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HEGEL: Fenomenologia dello spirito (1807)

In quest’opera Hegel, ripercorrendo la storia della filosofia, illustra il percorso necessario da compiere affinché la
conoscenza si elevi a pensiero filosofico.
L’intento dell’opera è visibile già a partire dal titolo: FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO
⁃ Fenomenologia: da φαινω, ovvero “apparire” = ciò che si manifesta nel tempo;
⁃ Spirito: senso dell’essere, ovvero la cultura occidentale (implicitamente si intende che il popolo tedesco ne è la più
alta e miglior manifestazione);
Perciò con “Fenomenologia dello spirito” si intende la manifestazione nel tempo della cultura occidentale.
Lo scopo di Hegel è quello di formare nuovi ideali a partire dalla consapevolezza delle proprie origini e della propria
cultura e non sulla scia degli ideali francesi portati dalla Rivoluzione Francese, mostrando come la coscienza umana
gradualmente ascenda dallo stadio sensibile ed empirico a quello del sapere assoluto.
E difatti la Fenomenologia è la storia romanzata della coscienza che attraverso erramenti, contrasti, scissioni, e quindi
infelicità e dolore, esce dalla sua individualità, raggiunge l'universalità e si riconosce come ragione che è realtà e realtà
che è ragione.
La fenomenologia ha pertanto uno scopo protrettico (ovvero che esorta allo studio della filosofia) e pedagogico.
Poiché non c'è altro modo di elevarsi alla filosofia come scienza se non mostrandone il divenire, la fenomenologia, come
divenire della filosofia, prepara e introduce il singolo alla filosofia, cioè tende a far sì che esso si riconosca e si risolva
nello spirito universale.

L’opera si divide in 5 parti (figure) , a loro volta divise in sottocategorie (sottofigure):

Ogni figura incarna l’intero spirito, il quale pretende di essere la verità senza mediazione. È perciò la manifestazione
parziale dello spirito che pretende di essere tutta la verità senza avere l’intera consapevolezza della verità.
Lo spirito compie un percorso nel quale ogni figura è necessaria e si rovescia spingendo la successiva e determinando
ancora di più il movimento. Durante il percorso l’individuo apprende che non può essere paradigma di tutti.
COSCIENZA
La prima tappa è quella della CERTEZZA SENSIBILE: il senso si attribuisce all’oggetto (che esiste) senza mediazione (ma
solo per buon senso). È perciò una manifestazione parziale dello spirito che pretende di essere tutta la verità senza avere
l’intera consapevolezza della verità. La conoscenza sensibile appare la più ricca e la più certa, ma in realtà è la più povera
perché è una conoscenza di quel determinato momento e in quel determinato luogo (solo qui e ora). È l’approccio più
povero che la cultura occidentale abbia mai pensato.
A seguito della fase della certezza sensibile la coscienza (intesa come consapevolezza) aumenta gradualmente e il
soggetto si rende conto che l’oggetto non ha la verità in sé, ma è il soggetto stesso che gliela attribuisce attraverso un
lavoro di sintesi dei dati acquisiti attraverso la certezza sensibile. Questa è la fase della PERCEZIONE, in cui, appunto,
avviene la sintesi della certezza sensibile. Il senso si sposta dall’oggetto al soggetto, che, dando un nome all’oggetto, ne
racchiude le sue caratteristiche (Locke).
Inizia perciò la terza fase, quella dell’INTELLETTO, ovvero la sede delle categorie in cui vengono catalogate le
informazioni sensibili. La verità è stata spostata dall’oggetto al soggetto (e il soggetto è consapevole di essere diverso
dall’oggetto). In questa fase perciò la verità è tale perché pensata; è pensata in termini di nessi di causa-effetto che
coincidono con leggi generali che regolano il mondo fenomenico e dipendono dal soggetto (sono a priori = Kant).
L’oggetto appare come fenomeno, cioè il prodotto di forze e leggi, e la verità non è più nel sostrato ma nella causa. In
queste tre fasi il soggetto come individuo ha la pretesa di dare senso al mondo, ma, in quanto perciò figure individuali,
sono destinate a fallire.

