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Idealismo

Al termine idealismo possono essere applicati vari significati; in filosofia


esso si riferisce a quelle visioni del mondo che privilegiano la dimensione
ideale rispetto a quella materiale, affermando dunque il carattere spirituale
della realtà. Con l’espressione idealismo gnoseologico ci si riferisce a tutte
quelle posizioni di pensiero che riconducono l’oggetto della conoscenza ad
un’idea o rappresentazione.

Definiamo invece idealismo romantico la corrente filosofica post-kantiana


fondata da Fichte e Sch ti un w haelling; ad esso vengono apposti tre
attributi:

- trascendentale: in quanto viene collegato al punto di vista kantiano,


che aveva nell’io penso il principio fondamentale della conoscenza

- soggettivo: in quanto intende la Sostanza stessa come un principio


unico

- assoluto: in quanto sottolinea che l’io è il principio unico di tutto e


non esistono altri principi superiori ad esso

Sappiamo che nella filosofia kantiana l’io era un’entità finita, che aveva
carattere formale in quanto si limitava ad ordinare una realtà che gli
preesisteva; sullo sfondo dell’attività condotta dall’io abbiamo il concetto di
cosa in sé.

Passando dal piano gnoseologico (dottrina della conoscenza) a quello


metafisico (dottrina della sostanza), Fichte elimina qualunque realtà
esterna a quello stesso io, che diventa quindi realtà creatrice infinita.

Da qui deriva la tesi tipica dell’idealismo tedesco secondo la quale tutto è


spirito.

Questa riflessione lascia tuttavia irrisolti due quesiti:

1. in che senso lo spirito è la fonte creatrice di tutto ciò che esiste?

2. che cosa rappresenta la natura nel pensiero idealistico?

La risposta a queste due domande giace nella dialettica, ossia in quella


concezione secondo la quale non può esistere un positivo senza il suo
corrispettivo negativo, in quanto entrambe le realtà, anche se
contrapposte, hanno bisogno l’una dell’altra per esistere. Allo stesso modo
quindi, lo spirito per essere tale presuppone la sua antitesi, ovvero la natura.
Possiamo affermare che il pensiero di Fichte ribalti il rapporto tra uomo e
natura: le filosofie precedenti avevano sempre concepito la natura come
causa dello spirito, mentre Fichte la pone come conseguenza, cioè afferma
che essa esiste in funzione dell’io.

● Lo spirito crea la realtà

● La natura esiste in quanto realtà necessaria, perchè costituisce


l’antitesi dialettica dello spirito (si chiama “momento dialettico”)

Ponendo tuttavia nella natura, ossia nell’uomo, la ragion d’essere


dell’universo, egli viene a coincidere con l’assoluto e l’infinito, quindi con
Dio stesso; la figura classica di Dio perfetto viene infatti rifiutata
dall’idealismo romantico, in quanto esso costituirebbe un positivo assoluto,
presupponendo l’inesistenza di un corrispondente negativo → verrebbe a
mancare il principio dialettico a cui si rifà l’ordine stesso del mondo.

L’unico Dio possibile è lo spirito inteso dialetticamente, quindi il soggetto


che si sviluppa mediante la sua antitesi.

E’ questa la ragione per cui con l’idealismo ci troviamo per la prima volta di
fronte ad una forma di panteismo spiritualistico, ossia una dottrina
secondo la quale Dio è lo spirito operante nel mondo. Questa dottrina si
distingue sia dal panteismo naturalistico, che faceva coincidere Dio con la
natura, sia dal trascendentalismo, che invece identificava Dio come essere
esterno e perfetto.

L’idealismo si presenta inoltre come una forma di monismo in quanto si


contrappone a tutti i dualismi metafisici e gnoseologici precedentemente
affermati.

Fichte

La dottrina della scienza


L’infinitizzazione dell’Io
Sappiamo che nella dottrina di Kant l’io era finito, in quanto limitato dalla
cosa in sé, e aveva funzione formale, nel senso che si limitava ad ordinare
una realtà che gli preesisteva (non creata dall’io stesso); in Fichte invece, l’io
viene ad essere non solo formale ma anche principio materiale della
conoscenza. Esso è infinito in quanto tutto ciò che esiste esiste per l’io ed in
funzione dell’io.
L’intenzione di Fichte era quella di costruire un sistema di pensiero che
permettesse alla filosofia di essere non più “ricerca del sapere”, bensì di
costituire essa stessa un sapere assoluto e perfetto, capace di mettere in
luce il principio su cui fondare la validità di ogni scienza.

Questo principio si configura proprio con l’io, o l’autocoscienza: possiamo


affermare che qualcosa esiste soltanto quando quell’oggetto viene
rapportato alla nostra coscienza; questa, a sua volta, è tale solo quando è
rapportata alla coscienza di se stessa, ovvero all’autocoscienza. Fichte
afferma quindi che un oggetto è pensabile soltanto sotto la condizione di
coscienza, che a sua volta esiste sotto la condizione dell’autocoscienza.

● La coscienza è il fondamento dell’essere, l’autocoscienza è il


fondamento della coscienza.

I principi della “dottrina della scienza”

Nella Dottrina della Scienza, Fichte rappresenta un tentativo di dedurre dal


principio dell’autocoscienza l’intero complesso di vita dell’uomo. Se tuttavia
nella filosofia kantiana avevamo una deduzione trascendentale volta a
giustificare come la natura rispondesse alle categorie, in Fichte abbiamo
una deduzione assoluta o metafisica, poiché il filosofo fa derivare dall’io sia
il soggetto che l’oggetto della conoscenza. L’io penso passa quindi
dall’essere “kantianamente” concepito come possibilità trascendentale
della conoscenza al configurarsi come un principio assoluto, dal quale
Fichte vuole trarre l’intero mondo del sapere.

I principi fondamentali della deduzione di Fichte sono tre.

Egli parte da una riflessione sulla legge di identità, allora concepita come
base del sapere; Fichte afferma che essa non rappresenta tuttavia il primo
principio della scienza in quanto implica un principio superiore, che è
proprio l’io. La legge di identità presuppone infatti che, dato un elemento,
esso è uguale a se stesso; questo elemento va ovviamente inteso come
esistente, ed in quanto tale dipendente dall'Io. L’Io non può però porre quel
determinato rapporto se prima non pone se stesso come esistente.

Il primo principio del sapere, detto principio supremo, non è quindi quello
di identità, ma l’Io stesso. La prerogativa di creazione e autocreazione che
appartiene all’Io viene denominata da Fichte Tathandlung, termine che
indica come l’Io possa essere allo stesso tempo attività agente e prodotto
della sua stessa azione → per questo l’Io è assoluto.
1. Il primo principio stabilisce che l’Io pone se stesso e chiarisce come il
concetto di Io si identifichi con quello di attività creatrice,
autocreatrice ed infinita.

2. Il secondo principio stabilisce che l’Io pone il non-Io, che si identifica


con la natura e costituisce il momento dialettico dell’Io (ovvero
l’antitesi che, pur essendo contrapposta, gli dà un senso → dialettica:
due realtà anche se opposte hanno bisogno l’una dell’altra per
esistere ex. male/bene)

3. Il terzo principio mostra come, una volta posto il non-Io, l’Io si ritrovi
ad essere limitato da esso. Da questo principio si arriva alla
rappresentazione della situazione concreta del mondo, in quanto
abbiamo una molteplicità di Io finiti a cui si contrappone una
molteplicità di oggetti (mondo=manifestazione del non-Io)
ugualmente finiti.

