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Capitolo Primo

Lo scetticismo pirroniano e lo scetticismo accademico


1. La scepsi morale di Pirrone e il pirronismo
Biografia:
Pirrone nasce a Elide fra il 365 e il 360 a.C. Conduce una vita povera esercitando la pittura.
<ascolta i maestri delle scuole Socratiche, in particolare i megarici, e poi Anassarco di Abdera che
gli permette di conoscere Democrito. Insieme ad Anassarco, Pirrone prende parte alla spedizione di
Alessandro in Oriente, evento che incide profondamente sul suo pensiero. Intorno al 323 Pirrone
torna a Elide, dove vive e insegna la sua nuova visione della vita, con successo. Muore tra il 275 e il
270 a.C. senza lasciare scritti. Si leggono le sue dottrine grazie al suo discepolo Timone.

Nascita del movimento scettico:


Pirrone non fonda una vera e propria scuola, non raccoglie discepoli e non vuole fissare negli scritti
la propria parola. Riprende l’esempio di Socrate e usa la parola, superandolo anche la parola stessa,
in quanto di fondamentale il maestro doveva insegnare attraverso la propria testimonianza della
vita. I suoi discepoli saranno suoi estimatori, ammiratori e imitatori, uomini che nel maestro
ricercano un nuovo modello di vita che, malgrado il crollo dell’antica tavola dei valori, permettesse
comunque di accedere alla felicità e alla pace dello spirito.

Gli Stoici e gli Epicurei ritenevano che al saggio fossero indispensabili dei dogmi e delle certezze,
e che l’essere e la verità esistono e sono raggiungibili dall’uomo e che la regola del vivere felici può
scaturire solo da questo raggiungimento e dunque, dalla ricostruzione di una nuova tavola di valori.

Gli Scettici ribaltano completamente questa concezione e trovano un modo nuovo di intendere la
vita, PIrrone riesce in questo intento grazie a:
• Preciso contesto storico in cui matura il suo pensiero, in particolare la partecipazione diretta
di Pirrone alla spedizione di Alessandro.
• L’incontro con l’Oriente che gli rivela un tipo di saggezza del tutto sconosciuto ai Greci.
• I maestri e le correnti filosofiche Greche da cui ottiene gli strumenti concettuali necessari
per una elaborazione e formulazione del pensiero.

Pirrone e la rivoluzione di Alessandro:


Pirrone, partecipando direttamente alla spedizione, più di tutti vive le angosce e le paure suscitate
dalla grande rivoluzione di Alessandro, che ha distrutto ciò che era ritenuto indistruttibile, facendo
crollare le più antiche e radicali opinioni dei Greci, aprendo nuove e sconcertati prospettive.

L’incontro con l’Oriente e l’influsso dei Gimnosofisti:


I gimnosofisti più di tutti influenzarono il pensiero di Pirrone. Erano una sorta di saggi dell’India
che vivevano una vita di tipo monastica, tutta tesa al superamento dei bisogni umani, all’esercizio
di rinuncia delle cose e alla conquista dell’impassibilità. Si racconta l’episodio di Calano, che si
diede volontario alla morte, gettandosi tra le fiamme e sopportando il dolore fisico con
impassibilità, dimostrando che, se è possibile accogliere anche i mali peggiori della vita, questi non
hanno di per sé, quella realtà e quella natura che vengono loro comunemente attribuite e che il
saggio può essere in grado di porsi al di sopra di essi.

L’influsso dei Megarici e degli Atomisti:


Gli strumenti concettuali per la formulazione della nuova visione scettica, arrivano dagli influssi
degli Atomisti e Megarici. Dagli Atomisti Pirrone attinge soprattutto la critica ai sensi, in
particolare dalla frase di Democrito “In realtà nulla noi conosciamo, perché la verità è nell’abisso”.
Dalla dialettica dei Megarici invece Pirrone comprende che l’originale principio positivo dell’unità
dell’Essere e del Bene, veniva sempre meno esplicito e spesso taciuto.

Il rovesciamento radicale dell’ontologia:


Oltre che ripudiare gli esiti della seconda navigazione, Pirrone rifiuta anche quelli presocratici della
prima navigazione. Egli nega sia la fisica che la metafisica e ogni forma di ontologia in quanto tale.
“Le cose non hanno alcuna differenza, né misura, né discriminazione” dunque non esistono valori,
nulla è brutto o cattivo, giusto o ingiusto, tutto è indifferentemente si equivale poiché “niente è più
questo che quello”. Pirrone si ritrae dall’essere alle apparenze, negando recisamente che ci sia
l’essere e quindi che sia possibili qualsiasi giudizio sull’essere. Riconosce soltanto l’apparire che
quindi domina, “Il fenomeno domina sempre, dovunque appaia”.

Il pirronismo come sistema pratico di saggezza e le sue tre regole fondamentali:


Come costruire un nuovo sistema azzerando l’essere? I sofisti l’avevano fatto spostando
l’attenzione sull’uomo. Ma Pirrone non ha più fiducia nemmeno dell’uomo, perché ne sente la
nullità (travolto l’essere, si travolge anche l’uomo e di conseguenza anche la sua parola).

Il criterio dunque lo cerca nella rinuncia del criterio, in particolare rinuncia sia all’essere che
all’uomo e il raggiungimento di un “non criterio” completamente diverso.

