipo di produzione o servizio che quella società
offre; non interviene nel merito del ramo produttivo ma nell’aumentare il valore dei dividendi per gli
azionisti. È una figura peculiare che può ad esempio decidere di chiudere uno stabilimento se ritiene che
non rientri nei costi aziendali, per aprirlo in un Paese dove costa meno – LOGICA FINANZIARIA.

IL MANAGER CHE SI METTE A CAPO DI UNA GRANDE SOCIETA’ CHE VENDE AUTO HA COME OBIETTIVO FARE
IN MODO CHE COLORO I QUALI SOSTENGONO LA SOCIETA’ ACQUISTANDO AZIONI, ABBIANO UN PROFITTO
MAGGIORE

La trasformazione dell’impresa è in sostanza la trasformazione del lavoro nelle sue condizioni luoghi, ed è
uno degli elementi alla base delle diseguaglianze sociali: ad es., nella realtà nazionale italiana ci sono zone
con più possibilità di lavoro e zone senza. Se non c’è un intervento significativo da parte dello stato le
diseguaglianze non faranno che crescere perché la logica finanziaria non aprirà altri stabilimenti a meno che
condizioni particolari non lo richiedano.

FUSIONE, ESTERNALIZZAZIONE E STRATEGIE INDUSTRIALI NON DETERMINATE DA OBIETTIVI PRODUTTIVI


MA DA INVESTIMENTI FINANZIARI CHE POCO HANNO A CHE VEDERE CON LOGICHE DELLA PRODUZIONE,
MA LOGICA FINANZIARIA.

GENERAL MOTORS E FONDI PENSIONE – Si assiste ad un passaggio significativo da un tipo di pensione


retributivo ad un tipo di pensione contributivo che stimola: si è cominciato a vedere come in prospettiva si
sarebbe determinato uno squilibrio: la quota dei lavoratori pian piano diventa più bassa di quella dei
pensionati e il sistema non avrebbe funzionato.

Tutta l’attività del Manager è volta ad incrementare questo profitto: FCA e PSA fusione in STELLANTIS,
fondata nel 2021

➢ FCA a sua volta è fusione fra FIAT e CHRYSLER (Gip, Maserati, Alpha, Abarth, Lancia, ecc.)
➢ PSA fusione fra Peugeot e Citroen (Opel, ecc.)
Il sistema automobilistico tende sempre verso l’aggregazione per aumentare gli utili, acquisendo un rivale o
un competitore attraverso l’acquisizione delle loro quote di mercato. Nascono quindi gli oligopoli, sistema
che hanno molto potere diviso in poche mani; è chiaro che gli investitori istituzionali siano molto interessati
a che si vada in questa posizione perché i profitti sono più e i rischi diminuiscono in maniera considerevole.

Tutto ciò che produceva la casa madre viene esternalizzato: costellazione di meccanismi produttivi che si
muove e produce pezzi per la casa madre; l’effetto ricade sulle condizioni di lavoro e sul suo costo: non si
compra più materia prima e forza lavoro ma direttamente pezzi di merce. Da un lato, vantaggia la società
che spende meno e dall’altro richiede un adeguamento dei costi di mercato mondiale a chi produce
quell’indotto. Il costo del lavoro richiesto è in misura sempre minore: non è importante la qualità del
lavoro.

Gallino fra i casi nazionali affronta quello dell’ALCOA: multinazionale che si occupa della produzione di
acciaio che aveva delle miniere in Sardegna; nonostante fosse lo stabilimento più efficiente, per paura di
essere (fagocitata) vittima di una fusione da un competitore, compie un investimento importante per
cercare di prendere la quota del competitore…l’effetto è la chiusura dello stabilimento in Sardegna. È
chiaro che questi meccanismi di fusione concentrano la ricchezza sempre in meno posti.

In realtà, rispetto alla vendita del prodotto, non si è interessati tanto a vendere l’auto perché: vendo una
cinquecento ma l’interesse prevalente è il finanziamento che appare essere vantaggiosissimo; venduta
come finanziamento, il credito entra subito perché la società possiede una banca all’interno delle proprie
divisioni finanziarie. Al di la del denaro che il cliente restituisce progressivamente, la banca della società
diventa una banca di deposito che ha un credito di 100 determinato dal finanziamento (prodotto finanziario
offerto). ATTIVITA’ FINANZIARIA PIU’ REDDITIZIA: credito immediatamente disponibile che si può
moltiplicare fino a 12 volte – leva finanziaria europea 1:12, 8%. Si tratta di un credito che ha comunque
un debito, che se non ripagato genera titoli tossici.

