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Hegel

Hegel è il massimo esponente dell’idealismo tedesco e la sua opera, che vuole essere la risoluzione
di tutte le filosofie precedenti, rappresenta lo straordinario tentativo di comprendere l’intera
realtà in un sistema grandioso, in cui ogni particolare, anche il meno significativo, trovi la sua
ragione nella potente architettura dell’insieme.
Sono tre i pilastri dell’idealismo hegeliano:
1-La risoluzione del finito nell’infinito: la realtà non è un insieme di sostanze autonome, che
sussistono separatamente, ma un organismo unitario, di cui tutto ciò che esiste è semplice
manifestazione. Il finito, altro non è che una manifestazione dell’infinito, che si autoproduce e
produce il finito, dunque il finito non esiste in sé e per sé, dove noi vediamo il finito c’è un rimando
all’infinito poiché i due coincidono. Siamo in presenza di un monismo panteistico ovvero qualsiasi
sistema di pensiero che preveda un unico e solo principio a cui tutta la realtà sia riconducibile,
infatti per Hegel l’infinito (Dio) si realizza attraverso il finito (il mondo). Per Hegel è vero l’intero,
non la singola parte. (richiamo a Fichte);
2-La coincidenza tra ragione e realtà: Secondo Hegel tutto ciò che è razionale è reale, e viceversa.
La ragione per lui non è astratta perché si concretizza sempre nel reale e il reale di conseguenza è
una manifestazione del razionale. Siamo in presenza di un panlogismo cioè tutto è prodotto dal
logos, dalla ragione, che coincide con esso e viceversa, quello che deve accadere accade. Si parla
anche di coincidenza assoluta tra ragione e razionalità; mentre la ragione è dinamica, l’irrazionalità
viene compresa dall’uomo solo in parte. Agli uomini manca infatti la visione complessiva ma
tramite la verità si arriva alla comprensione di tutto
3-La funzione giustificatrice della filosofia: Secondo Hegel la filosofia è come la nottola di
Minerva, la civetta che giunge al termine del giorno per prendere il volo e contemplare durante la
notte, così la filosofia giunge al termine della manifestazione della ragione e della realtà per
comprenderne le strutture. La filosofia sorge quando una civiltà ha ormai compiuto il suo processo
di formazione e si avvia al suo declino. Non ha il compito di trasformare la società, di determinarla
o guidarla, ma di spiegarla. Può spiegare la realtà solo al termine del suo processo di realizzazione:
infatti un periodo storico può essere pienamente compreso solo al termine del suo sviluppo,
quando ha espresso tutte le sue potenzialità.
FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO
Per Hegel la ragione è dialettica, la dinamica di essa si riflette nei momenti della fenomenologia
dello spirito. Se la ragione è dialettica, di conseguenza la realtà è dialettica, essendo una sua
manifestazione. Il processo di dialettica che serve per analizzare o scoprire la realtà, è anche
conosciuto come triade dialettica:
- l’idea in sé, la coscienza che rappresenta la tesi ed è studiata dalla logica;
- l’idea che si aliena e esce fuori di sé, l’autocoscienza che rappresenta l’antitesi ed è studiata dalla
filosofia della natura;
- l’idea che torna a sé dopo essersi smarrita e per tanto torna a sé più consapevole e più ricca, la
ragione che rappresenta la sintesi ed è studiata dalla filosofia dello spirito. Si divide in tre parti:
-la filosofia dello spirito soggettivo si occupa dello spirito che ritorna a sé come soggetto, come
coscienza che diventa azione e ragione. Si divide in antropologia, fenomenologia e psicologia;
-la filosofia dello spirito oggettivo si occupa dello spirito che ritorna a sé come oggetto, come
dimensione pubblica, politica, della collettività ed è divisa nel diritto (volontà), nella moralità
(libertà soggettiva) e nell’eticità (realizzazione del bene e del diritto);
-la filosofia dello spirito assoluto si occupa dello spirito che ritorna a sé in modo assoluto e si
divide in arte (intuizione), religione (razionalità) e filosofia (consapevolezza);
Kierkegaard
Kierkegaard è un proto esistenzialista, mette al centro della sua indagine filosofica l’esistenza del
singolo, la categoria attraverso la quale si analizza l’esistenza umana, il senso profondo della vita. Il
singolo è la singola esistenza ma l’esistenza per Kierkegaard è possibilità che comporta delle
scelte. E da qui inizia il dramma dell’esistenza perché l’uomo è sempre di fronte a dei bivi, delle
scelte che generano angoscia, paralisi, la malattia che ha colpito Kierkegaard, l’impossibilità di
scegliere. Noi siamo le scelte e le rinunce che facciamo. Kierkegaard è un profondo antihegeliano,
e dice che il tutto è superiore alle parti. Per Kierkegaard gli stadi dell’esistenza sono tre e ne
presenta i primi due nell’opera Aut Aut, la vita è aut aut, non et et.
-Primo stadio, la vita estetica> è la forma di vita di chi esiste nell’attimo, fuggevole e irripetibile.
Simbolo di questo primo stadio è don Giovanni, che sa trarre piacere vivendo la propria esistenza
attimo per attimo, senza guardare al futuro o al passato. Ogni scelta si basa sul principio del
piacere, ma alla fine ci si rende conto che ogni istante è incompleto poiché il piacere non è mai
abbastanza e, pertanto, questo stadio conduce inevitabilmente l’uomo alla disperazione e alla
noia;
-Secondo stadio, la vita etica> è la forma di vita dell’uomo che si impegna in un compito al quale
rimane fedele, sceglie di scegliere, sempre a favore degli altri. Simbolo di questo stadio è il marito
o il padre che lavora per la famiglia, per la comunità, che vuole educare i figli, che si prende cura
della famiglia e della città in cui vive. Ma anche questa vita è insufficiente caratterizzata
dall’angoscia e dalla disperazione, in quanto l’ente vive la propria esistenza trascurando le sue
vere esigenze, non riuscendo a trovare il vero sé stesso e la propria singolarità;
-Terzo stadio, la vita religiosa> la fede, l’uomo deve cercare di abbracciare Dio, per Kierkegaard la
fede è lacerazione, dolore, cercare l’essere profondo della vita. La fede è stare nella solitudine,
provare profonda gratitudine verso Dio, prostrarsi a lui. Per Kierkegaard la fede è paradossale
perché è Dio che sceglie l’uomo e non l’uomo che sceglie Dio. Il senso della vita sta dentro di noi e
lo si ritrova andando al di là della vita estetica e della vita etica e abbandonandosi ad una fede
paradossale, intima e lacerata. Simbolo di questo stadio è Abramo: dopo anni vissuti nel rispetto
della legge morale, riceva l’ordine da Dio di uccidere il figlio Isacco, infrangendo così la legge per la
quale ha vissuto. Questo stadio, per Kierkegaard, è tipico di chi si getta nelle braccia dell’Assoluto,
scegliendo di eseguire i comandi divini anche a costo di infrangere la legge morale che caratterizza
la vita etica.

