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Il Romanticismo e l'Idealismo

Da un punto di vista storico la fine del 700 e l’inizio dell’800 segnano il passaggio dalla rivoluzione
francese e tutto ciò che aveva fatto con i nuovi ideali e l’avventura napoleonica con il ripristino
dell’assolutismo e successivamente i conseguenti moti e insurrezioni in tutta Europa e Italia. Il
contesto storico va di pari passo con il contesto culturale che è una critica all’illuminismo e alla
ragione, oggetto di studio dell’illuminismo in quanto considerata non in grado di cogliere tanti aspetti
della vita che ad essa si sottraggono. Quindi è la ragione o il sentimento a fornirci un’identità certa? È
a partire da questa riflessione che il movimento romantico propone determinati concetti chiave a
partire dall’indirizzo culturale che ha origine con lo Sturm und Drang in Germania e che vede tra i suoi
maggiori esponenti Novalis, Goethe i quali propongono nuovi valori e concetti chiave che sono una
contrapposizione a tutto quello che era stato esaltato con l’illuminismo. La poesia e l’arte diventano
nuove visioni del mondo, nuove modalità di sperimentare la vita, di ricercare l’essenza dell’universo.
Si esaltano quindi il sentimento e l’arte stessa che si ritengono strumenti necessari per capire la realtà
e l’infinito. Questo senso di incompletezza nei riguardi dell’infinito che l’uomo sperimenta portano poi
al titanismo cioè alla disperata sfida dell’uomo contro la natura e contro la storia e quindi alla vita
intesa come inquietudine, alla ricerca di una nuova armonia tra uomo e mondo. Allo stesso tempo la
matura viene intesa come un organismo vivente e la storia viene valorizzata come recupera della
memori del passato e nasce il culto della nazione, la rivendicazione dell’identità dei popoli; tutti temi
che sono espressione di un romanticismo che investe tutti i campi. Motivi che a partire dal rifiuto della
ragione illuministica si propongono di ricercare nuove vie di accesso per scoprire la realtà e arrivare
poi a comprendere l’assoluto.
Tutti questi sono temi che poi vengono ripresi anche nella letteratura europea, i poeti tedeschi,
francesi e inglesi contribuirono alla diffusione e alla celebrazione dello spirito individualista
anticonformista e dei temi romantici. Del movimento romantico italiano possiamo citare Foscolo e
Manzoni che furono inizialmente degli estimatori di Napoleone visto come una sorte di liberatore, e
Leopardi. In questi anni assistiamo, oltre che alla rivalutazione del concetto di patria e all’esaltazione
della storia, anche a tematiche di tipo nazionalista; non a caso certi saggi scritti dagli stessi filosofi
idealisti vedranno l’esposizione di tematiche di tipo ideologico e nazionalistico riprese poi dalle
ideologie naziste. Il criticismo aveva lasciato dei problemi dal punto di vista filosofico perché Kant
aveva detto che ogni realtà esiste in quanto rappresentazione della coscienza che è quindi condizione
indispensabile del conoscere e la cosa in sé è però qualcosa di inarrivabile e solo postulabile. Kant
aveva definito il fenomeno come oggetto reale appreso tramite le forme a priori della conoscenza ed
il noumeno come un concetto limite irraggiungibile. Da questa visione criticista nascono determinati
problemi che eredita la filosofia idealista che si interroga intorno a cosa sia il noumeno e se sia
corretto ridurre tutto ad una dimensione soggettiva come aveva fatto Kant. Nello specifico l’idealismo
è quella accezione filosofica che parte dal presupposto di considerare il mondo privilegiando la
dimensione ideale rispetto a quella materiale ed afferma un carattere spirituale della realtà, è questa
la prospettiva nella quale si colloca colui che è considerato il padre dell’idealismo Johann Fichte.

