SECOLO 18. 1 Le riforme della Sinistra storica e il trasformismo LA CADUTA DELLA DESTRA STORICA Con il pareggio di bilancio la Destra storica raggiunse il suo obiettivo prioritario, ma lo fece stremando il Paese. Nel marzo del 1876 il governo fu battuto in Parlamento dal voto contrario di una nuova opposizione che vedeva uniti membri dei due schieramenti di destra e di sinistra. LA «RIVOLUZIONE PARLAMENTARE Vittorio Emanuele II chiamò allora al governo un esponente della Sinistra storica, Agostino Depretis (1813-87), che ottenne l'appoggio anche di molti deputati della Destra storica. Egli sarebbe rimasto presi dente del Consiglio dal 1876 al 1887 con due interruzioni: nel 1878 e nel 1879-81. IL «PERIODO UMBERTINO» A Vittorio Emanuele II, morto nel 1878, succedette il figlio Umberto I (1844-1900). Durante il «periodo umbertino», l'Italia conobbe l'ammodernamento dello Stato e l'inizio di un vero sviluppo industriale. IL PROGRAMMA DI DEPRETIS II programma di Depretis prevedeva una nuova legge elettorale con l'allargamento dei diritti politici, l'istruzione elementare laica, gratuita e obbligatoria, la promozione di un'inchiesta agraria sulle condizioni dei contadini per capire quali iniziative adottare, l'abolizione della tassa sul macinato, con una radicale riforma tributaria e una maggiore autonomia per gli enti locali, attraverso l'elezione diretta dei sindaci, allora di nomina regia. LA RIFORMA DELLA SCUOLA La legge Coppino (1877) estese l'obbligo dell'istruzione elementare a tre anni e furono introdotte sanzioni pecuniarie nei confronti dei genitori che non avessero mandato i figli a scuola. Tuttavia, la legge rimase in molte aree inapplicata per la mancanza di risorse dei Comuni e perché molte famiglie contadine non potevano rinunciare al lavoro dei figli. LA RIFORMA DEL SUFFRAGIO Nel 1882 il diritto di voto venne concesso ai cittadini maschi maggiori di 21 anni, che pagassero 19 lire d'imposta annua (meno della metà che in precedenza) o che sapessero leggere o scrivere. Il suffragio veniva dunque svincolato dal censo e legato al titolo di studio. La scelta privilegiava comunque i ceti urbani e benestanti del Centro-Nord ed escludeva gli analfabeti, cioè la maggior parte della popolazione. Nonostante questi limiti, alle elezioni del 1882 poterono votare gli operai specializzati e gli artigiani, con il risultato che vennero eletti dei deputati radicali e il primo deputato socialista italiano, Andrea Costa (1851-1910). LE RIFORME FISCALI E SOCIALI La riforma fiscale del 1884 abolì la tanto odiata tassa sul macinato, ma costrinse il governo a introdurre nuove imposte sui beni di consumo, che continuarono a gravare soprattutto sul ceti popolari. Nel 1883 fu istituita la Cassa nazionale di assicurazione per gli infortuni sul lavoro e nel 1886 venne approvata una legge per la tutela del lavoro minorile. La Sinistra storica non riuscì ad attuare il decentramento amministrativo, che avrebbe potuto mitigare il centralismo promosso dai governi della Destra storica. TRASFORMISMO L'avvento della Sinistra storica era derivato da accordi politici tra i deputati di entrambi gli schieramenti che vantavano la stessa base sociale e non presentavano differenze ideologiche marcate. Questo aspetto si rese evidente quando, nelle elezioni del 1882, l'allargamento del suffragio rafforzo l’ala radicale e Depretis si accordò con la Destra storica in quello che fu definito «trasformismo». Si creò allora un grande blocco centrista che univa i deputati moderati di entrambi i gruppi politici, il cui obiettivo era quello di isolare le due frange estreme del Parlamento per promuovere una politica moderata e consolidare lo Stato liberale e monarchico. LE MAGGIORANZE VARIABILI Questa strategia ere stata già messa in campo da Cavour, ma, a differenza di allora, non produsse uno schieramento coeso. L'attività di governo, anziché corrispondere a un programma definito, si risolse in una continua contrattazione, fatta di compromessi e accordi tra i deputati su ogni decisione da votare e diede fuoco a maggioranze variabili, che nascevano intorno a singoli provvedimenti per poi sgretolarsi subito dopo, spesso sulla base di pressioni esterne o di interessi personali. IL CLIENTELISMO La conseguenza principale fu il sostanziale immobilismo del governo. Per vedere approvata una manovra, l'esecutivo era costretto a continue concessioni, finendo vittima di clientelismo e corruzione.