Schopenhauer
Anche lui è antihegeliano, in quanto lo definisce attaccato alla fama e non alla cultura e all’amore
per la filosofia, sicario della verità. Se Hegel era ottimista (la sua filosofia aveva funzione
giustificatrice), lui era fortemente pessimista. Prende in considerazione la filosofia orientale poiché
pensava potesse arricchire il suo pensiero.
Per Schopenhauer la volontà di vivere è l’essenza non solo dell’uomo ma dell’intero universo. È
inconscia o inconsapevole, un impulso cieco e naturale, unica e presente in tutti gli esseri viventi,
eterna e indistruttibile. La volontà di vivere è al di là del “velo di Maya”, che copre il noumeno, la
vera essenza: la verità non è ciò che vediamo ma quello che c’è dietro quel velo. Deve essere
squarciato, l’uomo deve uscire da questa prigionia fatta dal dominio della volontà di vivere e
prendere coscienza di essere in una realtà illusoria, il fenomeno è solo la rappresentazione della
realtà, che si fonda su soggetto e oggetto: il soggetto rappresenta l’oggetto o l’oggetto è
rappresentato dal soggetto, l’uno non esiste senza l’altro. Gli elementi sui quali l’uomo costruisce
la rappresentazione sono lo spazio, il tempo e la casualità (riferimento a Kant), ma Schopenhauer
sceglie solo la casualità poiché tutto ciò che accade, è secondo il principio di causa-effetto. Il vero
mondo non è quello in cui vive l’uomo, è solo una realtà illusoria in cui l’uomo deve andare oltre.
Solo così potrà superare il conatus essendi (la volontà di esistere di Spinoza che Schopenhauer
ripropone) a cui Schopenhauer contrappone appunto la noluntas, la non volontà.
La vita è un pendolo che oscilla tra dolore (il desiderio di qualcosa costantemente insoddisfatta) e
la noia (l’assenza di questo desiderio, un intervallo tra dolore e piacere) ma anche tra il piacere (la
soddisfazione dei bisogni e la cessazione momentanea del dolore).