Johannes Fichte
Fichte nacque nel 1762 e era un uomo di umili origini, che lavorava come custode di oche che riuscì
ad arrivare a Könisberg dove entrò in contatto con Kant, e proprio grazie a lui pubblicò la sua prima
opera. Grazie a Kant prima e a Goethe dopo ottenne la cattedra all’università di Jena dove inizia il suo
percorso prettamente filosofico che consolida le caratteristiche di una filosofia nuova e diversa da
quella proposta da Kant. Il suo pensiero filosofico viene organizzato in alcune opere che sono i
fondamenti dell’intera dottrina della scienza pubblicata nel 1794, la missione dell’uomo e l’essenza del
dotto del 1800/1806, lo stato commerciale chiuso del 1800 e i famosi discorsi alla nazione tedesca
pubblicati nel 1807. Da queste opere emergono le concezioni filosofiche di Fichte, nello specifico la
concezione del mondo dell’idealismo del tutto nuova e una visione nuova per quanto riguarda l’etica e
la politica. Secondo il filosofo Kant aveva proposto una sorta di dualismo parlando di fenomeno e
noumeno che Fichte voleva eliminare sostenendo che finché il rappresentante ed il rappresentato non
saranno fatto coincidere, ai suoi occhi non si determinerà una vera e propria filosofia del soggetto
assoluto. Il filosofo idealista vuole risolvere tutte le contraddizioni del criticismo riportando tutto
all’unità del soggetto; l’idealismo è una filosofia complessa che si propone di ricercare il principio di un
fondamento assoluto e incondizionato che è in grado di produrre la realtà, principio di carattere
metafisico e trascendentale. L’idealismo tedesco si propone di interpretare tutta la realtà alla luce di
un unico principio assoluto fuori dal quale non c’è niente, un principio a priori, e tende a privilegiare il
coglimento di questo principio in forme generali. L’idealismo in senso generale stabilisce l’esistenza di
un’unità indissolubile che verrà chiamata “Io” che si contrappone totalmente con l’Io penso di Kant in
quanto possiede carattere metafisico e sarà poi chiamato Ragione da Hegel. Si tratta di quella
filosofia che tende a privilegiare la dimensione spirituale rispetto a quella materiale, facciamo risalire
l’idealismo alla filosofia di Platone con le sue idee che erano fuori dal mondo sensibile. Nell’ottica della
cultura romantica l’idealismo propone una prospettiva della realtà lontana dalla materia e dal mondo
sensibile. L’idealismo di Fichte è stato denominato assoluto, soggettivo e trascendentale. Assoluto in
quanto propone come unica dimensione esistente quella spirituale e si rifiuta di definire il soggetto
come qualcosa di dipendente dalla divinità e possiamo paragonarla con la filosofia di Spinoza.
Dimensione soggettiva in quanto l’unica sostanza e accezione prevista dall’idealismo fichtiano è
l’uomo considerato come soggetto e unità spirituale. Trascendentale in quanto la condizione della
soggettività diventa una dimensione pura e assoluta, secondo lui non esiste altro soggetto se non l’Io
che è l’uomo ed è una sorta di radicalizzazione della rivoluzione filosofica di Kant. L’uomo kantiano è
un uomo che ha dei limiti, che può arrivare lontano per quanto riguarda la conoscenza, ma non può
capire tutta l’essenza della realtà; l’uomo della nuova filosofia fichtiana è un uomo assolutamente
illimitato, in quanto Dio e entità sovrasensibile. Nell’idealismo infatti l’uomo è colui che conosce e crea
allo stesso tempo. Trascendentale quindi perché questo Io possiede sia una dimensione di tipo
gnoseologico perché arriva a conoscere tutta la realtà, sia una dimensione di tipo ontologico, è il
centro di tutto e ha funzione creatrice. La condizione dell'Io è allo stesso tempo quella di essere
attività che agisce e prodotto di questa attività stessa, non c’è più il dualismo tra fenomeno e
noumeno, ma il dualismo dell’uomo che non è assoggettato alle leggi della natura, ma un soggetto
libero che la domina. Anche qui si tratta di una estremizzazione della filosofia di Kant che si era già
preoccupato di dire che è l’uomo che ordina la natura e non viceversa. L’idealismo si propone di
presupporre una soggettività come punto di partenza e come determinazione dell’oggettività,
l’idealista considera la condizione della soggettività primaria e fondatrice di ogni realtà. Questa
visione porta Fichte a scagliarsi contro i dogmatici che partono dall’oggettività e dicono che è
l’oggetto a condizionare il soggetto. Questa prospettiva predilige la libertà e sostiene quanto l’uomo
sia responsabile di una scelta anche nei confronti della sua vita, è una visione che sorge negli anni
delle grandi manifestazioni per la libertà dove è importante ritenersi capaci di svincolarsi dalla
schiavitù delle necessità di tipo naturale. In questa prospettiva metafisica c’è la contrapposizione alla
natura della cultura e alla civiltà. Questa filosofia è teorizzata nell’opera principale intitolata “ Sul
concetto della dottrina della scienza” dove Fichte vuole costruire un sistema filosofico con l’ambizione
di farlo diventare un sapere assoluto che mette in luce il principio su cui si fonda la validità di ogni
scienza. All’interno di quest’opera abbiamo l’organizzazione del suo sistema filosofico che descrive i
tre passi principali attraverso cui Fichte vuole descrivere la sua visione del mondo usando la pura
metafisica. Nel primo punto dice che il principio su cui si fonda la realtà e il principio supremo di tutto
è l’Io, che pone se stesso come pura identità in un primo momento considerato come la tesi, una
sorta di momento che dà inizio alla realtà. Nel primo punto quindi troviamo l’Io con se stesso, che
deve esistere ed essere attività creatrice infinita, condizione incondizionata del principio della realtà. È
ciò che deve esistere assolutamente per far si che esistano i punti successivi. Nel secondo punto dice
che all’Io si oppone un non Io, l’oggetto cioè la natura e la realtà. L’Io per realizzarsi deve avere
bisogno di un non Io che si contrapponga che sia diverso da sé, questo punto è considerato l’antitesi
necessaria per affermare la tesi. Questa visione della realtà è una visione dialettica dove il soggetto e
l’oggetto sono assolutamente compresenti e devono essere coesistenti. Il terzo punto è la sintesi cioè
la riaffermazione della tesi, ed è il momento in cui oppone all’Io divisibile un non Io divisibile; l’Io nella
tesi è il soggetto divino al quale si contrappone il mondo, nella sintesi si trova ad esistere sotto forma
di uomo concreto e finito, limitato da una serie di non Io che sono gli oggetti del mondo concreto.
Questo uomo della sintesi rappresenta proprio l’uomo concreto che ha una missione di carattere
culturale perché in quanto uomo capisce quanto il suo sforzo di perfezione sia una missione
inesauribile e deve farsi portavoce di questo davanti a tutta l’umanità. Lo scopo dell’uomo secondo
Fichte è infatti il trionfo della razionalità e della cultura sulla dimensione sensibile.