Com’è accaduto per alcuni fallimenti clamorosi, come la ERRON (iper-colosso statunitense dell’energia): i
manager avevano falsificato il bilancio perché gli acquisti delle azioni di una società si basano sul bilancio
che la stessa società effettua. Intercettando più capitali del reale, ha tratto in inganno gli azionisti per far
investire di più. Fallisce perché trucca i contabili, grande società finanziaria americana che aveva truccato il
bilancio.

STRATEGIE E METODI SERVITI PER CERCARE DI AUMENTARE LA PRODUTTIVITA’ DEL SISTMA FINANZIARIO,
IN MODO CHE GENERI SEMPRE PIU’ RICCHEZZA E DENARO MA L’EFFETTO CADE SUL MONDO DEL LAVORO E
DEI LAVORATORI.

Tanto che per la Fiat di Pomigliano c’è stato un referendum dei lavoratori: bisogna cambiare le condizioni
del lavoro in peggio (riduzione pause, cambio più aspro dei turni, riduzione intervalli) e per farle accettare è
stato effettuato un referendum (“volete che continuiamo ad investire in Italia? Le condizioni sono queste).
Referendum spartiacque nella condizione dei lavoratori in Italia.

Tutti questi meccanismi fanno si che la produzione divenga quasi un peso per le corporation: è chiaro che
esse preferiscono concentrarsi sulla finanziarizzazione che genera più ricchezza.

Si tratta quindi di condizioni di lavoro in riduzione, c'è un vero e proprio cambio di paradigma. (paragrafo
manager) Gallino cita un giurista statunitense di Green Wood che commenta subito dopo il fallimento della
Erron come appunto questo meccanismo di finanziarizzazione influenzi il comportamento dei manager: “il
paradigma centrato sul valore delle azioni incoraggia i manager a vedere il proprio lavoro come se li
invogliasse a ignorare…ai fini dell’impresa”. È chiaro che qui il discorso è molto diverso dal capitalismo
industriale: nell’industria c’è il proprietario fisico come persona mentre il manager è un tecnico del
profitto; questione delicata perché mentre effettivamente il proprietario industriale ha un rapporto sociale
con i propri lavoratori (malati, problemi sociali, necessità) che esiste ed è sicuramente regolato da un
rapporto giuridico che è il lavoro. I manager hanno invece davanti a se gli azionisti per cui non devono
rispondere ai lavoratori: spesso negli accordi fra manager e società, a questi viene affidata una grande
quota di azioni quindi sono essi stessi in primis ad essere interessati all’aumento dei dividendi.

CAMBIA LA RELAZIONE: MANAGER-AZIONISTA, IL RAPPORTO MUTA PER CUI LA FIURA ANAGERIALE E’


DISINTERESSATA AL LAVORATORE

La quota di riserva, il capitali di vigilanza che genera l’effetto leva è un tipo di capitale che nei fatti è un
deposito che la banca deve mantenere; è un deposito perché finché viene trattenuto il credito quel
deposito resta: es stipendio depositato in baca che diventa un deposito per la banca es immobile ipotecato
e affittato, affitto diventa un deposito per la banca. Il fatto che si espandano è un’altra questione: mentre
prima il credito veniva mantenuto all’interno della banca, (origina e conserva) ora il tipo di logica ce si
segue è che quando il credito viene creato, c’è possibilità di venderlo ad una società veicolo che prende
questo credito e lo vende in un prodotto finanziario – logica origina e distribuisci.

Derivati insieme di crediti da diversi rischi che in forma classica sono un’assicurazione dal rischio; I CDO
sono quei tipi di obbligazione che hanno per collaterale un debito, una garanzia (valore che vi è
sottostante). I CDS sono invece dei contratti che assicurano il creditore dal rischio d’insolvenza del debitore:
sostanzialmente significa che ci sono delle forme contrattuali che sono proposte per ridurre il rischio che il
debitore non onori quel debito al creditore, quindi avviene che ad es. quando abbiamo una determinata
cifra che dobbiamo restituire:

B e C rapporto Creditore-Debitore: B chiede prestito a C che lo eroga, in questo caso accade che la banca
vuole che questo credito sia garantito; ci sono contratti per i quali delle agenzie tutelano questo credito e
fanno in modo che non si trasformi in debito. Agenzia A dice a C: se B non paga io copro il credito, lo
garantisco. A non fa questo servizio gratuitamente ma dice a C, per questo servizio mi dai 5 euro all’anno:
se questo contratto tutela per 2 anni questo credito può accadere che:

➢ Scenario 1: B IN DUE ANNI RIMETTE TOTALMENTE IL DEBITO E C AVRA’ VISTO GARANTITO IL SUO
CREDITO E SOSTANZIALMENTE AVRA’ SPESO 10 EURO PER QUELLA GARANZIA
➢ Scenario 2: B NON RIMETTE IL DEBITO E A QUEL PUNTO DEVE INTERVENTIRE A CHE FA GARANTIRE
QUEL CREDITO

Questo meccanismo ha determinato che i derivati risultino pericolosi e molto rischiose: queste
assicurazione coprono cifre molto significative per cui le agenzie propongono questo contratto ma non
sempre riescono effettivamente a coprire questo credito. Teoria attorno alla quale si sviluppa tutto il
discorso: A fa una promessa a C che in questo caso perderebbe il contratto ma anche il credito: FORMA
PEGGIORE A NON GARANTISCE IL CREDITO E FORMA MIGLIORE B RISPETTA IL DEBITO E RIENTRA A C.

In questo caso di questa forma di derivato c’è un margine che è quel 10 che la banca spende per assicurarsi.
Nel caso degli altri derivati-scommesse, non viene scambiato il prodotto ma il valore posto in gioco è quella
piccola parte su sui si scommette (oggi vendo le arance a 90 e le acquista a 90 ma rendo 110: il valore
effettivamente scambiato è lo scarto, cioè 20).

CAPITOLO 9 INVESTITORI ISTITUZIONALI – FONDI PENSIONE E CAPITALE DA LAVORO

Questione fondamentale dei manager che sono indifferenti rispetto all’utilizzo del capitale perché lo scopo
è la massimizzazione del profitto. Il capitale da lavoro è presente nei fondi pensione e deriva da una parte
dello stipendio che il lavoratore volontariamente versa in un fondo pensione; la questione paradossale è
che esso può essere utilizzato dai fondi senza che il lavoratore ne abbia il controllo, tanto che può essere
impiegato in operazioni che hanno ricadute ed effetti negativi sulle condizioni di altri lavoratori (è possibile
che i fondi pensione che hanno favorito la fusione che ha messo in essere Alcoa nell’acquisizione di
competitori che chiude lo stabilimento in Sardegna derivino da questo): il peggioramento delle condizioni
dei lavoratori può derivare dall’investimento che si fa con il fondo versato da altri lavoratori. Ci sono
investimenti riversati dai fondi pensione che non sono sempre ritenuti eticamente accettabili (esempio
sono contro la guerra ma non è detto che il fondo in cui verso non investa nell’industria bellica): ci sono
stati tentativi di rendere socialmente sostenibili gli investimenti fatti con i fondi ma la quota riuscita è
piuttosto marginale – PROBLEMA DI TIPO ETICO.

Il capitale da lavoro è investito per l’acquisto di derivati o per la fusione delle industrie e si tratta di
meccanismi derivanti da fondi pensione, ma possono anche derivare da fondi assicurativi: essi danno agli
investitori istituzionali possibilità di mettere da parte ingenti somme di denaro da investire, configurando
l’assicurazione come una vera e propria attività bancaria più redditizia.

QUESTIONE CHE DIVENTA TANTO PIU’ INTERESSANTE QUANTO PIU’ SI E’ ASSISTITO AD UNA
TRASFORMAZIONE DELLE IMPRESE E DEL MONDO DEL LAVORO ATTRAVERSO MECCANISMI DI
DELOCALIZZAZIONE ED ACCENTRAMENTO DI GRAN PARTE DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE IN MENO
MANI E LUOGHI, CHE HA CONDOTTO AD UNA RESIDUALITA’ DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE RISPETTO
ALLA PRODUZIONE FINANZIARIA.