I tre principi costituiscono i pilastri dell’intera dottrina di Fichte perchè


stabiliscono l’esistenza di un Io infinito limitato dal non-Io e da cui
dipendono un Io finito, l’uomo, ed un non-Io finito, la natura.

L’Io risulta allo stesso tempo finito ed infinito: esso è infinito perchè tutto
esiste soltanto in relazione ad esso, quindi si pone come attività creatrice; è
invece infinito perchè limitato dal non-Io (anche se quest’ultimo è
compreso all’interno di esso).

Scelta tra idealismo e dogmatismo

Fichte afferma che gli unici sistemi filosofici possibili sono il dogmatismo e
l’idealismo; egli infatti concepisce la filosofia come una riflessione il cui
scopo è trovare il fondamento dell’esperienza, all’interno della quale il
soggetto (l’intelligenza) e l’oggetto (la cosa) operano.

La filosofia può assumere la forma dell’idealismo se essa parte dall’Io


(soggetto) per spiegare la cosa in sé; assume invece la forma del
dogmatismo se invece parte dalla cosa in sé (oggetto) per spiegare l’Io.
Fichte ritiene tuttavia che nessuno di questi due sistemi riesca
effettivamente a confutare quello opposto in quanto entrambi i principi
hanno valore.

La scelta deriva dunque da una pura presa di posizione in campo etico, in


quanto il dogmatismo è una forma di realismo / materialismo che va a
rendere nulla o problematica la libertà, mentre l’idealismo si presenta
come una rigorosa dottrina della libertà.
Queste dottrine hanno come corrispettivo esistenziale due tipi di umanità:

- al dogmatismo corrispondono quegli uomini che non si sono ancora


elevati alla propria libertà, e che dunque sostengono che tutto sia
retto da leggi deterministiche e fatalistiche

- all’idealismo corrispondono invece quegli uomini che, avendo


sviluppato profondamente il senso della loro libertà, risultano
spontaneamente portati a propendere per questa dottrina, che
concepisce il mondo come attivamente forgiato dallo spirito.

La scelta di una filosofia piuttosto che dell’altra dipende quindi


semplicemente dalla propria natura di uomini.

Fichte fa comunque prevalere l’idealismo sul dogmatismo in quanto,


ponendo l’Io come realtà assoluta, tramite esso possono essere spiegati se
stesso, la natura ed il rapporto tra i due elementi. Abbiamo quindi un
primato dato da una “doppia superiorità” etica e teoretica dell’idealismo,
che spinge Fichte a preferirlo.

La missione sociale dell’uomo


Secondo il pensiero di Fichte, il dovere morale può essere realizzato dall’Io
finito soltanto insieme agli altri Io finiti, la cui esistenza è ammessa grazie al
principio della sollecitazione o dell’invito.

Tutti questi Io finiti hanno lo stesso scopo, ossia la libertà; chiaramente ogni
Io finito risulta però costretto a porre dei limiti alla propria libertà a favore di
quella degli altri, agendo in modo tale che l’umanità nella sua totalità risulti
sempre più libera. Il fine dell’uomo nella società è quindi quello di rendere
libero se stesso e gli altri, mirando alla totale unificazione del genere
umano.

Per realizzare questo scopo, Fichte ritiene che si debba mettere in atto una
sorta di “mobilitazione” dei dotti, i quali possiedono maggiore
consapevolezza rispetto agli altri uomini. Gli intellettuali non devono quindi
vivere isolati, ma all’interno della società ed in mezzo agli altri uomini,
diventando maestri di questi; questa è quella che il filosofo definisce la
missione del dotto, il cui fine supremo è il perfezionamento morale di ogni
uomo.

Pensiero politico
La filosofia politica di Fichte si sviluppa attraverso diverse fasi che
subiscono l'influsso delle vicende storiche. In due scritti del 1793 il filosofo
mette in luce la sua visione contrattualistica ed antidispotica dello Stato,
particolarmente sensibile al tema della libertà di pensiero. Egli afferma che
lo scopo del contratto sociale è l’educazione alla libertà, da cui deriva a sua
volta il diritto alla rivoluzione: se lo Stato non permette l’educazione alla
libertà, ognuno ha il diritto di “rompere” questo contratto sociale e dare vita
ad uno nuovo.

Secondo Fichte il fine ultimo della vita comunitaria è la “società perfetta”,


ossia una società di uomini liberi e ragionevoli nella quale lo Stato fa solo
da tramite; lo Stato ha infatti lo scopo di rendersi inutile, superfluo,
adempiendo al compito di formare gli individui.

(Fichte riconosce che è una visione piuttosto utopistica della società, ma


ritiene comunque che questo debba essere l’obiettivo dello Stato.)

Nell’opera Fondamenti del diritto naturale secondo i principi della dottrina


della scienza Fichte presenta lo Stato come garante del diritto, il quale,
slegato dalla buona volontà, implica una costrizione esterna alle
manifestazioni della libertà nel mondo sensibile.

In virtù dei rapporti di diritto, l’Io conferisce a se stesso una sfera di libertà e
si distingue dagli altri Io, i quali sono dotati ognuno della propria sfera; l’Io si
pone quindi come persona.

Ogni individuo, per potere agire nel mondo, gode di tre diritti originali e
naturali: la libertà, la proprietà e la conservazione; questi devono essere
garantiti dallo Stato.

Quest’ultimo non deve tuttavia limitarsi alla tutela dei diritti, ma deve agire
al fine di garantire ai cittadini lavoro e benessere, rendendo impossibile la
povertà. Per fare ciò, il modello di governo a cui arriva la riflessione di
fichtiana è uno statalismo di carattere socialistico (la vita pubblica è
regolamentata) e autarchico (economicamente autosufficiente).

➔ Non implica il comunismo in quanto per Fichte gli strumenti del


lavoro appartengono a chi li usa: il diritto alla proprietà scaturisce dal
dovere etico del lavoro.

La società viene divisa da Fichte in tre classi:

- produttori della ricchezza (lavoratori dell’industria mineraria)

- trasformatori della ricchezza (artigiani, operai)


- diffusori della ricchezza materiale e spirituale + i loro difensori e gli
amministratori della vita socio-politica (commercianti, insegnanti,
soldati, funzionari)

Lo Stato ha il compito di sorvegliare l’intera produzione e distribuzione dei


beni; per fare ciò, esso deve chiudere i contatti con l’estero, sostituendo
l’economia liberale di mercato con un’economia pianificata → isolamento
degli Stati. Una chiusura di questo calibro è ovviamente possibile solo se il
singolo Stato ha, all’interno dei propri confini, tutto il necessario alla
produzione dei beni; se così non fosse, lo Stato può esercitare un
monopolio sul commercio estero.

La riflessione di Fichte si presenta come una mescolanza di individualismo


e statalismo, ed esprime dunque una sorta di unione tra una concezione
dello Stato di carattere liberale ed una più socialista.

La celebrazione della missione civilizzatrice della Germania

Una celebre opera del filosofo all’interno della quale è possibile riscontrare
il suo pensiero politico sono i Discorsi alla nazione tedesca; uno dei temi
fondamentali dell’opera è l’educazione, in quanto secondo Fichte il mondo
moderno richiede un’attenta azione pedagogica rivolta alla maggior parte
del popolo.

Nel suo svolgimento l’opera passa tuttavia dal piano pedagogico a quello
nazionalistico; Fichte sostiene infatti che il popolo tedesco sia l’unico adatto
a promuovere la “nuova educazione” e giustifica questa sua tesi
affermando che:

- il sangue tedesco è puro ed integro, non commisto a quello di altre


stirpi

- i tedeschi sono gli unici ad avere una patria nel senso più alto del
termine e a costituire una realtà che si identifichi con il profondo
concetto di nazione.