L'etica e la politica
Per quanto riguarda la parte etica c’è chi ha parlato di un idealismo etico di Fichte. Il filosofo scrive di
essere stato condizionato e folgorato dalla lettura della ragion pratica di Kant quindi la morale è per
lui qualcosa di fondamentale. Scrive la sua opera di morale e di etica intitolata “Le lezioni sulla
missione del dotto” che è l’opera nella quale parla della sua visione rispetto alla morale. Fichte dice
che l’intellettuale, il filosofo idealista, ha una missione nella propria vita che é quella di far trionfare la
razionalità sulla dimensione sensibile e sulla natura. Il saggio, colui che sa, deve far capire a tutti gli
altri uomini anche a quelli comuni la potenza della sua razionalità e il suo valore in quanto uomo che
può superare i propri limiti. Deve diffondere l’idea che l’uomo può essere felice grazie all’uso della
ragione che è in tutti i casi superiore alla sensibilità.
La politica invece per Fichte presuppone uno stato ideale che deve garantire i diritti fondamentali
dell’uomo: libertà, vita, proprietà e lavoro. Lo stato non è liberale ma autarchico cioè produce quel
che serve al fabbisogno dei propri cittadini; che non importa e non esporta, ma ce la fa con le proprie
risorse. Questa sua visione politica è descritta nello “Stato commerciale chiuso”. I “Discorsi alla
Nazione tedesca” è l’opera in cui Fichte propone la Germania come modello di civilizzazione, parla di
questa come una nazione unita sotto il profilo linguistico, culturale, religioso e politico e proprio per
questo dovrebbe essere vista come modello dalle altre nazioni europee. Questo discorso servì poi
come ispirazione per la Germania nazista nonostante il discorso di Fichte non menzionasse la
superiorità in termini militari, ma solo superiorità pedagogica.