Si assiste ad una modifica delle condizioni del lavoro, alla diminuzione delle tutele ai lavoratori ed allo
spostamento del lavoro stesso; per queste ragioni, la massa significativa di denaro detenuta dagli investitori
istituzionale non è indifferente rispetto a come la si utilizza: il paradosso del capitale da lavoro nasce dal
fatto che i lavoratori che contribuiscono alla produzione del capitale non hanno possibilità di controllarlo,
per cui non è detto che venga utilizzato per questioni favorevoli ma possono andare contro le loro
condizioni (piani industriali che prevedono scelte spietate come la chiusura di uno stabilimento per aprirlo
in un altro Stato: vantaggio che si traduce in uno svantaggio).

PARADOSSO DEL CAPITALE DA LAVORO pp. 179-190 file del libro

Allo stesso tempo ci sono state azioni o tipi di investimenti che hanno cercato di dirigere le azioni e lo
spostamento di capitali in direzioni differenti e favorevoli:

➢ Strategia dell’investimento socialmente responsabile: possibilità che non sempre viene realizzata
di escludere l’utilizzo del capitale dei fondi pensione in investimenti che possono creare quello che
è considerato un danno sociale (es in alcolici, tabacco, armi, scommesse, lotterie ecc.), per poter
effettuare tipi di investimenti che abbiano in conto nella gestione della società dei principi che non
ledono i diritti dei lavoratori. Gallino riporta che fra il 2005-06, 20 dei maggiori investitori al mondo
hanno aderito ai principi dell’investimento responsabile (dati e lettura p 202).

TENTATIVO DI RENDERE SOCIALMENTE COMPATIBILI GLI EFFETTI E LE RICADUTE CHE QUESTI INVESTIMENTI
PRODUCONO, SECONDO PRINCIPI CHE CERCANO DI NON LEDERE SOCIETA’, AMBIENTE E MONDO DEL
LAVORO.

➢ Strategia dell’investimento economicamente mirato: compie investimenti in certe zone della terra
al fine di creare nuovi posti di lavoro, investire nella ricerca, nell’innovazione e cosi via. Si tratta di
un tipo di investimento che avviene in maniera piuttosto funzionale in Canada e negli USA: si è
fatto in modo che questi capitali, attraverso questo tipo di investimenti, fossero destinati a realtà
particolari per investire nell’istruzione, nelle infrastrutture, nella ricerca, negli stabilimenti
industriali.

INVESTIRE PARTE DI QUESTI CAPITALI IN UN DETERMINATO TERRITORIO PER UNA DETERMINATA


FUNZIONE/STRUTTURA
Per effettuare questo tipo di azioni con una conseguente efficacia sono necessarie determinate condizioni e
caratteristiche, per cui alla testa di questi fondi sono presenti delle soggettività giuridiche capaci di
operare e dialogare con gli investitori ed una categoria omogenea di lavoratori che investono nel fondo, in
quanto risulta più probabile che abbia una maggiore sensibilità favorevole alla categoria dell’investimento.
Gallino riporta che in Italia, su circa 500 fondi pensione soltanto 39 possiedono tali caratteristiche e li
definisce fondi negoziali.

Per governare ed orientare un fondo, c’è la possibilità per gli investitori di avere una certa voce in capitolo
all’interno di queste strategie di investimenti:

➢ l’investitore entra nei fatti, dicendo la propria e facendo sentire la propria voce sugli investimenti
che l’impresa compie
➢ l’investitore espone la possibilità di uscire dall’investimento e di liberarsi delle azioni di un fondo;
risulta essere più efficace della prima perché si partecipa direttamente e la stessa minaccia di
uscire mette l’impresa nelle condizioni di dover ascoltare l’investitore.

Spesso i fondi non utilizzano nessuna di queste due strategie: investono per necessità di una crescita del
fondo stesso, restando indifferente alle strategie utilizzate. In particolare, Gallino sottolinea come in Italia
la situazione sia molto particolare in virtù del fatto che c’è una normativa che regola i fondi e prevede
meccanismi di partecipazione e mediazione del dialogo fra i vari soggetti che rientrano negli investimenti:
sostanzialmente, nel consiglio di amministrazione del fondo deve esserci sia una rappresentanza di
lavoratori che una di chi gestisce l’impresa, cioè intermediario finanziario e banca di deposito. Il problema
non è solo il dialogo ma il fatto che il capitale emesso dai lavoratori è significativo come anche il numero dei
lavoratori rispetto a chi gestisce l’impresa: si è sullo stesso piano nonostante i lavoratori nei fatti
contribuiscano di più e la situazione di gestione risulta perciò squilibrata.