La Germania è quindi l’unica nazione spiritualmente eletta a realizzare la


vera umanità; tale missione è talmente importante che se essa fallisse,
l’intera umanità subirebbe un fallimento.

Il primato che Fichte assegna al popolo tedesco non è di carattere


politico-militare ma spirituale e culturale, in quanto ha come fine ultimo
l’affermazione dei valori etici della religione e della libertà.
HEGEL

Il giovane Hegel

Rigenerazione etico-religiosa e rigenerazione politica


Importanza degli scritti giovanili
Nelle sue opere giovanili l’argomento dominante è quello teologico, ma ha
un legame molto stretto con la politica. Hegel approfondisce uno dei temi
più importanti della Rivoluzione francese: il tema della rigenerazione
morale e religiosa dell’uomo come fondamento della rigenerazione
politica.

Religione e politica
Hegel crede che non sia possibile realizzare alcune rivoluzione politica se
non accompagnata da una rivoluzione del cuore, cioè una rigenerazione
della persona nella sua vita interiore e del popolo nella sua cultura. Proprio
per questo negli scritti del filosofo è impossibile distaccare in modo netto il
tema politico da quello religioso, poiché formano un’unità inscindibile.

Il contesto culturale e politico tedesco


Hegel da giovane ricevette una formazione prettamente legata alla
teologia del suo tempo. In Germania, religione e politica, erano
strettamente legate, ciò è causato da come i paesi tedeschi furono al
centro del movimento della Riforma protestante, quindi le Chiese riformate
e i principati tedeschi erano parte di un insieme politico-religioso
omogeneo, quindi erano parte di un unico quadro legato ai progetti di
riforma.

Mondo interiore e mondo esteriore


In alcune parti del Sui rapporti interni del Wurttemberg e nella
Costituzione della Germania, è possibile individuare alcune pagine relative
specificatamente alla politica. L’idea fondamentale degli tali scritti è che
l’aspirazione dei popoli a condurre una vita migliore e alla libertà deve
diventare realtà attraverso la realizzazione di progetti di riforma che
facciano decadere il vecchio impianto sociale; per realizzare tale proposta è
necessario che l’ansia di libertà del popolo, faccia nascere un nuovo ordine
giuridico esteriore, cioè si ritrovi in istituzioni sociali nuove, basare
sull’uguaglianza. Per Hegel, quindi, la rivoluzione nelle istituzioni avverà
solo come conseguenza esteriore di una maturazione avvenuta dentro la
coscienza della società.

Una nuova religione fondata sulla “comunanza dei cuori”


Nelle sue lettere private e in frammenti più grandi chiarisce il nesso tra
politica e religione. Affinché arrivino tempi migliori, è necessaria una nuova
forma di religione che permetta agli uomini di partecipare con la propria
vita interiore alla vita dello spirito di Dio, che si incarna nella storia
attraverso la stessa vita degli uomini. Un nuovo ordine politico egualitario
nascerà solamente quando i cittadini avranno imparato a vivere la religione
come comunanza dei cuori, cioè quando avranno imparato a riconoscere
nella vita interiore del suo vicino il riflesso dell’unica vita di Dio.

Le tesi di fondo del sistema


Per poter spiegare il pensiero di Hegel, è necessario chiarire le tesi di fondo
del suo idealismo:

1. la risoluzione del finito nell’infinito: afferma l’idea di Hegel che la realtà


non è un insieme di sostanze autonome ma un organismo unitario di cui
tutto è manifestazione

2. l’identità tra ragione e realtà

3. la funzione giustificatrice della filosofia.

Finito e infinito
L’infinito come unica realtà
L’organismo unitario non ha nulla al di fuori di sè, quindi coincide con
l’Assoluto o con l’infinito, mentre i vari enti del mondo coincidono con il
finito. Ciò che quindi noi definiamo “finito” è espressione parziale
dell’infinito. Come nessuna parte può esistere senza essere messa in
connessione col tutto, così il finito esiste unicamente nell’infinito e in virtù
dell’infinito. Il finito, poiché reale, non è tale, ma è lo stesso infinito.

L’infinito come soggetto spirituale in divenire


L’hegelismo è quindi una forma di monismo panteistico, cioè una teoria
che vede nel mondo, cioè il finito, la manifestazione o la realizzazione di
Dio, cioè dell’infinito. A volte si associa l’hegelismo allo spinozismo; in realtà
vi è una differenza sostanziale tra i due sistemi. Spinoza individua l’Assoluto
come una sostanza statica che coincide con la natura, per Hegel l’Assoluto
come un soggetto spirituale

Ragione e realtà
L’aforisma di Hegel
In Lineamenti di filosofia del diritto è possibile trovare un’aforisma che
identifica il vero e proprio senso della filosofia hegeliana: “Ciò che è
razionale è reale; e ciò che è reale è razionale”:

➔ nella prima parte della formula, Hegel afferma che la razionalità non
è idealità o schema, ma la forma stessa di ciò che già esiste;

➔ viceversa nella seconda parte, egli intende che la realtà non è


materia caotica, ma il dispiegarsi di una struttura razionale;

➔ quindi, Hegel non esprime la semplice possibilità che la realtà sia


penetrata dalla ragione, ma la necessaria e totale identità di realtà e
razionalità.

L’identità tra essere e dover essere


Da questa formula ne deriva l’idea che anche l’identità in sé implica la
stessa identità tra essere e dover essere, poiché ciò che in realtà è risulta
razionalmente ciò che deve essere. Tutte le sue opere insistono sul fatto
che il mondo in quanto è, e così com’è fatto, è razionalità dispiegata, cioè
ragione reale e realtà razionale che si mostra attraverso una serie di
momenti necessari. Ad esempio il mondo: da qualsiasi punto di vista esso
venga guardato, secondo Hegel, si troverà sempre una rete di connessioni
necessarie e di passaggi obbligati che insieme formano l’unica idea. Hegel,
seguendo quindi uno schema di tipo romantico, considera la realtà come
una totalità processuale necessaria.

La dialettica
L’assoluto per Hegel è il “divenire”; ciò che regola il divenire è la dialettica
che è sia legge di tipo ontologico di sviluppo della realtà sia legge di tipo
logica di comprensione della realtà. La dialettica di Hegel non è mai stata
approfondita dal filosofo, ma grazie ad alcuni usi legati a certi settori della
filosofia è possibile fissarne qualche tratto generale.
I tre momenti del pensiero
Distingue tre diversi aspetti del pensiero:

1. astratto o intellettuale;

2. dialettico o negativo-razionale;

3. speculativo o positivo-razionale.

Il momento astratto o intellettuale


Il primo aspetto coincide con il momento del concepire l’esistente sotto
forma di molteplicità di determinazioni statistiche e separate tra loro;
possiamo dire che è il momento in cui il pensiero sta alle determinazioni
rigide della realtà.

Il momento dialettico o negativo-razionale


Il secondo aspetto consiste nel mostrare come le determinazioni del primo
aspetto siano unilaterali ed esigano di essere messe in relazione con altre
determinazioni. Partendo da questo principio sappiamo che, poiché ogni
affermazioni sottointende una negazione, diviene indispensabile
procedere oltre il principio di identità e quindi mettere in rapporto le varie
determinazioni con le loro opposte; ad esempio: il concetto di “uno”, per
poter essere “smosso” dalla sua realtà, richiama il concetto di “molti” e
quindi manifesta uno stretto legame con esso.

Il momento speculativo o positivo-razionale


Il terzo momento consiste nel cogliere l’unità delle determinazioni opposte,
cioè capire che queste determinazioni sono aspetti unilaterali di una realtà
più grande che li sintetizza entrambi.