Georg Wilhelm Friedrich Hegel

Per accostarsi allo studio di Hegel bisogna capire che dietro a quest’ultimo vi è un presupposto di
disegno che governa tutti i fatti e gli eventi del tempo: secondo Hegel, quindi, tutto ciò che accade,
sia a livello individuale che collettivo, ha un senso ben preciso, giustificabile da un punto di vista
logico e razionale.Hegel nasce a Stoccarda nel 1770, da una famiglia protestante e riceve
un’educazione umanistico-religiosa. Gli studi teologici saranno importanti perché molti dei suoi scritti
principali della giovinezza hanno tema religioso. Di lì a poco ci sarebbe stata la rivoluzione francese e
Napoleone, di cui Hegel sarà estimatore e lo considererà come un eroe. Farà il precettore prima di
diventare docente di filosofia, e nel 1801 incontrerà Goethe a Jena, con cui avrà un legame forte,
culturalmente parlando, e grazie al quale verrà nominato professore. Nel 1809 diventa professore e
rettore all’università di Norimberga, e nel 1818 verrà chiamato a Berlino per insegnare, dove arriverà
all’apice della sua carriera accademica diventando rettore dell’Università di Berlino. Muore a Berlino
nel 1831, anno da ricordare poiché segna l’inizio di una serie di movimenti filosofici che si
contrapporranno ad Hegel, come il Positivismo, l’Irrazionalismo e il Marxismo, che seppur contrari,
possono essere compresi solo alla luce della comprensione della filosofia di Hegel stesso. Le due opere
principali di Hegel sono La fenomenologia dello spirito (1807) e l’Enciclopedia delle scienze filosofiche
(1817): queste furono scritte dopo le sue prime opere giovanili, di carattere religioso e influenzate
dagli studi di teologia, dove cerca di conciliare l’idealismo con la religione cristiana, poiché sente la
necessità filosofica di fare questo collegamento.

IL SISTEMA FILOSOFICO DI HEGEL: Hegel è contrario alle tendenze del Sentimentalismo e


dell’Irrazionalismo romantico: nella sua filosofia non si trova spazio per i sentimenti, è una filosofia
razionale che ha per oggetto la verità, rappresentata dal TUTTO, che coincide con il disegno che
Hegel immagina alla base del mondo, e che è principio supremo della realtà, concetto metafisico e
superiore in cui credevano gli idealisti.

La filosofia è l’espressione di un mondo, di una realtà plasmata sul disegno, che è l’espressione
dell’assoluto.

Tutto ciò che è reale è razionale, tutto ciò che è razionale è reale, dove la realtà coincide con la
razionalità: Hegel sostiene che la realtà è manifestazione di un principio razionale e logico, perciò
anche la realtà stessa dovrà essere logica e razionale. La verità sta nel tutto, la cui comprensione
viene raggiunta solo alla fine, quando si arriva all’intero: possiamo quindi dire che la verità sta nella
compiutezza. La manifestazione e l’essere del principio assoluto si basa sul DIVENIRE, che ha una
struttura dialettica, può quindi essere spiegato attraverso una tesi, un’antitesi e una sintesi.

Per Hegel, visto che il principio su cui si basa la realtà è logico e razionale, la manifestazione di tale
principio deve essere logica e razionale anch’essa: la realtà è SPIEGABILE, ed è come è perché c’è un
principio logico e perfetto alla sua base, che rende la realtà l’espressione migliore degli avvenimenti
destinati ad accadere e scritti in quel principio perfetto; tutto ciò che accade ha quindi una
spiegazione razionale, perché frutto di un processo razionale.

Lo sviluppo dialettico della realtà si divide in tre fasi:

1. TESI: comprende l’idea in sé per sé;


2. ANTITESI: pone la condizione di idea fuori di sé, quindi si ha una contrapposizione tra il
positivo
della tesi e questo negativo dell’antitesi;
3. SINTESI: dove l’idea torna in sé, poiché la sintesi riunisce in sé tutti i contrari formando
un’unità
arricchita al fine di dimostrare la tesi.

Nessuno è però veramente consapevole di tutto questo sviluppo, sin quando questo non arriva a
termine.

Il sistema filosofico di Hegel viene definito TRIADICO DIALETTICO: per Hegel il nostro pensiero procede
sempre attraverso tre fasi, tesi, antitesi e sintesi, che corrispondono ad affermazione, negazione e
riaffermazione; questo processo è proprio di tutti gli individui ed era stato anche già preso in analisi
dai sofisti, prima ancora Zenone di Elea.

Hegel, essendo un idealista, parte dal presupposto che la realtà ed il pensiero sono la stessa cosa: se
si pensa attraverso un processo dialettico, allora anche la realtà avrà le stesse caratteristiche.

In questo procedimento triadico, la tesi è quindi il punto di partenza, senza la quale non può esistere
nient'altro, considerata come spirito, che Hegel chiama Idea in sé; poi ci deve essere l’antitesi, che
rappresenta l’idea fuori sé, che significa ciò che sta al di fuori dell’idea, il mondo concreto e
circostante, la dimensione materiale, che deve esserci perché altrimenti l’idea non potrebbe
manifestarsi.

Infine c’è la sintesi, la riaffermazione della tesi, che Hegel definisce con l’Idea che torna in sé: è
l’UOMO, perché è la manifestazione più completa dello spirito (tesi) nel mondo (antitesi).