Che gli investitori istituzionali abbiano un ruolo fondamentale nello sviluppo delle società è chiaramente
indiscutibile: sono essi a decidere come investire i capitali che hanno a disposizione, impiegandoli ed
investendoli; vale a dire che decidono dove deve andare la ricchezza che gestiscono – gestori dei capitali
per conto dei lavoratori, es fondo pensione. Chiaramente però, se la logica del profitto è quella che dirige le
azioni di questi investitori, le diseguaglianze presenti nel mondo aumenteranno sempre di più.

Si cerca di rompere il paradigma per il quale è più importante il profitto: quella che era una colonizzazione
da parte degli Stati Occidentali verso quelli economicamente più poveri, con la decolonizzazione diventa
l’acquisizione di una maggiore indipendenza degli Stati dal punto di vista economico; gli investitori sono
prettamente occidentali ed ora anche asiatici: tantissimi capitali investono in zone in cui il costo del lavoro
è molto molto basso o in zone ricche di materie prime (es minerali per produrre tecnologie).

INTERESSE PER LA MOBILITA’ CHE PRODUCE EFFETTI QUALI ESTRAZIONE DI VALORE E RICCHEZZA DA ZONE
DETERMINATE DEL MONDO PER CONTO DI SOCIETA’ CHE SONO DALL’ALTRA PARTE DEL MONDO:
MECCANISMO CHE INCENTIVA LE DISEGUAGLIANZE MEDIANTE L’UTILIZZO DI RICCHEZZE CHE
FONDAMENTALMENTE NON GLI APPARTENGONO – es delle società petrolifere asiatiche ed africane che
estraggono ricchezza e materiale per conto di società occidentali – ACCENTRAMENTO DI RICCHEZZE
SEMPRE IN POCHE MANI CHE PRODUCE DISEGUAGLIANZE GLOBALI E NEGLI STATI
IL CAPITALE DEL XXI SECOLO – PIKETTY (INTRODUZIONE)

Piketty porta avanti un discorso incentrato sul tema delle diseguaglianze, che sicuramente di per se non ha
una grandissima originalità perché affrontato da molti autori ma ha utilizzato un metodo che per la prima
volta certifica l’esistenza di diseguaglianze attraverso l’utilizzo di dati: ricostruisce l’andamento della
diseguaglianza nella società per individuare gli indicatori che vanno a determinarle.

Nel corso del tempo esse sono state spiegate diversamente: si parte in questo caso dal momento in cui
l’economia politica-classica ha iniziato a leggere la nuova società capitalistica, cominciando a notare anche
dal punto di vista letterario (es Oliver Twist, 1984) come ci fossero diseguaglianze all’interno di una società
in cui i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

QUADRO DA CUI MUOVE PIKETTY PER SUPPORTARE LA SUA TEORIA ATTRAVERSO I DATI

Piketty parte dal punto di vista teorico, analizzando diversi elementi quali i principi dell’economia classica,
la critica di Marx, la teoria della sovrappopolazione di Malthus al fine di definire quegli specifici elementi di
scarsità ed accumulazione che hanno determinato lo sviluppo di una società all’interno della quale la
diseguaglianza è un attore ampiamento e socialmente accettato.

Mentre a seguito della rivoluzione francese il tema della diseguaglianza muove e agita la società, adesso si
assiste ad un fenomeno diverso: il tema delle diseguaglianze in età contemporanea è analizzato da Piketty
tenendo in considerazione un ampio periodo di riferimento che si sofferma sulla dinamica della
distribuzione delle ricchezze, come elemento che rende la società diseguale. A tal proposito, si sono
interrogati sociologi, filosofi, ecomomisti e politologi.

Piketty compie un paragone fra la società contemporanea e quel momento storico nel quale c’è stata la
cosiddetta Prima Globalizzazione fra il 1870 e il 1912, nel quale si è registrato un primo fenomeno che ha
ristretto il mondo – già esaminato da Marx con l’unificazione del mercato ristretto globale che produce
effetti concatenati fra loro – : è evidente quanto le società siano interconnesse e il mercato si sia unificato e
viene a mancare la consapevolezza per cui in un sistema con il mercato unico, un danno a qualcuno può
causare un danno a tutti quanti (Germania e avvento del Nazismo: dopo la prima guerra mondiale ci sono
state pesantissime sanzioni nei confronti di essa e si è determinata la perdita di potere economico di uno
Stato che faceva parte di una costellazione d’altri Stati; colpire uno di questi ha prodotto un effetto a
catena che ha condotto alla prima crisi storica del capitalismo, fino a produrre nei fatti problemi di ordine
economico, storico e politico in Germania: condizioni favorevole per l’avvento dei nazionalismi – oggi
sicuramente sulle questioni derivanti dal conflitto bellico russo-ucraino, si nota come esso abbia avuto degli
effetti su tutta l’Europa, si pensi alla questione del gas per cui ci si è dovuti rivolgere ad altri fornitori e si è
innalzato il prezzo).

