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storia della filosofia Gaetano Rametta (idealismo tedesco,


feuerbach, Marx etc.)
Storia della Filosofia (Università degli Studi di Padova)

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IDEALISMO TEDESCO: premessa

Fichte rappresenterebbe l'«idealismo soggettivo», Schelling l'«idealismo oggettivo», e quindi Hegel l'«idealismo assoluto»,

Prospettiva trascendentale?

il termine trascendentale indica il meccanismo "formale" della conoscenza, a prescindere cioè dal contenuto di essa, Kant e
Fichte la interpretano come incentrata sulla soggettività. Kant dice che è l’uomo stesso che attraverso la sua ragione stabilisce i
concetti (derivanti dall’esperienza) e le categorie (a priori) all’interno dei quali si sviluppa la nostra esperienza. Kant concepì la
propria filosofia come una rivoluzione filosofica (o "rivoluzione copernicana"), volta a superare il dogmatismo
metafisico e ad assumere i caratteri di una ricerca critica sulle condizioni del conoscere.

Questo soggettivismo in realtà è però apparente in quanto il pensiero di Kant è molto più complesso.

Fichte?

Il principio di tutta la filosofia è l’io assoluto che è Il fondamento e origine di tutti i processi, non solo conoscitivi ma di tutto ciò
che è in relazione tra io e non io. L’io assoluto non ha nulla a che fare con la coscienza empirica è una struttura
trascendentale che permette di pensare, di spiegare la costituzione della nostra personalità (coscienza empirica) e della nostra
identità individuale. Esso è reale ma nella forma dell’idea non nella forma di oggetto/entità, è una forma di possibilità senza
cui non sarebbe possibile la vita stessa. Qui capiamo che il soggettivismo e il concetto di soggetto per Fiche vogliono dire tante
cose, l’io assoluto è una struttura trascendentale a priori che pur essendo immanette nella vita dei soggetti non è equiparabile a
questi

 dottrina della scienza


 Hegel lo critica per la persistenza del dualismo kantiano, tra finito e infinito.

Il secondo Fichte?

Berlino 1800, elabora una nuova concezione del trascendentale e una modificazione del concetto di assoluto. Abbiamo detto che
comunque anche prima nell’io assoluto vi era un accezione di soggettività, a Berlino l’io assoluto non è più concepito come
assolto, ma viene concepito come espressione e manifestazione di una dimensione più originaria della soggettività. Questo
nuovo assoluto è la vita intesa come vita originaria. Il fenomeno (mondo conosciuto per Kant, apparenza per shopenhauer)
diventa manifestazione, ovvero una espressione di quella potenza che ne sta all’origine (la potenza creatrice= vita). Il rapporto
vita- sue manifestazioni/fenomeno non può essere interpretato come nesso causale e deterministico poiché funziona solo
all’interno dei fenomeni (vita non è fenomeno), è un rapporto libero e creativo.

L’autore dopo questa modifica del suo pensiero afferma che: Il soggetto è tanto più realizzato quanto più nel suo agire, nel suo
vivere, reca manifestazione di quell’originario che ne costituisce il nucleo vivente, cioè appunto la vita (noi siamo un tramite
della vita).

La libertà?

Allora la libertà del soggetto non è la libertà come pura e semplice facoltà di scelta fra alternative, non è puro e semplice libero
arbitrio, è potenza (potere attivo di sviluppo) di creazione. Di conseguenza il soggetto diventa libero quando riconosce
che il suo vivere è a sua volta derivato, incorporazione di una potenza di vita che non è sua propria, ma che opera al
proprio interno, senza di cui il soggetto non potrebbe esistere, la nostra attuazione come soggetti liberi non è separabile dalla
consapevolezza di un limite (auto limitazione, responsabilità nei confronti della vita). Ciascuno di noi è un insieme di facoltà e
di capacità potenziali che per attivarsi esigono un impegno, una serie di scelte e di atteggiamenti che riflettano la
consapevolezza che il soggetto non è il padrone dell’esistenza, ma è una forma di manifestazione della vita stessa, il limite non è
una mancanza, una privazione, ma è condizione per l’esercizio della propria potenza.

La beatitudine?

La beatitudine è costituita dalla serenità conseguente alla consapevolezza che ciascuno di noi non è un fondamento
ma è un tramite. Questo significa riconoscere che per quanto noi possiamo disporre di facoltà (anche geniali, straordinarie
come magari un grande artista o poeta o scienziato), queste facoltà sono comunque una forma di dono attraverso cui la vita
esprime sé stessa e dall’altro lato sono anche delle chiamate alla formazione, all’educazione di questi doni; viene sottolineata
l’importanza della formazione come percorso. Nel momento in cui, attraverso l’esercizio della filosofia trascendentale, il soggetto
è in grado di acquisire questa visione complessiva sul significato dell’esistenza, secondo Fichte siamo pervenuti a quella che lui
chiama la SAGGEZZA.

La saggezza?

La saggezza deve in questo caso essere intesa come una sorta di prodotto, Saggezza dunque è consapevolezza della propria
potenza assieme all’accettazione dei limiti che sono costitutivamente interni all’esercizio della nostra potenza. consapevolezza
che non siamo noi gli autori di ciò che siamo, certamente siamo gli autori di ciò che possiamo divenire, ma non siamo autori del
complesso di potenze che incarniamo nella nostra esistenza

 In questo senso la dottrina della scienza culmina nella saggezza come stile di vita.

La filosofia della natura Schelling vs Fichte?

L’idea connessa al “noi come tramite della vita” può essere attribuita anche alla natura, dai principi della dottrina della scienza
sia possibile sviluppare una filosofia della natura. La natura è certamente un tramite, ma è un tramite
subordinato e funzionale all’attività promossa dal soggetto, quindi ha un autonomia solamente parziale. (Fichte)

 Il filosofo che per primo nell’ambito dell’idealismo tedesco riconosce piena autonomia alla natura è
Schelling.

Per Fichte la natura resta sempre funzionale all’affermazione della libertà del soggetto, la natura è a sua volta concepita come
un ambito attraverso cui la vita originaria si manifesta, però questo ambito costituito dalla natura è l’orizzonte attraverso il quale

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il soggetto, l’uomo, può realizzarsi. Se non ci fosse una natura, una struttura corporea di un certo tipo, per l’uomo non sarebbe
possibile fare alcunché per la coscienza. Fichte riconosce e sottolinea l’importanza della corporeità, della cura del corpo, della
cura dell’ambiente di cui il nostro corpo fa parte, ma è sempre una funzione subordinata.

Con Schelling l’idea del tramite, del durch, del medio, che permette alla vita di manifestarsi, è come se si sdoppiasse. I luoghi in
cui la vita si manifesta sono due e hanno entrambi eguale dignità: da un lato lo spirito, la coscienza e dall’altro la natura; vede la
natura come un processo organico che raggiunge autonomamente forme di strutturazione, di articolazione sempre più ampie,
sempre più complesse, fino a culminare negli organismi viventi/animali e nell’uomo. La natura è come manifestazione della vita
che costituisce il tratto unificante sia della natura sia dello spirito in quanto capacità da parte della vita di pervenire alla
coscienza di sé; l’uomo in realtà è esso stesso parte integrante della natura (fa parte dell’ambiente quindi in un ceto senso non è
un rapporto tra due elementi). Nell’uomo stesso abbiamo questo intreccio tra dimensione cosciente e dimensione organica, tra
intelligenza e materiali.

 Emergere della problematica dell’ ecologia: riguarda l’aspetto della relazione tra uomo e natura nella misura in cui
questa relazione concepisce l’uomo come parte di quella natura con la quale entra in relazione.
 Hegel lo critica per vedere come due facce della stessa medaglia spirito e natura e per vedere tutte le cose in armonia
(per Hegel l’opposizione è fondamentale)

HEGEL E LA SUA CRITICA:

Feuerbach e il naturalismo antropologico?

Formula una nuova forma di naturalismo antropologico in cui l’uomo è rivendicato come ente sensibile, corporeo inserito
all’interno di una natura dotata di vitalità e movimento. nell’esperienza l’aspetto primario e la dimensione immediata (linguaggio
hegeliano) della nostra esperienza è costituita dalla nostra corporeità e dalle relazioni che coi nostri sensi instauriamo con
l’esterno e con gli altri esseri umani. L’essere umano non può prescindere da una relazione intersoggettiva e da una
relazione corporea e sensibile con il resto della natura con cui egli stesso fa parte, è un essere che può vivere solo in
relazione ad altri. Io e l’altro, l’altro come elemento fondamentale per lo sviluppo della propria personalità.

Hegel logica, filosofia della natura e dello spirito?

Hegel articola un sistema che ha l’ambizione di racchiudere al proprio interno la totalità del reale e questo sistema prevede una
suddivisione tra logica – filosofia della natura – filosofia dello spirito. Hegel crea una correlazione tra la logica (L’IDEA IN SÉ)
e la filosofia natura (IDEA FUORI DI SÉ). L’idea in sé per Hegel è la modalità attraverso cui il pensiero si sviluppa nella sua
radicale autonomia da ogni fenomeno di tipo sensibile e materiale. La parola “idea” indica l’unità fra pensiero e realtà, cioè Hegel
ha cercato di dimostrare che nel pensiero noi non siamo di fronte solo a una produzione soggettiva, ad un’attività mentale o
puramente umana, ma attraverso il pensiero noi conosciamo la realtà e ci rendiamo conto che la realtà nelle sue strutture
fondamentali è permeata dal pensiero. Con ciò Hegel vuole dire che i concetti con cui noi conosciamo il mondo sono strutture che
diventano costitutive del mondo stesso. Hegel definisce il Pensiero: struttura oggettivamente esistente, valida e operante nella
realtà. Gli sviluppi del soggetto e gli sviluppi della realtà sono momenti di un'unica processualità che Hegel attribuisce poi allo
spirito (GEIST).

 È chiaro che quando Hegel parla dell’idea come unità tra pensiero e realtà intende distaccarsi dal pensiero kantiano, in
quanto Kant non riteneva che il pensiero potesse costituire la realtà in sé, ma che semplicemente fosse l’espressione di
una facoltà conoscitiva limitata alla conoscenza dei fenomeni.
 L’assoluto (infinito) è la sintesi del finito, quindi il reale in Hegel è l’infinito, la totalità, l’intero, l’universale. Particolare e
universale non coincidono ma non possono nemmeno essere separati. La verità sta nel processo che comprende i singoli
momenti.
 Lo spirito è la realtà umana e storica e l’idea che ritorna in sé stessa (lo spirito assoluto è la forma più elevata di
conoscenza)
 La visione dialettica: tesi=coscienza oggetto, antitesi= autocoscienza soggetto, sintesi= razionale unità tra soggetto e
oggetto: il vero è l’intero, ogni momento per essere superato deve essere negato

Il problema della relazione tra mondo concettuale (idea in se) e natura (idea fuori di se)?

Quando Hegel si trova al completamento dello studio dell’idea in sé si trova di fronte al problema della relazione tra questo
mondo concettuale pienamente autonomo e chiuso in sé stesso e la natura esterna costituita dai corpi, dai loro rapporti, dai loro
movimenti, cioè il mondo della natura e delle scienze che studiano la natura. La differenza fondamentale è espressa dalle
parole “in sé” e “fuori di sé”. Quando i concetti studiati nella logica devono esprimersi nel mondo dei corpi, della materia, del
movimento, cioè devono essere studiati nel modo in cui si realizzano, si manifestano nella realtà spazio temporale della natura, è
chiaro che non sarà più possibile avere delle espressioni così perfettamente definite come avveniva sul piano puramente logico e
speculativo perché – dice Hegel – la materia produce imprevisti(*intervento della materia di natura teologica), è il regno della
contingenza e della accidentalità. capita di frequente che si producano degli esseri che non sono conformi alla definizione
normativa del loro genere, sono quei fenomeni che Hegel definiva dei “mostri”, cioè delle forme di vita che non corrispondono
alla definizione che un biologo o un antropologo danno di ciò che costituisce un uomo “normale”. la natura esce da sé stessa e si
aliena liberamente, si estranea, diventa appunto altra da sé stessa nel momento in cui esiste, nel momento in cui si esprime nel
mondo naturale.

 Tema normalità vs patologia (1900)

La critica di Feuerbach?

Feuerbach dice che la posizione di Hegel riproduce il modello teologico secondo cui Dio ha scelto liberamente di creare
l’universo. Ecco allora che, dove il modello epistemologico della genesi dei fenomeni ricalca un modello che è di matrice
teologica, ecco che il significato trascendentale di deduzione (il filosofo trascendentale quando deduce un fenomeno non lo
vuole produrre a partire dal proprio pensiero, ma si tratta di ricostruire concettualmente un determinato fenomeno identificando
le CONDIZIONI della sua possibilità) ricade in un significato di deduzione che sembra assumere il significato di “produzione”
che sembra nascere dal nulla, cioè dal pensiero, dallo spirito assoluto, l’essenza umana è comunque posta in una realtà posta
lontano dall’uomo.

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 Secondo Hegel nella religione, considerata inferiore alla filosofia, l’uomo conosce l’assoluto ma non giunge a conoscere
lo spirito nella sua unità organica poiché lo fraziona in una molteplicità di rappresentazioni.

perché deve essere criticata la teologia, la religione?

Qui abbiamo sicuramente uno degli aspetti più originali del pensiero di Feuerbach che avrà una grande importanza nel pensiero
di Marx. Feuerbach ritiene decisiva ed essenziale la critica della religione e del pensiero teologico. Egli interpreta la
religione come PROIEZIONE IMMAGINARIA di facoltà e qualità umane che il genere umano mette in atto per una serie di
ragioni legate al tipo di esistenza che l’uomo ha condotto sulla terra. Questa serie di facoltà e qualità che sono proprie dell’uomo
(es: libertà, ragione, intelligenza, volontà) in realtà il genere umano le ha proiettate fuori di sé e le ha attribuite a un ente
immaginario che è stato adorato come una divinità e che ha incorporato tutte quelle qualità e facoltà che l’uomo non riuscendo
ad esprimere compiutamente nella vita terrena ha appunto proiettato nella sfera immaginaria della trascendenza e dell’aldilà.

Dio e religione come alienazioni?

DIO come alienazione umana, è il prodotto di un auto-alienazione in cui l’uomo trasferisce su un ente immaginario
proprietà e qualità che sono sue proprie ma che non riconoscendo come sue proprie attribuisce a un altro. Dio
diventa il concentrato di tutte quelle perfezioni che vengono in lui immaginate come pienamente realizzate al livello massimo
della loro potenza e della loro perfezione. Dio allora sarà un essere massimamente potente, massimamente giusto,
massimamente libero, massimamente perfetto, e così via. Dio sarà intelligente, sapiente, in una maniera eminente ma
assolutamente più perfetta di quanto potrà essere un essere umano. l’alienazione, che permette all’uomo di sopportare
una vita terrena insoddisfacente e infelice nella speranza che in una vita ultraterrena questo essere perfetto potrà
compensarci delle ingiustizie vissute nella vita terrena.

 Quindi la critica della filosofia hegeliana, la critica dei modelli teologici ancora operanti nella filosofia non ha un
significato puramente speculativo, ma ha un significato immediatamente pratico e immediatamente politico

Filosofia hegeliana e alienazione?

Se la religione rappresenta una alienazione e la filosofia hegeliana rappresenta la forma speculativa attraverso cui la teologia si
riafferma sul terreno del pensiero filosofico, è evidente che anche la filosofia hegeliana sarà l’espressione filosofica di
un’alienazione. Secondo Feuerbach, Hegel compie un’operazione ambivalente poiché nell’affermare sotto la maschera dei
concetti filosofici la teologia e la religione, in pari tempo ne costituisce la negazione perché è costretto a fare dell’idea, del
sapere, il principio costitutivo della realtà stessa, proprio perché filosofo dello spirito assoluto, dell’idealismo speculativo, proprio
per la sua teoria dell’identità tra concetto e realtà.
Questa aporia non è sufficiente operare una critica della filosofia hegeliana ma è necessario presentare un progetto, un
programma per una nuova filosofia che è esposta da Feuerbach nello scritto “Princìpi per la filosofia dell’avvenire” (1843).

La filosofia dell’avvenire?

Questi princìpi sono per la filosofia dell’avvenire, cioè per l’avvenire che si apre dopo il tramonto della filosofia hegeliana che
coincide con il tramonto definitivo del Cristianesimo perché qui sta l’impatto del pensiero di Feuerbach sulla filosofia
contemporanea. Feuerbach precede Nietzsche in quella che Nietzsche definirà come la morte di
Dio. L’ateismo moderno è visto come il risultato di una progressiva riappropriazione da parte dell’uomo di quelle facoltà che
per molti secoli gli uomini non avevano riconosciuto come sue proprie, ma aveva attribuito a quell’ente chiamato Dio. È
necessaria dunque una filosofia che esprima senza ipocrisie, senza mascheramenti, questo
nuovo stato di cose. La vecchia teologia deve diventare una nuova e coerente antropologia. Antropologia come scienza e
pensiero dell’uomo. Questa dimensione antropologica è per Feuerbach il fondamento a partire dal quale costruire una nuova
filosofia che assuma l’ateismo non più come espressione di un nichilismo mortificante e disperato, ma come espressione di un
ateismo che è conseguente di una riappropriazione e di un potenziamento dell’uomo.

La sinistra hegeliana?

Per sinistra hegeliana (o “giovani hegeliani”) intendiamo autori che, attraverso l’insegnamento di Hegel, pervengono ad una
critica radicale della religione e vengono classificati di sinistra perché nell’ambiguità che era propria della posizione di Hegel che
voleva essere al tempo stesso affermazione e negazione del Cristianesimo, la sinistra hegeliana sceglie la prima opzione:
negazione del Cristianesimo e affermazione dell’ateismo inteso come affermazione di valori propriamente umani contro
l’estraniazione e l’alienazione che era propria della teologia e della tradizione cristiana.

 Questi autori sono Strauss, Stirner, Bauer, Ruge (va letto Rughe), Feuerbach e Marx

Come si può articolare l’antropologia per costituire la base di una nuova filosofia?

Il primo elemento è la rivendicazione del ruolo della sensibilità che secondo Feuerbach anche i filosofi moderni avevano
messo in secondo piano, avevano sottovalutato sulla scorta di una influenza perdurante della religione cristiana che aveva
portato alla svalutazione del corpo, della sensibilità e della vita terrena. I sensi, scrive Feuerbach, non hanno come oggetto
soltanto cose esterne, ma l’uomo coglie sé stesso solo attraverso i sensi e quindi i sensi sono gli organi attraverso cui l’uomo
costruisce la propria esperienza come esperienza di realtà. Parallelamente alla rivalutazione positiva della sensibilità, si produrrà
una rivalutazione positiva della vita sensibile e terrena. Secondo Feuerbach le idee, le creazioni, le invenzioni, non
nascono nella solitudine dello studio, ma sono la conseguenza di un rapporto comunicativo che lega ciascuno di noi coi propri
singoli. Ecco l’importanza fondamentale della COMUNICAZIONE. Dagli animali, dice Feuerbach, l’uomo non si distingue solo col
pensiero, ma per tutta la sua natura. Primato dell’uomo sugli animali. Quindi l’uomo è parte della natura, è corporeità, è
impensabile senza la natura come base, però ciò che sembra integrare l’uomo nella natura è utilizzato da Feuerbach per
affermare una superiorità umana nei confronti della natura. La sensibilità umana ha un ampio spettro (vista, tatto, olfatto, ...). Ma
l’universalità era un criterio utilizzato da Hegel per distinguere l’umano dall’animale; in alcune affermazioni possiamo dire che
emerge una certa di ingenuità filosofica da parte di Feuerbach poiché ricade in pieno in una forma di hegelismo, nella misura in
cui fa dell’universalità il criterio di valore che permetterebbe di privilegiare la vita umana rispetto alle altre forme di vita animali.