18.2 La nuova politica economica: il protezionismo
IL DIVARIO CON I PAESI EUROPEI Il divario tra sistema produttivo dell'intera penisola e gli altri Paesi europei rimaneva molto grande. L'arretratezza italiana era aggravata: dalla mancanza delle necessarie infrastrutture; dalla scarsità di fonti energetiche; da una produzione manifatturiera ancora gestita da aziende di piccole e medie dimensioni. Non si erano ancora create, insomma, quelle concentrazioni di capitali e di fabbriche indispensabili per raggiungere una vera e propria industrializzazione. «L’ESPANSIONE STROZZATA» Solo intorno agli anni Ottanta cominciò una lenta crescita industriale che tuttavia generò uno sviluppo dai caratteri anomali (l'«espansione strozzata»), perché non riguardò i settori produttivi, ma si legò soprattutto alla speculazione edilizia. A guidare la prima fase dello sviluppo industriale fu lo Stato, che si fece promotore di numerose commesse pubbliche destinate alla siderurgia: dalle quasi 4000 tonnellate di acciaio prodotte nel 1881, si passò così alle 158.000 del 1889. Per attirare investimenti stranieri, nel 1883 si abolì il corso forzoso introdotto dalla Destra storica e fu ripristinata la convertibilità in oro della lira secondo principi del Gold Standard. L'operazione rientrava in una più vasta serie di iniziative volte alla creazione di un sistema bancario e creditizio in grado di finanziare la crescita industriale. L'INCHIESTA JACINI E LE MISURE PROTEZIONISTICHE I governi della Sinistra storica adottarono una politica economica protezionistica. A determinare questa svolta furono anche i risultati di un'inchiesta sulla situazione delle campagne e le condizioni di vita dei contadini (l'inchiesta Jacini), da cui emerse un quadro drammatico e allarmante. Nel 1887 furono quindi istituite la tariffa doganale sulle materie prime e una barriera fiscale per i prodotti industriali che miravano a proteggere le nascenti industrie e a sostenere l'agricoltura italiana. GLI EFFETTI DEL PROTEZIONISMO Tra gli effetti principali di queste misure ci fu, nel Nord Italia, lo sviluppo dell'industria pesante e l'ammodernamento delle grandi aziende cerealicole che avvantaggiò i grandi proprietari terrieri. Questi ultimi in assenza di concorrenza straniera, alzarono il prezzo del pane, penalizzando ancora una volta la popolazione povera, che vide quasi annullati gli effetti positivi dell'abolizione della tassa sul macinato. A essere danneggiati furono anche i produttori di colture specializzate (ortaggi olivi e alberi da frutta) e le aziende vinicole del Centro-Sud, che non riuscirono più a esportare i loro prodotti, specialmente in Francia, con cui si era scatenata una vera e propria guerra doganale. Al blocco delle esportazioni seguì una forte disoccupazione, che fece aumentare l'emigrazione della manodopera agricola. IL DECOLLO INDUSTRIALE Un vero e proprio decollo industriale si verificò solo dal 1896, con la fine della «Grande depressione», e si concentrò nel Nord-Ovest, fra Torino, Milano e Genova, il triangolo industriale italiano. L'AUMENTO DEMOGRAFICO E L'EMIGRAZIONE Negli ultimi decenni del secolo si registrò un forte incremento demografico che, a causa delle difficili condizioni generali, fu assorbito dall'intensa emigrazione, talvolta stagionale, verso i Paesi europei, più spesso permanente verso Stati Uniti e Argentina. Nel complesso tra il 1876 e il 1905 migrarono oltre tre milioni di persone, provenienti inizialmente dalle regioni del Nord e, dopo il 1900, da quelle del Sud.