PESSIMISMO
La vita è dolore per essenza: volere significa desiderare e desiderare sentire la mancanza di
qualcosa. Dato che la volontà accomuna tutti gli esseri viventi, la differenza sta nella sua
percezione: l’uomo sta al di sopra dell’animale poiché il suo grado di consapevolezza è maggiore;
l’uomo-genio sarà al di sopra dell’uomo comune ed il suo grado di consapevolezza sarà ancora più
grande. La volontà cessa sola con la morte definitiva. Anche l’amore provoca dolore, in quanto
illusione, il suo fine infatti è solo l’accoppiamento, strumento per tramandare la vita, ed è dunque
visto come peccato e vergogna. Rifiuta l’ottimismo cosmico: Il dolore investe ogni creatura, se
l’essere è dolore, l’universo è solo volontà inappagata. Rifiuta l’ottimismo sociale: i rapporti umani
sono costituiti da conflitti e da tentativi di sopraffazione reciproca. L’uomo è egoista nei confronti
dei propri simili e vivono insieme solo per bisogno. Rifiuta l’ottimismo storico: la storia è un
ripetersi in forma diversa degli stessi errori, non insegna nulla a differenza della scienza da cui si
può trarre beneficio. Il compito della storia è offrire all’uomo la coscienza di sé e del proprio
destino.

LE VIE DI LIBERAZIONE DAL DOLORE DELL’ESISTENZA


Il percorso salvifico dell’uomo si articola in tre momenti: arte, morale, ascesi. L’arte è la
contemplazione estetica che eleva l’individuo al di sopra del dolore allontanandolo dalla catena
infinita dei bisogni, è liberatrice ma ha carattere parziale e temporaneo. La morale implica un
impegno nel mondo a favore del prossimo, consiste nel sentimento di pietà e compassione,
partecipazione al dolore altrui (proiettandomi nel dolore dell’altro mi distolgo dal mio), quindi è un
superamento dell’egoismo che costituisce dolore fra gli individui. L’ascesi per cui l’individuo cessa
di volere la vita e sé stesso e si propone di estirpare il proprio desiderio mediante una serie di
accorgimenti (castità, umiltà). Nel cristianesimo si conclude con l’estasi, nel misticismo ateo di
Schopenhauer il cammino verso la salvezza termina con il nirvana.

Marx
Fa parte della sinistra hegeliana. Le teorie di Hegel, dopo la sua morte, si divisero in destra e
sinistra: la destra hegeliana esaltava la religione come ritorno della ragione a sé, mentre la sinistra
hegeliana sosteneva che la realtà andava trasformata in razionalità attraverso l’agire dell’uomo.
Quando parliamo di Marx bisogna partire dal concetto di alienazione, la condizione in cui si trova il
lavoratore nella società borghese capitalista a causa della proprietà privata dei mezzi di
produzione: il lavoro aliena l’uomo perché il capitalismo sfrutta il proletariato, perciò è da parte di
questi ultimi che deve partire una rivoluzione per dare il via al comunismo. L’operaio non viene
retribuito o viene mal pagato e questo lo rende meccanismo di un sistema che arricchisce solo il
capitalismo. Marx ha un duplice atteggiamento verso l’economia borghese, in quanto da un lato è
espressione teorica della società capitalistica mentre dall’altro fornisce una falsa immagine della
borghesia. Questo è dovuto all’incapacità di pensare in modo dialettico che crea un disagio nel
proletariato e che dunque sfocia nell’alienazione. Sono quattro i tipi di alienazione di cui Marx ci
parla:
-Il lavoratore si aliena rispetto al prodotto che produce: produce una merce durante le sue ore
lavorative che però non gli appartiene. Diventa un oggetto che domina l’uomo che l’ha prodotta;
-Il lavoratore perde la propria libertà: il lavoro nella società capitalista borghese diventa
obbligatorio per l’uomo, senza lavoro non può riprodurre la propria esistenza sociale, vende sé
stesso in cambio di un salario, il proprio lavoro non è figlio di una libera scelta ma di un obbligo,
una necessità;
-La perdita, l’alienazione della propria essenza: l’uomo diventa meccanico, l’uomo di Charlie
Chaplin, l’uomo appendice della catena di montaggio, che deve vendersi ogni giorno. Diventa una
vera e propria bestia perdendo la propria essenza, il proprio essere e non si sente realizzato;
-Il lavoratore è alienato rispetto agli altri uomini: nel capitalismo ci si divide tra sfruttati e
sfruttatori, tra chi possiede i mezzi di produzione, chi vende il proprio lavoro, tra borghesi e
proletari, l’umanità è divisa dal capitalismo perché il capitalismo produce tante ricchezze ma le
distribuisce in maniera disuguale.

