VITA E SCRITTI:
Al periodo che va dal 1794 al 1799 risale la prima esposizione della dottrina della scienza e
le sue applicazioni nei domini della morale e del diritto. Fichte fu accusato di ateismo dopo la
pubblicazione dell’articolo sul Fondamento della nostra credenza nel governo divino del
mondo in cui identificava Dio come l’ordine morale del mondo. La caratteristica
predominante della personalità di Fichte è costituita dalla forza con cui egli sente l’esigenza
dell’azione mora, la quale nella seconda fase della sua speculazione viene sostituita dalla
fede religiosa che viene utilizzata per giustificare la fede. La sua vocazione filosofica è stata
ispirata da Kant, ma a differenza sua Fichte vuole costruire una filosofia che è basata
sull’infinito
INFINITIZZAZIONE DELL’IO:
Kant aveva riconosciuto nell’io Penso il principio supremo di tutta la conoscenza. L’io penso
di Kant era un atto di autodeterminazione esistenziale che supponeva come già data
l’esistenza, di conseguenza era un’attività ma pur sempre un’attività limitata dall’intuizione
sensibile. Fichte proprio da qui fa partire l’infinitizzazione dell’Io. Se l’io è l’unico principio,
non solo formale, ma anche materiale del conoscere e se alla sua attività sono dovuti non
solo il pensiero della realtà oggettiva ma anche la stessa realtà nel contenuto materiale,
possiamo dire che l’io non è solo finito ma anche infinito. Fichte è considerato il filosofo
dell’infinità dell’io, della sua assoluta attività e spontaneità e della sua assoluta libertà.
Fichte vuole costruire un sistema grazie al quale la filosofia smette di essere una semplice
ricerca del sapere, ma diventa un sapere assoluto e perfetto. Il concetto centrale dei
Fondamenti dell’intera dottrina della scienza è quello di una scienza della scienza, un sapere
che mette in luce il principio su cui si fonda la validità di ogni scienza e che a sua volta si
fondi sullo stesso principio. Questo principio è L’io o autocoscienza: ovvero qualcosa esiste
solo rapportandolo alla nostra coscienza, cioè facendone un essere-per-noi. La conoscenza
in Fichte è il fondamento dell’essere, mentre l’autocoscienza è il fondamento della coscienza
stessa.
Nella prima esposizione della dottrina della scienza cerca di far derivare dal principio di
autocoscienza il complesso della vita teoretica e pratica dell’uomo. Per Kant era una
deduzione trascendentale attraverso la quale giustificare le condizioni soggettive della
conoscenza (categorie), mentre per Fichte è una deduzione assoluta o metafisica, che fa
derivare dall’io sia il soggetto che l’oggetto del conoscere. L’io penso kantiano implica
sempre un rapporto con l’oggetto fenomenico, mentre la deduzione di Fichte mette a capo
un principio assoluto che pone il soggetto e l’oggetto fenomenico in virtù di un’attività
creatrice, ovvero l’intuizione intellettuale. Fichte pone tre principi fondamentali della
deduzione, che derivano entrambi dal primo che è ricavato dalla legge d'identità, ma non
può essere considerato come il primo principio in quanto implica un ulteriore principio che è
l’Io. L’io non può porre nessun tipo di rapporto se non pone prima se stesso, quindi
possiamo dire che L'io non può affermare nulla senza affermare in primo luogo la propria
esistenza, quindi il principio supremo del sapere è l’io stesso. La caratteristica principale
dell’Io è l'autocreazione che coincide con l’intuizione intellettuale, infatti per Fichte l’io è allo
stesso tempo sia attività agente ma anche prodotto dell’azione stessa, in questo senso
presenta la caratteristica dell’assolutezza.
Questi principi rappresentano la deduzione idealistica del mondo, che mette a capo la
metafisica dello spirito e del soggetto:
il primo principio è l’io che pone se stesso, chiarendo come il concetto di io generale
da questo non io che a sua volta è limitato dall’io. Questo principio rappresenta la
situazione concreta del mondo in cui abbiamo una molteplicità di io finiti.
Questi principi non vanno interpretati in ordine cronologico, ma logico, in quanto intende dire
che esiste un io che deve presupporre di fronte a sé il non-io. La natura, che rappresenta il
non-io, non esiste come realtà autonoma, ma è un qualcosa che esiste soltanto come
momento dialettico della vita dell’Io.
L’io è finito e infinito allo stesso tempo:
io=è finito perchè è limitato dal non io, ovvero dalla natura o dall’oggetto, mentre è
infinito perchè la natura esiste soltanto in relazione all’io. Non è qualcosa di diverso
dall’insieme degli io finiti nei quali si realizza.
io infinito=è una meta ideale a cui tendono gli io finiti, poiché l’io infinito è uno spirito
virtuoso puro e privo di limiti. L’Io infinito è la missione a cui tende l’io finito, l’uomo è
uno sforzo infinito verso la libertà, ovvero una lotta inesauribile contro i limiti della
natura esterna, ma la missione dell’uomo è inconclusa perchè se l’io riuscisse a
superare tutti i suoi ostacoli, cesserebbe di esistere e il movimento della vita
costituito da lotta ed opposizione verrebbe sostituito dalla morte.
La struttura dialettica dell’io è incentrata nei tre momenti di tesi-antitesi-sintesi e sul concetto
di una sintesi degli opposti. L’io svolge un’attività ritmica che si svolge in virtù
dell’opposizione. La natura del nostro spirito è tale che ogni dire esige un contraddire e di
conseguenza ogni tesi suscita un’antitesi, in modo che la sintesi sia la riaffermazione della
tesi ma arricchita dal superamento dell’antitesi. Lo spirito vive di opposizioni e lo schema
triadico bisogna interpretarlo leggendo nella tesi l’esordio spontaneo, nell’antitesi il dubbio
(riflessione e critica), nella sintesi la riconquista e la sicurezza del possesso. Ogni sintesi
segna una pausa e un riposo, ovvero dei momenti di tregua che preludono a un nuovo
slancio, perciò la visione dialettica del reale è una visione dinamica e progressiva.
Per Fichte la filosofia non è una costruzione astratta, ma una riflessione sull’esperienza, che ha
come scopo la messa in luce del fondamento dell'esperienza stessa. Dato che nell'esperienza
intervengono sia la “cosa” (oggetto), sia “l'intelligenza” (soggetto), la filosofia può assumere la
forma dell'idealismo, ovvero puntare sull’intelligenza, o del dogmatismo, ovvero partire dalla cosa
in sé. Per Fichte la scelta tra idealismo e dogmatismo deriva da una differenza di inclinazione e
di interesse:
il dogmatismo finisce sempre per rendere nulla o problematica la realtà, al quale si
rispecchiano tutti quegli individui che non sono ancora elevati al sentimento della propria
libertà
l’idealismo si struttura come una rigorosa dottrina della libertà, al quale si rispecchiano
quegli individui che hanno un grande senso della propria libertà e d'indipendenza delle
cose
Fichte, però, anche se sostiene che non è possibile confutare uno dei due sistemi filosofici a
favore dell'altro, tuttavia simpatizza per l'idealismo. Per Fichte l’Io è la realtà originaria e assoluta,
che riesce a spiegare sia se stesso, sia le cose, sia il rapporto tra se stesso e le cose.
Dall'azione reciproca dell'Io e del non-io nascono sia la conoscenza sia l'azione morale. Per
Fichte, la rappresentazione è il prodotto di un'attività del non-io sull'io, è dunque un'attività riflessa
che dal non-io rimbalza sull’io. Fichte si proclama realista, poiché alla base della conoscenza
ammette un'azione del non-io sull'io, idealista, perché ritiene che il non-io, sia a sua volta un
prodotto dell' Io. L'immaginazione produttiva è l'atto inconscio attraverso cui l'Io pone o crea il
non-io, cioè il mondo oggettivo. Dato che l'immaginazione produttiva è l'atto inconscio con cui il
soggetto si dispone a creare l'oggetto, la ri-appropriazione umana del non-io avviene attraverso
una serie di gradi della conoscenza. Questo processo si articola attraverso vari gradi che sono:
sensazione: in cui l’io avverte fuori di se l’oggetto
intuizione: in sui si ha la distinzione tra soggetto e oggetto
intelletto: in cui si ha la categorizzazione della molteplicità spazio-temporale
giudizio: articolazione della sintesi intellettiva
ragione: astrazione dagli oggetti in generale
Agire vuol dire imporre al non-io la legge dell’Io, ossia foggiare noi stessi e il mondo alla luce di
liberi progetti razionali. Questo agire assume dunque un carattere morale poiché assume la
forma del dovere, ovvero un imperativo volto a far trionfare lo spirito sulla materia. Possiamo
parlare di idealismo etico e di primato della ragione pratica sulla ragione teoretica. Ma come ci
aveva insegnato anche Kant, l'attività morale presuppone sempre uno sforzo e non c'è sforzo
laddove non c’è un ostacolo da vincere; questo ostacolo è proprio il non-io, cioè la materia,
l'impulso sensibile. Realizzarsi come attività morale significa trionfare sul limite costituito dal
non-io, tramite un processo di auto-liberazione dell'Io dai propri vincoli. Fichte riconosce all’ideale
etico il vero significato dell'infinità dell'Io.
Il dovere morale può essere realizzato dall’io finito solo insieme con gli altri io finiti. Ammettendo
l’esistenza di altre nature intelligenti, io sono obbligato a riconoscere loro lo stesso scopo della
mia esistenza, ovvero la libertà. Il vero sforzo dell’io è quello di farsi libero e rendere liberi anche
gli altri in vista della completa unificazione del genere umano. Per Fichte c’è bisogno di una
mobilitazione dei dotti. Il dotto deve essere l’uomo moralmente migliore del suo tempo e deve
farsi educatore del genere umano, quindi il fine dell’idealismo etico equivale al perfezionamento
morale di tutto l’uomo, grazie alla missione di cui si fa portavoce il dotto.
IL PENSIERO POLITICO:
Condivide una visione contrattualistica e antidispotica dello stato, affermando che lo scopo del
contratto sociale è l’educazione alla libertà, di cui è conseguente il diritto alla rivoluzione. Il fine
ultimo di una vita comunitaria è quello di una società perfetta, intesa come insieme di esseri
liberi e ragionevoli, e lo stato deve essere solo un mezzo per raggiungerla. Fichte afferma che lo
stato è il garante del diritto e la moralità è fondata soltanto sulla buona volontà, mentre il diritto
vale anche senza la buona volontà. In virtù dei rapporti di diritto l’io pone a se stesso una sfera di
libertà e si pone come persona o individuo, i cui diritti originari sono tre: libertà, proprietà e
conservazione. Lo stato non deve solamente tutelare i diritti originari, ma deve anche rendere
possibile la povertà garantendo a tutti il benessere e il lavoro
nello statalismo socialistico dichiara che lo stato ha il compito di sorvegliare l’intera
nello statalismo autarchico dichiara che lo stato deve organizzarsi come un tutto chiuso
Il tema centrale è quello dell’educazione, poichè per Fichte il mondo moderno ha bisogno di una
nuova azione pedagogica capace di mettersi al servizio della maggioranza del popolo e delle
nazioni. Solo il popolo tedesco è in grado di promuovere la nuova educazione. Il popolo tedesco
è l’unico ad avere una patria e a costruire un’unità organica che si identifichi con la realtà
profonda della nazione. Questo rappresenta una guida per tutti gli altri popoli, in quanto al popolo
tedesco viene assegnato il primato spirituale e culturale; ritiene anche che il fine dell’umanità
sono i valori etici della ragione e della libertà.
SCHELLING
VITA E SCRITTI:
Gli interessi dominanti di Schelling sono rivolti inizialmente alla natura e all’arte e
successivamente al problema metafisico-religioso. La filosofia di Schelling viene divisa in
diversi periodi:
momento fichtiano
filosofia della natura
idealismo trascendentale
filosofia dell’identità
periodo teosofico e della filosofia della libertà
filosofia positiva e filosofia della religione
LE CRITICHE A FICHTE:
La filosofia di Fichte si presentava come una filosofia dell’infinito dentro e fuori l’uomo e
apriva con ciò l’opera del Romanticismo. Schelling riporta l’Io assoluto alla Sostanza di
Spinoza, ovvero al principio dell'infinità oggettiva, mentre in Fichte è il principio dell’infinità
soggettiva. Schelling vuole unire queste infinità nel concetto di un assoluto che non è
riducibile né al soggetto e né all'oggetto, quindi il principio supremo dev’essere un assoluto
che sia contemporaneamente sia oggetto che soggetto, ma anche ragione e natura. La
natura secondo Schelling ha vita, razionalità e quindi valore in se stessa, deve avere anche
un principio autonomo che la spieghi nel suo complesso, ovvero la storia. La filosofia di
Schelling si divide in filosofia della natura, che nasce dal valore autonomo della natura, e
filosofia trascendentale, che deriva dall’assoluto come identità o indifferenza di natura e
spirito.
La filosofia della natura è una costruzione romantica, alla cui base si trova il rifiuto dei
precedenti modelli della natura, ovvero quello meccanicistico-scientifico e quello
finalistico-teologico, a cui contrappone il proprio organicismo finalistico e immanentistico
secondo cui:
ogni parte ha senso solo in relazione al tutto e alle altre parti
l’universo non si riduce a una miracolosa collisione di atomi
gravitano
opposizione di forze
Schelling ha definito la propria filosofia della natura come una fisica speculativa, oppure a
priori. Dire che questa fisica procede a priori significa dire che procede in maniera
sistematica, ma che non intende presentarsi come una deduzione, ma bensì come lo sforzo
di tradurre “l’a posteriori” in “a priori”. Un procedimento di questo tipo evita qualsiasi tipo di
pericolo di manipolazione arbitraria dei dati della scienza. La fisica speculativa di Schelling
ha anche dei meriti storici come:
l’interesse per i fenomeni naturali nella gioventù tedesca.
ha mostrato i limiti del meccanicismo e ha portato allo studio della natura
ha contribuito alla nascita di una mentalità evoluzionistica.
ha alimentato anche le ricerche di morfologia comparata
Schelling però, nonostante ciò, non può essere considerato un evoluzionista in quanto le
potenze della natura di cui parla non sono dei gradi successivi all’universo ma dei momenti
ideali della sua eterna organizzazione dialettica
L’IDEALISMO TRASCENDENTALE:
LA TEORIA DELL’ARTE:
Nella filosofia teoretica e pratica lo spirito e la natura sono due poli distinti, nella storia l’unità
tra lo spirito e la natura risulta più postulata. Ma per Schelling l’unico modo per risolvere
questo problema è quello di rintracciare un’attività nella quale possano entrare in
connessione. L’arte è considerata come l’organo di rivelazione dell'assoluto. Nella creazione
estetica risulta in prede a una forza che lo ispira in moda tale che la sua opera possa essere
la sintesi di un momento inconscio o spontaneo e di un momento conscio e spontaneo. Il
fenomeno dell’arte è sia un produrre spirituale in modo naturale ma anche un produrre
naturale in modo spirituale. L’artista umano incarna e concretizza il modo di essere
dell’assoluto. Dal punto di vista della filosofia di Schelling nella creazione estetica si ripete il
mistero della creazione del mondo da parte dell’assoluto. L’esaltazione romantica del valore
dell’arte trova in Schelling la più significativa espressione filosofica, infatti l’idealismo di
Schelling viene denominato come idealismo oggettivo ed estetico.
HEGEL
I CAPISALDI DEL SISTEMA HEGELIANO
LA VITA
Hegel nacque nel 1770 a Stoccarda e studiò filosofia e teologia all’Università di Tubinga, dove strinse amicizia con
Schelling e Holderin. Hegel, finiti gli studi, fece il precettore privato prima a Berna, poi a Francoforte; a questo periodo
appartengono i primi scritti di natura teologica. Dopo la morte del padre si recò a Jena, dove pubblicò il suo primo
saggio filosofico (Differenza tra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling, in cui si pone a favore dell’idealismo
schellinghiano). Successivamente collaborò con Schelling al “Giornale critico della filosofia” e iniziò ad interessarsi di
politica. Nel 1805 divenne professore a Jena, nel 1808 direttore del ginnasio di Norimberga, nel 1816professore di
filosofia a Heidelberg, nel 1818 fu chiamato all’Università di Berlino. Morì a Berlino nel 1831.
GLI SCRITTI
Gli scritti del periodo giovanile trattano temi religiosi-politici e vengono pubblicati solo nel XX secolo; mentre quelli
della maturità trattano temi storico-politici.
La prima grande opera è la Fenomenologia dello spirito (1807), in cui Hegel si distacca dalla filosofia di Schelling.
Nel 1812 e nel 1816 pubblicò le due parti della opera Scienza della logica.
Nel 1817 pubblicò l’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, a cui seguiranno due edizioni nel 1827 e nel
1830 (l’ultima edizione venne pubblicata in tre volumi dai suoi allievi, con l’aggiunta di annotazioni dei suoi appunti e
delle sue lezioni).
A Berlino pubblicò i Lineamenti di filosofia del dritto (1821). Dopo la sua morte vennero ricavate altre opere, che
vennero pubblicate dai suoi allievi.
IL GIOVANE HEGEL
Negli scritti di Hegel è presente come idea di fondo la realizzazione di progetti di riforma in grado di spazzare via il
vecchio impianto sociale fondato sulla stabilità delle classi e sul potere nobiliare, per far spazio ad un nuovo ordine
giuridico esteriore, incarnato in nuove istituzioni sociali fondate sull’uguaglianza: secondo Hegel la rivoluzione nelle
istituzioni poteva avvenire solo come conseguenza di una maturazione avvenuta all’interno della coscienza del popolo.
Secondo Hegel, però, potrà nascere un ordine politico egualitario solo quando i cittadini avranno imparato a vivere la
religione come comunanza dei cuori, riconoscendo il riflesso dell’unica vita di Dio.
Nell’opera la Vita di Gesù, Hegel sembra condividere l’idea di Kant della religione come adesione interiore ai principi
razionali della morale; mentre nell’opera La Positività della religione cristiana, Hegel critica quest’idea kantiana, in
quanto causa di un dualismo tra ragione e natura (dovere razionale e inclinazione naturale), che trasforma la morale in
un legalismo che lacera l’uomo.
Kant, infatti, sembra essere molto vicino a quelle chiese contro cui Hegel polemizza: queste chiese avevano smarrito il
senso del messaggio religioso di Cristo, che aveva predicato il superamento della vecchia legge dell’Antico testamento
fatta di comandi rigidi, in favore di una nuova legge dell’amore, della fratellanza e della comunanza di cuori. Tradendo
il messaggio di Gesù, le chiese avevano creato una religione positiva, formata da istituzioni e comandi che hanno
causato la scomparsa del sentimento profondo del divino.