IL GIOVANE MARX:

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Biografia: nasce nel 1818, estrazione sociale borghese benestante, matrice culturale ebraismo (lui è laico), si iscrive al circolo
“liberi” che riconosce Hegel come loro maestro, I maggiori esponenti di questo circolo con cui Marx entra in relazione sono
Feuerbach e Bruno Bauer.

 Divisione tra giovani hegeliani e vecchi hegeliani questa contrapposizione è legata all’interpretazione di una frase in cui
Hegel affermava l’identità tra reale e razionale: Ciò che è reale è razionale e ciò che è razionale è reale

RADICALITÀ POLITICA:

Come interpretare questa relazione tra razionale e realtà?

Due possibili interpretazioni che si concentravano sul significato da dare alla parola realtà. Per realtà si poteva intendere come ciò
che era presente nel senso empirico e fattuale della parola, ma si poteva intendere anche come lo spirito animatore della realtà
che in questo modo non veniva più a coincidere con l’esistenza empirica delle istituzioni e dello stato, ma che appunto era
costituita da quel movimento spirituale volto a instaurare una piena adeguazione tra il reale empiricamente inteso e
il reale inteso come progressiva affermazione di ciò che è razionale.

 I giovani hegeliani evidentemente propendono per questa seconda interpretazione.


 Hegel non sta dicendo che la realtà empiricamente presente delle istituzioni e dello stato deve essere accettata perché
è la perfetta incarnazione del razionale, ma Hegel ci sta dicendo al contrario che può rivendicare lo statuto di
autenticamente reale solo ciò che è conforme alla razionalità, che è conforme ai principi costitutivi di una determinata
epoca e nel caso dell’epoca hegeliana e post hegeliana questi principi erano riconosciuti come quelli della rivoluzione
francese, ovvero i principi della libertà, dell’uguaglianza, dello stato di diritto, della rappresentanza parlamentare e
così via.

RADICALITÀ RELIGIOSA:

Assieme a questa radicalità di tipo politico i giovani hegeliani rivendicavano una tale radicalità anche nella relazione tra filosofia e
religione e il problema era legato all’interpretazione della parola Aufhebung, che possiamo tradurre con la parola
“superamento”. La parola superamento può essere interpretata in due sensi:

1. Distruggere, annullare ciò che si è superato


2. Conservare in una forma superiore ciò che si è oltrepassato ma che non si intende distruggere bensì legittimare
attraverso una presa di coscienza del suo significato e della sua verità.

I giovani hegeliani ritengono che sia necessario scegliere se uno o l'altro. I giovani hegeliani intendono l’Aufhebung della religione
da parte della filosofia come la distruzione della religione, della teologia e quindi ritengono che la filosofia debba liquidare ogni
eredità teologica e che la filosofia si debba affermare secondo un conseguente ateismo.

GLI ARTICOLI DELLA GAZZETTA RENANA :

Biografia: passa da diritto a filosofia, Marx comincia a collaborare con un giornale, la “Gazzetta renana”, la quale è di
impostazione liberal-progressista. Il giornale con cui inizia a collaborare Marx lotta per il riconoscimento dei diritti fondamentali
del cittadino che entra in conflitto con gli indirizzi fortemente conservatori della politica prussiana.

*Il territorio tedesco è ancora suddiviso in diversi stati e lo stato più importante era la Prussia con la sua capitale Berlino. La
renana, cioè la regione al confine con la Francia e attraversata dal fiume Reno, aveva un’indipendenza molto relativa perché era
stata posta sotto la sovranità della Prussia, quindi potremmo paragonare la renana ad una provincia autonoma

1. L’articolo sulla legge contro i furti di legna?

In questo articolo Marx discute la legge che prevedeva l’equiparazione della raccolta di legna caduta e dunque depositata sul
terreno di un bosco con il furto che in precedenza era un reato limitato al fatto che venisse tagliato e sottratto il tronco di un
albero oppure venissero tagliati e prelevati dei rami che erano ancora attaccati al loro tronco. si tratta di condannare come furto
una raccolta di legna che faceva parte dei tradizionali diritti comunitari riconosciuti ai poveri e ai contadini che raccoglievano la
legna caduta (vecchia o secca) e in questa raccolta trovavano un modo per poter migliorare il proprio miserabile regime di vita.

Marx insiste su:

 la differenza: Se i il diritto assimila azioni che sono diverse riconducendole ad un'unica categoria e ad un unico reato,
ecco che il diritto perde la sua efficacia perché si manifesta incapace di commisurare la pena all’azione che si tratta di
punire perché considerata delittuosa.
 La legge deve dire la verità: La legge non può permettersi di agire confondendo azioni che sono diverse perché
questo comporta la violazione di un principio fondamentale che è costituito dall’obbligo della norma giuridica di
rispettare la verità
 La legge non è sciolta dall’ universale: non deve rispondere a interessi di gruppi economici o di singole persone,
ma che deve incarnare l’idea stessa del diritto come esercizio di una giustizia che può essere tale solo se basata sul
riconoscimento della verità.

 La legge in questo caso mente ed il povero viene sacrificato ad una menzogna giuridica
 la legge che dovrebbe abituare il popolo a rispettare la giustizia, diventa la causa, la matrice della corruzione dei
costumi del popolo perché insegna a questo la menzogna e il modo di comportarsi in modo ingiusto ed iniquo perché
essa stessa rappresenta un modo di giudicare e di valutare che è ingiusto ed iniquo
 se la legge punisce azioni che per il popolo non sono delitti, evidentemente ogni qualvolta la legge punirà una
determinata azione, il popolo non riconoscerà questa azione come delitto neppure quando questa azione è un delitto =
Marx è pienamente consapevole che non si tratta di un limite dell’intelligenza dei legislatori, ma i legislatori in realtà
difendono un interesse di parte che sono costretti a spacciare per interesse generale.

Marx applica qui magistralmente una lezione hegeliana cioè l’universale ha senso solo se viene letto a partire dalle differenze
che lo specificano e lo determinano; annullare le differenze significa perdere la presa sulla realtà che è costituita dalle differenze
e dai loro rapporti. (Universale e particolare non possono essere divisi)

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Il tema della proprietà?

in questo contesto Marx riprende la citazione di Proudhon”la proprietà è un furto” dicendo che se vengono dimenticate
le distinzioni tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, tra ciò che è furto e ciò che non lo è, perché allora non posso dire che ogni
proprietà è un furto?. Nel momento in cui affermo una proprietà come proprietà privata, io escludo tutti gli altri dal godimento di
quel bene che riservo solo a me stesso e se guardo la situazione dal punto di vista di coloro che non possiedono la proprietà,
allora è la mia proprietà ad essere un furto in quanto esclude questo dal godimento di altri.

 Marx non sta sostenendo il diritto di violare la proprietà altrui, sta dimostrando le conseguenze disastrose che
scaturiscono da una logica giuridica che non riconosce l’obbligo di dire la verità.

“Il rigore, applicato senza gradazioni, toglie ogni efficacia alla pena, poiché priva la pena stessa del suo carattere di effetto del
diritto”.

2. Il comunismo? articolo che si intitola “Il comunismo e la gazzetta generale di Augusta”

 Attenzione: Marx non è ancora comunista. Lo potremmo definire un progressista

In un passaggio di questo articolo, Marx ribadisce il carattere cruciale del comunismo come questione europea all’inizio degli anni
40 dell’800. Traducendo in termini positivi, possiamo dire che l’importanza del comunismo consiste nel fatto che esso forma una
questione di attualità quanto mai grave per Francia e Inghilterra. Questi due Paesi pongono il problema del comunismo con
particolare urgenza perché per Marx la Francia e l’Inghilterra sono i paesi economicamente e politicamente più sviluppati
d’Europa. Proprio perché il capitalismo si è sviluppato e affermato in modo molto maggiore che in altri paesi come la Germania, è
proprio lì che il problema del comunismo si è posto con maggior urgenza. Poi Marx distingue Francia e Inghilterra dal punto di
vista del loro avanzamento, l’Inghilterra è più sviluppata dal punto di vista economico, la Francia da quello politico.

*Quando Marx parla del comunismo come di una questione importante e assolutamente attuale, confessa al tempo stesso di non
essere in grado di non affrontare adeguatamente questa questione.

3. La rottura con i “liberi”?

Marx rimprovera il circolo dei giovani hegeliani in quanto in loro ritroviamo un radicalismo puramente verbale che non si traduce
in un altrettanto radicale intervento di tipo pratico. Nell’ultimo articolo Marx tratta l’importante concetto di romanticismo
politico, è quella forma di comportamento privo di serietà, privo di costanza, privo di fermezza, basato su un atteggiamento
estetizzante, sull’assolutizzazione della parola, dunque basato sulla “frivolezza”. La Politica in senso proprio esige invece serietà,
costanza, fermezza, chiarezza, coerenza fra i programmi e le linee di azioni. La frivolezza è imputata al circolo dei liberi
come attestazione del loro romanticismo politico.

Biografia: Marx collabora e diventa il redattore capo della gazzetta renana nell’ottobre 1842, ma l’anno successivo Marx si
trasferisce a Parigi dove fonda e dirige assieme a Ruge la rivista “ annali franco tedeschi”. Marx pubblica due fra i suoi testi più
importanti della fase giovanile. Il primo consiste nell’introduzione a “per la critica della filosofia del diritto hegeliana”; il secondo
“sulla questione ebraica”. La questione ebraica è la cifra di un problema ancora più importante che consiste nel rapporto fra
società e stato.

PARIGI: Parigi è scelta da Marx e da Ruge come sede di pubblicazione della nuova rivista proprio perché la Francia viene ritenuta
una nazione politicamente molto più libera e tollerante della Germania, perché P. È cosmopolita, è il cuore d’Europa, di rilievo
nazionale.

ANNALI FRANCO-TEDESCHI:
L’ambizione del progetto di Marx e di Ruge era quello di dare un rilievo internazionale alla loro rivista promuovendo anche una
sorta di alleanza e di collaborazione fra gli intellettuali progressisti di ambedue queste aree politico-culturali: quella tedesca (più
avanzati da un punto di vista filosofico) e quella francese (più avanzata da un punto di vista politico). Teniamo conto che la
Francia aveva una condizione politica molto più avanzata della Germania, non solo a cause della rivoluzione francese, ma anche
dal punto di vista della elaborazione dei movimenti politico - sociali legati alla democrazia e al socialismo. Ricordiamo anche che
la Germania aveva avuto uno sviluppo filosofico straordinariamente ricco e importante a partire da Kant che va sotto il nome di
idealismo tedesco e che era proprio dai dibattiti sul senso, sull’eredità attraverso cui far fruttificare il pensiero hegeliano che si
erano poi create le spaccature tra una destra e una sinistra hegeliana.

 Questo progetto sarà destinato a naufragare dal punto di vista della sua durata e continuità temporale.
gli annali franco tedeschi vengono redatti solamente da autori tedeschi. Uno degli autori è Engels.

Il contributo di Engels?

Engels pubblica due articoli molto importanti:

1. uno sulla situazione sociale dell’Inghilterra: In questo articolo Engels illustra la drammatica situazione sociale
dell’Inghilterra prodotta dallo sviluppo impetuoso dell’economia capitalistica e della produzione industriale. Engels
mostra gli effetti di disgregazione sociale prodotto dalla produzione industriale, mostra le iniquità dal punto di vista
della distribuzione della ricchezza e gli effetti anche di gravissima decadenza morale prodotto dal lavoro di fabbrica
sulla popolazione operaia, degradazione morale, a cui fa riscontro l’accumulazione di ricchezza e di profitti da parte dei
proprietari dei grandi mezzi di produzione.

2. L’altro saggio di Engels è intitolato “un abbozzo di critica dell’economia politica”: Qui troviamo in germe
moltissime idee che Marx svilupperà ed amplierà, questo saggio ha avuto una notevole importanza nell’orientare Marx
nello studio dei classici dell’economia politica. Engels mostra come nei grandi economisti che avevano fondato
l’economia politica come scienza della produzione capitalistica si riflettessero le aporie e le contraddizioni della società
presente cioè come nessuna delle proposte di questi scienziati della società fosse prive di contraddizioni proprio perché
questi autori riflettevano un tipo di società che a sua volta non era riuscita e non poteva riuscire a risolvere le aporie, le
contraddizioni, i conflitti che la caratterizzavano e il cui aspetto fondamentale era costituito dal conflitto tra il capitale e
il lavoro.

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IL CONTRIBUTO DI MARX AGLI ANNALI FRANCO-TEDESCHI:

Si tratta di due contributi: uno è l’introduzione alla critica della filosofia del diritto hegeliana (inedito per lunghi decenni) e l’altro
è un saggio che prende spunto dal libro di Bauer sulla questione ebraica.

1. LA QUESTIONE EBRAICA:

Bauer e la questione ebraica?

Si pone il problema di risolvere il problema delle popolazioni ebraiche residenti su territori tedeschi in rapporto
all’esercizio dei diritti politici perché agli ebrei non erano riconosciuti i diritti politici come ad esempio la possibilità di votare o di
essere votati. l’idea di Bauer è che uno Stato compiutamente moderno debba abbandonare il rapporto fra politica e religione nel
senso che deve svincolarsi dal riconoscersi come qualificato da una determinata religione. Siccome gli Stati tedeschi si
riconoscevano come Stati cristiani, secondo Bauer questo era il segno di una arretratezza politica della Germania. Bauer ritiene
che il problema dell’emancipazione degli ebrei sia risolubile sul piano strettamente e specificamente politico. L’emancipazione
degli ebrei è un problema politico, non investe solo gli ebrei, ma in primo luogo investe il rapporto fra Stato e religione, e il
problema ebraico è l’espressione eclatante di una incompleta modernità dello Stato nella misura in cui lo Stato in Germania si
qualifica ancora a partire da una determinata religione.

Marx, la questione ebraica e il denaro?

In Marx la questione ebraica non è puramente sul piano politico come per B. Ma può essere risolta solo sul piano economico-
sociale. Il problema ebraico è un problema che richiede non solo di essere collocato sul piano sociale ed economico, ma è un
problema che investe lo statuto della religione all’interno delle società moderne ed è qui che l’influenza di Feuerbach diventa
molto rilevante ed esige di essere esplicitata. L’idea di Feuerbach di Dio viene trasferita da Marx all’analisi dei rapporti sociali,
esiste una forma sociale che esprime l’essenza della società in maniera alienata estraniata dalla società stessa,
questo è il DENARO. Il denaro svolge nell’analisi marxiana della società la stessa funzione che la divinità svolgeva nella critica
feuerbachiana della religione. il denaro rappresenta in forma estraniata il prodotto delle attività sociali dell’uomo.
GLI EBREI, essendo esclusi dalla possibilità di partecipare alla vita politica dello Stato e dalle corporazioni, cominciano a
commerciare col denaro, proprio perché era l’unico bene che avevano a disposizione e su cui potevano guadagnarsi da vivere.
Quindi gli ebrei diventano i banchieri d’Europa e si crea il paradosso che la funzione economico – finanziaria degli ebrei
corrisponde alla loro emarginazione sotto il profilo politico e sociale. Una volta che il denaro è legato a una forma specifica della
società ecco che, in rapporto all’attività svolta dall’ebreo in funzione della società capitalistica, la questione ebraica diventa una
questione che investe la società stessa nella sua totalità, non solo l’ebreo. nella misura in cui la figura dell’ebreo è funzionale a
questo tipo di circolazione monetaria, evidentemente allora questa figura dell’ebreo ci dice qualcosa sulla società capitalistica
moderna.

Società capitalista, denaro e stato?

Marx cerca una spiegazione del perché il denaro diventi cosi importante in questo tipo di società. la società capitalistica
è una società basata sull‘estraniazione umana. Se il denaro è la figura estraniata dell’uomo in quanto essere sociale, nella misura
in cui il denaro è indispensabile per alimentare l’economia capitalistica, significa che l’economia capitalistica è un’economia per
sé stessa estraniata. Significa che la società che è retta da questo tipo di economia è una società in cui l’uomo non realizza sé
stesso ma dà luogo a potenze che dominano sull’uomo stesso. Il paradosso è dato dal fatto che queste entità come il denaro che
opprimono l’umanità, sono prodotte dalla stessa umanità.
La configurazione capitalista si è potuta sviluppare quando nel corso della storia moderna la sfera dello Stato si è
progressivamente separata dalla sfera della società, mentre nella società medievale e della prima modernità (precedente
alla rivoluzione francese) non c’era una distinzione così netta tra attività economiche e attività politiche. Ogni attività economica
era organizzata attraverso le corporazioni di mestiere ed era attraverso la propria corporazione che l’individuo partecipava alla
vita politica dello Stato. Non esisteva l’individuo atomizzato, separato dagli altri, ma l’individuo esisteva come soggetto
immediatamente qualificato dalla propria attività economica e dalla propria appartenenza ad una determinata corporazione. in
questa separazione tra sfera sociale e sfera statuale, ecco che troviamo ancora una volta una alienazione.
Lo Stato è la proiezione ideale di un uomo universale che esiste solo però nella finzione politica, nella finzione giuridica,
perché poi quello stesso cittadino che io sono nella misura in cui vengo riconosciuto come dotato di determinati dritti, questa
figura ideale, generica che dovrebbe rappresentare la mia essenza politica in quanto componente di una comunità, è
completamente smentita dal concreto funzionamento della società borghese in cui esistono soltanto uomini concreti, cioè
determinati dal loro stato sociale, dal loro reddito, dalla loro ricchezza e così via.

 Di conseguenza ecco che l’emancipazione autentica dell’ebreo avrà luogo soltanto attraverso
l’emancipazione della società da quelle relazioni che la estraniano e la alienano a sé stessa.

2. L’INTRODUZIONE ALLA CRITICA DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO HEGELIANA:

All’inizio del testo Marx ritiene che in Germania Feuerbach abbia sviluppato la critica della religione che è il
presupposto di ogni critica. Secondo Marx la filosofia classica tedesca, che si è compiutamente dispiegata nel
pensiero hegeliano, voleva essere conoscenza scientifica dell’assoluto e la religione è il modo in cui la coscienza
comune concepisce il proprio rapporto con l’assoluto.

 Dio cos’è?