Accade che la decisione di un singolo Stato nel mondo produce degli effetti a catena, per cui la ricchezza ed
il capitale si sgancia sempre più con le fusioni fino ad ottenere quel potere decisionale per conto di una
proprietà che nei fatti non c’è.

CIO’ CHE SUCCEDE IN UNA PARTE DEL MONDO NON È INDIFFERENTE RISPETTO AD ALTRI PAESI,
COLLOCATI IN ALTRE PARTI DEL MONDO: EFFETTO A CATENA-CASCATA

Oggi la società si sta trasformando: è nel mezzo di una rivoluzione digitale che porta il mondo ad accorciarsi
ulteriormente ed essere nei fatti sempre qui e ora. Si parla di mondo del virtuale, all’interno del quale
cambiano anche le relazioni con l’altro perché non è più quello che sta qui nello spazio fisico: c’è
un’immagine dell’altro di tipo virtuale. In questa dinamica del cambiamento delle relazioni sociali, torna
centrale la questione delle diseguaglianze sociale che permea la società.
Nel momento storico che analizzato, Piketty cerca di comprendere meglio le dinamiche delle diseguaglianze
sociali attraverso alcune teorie:

➢ RICARDO E L’ECONOMIA CLASSICA: IL PRINCIPIO DI RARITA’

La teoria del valore-lavoro ci spiega che una merce possiede un determinato valore sulla base del tempo
necessario alla sua produzione, ma in realtà è la logica domanda-offerta a stabilirne il reale valore sul
mercato; il prezzo che ne deriva non è uguale nel tempo e può mutare sulla base della disponibilità della
materia. Si viene così a creare un contrasto con un altro tipo di teoria arrivata in Italia negli anni ’80
dell’800: la teoria di Smith e Ricardo si poggia su un tipo di prospettiva oggettivistica e, contrariamente ad
essa, la nuova teoria sostiene che sia l’utilità del bene stesso a dargli un valore seguendo una prospettiva
marginalista, per cui in base alla quantità e la disponibilità di un certo bene si determina il suo prezzo.

È L’INCONTRO DOMANDA-OFFERTA A STABILIRE QUANTO UN BENE POSSA COSTARE

La teoria elaborata da Pantaleoni prende entrambi gli aspetti: a dare valore al bene non è solo l’utilità
marginale, ma anche il costo di produzione quindi quanto veniva speso per attivare il processo produttivo
in termini di materie prime e forza lavoro, che poi va a divenire anch’essa una merce. Secondo questo
punto di vista quindi, si può ritenere che una merce ha valore perché è scarsa: scarsità-rarità, principio
fondamentale di attribuzione del valore della merce che studia ed analizza le curve di utilità.

La società diseguale che vedono Ricardo e Smith è letta in un senso critico, sulla base di due ragioni diverse:
Ricardo pensa che al centro della diseguaglianza vi sia la questione del possesso della terra e quindi della
rendita legata alla proprietà terriera; visto che tanto più un bene è scarso e tanto più costa ed ha valore,
questo fenomeno per cui i pochi proprietari terrieri hanno in mano la terra fa in modo che i pochi saranno
sempre più ricchi: i proprietari sempre più ricchi e non proprietari sempre più poveri.

TANTO PIU’ CRESCE LA POPOLAZIONE TANTO MENO TERRA SARA’ DISPONIBILE E TANTO PIU’ IL PREZZO
DELLA TERRA CRESCERA’ TANTO PIU’ LA RENDITA FONDIARIA CRESCERA’ SEMPRE PIU’: CHI DETIENE
QUESTO BENE (LA TERRA) SARA’ SEMPRE PIU’ RICCO.

A parere di Ricardo, l’unica questione che può porre rimedio all’aumentare di queste diseguaglianze è
l’imposizione di una imposta progressiva: chi più ha ed è più ricco deve pagare più tassi perché bisogna
porre un freno a questa costante accumulazione; è necessario perché altrimenti i ricchi saranno sempre più
ricchi e i poveri sempre più poveri.