Nell’opera Lo spirito del cristianesimo e il suo destino, Hegel riprende i temi religiosi ma inserendoli in un impianto
storico. Il testo, infatti, riprende la storia del popolo ebreo a partire dal diluvio universale, fino ad arrivare alla
distruzione del tempio di Gerusalemme e alla diaspora.
Hegel nota come il diluvio universale sia il simbolo di una profonda scissione tra il popolo ebraico e la natura:
sentendosi minacciati da quest’ultima, gli Ebrei si sono allontanati da tutto ciò che fa parte della vita umana e
considerando Dio come Signore salvifico e trascendente a una realtà naturale che gli è estranea (Dio, che è tutto,
come contrapposto all’uomo e alla natura, che senza di Lui sono niente).
Gli Ebrei hanno scelto di vivere in inimicizia con la natura e in ostilità con gli altri uomini, riponendo la loro salvezza in
questo Dio trascendente e geloso, che pretendeva una fedeltà esclusiva e impedendo ogni tipo di rapporto con gli altri
popoli.
La scissione ebraica viene messa in discussione dal messaggio di Gesù, che annuncia agli uomini la nuova legge
dell’amore, invitando al superamento di ogni ostilità tra gli esseri viventi, in vista di una profonda unità di vita.
La figura di Gesù è molto vicina al mondo greco; i greci vivono il loro rapporto con la natura in completa armonia e in
spirito di bellezza. Se l’ebraismo rappresenta il momento della scissione e della separazione, la grecità incarna il
momento dell’armonia tra uomo, tra uomo e natura e degli uomini tra di loro.
La religione greca come fattore di coesione sociale desta l’ammirazione di Hegel, convinto che la bella eticità coincida
con una perfetta armonia che la modernità ha smarrito; successivamente, Hegel vedrà nella grecità un’innocenza
destinata a spezzarsi e passare per la scissione e il suo superamento. Nella predilezione del mondo greco si può anche
leggere il rifiuto dell’astratto (concepito come separato) a favore del concreto (le cose concepite in relazione le une
alle altre).
Tanto i greci quanto Gesù sono stati sconfitti: l’armonia e lo spirito di amicizia greci sono stati superati dalle nuove
esperienze della società moderna, mentre Gesù è morto ucciso dal suo stesso popolo perdonando i suoi stessi
uccisori. Questo sta a significare che, anche se le chiese cristiane hanno tradito il messaggio di Gesù, si può sempre
sperare nel recupero di uno spirito di bellezza.
La nuova religione di Hegel dovrà superare la scissione kantiana in una conciliazione attraverso il recupero della figura
di Gesù come profeta dell’amore, inteso come forza unificante tra uomo e Dio, tra uomo e uomo, tra dovere razionale
e natura sensibile.
Nella fase matura del suo pensiero, Hegel pone la sua fiducia nella filosofia e non più nella religione: la rivoluzione
dello spirito dell’uomo e dei popoli doveva nascere da un’oggettiva evoluzione storica e dalla ricerca filosofica, in
quanto capace di pensare scientificamente il corso del mondo.
Nella visione cristiana, secondo la nuova alleanza e il nuovo testamento, Dio diventa uomo e si carica dei peccati
dell'umanità, con il sacrificio della morte e risurrezione di Gesù c'è l'inizio di una nuova era (rapporto Dio-umanità,
mentre nella tradizione ebraica è Dio-PopoloEletto).
Questo favorisce una conclusione, secondo cui il cristianesimo è più aperto come religione, ma Hegel nota che questo
atteggiamento presente nel mondo ebraico, questo tipo di rapporto fa sì che nella storia dell'uomo gli ebrei abbiano
vissuto quasi una sorta di dualismo, da un lato si sono sentiti superiori in quanto eletti, ma questo ha fatto sì che poi si
isolassero, ciò ha a che fare con l'antisemitismo (anche se noi sappiamo che il cristianesimo aveva accusato l'ebraismo
di deicidio, ovvero l'uccisione di Dio, che portò ad un contrasto verso gli ebrei). Tutto ciò ha creato fattori concomitanti
che hanno portato agli esiti tragici del '900 nei confronti degli ebrei {atteggiamento strano degli ebrei nei riguardi degli
altri, senso di superiorità trasformato in isolamento che ha avuto anche radici storiche, in quanto venivano allontanati
per il deicidio}, le funzioni sociali non venivano svolte dai cristiani, ma dagli ebrei che praticavano lavori col denaro,
questo senso di identità e appartenenza al popolo ebraico è molto forte nella loro tradizione, tanto che ebrei venivano
allontanati con la diaspora: gli ebrei sono andati ad occupare territori nel mondo creando piccole comunità al cui
interno veniva portata avanti la loro tradizione: sono stati anche ghettizzati.
Secondo Hegel, quindi, si trattava di superiorità del cristianesimo per la loro apertura verso l'umanità e Dio, in quanto
non si consideravano prescelti.
C'è un recupero dei valori iniziali originari, Hegel considera superiore il cristianesimo, ma crede che nel tempo esso
abbia perso i valori originari come purezza e solidità, Hegel, quindi, puntava a recuperare questi valori per tornare alle
basi (RECUPERO IDENTITÀ CRISTIANA).
Ma ciò non basta, perché va considerato anche l'apporto del mondo classico, recuperando lo spirito di bellezza e i
valori di perfezione greco-latini (RECUPERO VALORI ANTICHITÀ CLASSICA).
Tutto ciò per arrivare a ciò che viene definita 'comunanza di cuori', ovvero la rigenerazione dell'umanità che parte
però dal singolo: cambiare l'individuo per cambiare la società.
La risoluzione del finito nell’infinito (che sono strettamente collegati tra loro in una continua fusione, Hegel
cerca di ricucire le separazioni di Fichte);
L’identità tra ragione e realtà (ciò che esiste in realtà ha una struttura interna che corrisponde alla ragione,
ma ciò che non possiamo razionalizzare in un’astrazione mentale ha sempre una corrispondenza sul piano
della realtà: non c’è un astratto avulso dal concreto e non c’è un concreto avulso dall’astratto);
La funzione giustificatrice della filosofia.
FINITO E INFINITO
Per Hegel la realtà è un organismo unitario di cui tutto ciò che esiste è parte o manifestazione.
Tale organismo coincide con l’Assoluto e con l’infinito, mentre le sue manifestazioni coincidono cono il finito. Il finito
non esiste, in quanto espressione parziale dell’infinito: il finito esiste unicamente nell’infinito e un virtù di esso. In altre
parole, il finito non è tale, ma è lo stesso infinito.
L’hegelismo è, quindi, una sorta di monismo panteistico: una teoria che vede nel mondo, finito, la manifestazione di
Dio, infinito. Ma potrebbe risultare anche come forma di spinozismo, anche se i due sistemi differiscono notevolmente
tra loro. Per Spinoza l’Assoluto coincide con la natura, mentre per Hegel è un soggetto spirituale in divenire in un
processo di realizzazione. Per Hegel, quindi, la realtà non è una sostanza, ma un soggetto: non è qualcosa di
immutabile, ma un processo di auto-produzione che solo alla fine si rivela per come è veramente (con l’uomo, lo
spirito, e con le sue attività più elevate, arte religione e filosofia).
RAGIONE E REALTÀ
Il soggetto spirituale viene chiamato da Hegel ragione o idea, per esprimere l’identità di pensiero ed essere, di ragione
e realtà.
Da qui si ha l’aforisma: “Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale”:
La razionalità è la forma stessa di ciò che esiste, poiché la ragione governa il mondo e lo costituisce;
La realtà non è una materia caotica, ma il disimpegnarsi di una struttura razionale (la ragione), che si
manifesta inconsapevolmente nella natura e consapevolmente nell’uomo;
Hegel esprime la necessaria, totale e sostanziale identità di realtà e razionalità.
Questa identità implica anche l’identità tra essere e dover essere, in quanto ciò che è risulta anche ciò che
razionalmente deve essere.
Secondo Hegel, il mondo è ragione reale e realtà razionale che si manifesta attraverso un insieme di momenti
necessari che non possono non essere così come sono (panlogismo). Hegel ritiene che la realtà costituisca una totalità
processuale necessaria, formata da una serie crescente di momenti, ognuno dei quali rappresenta il risultato di quelli
precedenti e il presupposto di quelli seguenti (necessità).
Hegel ritiene che il compito della filosofia sia quello di prendere atto della realtà e comprendere le strutture razionali
che la costituiscono. La filosofia, però, arriva a spiegare il mondo sempre troppo tardi, ovvero quando la realtà già si è
formata: Hegel paragona la filosofia alla nottola di Minerva (paragone della filosofia classica) che inizia il suo volo sul
crepuscolo, così come la filosofia subentra la sua attività quando la realtà è già bella che formata. Quindi il vero
compito della filosofia è la giustificazione razionale della realtà. Per Hegel, la filosofia si muove attraverso continue
riflessioni succedute nel tempo, infatti, per lui la vera filosofia è la storia della filosofia.
Il giustificazionismo filosofico è quello che accade nella realtà e fa parte di un qualcosa che deve accadere: la
realizzazione concreta è il risultato di un qualcosa che esiste di per sé come spirito (infinito). La realtà è il finito e la
realizzazione di infinto (idea) in quanto spirito infinito. Il giustificazionismo è, quindi, ciò che accade in quanto non può
non accadere (successivamente verrà interpretato anche nella politica).
Idea in sé per sé (idea pura, tesi), ovvero l’idea considerata in se stessa nella sua dimensione più astratta,
l’ossatura logico-razionale della realtà;
Idea al di fuori di sé (antitesi), ovvero l’idea che si realizza in quanto realtà, in altri termini è la natura che si fa
realtà (filosofia della natura);
Idea che ritorna in sé (sintesi), ovvero l’idea, che dopo essersi fatta natura, torna presso di se arricchita e
potenziata, in altri termini corrisponde allo spirito (filosofia dello spirito).
Questi tre momenti non vanno visti in senso cronologico, bensì lo spirito ha come eterna condizione la natura e come
presupposto l’idea pura.
Hegel fa corrispondere ai tre momenti le tre sezioni in cui divide il sapere filosofico:
La logica, ovvero la scienza dell’idea in sé per sé, ovvero dell’idea considerata nel suo essere implicito (in sé) e
nel suo esplicarsi (per sé), ma a prescindere dalla sua realizzazione nella natura e nello spirito;
La filosofia della natura, ovvero la scienza dell’idea fuori di sé (ibidem);
La filosofia dello spirito, che è la scienza dell’idea che ritorna in sé.
LA DIALETTICA
Per Hegel, l’Assoluto è in continuo divenire, legato alla legge della dialettica, che permette di comprendere la realtà,
ma comprende anche la legge che determina la struttura della stessa (legge ontologica di sviluppo e legge logica di
comprensione).
Il momento astratto consiste nel concepire l’esistente sotto dorma di una molteplicità di determinazioni statiche e
separate le une dalle altre, in altre parole è quelli per cui il pensiero si ferma alle determinazioni rigide della realtà
considerandole nelle loro differenze e secondo i principi di identità e non-contraddizione.
Il momento dialettico consiste nel mostrare le determinazioni in rapporto con le determinazioni opposte, per
specificare che una cosa è chiarendo ciò che essa non è.
Il momento speculativo consiste nel cogliere l’unità delle determinazioni opposte, ovvero nell’accorgersi che queste
determinazioni sono aspetti unilaterali di una realtà più alta.
L’intelletto è un modo di pensare statico che considera gli enti solo nella loro reciproca esclusione;
La ragione è un modo di pensare dinamico, capace di cogliere la concretezza reale. In quanto dialettica, la
ragione nega le determinazioni astratte dell’intelletto, mettendole in relazione con le determinazioni
opposte; in quanto speculativa, coglie l’unità degli opposti realizzandone la tesi.
La dialettica è il percorso che ha come primo punto l’affermazione di un concetto astratto e limitato, la tesi; come
secondo punto la negazione di essa tramite l’antitesi; e come terzo punto la sintesi che unisce affermazione e
negazione, arricchendo la tesi. La sintesi è, dunque, la riaffermazione potenziata della tesi (Aufhebung=superamento
che consiste nel levare l’opposizione tra tesi e antitesi e un conservare la verità della tesi, dell’antitesi e della loro
lotta, ovvero abolisce e al tempo stesso conserva la tesi, l’antitesi e la loro opposizione).
La dialettica illustra la risoluzione del finito nell’infinito, mostrando come ogni finito può esistere solo in un contesto di
rapporti ponendo se stesso a qualcos’altro: la dialettica rappresenta, quindi, la crisi del finito e la sua risoluzione
necessaria nell’infinito.
La dialettica ha un significato ottimistico; per Hegel, infatti, la molteplicità, l’opposizione e il conflitto sono reali ma
solo come momenti di passaggio: il negativo, infatti, esiste solo come momento del farsi positivo, e la tragedia è solo
l’aspetto della commedia.
Il pensiero dialettico è quello che si articola nelle tre fasi di tesi, antitesi e sintesi. Hegel opta per una dialettica a sintesi
finale chiusa, ovvero con un ben preciso punto di arrivo.
Il termine fenomenologia deriva dal greco, che vuol dire fenomeno e dottrina, ed è la scienza di ciò che appare. Nel
sistema hegeliano la realtà corrisponde allo spirito, quindi la fenomenologia corrisponderà all’apparire dello spirito a
se stesso, cioè dare allo spirito la consapevolezza di essere tutta la realtà.
Il principio di risoluzione del finito dell’infinito viene proposto da Hegel in due differenti prospettive:
La prospettiva diacronica, secondo cui viene analizzata l’intera vicenda storica che la coscienza umana ha
compiuto per arrivare alla consapevolezza di se stessa come Assoluto (seguita dall’impostazione hegeliana);
La prospettiva sincronica, che prende in considerazione il sistema dell’Assoluto nei tre momenti del logos,
della natura e dello spirito.
Nella fenomenologia, Hegel descrive il progressivo affermarsi dello spirito tramite una serie di figure, che esprimono
tutti i settori della vita umana e si possono considerare come i momenti della progressiva conquista della verità da
parte dell’uomo.
La fenomenologia è la storia della conoscenza, che esce dalla sua individualità, raggiunge l’universalità e la
consapevolezza di essere ragione che è realtà e realtà che è ragione. Il ciclo della fenomenologia si può riassumere
nella figura della coscienza infelice, ovvero in cui la coscienza è quella che non sa di essere tutta la realtà e si trova
scissa in opposizioni dalle quali esce solo arrivando alla consapevolezza di essere tutto.
In altri termini, per Hegel il percorso dell’idea diventa il percorso per la conoscenza dell’umanità; la fenomenologia
dello spirito è il racconto del percorso stesso della coscienza (la quale non è individuale in quanto si tratta della
partecipazione del singolo nella storia di un percorso.
La prima comprende i tre momenti della coscienza (la tesi, in cui si ha un’attenzione della coscienza stessa
verso l’oggetto esterno), l’autocoscienza (antitesi, in cui si ha l’attenzione verso il soggetto della coscienza
stessa) e della ragione (sintesi, in cui si ha un rapporto stretto tra soggetto e oggetto, la ragione prevede una
ritorno all’oggetto dopo una solidificazione del soggetto);
La seconda comprende le tre sezioni dello spirito, della religione e del sapere assoluto.
LA COSCIENZA
Certezza sensibile, che è la forma di coscienza più povera, in quanto fornisce la certezza solo singole cose
indeterminate e generiche (questo albero/questa casa, che sono presenti adesso davanti a noi e non delle
cose in quanto tali). Con questa forma, Hegel critica tutte le forme di sapere immediato, infatti la certezza
sensibile non può pensare o dire il proprio oggetto senza passare per una mediazione (è un albero/non è una
casa), si limita invece a sentirlo nella sua immediatezza e unicità;
Percezione, che si occupa della distinzione tra soggetto che percepisce e oggetto percepito; gli oggetti non
sono altro che insiemi di proprietà che la coscienza colleziona, in questo modo l’oggetto si risolve
interamente nel soggetto;
L’intelletto, che consiste nella capacità di cogliere gli oggetti non come tali con le loro caratteristiche, ma
come fenomeni risultati da una forza che agisce sul soggetto.
AUTOCOSCIENZA
L’uomo, secondo Hegel, è autocoscienza solo se riesce a farsi riconoscere da un’altra autocoscienza. Hegel esclude
l’amore come mezzo per cui possa avvenire il reciproco riconoscersi tra autocoscienze, in quanto l’amore non insiste
abbastanza sul carattere drammatico della loro separazione e sulla peripezia per raggiungere al loto riconoscimento.
Il riconoscimento avviene, quindi, attraverso un momento di lotta e di sfida tra le autocoscienze, in cui ognuna deve
essere pronta a tutto pur di affermare la propria indipendenza. Questa lotta deve concludersi con il subordinarsi di una
all’altra nel rapporto servo-signore: il signore è colui che si è spinto a tutto pur di affermare la sua indipendenza,
mentre il servo è colui che ad un certo momento ha scelto la schiavitù pur d salvare la sua vita.
Con un’analisi dialettica, la dinamica del rapporto si inverte: il signore diviene servo del servo e il servo signore del
signore, questo perché il signore, inizialmente indipendente, inizia a dipendere dai servi, al contrario il servo
dipendente dal padrone acquisisce indipendenza in quanto produttore di ciò che è il sostentamento del signore.
Questa progressiva acquisizione di indipendenza da parte del servo avviene nei tre momenti della paura:
La paura della morte fa tremare lo schiavo, permettendo di fargli provare l’essere distinto da quel mondo di
certezze naturali in cui fino a quel momento si identificava, acquisendo quindi coscienza di sé.
Nel servizio la coscienza si autodisciplina e impara a resistere ai propri impulsi naturali.
Nel lavoro, il servo producendo le cose, forma anche se stesso, imprimendo quella forma dell’autocoscienza
nel suo essere, trovando se stesso nella sua opera.
Questa dialettica servo-padrone viene studiata anche da Marx, il quale riconosce la sua importanza e ne fa una critica
costruttiva: sul piano pratico un servo rimane servo e un padrone rimane tale (mentre Hegel affermava l’indipendenza
del servo e la dipendenza del padrone dal lavoro servile), per Marx serviva quindi un cambiamento concreto, cercherà
altre proposte.