18.3 Una nuova politica estera: la Triplice alleanza e il colonialismo
LA TRIPLICE ALLEANZA Al Congresso di Berlino del 1878, l'Italia non era riuscita ad affermarsi appieno tra le potenze europee ed era stata esclusa dalle politiche coloniali. Per uscire dall'isolamento, la Sinistra storica accettò le proposte dal cancelliere Bismarck e il 20 maggio 1882 Depretis siglò la Triplice alleanza con la quale Germania, Austria e Italia concordavano di intervenire in reciproco aiuto nel caso in cui una delle tre potenze fosse stata attaccata, mentre era ammessa la neutralità nel caso di una guerra dichiarata da uno dei tre contraenti. L'accordo, però, sanciva la rinuncia al completamento dell'Unità con il Trentino e il Friuli («Trento e Trieste») e pertanto suscitò le proteste dei repubblicani e degli irredentisti. I VANTAGGI ECONOMICI DELL'ALLEANZA Nonostante le opposizioni politiche, i vantaggi economici dell'accordo non tardarono a farsi sentire, poiché l'afflusso di ingenti capitali tedeschi contribuì a finanziare la nascente industria e nacquero nuove banche. LE PRIME TAPPE DEL COLONIALISMO ITALIANO L’Italia avviò allora una propria politica coloniale che intendeva rispondere al sentimento nazionalista dei vertici politici e militari e al problema della diffusa disoccupazione. Nel 1882, il governo acquistò la baia di Assab, sulla costa meridionale del mar Rosso, in Eritrea, e nel 1885. Depretis autorizzò l'occupazione del porto di Massaua e dell'entroterra, un altopiano confinante con l'Impero etiopico, uno dei più forti e vasti Stati africani sottoposto alla sovranità del negus. L'Etiopia reagì sterminando un distaccamento militare italiano vicino a Dogali (1887); la sconfitta provocò forti reazioni in Italia, soprattutto da parte della Sinistra radicale, contraria al colonialismo. Il governo però procedette al rinnovo della Triplice alleanza e decise di completare almeno la conquista delle coste eritrea e somala.
18.4 L’età crispina
IL PENSIERO POLITICO DI CRISPI Nel 1887 morì Agostino Depretis e il re pose alla presidenza del Consiglio un altro uomo della Sinistra storica, Francesco Crispi (1818-1901). Ex garibaldino, ma sostenitore dell'idea bismarckiana di «Stato forte», Crispi era un fervido nazionalista, sostenitore del colonialismo. Egli intendeva rafforzare i poteri dell'esecutivo per attuare alcune importanti riforme. LA RIFORMA DEGLI ENTI LOCALI La prima riforma riguardò le amministrazioni locali. Per mitigare l'accentramento promosso dalla Destra storica, Crispi rese elettivi i sindaci dei Comuni più grandi, ma rafforzò il potere di controllo dei prefetti. LA RIFORMA LEGISLATIVA Fu approvato un nuovo codice penale, che aboliva la pena di morte e riconosceva una pur limitata libertà di sciopero (1889). Anche queste concessioni furono bilanciate da una legge sulla pubblica sicurezza che aumentò i poteri delle forze di polizia. La deriva autoritaria del governo emerse chiaramente dalla sua azione repressiva contro gli irredentisti, contro il movimento operaio e i sindacati e contro le associazioni cattoliche. LA POLITICA ESTERA E IL