➢ MARX E IL CAPITALE E L’ACCUMULAZIONE INFINITA

Ricardo appartiene alla generazione immediatamente precedente a Marx e guardando agli effetti
dell’industrializzazione, nota un mondo uscito dalla Rivoluzione Francese per cui la proprietà terriera era
ancora fondamentale. Marx guarda invece la società prossima alla prima globalizzazione e nota che chi sta
prendendo sempre più potere e ricchezza sono i capitalisti industriali, posti da egli a fondamento che di uno
squilibrio. Quando Marx concettualizza l’elemento determinate le diseguaglianze sociali, fa riferimento al
Capitale: la differenza con la terra sta nel fatto che di capitale se ne può fare sempre di più, mentre la terra
è una risorsa naturale che è scarsa e finisce. Il capitale dà luogo ad un fenomeno che è quello
dell’accumulazione infinita. La ricchezza di per sé non ha un limite e nella natura stessa del denaro c’è un
principio di futuribilità che promette un valore: dal momento in cui la ricchezza non deve avere un limite, il
principio di accumulazione capitalista risulta essere infinito.

Locke ritiene che la proprietà privata sia un diritto naturale: l’uomo coltivando la terra, le dà valore e
produce mischiando il proprio lavoro con la natura; ci sono però dei limiti: gli uomini hanno deciso di dare
valore al denaro ma non è un diritto naturale, è un costrutto artificiale accettato da tutti a cui non si può
più porre un limite.

IMPOSSIBILITA’ DI PORRE FINE AD UN’ACCUMULAZIONE CHE NEI FATTI E NELLA TEORIA NON HA UN
LIMITE: ANCHE LA PRODUZIONE, COME LA PROPRIETA’, DIVENTA NELLE MANI DI POCHI E SARA’ SEMPRE
PIU’ NELLE MANI DI POCHI – SIA MARX CHE RICARDO VEDONO SOSTANZIALMENTE CHE C’E’ UNA CLASSE
CHE STA ACCRESCENDO SEMPRE PIU’ LA PROPRIA RICCHEZZA MENTRE UN’ALTRA SI STA IMPOVERENDO
SEMPRE DI PIU’

La questione centrale in Marx è l’accumulazione che non è solo di ricchezza, ma include fattori di
produzione in termini di grandezza dell’industria delle macchine. Nella lettura di Marx sul fenomeno delle
diseguaglianze si percepisce una impossibilità di stabilizzazione delle diseguaglianze sociali esistenti.

➢ TEORIA DI SIMON KUZNETS

“I dati che abbiamo raccolto indicano comunque che nessuna diminuzione strutturale delle diseguaglianze si
produce prima della Prima Guerra Mondiale. Tra il 1870 e il 1914 si assiste se mai a una stabilizzazione delle
diseguaglianze, e a un livello alquanto elevato” – per paradosso il processo di globalizzazione cristallizza e
fotografa le diseguaglianze già presenti da tempo nella società, bloccandole.

Piketty evidenzia come ci sia stato un periodo storico particolare all’interno del quale, per una serie di
convergenze, si è andata determinando una sorta di spinta naturale mirata al riequilibrio delle
diseguaglianze nella distribuzione delle ricchezze: le diseguaglianze sarebbero destinate, nel corso del
processo di industrializzazione, a seguire una curva ad U rovesciata caratterizzata dal binomio crescita-
decrescita. Esisterebbe quindi un meccanismo naturale che, una volta raggiunto il picco delle
diseguaglianze, conduce al fatto che esse tendano automaticamente a scemare.

“L’idea sarebbe che le diseguaglianze crescono durante le prime fasi dell’industrializzazione (solo una
minoranza è in grado di beneficiare delle nuove foni di ricchezza assicurate dall’industrializzazione), per poi
tendere a diminuire durante le fasi avanzate dello sviluppo (una frazione sempre maggiore di popolazione si
trova allineata con i settori più abbienti: da qui una riduzione spontanea delle diseguaglianze).”