SCETTICISMO E STOICISMO
Stoicismo, che celebra l’autosufficienza e la libertà del saggio nei confronti di ciò che lo circonda, è la fase in
cui l’uomo capisce che non deve lasciarsi trascinare dagli istinti, ma deve capire le emozioni; l’autocoscienza
si giudica libera in ogni caso da questi condizionamenti, ma raggiunge solo un’astratta libertà interiore,
perché questi condizionamenti rimangono;
Scetticismo, che insegna di non poter dare per vero tutto ciò che comunemente è ritenuto tale; questo
pensiero negativo dà luogo al paradosso secondo cui lo scettico dichiara che tutto è vano e non vero, ma al
tempo stesso vuole fare qualcosa di concreto e vero.
Nessuna delle due correnti è stata risolutiva, non c’è stata nessuna realizzazione.
LA COSCIENZA INFELICE
La coscienza scettica, a questo punto, passa nella figura della coscienza infelice basata sulla contraddizione che
assume la forma della separazione radicale tra l’uomo e Dio; infatti, riguarda il periodo storico in cui l’uomo ha cercato
nella religione le risposte. La lacerazione prodotta dell’opposizione di uomo e dio e di finito e infinito risulta infelice.
Questa lacerazione infelice si presenta in primo piano con l’opposizione tra trasmutabile e intrasmutabile: Hegel
prende in esame l’ebraismo, in cui l’Assoluto è visto come un Dio trascendente, padrone assoluto della vita e della
morte, un Signore inaccessibile verso cui l’uomo si trova in una posizione di completa dipendenza (riconducibile al
rapporto servo-signore).
Nel cristianesimo medievale, l’intrasmutabile si risolve in una figura di un Dio incarnato, che prospetta Dio sottoforma
di una realtà effettuale, Gesù Cristo. Ma questa pretesa di cogliere l’assoluto in una presenza particolare è destinata a
fallire: abbiamo come simbolo le crociate, in cui la ricerca di Dio finisce con la scoperta di un sepolcro vuoto. Sia il Dio
trascendente che il Dio incarnato risultano lontani, per questo la coscienza continua ad essere infelice e Dio continua a
configurarsi come un irraggiungibile al di là che è sfuggito e si tenta di afferrarlo. Le manifestazioni di questa infelicità
cristiano-medievale sono le figure seguenti:
Devozione, ovvero il pensiero a sfondo religioso che si deve ancora elevare a concetto;
Il fare, che è il momento in cui la coscienza cerca di esprimersi nel desiderio e nel lavoro, da cui deriva il proprio
godimento (in riferimento all’ora et labora dei monaci); la coscienza cristiana avverte come dono di Dio sia il frutto del
loro lavoro, sia le forze e le capacità che gli sono state concesse, in questo modo risulta che ad agire è sempre e solo
Dio;
La mortificazione di sé, in cui si ha la negazione dell’io in favore di Dio, tanto che l’uomo arrivava a compiere
atti di umiliazione della carne per espiare i peccati.
Si ha il passaggio alla ragione quando la conoscenza stessa, nel tentativo di unificarsi con Dio, si rende conto di essere
se stessa Dio.
LA RAGIONE
Ragione osservativa, in cui la certezza per essere verità deve giustificarsi: nella fese del naturalismo il primo
tentativo è quello di un inquieto cercare, in cui la coscienza cerca l’essenza delle cose ma in realtà non cerca
che se stessa;
Ragione attiva, ovvero il progetto secondo cui l’unità di io e mondo deve essere realizzata e non più solo
cercata. Se lo sforzo della ricerca è individuale, è destinato a fallire, come dimostrano le tre figure della
ragione attiva:
o Il piacere e la necessità, in cui l’individuo deluso dalla scienza si getta alla ricerca del proprio
godimento;
o La legge del cuore e il delirio della presunzione, in cui l’individuo tenta di eliminare tutti i
responsabili mali nel mondo per poi entrare in conflitto con altri presunti portatori del vero progetto
di miglioramento della realtà;
o La virtù e il corso del mondo, in cui il contrasto tra la virtù e la realtà concreta porta al fallimento dei
presupposti della virtù, questa vuole anche essere un richiamo alla criticismo di Burke nei confronti
della Rivoluzione francese e la sua volontà di portare nel mondo quei valori astratti.
L’individualità in sé per sé, ovvero che è a se stessa reale in se stessa e per se stessa, ovvero pur realizzandosi
rimane astratta; essa si divide in tre figure:
o Il regno animale dello spirito, con cui Hegel fa riferimento alla dedizione ai propri compiti particolari;
o La ragione legislatrice, secondo cui l’autocoscienza cerca in se stessa delle leggi che valgano per tutti;
o La ragione esaminatrice, la quale esamina le leggi ponendosi al di sopra di esse.
Hegel vuol far intendere che ponendosi dal punto di vista individuale, non si raggiungerà mai l’universalità; la ragione
reale è quella dello spirito e dello Stato, i quali per Hegel sono il sostrato che rende possibile ogni atto della vita
individuale (sostanza).
LA LOGICA
La logica è la scienza dell’idea pura e prende in considerazione la struttura logico-razionale del mondo. Hegel distingue
la filosofia che si occupa di oggetti concreti, quali la natura e lo spirito, con la filosofia incentrata nella loro struttura
astratta specificata in un organismo di concetti. L’oggetto della logica è il pensiero, definito come ciò che di più
oggettivo e universale esiste. I concetti di cui parla Hegel sono i pensieri oggettivi che esprimono la realtà stessa nella
sua essenza.
Per Hegel, il pensiero opera sulle rappresentazioni, ovvero i contenuti della scienza che interiorizzano gli oggetti, che
vengono innalzate sempre di più per arrivare alla purezza del concetto: questi sono concetti purificati (quelli che per
Kant erano puri), in quanto sono enucleati da concrete esperienze storico-fenomenologiche.
Le figure della Fenomenologia e i concetti della Logica hanno lo stesso contenuto ma si trovano a livelli di astrazioni
diversi (il concetto di parlare precede l’individuazione delle regole grammaticali che sono la condensazione di
esperienze linguistiche).
Le categorie hegeliane si distinguono da quelle aristoteliche perché le prime non derivano nell’oggetto come predicati;
da quelle kantiane perché queste valgono solo il relazione al fenomeno.
Il pensiero logico non ha alcun oggetto intuitivo di fronte a sé, bensì è capace di autodeterminarsi e di produrre la
ricchezza dei propri contenuti: il pensiero logico è il modello stesso della libertà, definita come “autodeterminazione”.
Il sapere puro della logica è, quindi, pensiero che si muove liberamente nel proprio substrato, i pensieri.
La logica si occupa dell'idea nella fase proastratta, per Hegel, la logica è in stretto collegamento con la metafisica in
virtù del secondo principiò dei capisaldi per pensiero hegeliano (ciò che è reale è razionale e ciò che è razionale è
reale). Il parallelismo tra logica e metafisica e tra struttura del pensiero e realtà ontologica ci riporta ad una
dimensione che era quella dello stesso Aristotele secondo cui concetti e categorie avevano corrispondenza sul piano
ontologico (la struttura sintattica di una frase potrebbe essere valida ma non necessariamente vera perché non
rispecchia la struttura logica della realtà). Per Hegel l'idea è struttura metafisica che si concretizza nella realtà. Hegel
cerca di capire come nella storia della filosofia gli autori si siano espressi nel rapporto tra pensiero e realtà: per lui
guardare in passato verso il pensiero di altri filosofi è importante.
Per esprimere il rapporto pensiero-essere, Hegel utilizza le principali posizioni del pensiero logico rispetto
all’oggettività:
o Procedere ingenuo, secondo cui il pensiero può conoscere, mediante la riflessione, ciò che gli oggetti
veramente sono, dunque il pensiero può comprendere la realtà ed è lo strumento più adatto per farlo
(vecchia metafisica dogmatica);
o Empirismo, che eleva il contenuto della percezione a rappresentazione, riducendo la realtà vera ad una x che
il pensiero non può penetrare, andando a cadere nello scetticismo (collegamento con il kantismo, l’io penso
lascia che esista il mistero della cosa in sé), dunque non esiste un pensiero al di fuori di quella che è
l’esperienza (Locke, Berkley e Hume, secondo cui tutto quello che abbiamo nella mente deriva
dall'esperienza, il pensiero ne deriva, non esistono pensieri a monte (a priori), ma tutto quello che abbiamo
nella mente è il frutto dell'esperienza sulla realtà), ha una funzione comprensiva della realtà;
o Filosofia della fede, secondo cui si può saltare dal pensiero dell’essere e comprendere la realtà solo mediante
il sentimento o la fede (problema della scolastica che voleva capire in che misura la ragione potesse
intervenire in aiuto della ragione).
La logica (lo studio del pensiero) e la metafisica (lo studio dell’essere), per Hegel, sono la stessa cosa.
La logica è la struttura del pensiero e questo pensiero ci permette di comprendere la realtà, ma possiede una sua
esistenza strutturale a prescindere dalla realtà stessa: la realtà ha una sua struttura razionale, quando andiamo a
studiare la natura o la realtà dobbiamo trovare questa razionalità (la dialettica è strumento di comprensione della
realtà ma anche struttura ontologica della realtà stessa).
La logica hegeliana procede mostrando come, partendo dai concetti più poveri e astratti, si giunga a concetti via via più
ricchi e concreti, fino a raggiungere il concetto dei concetti: l’idea. La logica si divide in tre parti:
o Logica dell’essere, che è la dimensione più astratta del pensiero che arriva a calarsi nell’esistenza;
o Logica dell’essenza, che esiste quando l’essere si cala nell’esistenza;
o Logica dei concetti, che è la sintesi del concetto, ovvero l’arricchimento della tesi in quanto l’essere viene
arricchito dall’essenza e calato nell’esperienza.
Il secondo momento del percorso dell’idea è quello in cui l’idea esce fuori di se per realizzare nella realtà quanto
espresso nella tesi: l’idea si fa concretezza, calandosi nella realtà e divenendo natura.
La filosofia della natura ha per presupposto la fisica empirica, che le fornisce il materiale per far sì che le
determinazioni naturali diventino organismo concettuale. La natura è l’idea nella forma dell’essere altro, ossia il
momento di negazione dell’Assoluto (non ens), perché da un lato la natura è un arricchimento dell’idea che si cala
nella realtà, ma dall’altro è formata da fenomeni che non rientrano in una struttura di razionalità e quindi da una
caduta dell’idea stessa. La natura viene definita come pattumiera del sistema, in quanto Hegel spinge fuori dalla realtà
tutto ciò che è finito, accidentale, contingente e irriducibile alla ragione, ma tutto ciò è comunque reale e trova
giustificazione proprio nella natura.
FILOSOFIA DELLO SPIRITO
La filosofia dello spirito è la conoscenza più alta e più difficile, è il momento del percorso in cui l’idea torna in sé per
farsi soggettività e libertà, ovvero auto-creazione e auto-produzione.
Nello spirito, a differenza della natura, ogni grado è compreso e risolto in quello superiore, il quale si trova a sua volta
in quello inferiore.
LO SPIRITO SOGGETTIVO
o Antropologia
o Fenomenologia
o Psicologia
L’antropologia studia lo spirito come anima, la quale si trova come in uno stato di dormiveglia dello spirito. L’anima
indica l’insieme di legami tra lo spirito e la natura che nell’uomo si manifesta come carattere e nelle varie differenze a
seconda dell’età della vita e del sesso. Hegel considera le diverse età della vita, affermando che l’infanzia (tesi) sia il
momento in cui l’individuo trova armonia con il mondo circostante; che la giovinezza (antitesi) sia il momento del
contrasto individuale con l’ambiente circostante; che la maturità (sintesi) sia il riconciliamento con il mondo dopo
l’urto adolescenziale.
La psicologia studia tutto ciò che concerne le capacità umane, divise in conoscere teoretico (la capacità della ragione di
trovare se stessa nel suo contenuto, ovvero intuizione, rappresentazione e pensiero), attività pratica (le manifestazioni
grazie alle quali lo spirito acquisisce libertà e indipendenza dalle condizioni limitatrici in cui vive l’individuo) e lo spirito
libero (la volontà di libertà dello spirito).
LO SPIRITO OGGETTIVO
Lo spirito oggettivo studia tutto ciò che ha a che fare con il diritto, inteso nella sua forma astratta e formale, articolato
nei seguenti settori:
o Diritto astratto
o Moralità
o Eticità
DIRITTO ASTRATTO
Il diritto astratto riguarda la manifestazione esterna della libertà delle persone, considerate come puri soggetti astratti
di diritto.
Il primo diritto riguarda il diritto alla proprietà, ovvero ad una cosa esterna.
La proprietà diviene tale solo in funzione di un reciproco riconoscimento tra le persone, ossia tramite la stipulazione di
un contratto.
L’esistenza del diritto (tesi) comporta di conseguenza l’esistenza di un torto (il delitto ne è la forma più grave e
rappresenta l’antitesi), che richiede una pena (sintesi), ovvero un ripristino del diritto violato e una negazione del
delitto. La pena rappresenta, per Hegel, una necessità oggettiva del vivere insieme; essa inoltre deve essere
interiormente accettata dal colpevole, e qui rientra la moralità.
LA MORALITÀ
La moralità è la sfera della volontà soggettiva, che si manifesta nell’azione. Nel momento in questa assume una
portata morale, diventa proponimento. Se proceduta da un essere pensante, prende la forma di intenzione. Se essa
diviene universale, il suo fine corrisponde al bene in sé per sé, il quale rimane ancora un’idea astratta.
Il dominio della moralità è caratterizzato dalla separazione tra la soggettività, che deve realizzare il bene, e il bene, che
deve essere realizzato. Così il bene assumerebbe la forma di un dover essere che deve essere assolutamente
raggiunto, ma che al tempo stesso non può essere raggiunto perché ci sarebbe un superamento del limite morale: tale
contraddizione tra essere e dover essere è tipica della morale kantiana che Hegel critica nella sua formalità e
astrattezza (mancanza di contenuti concreti, in quanto l’imperativo categorico rischia di diventare strumento di
immoralità e la coscienza buona degradarsi in cattiva coscienza).
Le manifestazioni estreme di questo soggettivismo astratto sono le forme della morale del cuore, secondo cui il bene
consiste nelle aspirazioni del soggetto.
Lo scontro tra reale e ideale si trova nell’ironia romantica, la quale non prende sul serio la realtà e fa diventare il
soggetto il signore del bene e del male.
La morale è, quindi, per Hegel, questo giocare con la propria coscienza, che può arrivare a spacciare il male per bene.
L’individualismo e il soggettivismo romantici scaturiscono nella figura dell’anima bella, che si compiace della propria
coscienza e non riesce ad agire per paura di sporcarsi con la realtà nel trasformare l’ideale del bene in un contenuto
concreto.
L’ETICITÀ
La separazione tra soggettività e bene viene annullata e risolta nell’eticità, nella quale il bene diventa concreto.
Mentre la moralità è la volontà soggettiva del bene, l’eticità è la morale sociale, ovvero la realizzazione concreta del
bene nelle forme sociali della famiglia, della società civile e dello Stato.
La parola morale deriva dal greco “ethos”, che vuol dire costume. Hegel studia l’individuo collocato in un orizzonte
storico-culturale che orienterà le sue scelte; infatti, la coscienza individuale non deve agire autonomamente, in quanto
deve rispettare dei valori sociali: il bene, così, diventa concreto e determinato, fatto di regole che l’individuo acquisisce
come una sorta di abito morale aristotelico.
L’unità immediata e felice tra individuo e Stato propria dell’eticità greca si spezzò, sostituendosi all’individualismo
liberale e borghese nel mondo cristiano e moderno, ovvero la rivendicazione dei diritti naturali individuali indipendenti
da quelli dello Stato. Hegel propone, quindi, un’eticità dei moderni che recuperi l’unità di individuo e cittadino nella
forma della libertà.
L’eticità rappresenta la sintesi tra il diritto astratto e la moralità, configurandosi come una morale con le forme del
diritto o come un diritto con le dorme della morale, in grado di superare le opposizioni dei due.
Hegel crede molto nel singolo all’interno di una società, ma essa deve essere strutturata sulla base delle istituzioni.
Per Hegel, è razionale solo la realtà effettiva, la quale contribuisce all’incremento della libertà. All’individuo non
restano che due possibilità, in caso di una realtà insoddisfacente:
La contraddizione tra le aspirazioni interiori e la realtà esteriore, ovvero tra ciò che deve essere e ciò che è, si identifica
come la molla per il progresso dello spirito.
LA FAMIGLIA
Il primo momento dell’eticità e la prima istituzione che regola il rapporto tra individuo e società è proprio la famiglia,
in cui il rapporto assume la forma di unità spirituale fondata sull’amore e sulla fiducia.
LA SOCIETÀ CIVILE
Con la formazione dei nuovi nuclei familiari il sistema unitario della famiglia (tesi) si trasforma nel sistema conflittuale
della società civile (antitesi), che si identifica con la sfera economico-sociale e giuridico-amministrativa del vivere
insieme. La società civile rappresenta il campo di battaglia in cui si scontrano interessi privati e individuali di tutti
contro tutti, è, quindi, un momento negativo dell’eticità ma fa sempre parte di essa. La società civile si articola in tre
momenti:
Il sistema dei bisogni nasce dal fatto che ogni individuo ha bisogno di soddisfare i propri bisogni, è necessaria quindi
una suddivisione del lavoro e, di conseguenza, delle classi. Hegel distingue tre classi:
o La classe sostanziale degli agricoltori, che possiede il patrimonio nel terreno che lavora;
o La classe formale degli artigiani, fabbricanti e commercianti, che si occupa della produzione del prodotto
naturale;
o La classe universale dei pubblici funzionari, che si occupa degli interessi universali della società.
L’amministrazione della giustizia si identifica con il diritto pubblico e concerne la sfera delle leggi e della loro tutela
giuridica.
La polizia e le corporazioni provvedono alla sicurezza sociale, funzionando da tramite tra la società e lo Stato, infatti,
devono attuare la volontà del singolo e della categoria a cui esso appartiene.
Quella di porre la società civile come tramite tra individuo e lo Stato è stata una delle maggiori intuizioni di Hegel.
LO STATO
Lo Stato rappresenta la riaffermazione dell’unità della famiglia al di là della dispersione nella società civile. Lo Stato è
come una famiglia in grande, in cui la società civile non viene allontanata, ma viene adattata ad un bene collettivo.
Nello Stato vi è il ricongiungimento dell’organicità (l’individuo nello Stato opera come organismo unitario) con la
consapevolezza soggettiva (il cittadino è consapevole di essere parte del tutto).