IL MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA


Rappresenta una sintesi della sua concezione del mondo, un’analisi approfondita della borghesia,
della lotta di classe e dei falsi socialismi. Secondo Marx la borghesia è una lotta di classe che con il
suo potere schiaccia le altre classi, ma allo stesso tempo la reputa una classe all’avanguardia
perché attraverso i mezzi di produzione ha creato un valido sistema economico. La lotta fra classi
però è inevitabile perché proletariato e borghesia vivono in profondo conflitto. Marx distingue poi
tre tipi di socialismo: quello conservatore che cerca di rimediare alle difficoltà del capitalismo
senza eliminarlo del tutto; quello reazionario che attacca la borghesia rivolgendosi ancora a
parametri conservatori e si divide in sua volta in feudale (speranza nell’abolizione della società
capitalistica moderna e il recupero del passato), piccolo-borghese (esprime il pov della piccola
borghesia rovinata dal capitalismo industriale) e tedesco; infine quello utopistico che non
riconosce al proletariato una funzione storica e rivoluzionaria autonoma. Marx contrappone il
socialismo scientifico, che si occupava dello studio della società e della sua evoluzione.

IL CAPITALE
Rappresenta un’analisi sociale attraverso cui si può comprendere l’evoluzione del capitalismo.
Marx parte esponendo una suddivisione della merce, dicendo che ogni merce ha:
-Il valore d’uso, è il motivo per cui la merce viene prodotta, una penna ha un valore d’uso, quella di
essere utilizzata per scrivere, una macchina ha un valore d’uso, compro una macchina per potermi
spostare più facilmente;
-il valore di scambio, è il valore attraverso cui noi scambiamo una merce, difficilmente
scambieremo un paio di occhiali per una matita, a meno che la matita non sia costosissima, non
avrà il valore degli occhiali. Questo valore di scambio che fa sì che io non scambi qualcosa di
pregiato, costoso, per qualcosa di poco valore. Il valore della merce sta però nella quantità di
lavoro socialmente necessario ad averla prodotta, ovvero il lavoro medio (in 2h posso produrre 2
uova). Contesta il feticismo delle merci: dare alle merci un valore senza considerare il lavoro
necessario.
Secondo Marx nel capitalismo la produzione non è finalizzata al consumo ma al profitto. Il
processo di produzione precapitalistico si fonda sulla formula M-D-M (merce-denaro-merce): ad
esempio il contadino produce verdura che frutta denaro che viene inpiegato per altra merce. Il
processo di produzione capitalistico si fonda sulla formula D-M-D (denaro-merce-denaro): ad
esempio, per produrre la merce viene investito denaro e con la vendita della merce bisogna
ricavare
denaro maggiore di quello investito. Il plusvalore è prodotto dal pluslavoro e produce il profitto,
ed è determinato dal capitale variabile (i salari) e dal capitale costante (gli investimenti). Per Marx
però l’investimento nelle macchine costituisce il punto debole del capitalismo che ne segnerà la
caduta.

Positivismo e Comte
Comte è il massimo esponente del positivismo, movimento che eleva le scienze a massima
potenza, a strumento e fine dell’umanità. Affermava che la scienza fosse l’unica conoscenza
possibile ed il suo metodo l’unico valido per arrivare al progresso della società. Va dunque esteso a
tutte le altre discipline. Comte usa le scienze per verificare e interpretare la natura e i fenomeni.
Nella sua opera “Corsi di filosofia positiva” elabora quella che è la legge dei tre stati della storia
umana:
-Stato teologico o fittizio: lo stato che richiama al passaggio dall’età primitiva-barbara all’età della
civiltà. L’uomo indaga le cause prime della realtà e attribuisce i fenomeni naturali a forze
soprannaturali;
-Stato metafisico astratto: le civiltà abbandonano la superstizione e la magia ed elaborano
filosofie di stampo metafisico e razionale. Agli agenti divini si sostituiscono entità astratte
intrinseche alla natura, le virtù.
-Stato scientifico o positivo: l’uomo riconosce l’impossibilità di una conoscenza assoluta. C’è
quindi una rinuncia verso lo scoprire chi genera i fenomeni naturali, sostituita da una ricerca di
come avvengano questi fenomeni, le loro leggi effettive. Trionfa la scienza con il metodo
scientifico sperimentale. C’è un atteggiamento positivo, di fiducia nelle scienze, nel progresso,
nella razionalità umana.
Comte classifica le scienze per complessità crescente a partire dalla matematica, all’astronomia,
alla chimica, alla fisica, alla biologia fino alla sociologia (si occupa della sostanza, della natura,
dell’organizzazione delle civiltà umane) che si divide in statica e dinamica:
-Statica: cerca le leggi di equilibrio della società umana.
-Dinamica: cerca le leggi di trasformazione della società umana.
Per Comte il trionfo del positivismo sarà l’industrialismo, il trionfo della società industriale in cui la
filosofia verrà abbandonata e la politica verrà sostituita dall’economia.

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