È la figura religiosa di ciò che i filosofi tedeschi chiamano l’assoluto, il principio di tutte le cose. Se nella religione la filosofia trova
la concezione alienata che la coscienza comune ha dell’assoluto, è chiaro che mostrare che in questo assoluto si esprime in forma
alienata la coscienza dell’uomo e la sua essenza, significa riappropriare teoricamente l’uomo di ciò che la religione ha attribuito
ad un essere estraneo e superiore all’uomo. Ciò pone il soggetto in grado di sviluppare la dimensione critica in rapporto a tutti gli
aspetti della vita nei quali prima era alienato da sé stesso, pur essendo l’uomo stesso all’origine della sua propria estraniazione.

 Cos’è l’uomo e il suo rapporto con la religione?

L’uomo non è un essere astratto che vaga fuori dal mondo, l’uomo secondo Marx non è che altro che il mondo dell’uomo: lo
Stato, la società. Questo Stato, questa società producono la religione. Non è un bisogno che riguarda la specie umana nella sua
distinta generalità; bisogna ricondurre una determinata religione alle strutture specifiche determinate che l’hanno prodotta. Marx
die che si può eliminare la religione solo eliminando l’organizzazione sociale che ne sta alla base. dobbiamo ricondurre la

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religione alle sue basi sociali e comprendere che la religione è la risposta sbagliata a un bisogno reale, al bisogno di
felicità, di giustizia, di realizzazione che evidentemente le condizioni storico – sociali presenti in un determinato momento non
permettono di soddisfare.

 Qui la celebre affermazione secondo la quale la religione è l’oppio del popolo

La religione l’oppio del popolo?

funziona come una droga che era molto diffusa tra i ceti borghesi dell’epoca di Marx perché metteva il consumatore in una
condizione di stordimento e di evasione dalla realtà. Dire che la religione è l’oppio del popolo significa dire che produce nel
popolo gli effetti di oblio, di dimenticanza delle proprie sofferenze e dei propri bisogni negati, allo stesso modo in cui l’oppio
produceva questi effetti sugli individui che ne facevano uso. Produce quietismo, rassegnazione, passività, mentre Marx vuole
mostrare che la critica della religione è la premessa per condurre e motivare l’uomo a una trasformazione della realtà presente.
La critica ha funzione di attivazione. Tolta la religione subentra la politica, tolta la teologia deve subentrare la
filosofia come critica deliberata e razionale delle condizioni dominanti nel presente.

LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI HEGEL:

* Inghilterra -> Capitalismo come sistema di produzione e di organizzazione sociale, Francia -> Paese della Rivoluzione (Francese
e di Luglio, 1830). Paese dove più impetuosamente si stava sviluppando un movimento di tipo socialista. Germania ->
Contemporanea di Francia e Inghilterra non per la situazione politica, non per la situazione economica, ma per lo straordinario
sviluppo filosofico caratterizzato dall’idealismo tedesco, culminante nella filosofia hegeliana.

Secondo Marx la filosofia del diritto in cui Hegel interpreta le strutture della società, le istituzioni dello Stato, sono la lettura più
adeguata che un filosofo abbia mai fornito della società e dello Stato moderno. La Germania è contemporanea degli altri popoli
europei solo per quanto riguarda la filosofia perché se consideriamo la situazione politica ed economica riconosciamo nella
Germania un paese arretrato (rispetto Francia e Inghilterra), un paese ancora prigioniero di una serie di istituzioni che sono
ancora quelle della società feudale, quelle dell’antico regime, di un paese prerivoluzionario. La politica utilizzata è una politica
promossa dal mercantilismo cioè da una concezione economica che riteneva che gli Stati dovessero impedire il più possibile
l’importazione di merci dall’estero per conservare all’interno del paese la quantità di ricchezza maggiore possibile. La politica di
protezione doganale è vista da Marx come la prova dell’arretratezza economica e sociale della Germania per cui Marx può dire
che i tedeschi sono i contemporanei filosofici dell’epoca presente senza esserne i contemporanei storici: la contemporaneità del
non contemporaneo.

Popolo tedesco e rivoluzione?

La caratteristica della Germania di “contemporaneità del non contemporaneo”sta a dimostrare che il popolo tedesco ha un
potenziale rivoluzionario che è perfino superiore a quello attualmente presente in Francia e in Inghilterra perché da una parte
la Germania, la borghesia produttiva e la classe operaia, sono troppo deboli per trasformare immediatamente la situazione
economica e politica; ma dall’altra parte la prospettiva di una condizione differente per i tedeschi è già stata realizzata sul piano
teorico dalla filosofia. bisogna porre come obiettivo politico quello di lavorare per la costruzione di un assetto politico ed
economico che non solo dovrà abbattere i limiti della società arretrata, piena di residui feudali, ma dovrà anche promuovere un
assetto economico – sociale più avanzato rispetto a quello che si sta sviluppando in Francia e Inghilterra. Attraverso lo studio di
Hegel, matura in Marx la consapevolezza che solo una RIVOLUZIONE potrà permettere all’uomo di abbattere le cause
che costringono l’uomo a vivere un’esistenza radicalmente alienata. Alienata non più sotto il profilo dell’estraniazione
religiosa, ma dal punto di vista materiale della vita lavorativa, delle condizioni materiali.

* di ciò che Marx teorizzerà come sfruttamento della borghesia verso il proletariato e la classe operaia. Ricordiamo che la filosofia
hegeliana elabora la teoria di uno Stato compiutamente moderno.

La critica filosofica e l’importanza di trasformarla in prassi ? *rottura con i liberi

La critica filosofica non può essere autosufficiente, diversamente da quanto diceva Bauer e il circolo dei liberi. La critica filosofica
ha un senso al di fuori, cioè se procede al di là di sé diventando PRASSI. Secondo Marx la critica è un’arma nel senso che funge da
distruzione teorica di un determinato assetto ideologico così come Feuerbach aveva fatto in rapporto alla religione, però per
attivare un RIVOLGIMENTO STORICAMENTE EFFICACE è necessario che all’arma della critica si aggiunga quella che
Marx chiama la critica delle armi. Per abbattere un sistema politico che si regge su una potenza materiale e un monopolio
della forza è necessario contrapporre una forza altrettanto potente ed efficace e questa forza è chiamata da Marx la critica delle
armi. NON BASTA LA DISTRUZIONE TEORICA, CI VUOLE ANCHE LA CAPACITÀ DI UNA RIVOLUZIONE PRATICA.
LA TEORIA DIVENTA POTENZA MATERIALE NON APPENA SI IMPADRONISCE DELLE MASSE, non è più un esercizio teorico
rinchiuso in un’aula universitaria, ma diventa una potenza di trasformazione materiale nella misura in cui innesta il proprio
patrimonio teorico su una forza socialmente rilevante che Marx identifica nelle masse. Si tratta di masse che in Marx sono
funzionali all’attuazione di un progetto politico. Essere RADICALE significa prendere le cose alla radice e la radice per
l’uomo è l’uomo stesso. Marx sostiene che si devono rovesciare tutti i rapporti di cui l’uomo è un essere umiliato,
assoggettato, abbandonato e spregevole e che Solo laddove la situazione sociale nega radicalmente l’essere umano dell’uomo,
noi troviamo la possibilità di operare in modo altrettanto radicale per la riconquista dell’umanità.

 Il discorso marxiano non è orientato sul tema della legittimità / non legittimità morale nell’impiego della violenza, bensì
è orientato sul terreno politico delle condizioni che possono permettere una trasformazione profonda del sistema politico
ed economico vigente.

La teoria dei bisogni radicali?

I BISOGNI RADICALI a cui Marx faceva riferimento possono essere posti ALLA BASE DI UN’AZIONE POLITICA
RIVOLUZIONARIA solo da una classe la cui umanità è stata negata in modo altrettanto radicale e che quindi ha un bisogno
assoluto di riscatto e di riconquista della propria umanità. Questa classe è e non può essere che il PROLETARIATO. Il proletariato
infatti è l’unica classe nella società borghese che non possiede nulla se non la propria forza lavoro, le proprie energie psicofisiche,
il proprio corpo. Questo corpo è messo a disposizione ed è venduto al capitalista come una merce perché è l’unico bene di cui il
proletario dispone. Nel momento in cui il proletario aliena il proprio corpo, il proletario aliena la propria umanità. Nel proletario
l’alienazione umana è totale ed essendo totale può essere soppressa solo in modo altrettanto radicale.

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 Ecco perché Marx vede paradossalmente nell’arretratezza tedesca una risorsa che può essere messa in campo non solo
per la trasformazione della Germania, ma per il superamento dell’intera economia e società capitalistica basata sulla
proprietà privata.
 La rivoluzione toglie le cause storico – sociali dell’alienazione religiosa perché toglie le cause della alienazione
economico sociale umana, cioè posso togliere l’alienazione religiosa solo se tolgo le cause dell’alienazione umana in
quanto tale

L’abolizione della proprietà privata?

L’Obiettivo fondamentale: ABOLIZIONE PROPRIETA’ PRIVATA. La negazione della proprietà è costitutiva della situazione
materiale del proletario, non è l’espressione di una teoria, ma è L’ESPRESSIONE DI UNA NECESSITÀ MATERIALE. Si tratta di
costruire una società che non sia più basata sulla proprietà privata dei grandi mezzi di produzione. *Engels

Scrive Marx: “Come la filosofia trova nel proletariato le sue armi materiali, così il proletariato trova nella filosofia le sue armi
intellettuali”

Biografia: Marx inizia la stesura dei manoscritti economico – filosofici del 1844 e che segnano il passaggio definitivo del giovane
Marx alla prospettiva del socialismo, segnano il passaggio di Marx alla militanza e alla elaborazione di una prospettiva di tipo
socialista, tale da prospettare il superamento per via rivoluzionaria dell’assetto socio – politico capitalistico. Nel maturare questa
prospettiva si consuma la rottura con Ruge che avviene in modi abbastanza brutali. l’esito negativo non è stato secondario nel
convincere Marx che una prospettiva per quanto radicale di riforma dello stato borghese in senso democratico non sarebbe stata
sufficiente per risolvere i problemi che stavano maturando all’interno della società borghese contemporanea.

GLI ARTICOLI SULLA RIVISTA DEGLI EMIGRATI TEDESCHI A PARIGI “AVANTI”:

Marx commenta in modo molto aspro e violento un articolo pubblicato su questa stessa rivista da quello che era stato suo amico
e collaboratore, Ruge.

Ruge e le rivolte operaie?

Sulla rivista in questione, Ruge aveva pubblicato un articolo in cui commentava le rivolte scoppiate in Slesia degli operai delle
industrie tessili. In queste rivolte Ruge intravede una contraddizione da un lato indicavano dei problemi legati alla diffusione di
un’economia capitalistica, dall’altro erano indicativi di una persistente arretratezza della situazione tedesca, secondo Ruge
queste rivolte attestavano la mancanza di un’autentica consapevolezza politica da parte degli operai tedeschi e
l’incapacità di tradurre i propri problemi sociali, particolari, in una dimensione universale, tale da investire l’organizzazione
sociale nella sua totalità. Quest’ultimo punto si sarebbe potuto realizzare solo in uno stato democratico basato sul diritto di voto
universale e su una rappresentanza che non fosse più legata ad un’organizzazione basata sui ceti. Ruge dunque ritiene che la
rappresentanza fosse la chiave per la risoluzione dei problemi sociali e quindi affidava ad una dimensione statale e
politica il compito di risolvere i problemi che emergevano a livello economico.

La critica di Marx ?

Marx pensava invece che ridurre l’emancipazione umana a un’emancipazione di tipo politico, era per Marx una falsa
soluzione, perché lo stato politico per Marx era la proiezione della società borghese.

Marx scrive: “L’emancipazione politica rappresenta la riduzione dell’uomo da un lato a membro della società borghese,
all’individuo egoisticamente indipendente, dall’altro al cittadino, alla persona morale”.

Marx leggeva lo stato secondo la logica con la quale Feuerbach leggeva la religione, cioè l’emancipazione politica altro non è che
l’espressione di una illusione che trasferiva su un piano di sostanziale finzione un bisogno e un’esigenza che si sarebbero potuti
soddisfare solo a livello dell’esistenza reale e l’esistenza era quella della concreta esistenza economico – sociale degli individui.

 Nel saggio contro Ruge, Marx indica nella rivolta degli operai della Slesia l’emergenza di un proletariato altamente
consapevole che si libera dall’illusione dell’emancipazione politica e che vede nelle relazioni sociali l’orizzonte entro il
quale potersi sviluppare e potersi emancipare, recuperando a sé stesso quella dignità e quella concretezza vitale che
l’economia capitalistica borghese impedisce di acquisire.

MANOSCRITTI ECONOMICO-FILOSOFICI:

In questo testo Marx si propone di esaminare criticamente i concetti portanti dell’economia politica. Il testo
originariamente doveva essere destinato alla pubblicazione col titolo “critica dell’economia e politica”, i manoscritti che
noi abbiamo svolgono in realtà solo la seconda parte di questo progetto, sono dunque manoscritti di critica
dell’economia politica. In questi manoscritti troviamo un’analisi del concetto di salario, di rendita fondiaria, di profitto,
della condizione del lavoro nella società capitalistica e così via.

Marx ci propone un’analisi critica dei concetti portanti di quella che per lui era la scienza fondamentale per la
comprensione della società a lui contemporanea. La prospettiva di Marx è a tutti gli effetti una prospettiva filosofica
perché si occupa di concetti e perché intende fornire una lettura critica, una decostruzione di quei concetti che gli
economisti secondo Marx usavano in maniera acritica e che solo una riflessione ulteriore rispetto ai concetti medesimi
permette di evidenziare nella loro aporeticità (che presenta aporia)

LA PREFAZIONE:

Se leggiamo la prefazione vediamo che Marx fa riferimento al saggio pubblicato negli annali franco tedeschi. “critica della
filosofia del diritto statuale hegeliano” Marx aveva l’intenzione di pubblicare questo saggio, ma non lo fa perché il campo di
indagine aperto dalla filosofia del diritto di Hegel era in realtà troppo ampio per poter essere contenuto in un libro. Marx decide di
separare la critica filosofico concettuale all’impianto speculativo di Hegel dall’esame dei singoli campi di cui Hegel si era
occupato e che adesso Marx esamina in maniera autonoma attraverso la critica delle scienze che se ne occupano.

LA CRITICA AI CONCETTI DEGLI ECONOMISTI:

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Marx afferma che l’impiego dei concetti utilizzati dagli economisti ha sempre un risvolto di TIPO IDEOLOGICO/DI TIPO
DOGMATICO. usano i concetti come quello di profitto, salario, capitale, come se descrivessero dei dati naturali, come se in
queste categorie si riflettesse la struttura eterna e immodificabile della società e delle strutture produttive umane.

La critica è di due tipi:

1. uno di TIPO STORICO-SOCIALE perché riconduce alle matrici storico-sociali categorie che per gli economisti sono
applicabili a qualunque tipo di società e in qualunque epoca storica, vi è l’esigenza di elaborare un apparato scientifico
che sia adeguato all’oggetto che viene studiato e che non estenda illegittimamente a tutte le società storicamente
esistite un apparato categoriale che è adatto solo alla società moderna e all’economia capitalistica che è propria delle
società moderne.
2. L’altra critica è di TIPO TRASCENDENTALE, Marx evidenzia le tensioni aporetiche che emergono quando queste
categorie vengono assunte come oggetto primario dell’indagine. Marx prima di indagare direttamente la realtà sociale,
indaga le categorie che vengono impiegate per studiare e interpretare la realtà sociale. Sono i concetti l’oggetto
primario dell’indagine marxiana, non è il reale. O meglio, è il reale solo nella misura in cui questo reale emerge
attraverso la critica concettuale degli apparati categoriali propri della scienza economica.

LA CRITICA POSITIVA UMANISTICA E NATURALISTICA:

Feuerbach e Hegel e la negazione della negazione?

Feuerbach legge correttamente la dialettica di Hegel come centrata sul concetto di negazione della negazione. Per
Hegel, essendo la realtà espressione di un movimento che ha come suo soggetto fondamentale lo spirito, ed essendo
lo spirito processualità, si tratta di capire come avviene questo movimento. Per Hegel questo processo avviene tramite il
superamento di determinate opposizioni . Dal punto di vista sistematico l’opposizione più rilevante è quella tra idea
logica e idea che si esprime nella natura ( Idea in sé e idea fuori di sé). Lo spirito sarà la verità dello spirito in
quanto idea in sé che è pervenuta alla consapevolezza di sé, cioè è diventata per sé proprio perché attraverso la lotta
col proprio negativo ha preso coscienza di ciò che la costituiva come idea. Feuerbach dice che questa è una positività
totalmente fittizia, puramente pensata, non è reale, perché resta gravata da una dimensione che è negativa, perché
Hegel rifiuta di riconoscere il reale come natura e la natura come reale. in Hegel l’essenza dell’uomo sta solo nel
sapere, nello spirito, nella coscienza, Hegel separa l’essenza umana dall’umanità e l’umanità è impensabile senza
l’affermazione positiva della corporeità.

Il positivo?

LA NATURA È IL VERO E UNICO POSITIVO e questo unico e vero positivo ci viene attestato dalla SENSAZIONE, dal
fatto che attraverso i nostri organi sensibili noi siamo subito posti, siamo noi stessi parte di questo mondo esterno. È
da questa positività che bisogna partire. È un dato immediato che si attesta nella nostra esperienza concreta
di esseri corporei, dotati di sensibilità. Il positivo non è un risultato, perché se così fosse sarebbe ancora
mediato, il prodotto di un processo e se fosse così sarebbe ancora gravato da una negatività, non sarebbe una realtà
piena. Il positivo è anteriore alla mediazione ed eccede la mediazione, è ulteriore. Questo reale è qualcosa di
massimamente concreto, è l’essere umano come vivente all’interno di una natura che è a sua volta composta da esseri
viventi. Il vivente ha una dimensione di passività che non è qualcosa di inerte, ma ne costituisce la forza, la potenza.
È a partire da questa capacità di sentire che il corpo degli esseri viventi si espande, quando appunto gli è permesso
di espandersi.

 È vero che rimane un giudizio antropocentrico, però è anche vero che Feuerbach recupera pienamente l’uomo a
un’esistenza naturale e da questo punto di vista pone l’uomo su un piano di assoluta parità con tutte le altre
specie viventi e questa parità si pone su un piano comune che è quello della vita.
 In Marx l’operaio è assunto come vivente, come entità corporea sensibile, dotata non solo di organi di senso, ma
di sensibilità, capacità di provare sensazione. CRITICA POSITIVA UMANISTICA E NATURALISTICA In queste
parole Marx non solo riassume la critica di Feuerbach a Hegel, ma anche la prospettiva che orienta il progetto
di critica dell’economia politica.

IL PRIMO MANOSCRITTO: Il primo manoscritto vede Marx impegnato nell’indagine di una serie di concetti propri
dell’economia politica come il salario, il profitto, la rendita fondiaria, il lavoro estraniato.

Il salario:

Il lavoro?

Nella storia delle civiltà il LAVORO È SEMPRE APPARSO IN UNA COLLOCAZIONE SUBORDINATA, cioè il lavoro ha
sempre assunto la figura servile di un soggetto dominato da un padrone, da un signore, da una figura che costringeva
i propri subordinati a lavorare e a fornire il signore del frutto del prodotto del proprio lavoro. Il lavoro è sempre stato
visto come RELAZIONE e SOCIALMENTE DETERMINATO.