AUTOCOSCIENZA
L’autocoscienza è la seconda parte dell’opera; è un’ insieme di figure individuali in cui la verità è interna al soggetto.
In questo momento l’appetito (inteso come voglia di dare senso al mondo) del soggetto è maggiore rispetto a prima,
perché dopo la fase dell’intelletto il soggetto pretende di essere portatore di senso universale ma, in quanto individuo,
per essere portatore di senso è necessario che qualcuno lo riconosca: il riconoscimento avviene durante la fase della
figura del SERVO-PADRONE. Ciò implica che ci siano molteplici autocoscienze e tutte pretendono di avere ragione. Tra
due autocoscienze, le quali appunto pretendono entrambe di avere ragione, una delle due difende la sua idea anche a
costo della vita, mentre l’altra tiene troppo alla propria vita e rinuncia a portare avanti la propria idea, assumendo la
posizione di servo, subordinandosi all’altra autocoscienza, che diventa perciò padrone. A questo punto il padrone,
pensa dalla sua posizione di dominio, è completamente emancipato dal lavoro manuale, governa e produce cultura. Il
lavoro manuale spetta perciò al servo che, subordinato al padrone, gli dà sempre ragione. Ma in questo modo, se il
servo dà sempre ragione al padrone, quest’ultimo non cresce perché non si nutre del pensiero del servo; al contrario il
servo cresce perché si confronta con il pensiero del padrone e acquisisce elementi utili per crescere sul piano
intellettuale avvalendosi degli strumenti del padrone. Ciò tuttavia non comporta propriamente uno scambio di ruoli. Il
padrone ora dipende dal lavoro del servo (sul piano materiale); il servo invece non dipende più dal padrone (sul piano
intellettuale) e si rende conto che la libertà non corrisponde ad una condizione materiale, ma ad una condizione
intellettuale, e che perciò si può essere liberi anche se si è schiavi (“si può essere liberi sia come l’imperatore Marco
Aurelio sia come lo schiavo Epiteto”).

A questo punto viene introdotta la figura successiva, quella dello STOICO-SCETTICO.


La libertà del servo è solo sul piano del pensiero e il servo si ritrova ad assumere perciò la posizione dello stoico, il quale
afferma che la libertà materiale è inessenziale e che la libertà è nello spirito. Si ha dunque una scissione tra piano logico
(che è libero) e piano ontologico (che è bloccato). Tuttavia per giudicare la veridicità delle proprie affermazioni è
necessario un parametro ontologico, perché senza di esso ogni affermazione è uguale e non si può affermare nulla, né di
vero né di falso. Questa scissione tra piano logico ed ontologico comporta la degenerazione della figura dello stoico in
scettico, ovvero colui che non può affermare nulla non sapendo se il pianto ontologico corrisponde al piano logico (in
quanto manca il rapporto con la realtà) e perciò “afferma in verità di non poter affermare nulla”. A questo punto ogni
proposizione è sullo stesso piano e la discussione si sposta completamente ed esclusivamente al solo piano logico.
L’individuo dunque scopre di non essere portatore di senso, divenendo coscienza infelice.