Hegel definisce lo Stato come sostanza etica consapevole di sé, poiché è il vero soggetto tra bene e male, ciò che
sostiene e indirizza le scelte del singolo. Il punto di vista morale e soggettivo, ovvero le regole, si trovano dentro le
istituzioni dello Stato, che educano il cittadino al rispetto delle leggi.
La concezione dello Stato come incarnazione suprema della moralità sociale del bene e del male si differenzia dallo
Stato etico di altri filosofi, come Locke e Kant, in quanto in questi sistemi liberali non vi è distinzione tra Stato e società
civile (lo Stato ha il compito di garantire la sicurezza dei contadini, cosa che in Hegel è gestita dalla società civile).
Inoltre, si differenzia dallo Stato democratico di Rousseau, in quanto quest’ultimo fa risiedere la sovranità nel popolo,
ma per Hegel, al di fuori dello Stato, il popolo è solo una massa informe.
La sovranità dello Stato, per Hegel, risiede nello Stato stesso, in quanto ha in sé la propria ragion d’essere e il proprio
scopo: lo Stato è fondato solo sull’idea di Stato, inteso nel suo bene universale. Vi è, quindi, una concezione
organicistica dello Stato, secondo è lo Stato stesso a fondare gli individui.
Di conseguenza, Hegel rifiuta il modello contrattualistico, che farebbe dipende lo Stato da un contratto nato dalla
volontà degli individui.
Hegel critica il giusnaturalismo in quanto esso pone l’esistenza di diritti naturali che vanno oltre lo Stato, cosa che per
Hegel è inconcepibile in quanto ogni diritto esiste solamente in relazione all’esistenza della società; ma condivide con
esso la tendenza a fare dello Stato il punto culminante del processo storico, e la tesi della supremazia della legge.
Lo Stato di Hegel, tuttavia, non è uno Stato dispotico, in quanto egli è dell’idea che lo Stato debba operare solo
attraverso le leggi e a governare non devono essere gli uomini.
Hegel sostiene che la costituzione, ovvero l’organizzazione dello stato, sia qualcosa che sgorga necessariamente dalla
vita collettiva e storica di un popolo. Per questo non si può imporre una costituzione a priori, come fece Napoleone
con gli spagnoli.
Hegel identifica la costituzione razionale come un organismo politico che prevede la suddivisione di tre poteri distinti,
ma non divisi: potere legislativo, potere governativo e potere principesco (quello giudiziario fa parte della società
civile).
Il potere legislativo consiste nel potere di determinare e stabilire l’universale e concernere le leggi come tali (se ne
occupa un’assemblea delle rappresentanze di classi, divisa in Camera alta e Camera bassa).
Pur insistendo sull’importanza mediatrice dei ceti, Hegel ritiene che il loro agire politico sia influenzato dalla volontà di
far valere gli interessi privati a spese dell’interesse generale.
Il potere governativo si occupa di tradurre ai casi specifici l’universalità delle leggi, di ciò si occupano i funzionari dello
Stato.
Il potere del principe rappresenta l’incarnazione stessa dell’unità dello Stato, ovvero il momento in cui la sovranità di
esso si concretizza in un reale individuo a cui spettano le decisioni degli affari della collettività.
Il pensiero politico hegeliano mette a capo un’esplicita divinizzazione dello Stato. Dio non si Identifica con lo Stato, ma
con lo spirito assoluto, che attraverso la religione e l’arte culmina nella filosofia. Lo Stato rappresenta l’entrata
concreta e visibile di Dio nel mondo.
Lo Stato non può trovare un limite nella sua azione nelle leggi della morale: il benessere di uno Stato non può
dipendere dai principi morali.
Hegel dichiara che non esiste un organismo superiore in grado di regolare i rapporti inter-statali e di risolvere i loro
conflitti. Il giudice è lo spirito universale, cioè la storia che ha come suo momento struttura la guerra. Per
Hegel, la guerra è necessaria, inevitabile e possiede un alto valore morale, in quanto la guerra preserva i popoli dalla
fossilizzazione che li ridurrebbe a una pace durevole o perpetua.
La storia può apparire come insieme di fatti inutili e mutevoli agli occhi di un individuo che misura la storia in base ai
suoi personali ideali, senza elevarsi al punto di vista della ragione assoluta.
Il contenuto della storia del mondo è razionale. La stessa fede religiosa nella provvidenza, ovvero nel governo divino
del mondo, implica la razionalità del mondo. Questa fede generica deve essere portata alla forma di un sapere che sia
grado di determinare il fine, i mezzi e i modi della razionalità umana.
Il fine della storia del mondo è che lo spirito giunga al sapere di ciò che è veramente, realizzandolo facendone un
mondo esistente. Questo spirito è lo spirito del mondo che s’incarna negli spiriti dei popoli che si succedono
all’avanguardia della storia. I mezzi della storia del mondo sono gli individui con le loro passioni. Hegel non esclude
l’importanza delle passioni, ma sostiene che l’azione dell’individuo sarà tanto più efficace quanto più sarà conforme
allo spirito del popolo a cui l’individuo appartiene.
La tradizione è conservazione che trova i propri strumenti negli individui conservatori, ma è anche progresso che trova
i propri strumenti negli eroi della storia del mondo. Per Hegel questi eroi del mondo sono veggenti a cui tutti devono
obbedire, in quanto esprimono ciò di cui è giunta l’ora.
Gli eroi del mondo sono mossi dalla loro ambizione e dalle loro passioni, ma in realtà Hegel assume l’esistenza di
un’astuzia della ragione (come se ci fosse un burattinaio che permette lo svolgimento del processo necessario che è la
storia del mondo), che si serve degli individui e delle loro passioni come dei mezzi. Tutto ciò che accade è perché non
può non accadere e non può accadere altrimenti, fa parte, quindi, di un disegno che è il percorso dell’idea. Gli eroi
sono, quindi, gli strumenti di cui si serve la razionalità.
Quella di Hegel è una visione positivistica in quanto anche gli eventi negativi fanno parte di un processo generale
positivo, positivizzandosi a loro volta. La filosofia della storia studia proprio gli eventi della storia che si ripetono nel
tempo e ripetono le loro combinazioni.
Il fine ultimo della storia del mondo è la realizzazione della libertà dello spirito, che si realizza nello Stato, ovvero il fine
supremo. La storia del mondo è una successione di forme statati che si dividono in tre momenti: il mondo orientale (in
cui uno solo è libero), il mondo greco-romano (alcuni sono liberi) e il mondo germanico (tutti gli uomini sanno di
essere liberi). Questa libertà, per Hegel, era possibile solo in uno Stato etico, in quanto ad esempio, in uno Stato
liberale il singolo pretendeva di far valere il suo arbitrio (dove c’è l’arbitrio del singolo non vi è libertà).
LO SPIRITO ASSOLUTO
Lo spirito assoluto è il momento in cui l’idea giunge alla piena coscienza della propria infinità o assolutezza. La
coscienza di assolutezza dell’Assoluto è il risultato di un processo dialettico diviso in:
Queste attività si differenziano per la forma del loro stesso contenuto, ovvero Dio o l’Assoluto.
ARTE
L’arte è il primo passo attraverso cui lo spirito assume coscienza di se stesso, in quanto l’uomo assume la
consapevolezza di sé o di situazioni intorno a lui tramite le forme sensibili dell’arte stessa.
Nell’arte avviene lo spirito l’immediata fusione tra soggetto e oggetto, tra spirito e natura, poiché nell’esperienza del
bello artistico spirito e natura vengono percepiti come un tutt’uno (esempio della statua di marmo (oggetto) già
natura spiritualizzata, il cui soggetto è spirito naturalizzato). Hegel dialettizza la storia dell’arte in tre momenti:
o Arte simbolica;
o Arte classica;
o Arte romantica;
L’arte simbolica, ovvero l’arte primitiva, è caratterizzata da uno squilibrio tra contenuto e forma, che sono entrambi
poveri e incapaci di esprimere il messaggio simbolico (l’Assoluto), per questo si trova ad utilizzare come mezzo di
espressione il simbolo e la tendenza al bizzarro.
L’arte classica è caratterizzata da un equilibrio predetto tra forma e contenuto, attuato mediante la figura umana:
l’arte classica rappresenta la perfezione artistica, grazie soprattutto alla sua ricchezza di contenuto e alla
rappresentazione della forma perfetta.
L’arte romantica è la fase della morte dell’arte, in cui si torna a uno squilibrio tra forma e contenuto, questo perché lo
spirito acquisisce coscienza della sua ricchezza che non può trova la giusta forma rappresentativa.
La forma tipica dell’arte simbolica è l’architettura; la forma di quella classica è la scultura perché in grado di
rappresentare al meglio l’armonia delle forme e l’equilibrio tra contenuto e forma; le forme dell’arte romantica sono
la pittura, la poesia e la musica, che permettono la liberazione dall’elemento spaziale della forma in virtù della
ricchezza del contenuto.
Si parla, quindi, di una crisi moderna dell’arte, intesa come l’inadeguatezza dell’arte di esprimere la profondità
spirituale moderna.
LA RELIGIONE
La religione è la seconda forma dello spirito assoluto, in cui l’Assoluto si trova nella forma della rappresentazione a
metà strada tra l’intuizione sensibile dell’arte e il concetto razionale della filosofia. La religione si presenta come un
pensiero affetto da un elemento sensibile. Diversamente dal pensiero, la rappresentazione procede in modo a-
dialettico, la religione è incapace di cogliere il concetto come puramente logico e atemporale.
La teologia è il pensiero di Dio, ma la religione si arena di fronte al mistero dell’Assoluto, in quanto Dio si pone come
se fosse una cosa separata dal mondo e dall’uomo. Nella religione, infatti, l’Assoluto è presentato in forma storica,
ovvero come un evento la cui verità è accettata a seguito di una rivelazione; mentre la filosofia descrive la storia come
concetto eterno e necessario.
Hegel distingue la filosofia della religione dalla religione stessa: la prima deve riconoscere la religione che già c’è.
L’oggetto della religione è Dio, mentre il suo soggetto è la coscienza umana che deve essere indirizzata a Dio e
riempita da Lui.
La religione contiene anche il rapporto tra Dio e la coscienza: la prima forma di questo rapporto è data dal sentimento,
il quale fornisce la certezza dell’esistenza di Dio, ma senza giustificarla. L’intuizione di Dio si ha nell’arte e nella
rappresentazione.
Lo sviluppo della religione è lo sviluppo dell’idea di Dio nella coscienza umana e si divide in quattro stadi:
o La religione naturale, in cui Dio appare ancora come sepolto nella natura;
o Le religioni naturali trapassano in religioni della libertà;
o Le religioni dell’individualità spirituale, in cui Dio appare in forma spirituale;
o La religione assoluta, in cui Dio si rivela puro spirito infinito (cristianesimo).
Anche il cristianesimo, come ogni religione, presenta dei limiti, per questo alla religione si affianca la filosofia che
intende Dio nella sua forma di concetto.
Hegel vuole “com-prendere”, ovvero risolvere, la religione senza residui all’interno della filosofia. Per Hegel, la
religione è una forma necessaria, in quanto permette agli uomini di entrare in rapporto con la verità, arrivando a
capire che tutto è spirito e che la realtà è razionale (funzione educativa della religione).
La filosofia ha come contenuto l’Assoluto e, come la religione, è pensiero di Dio, ma con la differenza che la filosofia
esprime la ragione di Dio, ovvero la comprensione che Dio o l’Assoluto ha di se stesso, l’autocoscienza di Dio che si
svela a se stesso.
La filosofia, per Hegel, è una formazione storica, ovvero la filosofia è l’intera storia della filosofia giunta a compimento,
la quale permette di concepire e teorizzare lo spirito assoluto in quanto concetto. Hegel riconosce l’inizio della storia
della filosofia nella filosofia greca, ne riconosce l’ultima espressione nel suo stesso pensiero.
SCHOPENHAUER
Schopenhauer si pone come punto di incontro tra diverse filosofie eterogenee:
o Da Platone riprende la spiegazione della realtà divisa in mondo delle idee (della realtà) e mondo sensibile
delle imperfezioni (le copie delle idee);
o Da Kant riprende il dualismo di fenomeno -la realtà come appare e come si presenta ai nostri sensi- e
noumeno -la cosa in sé, la realtà vera. Anche Schopenhauer basa la sua filosofia su un dualismo, il quale
consiste nella rappresentazione e nella volontà di vivere - scrive il mondo come volontà e rappresentazione;
o Dell’Illuminismo riprende il filone materialistico e quello ideologico. Riprende anche la visione razionale,
lucida e realistica, cercando di affrontare la realtà per come è veramente (senza miti o false credenza, ma
solo attraverso la ragione - ripreso principalmente da Voltaire);
o Dal Romanticismo riprende l’irrazionalismo, l’importanza dell’arte e della musica, il tema dell’infinito e il
tema del dolore, tutto ciò in una visione pessimistica della realtà (cerca di vedere la realtà così com’è, ma
non è consapevole che ci sono delle illusioni che ci ingannano);
o Schopenhauer critica e insulta l’idealismo, definendolo come filosofia delle università in quanto è al servizio
di interessi volgari come il successo e il potere, Schopenhauer cerca la libertà della filosofia e si indigna fi
fronte la divinizzazione dello Stato da parte di Hegel;
o Inoltre, Schopenhauer si interessa del pensiero orientale, cercando di recuperarne alcuni motivi filosofici e
usandone il repertorio di immagini ed espressioni suggestive.
IL VELO DI MAYA
Il punto di partenza della filosofia di Schopenhauer è proprio la distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno, ovvero
tra la cosa così come appare (unica realtà accessibile alla mente umana) e la cosa in sé che non possiamo conoscere a
fondo (limiti della conoscenza). Per Schopenhauer, il fenomeno è parvenza, illusione e sogno (il cosiddetto velo di
Maya - che fa vedere e non vedere, possiamo percepire la realtà solo in parte), mentre il noumeno è la realtà che si
nasconde dietro l’ingannevole trama del fenomeno e che il filosofo ha il compito di scoprire.
Se per il criticismo il fenomeno è l’oggetto della rappresentazione che esiste anche fuori dalla conoscenza, per
Schopenhauer, il fenomeno è la rappresentazione soggettiva che esiste solo dentro la coscienza. La rappresentazione
ha due aspetti essenziali e inseparabili: il soggetto rappresentante è l’oggetto rappresentato (per Kant era soggetto
pensante -l’io penso- e oggetto pensato); intesi come due facce della stessa medaglia che è la rappresentazione e non
possono sussistere indipendentemente dall’altro (materialismo falso perché nega il soggetti riducendolo all’oggetto,
l’idealismo è falso perché nega l’oggetto riducendolo al soggetto).
Da Kant riprende anche il concetto delle forme a priori, ma Schopenhauer ne ammette solo tre: spazio, tempo e
causalità. Quest’ultima è l’unica categoria, la quale assume direbbe diverse in base agli ambiti in cui opera (principio
del divenire, del conoscere, dell’essere e dell’agire).
Schopenhauer paragona le forme a priori a vetri sfaccettati, attraverso cui la visione delle cose si deforma, traendo la
conclusione che la vita è un sogno, ovvero un tessuto di apparenze (Platone, Sofocle, Shakespeare). Al di là del sogno
esiste la realtà, riguardo cui l’uomo è portato ad interrogarsi sull’essenza ultima della vita.
TUTTO È VOLONTÀ
Lo squarcio del velo di Maya è possibile in quanto noi non siamo solo rappresentazione, bensì esistiamo anche come
corpo, ci viviamo e sentiamo anche dal di dentro (ciò vuol dire squarciare il velo di Maya) e non ci vediamo solo dal di
fuori, ciò non significa conoscersi totalmente, ma ci sono dei momenti in cui la volontà di vivere si esprime per quello
che è; possiamo così introdurci nella cosa in sé. La volontà di vivere è definita come una forza incessante senza causa o
scopo, inconscia, eterna (espressa anche nei fenomeni naturali); è, quindi, un principio di auto conservazione e ci
porta a difenderci, come gli animali selvatici o randagi, le piante che crescono. La cosa in sé del nostro essere è quindi
la volontà di vivere: noi non siamo solo intelletto e conoscenza, ma vita e volontà di vivere, il nostro corpo è la
manifestazione esteriore dell’insieme delle nostre volontà.
La volontà di vivere è, quindi, anche l’essenza segreta di tutte le cose: la cosa in sé dell’universo, ciò che corrisponde al
noumeno kantiano.
Si parla di volontà di vivere come essenza del mondo in quanto, quando viene vissuto il corpo dal di dentro vengono
eliminati i concetti di spazio, tempo e causalità del mondo fenomenico della rappresentazione. Infatti si tratta di
un’essenza noumenica, che non può essere riferita solo al mio corpo, ma a tutta l’essenza profonda dell’intera realtà.
La volontà di vivere presenta caratteri contrapposti a quelli del mondo della rappresentazione:
• È inconscia, in quanto non è volontà cosciente, ma impulso o energia (infatti era attribuita anche alla materia
organica e ai vegetali);
• È unica, poiché esiste al di fuori dello spazio e del tempo, e al di là del principio di individuazione;
Miliardi di esseri non vivono se non per continuare a vivere; gli uomini hanno da sempre cercato di smascherare
questa crudele evidenza postulando l’esistenza di un Dio per trovare un senso alle loro azioni. Ma nella filosofia dì
Schopenhauer non può esistere Dio, perché l’unico assoluto è la volontà stessa (unica, eterna e incausata erano i
caratteri da sempre attribuiti a Dio).
Schopenhauer sostiene che l’unica e infinita volontà di vivere su manifesti nel mondo fenomenico attraverso due fasi
(gradi di oggettivazione della realtà):
o la volontà si oggettiva i n un sistema di forme immutabili, a-spaziali e a-temporali, chiamate idee, ovvero gli
archetipi del mondo;
o la volontà si oggettiva nei vari individui del mondi naturale, nient’altro che la moltiplicazione delle idee; tra gli
individui e le idee sussiste un rapporto di copia-modello, per cui i singoli esseri risultano semplici riproduzioni
dell’unico prototipo originario che è l’idea.
Il mondo delle realtà naturali si divide in una serie di gradi in ordine ascendente: il grado più basso dell’oggettivazione
della volontà è caratterizzato dalle forze generali della natura, i gradi superiori dalle piante e dagli animali. Questa
piramide cosmica culmina nell’uomo, l’unico essere in cui la volontà è pienamente consapevole, ma perde sicurezza e
la ragione diviene meno efficace dell’istinto.