Questa relazione presenta due aspetti:


1. l’aspetto per cui è quell’attività umana che promuove la civiltà e il processo della storia, perché
attraverso il lavoro la natura, la realtà viene trasformata in rapporto a progetti e a bisogni umani, quindi è
sicuramente una forma di dominio e di controllo sulla natura esterna. Questo è l’aspetto progressivo, che dà
al lavoro un significato universale.
2. Dall’altro però nelle società storicamente date il lavoro è sempre stato oggetto di una dominazione, cioè il
lavoratore, fino alla rivoluzione francese, è sempre apparso in una dimensione servile.

Hegel e il rapporto servo padrone?

Nella fenomenologia dello spirito questi rapporti tra servo e padrone, Hegel mostra che l’esito di questa relazione
conflittuale è un esito in cui la vittoria spetta necessariamente al servo perché il signore non fa che consumare in
modo parassitario i prodotti di un’attività svolta da altri. Anche dal punto di vista dell’evoluzione della cultura è vero
che i ceti nobiliari hanno svolto una funzione civilizzatrice, ma l’idea di Hegel è che questa funzione sia sempre stata
subordinata dal fatto che ci fosse qualcuno che creava le condizioni perché i ceti dominanti potessero sviluppare una

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serie di codici di comportamento e di acquisizioni culturali che sono andate nella direzione di uno sviluppo della civiltà.
Senza però i prodotti e le condizioni materiali fornite dal servo, tutto ciò non sarebbe stato possibile. Quindi alla fine il
vero subordinato nella relazione tra servo e il signore non è il servo , ma il signore. La trasformazione dell’ambiente
esterno va di pari passo con la trasformazione dell’umanità stessa, con l’auto educazione dell’uomo e ciò conduce
necessariamente a un esito di tipo rivoluzionario, cioè alla rivoluzione francese attraverso la quale quelli che per i
nobili erano i servi arrivano al punto di prendere coscienza di sé, di espandere il proprio dominio sulla società e sono
in grado di conquistare anche il potere politico sulla società stessa.

Il capitale?

L’idea è che il capitale sia lavoro accumulato, cioè le macchine, gli stabilimenti, non rappresentino altro che il
prodotto del lavoro umano che si è andato accumulando formando il capitale. La ricchezza è il prodotto del lavoro, quindi
possiamo definirla lavoro accumulato. Il fatto che il capitale sia lavoro accumulato però non traspare. Il capitale
assume le forme di una entità naturale che si è prodotta da sé e che esiste in modo autonomo dagli uomini, quando
invece sono proprio gli uomini che lavorano a generare il capitale stesso. il capitale si esprime prima di tutto in
denaro. Il denaro è quella forma che permette di scambiare tutte le merci, tutti i prodotti che risultano dall’attività
lavorativa sviluppata all’interno di una determinata società (permette di creare il surplus) Allora il denaro è il
rappresentante oggettivo della ricchezza socialmente prodotta, è, nella sua astrazione, massimamente reale proprio
perché è l’oggettivazione fantasmatica della ricchezza prodotta da l lavoro umano, lavoro umano che però si estranea da
sé nella forma del capitale.

 nella società capitalistica quell’estraniazione religiosa che Feuerbach aveva criticato sia nel cristianesimo sia
nel suo travestimento filosofico hegeliano, appare come struttura materiale della società, appare come
quella dimensione che permea di sé l’attività produttiva stessa e l’attività produttiva è il motore
della storia.

La divisione del lavoro?

La divisione del lavoro significa attribuire ai lavoratori funzioni sempre più specifiche, parziali, settoriali, quindi
significa ridurre il lavoro alla ripetizione di un unico gesto sempre uguale. Più io specializzo l’attività lavorativa, più
rendo possibile accrescere il numero dei miei prodotti, più viene incrementato il capitale stesso. Quindi il prodotto del
lavoro appare al lavoratore in una forma estranea e ostile rispetto al lavoratore stesso. alla società capitalistica non
interessa nulla riguardo al tipo di lavoro che ciascuno fa, l’importante è che questo lavoro sia funzionale
all’accumulazione di capitale. In questo senso divisione del lavoro e concezione del lavoro come lavoro astratto vanno di
pari passo.

Il lavoro astratto ?

Con lavoro astratto Marx indica la forma tipicamente moderna in cui si svolge l’attività lavorativa umana . È la
modalità attraverso la quale l’uomo trasforma un ambiente circostante rendendolo funzionale al soddisfacimento dei
propri bisogni. Marx con “L’estraniazione del lavoro LAVORO ASTRATTO ” intende la forma con cui le attività
lavorative si svolgono all’interno della società capitalistica.

Nel caso di un lavoro artigianale in una bottega medievale il lavoro svolto dall’artigiano non era separato dall’uomo,
dal soggetto che svolgeva questo lavoro. Il lavoro era inseparabile dalle abilità e dalle capacità, non poteva essere
suddiviso in una attività qualitativamente determinata a partire dalle circostanze concrete in cui si svolgeva, non c’è la
possibilità di concepire il lavoro al di fuori delle determinazioni qualitative che distinguono un determinato tipo di
lavorazione da un altro.

Nel capitalismo invece accade che il lavoro viene separato dal lavoratore. Ciò che importa all’interno di un’economia
capitalistica non è la qualità specifica di una determinata prestazione lavorativa, ma è il valore che questa prestazione
lavorativa produce. Qui non stiamo parlando di qualità, qui stiamo parlando di quantità. In questo senso il lavoro nella
società capitalistica è un LAVORO DI TIPO ASTRATTO perché è un lavoro che conta e che si esercita non più in
rapporto a determinate capacità professionali, ma semplicemente in quanto attività produttiva di valore e di surplus.

*è soltanto l’operaio che ha interesse a trasformare questo sistema (teoria dei bisogni radicali)

Il salario?

Nelle pagine finali della sezione dedicata al salario, viene trattato un brano di Buret, che contesta la finzione proposta dagli
economisti secondo cui la relazione tra operaio e capitalista è una relazione totalmente libera assimilabile ad ogni altra
relazione tra un venditore e un compratore (capitalismo come ECONOMIA CONCORRENZIALE). Nel rapporto tra operaio
e capitalista questa libertà è solo dalla parte del capitalista. Solo il capitalista decide se, come e quando
comprare il lavoro di altri uomini costretti a venderlo perché non posseggono altro. Buret sostiene che il
lavoro sia la vita, cioè non può essere separato dal corpo e d alla persona che lo esercita. Se questa persona ha
soltanto il lavoro, cioè le proprie energie psicofisiche, per potersi procurare mezzi di sostentamento, che è il cibo, gli
alimenti, è chiaro che questa persona muore.

Il profitto del capitale:

La teoria di Ricardo?

Ricardo dice sostanzialmente che nell’economia capitalistica conta soltanto IL PROFITTO, non conta il reddito lordo,
ovvero la ricchezza complessiva della società, ma il surplus, il guadagno che questo tipo di ricchezza permette di
incassare ai proprietari delle fabbriche e dei terreni. Quindi non conta il livello medio della ricchezza di una
popolazione, conta solo il tasso del profitto che su questo tipo di popolazione può essere incamerato dai proprietari.

“ Per Ricardo le nazioni sono solo fabbriche di produzione. L’uomo è soltanto una macchina per consumare e
produrre .”

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*È dura ammetterlo, però Ricardo ha ragione, perché ci spiega chiaramente qual è l’essenza della società capitalistica.
È molto interessante notare che in una nota di lettura, Marx, commentando la posizione di Ricardo, si ricolleghi al
rapporto tra il lavoro e la vita.

 le dinamiche interne dell’economia capitalistica producano delle condizioni strutturali che pongono all’ordine del
giorno il problema del superamento del capitalismo e uno degli elementi portanti di questa convinzione
marxiana sta NELL’INCOMPATIBILITÀ TRA CAPITALISMO E CONDIZIONI DI VITA, condizioni che rendono
possibile la continuazione della vita e lo sviluppo di quelle facoltà che rendono degne la vita di essere vissuta.

La rendita fondiaria:

La rendita fondiaria spunti nel capitolo?

Qui parla della relazione tra uomini e terra (introduzione tematica ecologica). Terra intesa come base non solo elementare
dal punto di vista fisico della vita umana, ma anche come forma che garantisce le risorse. Cioè la terra è anche ciò
che, attraverso la sua coltivazione, fornisce i mezzi elementari di sussistenza all’umanità. Permette al genere umano di
permanere in vita. Il tema dell’agricoltura riguarda il tema del cibo, del nutrimento.

Qui Marx ci dà degli spunti esaminando il tipo di trasformazione che la proprietà fondiaria stava subendo
attraverso lo sviluppo e l’espansione dell’economia capitalistica: Nel medioevo Sia signore che servi avevano una
relazione con la terra che qualificava il rapporto con la terra in un senso che era al tempo stesso politico e
sentimentale, cioè il rapporto con la terra non era un nudo e semplice rapporto di tipo economico e la terra non era
ridotta esclusivamente alla sua dimensione di merce. La terra era una merce, ma non era soltanto una merce. Non
era soltanto un bene da cui ricavare profitto e non era solo un’espressione del valore.

La mercificazione della terra?

Nel capitalismo anche l’agricoltura viene incorporata in una logica capitalistica, in un’ottica che ha l’obiettivo di un
guadagno, di un profitto, non per dare elementi da vivere alla popolazione. L’AGRICOLTURA SERVE A QUESTO, ALLA
PRODUZIONE DEL CIBO. Marx attraverso la sua lettura della società e dell’economia capitalistica ci permette di comprendere
come, essendo anche la produzione del cibo subordinata alla creazione di un profitto, evidentemente la relazione che una società
di questo tipo instaura con la natura, dovrà essere necessariamente a sua volta una relazione di sfruttamento, di dominio,
analoga a quella che nella relazione di fabbrica costituisce il rapporto tra il proletariato e il capitalista. Così come il capitalista
concepisce il lavoro esclusivamente come un mezzo per la produzione di plusvalore e di profitto, così una società
capitalistica dovrà concepire la relazione con la terra e con la natura semplicemente nell’ottica della produzione di un
guadagno, di un profitto che non potrà essere concepito come incremento del benessere sociale, bensì come
arricchimento di una minoranza della popolazione, rispetto alla sua stragrande maggioranza.

l’interpretazione ecologica: Ci sono chiaramente degli spunti di tipo ecologico, però non è possibile, a partire da un estratto di
lettura, sostenere che Marx sia un pensatore ecologista, perché questo vuol dire fraintendere radicalmente tutto l’andamento del
pensiero marxiano. Significa sottovalutare la matrice conflittuale della società che per Marx è basata su uno scontro di classe fra
proletariato e borghesia, significa soprattutto trasformare il pensiero di Marx in un pensiero della natura, mentre è sempre
focalizzato sulle società umane, sui modi di produzione e sulle dinamiche conflittuali e rivoluzionarie che hanno come primo
obiettivo l’emancipazione umana, non l’emancipazione della natura.

feticismo delle merci?

Il feticismo è una forma di religiosità primitiva che attribuisce a determinati oggetti dei poteri magici e che trasferisce su delle
cose delle capacità e delle intenzioni che sono frutto di una proiezione. l’uomo è talmente abituato a parlare di merci che
considera IL CONCETTO DI MERCE come se descrivesse una qualità oggettiva delle cose, dei prodotti con cui noi
abbiamo continuamente a che fare, mentre il concetto di merce è semplicemente L’ESPRESSIONE REIFICATA DI UNA
RELAZIONE SOCIALE. Merce vuol dire che gli oggetti che noi consumiamo sono considerati non nella misura in cui hanno
determinate qualità concrete, non nella misura in cui hanno dei valori d’uso per utilizzare il linguaggio di Marx, ma vengono
considerate solo nella misura in cui hanno un determinato prezzo collegato al valore che tali oggetti incorporano in sé stessi.
Questo valore altro non è che la quantità di lavoro socialmente necessario per produrre questi oggetti. Quindi la MERCE è
l’oggetto considerato in quanto dotato di un determinato valore e quindi suscettibile di essere equiparato ad altri oggetti e
scambiato con altri oggetti. L’equivalente generale che permette la realizzazione di queste operazioni è il denaro.

 Nel momento in cui operiamo una critica dell’economia politica, siamo anche in grado di capire non solo che la scienza
dell’economia politica è una scienza che opera all’interno di categorie di tipo feticistico, cioè che attribuisce una valenza
naturale a categorie che sono il prodotto di determinate condizioni storico sociali, come quella di valore, di denaro, di
merce, di profitto etc. Ma Naturalizzare quello che è il risultato di determinate condizioni storiche significa avere una
COSCIENZA REIFICATA, res = cosa, oggetto, il lavoro umano come una cosa

*Marx nel primo libro del capitale impiega questo concetto di feticismo perché in realtà l’uomo che vive all’interno
della società borghese e dell’economia capitalistica, non è diverso dal primitivo perché attribuisce alle cose determinate
proprietà come se appartenessero alle cose.

L’associazione?

L’ASSOCIAZIONE VIENE VISTA COME SUPERAMENTO DELLA PROPRIETÀ FONDIARIA. Il brano “Sull’associazione” è
esemplare da questo punto di vista perché in rapporto alla terra come base naturale per l’acquisizione dei mezzi di sussistenza:
l’associazione ristabilisce in una guisa razionale il rapporto sentimentale dell’uomo alla terra dal momento che la terra cessa di
essere un oggetto di traffico e mediante il libero lavoro e il libero godimento diviene di nuovo una proprietà vera e personale
dell’uomo. Marx vede nell’associazione (che in questo passaggio non è ancora definita comunismo, ma che vedremo definirsi così
in un quaderno successivo), vede nell’associazione una sorta di negazione della
negazione. l’associazione permetterebbe di ripristinare in una forma più alta l’autentica relazione di reciproca appartenenza tra
l’uomo e la terra che abbiamo visto sussistere nel medioevo, nonostante già ci fossero dei rapporti di dominio e di
subordinazione.

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 tema dell’associazione di liberi produttori che condividono la ricchezza prodotta dal loro lavoro e che in questo senso
sviluppano un modello diverso di organizzazione collettiva, cioè un’organizzazione di tipo socialista.

Il lavoro estraniato:

Estraniato vs. Alienato ?

In Marx c’è una differenza fondamentale tra il termine estraniazione e alienazione:

 ALIENAZIONE, se noi traduciamo con questo termine la parola tedesca entäußerung (va letto entoisserung), abbiamo
il significato di alienazione come esteriorizzazione, si intende il processo attraverso cui l’uomo, il soggetto, l’individuo o
anche la specie si oggettiva nella realtà, cioè si esprime nel reale trasformandolo in rapporto ai propri scopi e ai propri
bisogni, è chiaro che in questo senso Marx dà un SIGNIFICATO POSITIVO a questo termine (esprimere se stessi nella
realtà).

 Nel caso del termine ESTRANIAZIONE la parola non è più entäußerung, bensì entfremdung e indica rendersi non più
semplicemente “altri”, ma avere a che fare con una realtà che ci è estranea; vi è l’idea che che noi ci oggettiviamo in
qualcosa che però non riconosciamo come nostra, nella quale però noi non ci riconosciamo. La realtà è qualcosa che noi
facciamo ma noi non riconosciamo noi stessi nel risultato della nostra attività. Questo risultato ci appare come qualcosa
di estraneo, come qualcosa di altro non più nel senso di oggettivo, ma nel senso di ostile. SIGNIFICATO NEGATIVO
Proprietà privata?

In queste pagine Marx insiste sul fatto che per l’economia politica borghese, la proprietà privata è assunta come un DATO,
come un FATTO. Sembra che la proprietà privata sia qualcosa di naturale, di sovra storico, come l’aria o l’acqua. Marx vuole
ricondurre ciò che all’economia politica borghese appare come un fatto, al processo della propria genesi. Marx per mostrare come
la proprietà privata sia un dato di fatto utilizza una teoria propria dell’economia politica, cioè l’idea che l’origine di quello che
noi chiamiamo il valore delle merci, non è dato dalla qualità materiale dell’oggetto, ma siamo noi che decidiamo che ha un
determinato valore, che per un’altra civiltà potrebbe non avere. Non è la materia, qualitativamente determinata, ma è il lavoro
che viene incorporato in questa materia a costituire il valore del prodotto. Allora Marx dice: ecco, l’economia politica stessa ci dà
gli strumenti per operare quella che Hegel avrebbe definito una critica immanente dell’economia politica, perché se io riconduco
il valore al lavoro, ho la possibilità anche di ricondurre l’appropriazione privata del valore al lavoro che lo ha prodotto. È chiaro
che in una società basata sulla proprietà privata, ci deve essere una determinata organizzazione del lavoro per cui il prodotto del
lavoro non appartiene a chi esercita questo determinato tipo di lavoro.

 Questo è il primo aspetto dal quale possiamo ricavare la genesi della proprietà privata. La PROPRIETÀ PRIVATA È GIÀ
IL SEGNO DI UNA ESTRANIAZIONE, cioè di una oggettivazione in cui però l’attività non si riconosce nel prodotto che
ha generato e inoltre, come se non bastasse, questo prodotto gli è addirittura sottratto. È letteralmente “privata” del
prodotto che ha generato. E il prodotto viene appropriato da un soggetto diverso rispetto a quello che lo ha creato col
proprio lavoro. Nella proprietà privata abbiamo un primo aspetto dell’estraniazione

IL SECONDO MANOSCRITTO:

Il rapporto della proprietà privata:

se l’operaio non si riconosce nel prodotto del proprio lavoro, qual è la condizione perché una tale estraniazione
possa prodursi?

Perché evidentemente ci deve essere una estraniazione ancora più radicale di quella che investe il lavoratore e il suo oggetto.
Significa che il lavoro non produce oggetti a partire da una appartenenza del lavoro al soggetto che esercita questo lavoro.
Perché se l’attività lavorativa appartenesse al soggetto che la esercita, dovrebbe appartenergli anche il prodotto che risulta a
questa attività. Quindi L’ATTIVITÀ NON APPARTIENE AL LAVORATORE CHE LA SVOLGE. Il lavoratore deve aver venduto la
propria attività, quella che Marx chiamerà FORZA LAVORO, a una terza persona. Il capitalista, attraverso il salario,
compra le capacità lavorative dell’operaio il quale, dal momento in cui riceve il suo salario, non è più padrone del
proprio lavoro. Tutto ciò che appartiene all’operaio in quanto soggettività vivente, nel momento in cui viene salariato dal
capitalista, non appartiene più all’operaio, ma appartiene al capitalista.

L’operaio dunque subisce una DUPLICE estraniazione:

 Una ESTRANIAZIONE DALL’OGGETTO E UNA DA SE STESSO IN QUANTO SOGGETTO DELL’ATTIVITÀ. Ma a questo


punto , dice Marx, è chiaro che se l’operaio è estraniato da sé come produttore di oggetti ed è estraniato dal prodotto
che produce, vuol dire che è ESTRANIATO DA SÉ COME UOMO. Cioè come appartenente all’umanità.