Intelletto, ragione dialettica e ragione speculativa


Dalla distinzione accurata condotta da Hegel dei tre momenti o aspetti del
pensiero, possiamo evincere la contrapposizione individuata dal filosofo tra
ragione ed intelletto:

● L’intelletto è un modo di pensare di tipo statico, che considera gli


enti solo nella loro reciproca esclusione;
● la ragione è un modo di pensare di tipo dinamico, quindi è capace di
cogliere la concretezza della realtà, essa è sia dialettica che
speculativa: in quanto dialettica essa nega le determinazioni astratte
dell’intelletto e le mette in relazione con le determinazioni opposte;
in quanto speculativa riesce a cogliere l’unità degli opposti
realizzandone la sintesi.

Nel pensiero hegeliano, l’intelletto è l’organo del finito, mentre la ragione è


quello dell’infinito. La ragione è quindi lo strumento tramite cui il finito (sia
parziale che astratto) viene concretizzato nell’infinito.

Tesi, antitesi, sintesi


La dialettica consiste quindi:

1. nell’affermazione di un concetto astratto, che diviene la tesi;

2. nella negazione di tale concetto e nel passaggio al concetto opposto,


quindi nell’antitesi;

3. nell’unificazione dell’affermazione e della negazione in una sintesi


positiva.

L’Aufhebung
La sintesi è quindi la ri-affermazione potenziata dell’affermazione iniziale,
cioè la tesi, che si ottiene tramite la negazione dell'antitesi. Questa
ri-affermazione è nominata nell’hegelismo “Aufhebung”, questo concetto
esprime l’idea di un superamento che sia togliere che conservare: esso
toglie attraverso l’opposizione tra tesi ed antitesi, e conserva consolidando
la verità della tesi, dell’antitesi e della loro opposizione. L’ “Aufhebung è il
progresso che accoglie in sé quello che c’è di vero nei momenti precedenti
alla tesi e all’antitesi, portando tale idea alla sua più alta espressione.

Puntualizzazione circa la dialettica


- illustria il principio fondamentale della filosofia di Hegel: la
risoluzione del finito nell’infinito, in quanto dimostra che ogni parte
della realtà non può esistere in se stessa ma solo in relazione ad altro;
il finito è dunque obbligato ad opporsi all’infinito → crisi del finito
- ha un significato ottimistico perchè unifica il molteplice e contempla
le opposizioni portando ad una sintesi ordinata; il negativo esiste
come momento dialettico del positivo
- la dialettica ha carattere chiuso in quanto ha un preciso punto di
arrivo: una sintesi finale aperta porterebbe al trionfo della “cattività
infinita”

La “fenomenologia” e la sua collocazione nel sistema hegeliano


La fenomenologia e le sue diverse prospettive
Il termine fenomenologia viene dal greco phainomenon, cioè “fenomeno”,
e logos, cioè “dottrina”,; esso indica la scienza di ciò che appare. Sapendo
che per Hegel l’intera realtà è spirito, la fenomenologia consiste nel
pervenire dello spirito alla consapevolezza di essere tutta la realtà. Hegel
illustra in due modi diversi il principio della risoluzione del finito
nell’infinito:

➔ da una parte si sofferma e analizza la vicenda storica fino alla


modernità, capendo cosa la coscienza umana ha compiuto per
arrivare alla consapevolezza di tale identità, o anche il “viaggio”
compiuto dallo spirito attraverso la coscienza umana per arrivare a
comprendere se stesso. Tale processo è la prospettiva diacronica o
fenomenologica;

➔ dall’altro lato Hegel esamina il principio della risoluzione che agisce


in tutte le determinazioni fondamentali della realtà: questa è la
prospettiva sincronica, nominata così poiché comprende tutti e tre i
momenti del “logos”, quindi tutta l’eterna coesistenza.

La prima parte descritta si trova nella Fenomenologia dello spirito, mentre


l’altra è descritta nell’ Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendie e
nelle opere che affrontano le singole parti.
La collocazione della fenomenologia e come viene intesa nel sistema
hegeliano
Ovviamente la descrizione diacronica del percorso compiuto dallo spirito fa
parte della realtà, quindi anche questo dovrà ripresentarsi come parte del
sistema generale della realtà. Proprio per questo motivo Hegel parla della
fenomenologia dello spirito anche nell’Enciclopedia. Nell’opera
Fenomenologia, Hegel ha narra le vicende legate allo spirito, tali vicende
corrispondono alle vicende del principio hegeliano dell’infinito nelle sue
prime apparizioni. In quest’opera Hegel descrive il progressivo affermarsi e
conoscersi dello spirito, tale progresso avviene tramite una serie di figure,
cioè delle tappe ideali che hanno trovato un'esemplificazione tipica nel
corso della storia.

Per tali motivi è possibile comprendere perché la fenomenologia sia la


storia romanzata della coscienza che, attraverso conflitti e serramenti, esce
dalla sua individualità, raggiunge l’universalità e si riconosce come ragione
che è realtà e realtà che è ragione. Il ciclo della fenomenologia può essere
riassunto in una delle sue figure più particolari: la coscienza infelice, essa è
quella che non sa di essere tutta la realtà e quindi si ritrova ad essere divisa
in opposizioni o conflitti, dai quali è internamente dilaniata.

La fenomenologia ha sia uno scopo introduttivo che pedagogico: non


essendo possibile elevarsi alla filosofia come scienza senza mostrarne il
divenire, la fenomenologia prepare e introduce la singola cosa alla filosofia,
in altre parole tende a far sì che questa si riconosca e si risolva nello spirito
universale.

Le tappe della fenomenologia


E’ possibile dividere l’opera in due parti:

1. la prima che comprende i tre momenti della coscienza,


dell’autocoscienza e della ragione, rispettivamente tesi, antitesi e
sintesi;

2. la seconda che comprende le tre sezioni dello spirito, della ragione e


del sapere assoluto.

Nella prima parte Hegel affronta diverse tematiche, spiegando come nella
fase della coscienza predomini l’attenzione verso l’oggetto, in quella
dell’autocoscienza l’attenzione è rivolta verso il soggetto e infine in quella
della ragione si arriva ad una conclusione; riconoscere l’unità profonda di
soggetto e oggetto.

Autocoscienza
Le figure Più celebri della fenomenologia si trovano nella parte dedicata
all'autocoscienza. con l'autocoscienza, l'attenzione non sarà più posta
nell'oggetto bensì sarà nel soggetto, cioè all'attività concreta realizzata
dall'io, sempre preso in considerazione nei rapporti con gli altri. Questa
sezione tocca diversi settori come per esempio la storia della filosofia e la
ragione.