La COSCIENZA INFELICE è tale perché non è portatrice di senso e si svaluta a tal punto da capire che ciò che dà senso
al mondo (non essendo lei) è per forza qualcosa di molto migliore di lei ed è perciò necessariamente dio (avviene
dunque una scissione tra uomo e dio, nonché tra il finito e l’infinito, opposizione tra trasmutabile ed intrasmutabile).
La prima figura usata da Hegel è quella del Dio Ebraico, il quale è uno, immenso, non può essere raffigurato,
trascendente, padrone assoluto della vita e della morte, Signore inaccessibile da cui l’uomo dipende totalmente
(situazione che riporta alla figura del servo-padrone). Essendo però così irraggiungibile si passa alla figura del dio
incarnato, ovvero Gesù, presente nel cristianesimo medievale. Gesù, contrariamente al dio ebraico, si è fatto carne ed
è più vicino a noi in quanto uomo. In questo caso il dio è totalmente immanente ma rimane comunque lontano nella
storia, perché un corpo con il passare del tempo si deteriora e svanisce. Rimane dunque, nonostante l’immanenza, la
scissione tra uomo e dio.
Nella figura del cristianesimo medievale vi sono ulteriori sottofigure che mirano all’avvicinamento a dio, ovvero quelle
della devozione (il pensiero a sfondo sentimentale e religioso che però non si è ancora elevato a concetto), del fare (in
cui Hegel fa riferimento al monachesimo e al principio dell’ora et labora) e della mortificazione di sé (nel quale ci si
rende conto che anche il lavoro è un dono di dio e avviene perciò una completa negazione dell’io a favore di dio come
avviene nell’ascetismo). A seguito di queste ultime figure l’autocoscienza arriva alla conclusione che il dio,
contemporaneamente trascendente ed immanente, trova nell’uomo il luogo più adatto per essere accolto e compreso
(protestantesimo). Adesso la coscienza smettere di essere infelice ed avviene il passaggio alle figure della ragione.

RAGIONE
È un sapere apparente la cui verità è concepita come verità di un oggetto, sì esterno al soggetto, ma partecipe della
sua stessa razionalità (nel primo gruppo di figure l’oggetto ha il senso ma è diverso da me, ora l’oggetto ha sempre il
senso ma contemporaneamente è anche in me perché siamo facciamo parte della stessa realtà). Questa fase di sapere
apparente è una tappa necessaria attraverso cui lo spirito deve passare per accrescere la propria consapevolezza.
Questa figura corrisponde al periodo della cultura post-rinascimentale fino all’idealismo.
Le figure della ragione sono individuali (ogni volta che noi pensiamo a qualcosa utilizziamo strumenti universali e
storici, come le parole, ma in questa fase non ne siamo consapevoli). Allo spirito dunque manca la consapevolezza che
tutto ciò che pensiamo è frutto di una civiltà (ad esempio il concetto di bello, i gusti alimentari ecc… sono individuali ma
allo stesso tempo frutto della nostra civiltà, pero in questa fase ancora non lo sappiamo).
La ragione si suddivide in ulteriori figure: ragione osservativa, ragione attiva ed individualità in sé e per sé.

Durante la fase della RAGIONE OSSERVATIVA (che è un riferimento al naturalismo del Rinascimento e all’empirismo) la
ragione osserva la Natura e ricerca in essa l’essenza delle cose con la certezza di trovarvi un ordine razionale omogeneo
al suo (la verità è nell’oggetto ma l’autocoscienza ancora non riesce a capirla) : Galileo nel Saggiatore aveva detto che il
mondo è un libro scritto in caratteri matematici e noi dobbiamo apprenderne il linguaggio per comprenderlo. Secondo
Hegel l’individuo stesso è natura e può comprenderla osservandola e conoscendo i caratteri matematici. Perciò se può
agire su sé stesso può allora agire anche sulla natura perché la concepisce come uguale a sé stesso. Quindi agisce
secondo diverse aspettative nel tentativo di modificare le cose; il problema è che modificare le cose pensando di agire
da soli è un fallimento.