*l’emancipazione dell’operaio coincide per Marx con l’emancipazione dell’umanità in generale.

Il rapporto tra uomini?

C’è un altro aspetto di questa estraniazione, che investe IL RAPPORTO DELL’UOMO CON L’ALTRO UOMO. Se io sono
estraniato da me come essere generico, è chiaro che sarò estraniato anche rispetto all’altro uomo con cui dovrei riconoscermi
uguale, che dovrei riconoscere come mio “amico”, come mio “socius”. Anche la relazione tra esseri umani, diventa una relazione
estraniata, ma nel caso della relazione tra uomo e uomo, questa estraniazione diventa una relazione di ostilità, di conflitto e di
lotta (origine concezione materialista storia, lotte tra classi). Marx insiste nel sostenere che la vittima di questa estraniazione non
è solo l’operaio, ma anche il capitalista. Solo che il capitalista acquisisce dei vantaggi in termini di ricchezza e potere. Di
conseguenza è evidente che la leva per l’emancipazione umana non potrà essere costituita dal capitalista, ma dovrà
necessariamente essere costituita dal proletariato come classe operaia.

TERZO MANOSCRITTO:

Proprietà privata e lavoro:

Richiamo al feticismo?

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Feticismo: aspetto dell’economia borghese che crea una so impedisce ai soggetti di comprendere criticamente la loro r
ta di opacità, di schermo che situazione perché attribuisce agli oggetti le qualità che sono proprie di determinati
rapporti sociali e quindi scambia come qualità naturali, e dunque immodificabili, ciò che sono gli effetti di determinati
rapporti che si sono prodotti storicamente e che storicamente dunque possono essere modificabili

Proprietà privata e comunismo:

Il comunismo rozzo nei manoscritti?

Il comunismo di cui parla Marx non ha nulla a che fare con quello che lo stesso Marx definisce come “COMUNISMO ROZZO”. Il
comunismo rozzo (movimento operaio francese) predicava il ritorno a una sorta di società basata su consumi elementari, su una
restrizione delle possibilità di godimento, delle possibilità di appropriazione di beni che andassero al di là di quelli strettamente
necessari alla sopravvivenza. Marx ritiene che questo appaia come una figura totalmente povera di pensiero in cui l’eguaglianza
fra gli uomini viene intesa come puro e semplice livellamento in cui si produce quindi una identificazione forzata fra tutti gli
individui e in cui si astrae violentemente dal talento, cioè da quelle che sono le qualità che differenziano un uomo dall’altro, un
individuo dall’altro e addirittura, dice Marx, in realtà il segreto di questo comunismo, il desiderio che lo anima è quello della
COMUNIONE, del GODIMENTO in COMUNE delle DONNE.
Nel momento in cui la relazione tra uomo e donna è basata sul rispetto, sull’amore, sulla pari dignità, significa che l’uomo
considera se stesso come degno di rispetto, come un soggetto degno di diritti. Quando nella relazione tra uomo e donna invece la
donna è sottoposta al potere dell’uomo o peggio è resa oggetto del godimento di tutti gli uomini di sesso maschile, abbiamo
secondo Marx la più compiuta degradazione non solo della donna ma soprattutto dell’uomo che se ne appropria in questa forma
barbara e animalesca. Il comunismo rozzo è un comunismo dell’invidia e del livellamento.

In contrapposizione al comunismo rozzo?

Al comunismo rozzo Marx contrappone UN COMUNISMO IN QUANTO SOPPRESSIONE POSITIVA DELLA PROPRIETÀ
PROVATA, in quanto reale appropriazione dell’essenza umana da parte dell’uomo e per l’uomo. Marx parla del comunismo come
realizzazione di una società in cui la collettività si appropria della ricchezza da essa stessa prodotta ma non per livellare gli
individui, ma per permettere a ciascun individuo di sviluppare le proprie capacità e le proprie facoltà. È un progetto non privo di
tratti utopistici, ma Marx era convinto che proprio attraverso lo sviluppo dell’economia capitalistica la società fosse arrivata a un
tale livello di produzione di beni e di ricchezze da permettere uno sviluppo il più possibile onnilaterale e completo da parte di
tutte le individualità che ne erano le componenti. In una società di questo tipo secondo Marx avremmo la compiuta conciliazione
tra uomo e natura.

 Marx vede nel comunismo questa reciproca realizzazione di umanesimo e di naturalismo e vede nel
comunismo la cessazione della lotta tra uomo e natura.

Il comunismo e la teoria della storia ?

“per l’uomo socialista tutta la storia universale altro non è che la generazione dell’uomo attraverso il lavoro umano, il divenire
della
natura per l’uomo, egli ha la prova visibile del processo della sua origine.”

Sottolineiamo due aspetti:

1. La permanenza di quella che pare una torsione ancora fortemente antropocentrica nella concezione marxiana dei
rapporti tra uomo e natura. C’è la ricerca di un nuovo equilibrio, in cui la natura non è concepita solo come un complesso di
risorse e di materie prime da sfruttare per soddisfare i bisogni umani o per aumentare lo sviluppo del profitto, ma questa ricerca
ha sempre come obiettivo quello di migliorare la qualità della vita dell’uomo.

2. L’idea che per l’uomo socialista, cioè per chi vive, pensa e opera nell’orizzonte di un superamento in senso socialista della
società borghese, emerga anche il processo della propria origine. L’uomo socialista ha la prova visibile e irrefutabile della
sua nascita mediante se stesso. C’è l’idea del lavoro come ANTROPOGENESI. Attraverso l’attività del lavoro, l’uomo
produce oggetti e nel fare ciò produce in pari tempo se stesso. Ecco che riemerge la funzione del lavoro come attività
genetica non solo della sua forma estraniata, in quanto all’origine della proprietà privata, ma anche in quanto potenziale origine
di una riappropriazione di se stesso all’uomo.

 alla fine di questa riflessione sul comunismo, Marx ci dice che il comunismo non è affatto la meta della storia. Quindi
Marx sembra presentarci in questo testo almeno tre concezioni del comunismo:
1. Concezione del comunismo rozzo;
2. Concezione del comunismo come unificazione tra uomo e natura, tra naturalismo e umanismo; una forma
sociale in cui abbiamo una vera e propria resurrezione della natura.
3. Concezione del comunismo inteso come processo storico di negazione pratica della proprietà privata. *
il comunismo se viene inteso come negazione della proprietà privata, in quanto la proprietà privata è la
negazione dell’essenza umana, non lo possiamo considerare come l’ultimo stadio della storia perché resta
ancora condizionato dall’oggetto che nega, cioè dalla proprietà privata.

Ultimo aspetto dei manoscritti:

L’interpretazione Marxiana di Hegel:

Marx riconosce a Hegel il merito di aver concepito egli stesso il lavoro come attività formatrice della storia. Quindi Marx riconosce
a Hegel il merito di aver riconosciuto nel lavoro umano quella attività antropo – genetica, cioè di auto produzione dell’uomo
da parte dell’uomo, che da un altro punto di vista Marx riconosceva come merito anche all’economia politica borghese.
in Inghilterra la scoperta del lavoro come matrice del valore è stata fatta dagli economisti e in Germania il significato del
lavoro è stato scoperto da un filosofo. Hegel rappresenta l’elemento più avanzato secondo Marx della presa di coscienza tedesca
che si produce all’altezza del pensiero speculativo, proprio perché la Germania non ha una realtà capitalisticamente sviluppata.

Richiamo a Feuerbach:
Feuerbach e la filosofia, il linguaggio e la scienza?
Feuerbach insiste su un concetto che è assente nel giovane Marx, il concetto cioè di esposizione scientifica, quella che Marx
chiama esposizione speculativa. La PRESENTAZIONE LINGUISTICA viene posta da Feuerbach al centro della sua attenzione

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perché egli vede nella capacita di esprimere linguisticamente i concetti e le relazioni fra concetti, il momento di attuazione della
filosofia come sistema scientifico. Il grande progetto dell’idealismo tedesco, cioè di quella corrente filosofica cominciata da
Kant, era di costituire la filosofia come una scienza. Questo progetto che inizia da Kant viene formulato con chiarezza con
Fichte. Hegel si innesta sul progetto scientifico fondamentale della dottrina della scienza, cioè filosofia come fondamento
trascendentale del sapere in grado di spiegare le strutture portanti e le condizioni del sapere umano che secondo Fichte solo la
filosofia è in grado di scoprire, che solo la filosofia è in grado di presentare nella loro reciproca connessione e quindi solo la
filosofia può porre alla base di tutte le altre scienze. La filosofia deve essere a sua volta essere costruita scientificamente per
pretendere di essere il fondamento di tutto il sapere umano. Solo una filosofia SISTEMATICA che procede sulla base di PRINCIPI
e di DIMOSTRAZIONI può realizzarsi come scienza, che però è diversa dalle scienze della natura perché non si occupa del
mondo, ma si occupa della CONOSCENZE del mondo. È un conoscere del conoscere, è un sapere del sapere, per
questo è una conoscenza trascendentale, perché riconosce le condizioni a priori a partire da cui operano gli scienziati e gli
studiosi in tutti gli altri ambiti del sapere umano.

Hegel e il linguaggio?

Secondo Feuerbach, però, Hegel ha da una parte il merito di sviluppare e di attuare in modo coerente il progetto di Fichte e
dell’idealismo tedesco. Hegel porta a compimento un sistema scientifico della filosofia che è libero dalle tradizioni e dalle aporie
che avevano compromesso la coerenza sistematica della dottrina della scienza. Fichte restava prigioniero di una
contraddizione tra soggetto e oggetto, tra io assoluto e io empirico, e non era riuscito a rispettare il parametro, il criterio
che lo stesso Fichte aveva posto come fondamentale. Questo parametro è costituito dalla circolarità, dal fatto che alla fine
dell’esposizione si deve ripristinare il principio assoluto che garantisce la scientificità della filosofia. Secondo Feuerbach, Fichte
non rispetta questo criterio della circolarità, mentre Hegel lo rispetta in pieno. Il problema è che proprio nella misura in
cui Hegel rispetta in pieno questo parametro e quindi realizza un’esposizione scientifica della filosofia, darstellung, scambia poi
l’esposizione della filosofia per la filosofia tot court. Identifica attività critica del pensiero con la forma linguistica e
oggettiva che l’attività del pensiero riceve nella sua presentazione linguistica, nella sua esposizione scientifica,
l’esposizione assume lo statuto di un oggetto indipendente nei confronti della ragione e da esercizio di pensiero critico viene a
rappresentare una forma di sistema dogmatico che si presenta di fronte alla ragione come verità assoluta. Ecco perché Feuerbach
parla della filosofia, o meglio del sistema hegeliano, come assoluta auto alienazione della ragione e Hegel comprime tutto
nell’esposizione. Identifica l’attività del pensiero come attività razionale autonoma con l’esposizione linguistica di questo
pensiero e fa dell’esposizione sostanzialmente del libro una forma di verità assoluta non più modificabile che assume uno statuto
oggettivo di fronte al pensiero come attività critica in atto.

Hegel e l’empirismo speculativo?

Scrive Feuerbach: alienazione che in lui si esprime oggettivamente già in questo, che la sua filosofia del diritto è l’empirismo
speculativo allo stato più puro.

Con EMPIRISMO SPECULATIVO, Feuerbach intende dire che Hegel dà una giustificazione razionale alla realtà dello Stato
empiricamente presente. Feuerbach interpreta la filosofia politica di Hegel come una giustificazione a posteriori della realtà di
fatto. Hegel assume dalla realtà i dati empirici che la costituiscono e poi ne fornisce a posteriori una deduzione di tipo
speculativo, cioè una giustificazione di tipo concettuale. Feuerbach introduce l’idea che la dialettica hegeliana sia un tipo di
metodo filosofico che serve a giustificare lo stato di cose presente.

Hegel e la sua filosofia mistica razionale?

Definisce la filosofia di Hegel come una MISTICA RAZIONALE. Hegel parte dal presupposto che esista un assoluto e che la
struttura di questo assoluto sia costituita dall’identità tra soggetto e oggetto, dall’identità tra spirito e natura. Questa identità
però non può essere colta concettualmente, perché nel momento in cui provo a cogliere concettualmente l’identità,
evidentemente la differenzio, proprio per il fatto che cercando di definirla linguisticamente, la scompongo. Nel momento in cui
cerco di darne un’articolazione concettuale, introduco delle differenze nell’identità. Però Hegel fa proprio questo, vuole
comprendere concettualmente l’identità speculativa tra soggetto e oggetto. Parte da una condizione non dimostrata di tipo
irrazionale, quindi di tipo mistico, perché è la convinzione di un’unità fra uomo e Dio, fra soggetto e oggetto, che non
può essere concettualmente dimostrata. La filosofia hegeliana emerge come una sorta di centauro filosofico, mette insieme
degli elementi che insieme non possono stare: elemento mistico e elemento razionale.

 Questa idea della mistica razionale che vede nella dialettica un dispositivo che è solo apparentemente razionale, ma che
ha al suo interno un nucleo irrazionale perché non dimostrato, ha una importanza fondamentale nella critica marxiana
che noi troviamo nei manoscritti di Marx.

Gli aspetti della critica di Marx?

Due aspetti differenziano la critica di Marx alla filosofia di Hegel dalla critica di Feuerbach:

1. In Marx non c’è il tema dell’esposizione speculativa, della darstellung. Invece nel caso di Marx, viene accetta la
definizione feuerbachiana del sistema hegeliano come auto alienazione della ragione, però non la attribuisce alla
problematica epistemica. L’estraniazione del lavoro che è all’origine dell’economia politica, è anche all’origine
della filosofia hegeliana ed è nella misura in cui Hegel pensa all’interno di una società estraniata che può concepire il
sistema filosofico come realizzazione suprema dell’umano in quanto l’umano è ricondotto a pura e semplice coscienza di
sé. Ma il sapere di sé non esiste nella realtà, in quanto concetto autonomo. Nella realtà esiste l’uomo come
essere naturale e sensibile. Il pensiero di Hegel è un pensiero estraniato perché separa la coscienza dalla corporeità,
separa il concetto dalla sensibilità e autonomizzando il concetto pretende di ridurre e di assorbire in sé la natura
facendone un momento di auto realizzazione dell’idea.
2. Marx fa dei passi in avanti rispetto a Feuerbach. Questa estraniazione trova nella religione una delle sue forme, ma non
è la religione la forma originaria dell’estraniazione. La forma originaria dell’estraniazione non va ricercata nella
coscienza, ma va ricercata nel lavoro, nell’attività di produzione materiale, attraverso cui gli uomini creano le
condizioni della propria esistenza e che nel capitalismo sono estraniate, rendono l’uomo estraneo a se stesso. Col
superamento del capitalismo, dovrà condurre anche al superamento di quella filosofia che in Hegel ha raggiunto il suo
vertice in quanto filosofia speculativa, in quanto ontologia dello spirito. Così Marx interpreta Hegel. Non è un caso che
attraverso l’emancipazione del lavoro il soggetto potrà emanciparsi anche da quell’estraniazione che tutti i
sistemi filosofici fino a quello di Hegel hanno rappresentato per l’uomo, pretendendo di fare della verità
una figura della coscienza.

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FINE MARX

LUKACS:

è il primo autore che pone il problema della reificazione, posto al centro della interpretazione complessiva della società
capitalistica.

Il saggio sulla reificazione è all’interno del testo Storie e coscienza di classe.

Questo saggio si divide in 3 parti: 1. Il fenomeno della reificazione: Esamina il fenomeno della reificazione per come si
manifesta nelle società capitalistiche degli anni 20. 2. Le antinomie del pensiero borghese: Indagine più propriamente
filosofica, Lukacs mostra come quei fenomeni di reificazione che si sviluppano sul piano sociale vengano elaborati
concettualmente dalla filosofia borghese, cioè dagli inizi della filosofia moderna sino all’epoca di Lukacs, particolare importanza
assume l’idealismo tedesco, e la figura di Hegel, e Lukacs mostra problemi che non possono essere risolti finché restiamo
all’interno del modo di produzione capitalistico. 3. La posizione del proletariato: Lukacs ci presenta la sua lettura del
marxismo e ci spiega qual è il ruolo del proletariato e della classe operaia.

Biografia: Lukacs nasce in Ungheria, Budapest, nel 1885, è figlio di uno dei principali banchieri dell’impero asburgico che proprio
per i suoi servigi resi alla monarchia riceve anche il titolo nobiliare, poi Lukas diventato marxista si chiamerà semplicemente
Lukacs e toglierà il Von del padre. Gli interessi di tipo teoretico, culturale, filosofico, sfociano nella composizione di una serie di
saggi che Lukacs raccoglie in un libro intitolato “L’anima e le forme”, prima in ungherese e poi nel 1911 in tedesco (critica
letteraria ed estetica la condizione dell’intellettuale e dell’uomo moderno). Naturalmente, come per tutti gli intellettuali
dell’epoca, lo scoppio della prima guerra mondiale riveste un significato decisivo e traumatico. nel frattempo nel 1917
scoppia in Russia la rivoluzione Bolscevica che porta al potere per la prima volta un partito marxista. Il partito comunista
russo, il cui capo è Lenin il quale riesce a portare a successo una rivoluzione in un paese dalle condizioni economiche piuttosto
arretrare rispetto agli altri paesi europei, dove si era sviluppato un capitalismo moderno, come in Francia o in Inghilterra.

 In MARX l’idea fondamentale era quella che il passaggio dal capitalismo al comunismo sarebbe dovuto avvenire
all’interno di una società capitalisticamente avanzata in cui il capitalismo avesse potuto esprimere al meglio tutte le sue
potenzialità e avesse al contempo condotto a esaurimento le possibilità di sviluppo, di innovazione tecnico scientifico, di
cui era in possesso.
 una transizione in cui un proletariato diventato la grande maggioranza della popolazione e prende il potere attraverso un
uso limitato e circoscritto della violenza
 l’idea non è quella di un passaggio graduale, ma è quella di un passaggio in qualche modo necessitato
dalle circostanze oggettive, storicamente presenti, storicamente date

In Russia la situazione era molto diversa, avevamo una concentrazione in poche zone di industrie e la stragrande maggioranza
della popolazione russa era contadina. Lo stesso Lenin ad un certo punto parla di dittatura democratica dei contadini e degli
operai. Questa ipotesi sarà stroncata da Stalin nel corso degli anni ‘30 attraverso una politica di sterminio dei contadini ricchi.

 Lukacs è fra quegli intellettuali che dopo lo scoppio della rivoluzione attraversano un periodo di dubbio, di
profonda lacerazione e che alla fine si schierano da parte della rivoluzione.

L’adesione di Lukacs alla rivoluzione e le sue problematiche?