IL PESSIMISMO
L’essere è manifestazione di una volontà infinita, quindi la vita è dolore per essenza: volere significa desiderare,
ovvero trovare in uno stato di tensione per la mancanza di qualcosa che si vorrebbe avere. Il desiderio è, quindi,
assenza, ossia dolore. Nell’uomo la volontà è più cosciente che negli altri esseri viventi, l’uomo risulta il più bisognoso
e mancante, destinano a non trovare mai un appagamento definitivo. La volontà di vivere ci fa desiderare
continuamente, è una forza incessante che non si accontenta e cerca di andare oltre, facendoci essere sempre
desiderosi di qualcosa, di tutto.
Ciò che è il godimento fisico o la gioia psichica non è altro che una cessazione momentanea del dolore, lo scaricarsi di
una tensione preesistente: il piacere esiste solo in funzione di uno stato precedente di tensione o di dolore. Secondo
Schopenhauer, quando viene meno il desiderio, subentra la noia. Per Schopenhauer, la vita umana è come un pendolo
che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando per il fugace e illusorio intervallo del piacere e della gioia.
[Maturazione contemporanea di un pensiero similare con Leopardi: la differenza tra i due è che in Schopenhauer la
radice del pessimismo è una radice filosofica che deriva dalla consapevolezza dell’esistenza della volontà di vivere che
ci porta ad essere insoddisfatti perennemente, mentre in Leopardi vi è solo la considerazione di quella che è la vita in
generale.
LA SOFFERENZA UNIVERSALE
La volontà di vivere si manifesta in tutte le cose sotto forma di una vera e propria Sehnsucht (=desiderio inappagato), il
dolore non riguarda solo l’uomo, ma ogni creatura. Tutto soffre: il fiore che appassisce per la mancanza di acqua,
l’animale capito, il bimbo che nasce, l’anziano che muore.
L’uomo soffre più degli altri esseri viventi perché egli ha più consapevolezza e sente maggiormente la spinta della
volontà e l’insoddisfazione dei propri desideri e il peso dei dolori. Il genio proverà ancora più sofferenza a causa della
sua più elevata intelligenza.
Il filosofo parla quindi della forma di pessimismo storico, per cui il male non è solo nel mondo, ma nel principio stesso
da cui esso dipende.
ILLUSIONE DELL’AMORE
Alla natura interessa solo la sopravvivenza della specie e la sua continuità. L’amore è un fenomeno che il filosofo deve
studiare in quanto è uno dei più forti stimoli dell’esistenza. Ma l’amore non è altro che il mascheramento della
perpretuazione della vita e il suo scopo non è altro che l’accoppiamento (per questo l’atto sessuale è accompagnato
dal piacere). Ma quando l’individuo crede di realizzare il proprio godimento, in realtà diventa lo zimbello della natura:
come il caso della mantide femmina che divora il maschio dopo l’unione sessuale, o come la donna che dopo aver
procreato perde la bellezza e attrazione.
Se quindi l’amore è solo uno strumento per la continuità della specie, allora non vi è amore senza sessualità. Come
anche Petrarca: se fosse stato appagato il suo desiderio, il suo canto non sarebbe stato ciò che è oggi.
Secondo Schopenhauer l’uomo tenta di mascherare la componente sessuale all’interno dell’amore (quest’ultimo è
definito come pura illusione che ha creato l’uomo). Sembra quasi che Schopenhauer voglia distruggere il sentimento;
egli è anche misogino, rifiuta e critica in modo molto forte la donna, definita come strumento della volontà di vivere.
Schopenhauer mette a nudo la falsità di ogni dorma di ottimismo: smentisce la filosofia accademica di Stato, i filosofi
paganti per filosofare (devono seguire per forza il pensiero di chi li paga), gli intellettuali inseriti e le loro ambizioni di
denaro, potere e gloria, le ipocrisie sull’amore, i luoghi comuni della felicità.
Schopenhauer critica l’ottimismo cosmico, ovvero quello che interpretava il mondo come un organismo perfetto, in cui
l’universo e la natura erano creati da qualcuno per il benessere di tutti (Dio o una Ragione immanente). Pur essendo
una visione rasserenante a misura della felicità dell’uomo, dove tutto funziona perfettamente, risulta palesemente
falsa in quanto la vita è un’esplosione di forze irrazionali e il mondo è il teatro dell’illogicità e della sopraffazione (nella
natura vige la legge della giungla). [Ad esempio, la descrizione di Leopardi del giardino, descritto come bellissimo,
perfetto, profumatissimo, ma se osserviamo bene vediamo tutti i lati negativi, come foglie secche e mangiate, insetti,
fiori appassiti; tutto ciò per far comprendere i limiti della natura, la quale sembra fatta apposta per noi ma non è così.]
In questo modo Schopenhauer contesta le religioni, prevenendo un ateismo filosofico che verrà ripreso da Nietzsche.
Schopenhauer si scaglia anche contro le tesi della bontà e della socievolezza dell’uomo; si deve ammettere, infatti, che
al regola dei rapporti umani si basa sostanzialmente sul conflitto e sul tentativo di sopraffazione reciproca. Di
conseguenza se gli uomini vivono insieme non è per socievolezza, ma per bisogno. Si tratta di pessimismo
antropologico e sociale.
Un altro punto importante è la polemica contro ogni forma di storicismo. [Ottimismo storico=gli eventi della storia
seguono un preciso ordine con una propria finalità, come se fosse un ordine provvidenziale, come nella filosofia di
Hegel che vede la storia mossa dall’astuzia della ragione e i personaggi come burattini.] Schopenhauer ridimensiona la
portata conoscitiva della storia, la quale non è una vera e propria scienza considerando che è costretta a procedere
con la catalogazione dell’individuale. A furia di studiare gli uomini, ci si illude che se essi cambino, ma la realtà dei fatti
è che il destino dell’uomo presenta dei caratteri immutabili. L’unico modo di studiare la storia è evidenziare la
costante uniformità e ripetitività della storia, in cui non muta mai l’essenza delle cose ma solo la facciata superficiale.
Bisogna passare quindi dalla storia alla filosofia della storia. Se, allora, la storia è soltanto la ripetizione dello stesso
dramma, allora il vero compito di essa è quello di offrire all’uomo la coscienza di sé e del proprio destino.
Per Schopenhauer la vita è sostanzialmente dolore, ma afferma che l’esistenza in virtù di esso è una cosa che si impara
poco per volta a non volerla. Il filosofo rifiuta e condanna il suicidio per due motivi: il suicidio risulta essere un atto di
forte affermazione della stessa volontà, in quanto colui che si suicida vuole vivere ed è solo scontento delle condizioni
che gli sono capitate; non risulta quindi la negazione della volontà, bensì la negazione della vita stessa (atto di volontà
per dimostrare ciò che sono in grado di fare). il suicidio sopprime solo una manifestazione fenomenica della volontà di
vivere, mentre lascia intatta la cosa in sé che muore in un individuo e rinasce in mille altri.
Per Schopenhauer la vera risposta al dolore del mondo consiste nella liberazione della stessa volontà di vivere. Per
spiegare questo passaggio (perché la volontà di vivere sarebbe l’essenza stessa dell’uomo), si rifa ad individui
eccezionali, i quali hanno intrapreso il cammino della liberazione dalla volontà di vivere e dalla tirannia: nel momento
in cui perviene alla coscienza di sé, la voluntas tende a farsi noluntas (=negazione progressiva di se medesima).
Le tre vie per superare la condizione di dolore derivante dalla volontà di vivere sono: arte, morale e ascesi.
L’ARTE
L’arte è definita come conoscenza libera e disinteressata, rivolta alle idee, il cui soggetto che contempla le idee è il
puro soggetti del conoscere, l’occhio del mondo. L’arte è in grado di liberare l’uomo dalla catena infinita di bisogni e
desideri quotidiani: l’arte è catartica per essenza, grazie ad essa l’uomo si eleva al di sopra della volontà, del dolore e
del tempo solo attraverso la contemplazione.
Tra le arti principali vi sono la tragedia (auto rappresentazione del dramma della vita) e la musica (immediata
rivelazione della volontà a se stessa).
Ogni tipo di arte risulta liberatrice, come cessazione del bisogno. Ma essa è, in realtà, un gioco effimero, un breve
incantesimo che costituisce conforto alla vita.
La morale indica un impegno nel mondo a favore del prossimo, superando la lotta incessante degli individui tra loro.
• l’azione morale (giustizia), un primo freno all’egoismo e consiste nel non fare il male e nell’essere disposti a
riconoscere agli altri ciò che siamo pronti a riconoscere a noi stessi (accordo che permette di vivere meglio e superare
la condizione di dolore);
• l’amore caritatevole (agape) si identifica con la volontà positiva e attiva di fare del bene al prossimo, come quasi un
amore verso il prossimo; si parla di agape, ovvero di un amore disinteressato e autentico. La pietà, quindi, consiste nel
far propria la sofferenza di tutti gli esseri passati e presenti e nell’assumere su di sé il
dolore cosmico.
L’ASCESI
La liberazione totale dai desideri, che trasforma la voluntas in noluntas (estirpando il proprio desiderio di esistere, di
godere e di volere), si raggiunge con l’ascesi. Il primo gradino dell’ascesi è rappresentato dalla castità perfetta, ovvero
la rinuncia alla perpretuazione della specie (rinuncia ai piaceri, umiltà, digiuno, povertà, sacrificio, automacerazione).
Nel cristianesimo, l’ascesi si conclude con l’estasi (unione con Dio); nel misticismo ateo di Schopenhauer il cammino
verso la salvezza si conclude nel nirvana buddista, una condizione del nulla e di negazione del mondo di illusioni; il
nirvana è una condizione totale in cui non si soffre perché non si desidera.
Ma questa teoria dell’ascesi è la parte più contraddittoria del sistema di Schopenhauer; questo perché egli aveva
ammesso dapprima che l’uomo non può sfuggire alla volontà di vivere in quanto essenza stessa del mondo e forza
eterna e indistruttibile che non possiamo gestire. Sarà, allora, impossibile gestirla con le vie di liberazione dal dolore,
per questo le possibilità offerte da Schopenhauer non sono totali.
KIERKEGAARD
Kierkegaard fu poco compreso nella sua epoca, ma fu rivalutato nella filosofia dell’esistenzialismo (‘900): la sua
filosofia è, infatti, incentrata sul tema dell’esistenza. Il suo valore non venne riconosciuto da subito perché il pensiero
in quegli anni era ancora attaccato all’idealismo e tutto ciò che riguardava l’esistenza non importava.
I temi che tratta Kierkegaard sono riconducibili alla filosofia di Pascal, il quale non ammetteva l’esistenza di un uomo
che fosse disinteressato al tema esistenziale; entrambi i filosofi ricorrono alla soluzione religiosa e della fede come
soluzione dei problemi dell’uomo. Tutti i temi di cui si occupa Kierkegaard sono legati alle sue esperienze di vita
vissute in prima persona: nella sua filosofia ci sono concetti filosofici che hanno un fondamento dell’esperienza di vita
tormentata dell’autore (il tema esistenziale gli stava a cuore perché era il tema della sua vita). Il tema esistenziale
pone al suo centro l’uomo nella sua esistenza personale e nella sua singolarità con tutte le problematiche (possibile,
angoscia, che deriva dal rapporto tra individuo e mondo, scelte…).
Questi incidenti esteriori della vita di Kierkegaard sono poco numerosi e apparentemente insignificanti (la storia
d’amore con Regina Olsen che fu lui stesso a chiudere, l’attacco di un giornale satirico, la polemica contro l’ambiente
religioso di Copenaghen), ma questi episodi ebbero un grande valore nell’interiorità del filosofo. Kierkegaard parla di
un “gran terremoto” prodottosi nella sua esistenza che lo costringe a cambiare atteggiamento verso il mondo, ma
senza mai accennare o andare nel profondo delle cause. Kierkegaard fa riferimento a una “scheggia nelle carni” (che
potrebbe essere un singolo episodio oppure una condizione di malessere diffuso) che lo impedisce a mandare avanti il
fidanzamento e gli provoca un senso di minaccia paralizzante ma inafferrabile.
Molti dei temi di Kierkegaard sono legati alla critica all’idealismo e si trovano in antitesi con i temi dello stesso:
l’esistenza concreta contro la ragione astratta, la libertà come possibilità e non come necessità.
Il tema principale di Kierkegaard è quello della possibilità. Già Kant aveva considerato questo tema, ma nel suo aspetto
positivo di capacità, seppur limitata, dell’uomo; Kierkegaard, invece, mette il luce il carattere negativo di ogni possibile
che entra a costruire l'esistenza umana. Quindi, qualunque possibilità implica anche la minaccia del nulla, in quanto il
possibile corrisponde a ciò che è ma che potrebbe anche non essere (lo ritroviamo in un’ottica aristotelica come ciò
che è ma che potrebbe essere anche diversamente; contrariamente al necessario, ovvero ciò che è e che non
potrebbe essere diversamente).
Per Kierkegaard il potrebbe essere diversamente implica una condizione di disagio e angoscia, perché dà un senso di
precarietà, in quanto io non so cosa potrebbe essere e non ho sicurezze, ma c’è solo l’ignoto. Quindi, il poter essere
diversamente indica un pericolo e un futuro di insicurezze (le nostre scelte fatte nel presente potrebbero determinare
delle conseguenze in futuro). Questa possibilità del negativo e che possa andare male è esasperata e va ad offuscare la
parte positiva: se inizio a pensare che possa andare male, il tema della possibilità diventa paralizzante in quanto temo
la scelta.
La scelta prefigura quello che accadrà in futuro. Il possibile, infatti, riguarda sia il futuro che il passato. Molto spesso
rimuginiamo sulle scelte fatte nel passato (“se io avessi fatto un’altra scelta, magari la mia vita sarebbe stata diversa”)
anche se non possiamo cambiare ciò che è accaduto: il rimuginare continuo crea una condizione di angoscia.
Il tema del possibile rischia di diventare qualcosa che blocca le nostre scelte per il futuro perché la preoccupazione
diventa paralizzante (ad esempio relazioni passate che sono andate male). Percepiamo nelle scelte per il futuro un
senso di incertezza e precarietà (mentre del passato sappiamo come sono andate la cose con chiarezza), non si sa cosa
potrebbe succedere e quindi iniziano a sorgere moltissimi dubbi: farò la scelta giusta? Mi sto comportando
correttamente?
Tutti i tratti salienti della vita di Kierkegaard sono rivestiti da un'oscurità problematica, che finisce per paralizzarlo. Egli
incarna, quindi, la figura del discepolo dell'angoscia, che sente di gravare su di sé le possibilità annientatrice e terribili
che ogni alternativa esistenziale prospetta, come se lui fosse una sorta di cavia dell’esistenza. Il “punto zero” è
l'indecisione permanente, l'equilibrio instabile tra le opposte alternative di fronte a qualsiasi possibilità. La scheggia
nelle carni è, quindi, l'impossibilità di ridurre la propria vita a un compito preciso, di riconoscersi e attuarsi in una
possibilità unica. La personalità di Kierkegaard si basa, quindi, sulla condizione di indecisione e di instabilità.
LA FEDE
Un elemento importante del pensiero di Kierkegaard è il tema della fede e del cristianesimo in particolare, in cui egli
vede un’ancora di salvezza in quanto sembra che in questo egli veda l’unica e vera dottrina dell’esistenza che sia anche
in grado di sottrarre l’uomo all’angoscia e alla disperazione.
LA CRITICA ALL’HEGELISMO
Di fronte alla Ragione hegeliana che oscura gli individui concreti, Kierkegaard basa la sua filosofia esistenziale
sull’istanza del singolo, nella sua esistenza personale e singolarità con tutte le problematiche.
Contro la filosofia hegeliana (e tutte quelle oggettive), Kierkegaard afferma che la verità è tale solo quando è verità per
me.
L’idealismo hegeliano abolisce l’individuo perché lo priva della capacità di pensare, sostenendo che è il pensiero a
pensare se stesso tramite l’individuo; questo per Kierkegaard è impossibile e lo considera come errore logico di
posizione anti-cristiana e anti-umana.
Inoltre, per Kierkegaard la storia non va intesa come il mezzo per l’attuazione dell’assoluto, bensì va intesa come una
cosa in cui il soggetto si inserisce e in cui operano caso, problematicità e rischio della scelta.
La dialettica di Kierkegaard non si sviluppa in un vuoto gioco del pensiero, ma dalla tragica concretezza della vita e di
un aut-aut (dilemma da cui non si può sfuggire.
Nella vita, l’uomo segue generalmente tre fasi, che possono essere o meno sequenziali (ma non sempre ogni essere
umano le attraversa tutte e tre). Ogni stadio forma un vita a sé.
In Aut-aut Kierkegaard considera i due stadi fondamentali dell’esistenza: la vita estetica e la vita morale, in quali non
sono conciliati, ma tra di essi vi è un salto.
Lo stadio estetico è la forma dell’esteta che vive nell’attimo fuggevole e irripetibile, che vive le situazioni come fossero
frutto della sua immaginazione poetica ed è sempre in cerca di ciò di più interessante offerto dall’esistenza,
escludendo ciò che è banale, insignificante e meschino. Si rifà alla figura di Johannes, che non va alla ricerca sfrenata e
indiscriminata del piacere, ma dalla scelta dei pensieri più intensi e appaganti. Ma la vita estetica è destinata a finire
nella noia e nella disperazione, che è sintomo dell’ansia di una vita alternativa differente. L’esempio è il don Giovanni,
il seduttore, in cerca continua di esperienze sentimentali: si invaghisce, fa esperienza e poi si stanca in quanto
incapace di trovare in una donna quell’infinità di piacere e di realizzazione che sta cercando (atteggiamento tipico
della gioventù).
Si lascia andare alla disperazione e per rompere l’involucro dell’esteticità, si riaggancia con un salto alla vita etica,
scegliendo la disperazione.