Servitù e signoria
La necessità di un reciproco riconoscimento tra le autocoscienze
L'uomo, secondo il filosofo, diverrà autocoscienza solo se riesci a farsi
riconoscere da un'altra autocoscienza, cioè da un altro essere libero e
pensante: proprio per questo l'uomo non può limitarsi a cercare
l’appagamento dei propri desideri in oggetti sensibili. Sarebbe facile
credere che il reciproco riconoscersi tra autocoscienze avvenga tramite
l’amore, cioè il miracolo per ciò che prima era due diviene uno. Nella
Fenomenologia però Hegel non sceglie l’amore, esso non insiste
abbastanza sul carattere drammatico della separazione tra le
autocoscienze e delle diverse situazioni che portano al reciproco
riconoscimento, ad esso quindi mancano dolore e pazienza. Proprio per
questo il riconoscimento deve passare attraverso un momento di lotta e di
sfida, tramite un conflitto tra le due autocoscienze.
Il rapporto servo-signore
Tale conflitto non finirà con la morte delle due autocoscienze, ma con il
subordinarsi di una all’altra, in un rapporto servo-signore. Il signore è colui
che ha messo a repentaglio la sua vita pur di ottenere la propria
indipendenza, mentre il servo è colui che ha deciso di perdere la propria
indipendenza, pur di vivere. La dinamica di tale rapporto, analizza Hegel,
porterà comunque ad una paradossale inversione di ruoli, quindi il caso in
cui il signore diviene servo del servo e il servo signore del signore; ciò
avviene poiché il signore, che gode passivamente del servizio dei servi,
finisce per essere dipendente da questi nonostante la sua indipendenza; il
servo invece per come trasforma le cose diverrà indipendente.
Il processo dell’acquisizione dell’indipendenza compiuto dal servo avviene
tramite tre momenti: paura della morte, del servizio e del lavoro. Lo schiavo
diviene tale poiché ha avuto paura davanti alla morte, egli non ha avuto
paura della perdita della propria essenza. Ha avuto paura del servizio,
poiché in tale momento la coscienza si autodisciplina e impara a vincere i
propri impulsi naturali; infine il momento della paura del lavoro, formando
e coltivando le cose il servo aiuta se stesso e imprime nell’essere quella
forma che è dell’autocoscienza, trovando se stesso nella propria opera.

Letture marxiste ed esistenzialiste


Il rapporto servo-signore presenta una notevole ricchezza tematica,
apprezzata dai marxisti, che hanno ritrovato nei concetti di Hegel
quell’importanza al lavoro e alla storia che loro stessi portano avanti nelle
loro teorie.

Stoicismo e scetticismo
Il raggiungimento dell’indipendenza dell’io nei confronti delle cose sta
nello stoicismo, un tipo di visione del mondo che celebra l’autosufficienza e
la libertà del saggio nei confronti della vita che lo circonda, ma in esso
l’autocoscienza, che vuole liberarsi dalle passioni futili, arriva solo ad
un’astratta libertà interiore.
Allo scetticismo appartiene quella visione del mondo che sospende
l’assenso su tutto ciò che è comunemente ritenuto vero e reale; a causa
però del suo atteggiamento di negatività verso l’alterità, lo scetticismo
porta ad una situazione contraddittoria e insostenibile. Hegel, infatti, va
contro lo scetticismo usando l’argomento tradizionale: lo scettico si
autocontraddice, poiché dichiara che tutto è vano e non vero, mentre
dall’altro pretende di dire qualcosa che sia reale.

La coscienza infelice
Oltre a questa contraddizione tra la negazione della verità e l’affermazione
di una verità, la coscienza scettica trapassa nella figura della coscienza
infelice, dove tale contraddizione diviene evidente e assume la forma di
una separazione radicale tra uomo e Dio. Lo scetticismo di cui Hegel parla è
anche quello religioso di Pascal. secondo cui tutto è vanità. Lo scettico, che
non crede in nulla, è in realtà un religioso, perché sulla nullità della creatura
basa poi l’infinità di Dio. A causa di questa distinzione tra uomo e Dio, tra
finito e infinito, nell’uomo si genera una condizione di infelicità.
L’ebraismo
Questa condizione si manifesta in primo luogo sotto forma di antitesi tra
“intrasmutabile” e il “trasmutabile”; tale situazione è presente nell’ebraismo,
dove l’essenza o la realtà vera, è sentita come lontana dalla coscienza del
singolo e assume le sembianze di un Dio trascendente, padrone della vita e
della morte, una specie di Signore inaccessibile di cui l’uomo è dipendente.
Il cristianesimo medievale

Oltre a questa situazione possiamo notare come in un secondo momento,


nel cristianesimo medievale, l’intrasmutabile diviene la figura di un Dio
incarnato, dove anziché considera Dio come un padre, lo vede sotto forma
di una realtà “effettuale”(Gesù Cristo). La coscienza, con il cristianesimo,
continua ad essere “infelice” e Dio continua a configurarsi come un
"irraggiungibile al di là che sfugge”. Le manifestazioni di quest’infelicità
sono le sotto-figure della devozione, del fare e della mortificazione di sé.
La devozione è quel pensiero a sfondo religioso che non si è ancora elevato
al concetto, secondo Hegel il pensare della devozione rimane “un vago
brusio di campane, un pensare musicale che non arriva al concetto”.
Il fare è il momento per cui la coscienza cerca di esprimersi nell’appetito o
desiderio, e nel lavoro. Comunque la coscienza cristiana non può fare a
meno di avvertire il frutto del proprio lavoro come un dono di Dio, a tal caso
essa si umilia ulteriormente e riconosce che ad agire è solo Dio.
Infine si ha la mortificazione di sé, dove si ha la completa negazione dell’io
a favore di Dio. Con le diverse pratiche ascetiche, ci troviamo davanti ad
una personalità tanto misera quanto infelice, una personalità “che non
riesce se non a covare se stessa”.
Il punto più basso però viene raggiunto dall’uomo nel punto più alto
dialetticamente, quando la coscienza, mentre cerca di avvicinarsi a Dio, si
rende conto di essere lei stessa Dio.

Lo Stato
Lo Stato è nella filosofia hegeliana il momento culminante dell’eticità, cioè
la ri-affermazione dell’unità della famiglia al di là della dispersione della
società civile. Lo Stato è come una grande famiglia, dove l’ethos di un
popolo esprime con consapevolezza se stesso, sta infatti alla società civile
come l’universale sta al particolare. Se la famiglia è una totalità organica
che in una certa misura è ancora “natura”, la società civile introduce
l’elemento della soggettività e della separazione, perdendo però
l’organicità. Con la consapevolezza soggettiva, dove il cittadino sa di essere
parte di tutto, si ha la congiunzione dell’organicità. Lo Stato è per Hegel
“sostanza etica consapevole di sé” esso è il vero soggetto del bene e del
male, ciò che sostiene le scelte del singolo, sapendole orientare.

Il rifiuto del modello liberale e di quello democratico


Questa concezione dello Stato, come incarnazione suprema della moralità
sociale e del bene comune, è nettamente lontana dal modello politico
elaborato da Locke e da Kant , cioè la teoria liberale dello Stato come
strumento che serve a garantire sicurezza e diritti ad individui. Per Hegel,
questa teoria liberale, porterebbe ad una fusione tra società civile e Stato,
quindi ad una riduzione dello Stato visto come un semplice tutore dei
particolarismi della società civile. Allo stesso modo lo Stato di Hegel si
differenzia da quello di Rousseau, quindi dalla teoria democratica,
concezione secondo cui la sovranità risiederebbe nel popolo. Hegel
commenta questo modello dicendo che la sovranità risiede nei confusi
pensieri, poiché il popolo, al di fuori dello Stato, è solo una moltitudine
uniforme.
Hegel crede che la sovranità dello Stato deriva da esso medesimo. Lo Stato
non è fondato sugli individui, ma sull’idea di Stato, quindi su un concetto di
bene universale. Le sue critiche ai modelli precedenti hanno la concezione
organicistica dello Stato, secondo cui è lo Stato che fonda gli individui, sia
dal punto di vista storico-temporale, sia dal ideale e assiologico. Oltre a
quest’ottica organicistica si ha pure il rifiuto del modello contrattualistico,
ovvero delle teorie che dovrebbero far dipendere la vita associata da un
contratto che porta alla volontà arbitraria degli individui.