Quando l’autocoscienza comprende che l’identità tra sé stessa e il mondo necessita di mediazione si passa alla
RAGIONE ATTIVA, nella quale l’autocoscienza vuole cambiare il mondo ma partendo da sé stessa. In questo modo però
ciò non è possibile. Tuttavia lo spirito ancora non lo sa perché è convinto di essere individuo (avendo capito che le
strutture della realtà e quelle del pensiero coincidono crede che potendo trasformare sé stesso possa trasformare anche
il mondo). In questa fase dunque la verità è nel soggetto che vuole trasformare il mondo.
Anche questa figura si suddivide in ulteriori figure:
⁃ EDONISMO: l’individuo cerca di cambiare il mondo in funzione del proprio piacere dopo essere stato deluso dalla
scienza e dalla ricerca naturalistica come Faust, il quale vuole avere tutta la vita e non morire mai, ma il volere tutta
la vita implica scegliere di prendere anche la morte perché fa parte della vita. La soddisfazione del piacere
apparentemente realizza la libertà ma non è altro che assoggettamento ai propri desideri (la libertà del piacere è
dunque una libertà che porta alla necessità). L’individuo agisce sulla natura guidato dal piacere, ma la natura non si
lascia trasformare da un solo individuo. L’autocoscienza e la sua ricerca del proprio piacere si scontrano con la
necessità del destino, che la travolge.
⁃ SENTIMENTALISMO: l’autocoscienza ora cerca di opporsi al destino. Prova infatti a cambiare il mondo appellandosi
alla legge del cuore e cercando dunque di esaudire la felicità di tutti gli altri (allusione al sentimentalismo che va da
Rousseau al Romanticismo). Ma ciò si rivela impossibile perché risulta come un’imposizione agli altri di un’idea
individuale di felicità che non può corrispondere ad un’idea universale. Hegel infatti afferma “Chi si appella alla
legge del cuore è destinato a scontrarsi sia con gli altri sia con il mondo” e “contro il corso del mondo si scagliano in
modo fallimentare i rivoluzionari” (con corso del mondo si intende tutto ciò che non si può controllare). Significa
pertanto che provare ad andare contro il corso del mondo risulta un arroccarsi sugli ideali.
⁃ RIGORISMO DELLA VIRTÙ: in questa fase l’individuo, dopo essersi reso conto del fallimento dell’immediatezza del
sentimento e delle inclinazioni soggettive, vi oppone allora la virtù e cerca a questo punto di cambiare il mondo
secondo degli ideali (illuminismo). Si rende conto però che gli ideali, nel momento in cui vengono realizzati,
perdono la loro idealità e fallisce il tentativo di cambiare il mondo (che viene paragonato al fallimento del periodo
del terrore di Robespierre). Si accetta a questo punto il corso del mondo così com’è in quanto l’ideale è irrealizzabile
(realismo).

L’ultima figura della ragione è l’INDIVIDUALITÀ IN SÉ E PER SÉ. L’individuo prende la realtà così com’è e accetta il
corso del mondo. In questa fase la verità è nell’individuo, che però è oggetto; smette di avere qualsiasi idealità e accetta
il mondo così com’è perché ha capito che non può cambiare il mondo e perciò agisce secondo le aspettative che il
mondo ha su di lui. A questa figura appartengono ulteriori sottofigure tra cui la prima, quella del regno animale dello
spirito, nella quale, appunto, l’individuo accetta le regole del vivere sociale e riflette le aspettative della società. Al
soggetto rimane solo la sua individualità che ora gli appare reale e razionale ed è dominato da egoistici impulsi di
autoaffermazione (rappresentazione dell’individualismo utilitaristico alla base della società borghese).
Se vengono soddisfatte le aspettative degli altri l’individuo comprende che le sue azioni però hanno effetti anche
sulle altre persone e quindi non è solo. Si entra nella seconda sottofigura, quella della ragione legislatrice: per vivere
nella relazione sociale sono necessarie delle regole, che inizialmente, come affermava Kant, l’individuo ricerca dentro di
sé in quanto il fondamento della moralità è nel soggetto; ma questo comporterebbe troppa responsabilità perché
l’individuo dovrebbe portare il peso della moralità di un’intera società; la morale invece può essere condivisa quindi non
è più individuale ma è la legge della comunità.
A questo punto vi è la ragione esaminatrice delle leggi, in cui la ragione esamina le leggi capendo che
l’universalità è irraggiungibile se si mantiene un punto di vista individuale. L’universalità verrà raggiunta nella figura
successiva, ovvero quella dello spirito (cade la logica logica borghese individualista).

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