COLONIALISMO IN AFRICA Riprese anche la politica coloniale in Africa. Con il trattato di Uccialli (1889), il negus sembrò riconoscere i possedimenti italiani in Eritrea e accettare il protettorato sull'Etiopia e sulla Somalia. Nel 1891 però, a causa dei costi crescenti delle operazioni coloniali, Crispi perse la maggioranza parlamentare e fu costretto alle dimissioni. IL PRIMO GOVERNO GIOLITTI (1892-93) A Crispi succedette prima un esponente della Destra conservatrice, poi, a partire dal maggio del 1892, Giovanni Giolitti (1842 1928) che avrebbe guidato l'Italia anche per buona parte dei decenni successivi (1903-14), tanto che dall'«età crispina» si passo all'«età giolittiana». Uomo della Sinistra storica, di cui rappresentava la linea liberale e costituzionale, Giolitti era convinto che non si dovessero reprimere con la forza le opposizioni e i movimenti popolari, ma dare loro libero sfogo, sempre garantendo l’ordine pubblico. Il suo atteggiamento era ispirato all'esigenza di allargare le basi dello Stato, ancora di stampo elitario, e di raccogliere nuovi consensi tra le masse piccolo-borghesi e popolari. I FASCI SICILIANI E LO SCANDALO DELLA BANCA ROMANA Tra il 1891 e il 1894, si svolse la rivolta dei Fasci siciliani, un movimento di protesta di contadini e operai che rivendicava salari più alti e un'equa distribuzione della terra: Giolitti evitò di ricorrere alla forza, suscitando l'irritazione dei conservatori. A far vacillare Giolitti intervenne lo scandalo della Banca Romana, coinvolta nel fallimento di alcune imprese legate alla speculazione edilizia e accusata di gravi irregolarità: Giolitti fu ritenuto il responsabile politico di tali fenomeni corruttivi. LE DIMISSIONI DI GIOLITTI Accusato dalla Sinistra di avere coperto lo scandalo della Banca Romana e dalla Destra di non essere in grado di tenere a bada la ribellione dei Fasci siciliani e le rivolte sociali del Paese, Giolitti dovette dimettersi nel dicembre del 1893. LA SVOLTA AUTORITARIA DEL SECONDO GOVERNO CRISPI (1893-96) Alla guida del Paese tornò Crispi, che adottò immediatamente misure severissime contro i Fasci siciliani, proclamando lo stato d'assedio in Sicilia: nel 1894, Crispi sciolse il neonato Partito socialista dei lavoratori italiani, soppresse le Camere del lavoro e ridusse il corpo elettorale. LA CRESCITA DELLE OPPOSIZIONI Rafforzate dalla ferma linea politica crispina, le opposizioni si organizzarono nella Lega delle libertà e alle elezioni del 1895 i voti dei socialisti quasi triplicarono e crebbero anche quelli dei radicali. La tensione sociale era altissima e Crispi, per uscire da questa drammatica situazione, giocò di nuovo la carta dell'espansione coloniale. LA GUERRA CONTRO L'ETIOPIA (1896) Crispi organizzò una campagna militare contro l'Etiopia (1895-96), ma le truppe italiane vennero sconfitte (Amba Alagi, 1895; Macallè, 1896). La disfatta di Adua (1° marzo 1896) sancì l'arresto dell'avventura coloniale dell'Italia, a cui rimase il solo possesso dell'Eritrea e della Somalia. Travolto dal disastro, Crispi si dimise e uscì per sempre dalla scena politica.