Il rifiuto del modello contrattualistico e di quello giusnaturalistico


Egli contesta anche il giusnaturalismo, l’idea di diritti naturali esistenti
prima e oltre lo Stato. Hegel condivide che esso sia la tendenza a fare dello
Stato il punto culminante del processo storico, tesi della supremazia della
legge, concepita come più alta manifestazione della volontà razionale dello
Stato.

La superiorità delle leggi


Lo Stato presentato da Hegel non è dispotico, Hegel ritiene che lo Stato
debba soltanto operare attraverso le leggi e secondo le leggi. Segue il
principio secondo cui a governare non devono essere gli uomini, ma le
leggi.
La filosofia della storia
Hegel sa che la storia, sotto alcuni punti di vista, potrebbe risultare un
tessuto fatto di cose insignificanti e mutevoli, ciò accade quando si ha un
punto di vista dell’intelletto finito, cioè dell’individuo che non sa elevarsi al
punto di vista della ragione assoluta.

La razionalità della storia


Il contenuto della storia del mondo è razionale, la stessa fede religiosa nella
provvidenza implica la razionalità della storia; secondo Hegel essa deve
essere sottratta alla limitazione umana di non essere capaci a
comprendere i disegni provvidenziali, e portata alla forma di un sapere che
riesca a riconoscere le vie della provvidenza e di determinare fine, mezzi e
modi della razionalità della storia.

Il fine della storia del mondo è che “lo spirito giunga al sapere di ciò che
esso è veramente e oggettivi questo sapere, lo realizzi facendone un
mondo esistente”: Questo spirito che si realizza in un mondo esistente. è lo
spirito del mondo che s’incarna negli spiriti dei popoli che si succedono
all’avanguardia della storia. I mezzi sono gli individui con le loro passioni:
Hegel non condanna le passioni, esse sono mezzi che conducono nella
storia a fini diversi da quelli a cui esse mirano. L’azione dell’individuo,
quindi, sarà tanto più efficace quanto più sarà conforme allo spirito del
popolo a cui l’individuo appartiene. La tradizione non è solo conservazione,
ma anche progresso e così come la conservazione trova i propri strumenti
negli individui conservatori, ugualmente il progresso trova i propri
strumenti negli eroi della storia del mondo. All’apparenza gli eroi della
storia (Alessandro, Cesare) seguono le proprie passioni, ma per Hegel si
tratta di un’astuzia della ragione che si serve dei singoli e delle loro passioni
come mezzi per arrivare ai propri fini. Il fine ultimo della storia del mondo è
la realizzazione della libertà dello spirito, questa libertà avviene nello Stato,
lo Stato è quindi il fine supremo. Il fine e i mezzi della storia

I tre momenti della realizzazione della libertà del mondo


La storia del mondo sarà la successione di diverse forme statali che
costituiscono i diversi momenti di quello che è il divenire assoluto. I tre
momenti di questo progresso, il mondo orientale, il mondo greco-romani, il
mondo germanico, sono considerati come i momenti di realizzazione della
libertà dello spirito del mondo.

Nel mondo orientale uno solo è libero, in quello greco-romano sono alcuni i
liberi, in quello germanico tutti gli uomini sanno di essere liberi. La libertà
che viene rivendicata dall’uomo, si può realizzare solo nello “Stato etico”,
che risolve l’individuo nell’organismo universale della comunità e non sarà
certamente uno Stato di tipo liberale. Per Hegel “il diritto, la morale, lo
Stato, e solo essi sono la positiva realtà e soddisfazione della libertà"

Schelling

L’Assoluto come indifferenza di spirito e natura: le critiche a


Fichte
La filosofia di Fichte si presenta come una filosofia dell’infinito dentro e
fuori l’uomo e, con questa riflessione, dava inizio all’epoca del
Romanticismo.

Schelling cerca di rivolgere il fichtismo alla difesa degli interessi che gli
premevano maggiormente: quelli naturalistico-estetici; a questo fine egli
vuole unire l’Io di Fichte, principio dell’infinità soggettiva, all’Io di Spinoza,
principio dell’infinità oggettiva. Questa unione si manifesta nel concetto di
Assoluto, che non può essere ridotto né all'oggetto né al soggetto in
quanto costituisce il fondamento ultimo di entrambi: il principio supremo
sarà insieme soggetto e oggetto, ragione e natura.

Nel pensiero di Schelling la natura ha vita, razionalità e valore in se stessa:


deve quindi avere in sé un principio autonomo, che deve essere lo stesso
che spiega il mondo della ragione e l’Io.

La ricerca filosofica di Fichte ha come principi fondamentali proprio il


riconoscimento del valore autonomo della natura e la tesi dell’Assoluto
come unità (o identità indifferenziata) di natura e spirito; essa ha due
possibili direzioni:

- la filosofia della natura, che spiega come l’indagine della natura


giunga necessariamente allo spirito → la natura è spirito visibile

- la filosofia trascendentale o dello spirito, che mostra come l’indagine


dello spirito giunga necessariamente alla natura → lo spirito è natura
invisibile

Non esiste quindi una pura oggettività, ossia una natura che sia puramente
natura, o una pura soggettività, ossia uno spirito che sia puramente spirito.
➢ L’Assoluto non è né oggetto né soggetto, ma l’unità o identità
indifferenziata di soggetto e oggetto, spirito e natura, ideale e reale,
conscio e inconscio.

La filosofia della natura


(Schelling prende spunto dalla Critica del Giudizio di Kant e dai
Fondamenti dell’intera dottrina della scienza di Fichte.)

Alla base di questa filosofia abbiamo il rifiuto dei due tradizionali modelli
esplicativi della natura:

1. modello meccanicistico-scientifico: interessa la materia ed i suoi


meccanismi di movimento e causa, ma non riesce a spiegare gli
organismi viventi

2. modello finalistico-teologico: ricorre agli interventi di un intelletto


divino che finisce per compromettere l’autonomia e l’autarchia
(autosufficienza) dei processi naturali

Schelling presenta quindi un proprio modello, quello dell’organicismo


finalistico e immanentistico, secondo il quale:

- ogni parte ha senso solo in relazione al tutto ed alle altre parti che lo
costituiscono (organicismo)

- esiste una finalità superiore (finalismo) che non deriva da un


intervento esterno, ma è interna alla natura stessa (immanentistico).

La natura è quindi un organismo che organizza se stesso; parlare in


termine di organizzazione significa ammettere che essa obbedisce ad un
“concetto” che Schelling identifica nell’anima del mondo, una forza
organizzatrice dei fenomeni che sostiene la continuità del mondo. La
natura presenta quindi gli stessi caratteri che Fichte aveva attribuito all’Io,
in quanto essa ha attività creatrice.

La natura si compone di due principi di base: l’attrazione e la repulsione;


ogni fenomeno è infatti l’effetto di una forza limitata in quanto
condizionata da una forza opposta → la natura agisce attraverso la lotta di
queste forze opposte, la cui azione è condizionata dalla quantità (le forze
operano meccanicamente e l’attrazione prende il nome di “gravitazione”) o
dalla qualità dei corpi (le forze operano chimicamente e l’attrazione prende
il nome di “affinità”).
Considerando questa lotta in riferimento al prodotto, abbiamo tre casi
possibili:

- se le forze sono in equilibrio, abbiamo corpi non viventi

- se l'equilibrio viene rotto e ristabilito, abbiamo il fenomeno chimico

- se l’equilibrio non viene ristabilito, abbiamo la vita.

MARX
Il marxismo rappresentò nelle componenti intellettuali e politiche più
importanti e l’età moderna.