Questo dialettico triadico è, non a caso, avvicinabile al dogma della Santa Trinità della religione
cristiana: la differenza con la religione, però, è che nella cristianità Dio e l’uomo sono due entità
distinte che non possono assolutamente coincidere l’una con l’altra; nella filosofia idealista, invece,
l’uomo coincide con Dio.
Alla base della manifestazione dello spirito nel mondo, quindi dell’uomo, c’è un disegno perfetto, un
destino secondo cui tutto è come deve essere, un principio metafisico: la realtà non può essere
sbagliata proprio perché c’è questo principio perfetto, logico e razionale alla base.

Il principio astratto di cui parla Hegel è lo Spirito, metafisico, perfetto, astratto e quindi anche logico e
razionale, che si manifesta appunto nell’uomo in sé, come dice nella sintesi.

Ciò significa che tutto quello che accade può essere spiegato, e lo si può fare proprio tramite questo
disegno che scrive il destino degli uomini e delle cose.

LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO : La fenomenologia dello spirito è un’opera che descrive una
sorta di viaggio di formazione, un percorso verso la verità. Il titolo stesso dell’opera significa “ciò che
appare dello spirito”: questo romanzo parla cioè dell’uomo, in una molteplicità di sensi.

È il romanzo di formazione di un uomo, che rappresenta la coscienza, l’umanità intera, quindi è un


viaggio molteplice perchè è contemporaneamente storia dell’umanità, del singolo individuo, della
coscienza del singolo individuo, per arrivare a capire chi l’uomo sia veramente e quale sia la verità.

C’è chi ha paragonato l’opera al percorso che Cristo, figlio di Dio, compie attraverso tutte le
sofferenze della sua vita per tornare da dove è partito.

Due capitoli sono rilevanti

COSCIENZA: qui Hegel spiega come l’uomo conosce la realtà. É un po’ un parallelismo con la critica
della ragion pura di Kant, dove Kant spiega come secondo lui l’uomo conosce: Hegel inizia dicendo
“non si può imparare a nuotare fuori dall’acqua”, e con ciò intende dirci che l’uomo conosce
attraverso tre fasi.

● la certezza sensibile

● la percezione

● l’intelletto

L’uomo, prima di tutto, si accorge di avere un oggetto davanti a sé, ma non capisce cos’è; in un
secondo momento lo conosce attraverso le sue caratteristiche qualitative, quindi sono i sensi a
consentirgli di capire meglio cosa sia l’oggetto; infine comprende che quell’oggetto l’ha creato lui
stesso, che l’oggetto della conoscenza è stato creato in funzione sua, per il solo scopo di farglielo
conoscere.

AUTOCOSCIENZA: In questa sezione Hegel ragiona sui rapporti sociali tra gli uomini. Sostiene che gli
uomini, da che sono vissuti sulla faccia della terra, si sono sempre incontrati e scontrati gli uni con gli
altri, e che questi scontri siano un passaggio obbligato, perché l’uomo non può capire chi è se non si
confronta con altri suoi simili (concetto che si rifà all’idea di uomo come animale sociale di Aristotele).
Dagli incontri e scontri con gli uomini, nella storia, si sono sempre create delle relazioni tra di loro, che
sfociano in rapporti di subordinazioni: da sempre ci sono servi e padroni, ma se siamo portati a
pensare, apparentemente, che il padrone sia il più forte e nella posizione migliore siamo in errore,
perchè in questo rapporto colui che è libero, indipendente e autocosciente è proprio il servo, perché
ha superato la paura di morire, perchè se non si fosse messo al servizio del padrone sarebbe morto di
fame; ha superato la vergogna di andare a chiedere di mettersi al servizio del padrone; non ha esitato
a sporcarsi le mani, a lavorare materialmente.
Per Hegel è il servo la persona libera, non il padrone, perchè il padrone senza il servo muore.

DIFFERENZA TRA IO DI FICHTE ED IO PENSO DI KANT

Nonostante il nome molto simile, l'Io di cui parla Fichte e l'Io penso kantiano sono molto diversi e non
c'è un collegamento tra loro.
L’Io penso è la struttura della nostra attività intellettiva e coincide con l’intelletto stesso. È la
struttura del pensare, comune ad ogni soggetto. Dicendo che è una struttura si vuol affermare che
l’Io penso non possiede una consistenza ontologica, cioè non è una sostanza. É l'attivitá della mente
deputata ad unificare e classificare tutti i dati sensibili per arrivare ad i concetti. La deduzione di Kant
è trascendentale, cioè giustifica le condizioni soggettive della conoscenza. L'Io penso ha unicamente
carattere formale e finito. Formale, perché si limita ad ordinare una realtà che gli si presenta davanti e
della quale non è assolutamente il creatore, ma solo il legislatore; e finito perché il suo ambito di
operazioni si rivolge esclusivamente al mondo dei fenomeni.

