Sei sulla pagina 1di 3

FICHTE

BIOGRAFIA E OPERE
Johann Gottlieb Fichte nacque a Rammenau da una famiglia di origini molto modeste e venne
avviato agli studi da un nobile benefattore. Grazie ad esso riuscì a laurearsi in teologia a Lipsia,
alla morte del suo benefattore iniziò la sua carriera di precettore privato in Germania e Svizzera.
Fu conquistato da Kant e in modo particolare dalla “Critica della ragion pratica” (concetti di libertà
e del dovere) e si recò a Konisberg per sottoporre al maestro la sua prima opera “Ricerca di una
critica di ogni rivelazione” (1792) che incorse nella censura prussiana. Allontanatosi dal kantismo
compose le sue più importanti opere: “Fondamenti di tutta la dottrina della scienza” (1794) e
“Lezioni sulla missione del dotto” (1794). Lavorò come professore universitario a Jena dal 1794 al
1799, da cui fu allontanato con il consenso di Goethe (Un astro tramonta, un altro ne nasce) in
seguito alla polemica sull’ateismo, suscitata da un articolo in cui Fichte identificava Dio con
l’ordine morale del mondo a cui tutti devono credere. A Berlino nel 1810 e strinse amicizia con i
romantici Friedrich Schlegel, Schleiermacher e Tieck, divenne professore e rettore dell’Università
e sviluppò la sua filosofia secondo una problematica misticoteologica, componendo “Introduzione
alla vita beata” (1806), Sistema della dottrina del diritto (1812), Sistema della dottrina morale
(1812), rielaborando la sua Dottrina della scienza. Famosi i suoi Discorsi alla nazione tedesca
(1807-1808) contro L’occupazione francese in cui auspicava la sollevazione del popolo tedesco
dalla servitù politica inaugurando il nazionalismo tedesco.

L’ORIGINE DELLA SUA RIFLESSIONE


La filosofia di Fichte si fonda sul superamento della “cosa in sé” di Kant, la sua ambizione è
quella di costruire un sistema che ponga la filosofia come sapere assoluto e perfetto. Infatti il
concetto centrale che espone nei Fondamenti dell’intera dottrina della scienza è quello di una
scienza della scienza, ossia un sapere capace di mettere in luce il principio su cui si fonda la
validità di ogni scienza; questo principio è l’Io, o l’autocoscienza. La coscienza, per Fichte, è il
fondamento dell’essere, mentre l’autocoscienza è il fondamento della coscienza. Fichte arriva ad
una deduzione assoluta o metafisica che fa derivare dall’io sia il soggetto, sia l’oggetto del
conoscere. (Kant invece propone una deduzione trascendentale o gnoseologica). Il limite
conoscitivo posto dalla filosofia di Kant in particolar modo con il noumeno non può essere
superato da un soggetto finito. La soluzione è dunque l’infinitizzazione del soggetto, l’Io;ossia un
soggetto universale assoluto ed infinito. Non c’è più una distinzione tra fenomeno e noumeno
perché entrambi fanno parte dell’io infinito. C’è una corrispondenza biunivoca tra soggetto e
oggetto. Dal momento che si supera il fenomeno e il noumeno la conseguenza è che il noumeno
diventa soggetto infinito che modella il mondo. Fichte basandosi su tutte le considerazioni
spiegate prima arriva a dire che l’io è infinito. Siccome l’Io è l’unico principio formale e materiale
del conoscere, dalla sua attività derivano il pensiero della realtà soggettiva e la realtà stessa
(materiale). Seguendo questo ragionamento arriva a dire che l’Io è infinito, ma anche che libero
(perché la sua attività è assoluta e spontanea).