Qui Piketty sottolinea come questo tipo di idea abbia consentito di giustificare un certo tipo di sviluppo non
simmetrico della società, sposata per cercare di giustificare le diseguaglianze all’interno delle società.
L’effetto delle due Guerre Mondiali e le conseguenze hanno riportato al centro questo tema e si pone un
problema: la questione che dovrebbe essere oggi al centro non è tanto quella della produzione delle
ricchezze ma della distribuzione delle ricchezze. (Tante volte si parla dell’aumento della ricchezza: PIL
aumenta su scala globale e aumenta la produzione di ricchezza nel mondo oppure su scala nazionale.
Questo aumento significa che all’interno del pianeta o di uno stato, rispetto a prima c’è più ricchezza. Il
problema non è tanto se questa ricchezza aumenti o meno ma dove è collocata DISTRIBUZIONE).

Nella prospettiva di Ricardo, i prezzi della terra salgono sempre di più così che salgano anche ricchezza e
rendita nelle mani di pochi; allo stesso modo, per questa teoria delle diseguaglianze, la crescita della
ricchezza è una crescita per pochi

FOCUS SULLA DISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA

P 34-35 file due grafici: la diseguaglianza dei redditi negli Stati Uniti 1910-2010 e il rapporto capitale-
reddito in Europa fra 1870 e 2010. Da essi si nota l’andamento ad U rovesciata: nel primo grafico, fra il 1940
e 1980, c’è stato un periodo di stasi per cui le diseguaglianze si sono cristallizzate, per poi ripartire e
raggiungere dei picchi mai visti prima attorno agli anni della crisi 2007-08 – crescita sempre più significativa
delle diseguaglianze dimostrata attraverso i dati.
Il fattore di divergenza individuato dal punto di vista economico è riassumibile in una formula:

La formula che esprime la diseguaglianza fondamentale è quella per la quale R>G

Le diseguaglianze crescono all’interno di una società in cui il tasso annuo di rendimento da capitale R risulta
essere maggiore del tasso annuo di crescita del reddito della produzione G: G è la ricchezza creata dal
mondo del lavoro e della produzione, che appare essere inferiore da quella creata dal mondo del capitale di
rendite, affitti, dividendi ecc. Quando si realizza questa formula, c’è un fattore di diseguaglianza che
difficilmente retrocede ma anzi cresce sempre di più.

Il Capitale ha quindi capacità di crescere in misura anche illimitata, rendendosi sempre più ampio e forte: i
profitti generati da esso sono esponenziali, per cui chi detiene questi capitali accumula sempre più
ricchezza rispetto a chi detiene invece la produzione; si tratta sostanzialmente dello stesso meccanismo
tipico del finanzcapitalismo, che conduce ad una marginalizzazione della produzione, residuale rispetto
alla produzione di ricchezza. Viene quindi descritto un quadro all’interno del qual le diseguaglianze sociali
crescono in misura sempre maggiore, concentrandosi nelle mani di pochi.

Nel quarto volume de Il Capitale (mai esistito realmente) Marx parla delle questioni distorsive delle
diseguaglianze, facendo riferimento ad una sorta di elogio del crimine: il criminale è frutto della società
(oggi 6% popolazione italiana povero, 90% popolazione carceraria italiana povera), è figlio di una società
capitalistica di diseguali che dà vita ai poveri, agli ultimi – materialismo storico

La questione che Piketty mostra in relazione alle diseguaglianze sociali, ha come sua radice un discorso che
riguarda i principi contenuti nella Dichiarazione dei Diritti degli Uomini e dei Cittadini (1789): in essa non è
solo scritto che gli uomini sono tutti uguali nel diritto, ma c’è un pezzettino che sottolinea che le distinzioni
sociali non che possono fondarsi sulla utilità comune; nella società esiste il diverso soltanto in relazione con
l’utilità che questa diversità ha per tutti i cittadini – utile sociale come elemento di distinzione.
L’interrogativo che sorge è se questa società di diseguali effettivamente segue l’utile sociale, oppure fa
riferimento ad un altro tipo di interesse: quello dell’utile individuale o dell’utile di un’accumulazione fine a
sé stessa di un denaro che si accumula su altro denaro, generando una società sempre più povera.

SOCIETA’ CHE SOSTAZIALMENTE SOFFRE PERICOLI DI DEVIANZA, EMARGINAZIONE ED ESCLUSIONE SOCIALE

Piketty ritiene sia fondamentale comprendere la direzione verso cui sta andando la società, al fine di
individuare meccanismi per porre rimedio a queste diseguaglianze, facendo sì che si accettino quelle
distinzioni fondate sull’utile sociale.

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