L'Io di Fichte invece coincide con l'uomo ed è colui che conosce e crea allo stesso tempo. Questo Io
possiede sia una dimensione di tipo gnoseologico perché arriva a conoscere tutta la realtà, sia una
dimensione di tipo ontologico, è il centro di tutto e ha funzione creatrice. La condizione dell'Io è allo
stesso tempo quella di essere attività che agisce e prodotto di questa attività stessa. La deduzione di
Fichte è assoluta perché deve far derivare dall’Io sia il soggetto che l’oggetto del conoscere. Il filosofo
pone il soggetto come punto di partenza e come Kant dice che é la natura ad essere prodotto del
soggetto cioè dell'uomo, e non viceversa. Nell’opera principale intitolata “ Sul concetto della dottrina
della scienza” Fichte vuole costruire un sistema filosofico con l’ambizione di farlo diventare un sapere
assoluto che mette in luce il principio su cui si fonda la validità di ogni scienza. All’interno dell'opera
abbiamo l’organizzazione del suo sistema filosofico che descrive i tre passi principali attraverso cui
Fichte vuole descrivere la sua visione del mondo usando la pura metafisica. Nel primo punto dice che
il principio su cui si fonda la realtà e il principio supremo di tutto è l’Io, che pone se stesso come pura
identità in un primo momento considerato come la tesi, una sorta di momento che dà inizio alla
realtà. Nel primo punto quindi troviamo l’Io con se stesso, che deve esistere ed essere attività
creatrice infinita, condizione incondizionata del principio della realtà. È ciò che deve esistere
assolutamente per far si che esistano i punti successivi. Nel secondo punto dice che all’Io si oppone
un non Io, l’oggetto cioè la natura e la realtà. L’Io per realizzarsi deve avere bisogno di un non Io che
si contrapponga che sia diverso da sé, questo punto è considerato l’antitesi necessaria per affermare
la tesi. Questa visione della realtà è una visione dialettica dove il soggetto e l’oggetto sono
assolutamente compresenti e devono essere coesistenti. Il terzo punto è la sintesi cioè la
riaffermazione della tesi, ed è il momento in cui in cui oppone all’Io divisibile un non Io divisibile; l’Io
nella tesi è il soggetto divino al quale si contrappone il mondo, nella sintesi si trova ad esistere sotto
forma di uomo concreto e finito, limitato da una serie di non Io che sono gli oggetti del mondo
concreto. Questo uomo della sintesi rappresenta proprio l’uomo concreto che ha una missione di
carattere culturale perché in quanto uomo capisce quanto il suo sforzo di perfezione sia una missione
inesauribile e deve farsi portavoce di questo davanti a tutta l’umanità. Lo scopo dell’uomo secondo
Fichte è infatti il trionfo della razionalità e della cultura sulla dimensione sensibile.

LA VISIONE POLITICA DI HEGEL:


Nell’enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio troviamo esposto nella sua totalità il pensiero filosofico
di Hegel. Nella parte intitolata La filosofia dello spirito oggettivo Hegel espone la sua visione politica. La filosofia
dello spirito è secondo Hegel la filosofia più alta e difficile, è lo studio dell’idea che dopo essersi estraniata da sé
come natura, si fa soggettività e libertà, auto creazione e auto produzione. Anche lo spirito, inteso qui come
uomo, presenta una struttura triadica e all’interno di quest’ultima parte dell’enciclopedia (logica, filosofia della
natura, filosofia dello spirito) avremo lo spirito soggettivo, lo spirito oggettivo e lo spirito assoluto. La
soggettività e l’oggettività di cui parla Hegel non sono proprie dello spirito ma rappresentano l’uomo; lo spirito
oggettivo è quello spirito nella misura in cui si realizza nella società e quindi parlerà delle istituzioni in cui l’uomo
si manifesta. Possiamo dire che nella filosofia dello spirito si parla dell’uomo che produce le istituzioni politiche
come il mollusco si produce la sua conchiglia, però l’operazione del mollusco è inconscia pur esprimendo
anch’essa razionalità, quella dell’uomo rappresenta razionalità esplicita e cosciente. Lo spirito oggettivo si
articola in tre momenti: il diritto, la moralità e l’eticità. Quando Il filosofo dice che tutto ciò che è reale è
razionale e tutto ciò che è razionale è reale, è come se volesse dirci che tutto ciò che esiste storicamente
esprime una razionalità profonda sviluppatasi nella storia, non sono frutto di accidentalità; pertanto è
necessario saper cogliere il positivo nel negativo poiché ogni cosa anche se superficialmente può sembrare
negativa, se analizzata a fondo risulta positiva in quanto necessaria allo sviluppo del tutto. Quello che
all’intelletto appare negativo, alla ragione risulta positivo; con l’intelletto infatti si vedono le cose singolarmente,
ma con la ragione si vedono nella loro totalità per cui ogni parte essendo in funzione del tutto si colora di
positivo. A Hegel pare assurdo che la ragione possa pervadere ogni cosa dal pensiero alla natura, fuorché le
realizzazioni umane quindi matura in lui una convinzione secondo cui la storia è frutto della razionalità. È
importante quindi scavare in profondità per cercare la ragione di tutto. Lo spirito oggettivo è l’insieme delle
realtà in cui si trova l’uomo e che essendo creazione dell’uomo che si è oggettivato, non sempre evidenziano la
volontà razionale del singolo, sembrano un contesto umano che non siamo stati noi a determinare, in realtà
tutto ciò che è reale é frutto della razionalità. Parlando dell’oggettivazione dello spirito il primo momento che
dobbiamo analizzare è un momento oggettivo che tratterà del modo in cui lo spirito si esteriorizza e del
rapporto con gli altri. Il concetto tipico del diritto è quello di persona con cui già gli antichi indicavano una
maschera teatrale, l’idea di fondo è che nel diritto ci confrontiamo con gli altri in maniera esteriore e a contare
non è ciò che ciascuno è, ma il ruolo che ognuno di noi gioca nei rapporti contrattuali e di proprietà , come la
maschera non rappresenta ciò che l’attore è in sé, ma ciò che egli deve rappresentare nella scena teatrale. Si
parla quindi di un diritto astratto in quanto le persone sono legate tra di loro da rapporti giuridici e non rapporti
profondi, per questo il diritto astratto è la persona giuridica consapevole di vivere in un sistema di relazioni
interpersonali che si esprimono attraverso una triade che è la proprietà, il contratto, l’illecito e la pena che sono
gli aspetti che esprimono i legami tra le persone. La proprietà è garantita, il contratto rappresenta la modalità
attraverso cui determinate proprietà si stipulano, l’illecito e la pena esprimo invece le modalità attraverso cui si
possono tutelare ma anche perseguire tutte le forme contrarie che vanno a minare il contratto e la proprietà. Il
momento successivo al diritto é la moralità cioè la ricerca profonda dell’interiorità, il secondo momento,
moralità che verrà a sua volta superata. L’ottica hegeliana è la libertà dell’uomo vista come condotta cioè la
moralità rappresenta l’aspetto soggettivo della condotta umana; se al centro del diritto c’è la persona giuridica,
nella moralità c’è il soggetto che esercita la libera volontà ed è animato da intenzioni e disposizioni sulle quali
agisce con gli altri soggetti. Si parla dunque di una libertà soggettiva, volontà del singolo individuo e capacità di
distinguere il bene dal male. I tre momenti della moralità sono il proponimento e la responsabilità, l’intenzione
ed il benessere ed il bene dove si parla di un soggetto che distingue il bene dal male e può essere condizionato a
proporsi a tifare il bene e poi a farlo intenzionalmente e sottolinea qui Hegel l’importanza del bene inteso come
universale, che non può essere realizzato a livello personale, ma che deve essere realizzato a livello sociale.
L’unicità del singolo individuo nella sua proposta di fare il bene, nella sua intenzionalità e nell’acquisizione poi di
un concetto più alto di bene. Qui sussiste il paragone tra l’etica Kantiana e come Hegel interpreta la dimensione