LA DOTTRINA DELLA SCIENZA


La dottrina della scienza ha come scopo di dedurre a partire da un principio assoluto, che pone il
soggetto e l’oggetto fenomenici in virtù di un'attività creatrice, l’intero mondo del sapere. Il concetto
di Io viene indicato con il termine “Tathandlung”, questo indica che l’Io è allo stesso tempo sia
attività agente che prodotto dell’azione stessa; per questo presenta i caratteri dell’assolutezza, in
quanto assolutamente incondizionato. Con questo principio Fichte porta alla massima espressione
metafisica della visione dell’uomo come essere che costruisce o inventa tramite la propria libertà.
I principi fondamentali di questa deduzione sono tre:
1. l’Io pone se stesso (tesi): per Fiche, la legge d’identità (A=A) non è il primo principio della
conoscenza perché per porre l’esistenza di A vi è il presupposto indispensabile dell’Io, della sua
identità e della sua esistenza. L’Io si pone da sé, egli è il soggetto, attività autocreatrice, intuizione
intellettuale infinita in quanto libera di determinarsi, rispetto alle cose che hanno una natura fissa e
determinata. l’io non può affermare nulla senza affermare in primo luogo la propria esistenza.
2. l’Io pone il non-io (antitesi): l’Io, per realizzarsi come attività, per poter agire, è costretto a
contrapporre a se stesso, in se stesso, qualcos’altro da sé, ossia il non-io, ossia l’oggetto.
3. Il terzo principio: L’Io oppone, nell’io, ad un io divisibile (molteplice) un non-io divisibile: l’Io,
avendo posto il non-io, né è limitato, così come il non-io è limitato dall’Io. Si perviene pertanto alla
situazione concreta del mondo nella quale troviamo una molteplicità di io ed oggetti finiti e
molteplici (=divisibili per Fichte): Pertanto avremo la seguente deduzione idealistica del mondo,
ossia fondata sull’intuizione intellettuale dell’Io, che è indeducibile. Questi tre principi stabiliscono:
↦ l'esistenza di un Io infinito (attività libera e creatrice);
↦ l’esistenza di un Io finito (Limitato dal non-io ), ossia l’esistenza di un soggetto empirico;
↦ la realtà di un non Io che si oppone all’Io finito ma è ricomposto nell’Io infinito, dal quale è
posto
Queste considerazioni costituiscono la base della deduzione idealistica del mondo e si oppongono
all’antica metafisica dell’essere, fondando una visione dello spirito e del soggetto. Sono importanti
però alcune considerazioni:
➵ I tre principi vanno interpretati in ordine logico, per fichte esiste semplicemente un Io che,
per poter essere tale deve presupporre di fronte a sé un non-io; ma questo pensiero non
segue un ordine cronologico. La natura non esiste in modo autonomo, quindi non precede
lo spirito, ma esiste soltanto come momento dialettico della vita dell’io, e quindi per l’io e
nell’io;
➵ l’io risulta infinito e allo stesso tempo finito (Limitato dal non io e infinito perchè quest’ultimo,
ossia la natura, esiste solo in relazione all’io e dentro l’io);
➵ l’io infinito di fichte non è diverso dall'insieme degli io finiti nei quali si realizza (anche se l’io
infinito perdura nel tempo mentre quelli finiti nascono e muoiono);
➵ gli io finiti sono l’io infinito solo in quanto tendono ad esserlo; questo perché Fichte con Io
infinito intende l’io libero, ossia uno spirito privo di limiti. Per questo motivo dire che l’io
infinito è la natura e la missione dell’io finito vuol dire che l’uomo è uno sforzo infinito verso
la libertà, ovvero verso la lotta inesauribile contro il limite (la natura interna ed esterna). il
compito proprio dell’uomo sta quindi nell’umanizzazione del mondo. (natura plasmata
secondo i nostri scopi e società di esseri liberi e razionali);
➵ se l’io (la cui essenza è lo sforzo) riuscisse a superare tutti i limiti cesserebbe di esistere; in
questo modo subentra in concetto dinamico, che pone la perfezione nello sforzo indefinito
di autoperfezionamento.
➵ I tre principi della “Dottrina della scienza” rappresentano anche la piattaforma della
deduzione fichtiana delle categorie. Infatti la tesi, l’antitesi e la sintesi corrispondono alle tre
categorie kantiane della qualità (affermazione, negazione e limitazione). Dal molteplice
della terza proposizione derivano le categorie di quantità e dal reciproco condizionare fra io
e non-io (azione reciproca) scaturiscono le tre categorie di relazione.
LA MORALE
Dalle interazioni tra io e non-io nascono da una parte la conoscenza (o “rappresentazione”) e
dall’altra l’azione morale. la conoscenza presuppone l’esistenza di un io finito che ha dinanzi a sé
un non io infinito.
Se da un lato la dottrina della conoscenza definisce le relazioni di fatto tra io e non io, dall’altro la
dottrina morale definisce il perché avvengono queste relazioni. La risposta è più semplice di quello
che sembri: le relazioni tra io e non-io formano la conoscenza. Ma a cosa serve la conoscenza se
non ad agire? La conoscenza è quindi ragione e causa delle nostre azioni e il mondo esiste solo
come teatro delle stesse. L'io pratico, quindi, costituisce la ragione stessa dell’io teoretico, questo
costituisce il primato della ragion pratica di Fichte, e per questo motivo alla base dell’idealismo
etico teorizzato da Fichte troviamo la doppia tesi secondo cui noi esistiamo per agire e il mondo
esiste come teatro della nostra azione. Ma cosa significa agire? E agire secondo morale? Agire
significa scavalcare l’ostacolo del non-io imponendogli la legge dell’io e agire secondo morale è
l’agire inteso come dovere di ognuno di noi, ovvero un imperativo finalizzato al trionfo dell’io
infinito sul non-io finito, dello spirito sulla materia, il tutto mediato dalla limitatezza dell’io
conoscitivo. È un agire verso la libertà (condizione verso cui si tende) Illuminazione! Ma allora il
non-io cos’è per davvero? Non è altro che il mezzo, l’ostacolo tramite cui l’io può compiere uno
sforzo (streben in tedesco) . il non-io è condizione strettamente necessaria all’io perché si realizzi
nella sua infinità. ciò implica un processo di autoliberazione dell’io dai propri vincoli. fichte ha
riconosciuto nell’ideale etico il vero significato dell’infinità dell’io.
Essendo il mondo popolato da più di una persona, e quindi da più di un io, i vari io devono
riconoscere che hanno lo stesso intento, lo stesso fine: farsi liberi e rendere liberi gli altri. Ciò è
possibile solo cooperando (vivendo in società) e rinunciando alla libertà infinita per lasciarne un
po’ anche agli altri (il solito concetto di società basato sul contratto sociale tra gli individui). Un
branco di io brancolanti nel buio serve a poco senza una vera guida che li conduca al loro fine
supremo: il perfezionamento dell’uomo. Questa guida è identificata da Fichte nella figura del dotto,
del saggio, che è l’uomo moralmente migliore del suo tempo. Il dotto può essere paragonato al
“genio” Kantiano.

Potrebbero piacerti anche