Questa adesione comporta una profonda lacerazione di tipo etico e per comprenderla fino in fondo bisogna rifarsi all’opera
Teoria del romanzo, esaminando la problematica del rapporto tra artista e società, Lukacs legge il destino dell’individualità
nella società moderna, concentrandosi sulla forma romanzo. Per Lukacs questo progetto avrebbe dovuto culminare in una
seconda e più ampia monografia concentrata sulla figura di Dostoevskij. Perché appunto in Dostoevskij noi abbiamo un
romanzo che non è più semplicemente un romanzo, questo perché interviene potentemente la filosofia sotto l’aspetto dell’etica,
del problema del bene, della giustizia, della santità e dunque un’etica intesa come ETICA SUPERIORE, un’etica che travalica la
stessa moralità e che raggiunge la sfera più alta della santità, cioè di una compiutezza in cui l’esistenza stessa incarna e realizza
l’idea del bene, l’esercizio della virtù, la realizzazione della bontà. Nel momento in cui Lukacs vede in Dostoevskij l’apertura di
una forma diversa di realizzazione artistica che pone come sua cifra l’unificazione e la compenetrazione tra l’anima e la
sua forma, tra la vita e la virtù, tra l’esistenza e il bene, è chiaro che il problema della rivoluzione come
modificazione violenta degli assetti costituiti, si pone come problema; è il problema: rifiuto / accettazione della violenza
come modalità di creazione di un ordine nuovo. La violenza non può essere giustificata da un punto di vista etico. La
soluzione sta nell’idea del SACRIFICIO. Cioè, il rivoluzionario terrorista sacrifica la propria virtù per il bene degli altri. È
disposto a peccare, ad agire in modo immorale, per salvare a possibilità che gli altri possano agire in modo moralmente giusto. È
come se il terrorista rivoluzionario decidesse di condannare se stesso per salvare gli altri. È chiaro che si tratta di una
giustificazione che non è tale, Lukacs è come se ci dicesse che siamo di fronte a un vicolo cieco.

Questo problema si riflette in alcuni saggi di Storie e coscienza di classe e in particolare vedremo proprio all’interno nel saggio
sulla Reificazione, nella terza sezione.

Il concetto di reificazione?

Reificazione si rifà a un termine che compare in alcuni testi marxiani ma che sicuramente Lukacs valorizza facendone il perno
della sua lettura, non solo dei testi di Marx, ma dei fenomeni sociali che si erano sviluppati nel periodo successivo alla morte di
Marx.

Nel primo libro del “capitale” di Marx: insiste su un concetto che è collegato a quello di reificazione e che è quello di
FETICISMO DELLE MERCI. Secondo Marx nella società capitalistica le relazioni sociali sono caratterizzate da una opacità che
impedisce ai componenti della società capitalistica di comprendere esattamente quali sono le leggi di funzionamento
della società di cui essi stessi fanno parte. L’idea di Marx è che questa opacità abbia la sua radice nella struttura
sociale e in particolare nella funzione che il lavoro svolge all’interno della società capitalistica.

 Il capitalista possiede il denaro (D), il lavoratore è visto come una merce (M), il lavoro ha una caratteristica
esclusivamente sua che lo differenzia da tutte le altre merci = è FONTE DI VALORE, Smith e Ricardo = il valore delle
merci dipende dalla quantità di lavoro socialmente necessario misurato in termini di tempo di lavoro, il capitalista
compra una capacità una FORZA LAVORO, il tempo che l’operaio lavora in più rispetto a quello necessario a

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produrre il valore equivalente al salario, è appunto un tempo che Marx definisce di PLUS LAVORO, QUINDI se
c’è un PLUS LAVORO e il lavoro è fonte di VALORE, è chiaro che c’è anche un PLUS VALORE, cioè un valore
che viene appropriato dal capitalista e che è in eccesso rispetto ai soldi spesi dal capitalista per comprare il
lavoro operaio.
 Ci sono però due modalità di plus valore:

1. Plus valore assoluto: si crea at traverso l’ESTENSIONE della DURATA della giornata lavorativa
2. Plus valore relativo: si crea attraverso l’INTENSIFICAZIONE d ella PRODUTTIVITA’. Cioè all’interno di
una durata predeterminata del tempo di lavoro, si tratta di applicare delle tecniche, degli strumenti,
che permetta di intensificare il più possibile la produttività del lavoro in modo da restringere al minimo
il tempo di lavoro necessario per la riproduzione del salario e di estendere il tempo che l’operaio può
dedicare alla produzione di plus valore.

Taylorismo e fordismo?

La specializzazione che si accompagna alla divisione del lavoro è una delle forme principali attraverso cui è stata
incrementata la produttività del lavoro. A parità di tempo viene prodotta una quantità di merci molto
maggiore. Un salto ulteriore viene prodotto agli inizi del Novecento. Vengono introdotte due innovazioni strettamente
collegate l’una all’altra: taylorismo e fordismo.

Taylorismo: Prende il nome dall’ingegnere americano Taylor che nel 1911 scrive un libro, L’organizzazione scientifica del
lavoro . Per organizzazione scientifica del lavoro, Taylor intende la CALCOLABILITÀ dei GESTI che presiedono ad una
determinata prestazione lavorativa. Si tratta di applicare una metodologia di tipo matematico alla scomposizione
elementare del gesto lavora nelle sue componenti atomiche, ciascuna delle quali deve essere assegnata ad un singolo
operaio il quale nella sua giornata di lavoro, dovrà sempre ripetere questo stesso gesto. Un gesto che sia il più
semplice, il più elementare, il più suscettibile di essere calcolato e dunque programmato.

Fordismo: introduzione della catena di montaggio, Il singolo operaio è vincolato alla produzione di un unico gesto
elementare, i cui tempi sono stati già calcolati in anticipo . Qui il processo di estraniazione di cui parlava Marx,
raggiunge il suo vertice, perché abbiamo l’estraniazione del lavoratore dal suo lavoro, la sua attività è programmata da
terzi, ridotta a un gesto ripetitivo, meccanico e da iterare indefinitamente per tutta la giornata lavorativa. Estraniazione
rispetto al prodotto, rispetto al mezzo di lavoro (è la catena di montaggio), e rispetto ai suoi compagni di lavoro.

Lukacs parla di reificazione e feticismo?

FETICISMO DELLE MERCI: l’ATTRIBUZIONE A DETERMINATE COSE DI CAPACITÀ E DI ATTIVITÀ CHE NON SONO DELLE
COSE, MA CHE SONO DEGLI UOMINI. Abbiamo un processo di alienazione per cui delle capacità tipiche degli uomini vengono
trasferite su determinate cose. Una forma analoga di primitivismo culturale è quello vigente all’altezza delle società capitalistiche
in cui gli uomini attribuiscono al capitale la capacità di auto moltiplicarsi, perdendo di vista che la fonte del valore e l’origine di
questo accrescimento di valore, non sta nella cosa chiamata denaro, ma nel lavoro umano.

Il taylorismo e il fordismo introducono un ulteriore salto di qualità e estendono l’elemento della reificazione dal processo della
produzione industriale a tutte le sfere della società. Questo è l’assunto da cui procede Lukacs quando scrive il suo saggio sulla
reificazione.

Cioè Lukacs dice: ai tempi di Marx, il feticismo delle merci era limitato alla dimensione del lavoro immediatamente produttivo e
riguardava il denaro a cui veniva attribuita la facoltà magica di auto moltiplicarsi.

Questa specializzazione secondo Lukacs dalla fabbrica si è estesa a tutta la società e anche la dimensione del
feticismo si era diffusa su tutta la società. Gli uomini non riuscivano più a dare un significato razionale a quello che
facevano, perché ciascuno era sempre confinato allo svolgimento della stessa attività. Per cui nessuno più aveva la
visione di insieme in grado di dare un significato al proprio contributo. La reificazione, questa dimensione complessiva di
auto estraniazione dal lavoro di fabbrica, si estende a tutte le sfere dell’esperienza umana . Lukacs insiste sul concetto
di reificazione perché se il feticismo è applicato da Marx per analogia, quindi mantiene sempre una dimensione
metaforica e analogica, il concetto di reificazione invece mette proprio al centro del concetto l’idea di cosa ,
dimostra come gli uomini concepiscano la loro esistenza come una cosa che non dipende da loro, ma
dipende da leggi nei confronti delle quali gli uomini non possono fare niente.

I fenomeni di reificazione investono non solo la fabbrica, ma ogni tipo di lavoro: i lavori delle professioni del settore
terziario (es: amministrazione della giustizia).ex. Il giudice è indifferente nell’emanazione di una sentenza, perché la
sentenza è il risultato della messa in atto di determinate procedure che sono già standardizzate, ma anche
l’amministrazione la ricerca etc. Quest’idea di CALCOLABILITA ’ UNIVERSALE per Lukacs è la cifra emblematica
del processo di reificazione che ha investito la totalità delle attività umane.

Il concetto di sussunzione e la logica del capitale?

SUSSUNZIONE: Kant usa questo concetto rifacendosi al significato latino di sub – sumere, cioè di assumere, di condurre
qualcosa sotto
qualcos’altro. Qui si trattava di ricondurre un determinato fenomeno naturale, sotto il concetto universale che lo doveva
comprendere al proprio interno; è come se questo concetto dominasse con la sua generalità ogni fenomeno determinato
suscettibile di essere compreso al proprio interno.

Marx impiega questo concetto alla logica del capitale, distinguendo due fasi:

1. Il capitale tende inesorabilmente ad espandere se stesso e il proprio dominio sulla società, però alla sua epoca noi non
abbiamo ancora un dominio totale del capitale sulla società, abbiamo una sussunzione che Kant chiama di tipo
formale. La forma delle relazioni umane ormai è determinata dal rapporto di produzione capitalistico perché IL
LAVORO UMANO È SUSSUNTO SOTTO IL CAPITALE, però questa sussunzione non riguarda l’università, la scuola, gli
ospedali, l’amministrazione della giustizia.

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2. Con l’estensione del capitalismo nei decenni successivi alla morte di Marx, secondo Lukacs siamo passati alla
sussunzione reale. ORMAI TUTTI I RAPPORTI SOCIALI SONO DETERMINATI IN SENSO CAPITALISTICO. La vita
umana è mercificata nella totalità dei suoi aspetti e delle sue sfere. La calcolabilità, questa razionalità puramente
formale, quantitativa, che prescinde dalla qualità dei rapporti e delle cose, perché considera tutto in termini di valore, di
denaro e di profitto, si riflette anche sulla scienza e in particolare sulla filosofia

La visione di Lukacs delle filosofie precedenti?

Secondo Lukacs il pensiero inteso come filosofia, da Cartesio a Kant, a Hegel, fino alle correnti contemporanee a lui, è stato
vittima
di quella reificazione che ha investito progressivamente tutte le attività sociali. Il concetto cruciale è il concetto di ciò che è
assunto come fattualmente dato, indipendentemente da qualunque tipo di intervento da parte del soggetto. Per Lukacs ogni
filosofia che assuma la realtà come qualcosa di presupposto, di già formato, di già dato, è una filosofia di tipo
reificato, cioè che non è in grado di cogliere i processi genetici e produttivi che stanno alla base di ciò che
all’esperienza comune e al buon senso appare come qualcosa di dato. Quindi assumere il reale come dato significa
imporre una determinata costituzione della realtà considerandola immodificabile perché naturale, perché appunto già data e
come tale non suscettibile di ulteriore modificazione. Marx imputava questo limite all’economia politica borghese che
manifestava il suo feticismo ritenendo che le leggi di funzionamento del capitale fossero le leggi di funzionamento di ogni tipo di
società. Questo tipo di ideologia, è tipica di un pensiero che scambia ciò che è storicamente divenuto con qualcosa di
naturalmente dato e perciò destinato a durare per l’eternità perché concepito come esistente dall’eternità.Per Lukacs il
significato che ha l’idealismo tedesco sta nel fatto che rappresenta all’interno del pensiero borghese il tentativo più profondo e
più importante di combattere l’ideologia del dato e quindi di combattere ogni forma di pensiero reificato.

Come superare il problema della reificazione?

Per Lukacs a livello teoretico il problema della reificazione si traspone nel problema che i filosofi considerano come dato ,
cioè problema come un presupposto da assumere dogmaticamente senza che il pensiero debba provare a giustificarlo, a
derivarlo geneticamente. Derivare geneticamente significa: mostrare il processo che ha condotto alla sua produzione, cioè
l’idea di Luka c s è che per superare la dimensione reificata del pensiero sia necessario trasformare il dato in prodotto,
ciò che appare come fatto nei processi che presiedono alla costituzione e che devono essere intesi come la genesi di
quello che a prima vista si presenta come un puro e semplice fatto

 L’idealismo tedesco è il massimo tentativo per superare la dimensione reificata , ma secondo Lukacs neanche esso
riesce in ciò perché nonostante tutti gli sforzi compiuti dai filosofi dell’idealismo, il modello di razionalità
dell’idealismo tedesco resta condizionato dal modello razionalistico geometrico, matematico deduttivo
(Cartesio). Se io concepisco un essere umano solo come la somma di operazioni elementari è chiaro che non lo
considero più come un organismo vivente, ma piuttosto come una pura e semplice cosa, come un oggetto che posso
manipolare, che posso decostruire e rimontare in base agli obiettivi che mi pongo (basi del Taylorismo e del fordismo).
L’organismo da totalità vivente viene concepito come cosa morta, scomponibile nelle sue parti elementari, che
poi posso utilizzare in rapporto agli obiettivi che mi prefiggo.

La concezione della materia e Cartesio?

Con Cartesio si rompe con la visione classica della natura e del ruolo dell’uomo nella natura; la natura prima di lui era
concepita come un cosmo, come una totalità ordinata in cui l’uomo occupava una posizione che non era decisa da lui.
Questa visione che perdura per quasi 2500 anni, se non di più, viene drasticamente a interrompersi con l’età moderna.
L’uomo si separa dalla natura. tutto ciò che è spazializzabile è materia e in quanto la proprietà della materia è
l’estensione (si estende per lunghezza, larghezza e profondità), tutto ciò che è materiale, può essere ricondotto a una
forma conoscitiva di tipo matematica. Ora, dire tutto ciò che è materiale è caratterizzato dall’estensione, significa
operare una formalizzazione, cioè significa prescindere da ciò che distingue un oggetto da un altro, significa neutralizzare
le componenti concrete sensibilmente determinate, significa dunque OMOLOGARE, cioè ricondurre a una condizione di
eguaglianza e di indistinzione. Nel momento in cui io riconduco la sostanza della natura a res extensa e ritengo che
tutto ciò che fa parte della natura, sia riducibile a estensione, io dal punto di vista teoretico ho già creato le
condizioni del fordismo e del taylorismo, cioè ho già creato quella piattaforma che mi permette di approfondire e di
estendere in modo potenzialmente illimitato le procedure e i metodi della quantificazione, della formalizzazione della
calcolabilità.

Cartesio e l’idealismo tedesco?

Da una parte questa razionalità viene criticata dai filosofi dell’idealismo tedesco per la sua incapacità di rendere conto
della dimensione qualitativa dell’esperienza, per l’incapacità cioè di rendere conto di ciò che costituisce il reale nella
sua effettiva concretezza; dall’altro però resta all’interno dell’idealismo una filiazione dal modello cartesiano che Lukacs
vede nell’idea di sistema, cioè la pretesa di ricondurre la totalità del reale all’interno di una griglia logica di
carattere onnicomprensivo e per ciò trasformarla in una griglia puramente formale, in cui le specificità dei singoli fenomeni
vengono sostituite da procedure logiche.

L’aporia della cosa in sé di Kant?

In Kant assume la forma di una aporia, l’aporia della cosa in sé. Kant viene letto giustamente come colui che
inaugura una rivoluzione copernicana, è il soggetto che stabilisce le condizioni a priori in base alle quali è possibile
avere l’esperienza di oggetti e quindi a partire dalle quali è possibile concepire una natura come insieme organizzato di
fenomeni. Nel caso di Kant parliamo di FORME a priori (spazio, tempo, categorie, …) che sono sempre forme, e la
cosa in sé è il presupposto dell’esperienza, senza di cui le forme a priori della soggettività non avrebbero alcun
tipo di aggancio, alcun punto di applicazione nel reale. Kant da una parte vuole rendere il soggetto protagonista, vuole
rendere il soggetto colui che pone le condizioni a priori all’interno delle quali è possibile avere un’esperienza, ma d’altra parte in
questa funzione a partire da cui è possibile determinare l’esperienza, il soggetto si trova al tempo stesso condizionato da un
presupposto – la cosa in sé – senza di cui tutte le sue attività sarebbero vane, impossibili, perché prive di contenuto di realtà.

 Il tentativo sarebbe - da parte di Kant - quello di provare a dedurre con i mezzi della ragione i contenuti concreti ai quali
applicare le forme della ragione. In questo modo Kant cercherebbe di ripristinare un’unità tra contenuto e
forma, tra i concetti della ragione e i materiali a cui questi concetti si applicano, quindi una sorta di unificazione tra
soggetto e oggetto che nel caso di Kant si infrange a ridosso della problematica della cosa in sé.

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Fichte e il tentativo di superare l’aporia?

Nella dottrina della scienza, Fichte si prefigge di proseguire sulla via aperta da Kant, ma di portare fino in fondo quell’impresa che
Kant non è riuscito a completare proprio perché si è imbattuto nell’ostacolo insuperabile della cosa in sé. L’idea di Fichte è che si
tratta di risalire a un principio primo assolutamente incondizionato che presenti un’immediata compenetrazione
tra il suo contenuto e la sua forma, di scoprire un principio che nella sua struttura unifichi concetto ed essere, forma e
materia. Questo principio secondo Fichte è costituito dall’Io che pone incondizionatamente se stesso. Fichte è convinto di essere
riuscito a scoprire un concetto in grado di superare l’aporia kantiana della cosa in sé, in cui a priori e a posteriori, ragione e
realtà, essere e divenire, soggetto e oggetto, fanno inestricabilmente tutt’uno, si pongono contemporaneamente in un intreccio
che li rende inseparabili, reciprocamente indivisibili. Fichte aveva coniato anche un termine per definire questo primo principio,
aveva parlato di TATHANDRUNG. Nell’IO abbiamo l’identità di quegli aspetti che in Kant restavano ancora separati. Il punto è
che questa identità si declina in chiave ancora puramente soggettiva. Tutto ciò che è diverso dall’io, viene escluso dallo
stesso. Quindi l’aporia kantiana in un certo senso si ripresenta in quell’insieme di realtà e di enti che sono differenti
dalla soggettività, dall’io. Con Fichte però si pone per la prima volta il problema della genesi del contenuto, il principio primo
di cui la filosofia ha bisogno per essere scienza, non può prescindere dall’effettiva capacità di produrre i contenuti della realtà
stessa e dunque non può prescindere da questa esigenza di realtà, di concretezza, una concretezza che non può essere
concepita come meramente data, ma deve essere dimostrata come effettivamente prodotta dalla soggettività.

Schelling e il tentativo di superare l’aporia?