La natura delle cose come indifferenziata apparenza e la natura del divino e del bene:
Le cose stesse sono immisurate e indiscriminate, le cose sono indifferenziate oggettivamente,
quindi i sensi e le opinioni né possono dire il vero e nemmeno il falso. Solo le stesse cose che
rendono sensi e ragione incapaci di verità e falsità, ciò è una conseguenza necessaria che scaturisce
dalla negazione dell’essere. I valori etici e in generale tutti i valori, così come tutte le cose, non
hanno una loro statura ontologica perché nulla esiste in verità. Invece dell’essere si pone
determinante la convenzione (nomos) e il costume (ethos). All’essere si sostituisce l’apparire che
diviene onnipotente. Ma PIrrone non arriva a risolvere tutto nella pura apparenza, altrimenti la sua
indagine non avrebbe portato al dubbio, ma ad una certezza, quella che le cose sono così come
appaiono e non diversamente.

Pirrone afferma di dover vivere eternamente “una natura del divino e del bene (realizzare una vita
che non sente il peso delle cose, poiché appunto indifferenti) da cui deriva all’uomo la vita più
eguale” (la quiete interiore). Ovvero vivere l’essere stabile davanti al quale svaniscono gli aspetti
fuggevoli del reale. Pirrone, come i megarici, tenta di ridurre la molteplicità delle cose, il
movimento e il divenire ad apparenza. Le cose risultano mere apparenze non in funzione del
presupposto dualistico dell’esistenza delle cose in sé, bensì in funzione della contrapposizione alla
natura del divino e del bene. Misurato con il metro di questa natura del divino e del bene tutto
appare a Pirrone come irreale e come tale è da lui anche vissuto praticamente. I megarici
predicavano l’apatia intesa come un ne sentire quidem, Pirrone predica la medesima dottrina.

L’atteggiamento che l’uomo deve assumere nei confronti delle cose: l’astensione dal giudizio e
l’indifferenza:
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Le cose sono indifferenti, quindi senso e ragione non possono valutare, quindi l’uomo non deve né
dare fiducia ai sensi né alla ragione, ma restare adòxastos, rimanere senza opinione, astenersi dal
giudizio, quindi l’uomo deve rimanere senza alcuna inclinazione, senza agitazione, restare
indifferente. Successivamente a Pirrone sarà usato il termine epoché per descrivere la sospensione
del giudizio. Il saggio deve sospendere il giudizio su ogni cosa, perché nulla è evidente. Questa
conclusione è coerente con il principio che nega l’essere alle cose, e quindi nega il principio di non
contraddizione. Pirrone mette in pratica questa sospensione del giudizio che si rispecchia nella
realtà con l’indifferenza totale per le cose: lasciava andare ogni cosa per il suo verso e non prendeva
alcuna precauzione, si mostrava indifferente verso ogni pericolo che gli correva, erano i suoi
discepoli a salvarlo.

Il conseguimento dell’afasia, dell’atarassia e dell’apatia:


Aristotele sostiene che chi nega il supremo principio dell’essere, dovrebbe tacere e non esprimere
assolutamente nulla, per poter essere coerente. Pirrone aderisce e chiama questo sentimento afasia.
L’afasia non è il non parlare in assoluto, ma il tacere sulla natura e sull’essere delle cose, il non
giudicare è o non è di nulla. Il distacco delle cose che culmina nell’afasia comporta l’atarassia,
ovvero la mancanza di turbamento, l’apatia, la quiete interiore, “la vita uguale”. L’apatia è un punto
di arrivo, ma nemmeno Pirrone riesce ad essere sempre insensibile, quando viene rimproverato di
aver reagito all’assalto di un cane, replica che è difficile spogliare completamente l’uomo.

Spogliare completamente l’uomo non ha come fine l’annullamento totale dell’uomo, il non-essere
assoluto, ma coincide con la realizzazione di quella “natura del divino e del bene da cui deriva
all’uomo la vita più eguale”, cioè la realizzazione di quella vita che non sente il peso delle cose, le
quali, rispetto alla natura, sono indifferenti.
Lo “spogliare completamente l’uomo” è la realizzazione di quel ne sentire quidem, è il vivere
quella “vita eguale”, che scaturisce dalla “natura del divino e del bene che vive eterna”, nella
misura in cui è superamento delle labili apparenze e annullamento di tutti i loro fuggevoli e
contraddittori effetti su di noi.

Pirrone fu un uomo considerato come modello, anche da Epicuro, e venerato come un Dio.

Biografia Timone:
Timone nasce a Fliunte tra il 325 e 320 a.C. Fu prima un danzatore, poi studiò presso i megarici e
poi divenne discepolo di Pirrone a Elide. Costretto a migrare nell’Ellesponto per motivi finanziari,
insegnò retorica diventando ricco. Poi andò ad Atene dove rimase fino alla morte. Scrive Pitone
(dialogo con Pirrone), i SIlli, poema Le apparenze, trattato sulle sensazioni.

I successori di Pirrone, con particolare riguardo a Timone:


Due successori sono importanti, Nausifante di Teo, che fu il maestro di Epicuro, influenzando la sua
dottrina, e Timone di Fliunte, che scrisse le opere del maestro. Timone mette per iscritto le opere
del maestro sistemando e organizzando il suo pensiero, confrontandosi anche con altri filosofi,
anche se la posizione degli scettici era così radicale che più che un incontro permetteva solo uno
scontro. Timone quindi permette di conoscere lo scetticismo.

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