Una delle caratteristiche principali del pensiero di Marx, è il carattere


globale della sua analisi.tale analisi infatti non può essere considerata
unicamente come un’analisi filosofica ,sociologica o economica, ma si pone
come un’analisi globale della società e della storia. Come viene affermato
da studiosi , il marxismo non si può collocare in nessun comparto delle
scienze, in quanto seppur si facesse rientrare il marxismo nella sociologia,
quest’ultimo comunque riuscirebbe ad inserirsi all’interno del ramo
dell’economia ,della filosofia ,della storia e del diritto.Si può affermare
quindi che Marx indaga sulla società non a compartimenti differenziati ma
nell’unità organica delle sue manifestazioni.

Una seconda caratteristica del pensiero di Marx è l’impegno pratico. Si


tratta di un punto chiave del pensiero marxista,che sta alla base del
rivoluzionarismo che lo distingue, in quanto marx ,al contrario di hegel che
rimase puramente un teorico,cerca ,tramite la nascita di una nuova società
di mettere in atto il connubio tra realtà e razionalità.Marx infatti
,nonostante l’interesse verso la scienza ed il pensiero ,ricercó per tutta la
vita l’unione tra teoria e prassi.

Per tale motivo nell’effettuare un’interpretazione dell’uomo e del mondo


auspicava in una trasformazione rivoluzionaria .

Per quanto riguarda le influenze culturali che stanno alla base del
marxismo troviamo:

-la filosofia classica tedesca (Hegel,federbach)

-l economia politica borghese

-il pensiero socialista


Tutte queste influenze vengono riprese da Marx,che partendo da esse
elabora una nuova visione del mondo

LA CRITICA ALLO STATO MODERNO E AL LIBERALISMO


Alla base del pensiero di Marx e della sua visione al comunismo, vi è la
critica globale della civiltà moderna dello Stato liberale.
Fondamento di tale critica è la scissione tra società civile e stato . Secondo
Marx l’uomo è costretto a vivere due vite una interna come borghese, cioè
tra l’egoismo e l’interesse, e l’altra in cielo come cittadino, ovvero una vita
dedita allo Stato e l’interesse comune.
Nonostante ciò, però secondo Marx, la vita in cielo, la sfera dello Stato è
illusoria, in quanto secondo Marx non è lo Stato che innalza la società al
bene ma è la società che abbassa lo Stato, trasformandolo in uno
strumento nelle mani delle classi più forti,che va a riflettere gli interessi di
tali classi. Per Marx, la civiltà moderna non è altro che una società egoista e
reale e allo stesso tempo la società della fratellanza ,società illusoria. Marx
afferma ,sulla base di ciò,che gli individui dell’epoca borghese pur essendo
tutti disuguali pensano di essere tutti uguali di fronte allo Stato.

Secondo Marx la civiltà moderna è caratterizzata dall atomismo e dall


individualismo, che viene riconosciuto dai diritti dell’uomo tramite la libertà
individuale e la proprietà privata, che sono secondo Marx la proiezione
politica di una società a-sociale.
Sulla base di ciò effettua anche una critica alla tradizione
liberal-democratica,nella quale rifiuta tutti gli aspetti della civiltà liberale
,tra cui il principio della rappresentazione e il principio della libertà
individuale.
La critica di Marx e lo Stato moderno, viene effettuata sulla base di una
società ideale che il filosofo ha in mente. Si tratta di una società organica,
nella quale si ha la fusione tra individuo e società e secondo Marx l unico
modo per realizzare tale società è l eliminazione della società privata,
considerata da Marx come il fondamento di ogni diseguaglianza.

Ciò può avvenire secondo Marx tramite la rivoluzione sociale, della quale
viene riconosciuto come soggetto esecutore il proletariato, cioè una classe
priva di proprietà e più propensa a realizzare una democrazie comunista. Si
contrappone così all’emancipazione politica, costituita di uguaglianze
formali, una emancipazione umana, che si basa sull’uguaglianze sostanziali
La critica all’economia borghese
Per quanto riguarda l’economia borghese, Marx sviluppa un doppio
atteggiamento: se da una parte viene vista come espressione teorica della
società capitalistica, dall’altra viene considerata come la causa
dell’immagine falsificata del mondo borghese,in quanto il filosofo
riconosce l’incapacità di pensare in modo dialettico che porta la borghesia
A considerare il capitalismo non come uno dei sistemi economici della
storia ma come il sistema economico per eccellenza,non sapendo
individuare i limiti ,che in particolare stanno nell’opposizione tra borghesia
e proletariato che scaturisce nell’alienazione.

-l’alienazione

Il concetto di alienazione trova le sue radici sia in Hegel (il quale la riteneva
allo stesso tempo sia come una cosa positiva che come una cosa negativa,
in quanto la considerava come il movimento stesso dello spirito che in un
primo momento si modifica da se nella natura e nell’oggetto stesso, per poi
potersi riappropriare di sé in modo arricchito) sia in Feuerbach (Per il quale
assume un significato unicamente negativo, in quanto viene riconosciuta
come la condizione dell’uomo religioso che tramite la scissione si
sottomette addio, estraniandosi dalla realtà).Marx nello sviluppare il
concetto dell’alienazione, si rifà soprattutto a Feuerbach, dal quale riprende
il concetto di dipendenza.tuttavia Marx considera tale concetto come un
fatto reale di natura socio economica e non religiosa, in quanto va a
rappresentare la condizione del operaio all’interno della società
capitalistica. Secondo Marx la causa dell’alienazione, cioè la sottomissione
all’operaio rispetto al mondo capitalista, sta nella proprietà privata , Che
comporta la presenza del capitalista, il possessore della fabbrica, che
sfrutta gli operai per accrescere la propria ricchezza.Per Marx infatti il
lavoratore può essere alienato rispetto:
-il prodotto del suo lavoro,prodotto che non gli appartiene e che gli viene
sottratto
-alla sua attività, Che secondo Marx assume la forma di un lavoro forzato,
poiché il lavoratore diventa strumento per fini a lui estranei, ossia per il
profitto del capitalista e ciò secondo Marx porta l uomo a sentirsi bestia
quando dovrebbe sentirsi uomo (cioè nello svolgimento di lavori utili
socialmente )e e si sente uomo quando dovrebbe sentirsi bestia.
-al proprio Wesen ,cioè la propria essenza, E ciò secondo Marx deriva dal
lavoro forzato e ripetitivo.
-rispetto al prossimo,che rappresenta il capitalista ,cioè colui che sfrutta gli
operai e li elude dai frutti ,dai prodotti del loro lavoro sviluppando in quest
ultimi un rapporto conflittuale
con la società.
Essendo la proprietà privata a causa dell’alienazione, secondo Marx la
dis-alienazione può avvenire unicamente con l’affermazione del
comunismo.
LA CONCEZIONE MATERIALISTICA DELLA STORIA

Dall’ideologia alla scienza


Per Marx il termine ideologia prende il significato di falsa e deformata
rappresentazione della realtà.
Il passaggio di Marx dall’umanismo al materialismo storico avviene con la
scrittura dell’opera l’ideologia tedesca, scritta insieme ad Engels. Tale opera
può essere considerata originale in quanto si ricerca l verità sulla storia ,al di
là delle diverse ideologie ,tramite un approccio storico-materialistico e una
visione obbiettiva della società,in modo da descrivere non ciò che gli
uomini possono apparire ma ciò che sono realmente.
Tale approccio portò ovviamente alla nascita di una nuova scienza,la
scienza della storia,in contrasto con la vecchia filosofia idealistica e secondo
la quale la filosofia assume il ruolo di sintesi dei comportamenti umani
derivanti dallo studio della storia.
Grazie a tale scienza Marx arriva affermare che l’umanità è intesa in modo
scientifico è una specie composta di individui che lottano per la
sopravvivenza. Marx infatti afferma che l’uomo si distingue dagli animali
oltre che per la conoscenza per la religione, ma principalmente per la
capacità di produrre da sé i mezzi per sopravvivere. Per questo motivo Marx
arrivó ad affermare che alla base della storia vi è il lavoro, creatore di civiltà
e di cultura, tramite il quale l’uomo si rende tale