Il significato di Schelling e della filosofia della natura sta nel tentativo di dimostrare che la natura non è semplicemente qualcosa
che si oppone alla ragione, ma è essa stessa razionale e quindi nella natura stessa ci sono delle pulsioni e delle forze di
tipo soggettivo, cioè nella natura sono operanti delle forze che muovono in direzione di una auto organizzazione della natura
stessa. Quindi la natura non può più essere concepita come pura e semplice congerie di fenomeni meccanici, ma deve essere
concepita come una totalità in grado di produrre la propria auto organizzazione. Il prezzo pagato da Schelling è un prezzo pagato
in termini di irrazionalità, cioè alla fine anche Schelling per giustificare la sua concezione della natura, è costretto ad appellarsi
a qualcosa che travalica la ragione e che Schelling chiama intuizione intellettuale, una sorta di visione istantanea attraverso cui il
soggetto coglie l’unità e l’identità delle strutture fondamentali che permeano insieme la vita del soggetto e la vita dell’oggetto.
L’impossibilità di legittimare razionalmente l’identità assoluta tra soggetto e oggetto costringe Schelling ad appellarsi a un
organo extra concettuale che sarà poi aspramente criticato da Hegel nella prefazione dalla Fenomenologia dello spirito.

 I tentativi della filosofia classica tedesca fino a Schelling di superare l’elemento calcolistico e formale della razionalità
cartesiana si imbattono o in una difficoltà persistente di integrare i contenuti reali all’interno delle strutture razionali
(Kant e Fichte), oppure – nel caso di Schelling – quando questa integrazione tra contenuto e forma sembra compiersi,
viene compiuta a prezzo della comprensibilità, cioè della possibilità di dimostrare per via razionale che effettivamente
l’assoluto di cui parliamo è qualcosa di esistente e di effettivamente reale.

Lukacks e Hegel?

Secondo Lukacs la grande novità di Hegel è che egli vede la soluzione del problema della genesi non in un principio logico –
trascendentale (Fichte) o irrazionale (schelling). Il nuovo terreno della genesi diventa il terreno della STORIA. La storia è il
processo dove il soggetto costituisce la realtà al tempo stesso costituendo se medesimo nel rapporto con la realtà. Quindi nella
storia abbiamo un movimento di costituzione reciproca di soggetto e di oggetto all’interno di una soggettività che è
collettiva. La storia è un terreno altamente complesso e dinamico, ricco di conflitti, lotte, contraddizioni, ma dotato,
secondoHegel, di una logica interna, che non punta a uno stadio finale, ma si determina di volta in volta, quindi nella storia il
movimento del divenire storico effettivo, cioè la storia dei conflitti, dei modi di produzione, delle guerre e così via, è sempre
correlato a delle prese di coscienza, cioè a delle forme di espressione simboliche attraverso cui gli uomini esprimono le
concezioni e i valori di fondo che stanno alla base dei loro comportamenti e delle loro reciproche relazioni.

 Nella storia abbiamo quella costituzione dialettica di soggetto e oggetto che Lukacs ritiene fondamentale per
l’articolazione di una coerente filosofia del marxismo. Si tratta di concepire prima di tutto nella ricchezza e nella novità
della sua proposta la filosofia di Hegel come una filosofia della storia, non nel senso che la storia sia governata da una
sorta di provvidenza, ma nel senso che la storia è il terreno dell’auto costituzione reciproca di soggetto e oggetto, di
coscienza e realtà.

Il limite di Hegel?

Però in Hegel secondo Lukacs una mitologia concettuale inficia a sua volta la razionalità. Vi è L’esigenza di scoprire
all’interno della storia un soggetto collettivo che possa essere il protagonista effettivo, e quindi anche il principio di senso, il
principio in grado di dare significato alla vicenda storica. È un’esigenza assolutamente legittima questa, ma nelle condizioni reali
all’interno delle quali Hegel viveva e pensava, questo soggetto ancora non esisteva e quindi Hegel ha dovuto sostituire questo
soggetto assente nella realtà con un soggetto presente solo nell’immaginazione del filosofo e questo soggetto immaginario è
lo spirito, lo spirito protagonista di tutte le opere hegeliane.

Il proletariato come soggetto-oggetto della storia?

Il problema del marxismo si colloca a questa altezza. Lukacs riprende le tematiche del giovane Marx, Quando Lukacs identifica nel
proletariato il soggetto-oggetto della storia, da una parte si colloca sul solco della posizione marxiana, però al tempo stesso ci
fornisce una lettura straordinariamente ricca e articolata dell’intera parabola storico-filosofica della modernità. il proletariato
inteso come soggetto-oggetto della storia diventa l’erede non solo della filosofia classica tedesca come voleva Engels, ma
dell’intera storia della filosofia moderna, perché nel proletariato inteso come soggetto-oggetto della storia trovano il loro punto di
soluzione tutti quei problemi che vanamente i pensatori della filosofia classica tedesca avevano cercato di risolvere.

 Qui si apre una prospettiva problematica che è legata al rifiuto di qualunque forma di provvidenzialismo storico e
quindi il proletariato inteso come soggetto-oggetto della storia è da un lato la chiave per leggere la storia, dall’altro
però è anche il campo di una riapertura radicale dell’interrogazione storica.

Distinzione tra proletariato e classe operaia?

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Il proletariato si istituisce in classe solo quando prende COSCIENZA di sé, Già parlare di una differenza tra proletariato e
classe operaia indica l’impossibilità di concepire meccanicamente il nesso tra funzione del proletariato e risoluzione
automatica di tutti i problemi storici. Bisogna considerare due elementi: La presa di coscienza implica sempre un atto di
libertà, le leggi cosiddette “della storia”, non sono leggi di tipo naturalistico, ma sono leggi a carattere tendenziale, cioè
non operano fattori causali di tipo deterministico per cui poste determinate premesse seguono determinate conseguenze. Vi è un
doppio salto: quello da proletario a classe operaia e quello dalla classe operaia che ha preso coscienza alla capacità di
realizzare politicamente questa presa di coscienza attraverso decisioni che siano effettivamente in grado di orientare
una determinata situazione nel la direzione più favorevole alla classe operaia e a quella che per Lukacs è l’idea di una
emancipazione complessiva dell’umanità.

 Questa tematica permette a Lukacs di risolvere il problema etico della violenza. Il tema della violenza non si
colloca più all’’altezza del soggetto individuale, ma si colloca in una prospettiva storicamente più ampia che
riguarda il rapporto tra tendenza storica e lotta politica. Allora nel raccordo tra l’azione politica e la tendenza
storica in direzione di una possibile emancipazione dell’umanità, il carattere tragico del sacrificio morale
richiesto all’individuo viene diluito e viene a perdere quella tragicità che era ancora presente nei primi anni
dell’adesione lukacsiana alla prospettiva del marxismo.

Lukacs, la natura e l’ecologia?

Secondo Lukacs la natura è già il frutto di una costruzione artificiale, cioè quando noi parliamo di una
natura, operiamo già una separazione astratta di quella che è in realtà una connessione unitaria. È ancora
una volta Cartesio che ci ha abituati a considerare noi stessi in quanto enti dotati di coscienza come delle entità
separate, rispetto al contesto entro il quale conduciamo la nostra esistenza. Ci ha abituati a concepire noi s tessi come
composti da due sostanze separate l’una dall’altra. (Materiale / Spirituale). Quindi questa separazione del soggetto in
due componenti che rompono l’unità organica dell’uomo come essere naturale e sensibile, comporta la possibilità di una
utilizzazione (manipolazione e sfruttamento) di ciò che separiamo da noi come natura , resa possibile proprio dal
processo di oggettivazione. Questo spiega secondo Lukacs da una parte lo sviluppo della tecnica, dall’altro
l’utilizzazione della conoscenza e della ricerca scientifica a fini di carattere tecnologico e produttivo. Tra scienza e
tecnologia si crea un’alleanza che è fra le forze motrici del moderno capitalismo. Noi nel difendere la natura, cadiamo
nella trappola che vede noi come specie umana, contrapposta a qualcosa rispetto alla quale noi saremmo indipendenti,
noi saremmo diversi. Quindi assumere acriticamente il concetto di natura, significa es sere catturati all’interno di quella
maglia categoriale che oggettivando come natura ciò che viene distinto dalla soggettività, lo predispone ad essere
oggettivato, ad essere posto come qualcosa di differente di fronte a noi, cioè viene posto in senso filosofico come
oggetto di una rappresentazione, e dunque in quanto posto di fronte a noi come oggetto, viene predisposto alla
presa da un lato della conoscenza scientifica di tipo matematico caso della fisica classica, dall’altro questo
oggetto che viene conosciuto scientificamente e tradotto in una serie di leggi e di formule a carattere matematico,
viene al tempo stesso reso suscettibile di manipolazione tecnologica e dunque di utilizzazione a fini
strumentali.

 la nozione di legge non viene applicata solo alla conoscenza dei fenomeni naturali, ma viene applicata anche
alla conoscenza dei fenomeni sociali. L’economia politica (Smith e Ricardo) ritiene di descrivere le leggi del
funzionamento oggettivo della società capitalistica, ritengono di descrivere dei meccanismi che funzionano
indipendentemente dall’attività e dalle scelte del soggetto, cioè degli uomini coinvolti in queste relazioni.

Che cosa si intende con seconda natura?

Seconda natura dice Hegel è quella interiorizzazione di determinati principi e norme di condotta a cui l’uomo viene
abituato fin dalla più tenera età e che fanno del rispetto di determinate condizioni elementari che rendono
possibile la vita sociale, dei principi talmente radicati nel comportamento, che diventano una sorta di seconda natura,
cioè degli automatismi. Hegel le chiama norme fondamentali della convivenza civile che costituiscono una sorta di seconda
natura. Questa seconda natura ha però un aspetto che LUKACS CRITICA FORTEMENTE. Quando ci si comporta come se nella
società ci fossero delle leggi vigenti che hanno la stessa valenza delle leggi di tipo fisico / naturale allora ci troviamo di fronte a
reificazione di modalità di strutturazione intellettuale; è una reificazione che governa i processi della nostra comprensione
della vita sociale. Quando parliamo di natura e di seconda natura, dice Lukacs, ci muoviamo già all’interno di una mentalità di
tipo reificato, cioè dimentichiamo il processo storico della genesi, della costituzione di questi concetti, e scambiamo quello che è
un nostro concetto, come se fosse un oggetto. Cioè scambiamo quello che noi definiamo come natura, che è un concetto che ha
avuto una sua storia e un suo processo di nascita, come se fosse un fatto oggettivo che dobbiamo assumere passivamente
perché è dato come fatto indiscutibile nella realtà.

 NATURA È CONCETTO AMBIGUO CHE DEVE ESSERE A SUA VOLTA DECOSTRUITO E RICONSIDERATO IN OTTICA
PROPRIAMENTE ECOLOGICA, cioè in un’ottica all’interno della quale non c’è da una parte l’uomo e dall’altra la natura,
ma se vogliamo continuare a parlare di natura, l’uomo stesso è parte di questo tutto che non è più considerabile come
natura nel senso di oggetto esterno o ambiente esterno, ma come un tutto all’interno del quale l’uomo è parte.
 Ecco il salto che concettualmente dobbiamo fare non solo come filosofi, ma come cittadini del nostro tempo, facendo
attenzione a non cadere nella trappola oggettivante che è parte dominante nel discorso ecologico contemporaneo.
 Il cosiddetto CAPITALISMO ECO – FRIENDLY, in molti casi sembra che l’ambiente è comunque un oggetto separato da
noi che richiede da parte nostra una particolare attenzione. Cioè noi continuiamo a considerarci separati e padroni di
qualcosa di cui non si sa perché dovremmo prenderci cura. Il discorso si avvita in un circolo vizioso evidente, perché in
un’ottica di questo tipo, ciò che è umano, continua a considerarsi superiore a ciò che non è umano.

PER UN PARADIGMA DEL CORPO: UNA RIFONDAZIONE FILOSOFICA DELL’ECOLOGIA

Parte 2. La tecnica, il soggetto, il vivente:

Merleau-Ponty rappresenta l’ispiratore del percorso di Iofrida. Ponty è stato un filosofo francese molto importante del secondo
Novecento, uno degli esponenti più importanti della fenomenologia francese, è stato inizialmente amico di Sarte, anche se ad un
certo punto si è separato da lui per ragioni di tipo politico che investivano la questione del comunismo sovietico.

“Lavoro, esistenza, ecologia”:

La concezione di lavoro e tecnica?

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Il lavoro e la tecnica vengono concepiti nelle società moderne di tipo capitalistico come modalità di sfruttamento indiscriminato
della natura intesa come un complesso di risorse da usare nella maniera più intensiva ai fini di sviluppo economico e di
soddisfacimento dei bisogni umani (visione antropocentrica). Merleau-Ponty ci offre una visione della tecnica e quindi
della relazione dell’uomo col proprio corpo e con l’ambiente esterno diversa: fa l’esempio di un musicista che adotta
nei confronti dello strumento, una relazione che non è semplicemente di tipo strumentale, ma è una relazione di tipo simbiotico,
di adattamento reciproco. Non c’è una relazione di separatezza, di isolamento, ma c’è un rapporto di reciproca integrazione tra
l’uomo e il suo strumento. Iofrida a partire dal pensiero di Merleau-Ponty, intravede un modello a carattere partecipativo, e non
più a carattere asimmetrico basato su una relazione di dominio. Il soggetto non è più ridotto alle funzioni cerebrali del controllo e
dell’esecuzione, ma è costretto a mettersi in gioco nella totalità dei suoi aspetti: mentali e corporei. Non c’è più un rapporto di
scissione, bensì abbiamo una relazione empatica di coinvolgimento e di intreccio reciproco. Per indicare questo rapporto di
scambio reciproco e di correlazione, Merleau-Ponty amava usare una parola che assume nel suo pensiero un significato tecnico, il
termine CHIASMA. Non c’è più l’uomo che domina sul mezzo il quale viene subordinato, ma c’è appunto una relazione di
scambio e di adattamento reciproco

Richiamo a Lévi-Strauss: contrapponeva l’atteggiamento dell’ingegnere all’atteggiamento del costruttore dilettante (bricoleur)
e diceva: L’ingegnere può dominare la realtà, l’appassionato invece si deve adattare agli oggetti che ha di fronte rispetto ai quali
non ha un piano prestabilito. La figura dell’organista di Merleau-Ponty in un certo senso anticipa la figura del bricoleur di Lévi-
Strauss.

 la tecnica non diventa più il tramite per una relazione di dominio, ma diventa la modalità per instaurare
una relazione paritetica e coinvolgente che modifica anche il senso dell’attività umana.

Scrive Iofrida: Tecnica e lavoro non sono che un’altra espressione di questa relazione di APPARTENENZA dell’uomo
alla natura.

Si tratta di porsi consapevolmente come parte di una totalità che ci comprende al proprio interno. Quindi si tratta di concepire in
questa ottica il lavoro e la tecnica come modalità, come attività che introducono, che esercitano, che instaurano relazioni di
INCLUSIONE all’interno delle quali l’uomo è parte di un contesto più ampio di rapporti in cui dunque l’uomo non si pone piu come
signore dominante, ma come componente parziale di una totalità di relazioni di cui l’uomo è soltanto uno dei termini.

 L’elemento dell’adattamento non è un segno di passività, ma di partecipazione, è la condizione per poter


creare.

La logica della complessità e la teoria dei sistemi?

Qui emerge anche la necessità di una LOGICA DELLA COMPLESSITÀ e questa logica della complessità vede una pluralità
di componenti che instaurano relazioni molteplici e variabili ed esige una mentalità diversa da quella basata sul
principio di identità e non contraddizione e questo tipo di logica è quella introdotta da un’altra corrente filosofica
del Novecento che è la cosiddetta Teoria dei sistemi.

LA TEORIA DEI SISTEMI diventa un tipo di approccio teorico al reale dove alle relazioni binarie composte da termini statici e
dotati di un’identità precostituita, si sostituiscono relazioni multiple di tipo variabile all’interno delle quali le identità sono fluide e
si modificano in rapporto ai contesti nei quali i singoli elementi si trovano ad essere inclusi e all’interno dei quali contesti tali
elementi si trovano ad operare.

 Questo discorso sulla tecnica cerca di unificare paradigma del corpo e paradigma ecologico, perché se c’è la possibilità
di una relazione non strumentale tra l’uomo e la realtà, si modifica anche la relazione tra l’uomo e la propria corporeità.
Iofrida a questo riguardo valorizza un altro concetto portante nel pensiero di Merleau-Ponty, cioè l’idea di percezione
come partecipazione. La teoria della percezione di Ponty è molto originale perché in realtà nella storia della filosofia
noi abbiamo diverse teorie della percezione.

Sensazione e percezione?

In termini generali possiamo dire che i filosofi tendono a distinguere il concetto di sensazione e il concetto di percezione. La
sensazione indica un rapporto immediato in cui non c’è ancora una vera e propria distinzione tra il soggetto che prova la
sensazione e l’oggetto che nella sensazione viene sentito. È una relazione ancora implicita, possiamo dire che finché restiamo
allo stadio della sensazione, non sia ancora prodotta una vera e propria relazione tra l’uomo e l’ambiente, proprio perché
mancano i due termini che possano essere considerati come autonomi, che possano essere distinti l’uno dall’altro e che possano
instaurare una relazione reciproca. Con la percezione si introduce la distinzione che non c’è a livello di sensazione. Quindi la
sensazione non è altro che l’inizio o il primo momento della percezione. Con la percezione comincia a emergere un rapporto o
una relazione in senso proprio, proprio perché la percezione è una modalità di connessione con l’ambiente di tipo articolato,
complesso. Ciò significa che nel percepire un oggetto, io sono già in grado di distinguere me stesso come soggetto che
percepisce dall’oggetto come contenuto presente nella mia percezione e che io qualifico come proprio di un determinato oggetto.
Questa distinzione permette poi un’ulteriore distinzione. Cioè io distinguo alcune qualità come pertinenti o appartenenti
all’oggetto che io percepisco. Qualità che possono essere visive, olfattive, sonore. Con la percezione abbiamo un rapporto già più
complesso di quanto non si produca a livello di pura e semplice sensazione.

 Però nella filosofia moderna, tutto ciò che appartiene alla qualità, quindi alla dimensione concretamente sensibile,
viene attribuito al soggetto. Cioè ciò che conta e che ha una valenza oggettiva per questi filosofi, non sono le qualità
concrete, perché queste dipendono comunque dalla sensibilità del soggetto. Ciò che conta e che hanno una valenza
scientifica sono solo le relazioni quantitative, ad esempio la figura, la dimensione, il peso, la lunghezza, la velocità.
Quindi è chiaro che siamo in una delle conseguenze della filosofia cartesiana che concepisce come reale solamente ciò
che è proprio in senso stretto della nozione di estensione, quindi le proprietà geometriche, algebriche o matematiche.

L’idea di percezione come partecipazione MP?

Con MP entriamo in un orizzonte diverso. La percezione non è più concepita come una relazione completamente teoretica che
riguarda solo la dimensione conoscitiva. La percezione implica invece un coinvolgimento della totalità corporea; non c’è
solo un distacco tra organismo che percepisce e ambiente che viene percepito, ma vi è invece un RAPPORTO DI

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COINVOLGIMENTO, in cui l’organismo si rende parte, si percepisce nella percezione, come esso parte dell’ambiente che viene
percepito. In questo senso, anche la parola organismo si rende degna di approfondimento. Noi con questa parola tendiamo a
disegnare un corpo vivente. L’organismo è un concetto che impieghiamo per riferirci a qualcosa che è vivo, che è in grado di
sentire, di provare piacere e dolore. In cui il corpo è capace di godimento e di sofferenza. Questo corpo che è capace di sentire, è
anche capace di percepire, ma appunto la percezione, l’apprendimento dell’ambiente che ci circonda e di cui facciamo parte, non
è mai una relazione anaffettiva, distaccata, ma c’è sempre una componente sentimentale nel nostro percepire il mondo. È per
questo che MP insiste sulla PERCEZIONE COME MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE. Nella percezione ciò che è distinto viene al
contempo ricompreso in una dimensione partecipativa in cui l’organismo che percepisce l’ambiente, percepisce in pari tempo se
stesso come parte integrante dell’ambiente, come parte integrante di quell’ambiente all’interno del quale si sviluppano le nostre
percezioni.