morale. La sintesi tra il diritto e la moralità la troviamo con l’eticità, cioè il momento in cui si hanno al tempo
stesso la soggettività e l’oggettività, l’interiorità e l’esteriorità; il momento in cui l’individuo trova la sua
realizzazione soggettiva nell’essere inquadrato in una collettività esteriore in cui contano i rapporti esterni, ma
non viene per questo trascurato il senso soggettivo e individuale. L’esempio massimo di eticità è la persona che
trova la propria realizzazione nella sua attività lavorativa, realizzando in essa se stesso e il suo senso del dovere,
ma in un contesto concreto di collettività. L’eticità a sua volta si articola in tre momenti: la famiglia, la società
civile e lo stato e in ogni momento l’individuo trova la sua collocazione all’interno di una struttura collettiva.
Nella tradizione filosofica precedente ad Hegel la società civile e lo stato coincidevano, Hegel invece fa una
distinzione tra le due cose sottolineando come anche se lo stato venisse meno, i rapporti socio economici tra gli
individui che costruiscono la società civile permarrebbero. È importante sottolineare che nell’ottica Hegeliana lo
Stato che rappresenta la sintesi tra famiglia e società ha un ruolo fondamentale che è diverso e contrario al
concetto di Stato visto con i filosofi precedenti. La famiglia è tra tutte le forme di eticità, quella immediata e
naturale in quanto è l’unione dei sessi, la creazione e l’allevamento della prole, un’unione istituzionalizzata dal
matrimonio. Anche all’interno della famiglia esiste un’ulteriore triade: matrimonio, patrimonio ed educazione dei
figli che rappresentano l’esplicitazione di questa forma istituzionale che è la famiglia secondo Hegel. Anche alla
famiglia succede una negazione che è la società civile in quanto ci troviamo di fronte ad una situazione secondo
la quale i singoli individui che escono dalla famiglia vanno a costituire rapporti tra gli individui e sorge una
collettività, rapporti anche legati agli interessi personali. Non esiste più un legame immediato e naturale come
quello della famiglia, ma esiste un momento in cui ciascuno mira egoisticamente al proprio interesse e
intrattiene rapporti con gli altri per poterlo realizzare. Siamo nella fase antitetica dell’eticità, fase puramente
esteriore e mediata dall’interesse. Quando Hegel parla di società civile allude alla società borghese nata dal
tramonto dell’Ancien Régime causato dalla Rivoluzione Francese, nella società civile quindi sono presenti
elementi che anticipano la nascita dello Stato per esempio le corporazioni o la polizia. Anche la società civile
comprende un ulteriore triade rappresentata dal sistema dei bisogni, dall’amministrazione della giustizia e dalla
polizia e corporazione, elementi fondanti di questo momento, è necessario che venga amministrata la giustizia
per garantire i diritti universali. Dalla società civile si passa al terzo momento che è lo Stato definito come la
realtà dell’idea etica, la prima manifestazione dell’assoluto in quanto esso si realizza nell’intera eticità. Lo stato
rappresenta la sintesi di famiglia e società civile, é il momento più alto dell’eticità. Lo stato etico non è la
somma di volontà individuali, ma è spirito vivente, è la ragione che con un’opera millenaria si è incarnata in
un’istituzione al di sopra dei singoli. Nasce non da un contratto stipulato tra individui come era per Locke e
Hobbes (alienavano i loro diritti e recedevano ad un’assemblea, ad un sovrano) perché non sono gli individui a
formare lo stato, bensì è lo stato a formare gli individui. È impossibile per Hegel pensare al modello ideale di
Locke, che finirebbe per perdere ogni funzione; ma vale lo stesso per lo stato in stile democratico di Rousseau,
perché la sovranità non può appartenere al popolo in quanto il popolo senza lo stato non è altro che una massa
informe. Lo stato non esiste senza una materia reale (popolo); non è fondato sugli individui ma sull’idea di stato,
sul concetto di bene universale. Hegel rigetta il contrattualismo, il giusnaturalismo. Lo stato deve operare
attraverso le leggi e nella forma delle leggi, è uno stato di diritto fondato sul rispetto delle leggi e sulla
salvaguardia della libertà formale dell’individuo e della sua proprietà. L’organizzazione, la costituzione dello
stato è qualcosa che sgorga necessariamente dalla vita collettiva e non è decisa a tavolino. Hegel identificherà
la forma ideale di stato in una monarchia costituzionale moderna che prevede la divisione dei poteri. Il suo
pensiero politico si esprime in una divinizzazione dello stato; infatti poi nei “Lineamenti di filosofia del diritto”
dirà che l’ingresso di Dio nel mondo è lo stato: Dio non si identifica con lo stato, ma con lo spirito assoluto. Lo
stato è Dio che si manifesta nel mondo; c’è quindi anche una prospettiva di carattere metafisico. È la soluzione
di tutti i conflitti sociali, è proprio lo stato che crea l’individuo libero e non il contrario è lo stato che incarna lo
spirito e lo realizza, perciò rappresenta l’unione, il fine ultimo universale del particolare, il bene è incarnato dallo
stato.

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