Con la scelta della disperazione nasce, dunque, la vita etica, che implica una stabilità e una continuità che prima non
trovavamo. In questo stadio l’uomo rinuncia ad essere l’eccezione. La figura di questo stadio è quella del marito, che
fa la scelta delle scelte, ovvero prende una responsabilità di sé e di una futura prole. La persona etica, inoltre, vive del
proprio lavoro con piacere in quanto lavora in relazione con altri uomini. La caratteristica della vita etica è la scelta
assoluto che l’uomo fa di se stesso, l’uomo sceglie di essere libero, sceglie di scegliere. Data questa scelta l’individuo
non può rinunciare né alla propria storia, ma nemmeno agli aspetti dolorosi e crudeli di
questa. Il pentimento costituisce l’ultima parola della vita etica. La scelta assoluta è, dunque, pentimento,
VITA RELIGIOSA
Tra lo stadio etico e lo stadio religioso ci è un abisso profondo, che viene chiarito in Timore e Tremore, in cui raffigura
la vita religiosa rifacendosi al personaggio biblico di Abramo, che riceve da Dio l’ordina di uccidere il figlio Isacco. Egli
accetta per la fede in Dio, andando contro la legge morale e rompendo il legame con gli altri uomini, ma viene
bloccato dalla mano di Dio come se fosse stato messo alla prova. L’uomo di fede sceglie di seguire i comandi divini
anche a costo di infrangere la legge morale.
La fede non è un principio generale, ma un rapporto privato tra l’uomo e Dio, un rapporto assoluto con l’assoluto. Essa
è il dominio della solitudine, un luogo in cui non si entra in compagnia. La fede è una certezza angosciosa, in quanto ha
carattere incerto e rischioso.
Nella fede vi è una contraddizione ineliminabile, la fede è paradosso e scandalo: Cristo si deve riconoscere come Dio
mentre soffre e muore come un uomo. L’uomo, allo stesso modo, può scegliere di credere o non credere. Secondo
Kierkegaard il salto nel buio verso la religione è irrazionale (esempio un gesto omicida è al di fuori della razionalità,
come una mamma che uccide il proprio bambino: la prima giustificazione che diamo è dire che è matta; così come la
fede ci spinge ad affidarci completamente alla volontà di Dio, anche se è inconcepibile dall’essere umano, ma vi è una
grande fiducia nella volontà di Dio ed entrando in questa ottica possiamo risolvere il problema esistenziale entrando in
qualcosa più grande di noi.
Quindi, la fede è qualcosa di scandaloso e paradossale, ma è l’unica soluzione per il problema esistenziale dell’uomo,
che gli faccia superare angoscia e disperazione. Si tratta di un’esperienza spirituale forte, non vi è (come
nell’idealismo) una gradualità, inoltre, è qualcosa di incomprensibile con la razionalità.
La presenza di Dio è per Hegel il risultato di uno svelamento del divino nella realtà (teofania); per Kierkegaard è una
presenza forte e destabilizzante.
La polemica contro il cristianesimo danese intrapresa anche dallo stesso Kierkegaard dimostra come nel cristianesimo
egli difendesse il significato dell’esistenza, incluso in tutti gli stadi dell’esistenza.
ANGOSCIA
Kierkegaard nelle sue opere fondamentali, Il concetto dell’angoscia e La malattia mortale, analizza la radicale
incertezza, instabilità e dubbio in cui l’uomo si trova: nel primo tratta del rapporto dell’uomo con il mondo, nel
secondo dell’uomo con se stesso. L’angoscia è la condizione generata nell’uomo dal possibile ed è connessa con il
peccato; essa non si riferisce a nulla di preciso, bensì al puro sentimento della possibilità.
Il passato genera angoscia solo in caso si possa ripresentare come possibile futuro, come possibilità di ripetizioni
(altrimenti sarebbe pentimento). L’angoscia è la più gravosa e la più necessaria tra le categorie umane.
Il concetto di angoscia è collegato tramite il possibile con l’avvenire, ma è anche collegato al principio di infinità nel
possibile, espresso come “nel possibile, tutto è possibile”: ogni possibilità favorevole è spesso annientata dall’infinito
numero delle possibilità sfavorevoli. È proprio questa infinità delle possibilità a rendere l’angoscia insuperabile.
DISPERAZIONE E FEDE
Se l’angoscia è la condizione in cui il possibile pone l’uomo rispetto al mondo, la disperazione è la condizione in cui il
possibile pone l’uomo rispetto alla sua interiorità e al rapporto con se stesso. Le due sono strettamente collegate, ma
non identiche.
La disperazione è, quindi, collegata alla natura dell’io: come l’io può volere se stesso, così può non volerlo. In
entrambe le situazioni vi è una condizione di disperazione. Viene definita da Kierkegaard come malattia mortale, in
quanto consiste nel vivere la morte dell’io.
L’io è sintesi di necessità e libertà, quindi in esso la disperazione nasce o dalla mancanza di necessità o dalla mancanza
di libertà. La fede è l’unica via per eliminare la disperazione, in quanto l’uomo si consapevolizza di essere dipendente
da Dio. Ma per Kierkegaard la fede è un aiuto che non aiuta, in quanto non è un cammino che solleva l’uomo
dall’onere della scelta. La fede è, dunque, assurdità, paradosso e scandalo che porta l’uomo al di là della ragione. Tutte
le categorie del pensiero religioso sono impensabili (trascendenza di Dio, peccato nella natura, idea di Dio che si fa
carne e muore per l’uomo). Ma la fede è per Kierkegaard il capovolgimento paradossale dell’esistenza, appellandosi
alla stabilità del principio di ogni possibilità, ovvero a Dio.
Il rapporto tra uomo e Dio, infatti, si verifica nell’attimo inteso come inserzione della verità divina nella vita dell’uomo.
Anche in questo caso viene fuori il carattere scandaloso e paradossale del cristianesimo, perché se il rapporto tra
uomo e Dio avviene in un attimo, l’uomo per suo conto vive nella non verità.
Kierkegaard contrappone il cristianesimo al socratismo, secondo cui l’uomo vive nella verità e trarla fuori da se stesso;
mentre dal punto di vista cristiano, bisogna ricreare l’uomo e farlo rinascere per renderlo adatto a una verità che gli
proviene da fuori.
Kierkegaard definisce Dio come differenza assoluta, in quanto l’uomo non è Dio, è la non-verità ed è il peccato.
L’attimo è dunque l’inserzione incomprensibile dell’eternità nel tempo, in esso si realizza il paradosso del
cristianesimo, il quale viene definito come fatto storico molto particolare, che non ha testimoni privilegiati.
FEURBACH E LA SINISTRA
HEGELIANA
CARATTERI GENERALI DELLA DESTRA E SINISTRA HEGELIANA
Alla morte di Hegel, nel 1831, i suoi discepoli continuarono sulla sua strada, anche se si stava facendo sempre più
evidente il distacco tra vecchi hegeliani (principalmente editori del filosofo) e nuovi hegeliani (coloro nati dopo il
1800). Questi due diversi indirizzi vennero chiamati Destra e Sinistra hegeliane: questa spaccatura fu resa possibile dal
superamento della dialettica hegeliana e fu dovuta al diverso atteggiamento tra i discepoli di Hegel soprattutto per la
politica e per la religione.
La Destra hegeliana fu caratterizzata dai conservatori fedeli alla spiegazione della filosofia di Hegel, mentre la Sinistra
dava un’impronta innovativa alla suddetta. Il principale argomento di contesa era il rapporto tra filosofia e religione.
Il contenuto delle due materie era lo stesso, ma cambiava la forma con cui veniva espressa questa stessa verità: la
rappresentazione e il concetto.
La Destra hegeliana puntava all’unità di contenuto e concepivano la filosofia come conservazione della religione. La
religione, infatti, doveva essere la preparazione per la filosofia (processo dialettico hegeliano che prevede arte,
religione e filosofia). I Vecchi hegeliani fecero della filosofia di Hegel una scolastica hegeliana (come nella filosofia
medievale cristiana che considerava Aristotele come filosofo principale, infatti la scolastica usava la filosofia di
Aristotele per spiegare i contenuti della fede; successivamente ci sarà la patristica con lo scopo di mettere insieme
fede e ragione con posizioni diverse fondendo i due ruoli e trovare la soluzione per andare di pari passo); allo stesso
modo la scolastica hegeliana fa uso della filosofia di Hegel per sostenere l’importanza della religione.
La Sinistra hegeliana insisteva sulla diversità di forma e concepiva la filosofia come distruzione della religione. Il
rapporto tra filosofia e religione era visto solo a livello formale, perché per loro la filosofia era più importante della
religione e per questo doveva assumere lo scopo di chiarire i concetti religiosi e diventare uno strumento di
contestazione razionale della religione. La Sinistra hegeliana è progressista ed è uno strumento rivoluzionario per
contrastare la realtà.
TEMA DELL’ESISTENTE
La spaccatura tra i seguaci di Hegel si sviluppò anche sotto il tema dell’esistente e anche con significati politici.
La Destra si rifà alla polemica hegeliana contro il dover essere, sostenendo l’identità tra realtà e razionalità e
assumendo un carattere giustificazionistico e conservatore nei confronti dell’esistente.
La Sinistra interpretò il pensiero hegeliano in modo rivoluzionario, affermando che non tutto ciò che esiste è di fatto
razionale, concependo la filosofia come critica dell’esistente e come un progetto di trasformazione delle istituzioni
politiche contemporanee.
FEUERBACH
Feuerbach fa parte della Sinistra hegeliana.
La filosofia di Feuerbach parte da una critica all’idealismo e ad Hegel, in cui il soggetto, l’essere, veniva considerato
come astratto e in secondo piano vi era il predicato, ovvero il pensiero, considerato come astratto; questa viene
considerata come una visione rovesciata delle cose in cui ciò che in realtà viene prima (concreto, causa) viene intesa
come successiva, e viceversa ciò che viene dopo (effetto, astratto) viene considerato precedente. La filosofia idealista
infatti si basava sull’astrazione, che proponeva un allontanamento della filosofia rispetto alla concretezza.
Feuerbach propone un’inversione radicale dei rapporti tra soggetto e predicato, che arrivi a considerare il soggetto
come concreto e il predicato come astratto.
LA CRITICA ALLA RELIGIONE
La religiosità è la ricostruzione del pensiero in cui esiste un essere superiore rispetto all’uomo, che ha caratteristiche
perfette e al massimo grado ed è il processo che proietta all’esterno delle potenzialità che l’uomo possiede in maniera
limitata. Allo stesso modo, Feuerbach afferma che non è Dio (astratto) ad aver creato l’uomo (concreto), ma l’uomo ad
aver creato Dio. Dio, infatti, è solo la proiezione illusoria di alcune qualità umane della nostra specie: ragione, volontà
e cuore.
In altre parole, il divino non è altro che l’essere umano in generale ma proiettato in un mitico aldilà. Quindi, il mistero
della teologia non è che l’antropologia capovolta, ovvero la prima autocoscienza dell’uomo, il quale conosce se stesso
e scopre di avere caratteristiche che vengono attribuite in maniera assoluta alla divinità.
Feuerbach pone l’origine dell’idea di Dio nel fatto che l’uomo ha coscienza di sé come individuo, ma anche come
specie: come individuo si sente debole e limitato, mentre come specie si sente infinito e onnipotente.
A volte l’origine dell’idea viene attribuita all’opposizione umana tra volere e potere, che porta l’individuo a costruirsi
l’immagine di una divinità in cui tutti i suoi desideri vengano realizzati.
Altre volte l’origine viene attribuita al sentimento di dipendenza che sente l’uomo di fronte la natura, che lo spinge ad
adorare le cose senza cui potrebbe vivere: luce, aria, acqua e terra.
ALIENAZIONE E ATEISMO
Qualunque sia l’origine della religione, essa è comunque una forma di alienazione, ovvero uno stato patologico per cui
l’uomo tira fuori di sé una potenza alla quale si sottomette, Dio.
Se la religione è alienazione, l’ateismo è un atto di onestà filosofica e un dovere morale. Ed è questo il momento di
crescita dell’uomo, che deve recuperare in sé i predicati positivi che aveva tirato fuori di sé nello specchio illusorio che
è Dio.
In questo momento allora non si può affermare che Dio, soggetto, è sapienza, volontà e amore; viceversa, sono la
sapienza, la volontà e l’amore umano ad essere divini: il compito della filosofia diventa quello di risolvere Dio
nell’uomo, ponendo l’infinito nel finito.
LA CRITICA A HEGEL
L’hegelismo è, quindi, una teologia razionalizzata e lo Spirito di Hegel non è che il fantasma di noi stessi, ovvero il
frutto di un’astrazione alienante.
La critica a Hegel equivale alla formazione di una nuova filosofia incentrata sull’uomo, detta filosofia dell’avvenire, che
assume la forma di un umanismo naturalistico: “umanismo” perché fa dell’uomo l’oggetto del discorso filosofico;
“naturalistico” perché fa della natura la realtà da cui tutto dipende.
Il nucleo di questo umanismo naturalistico è il rifiuto di considerare l’individuo come astratta spiritualità, bensì di
considerarlo come corpo fisico che soffre, che gioisce, che ha dei bisogni e delle necessità e che possa provare amore.
L’amore viene definito come la passione fondamentale che fa tutt’uno con la vita e che ci apre verso il mondo. L’uomo
è bisogno, sensibilità e amore. L’io non può stare senza il tu. Da qui deriva il comunismo filosofico, ovvero la dottrina
dell’essenza sociale dell’uomo.
Da qui traspare l’amore per l’umanità che risolve la filosofia nella filantropia: dall’amore per Dio all’amore per l’uomo,
dalla fede in Dio alla fede nell’uomo, dalla trascendenza all’immanenza.
L’UOMO È CIÒ CHE MANGIA: LA RIVALUTAZIONE DEL MATERIALISMO DI FEUERBACH
Al suo materialismo, Feuerbach conferisce una curvatura antropologico, in cui l’uomo è collocato in una particolare
posizione nel mondo, in quanto l’unico tra le forme naturali ad essere caratterizzato dalla sensibilità. In questo modo,
Feuerbach restituisce l’uomo alla sua essenziale unità lacerata dall’idealismo. Feuerbach esprime anche la teoria degli
alimenti, citando la apparentemente paradossale frase “l’uomo è ciò che mangia”, intesa inizialmente come
materialismo volgare e solo successivamente gli viene attribuita l’unità psicofisica dell’individuo: se si vuole migliorare
la condizione spirituale di un popolo, bisogna dapprima migliorare le condizioni materiali, a partire dall’alimentazione.
Inoltre, Feuerbach pone l’accento anche sul problema del lavoro, che verrà ripreso da Marx con il materialismo
storico.
KARL MARX
Filosofo, teorico economico, politico sociale… è un intellettuale composito. Il suo trattato include più argomenti
(storia, arte, letteratura…) e presenta teorie che collegano aspetti socio-economici. Il suo pensiero diventa seguito da
più persone (dai marxisti, ossia coloro che usano il loro pensiero)
o Da Hegel a Feuerbach
o Studi economia classica (dal 700, tra cui Ada Smith con il liberismo) Marx vuole capire i meccanismi del
capitalismo
o idea utopistica già trattata in precedenza (Own), ossia fabbrica=famiglia. Marx definì questa idea un
socialismo utopistico, in quanto “Principio di collaborazione” non può esistere nell’ottica del capitalismo.
Inoltre afferma che il vero cambiamento ci sarebbe stato solo abbattendo il sistema capitalistico.
CRITICA A HEGEL
Riprende la dialettica servo-padrone per affrontare poi la dinamica lavorativa e capitalistico. Accetta la critica di
Feuerbach a Hegel circa il mettere avanti l’astratto al concreto, con il conseguente rovesciamento dei rapporti di
predicazione.
Va contro:
Propone una democrazia totale con l’emancipazione del singolo e abbattendo il capitalismo e la proprietà privata.
4 ALIENAZIONI
Per Marx l’alienazione riguarda la condizione dei lavoratori si divide in quattro parti:
RISPETTO AL PRODOTTO
Il lavoratore in una società industriale si trova in una posizione di estraniazione rispetto al prodotto del proprio lavoro,
invece l’artigiano inseriva nel prodotto qualcosa di se stesso, producendo prodotti unici e non tutti uguali, lasciandosi
ispirare dalla creatività (prodotto come frutto della sua opera); nella lavorazione in serie invece c’è la separazione tra
lavoratore e prodotto, difatti si producono prodotti uguali e non unici (es. dell’operaio Ikea che non personalizza il
prodotto ma segue uno schema preciso)
RISPETTO ALL’ATTIVITÀ
Lavoro che si fa per necessità, dovere, obbligo e non per piacere; invece l'artigiano lo fa perché ha un margine di
libertà, è motivato, fa qualcosa che vuole e che gli piace. Quello in serie è un lavoro che separa il prodotto e il lavoro
dall’uomo stesso che non è libero di esprimersi.
RISPETTO AL PROSSIMO
La storia dissente perché la condivisione di problematiche ha portato alla nascita di organizzazioni per trovare
soluzioni (questione sociale), come sindacati, partiti, ideologie ecc.
Marx sostiene che nella fabbrica c’è separazione tra individuo e prossimo dove non c’è comunicazione; alienazione
economica legata soprattutto alla proprietà privata, alla subordinazione e allo sfruttamento. Anche
quest’affermazione, rispetto l’attualità, non ci sembra vera, poichè spesso il lavoro odierno è svolto in team, equipe,
ecc…
RISPETTO ALL’UOMO
L’uomo è costretto a un lavoro forzato, ripetitivo e unilaterale (assenza del lavoro libero, creativo e universale)
La riflessione di Marx riguarda una correzione di Hegel con Feuerbach e di Feuerbach con Hegel, difatti Marx apprezza
di Hegel il concetto dell’individuo che fa parte di un tutto (pensiero organicista), ma gli manca la concretezza della
condizione. Questa concretezza si ritrova in Feuerbach. L’ideale per Marx è quindi un rapporto individuo-società
tenendo conto della concretezza (non plus ultra). Questa concretezza per Marx è anche tener conto dei bisogni
umanitari, viene visto quindi l’uomo come natura, ma inserito nella società.
Per Marx la religione è concepita in un’ottica politica, descrivendola come uno strumento di potere per sottomettere il
popolo, affermado che essa, con le sue costrizione, sottomette il popolo (accettare la condizione, non ribellarsi, ecc…)
Secondo Marx, la religione offusca quindi la mente del popolo e non lo fa ragionare sulla sua condizione.
CRITICA ALLA COSCIENZA DI CLASSE *
Per Marx il vero problema è la coscienza di classe e la coscienza della propria condizione, per la quale ci si dovrebbe
ribellare per migliorare la qualità di vita. (Dopo rivoluzione bolscevica c’è stata abbattimento della religione e delle
chiese in Russia). Importanza della prassi rispetto la teoria.
Marx ha una concezione materialisica della storia; egli infatti considera gli eventi e la storia (processo dei fenomeni
prodotti dall’uomo) come il risultato di elementi che corrispondono alle condizioni materiali dell’esistenza. Lo sviluppo
della società (insieme degli eventi della storia) corrisponde ad una risposta relativa a quelli che sono i bisogni naturali
dell’umanità stessa.