Forze produttive e prodotti di produzione


Alla base della scienza storica di Marx troviamo le forze produttive e
rapporti di produzione.
Le forze produttive sono tutti gli elementi necessari per la produzione
ossia:
-la forza lavoro, cioè gli operai
-i mezzi di produzione
-Le conoscenze tecniche.
Per quanto riguarda i prodotti produzione, si intendono i rapporti tra gli
uomini durante la produzione, che si definiscono rapporti di proprietà.
Il connubio tra forze produttive e rapporti di produzione costituisce il modo
di produzione.
Struttura e sovrastruttura
La struttura indica, l’insieme dei rapporti di produzione o può essere
definita la base economica ,dalla quale dipende il modo di produzione,
intesa come lo scheletro economico della società,la struttura appunto.
Il termine sovrastruttura va ad indicare l’insieme delle istituzioni politiche e
religiose e filosofiche che corrispondono a una determinata struttura.
Sulla base di tali definizioni Marx afferma con l’espressione di materialismo
storico che non sono le leggi lo Stato e le forze politiche e religiose a
determinare la struttura della società ma è la struttura economica e sociale
che determina l’impostazione dello Stato e la natura religiosa e legislativa.
Per Marx quindi il termine materialismo non va ad indicare che la materia è
la sostanza la causa delle cose ma per Marx il termine materialismo va ad
indicare che le vere forze motrici della storia non sono di tipo spirituale ma
si tratta di cause di tipo socio economiche.

Rapporto struttura e sovrastruttura


Per quanto riguarda il rapporto tra struttura e sovrastruttura, Marx fa uso di
due verbi determinare e condizionare. Nonostante Marx affidi ai due
termini lo stesso significato, in realtà indicano due visioni completamente
opposte. Da una parte determinare indica un rapporto più stretto e
immediato, dall’altra condizionare va ad indicare un rapporto più diretto.
Tale errore è dovuto al fatto che in generale Marx voleva indicare la
dipendenza della sovrastruttura dalla struttura evitando però di esprimere
tale rapporto in modo meccanico e immediato.
Tra tali organismi il primato della struttura. Marx afferma che le idee
possono influire sugli avvenimenti storici perché le idee esprimono già dei
mutamenti all’interno della struttura sociale.Secondo Marx quindi si può
affermare che l’unico elemento determinante della storia è la struttura
economica, in quanto si auto determina; la sovrastruttura invece viene
considerato come unicamente un riflesso della struttura, nonostante ciò
non vuol dire ridurre la sovrastruttura a qualcosa di poco importante o di
superfluo. Infine come spiegherà l’amico Engels , un ulteriore elemento
che è determinante nella storia è la produzione la riproduzione della vita
reale e non unicamente il fattore economico.
La dialettica della storia
Le forze produttive e i rapporti di produzione oltre ad essere fondamentali
nella struttura della società, sono significativi in quanto rappresentano la
legge della storia, cioè le dinamiche. Marx afferma che i rapporti di
produzione dipendono dalle forze produttive e appunto,si mantengono
fino a quando si mantengono le forze produttive e si distruggono quando
costituiscono degli ostacoli per quest ultime.Le forze produttive si
sviluppano più rapidamente però dei rapporti di produzione e proprio tale
contrasto provoca l’epoca di rivoluzione sociale.ciò perché le nuove forze
produttive sono rappresentate da una classe in ascesa m mentre i vecchi
rapporti di proprietà sono rappresentati da una classe dominante al
tramonto.
Da tale contrasto è inevitabile lo scontro, che porta al trionfo della classe
che riesce a imporre il proprio modo di produrre e di distribuire le
ricchezze.Un esempio è la Francia del settecento dopo nello scontro tra la
borghesia, che rappresentava le nuove forze produttive e l’aristocrazia,
espressione dei vecchi rapporti di proprietà, uscì trionfante la borghesia
poiché seppe imporre i propri rapporti di proprietà.Nel capitalismo
moderno, la fabbrica, pur essendo proprietà di un capitalista o di un
gruppo di azionisti, produce, grazie al lavoro comune di operai, tecnici,
impiegati, dirigenti e via dicendo; ma, se sociale è la produzione della
ricchezza, sociale dovrebbe essere anche la distribuzione della stessa: il che
significa che il capitalismo porta in sé la base del socialismo.
La contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione permettono
a marx di delineare un quadro generale del passato.All interno della
prefazione dell opera’ Per La critica dell’economia politica’ distingue 4
grandi epoche , sei utilizzate da diverse formazioni economiche della
società: quella asiatica , Quell’antica, quella feudale e quella borghese. Oltre
queste quattro impostazioni economico sociali vengono introdotte dai
marxisti anche la comunità primitiva ( di stampo comunista)e la futura
società socialista, che vengono citate da Marx all’interno dell’opera.
Queste epoche non sono delle tappe necessarie. Il carattere progressivo
della storia è uno sviluppo che, a partire dalla comunità comunista
primitiva, conduce all’affermazione della società socialista, attraverso una
serie di fasi intermedie (proprietà privata e divisione in classi sociali).

–legame con Hegel-


Il carattere dialettico della teoria marxiana e il suo legame con Hegel è ben
riconoscibile: per entrambi la storia è una totalità processuale necessaria,
dominata dalla forza della contraddizione e che mette capo ad un risultato
finale inevitabile.
Però per Marx la dialettica non è spirituale, come per Hegel, bensì
materiale, ovvero economico- sociale, e consiste nell’inevitabilità del
passaggio dalla società capitalista a quella comunista. Il soggetto della
dialettica storica per Marx non è più lo spirito,ma la struttura economica
delle diverse classi sociali. Infine, inoltre le opposizioni che muovono la
storia sono concrete e non astratte e sono riconducibili al contrasto tra le
forze produttive e rapporti di produzione.

IL MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA

Il manifesto del partito comunista all’interno del quale Marx espone gli
scopi e metodi della sua azione rivoluzionaria, può essere considerato
come la sintesi del pensiero di marx., Marx espone sinteticamente il suo
pensiero in relazione a tre punti principali e precisamente:
-La funzione della borghesia nella storia
-la lotta di classe e rapporto tra proletari e comunisti
-la critica dei socialismo non scientifici

Per quanto riguarda il primo punto possiamo distinguere meriti e limiti


che Marx attribuisce alla borghesia:
Meriti: ha rivoluzionato il il modo di produrre e i rapporti sociali,portando all
innovazione tecnologica .
Limiti: la realtà economico sociale creata dalla borghesia è di tipo
dinamico, nel senso che
può esistere solo attraverso una continua rivoluzione ed inoltre ha creato
dei rapporti sociali di produzione contraddittori rispetto alla distribuzione
privatistica della produzione come la classe del proletariato che non può
fare a meno di operare una lotta di classe a causa dell’oppressione della
società borghese.
Per quanto riguarda il secondo punto, possiamo dire che la lotta di classe è
la chiave di ogni sviluppo storico: in ogni sistema produttivo si sviluppano
progressivamente nuove forze di produzione, che si mettono in conflitto
con la classe dominante. Al culmine della lotta ci sarà la rivoluzione sociale,
che modificherà il vecchio sistema produttivo.
Infine in coerenza con le proprie tesi termina il manifesto con la frase
“proletari tutti i paesi, unitevi“

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