 A questo proposito, ci ricolleghiamo a quello che Feuerbach e Marx dicevano in rapporto all’uomo come ente sensibile e
naturale. Il Marx dei manoscritti è ancora all’interno di una concezione feuerbachiana dell’uomo come ente generico,
come specie sensibile e naturale. L’uomo è sì una specie vivente che è parte della natura, ma all’interno della natura
spetta all’uomo un primato che lo rende superiore agli altri viventi e questo primato per Feuerbach era legato
all’universalità.

L’idea della vita in MP?

Vediamo cosa ne pensa MP. Secondo MP, LA VITA non è l’insieme delle funzioni che resistono alla morte, ma è una potenza di
inventare del visibile. MP vuole ridare un valore ontologico alla nozione di specie, contro le interpretazioni nominalistiche del
darwinismo che attribuivano alla parola “specie”, un significato di tipo convenzionale, nel senso che la specie è una modalità di
classificazione a cui non va attribuito un contenuto reale. Reali sono solo i singoli organismi che per determinate caratteristiche,
noi attribuiamo a una determinata specie, ma la specie di per sé non ha alcuna realtà. MP intende dare alla specie un rinnovato
significato ontologico. Ciò che spinge MP in questa direzione è il fatto della specularità. Abbiamo detto che ciò che esiste è una
sorta di inter animalità che colloca tutti gli animali di una stessa specie, su una sorta di pendenza che condividono gli uni con gli
altri. MP sembra suggerire che tra gli animali ci sia una relazione spontanea di riconoscimento reciproco e che sia proprio
quest’ultima a dare un valore ontologico, cioè reale al concetto di specie. La specie non è dunque per MP solo un
concetto convenzionale usato dagli scienziati per classificare in modo vantaggioso, ma la specie trova il suo
radicamento nell’essere stesso della natura animale. Siamo ancora all’interno di quella dimensione
partecipativa che per MP era costitutiva della percezione.

La vita e il valore negativo?

A proposito della nozione del vivente, MP faceva riferimento a una definizione celeberrima formulata da un medico e
filosofo della prima metà dell’800, Bichat, secondo cui la vita è l’insieme delle funzioni che resistono alla
morte. Ciò che caratterizza questa definizione è la negatività, cioè la morte è assunta come il termine primario
rispetto a cui la vita si definisce negativamente, cioè la vita diventa tutto ciò che nega, che resiste la morte. È u na
visione a suo modo rivoluzionario, perché saremmo tentati a vedere la morte come ciò che nega la vita e in un certo
senso Bichat ribalta questa posizione. Se l’organismo è ciò che ritarda il suo destino, cioè la morte, è chiaro che la
vita assume un valore puramente negativo.

La vita e il valore positivo?

MP cerca di formulare una teoria positiva della vita. Non si tratta di una pura e semplice resistenza della
morte, ma MP vuole mostrare come la vita sia una POTENZA DI INVENZIONE . È una POTENZA COSTRUTTIVA,
basata su una capacità di inventare qui vi è l’idea della vita come capacità di invenzione del visibile. Questa
potenza di inventare della vita è appunto interna alla dimensione della visibilità, è un rendersi visibile, un manifestarsi
agli altri, nel momento stesso in cui gli altri si rendono visibili a me. È questa la grande idea di MP anche in
riferimento alla sua teoria della percezione, essa è al tempo stesso partecipazione, coinvolgimento, ma anche
invenzione, non è qualcosa di statico, di passivo, ma produce mondo, produce relazione, inventa connessioni con ciò
che è altro da noi. Possiamo dire che la vita è una potenza, una produttività, una capacità appunto e questa capacità
si esprime in termini di creazione, di invenzione.

invenzione del visibile?

Questo genitivo ha un doppio significato, soggettivo e oggettivo. Qui il genitivo deve essere inteso nella duplicità dei
suoi possibili significati. Cioè dire che la vita è invenzione del visibile, significa dire che questa capacità di invenzione
è propria del visibile, cioè il genitivo ha una valenza soggettiva, è come se l’organismo, attraverso la percezione del
mondo, percepisse se stesso e inventasse, cioè costruisse delle nuove modalità di essere se stesso. Quindi abbiamo IL
GENITIVO SOGGETTIVO che però non è puramente auto referenziale, ma attraverso l’auto costruzione, l’organismo si
apre anche verso l’altro da sé. È capace di vedere il mondo, di partecipare alla vita della specie. Quindi nel momento
in cui rendo visibile me stesso a me stesso, io rendo visibile anche gli altri a me stesso così come gli altri si rendono
visibili a me e agli altri differenti da loro.

MP dice: L’identità di colui che vede e di ciò che egli vede sembra un ingrediente costituivo dell’animalità

Ciò significa che nel momento in cui percepisco un essere che riconosco come simile a me, non mi dispongo più in
una pura e semplice relazione di esteriorità, ma riconosco in questa somiglianza una solidarietà e quindi una
dimensione di reciproca partecipazione.

Per MP non c’è vita senza percezione, ma a sua volta non c’è percezione senza partecipazione. Anche l’ uomo in quanto
vivente fra viventi non potrà pretendere alcuna superiorità nei confronti degli altri animali, potrà eventualmente
riconoscere uno statuto differenziale che lo distingue in quanto specie da altre specie, così come le altre specie sono
distinte tra di loro. L’uomo è parte della natura in quanto la differenza è costitutiva della natura e del fenomeno della
vita. Quindi MP tenta di concepire una differenza che non implica superiorità, e ciò comporta la necessità di
riconoscersi nei limiti costitutivi della nostra natura costitutiva.

Filosofie dell’oriente e filosofie europee?

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Secondo MP le filosofie dell’oriente (India e Cina) hanno cercato non tanto di dominare l’esistenza (modello
dell’ingegnere), quanto di essere l’eco e la risonanza del nostro rapporto con l’essere, un po’ come faceva l’organista e
il bricoleur .Da esse la filosofia occidentale può imparare a ritrovare il rapporto con l’essere. Ecco che MP chiama in
causa un altro tema gigantesco, quello che noi chiamiamo dialogo inter culturale fra tradizioni e stili di vita diversi che
instaurano un diverso rapporto con la vita e con l’ambiente. MP è come se volesse reinnestare al cuore dell’occidente il
pensiero dell’oriente, non come un pensiero estraneo, ma come una sorta di matrice originaria da cui la stessa civiltà
occidentale è sorta. È chiaro che l’oriente diventa il simbolo di una alternativa possibile in cui la tecnica medesima,
lungi dal venire demonizzata, viene al contrario innestata all’interno della natura stessa. Viene ad essere concepita
come una prosecuzione di modalità operative che l’uomo condivide con altri organismi. E quindi la tecnica potrebbe
diventare una modalità di interazione con l’ambiente, non più una modalità di sfruttamento indiscriminato dell’ambiente
stesso.

Knap?

Iofrida cita un autore tedesco (Knap) il quale dà origine a quella che noi oggi potremmo definire una filosofia della
tecnica. Knap scrive il suo libro, filosofia della tecnica , nel 1877, e elabora l’idea per cui la tecnica sia la proiezione
che l’uomo produce del proprio corpo all’esterno di sé, una sorta di prolungamento del corpo umano attraverso un
insieme di organi artificiali, attraverso i quali il soggetto potenzia la propria capacità di impadronirsi dell’ambiente. Il
PARADIGMA DEL CORPO che compare nel titolo di questo libro di Iofrida è fondamentale perché è attraverso la
nostra consapevolezza di essere enti natura sensibili che noi possiamo intravedere nella tecnica una modalità di
interazione e non di dominio nei confronti dell’altro.

Il gioco?

la questione del gioco è stata importante filosoficamente fin dall’età della filosofia classica tedesca, in particolare il
gioco è stato utilizzato e valorizzato filosoficamente dal poeta e filosofo Schiller Nell’opera le “le lettere
sull’educazione estetica dell’umanità”. in Kant c’è stata una formulazione filosofia nell’idea della legge morale come
imperativo categorico, cioè come imposizione alla dimensione sensibile e corporea dell’uomo di una serie di norme
legate alla necessità di restringere l’influsso della sensibilità sul comportamento umano. Chiaramente l’etica di Kant non
si riduce a ciò, però sicuramente ci sono anche questi aspetti in cui l’immagine dell’uomo è l’immagine di un essere
profondamente lacerato fra due aspetti: quello fisico, corporeo, naturale e quello etico, razionale, spirituale. Schiller
vede in questo aspetto della filosofia kantiana un aspetto profondamente negativo e tenta di mostrare come nelle
attività ludiche vi sia un esempio di attività in cui questi aspetti sono invece conciliati e quindi in cui l’uomo dimostra
di poter operare in modo unitario e organico, dove non sussiste più alcun tipo di conflitto e di ostilità tra ragione e
sensibilità. Gli elementi del gioco sono la spontaneità, la creazione di relazioni intersoggettive in cui il
godimento delle mie capacità di espressione e anche l’esercizio di determinate abilità, avvengono proprio attraverso la
relazione con gli altri partecipanti al gioco stesso. Questa spontaneità per essere una spontaneità che si esercita
attraverso il gioco, non è una spontaneità di tipo indiscriminato, anarchico o selvaggio, nel gioco è fondamentale il
rispetto delle regole. È fondamentale che non solo vi siano delle regole, ma che anche vengano rispettate in modo
condiviso da coloro che partecipano al gioco stesso. Nel gioco c’è una competitività, ma è una competitività
regolata, non aggressiva e basata su una fondamentale condivisione, cioè sulla costituzione di una
comunità di giocatori . L’ultimo aspetto è la dimensione della corporeità. Questa è rilevante nelle attività sportiva,
anche se la corporeità che dovrebbe essere messa in gioco nel gioco non riguarda solo la dimensione muscolare o la
prestazione in termini di record, di punti o di tempi, ma è legata anche a un esercizio dell’intelligenza, della
razionalità, di calcolo, di astuzia. Il corpo è un aspetto decisivo ed è in questo senso che Schiller parlava di
EDUCAZIONE ESTETICA.

 Educazione estetica non solo nel senso di formazione in rapporto alla bellezza, alla creazione di un corpo
armonico, alla formazione di rapporti non conflittuali tra sé e gli altri, ma legato all’estetica intesa come
sensibilità, corporeità. Inoltre il gioco dovrebbe essere un’attività disinteressata. Il gioco dei bambini è qualcosa
di straordinario perché è certo che c’è un interesse, ma è un interesse del tipo “mi interessa vincere la
partita”, non “mi interessa vincere perché guadagno”. Questo mostra un altro aspetto dell’attività estetica, cioè il
carattere non strumentale, non finalizzato.

Huizinga e il gioco?

Un altro riferimento che viene fatto da Iofrida riguarda un autore del Novecento, Ioan Huizinga, grande storico
olandese, che scrive un libro, “Homo ludens” (interessante viene pubblicato alla vigilia della II WW) . Huizinga dice il
gioco è indispensabile all’individuo in quanto funzione biologica, e alla collettività per il senso che esso
contiene. “Senso” è una parola che ha doppio significato: rimanda alla sensibilità, cioè ancora una volta siamo
rimandati al paradigma del corpo, ma rimanda anche alla creazione di significati, ai riferimenti simbolici. Quindi
senso esprime proprio questa compenetrazione fra gli aspetti che in Kant erano separati l’uno dall’altro e che
attraverso il gioco ritrovano la possibilità di convivere pacificamente insieme. Il gioco è fondamentale per l’individuo e
per la collettività perché attraverso il gioco noi possiamo esprimere noi stessi, manifestare ciò di cui siamo capaci e al
contempo intrattenere relazioni con altri, assieme ai quali proviamo felicità e gioia. il gioco è parte integrante
della vita, però al tempo stesso eccede la dimensione puramente biologica della vita stessa, apre a una
dimensione ulteriore , cioè fa anche delle attività funzionali alla riproduzione biologica, delle attività dotate di significato
e carattere simbolico, quindi esse stesse aperte ad una pratica di tipo giocosa, di interazione partecipativa con gli altri.

Critica a Marx di MP?

scrive MP: Nel pensiero marxista c’è un equivoco nella nozione di natura.

Da un lato, con i manoscritti del 44, Marx concepisce ogni prospettiva rivoluzionaria come un ritorno alla natura, ma dall’altro,
parla di un dominio della natura da parte dell’uomo. La resistenza della natura non appare mai come un fatto essenziale. Nel
marxismo non c’è un mondo naturale che esista come natura.

Merleau-Ponty vede una ambiguità e al tempo stesso una unilateralità nel pensiero marxista:

1. Da una parte sembra che l’obiettivo di Marx sia costituito da una ricomposizione dei rapporti tra uomo e natura e da una
riaffermazione dell’uomo come ente naturale, parte di un insieme più ampio che è il mondo, l’ambiente.

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2. Dall’altro però, MP, vede già nel giovane Marx un limite fondamentale, costituito dall’aver considerato la natura sempre
come inglobata e subordinata alla storia umana.

in Marx la natura non si presenta mai come qualcosa che opponga una resistenza o come qualcosa che esista in modo autonomo
rispetto alla storia umana. Il marxismo non ha mai riconosciuto alla natura una vera autonomia, perché l’ha sempre subordinata e
inglobata nella storia e quindi intesa come un processo di progressiva subordinazione della natura all’uomo

Teniamo presente che all’epoca in cui MP scriveva ciò, non si trattava solo di una posizione teorica. Questo testo ha un carattere
teoretico - filosofico ma a ciò corrispondevano dei risvolti pratici e direttamente politici. In particolare MP si orienta verso
una critica radicale della modalità attraverso cui il marxismo si era realizzato nell’Unione Sovietica. Perché dal
punto di vista delle relazioni tra uomo e natura, l’URSS ha attuato una versione analoga delle relazioni tra uomo e natura rispetto
a quella che nell’Europa occidentale e negli States, era stata attuata dal capitalismo (attraverso la creazione di una società che si
proclamava socialista). Quindi anche se in URSS era lo Stato a controllare tutta l’economia, lo Stato era
semplicemente il veicolo per perfezionare quel rapporto di sfruttamento nei confronti della natura che già stava
caratterizzando il capitalismo. Anzi, diciamo anche che la storia ha dimostrato che se si tratta di sfruttare la natura come
complesso di risorse materiali, sicuramente il capitalismo si è dimostrato molto più efficiente di quanto non abbia fatto
l’economia sovietica.

Socialismo e capitalismo e natura?

MP insiste nel dire che sia nei sistemi del socialismo reale, sia nel sistema capitalistico, ciò che non cambia è la modalità di
costruzione e di concezione del rapporto uomo – natura, che resta sempre un rapporto di dominio, sono entrambi due sistemi
anti-ecologici. Sono costruiti a partire dall’idea che l’uomo ha un diritto di sfruttamento nei confronti di tutto ciò che è diverso
da esso stesso (se esaminiamo gli aspetti che l’URSS ha cercato di realizzare attraverso i suoi programmi, vediamo che ci sono
state delle vere e proprie devastazioni a livello naturale). Secondo MP per modificare il rapporto tra l’uomo e la natura, è
necessario modificare il rapporto e le relazioni che gli uomini instaurano tra di loro.

 È chiaro che MP ha ragione nel criticare aspramente le modalità di realizzazione storica che il marxismo ha
trovato nei paesi del socialismo reale, d’altra parte abbiamo visto che non vanno nemmeno sottovalutate quelle
potenzialità ecologiche che sono interne al pensiero di Marx e che abbiamo riassunto in quella che abbiamo
definito critica della reificazione .

Ecologia e Marx?

Il primo elemento della alienazione e dello sfruttamento è quello dell’uomo nei confronti dell’altro uomo con
l’appropriazione della forza lavoro da parte del capitalista verso l’operaio. Nel momento in cui Marx dice che il rapporto
capitalistico è un rapporto di sfruttamento, sta già in fondo facendo una critica di tipo ecologico alla relazione
capitalistica, perché sta mostrando come il primo elemento, la prima condizione attraverso cui avviene uno
sfruttamento della natura, è proprio quello dello sfruttamento della vita umana. A partire da questa
estraniazione noi abbiamo la genesi del concetto di feticismo delle merci. Sembra che il protagonista sia esclusivamente
il denaro che moltiplica se stesso . il denaro è effettivamente quella merce il cui il valore d’uso è costituito dall’essere
la misura del valore di tutte le altre merci. Il valore d’uso del denaro consiste fondamentalmente nell’essere valore di
scambio. Quindi questa forma del valore in cui conta solo la dimensione quantitativa e viene azzerata ogni dimensione
concreta e qualitativa è quella che nel rapporto di produzione capitalistico domina e determina tutta la struttura
sociale, però ai tempi di Marx questo feticismo che si produceva all’altezza della produzione dello scambio tra capitale
e lavoro, era legato solo alla dimensione della fabbrica. Ciò che cambia all’epoca di Lukacs è che questa relazione si
estende a tutta la società. Tutta la società viene sussunta sotto la forma della merce, sotto il dominio del denaro e
quindi tutta la società appare come una cosa gigantesca che si auto riproduce come un soggetto di cui gli uomini
sono puri e semplici strumenti. Ciò comporta che la calcolabilità quella che Lukacs chiama razionalizzazione si estende
dalle attività di fabbrica a tutto il comparto sociale.

 Lukacs: era un pupillo di Weber. Weber aveva coniato la metafora della gabbia di acciaio . La società moderna
è diventata una gabbia di acciaio in cui tutti gli aspetti della vita umana sono ricondotti agli aspetti
prosaici del calcolo e della ragione strumentale. Quindi l’operazione lukacsiana consiste nell’innestare la lettura
weberiana dei fenomeni della razionalizzazione, sul tronco del primo libro del Capitale e di leggere nella
razionalizzazione un effetto della reificazione moderna e del feticismo capitalistico delle merci.

 Il rapporto di reciproca utilizzazione strumentale che ciascun uomo adotta nei confronti dei propri simili, verrà
inevitabilmente esteso al rapporto tra la società nel suo complesso e la natura all’interno della quale la società opera ma
che questa società considera come un puro e semplice magazzino di risorse da sfruttare allo scopo di incrementare la
produzione.

 l’importanza del testo il paradigma del corpo di Iofrida: la natura non è solo cose tipo fiori, laghi, fiumi (…), ma
è anche e soprattutto relazione dell’uomo col proprio corpo.

 L’ANTROPOCENE è l’età non più semplicemente storica, ma geologica in cui le attività umane sono per la prima volta la
causa determinante di modificazioni che investono il nostro pianeta e la nostra vita su di esso.

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