L’essere umano di natura ha dei bisogni (uomo primitivo va a caccia perchè ha fame) Ciò che l’uomo mette in atto
corrisponde alla risposta che vuole dare ai suoi bisogni naturali.
Materialismo storico non vuol dire che tutto è materia, ma che la società si basa sulle condizioni materiali
dell’esistenza.
STRUTTURA E SOVRASTRUTTURA
L’economia viene vista come un insieme di risposte ai bisogni; si trova alla base della società e viene chiamata
struttura. Su di essa si costruisce una sovrastruttura (insieme dei prodotti culturali, arte, religione, letteratura, politica,
diritto, ideologie, ecc.), ed è la conseguenza di un sistema economico. La contrapposizione sta con l’idealismo
hegeliano in quanto era teorico e astratto.
Da questo pensiero nasce un’impostazione di pensiero, il marxismo. Principi che si basano sul pensiero di Marx,
applicati in molti campi (arte, economia, politica, arte). Secondo Marx, si può raccontare la storia partendo da più
punti di vista (se si parte da quella economica si interpreta con il pensiero marxista).
Vi è una contrapposizione rispetto a Max Velver (successivo a Marx, sociologo che studia i temi del capitalismo e il
legame con i fattori religiosi).
Per lui il fenomeno religioso ha incrementato lo sviluppo del capitalismo. Nel calvinismo c’è il concetto della
predestinazione alla base (Dio già sa, dal momento della creazione, dove l’uomo andrà dopo la morte. Visione che si
oppone a quella cattolica, nella quale c’è libero arbitrio, poichè l’uomo fa delle scelte davanti a delle situazioni). Su
questa base uno può chiedersi che senso abbia vivere se Dio ha già deciso tutto, ma per il calvinismo non è così,
perché dalle attività quotidiane l’uomo può accorgersi a cosa è destinato (se le cose vanno bene sarò destinata al
paradiso, nel caso devo ringraziare Dio, glorificare migliorando sempre di più la mia attività). Secondo Velver questo
ideale calvinista ha incrementato lo sviluppo del capitalismo (basato dall’interesse del singolo) e una delle prove per
lui sono i Paesi Bassi ove vi è un calvinismo radicato. Per Velver quindi, gli ideali religiosi influenzano l’economia.
Per Marx è l’esatto contrario: nel corso della storia cambiano le strutture, quindi le economie, ed è ciò che influenza le
sovrastrutture (religione, politica, cultura).
MODI DI PRODUZIONE
Rapporti di produzione e proprietà: Qualcuno ha la proprietà, di personale (acquistando forza lavoro), di strumenti, di
terre e luoghi (es: Ikea possiede mezzi di produzioni e materiali) senza però avere le conoscenze tecniche per
realizzare oggetti, li possiede e basta. In questo sistema c’è chi ha la proprietà e chi la manda avanti. (es feudalesimo: il
feudatario possedeva la terra e il prodotto finale; il servo era il proprietario delle conoscenze tecniche).
Nella storia arrivano alcuni momenti di contrasti tra rapporti di produzioni e forze produttive, ad es. con la rivoluzione
francese; difatti qualcuno aveva potere politico (nobiltà e clero) che gestiva il sistema, ma nella concretezza era la
borghesia il motore del sistema produttivo stesso. In questi casi è come se la borghesia avesse preso coscienza della
sua condizione e mette in atto un modo per cambiare, anche con le rivoluzioni.
Marx parte con un comunismo primitivo; poi società asiatica; poi società schiavista (come greco romana); poi feudale;
poi borghese; infine prevede una comunista, tutte fasi che per lui sono frutto di un processo dialettico, evolutivo non
dell’idea o del teorico, ma della pratica e della prassi.
Il manifesto del partita comunista contiene questi discorsi dei capisaldi del pensiero di Marx e del socialismo
utopistico, in esso si riconosce la funzione storica della borghesia che Marx non attacca, ma gli da significato. Nel
feudalesimo ha scardinato il sistema dei privilegi feudali e idem nella Rivoluzione francese.
Marx era convinto che le fasi andavano svolte tutte. (non come nella rivoluzione russa dove non c’era ancora state la
fase della borghesia, ossia non c’era stato ancora un vero e proprio sviluppo del capitalismo. Anche oggi possiamo dire
che la Russia non ha mai avuto un periodo liberal democratico. Questa assenza di esperienza non ha fatto provare ai
cittadini una democrazia. Putin quindi ha basato un potere aperto al capitalismo ma opprimendo il liberal
democratico).
La storia viene vista come una lotta di classe (non per forza armata): l’evoluzione storica si è sviluppata con queste fasi
di contrasto e conflitto tra due classi, mentre nella rerum rovarum si diceva che non si doveva arrivare ad una
rivoluzione, ad uno scontro, ma il datore doveva andare incontro al lavoratore.
Nel “Capitale” analizza i concetti e le strutture del capitalismo; viene visto intoltre come un punto di riferimento
nell’economia.
Nell’ambito dell’economia marxista non ci sono leggi universali, ma si mette in evidenza la borghesia anche in
riferimento alla sua funzione storica per aver abbattuto il feudalesimo. Marx vede la borghesia come un’apprendista
stregone (trasforma una cosa in un’altra ma non sa gestirla, non sa tornare indietro, difatti la borghesia ha abbattuto il
sistema precedente ma poi ha perso il controllo). Marx parla infatti di crisi cicliche del capitalismo. Come se il
capitalismo avesse prodotto da se stesso dei nodi critici che la borghesia non riesce a risolvere.
È contro il comunismo rozzo/primitivo, che per lui è esistito in una fase primordiale dove una proprietà era di tutti. Lui
voleva un cambio di mentalità.
Il tema ancora affrontato dai filosofi moderni è il rapporto Psicologia-Filosofia, in quanto si cerca di capire se Nietzsche
abbia avuto problemi fisici e da qui creare la sua filosofia , oppure il caso contrario ovvero che sia stata la filosofia
stessa a creargli problemi psichici .
LE INTERPRETAZIONI:
Il pensiero di Nietzsche è ancora oggi in continua revisione dai filosofi, in quanto le sue opere possono essere
interpretate in diversi modi, sia in chiave di destra (Nazionalsocialismo) che in chiave opposte (di sinistra).
La differenza delle interpretazioni è data dalla particolarità del filosofare di Nietzsche in quanto:
Non è sistematica;
Non è lineare;
Non è facilmente classificabile;
Il modo di scrivere di Nietzsche è molto diverso dalla tradizione ed è molto difficile da interpretare, molte volte infatti
vengono usati Aforismi, il modo preferito di Nietzsche di filosofare.
Nietzsche stesso fa riferimento al termine “Ruvinare” ovvero scrivere in modo tale che non sia possibile dare
un’interpretazione complessiva.
INTERPRETAZIONI NAZIONALSOCIALISTE:
A raccogliere il suo pensiero fu la sorella di Nietzsche essa stessa simpatizzante per Hitler, egli stesso conosceva il
filosofo ma non si può affermare che sia stato influenzato completamente da Nietzsche.
INTERPRETAZIONI DI SINISTRA:
Il pensiero di Nietzsche viene interpretato anche come un inno alla libertà ed all’affermazione dell’individuo.
Vedere il superuomo come un soggetto in grado di rivoluzionare ed impattare sul mondo, questo potrebbe essere
appunto visto in chiave rivoluzionaria di sinistra ma anche come un inno alla libertà pertanto una lettura contrapposta
alla precedente.
APPOLLINEO E DIONISIACO:
Nietzsche fa uno studio della tragedia, ovvero una tipica opera greca , arrivando alla conclusione che nell’essere
umano vi sono due parti :
DIONISIACO:
Ovvero quella parte dell’essere umano che risponde agli istinti, corrisponde alla parte emozionale e che secondo
Nietzsche lega l’uomo alla natura .
APOLLINEO:
L’EQUILIBRIO
Secondo Nietzsche nelle tragedie Greche si evince che l’essere umano viveva con queste due parti in perfetta armonia,
ma più avanti anche a causa dell’influenza socratica inizia una netta superiorità dell’apollineo sul dionisiaco .
Socrate infatti credeva che il comportamento dell’uomo derivi dalla conoscenza del bene e del male, ad esempio
“Nessuno fa del male volontariamente “ , secondo Socrate per esempio un ladro non è consapevole di sbagliare in
quanto egli è convinto di essere nel giusto .
Platone separa in modo dualistico le idee dal mondo sensibile, aumentando ancora di più il distacco.
Kant invece a causa del suo imperativo categorico e della sua legge morale interna all’uomo stesso.
Nietzsche pertanto conclude che l’uomo proseguendo nella storia ha lasciato prevalere la sua parte razionale
(Apollineo) sui suoi istinti naturali (Dionisiaco) ed afferma che l’uomo dovrebbe tornare ad una situazione di equilibrio
tra i due in quanto attualmente l’uomo è al di sotto della sua potenzialità.
LA MORTE DI DIO:
Secondo Nietzsche l’uomo non è pronto ad accettare la morte di Dio in quanto negare Dio stesso significa perdere un
punto fermo essenziale per l’umanità, ma Nietzsche pensa invece che sia una cosa positiva in quanto liberandosi di
Dio l’uomo eliminerebbe la maggioranza dei suoi vincoli, come se egli fosse una versione limitata da sé stesso.
Nietzsche critica lo storicismo, in quanto afferma che la storia sia un peso è contro ogni forma di progressismo o
qualsiasi altra idea che vede l’uomo come una creatura in grado di imparare dagli errori commessi nel passato ed è in
grado di migliorare sé stesso.
LE TRE METAMORFOSI:
IL CAMMELLO:
Rappresenta l’umanità sovraccaricata dal peso della tradizione della storia e degli ‘obblighi sociali .
IL LEONE :
Il cammello si libera dai pesi e vincoli della società , la sua principale caratteristica è la forza che egli usa per liberarsi
da tutti questi pesi e limitazioni sociali .
IL FANCIULLO (SUPERUOMO) :
Ovvero colui che rinasce libero e puro da tutte le limitazioni del cammello .
IL SUPERUOMO:
Colui che vive confidando nel suo essere riuscendo a recuperare la sua parte Dionisiaca ed è in grado di accettare la
morte di Dio, eliminando tutti i vincoli connessi a questa figura.
Egli ha la cosiddetta: “Volontà di potenza” , è un portatore di questa grande volontà trasformatrice del mondo grazie
appunto alle sue doti .
Il superuomo è in grado di accettare tale verità a differenza dell’uomo comune che si rifà alla visione del tempo lineare
(Il tempo come noi lo intendiamo), per Nietzsche invece il tempo è un circolo, ovvero ciò che accade potrebbe
riaccadere, ovviamente con delle similitudini e non lo stesso identico evento.
Tale concezione del tempo ci permette di godere maggiormente del momento, in quanto la concezione del tempo
lineare provoca angoscia perché ogni momento è unico e si teme continuamente di sbagliare ed in caso di errore si
perderebbero grandi opportunità.
Può essere letto anche in chiave negativa in quanto un trauma passato potrebbe ripresentarsi in forme diverse.
Scrive quest’opera in quanto vuole studiare l’origine di alcune regole morali, in particolar modo sul concetto di bene e
male. Nietzsche propone una sostituzione di alcuni valori morali superando il concetto stesso di valore, evitando la
sostituzione di un valore con un altro in quanto si tratta di una costrizione (Cammello) .
Nietzsche studiando i valori dell’antichità riassume elencando i valori della forza , eroismo ma anche coloro che si
dedicavano allo spirito (Sacerdoti) , secondo Nietzsche vi è stata un “invidia” dei sacerdoti nei confronti di questi eroi
che porteranno questi a creare delle forme di limitazione dello spirito in nome di valori religiosi più elevati , da qui ne
consegue uno spostamento della felicità dal mondo terreno ad un mondo ultraterreno , facendo accettare all’uomo
l’agire morale per un futuro premio in un mondo ultraterreno (Osservazione mia personale : Infanti Kant stesso
postulava l’esistenza di dio nella sua “critica alla ragion pratica” proprio per questo motivo ).
POSITIVISMO:
INTRODUZIONE:
Movimento culturale e filosofico che ha influenzato molti campi della letteratura e anche la filosofia. Una figura
importante del positivismo è Comte (fonda la sociologia che studia la società attraverso la scienza) . Ha come tema
centrale l’importanza della scienza. Il positivismo riprende temi dell’illuminismo come la razionalità cioè l’uso della
ragione. Rispetto all’illuminismo nel positivismo si fa un passo in più riguardo la scienza. L’applicazione del metodo
scientifico anche a settori che non riguardano fenomeni naturali. Attraverso la scienza nel positivismo si pensa che si
possa raggiungere la felicità. Si divide in positivismo sociale e evoluzionistico.
POSITIVISMO SOCIALE:
In quello sociale abbiamo il socialismo utopistico, utilitarismo inglese (John Stuart mille). Per Comte ci sono due tipi di
studio che si possono fare, studio della società da un punto di vista statico (studio della società negli anni 60) e uno
dinamico (vede l’evoluzione della società, ad esempio, dagli anni 50 a 80). Comte elabora la legge dei tre stadi.
Il primo stadio è quello teologico nel quale l’uomo si dà della spiegazione ricorrendo alle divinità
Lo stadio metafisico nel quale prevale la razionalità, l’uomo cerca di dare delle spiegazioni attraverso l’uso
della ragione (periodo filosofico, speculativo)
Il terzo stadio è quello positivo in qui prevale la scienza nella quale la razionalità deve essere applicata allo
studio della natura per favorire la creazione di prodotti che possano migliorare la qualità della vita umana
POSITIVISMO EVOLUZIONISTICO:
Con quello evoluzionistico viene messo in dubbio il principio del creazionismo. È caratterizzato da due principi (il
darwinismo) lotta per la sopravvivenza e selezione naturale. (Collegamento con verga e teorie razziste e nazionalismo).
Il positivismo a questo punto non ha raggiunto i proprio obiettivi in quanto manca la parte culturale. Da questa crisi
nascono i movimenti culturale che vanno contro il positivismo come lo spiritualismo.
Nello spiritualismo c’è una corrente francese nella quale nasce una figura (Bergson con la sua teoria del tempo. Esso
concepisce due tipi di tempo, quello oggettivo della scienza che lui paragona alla collana di pelle è un tempo
reversibile in quanto si può ripetere l’esperimento scientifico; quello soggettivo è il tempo della vita irreversibile in
quanto non si può tornare indietro e non si può vivere quello che è passato, c’è una nuova dimensione del tempo
paragonato al gomitolo o alla valanga.
KARL POPPER
Viene considerato come uno dei massimi esponenti della filosofia della scienza contemporanea: filosofia che cerca di
definire quelli che sonici rapporti tra filosofia e scienza e i principi fondamentali della scienza. Egli nette in discussione
principio oggettivo della scienza, anche se nella prima parte della sua vita è stato un neo-positivista, filosofi che
recuperano principi del positivismo (scienza, metodo scientifico importanti); mentre secondo Popper questo
positivismo che aveva abbracciato all’inizio, presenta delle criticità e dei punti che vanno messi in discussione
(positivismo considera scienza oggettivamente e come verità assoluta); secondo Popper dobbiamo superare concetto
dell’oggettivismo e del principio di verificabilità (uno dei cardini del pensiero scientifico) (ES questo oggetto è
vecchio, può essere soggettivo, ma se facciamo analisi possiamo vedere di quando è nel tempo con carbonio 14).
Popper mette in discussione il concetto secondi cui queste analisi che svogliamo, in realtà hanno sempre margine di
approssimazione: non abbiamo mai la certezza che in ogni caso si possa verificare quel fenomeno
la cosiddetta induzione (perno analisi scientifica dal particolare al generale si può arrivare a definire principio) messa in
discussione da Popper perché non possiamo arrivare a conoscere tutti i casi possibili, fa cadere mito della scienza
secondo lui una teoria è valida quanto più si rende falsificabile.
il principio della scienza è la falsificabilità: se cerco il caso che falsifica la mia teoria, non faccio altro che corroborarla
(alimentarla) e migliorarla (NON È SCIENZA SE NON È FALSIFICABILE, un principio assoluto e oggettivo ma si deve porre
nella dimensione della falsificabilità)
FAUTORE DEL RELATIVISMO: KANT STA A NEWTON COME POPPER STA EINSTEIN
Kant aveva cercato di salvare la scienza dallo scetticismo di Hume (punto ultimo della rivoluzione scientifica), Kant
fornisce base di oggettività seppur limitata a quella scienza definita attraverso il processo fino a Newton (definendo
meglio i canoni di oggettività della scienza stessa: in quanto aveva detto che non è oggettiva al 100% perché
conosciamo fenomeno ma non noumeno, ma risultato oggettivo nel limite della conoscenza umana in quanto
abbiamo tutti gli stessi strumenti per l’analisi)
POPPER RISPETTO AD EINSTEIN:
Quest’ultimo ha smontato mito della scienza assoluta perché fautore del principio della relatività - smonta il principio
di scienza assoluta, il risultato della nostra analisi ha validità relativa non assoluta Popper da base filosofica al
relativismo della scienza di Einstein, così come Kant aveva dato base filosofica alla scienza di Newton, risultato della
rivoluzione scientifica.
(critica induzione)
CRITICA ASSERZIONI:
Critica asserzioni, base della scienza che sono indimostrabili: dobbiamo capire che questa scienza è come palafitta
ovvero base precaria perché tronchi che reggono casa
diminuzione della separazione tra scienza e metafisica: col positivismo scienza opposta alla metafisica (alla filosofia,
scienza oggettiva filo no)
con Popper diminuisce valore oggettivo della scienza e quindi anche separazione metafisica (intesa spiegazione
filosofica quasi soggettiva della realtà; dice che tante volte la spiegazione metafisica influenza la scienza con stimoli e
input della scienza stessa).
Egli dice che la mente dell’uomo quando fa una ricerca, è come un faro: abbiamo formazione a prescindere, anche lo
stesso scienziato che vuole studiare le conseguenze dei vaccini oppure coloro che hanno studiato e prodotto il
vaccino); scienziati partiti da un bagaglio, ma quando si fa una ricerca non è a caso ma è indirizzata verso qualcosa di
specifico con un bagaglio di formazione che ci influenza (se uno scienziato preoccupato sulle conseguenze, fa ricerca
su quegli elementi, ovvero se ha una visione contraria perché più conseguenze che vantaggi del vaccino: visione a
prescindere che influenza risultati della ricerca)
la nostra mente come un faro perché focalizziamo ciò che ci interessa della realtà, puntiamo raggio su un ambito
specifico, riduce concetto di oggettività (mente che ha già una visione a priori nel senso di una formazione già
presente).