18.5 La crisi di fine secolo
LA CRISI SOCIALE ED ECONOMICA La caduta di Crispi pose fine all'espansionismo coloniale italiano, ma non arrestò i sentimenti reazionari e autoritari della classe politica. Nel frattempo, i giornali pubblicavano inchieste di denuncia sulle sempre misere condizioni del popolo italiano e la penisola era attraversata da profonde tensioni sociali. Nelle sommosse popolari del 1897 si gridava «pane e lavoro». I MOTI DI MILANO E LA REPRESSIONE DI BAVA BECCARIS La manifestazione più imponente avvenne a Milano il 6 maggio 1898. In questa occasione, il governo autorizzò il generale Fiorenzo Bava Beccaris all'uso dei cannoni contro i manifestanti che provocarono 82 morti. PELLOUX E LE «LEGGI ECCEZIONALI» L'indignazione seguita ai fatti di Milano convinse il re Umberto I a sostituire Bava Beccaris con il generale Luigi Pelloux. Questi decretò la fine dello stato d'assedio e fece liberare i condannati politici. Ma la distensione durò pochi mesi e già nel febbre io 1899 Pelloux propose le «leggi eccezionali» per limitare il diritto sciopero, di associazione e la libertà di stampa. Queste leggi illiberali furono respinte grazie all'ostruzionismo parlamentare dell'estrema Sinistra. L'ASSASSINIO DI UMBERTO I Il nuovo governo uscito dalle elezioni del 1900, ritirò i progetti di legge illiberali e preparò la strada per una vera distensione. Tuttavia il 29 luglio 1900 il re Umberto I fu assassinato a Monza dall'anarchico Gaetano Bresci, che intendeva vendicare i morti di Milano del 1898. VITTORIO EMANUELE III, ZANARDELLI E GIOLITTI Il nuovo re, Vittorio Emanuele III (1869- 1947), volle avviare il Paese sulla strada della pacificazione affidando l'incarico di presidente del Consiglio al più autorevole esponente della Sinistra costituzionale, il liberale Zanardelli. Al suo fianco, come ministro degli Interni tornò in campo Giolitti. Grazie all'azione congiunta dei massimi statisti liberali, l'italia poté così consolidare le proprie istituzioni.
18.6 Socialismo e movimento operaio in Italia
LE SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO In Italia, il movimento operaio si organizzò in ritardo rispetto agli altri Paesi europei, dove l'industrializzazione si era ormai affermata da decenni. Solo a partire dagli anni Ottanta dell'Ottocento comparvero le prime forme associative. Già dagli anni Sessanta, però, erano nate le società di mutuo soccorso, che sostenevano i lavoratori in caso di infortuni, malattie e licenziamento. Queste associazioni, di ispirazione mazziniana, si basavano su scopi solidaristici, senza avanzare rivendicazioni sociali, promuovendo piuttosto l'educazione del popolo. L'ANARCHISMO ITALIANO E I PRIMI PARTITI OPERAI Intorno agli anni Settanta, cominciò a diffondersi in Italia l'anarchismo, guidato, tra gli altri, da Andrea Costa. Le iniziative anarchiche, tuttavia, fallirono e Costa fondo il Partito socialista rivoluzionario di Romagna (1881). Nello stesso anno nacque il Partito operaio italiano, legato al mondo dei braccianti agricoli della Bassa padana. IL SINDACALISMO Parallelamente vennero create le prime associazioni sindacali (federazioni di mestiere) e nel 1891 a Milano nacque la prima Camera del lavoro; a tutela dei contadini si affermarono le leghe di resistenza. LA NASCITA DEL PARTITO DEI LAVORATORI ITALIANI La creazione di tutte queste associazioni sul territorio fece nascere l'esigenza di un coordinamento nazionale. In quest'ottica fu fondato a Genova il Partito del lavoratori italiani (1892), poi divenuto Partito socialista dei lavoratori italiani, sciolto da Crispi, e, infine, Partito socialista italiano (1895). I RIFERIMENTI DEL SOCIALISMO ITALIANO Tra gli esponenti di spicco del Partito socialista vi furono il filosofo napoletano Antonio Labriola (1843-1904), amico di Engels e divulgatore del pensiero di Marx in Italia, e l'intellettuale milanese Filippo Turati, compagno dell'esule russa Anna Kuliscioff, profonda conoscitrice del socialismo europeo. IL PROGRAMMA DI TURATI Turati mirava alla trasformazione della società dall'interno, senza ricorrere a metodi rivoluzionari, anche se l'obiettivo finale restava quello del marxismo, ovvero la socializzazione dei mezzi di produzione. Il radicamento del Partito socialista italiano fu rapidissimo, ma presto, come accaduto negli altri Paesi europei, si sviluppò al suo interno la discussione, e poi la scissione, tra la linea riformista, maggioritaria e sostenuta da Turati, e la corrente massimalista, a carattere rivoluzionario.