Popper critica anche visioni che definisce come totalizzanti, visioni culturali e filosofiche che hanno la pretesa di dare
una spiegazione globale: marxismo (da un excursus della storia, ideologia totalizzante) e psicoanalisi (Freud riteneva
che attraverso lo studio dell’inconscio si potesse arrivare a comprendere tutto fino a spiegare problemi e difficoltà
dell’uomo con analisi dell’inconscio, come se esso racchiudesse tutto)
Popper anche filosofo politico, visione liberaldemocratica, contro il totalitarismo che proponevano un ideale concepito
come verità assoluta (stalinismo e nazismo); egli vive epoca in cui dimostrati esiti tragici di questi, propone una visione
più aperta liberale e democratica (es differenza società chiuse che sono quelle impostate sub recisa ideologia
considerata come verità assoluta, pluralismo e dissenso non accettati e tutto un solo indirizzo; società aperta
democrazia)
la sua proposta di miglioramento che seve essere proposto in funzione di una analisi della realtà concreta pensando a
riforme graduali e non una grande riforma non grandi VELLEITA di cambiare tutto e subito (ANALIZZARE SITUAZIONE,
capire dive sono i problemi e agire); ha modo di capire come nella storia dell’umanità sia stato lo storicismo a
influenzare la nascita di questi regimi totalizzanti; per Popper storicismo porta definizione di utopia
portare a ideologia che si rivelano grandi utopie che per essere raggiunte si rischia di far uso estremo della violenza
combattendo il dissenso
pur di raggiungere società ideale si era disposti a uccidere e fare uso della violenza
storicismo->utopia-> violenza, pensiero basato sull’analisi di ciò che è accaduto nel 900.
FREUD
Freud è considerato padre fondatore della psicoanalisi (=psicologia del profondo). Periodo in cui il positivismo ha
migliorato le scienze ma anche le scienze umane quando Freud comincia ad operare in questi campi, in cui c’era stato
un notevole sviluppo in psichiatria e psicologia.
PSICOANALISI:
Freud collabora con altri specialisti ed esperti medici che stavano studiando il fenomeno dell’isteria, che a quell’epoca
era un fenomeno che accadeva soprattutto alle donne (oggi dal punto di vista psichiatrico non viene più considerata
perché non esistono più questi casi, ma è stata sostituita da altri fenomeni).
FASE IPNOTICA :
Freud inizia a seguire dei casi che vengono trattati attraverso un metodo sperimentale, il metodo ipnotico, si
conduceva la paziente ad entrare in una Fase IPNOTICA e durante questa fase cera la possibilità di porre domande che
permettevano di svolgere una specie di collegamento tra vari concetti (associazione di idee: si parte da una domanda
di infanzia per poi costruire una trama per far riaffiorare alla memoria episodi del passato che potevano risultare come
traumi vissuti e rimossi).
Uno dei casi emblematici affrontati da Freud (riportato poi nei manuali e spiegati ai nuovi psicanalisti, psicologi e
medici): Caso di Anna O., aveva disturbi diagnosticati a livello della fisicità (tosse, di vista, agli altri, deambula con
difficoltà, problemi di movimenti al braccio) che potevano portare a una diagnosi del suo corpo e della sua anatomia,
ma dal punto di vista medico non vi era niente di tutto ciò; bensì si poteva trattate di un disturbo psicosomatico (ES.
gastrite nervosa, acne nervosa e psicosomatici .
Oggi abbiamo strumenti che possano stabilire che non ci siano problemi a livello fisico, e si può arrivare a dedurre
un problema psichico), la ragazza racconta della sua IDROFOBIA e raccontando involontariamente riporta un episodio
in cui aveva visto il cane della sua governante bere in una ciotola che veniva usata dalle persone, anche se sembra un
particolare insignificante aveva un peso; interagendo su questo episodio, si riusciva a risolvere anche la problematica
fisica. Il caso isterico era proprio questo (prima era una malattia: la persona perde il controllo di sé, prima vi
rientravano anche le case che oggi chiamiamo di malattia psicosomatica).
CATARSI:
Consiste nel rivivere un trauma in fase ipnotica per liberarsi di esso e delle sue conseguenze:
Attraverso il racconto la paziente riviveva in maniera catartica che permetteva di liberarsi; alcuni psicoanalisti seguono
ancora l’ipnosi, mentre altri prendono altre strade non tutte legate alle impostazioni freudiane. (per raccontare, la
persona non deve per forza entrare in ipnosi, ma il bravo psicoanalista riesce a trarre ciò che è all’interno della psiche
del paziente; molto disturbi legati al rapporto con genitori)
{Malattia psicosomatica, ipnosi, casi di isteria, metodologia usata (catarsi, associazione di idee)}
Freud comprende che il concetto di malattia va rivisto (prima era solo persona sana e malata, il malato è malato o
fisico o mentale, la mattia mentale era considerata come derivante dal problema fisico
(Michel Foucault, donna giudicata adultera, omosessuale e altre persine che vengono mandate in manicomio senza
motivo)
LA MALATTIA PUÒ ESSERE LEGATA ALLA PSICHE.
Fa conoscere il concetto nuovo dell’INCONSCIO: ciò che vediamo del comportamento di una persona è ciò che appare,
ma ce una componente della psiche che noi non vediamo, un’interiorità di cui non siamo consapevoli. L’inconscio
corrisponde alle pulsioni: la pulsione principale è quella sessuale; anche nel campo della sessualità Freud apre un
mondo, mentre prima si pensava che venisse vissuta dal problema umano dallo sviluppo in poi, mentre secondo Freud
la seconda è una pulsione inconscia presente negli esseri umani dalla nascita (psicologia dell’età evolutiva: bambino
vive sessualità dalla nascita, diversa da quella adulta, come istinto del bimbo che si attacca subito al seno o che tende
a mettersi tutto in bocca, quando cresce che viene attirato dagli escrementi).
L’io è la coscienza in cui ci riconosciamo e che ci viene dato dagli altri, attraverso la relazione conosciamo meglio noi
siamo infinito (ES. Iceberg: punta fuori e parte fondamentale nell’acqua, ovvero l’inconscio). Il SUPER-IO è l’insieme
delle indicazioni che provengono dell’esterno in termini di indicazioni regole consuetudini, nel super-io ci sono
indicazioni de i genitori, educazione di scuola le leggi; se l’inconscio ci portasse a vivere, esiste un super-io che blocca
l’inconscio, la mediazione è data dall’io, ovvero il livello conscio.
La psicoanalisi ha aperto un mondo ed è diventata anche applicata diventando uno strumento per curare le persone,
ma anche una teoria interpretativa: applicata all’arte, alla letteratura (opere di Leonardo interpretate in un’ottica che
hanno dato spazio alla visione ONIRICA (secondo Freud l’area in cui l’inconscio esce allora sono i sogni (interpretazione
dei sogni=studio dell’inconscio attraverso i sogni).
RIASSUMENDO:
Il super io è l’insieme delle indicazioni e restrizioni morali che ostacolano le pulsioni dell’inconscio;
L’io è la parte razionale e cosciente dell’uomo, fa da mediatore tra il super io e l’inconscio;
L’inconscio, la parte selvaggia dell’uomo dominata da impulsi sessuali e dai bisogni .
Spiega ambiti in cui compare inconscio, l’area privilegiata è il sogno, quando ridiamo e non ci rendiamo conto di starlo
facendo (Motto di spirito, collegato alla risata di Pirandello, usata per sdrammatizzare o superare imbarazzo.
LAPSUS:
Scatta quando inconsciamente sento qualcosa ma sono obbligato a tenere un comportamento diverso ma poi
viene fuori un’altra parola sbagliata;
Pensare una cosa e dirne un’altra;
le DIMENTICANZE.
TRANSFERT:
È un esempio di relazione particolare che si crea tra il paziente e lo psicanalista all’interno del processo che permette
al paziente di rivivere situazioni traumatiche, si trasferisce sullo psicanalista la figura positiva all’interno della propria
esperienza di vita. Si va a creare un rapporto di fiducia con lo psicoanalista che va a favorire l’Ipnosi e tutti i benefici
che porta con sé
Potrebbe scattare meccanismo contrario, lo psicanalista porta a rivivere momenti traumatici della mia esperienza di
vita che comporta ulteriore dolore e sofferenza se non ero a conoscenza della radice del mio problema, poi può
riuscire fuori e comporta dolore e sofferenza, si arriva così ad odiare lo psicanalista perché dice ciò che non vuoi
sentire.
COMPLESSO DI EDIPO
Secondo Freud, le figure genitoriali sono fondamentali nella crescita e nello sviluppo nella prima infanzia si crea per
natura un rapporto stretto tra padre e figlia e madre e figlio la sessualità per Freud ha inizio nell’infanzia che avviene
per natura.
I bambini crescono e distinguono loro stessi dal genitore ma cominciano ad avere rapporto distaccato, da attrazione
totale a distacco graduale, facilitato anche dal genitore, a volte distacco è naturale mentre altre volte non avviene.
Alcune donne che hanno avuto brutte esperienze con l’altro sesso tendono a proiettare questi elementi positivi nel
figlio che poi fa fatica a distaccarsi.
Se non vi è distacco, subentrano problemi nel futuro nelle relazioni con l’altro sesso in quanto il paziente proietta la
figura genitoriale nel partner pertanto non riuscirà ad avere rapporti con esso/a.
ESISTENZIALISMO:
È un movimento filosofico che si inserisce in un movimento culturale e riguarda due periodi storici:
Tra le due guerre mondiali
il secondo dopoguerra.
Si inserisce in un clima e in un'atmosfera di una specifica epoca, nel senso vasto del termine, poiché si parla di
esistenzialismo non solo in filosofia, ma anche nella letteratura, nella musica e nella moda, nello stile di vita e nella
cinematografia.
È una filosofia antipositivista.
(Positivismo fallì nei suoi obbiettivi: felicità, pace, progresso e sviluppo).
IN LETTERATURA:
- Kierkegaard, che è tra i primi ad affrontare il tema dell’esistenza, delle scelte, della sofferenza
e precarietà umana, del malessere e del disagio umano;
- I tre capisaldi di questa corrente filosofica sono Martin Heidegger, Jean -Paul Sartre e Karl
Jaspers
LA MODA:
Il colore della moda era solo il nero. Tra i vestiti più in voga vi erano i pantaloni a sigaretta, dei pullover dolcevita, delle
camicie severe e chiuse sino all’ultimo bottone.
Una dittatura cromatica interrotta solo dall’uso di alcuni capi tipicamente francesi, come le maglie dei marinai a righe
blu su fondo bianco ed il basco.
LA MUSICA:
Tra le figure di spicco troviamo la cantautrice Édith Piaf, la cantante Juliette Greco. In Italia si ricordano i cantautori
Luigi Tenco e Fabrizio De Andrè.
In America non si puù non ricordare John Lennon.
Tra i gruppi di fama mondiale, in questi anni emergono i Beatles. Di certo sono gli anni dei cantautori e del genere folk
L’ARTE:
Si parla di corrente di pittura informale .
Degno di nota è anche Picasso (cubismo) che nel suo atelier dipinge se stesso e gli esistenzialisti del tempo
(tra cui Satre e sua moglie, Camus).
I questi anni si sviluppa anche il cinema non-narrativo, come film muti e documentari. Nel teatro
emerge la figuar dell’inglese Samuel Becket (“Waiting for Godot”)
PARIGI
Il suo “Quartiere latino”, ricco di caffè e salotti intellettuali è considerato il centro di sviluppo di questo movimento.
Inoltre la cantante Juliette Greco era considerata la “musa esistenzialista”.
Sartre con la compagna, Simone de Beauvoir, famosa per le sue opere di stampo femminista, che trattavano
l’emancipazione femminile degli anni 70. Ancora oggi le sue opere sono considerate delle pietre miliari de ìl
femminismo europeo.
I Temi principali dell’esistenzialismo sono:
scelta
disagio e precarietà
malessere e dolore
perdita delle certezze
incertezza e finitudine umana (anticipata già da Kant)
Per l’Esistenzialismo non essere in grado di riconoscere queste condizioni dell’uomo significava non essere in grado di
affrontare la realtà.
>PIÙ FORME DI ESISTENZIALISMO:
ateo con la negazione di Dio e la religione è giustificata come supporto per l’uomo;
religioso religione come ancora di salvezza e unica soluzione per la condizione umana
più umanistico dallo studio della condizione umana, considerando l’uomo come parte integrante e
fondamentale della realtà stessa, nella quale al centro si pone l’Io, il mondo o Dio (in base alle prospettive).
SARTRE
Filosofo e scrittore di opere di teatro, uno dei suoi capolavori è la Nausea
REAZIONE EMOZIONALE:
IMMAGINAZIONE:
Non come immaginare cose fantastiche, ma considerata come la costruzione di qualcosa che permette di gestire il
fattore esterno (ESEMPIO: vedo incendio, prima reazione=paura, scatta immaginazione ovvero maniera che metto in
atti per agire rispetto all’evento, chiamo i pompieri o vigili del fuoco o uso estintore - interventi oltre l’emozione- in
generale sono azioni fondamentali dell’essere umano all’interno del mondo.
Ad esempio, nel caso si smarrisce un oggetto e questo viene trovato da un altro, per costui l’oggetto non avrà valore a
differenza di chi invece lo ha smarrito.
Comporta poter dare significati ciò che esiste non era tale per quello che è libertà arma a doppio taglio, io da un lato
siti libero di agire intervenire e dire ciò che è bene ciò che è male e dare valutazione e giudizi di cose esterne da me; le
cose dipendono dagli esseri umani che li giudicato: stessa cosa vale per me, assumo significato in base a quello che gli
altri pensano di me
Questa libertà diventa gabbia perché noi siamo vittime del giudizio e della valutazione degli altri: questa condizione di
libertà ci porta a vivere in una condizione di prigionia, diventa un inferno (l’inferno sono gli altri)
scatta definizione di NAUSEA (chi non ha più interesse per la vita - sensazione fisica che riflette condizione esistenziale)
sembra la fine di tutto, ma Sartre propone intervento dell’impegno sociale: mettiamo in conto che siamo limitati e
dipendiamo da ciò che pensano e giudicano di noi gli altri, ma possiamo avere spazio di autonomia sperando di poter
modificare qualcosa di questo mondo; la valvola di sfogo che rimette in movimento tutto è l’impegno sociale
Analizza condizione di alienazione di Marx, ma Sartre mondo diverso, nota che tutti gli uomini possono essere alienati
non solo lavoratori (nella scuola, sul lavoro, negli impieghi pubblici), distingue alcuni concetti sul rapporto dell’uomo
con la collettività
Serie diverso da gruppo: serie insieme di uomini senza qualcosa che li unisce e con interessi comuni (no coesione tra
chi aspetta il pullman a ponte mammolo); se aspetta palombara quella serie di persone diventa gruppo se sanno che
stanno aspettando l’autobus dell’una e dieci (gruppo: poi persone che contribuiscono in una causa comune, vedono
che auto non passa e uni vede sul telefono non nasce un movimento ovviamente ma vi è rischio della serialità - se
qualcuno dice bisogna fare così perché questo è il nostro stile e ognuno deve seguire decisioni dall’alto (grippo nato
con l’impegno comune e socialità per risoluzione dei problemi del gruppo- diventa qualcosa in cui vi è sottomissione e
alienazione come comunisti dittatura del proletariato al partito- regressione e degenerazione del totalitarismo)
{esempio movimento 5 stelle, nasce con buoni propositi impegno di cambiate società, crea gruppo ristretto che dà
indicazioni, dissenzienti buttati fuori dal movimento QUANDO SUBENTRA GRPPO RISTRETTO già non funziona più, si
ha bisogno di scambio di opinioni diverse
ANNA ARHENDT
BANALITÀ DEL MALE
lei scrive un’opera vita attiva in cui esamina tre componenti della condizione umana
IL LAVORO :
La prima caratteristica della condizione umana è il cosiddetto lavoro, inteso da lei come attività svolta dall’uomo che
serve per la propria sopravvivenza, quindi quelle attivi che permettono all’uomo di soddisfare i bisogni naturali legati
alla sopravvivenza (raccogliere frutti di un albero per mangiare e mantenersi in vita): attività volta alla risoluzione dei
bisogni fondamentali dell’uomo, attività che non è duratura, ovvero il risultato di questi lavoro non permane
nell’esistenza umana (cosa dei frutti, se li raccolgo li consumo, non è duraturo), attività dell’omo laborans, ma non
rimane nulla di quello che è il prodotto di questo lavoro, in quanto viene consumato nell’immediato per mantenersi in
vita e sopravvivere.
L’OPERA :
la seconda caratteristica è l’opera, risultato del omo faber: l’uomo realizza attraverso la propria opera qualcosa di
duraturo che permane nella vita dell’uomo stesso (i frutti vengono mangiati e non esistono più), il risultato dell’opera
dell’uomo faber è il prodotto di un’attività umana che rimane è può essere usato in altre circostanze (uomo che
realizza qualcosa che migliora la propria esistenza, considerato come un prolungamento del corpo dell’uomo),
qualcosa di duraturo.
L’AZIONE :
il terzo aspetto è l’azione, che è per lei la caratteristica fondamentale dell’uomo, elemento che lo distingue e gli
permette di entrare in relazione con gli altri: anna parte da un’analisi del mondo delle polis greche, considerato agire
politico come capacità umana di entrare in relazione con gli altri attraverso tutto ciò che noi chiamiamo politica,
linguaggio parole accordi collaborazione, agire che comporta teorizzazione delle idee politiche, ciò che rende specifico
l’essere umano rispetto agli altri esseri viventi. secondo Hanna Ahrenth, questa caratterista che risiede maggiormente
nel mondo della freccia nel tempo si è persa perché uomo ha dato più importanza a homi faber (tecnologia che supera
essere umano, il quale è subordinato alla macchina); l’agire politico del mondo greco dovrebbe essere ripreso e
l’essere umano dovrebbe comprendere la sua specificità e essere in grado di riscattarsi rispetto alla macchina e alla
tecnologia; prima ressa homo faber, ma c’è pericolo di tornare nella condizione del lavoro (atteggiamento militaristico
dell’uomo che utilizza ciocche produce in maniera repentina-concetto usa e getta- anche in prodotti dell’uomo Faber
rischiano di diventare elementi per la pura sopravvivenza; Anna auspica recupero e ritorno del ruolo del agire politico
dell’essere umano: recupero dialogo comunicazione rapporto con gli altri.