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Bruno e l’infinito

GIORDANO BRUNO
Nasce a Nola, vicino Napoli, nel 1548.

A diciassette anni entra nell’ordine dei frati


domenicani assumendo il nome di Giordano
(il vero nome era Filippo)

Diventa sacerdote nel 1573, due anni dopo si laurea


in teologia e inizia una serie di
viaggi sia in Italia (Roma, Genova, Torino, Venezia,
Padova) sia all’estero (Ginevra,
Tolosa, Parigi, Londra, Oxford, Wittemberg, Praga,
Francoforte)

Ritornato in Italia si stabilisce a Venezia. Denunciato


dall’ Inquisizione nel1592 viene
incarcerato prima a Venezia, poi a Roma. Inizia così
un lungo e drammatico processo per
eresia. Il processo culmina con la condanna al rogo,
eseguita il 17 febbraio 1600 in campo
dei Fiori a Roma.
UNA NUOVA COSMOLOGIA
Bruno è famoso per la sua dirompente e innovativa cosmologia. Rifiuta il geocentrismo
e abbraccia entusiasticamente il copernicanesimo (De revolutionibus orbium coelestium
1543) non considerandolo una mera ipotesi matematica ma giudicandolo una
descrizione vera del cosmo.

La ripresa di Bruno delle tesi di Copernico va ben oltre le intenzioni dello stesso Copernico
perché il suo universo non è più come in Aristotele, e ancora in Copernico finito, ma
infinito quindi senza centro, composto da mondi innumerevoli e animato da una mente
universale.

L’infinità annulla ogni gerarchia. Nessun aspetto della realtà può rivendicare un primato
sugli altri: la Terra è un corpo celeste fra i tanti, l’anima umana non ha un primato su
quella degli animali o delle cose. In base al merito o al demerito l’anima umana può mutare
nell’anima della bestia e viceversa (metempsicosi).

Nell’universo senza centro e senza periferia l’uomo diventa un dettaglio e non c’è
nulla di fermo e statico ma tutto è sempre sottoposto alla legge della vicissitudine
universale (l’incessante movimento dalla vita alla morte e dalla morte alla vita nel
quale tutto muta e niente perisce davvero).
Il Nolano e il copernicanesimo: La cena delle
ceneri, Dialogo primo
• Or ecco quello, ch’ha varcato l’aria, penetrato
il cielo, discorse le stelle, trapassati gli margini
del mondo, fatte svanir le fantastiche muraglia
de le prime, le ottave, none, decime ed altre,
che vi s’avesser potute aggiongere sfere, per
relazione de vani matematici e cieco veder di
filosofi volgari
Il Copernico di Bruno. La cena delle ceneri,
Dialogo primo

• Al che è dovenuto per essersi liberato da alcuni


presuppositi falsi de la comone e volgar filosofia, non
voglio dir cecità. Ma però non se n’è molto allontanato;
perché lui, più studioso de la matematica che de la
natura, non ha possuto profondar e penetrar sin tanto
che potesse a fatto toglier vie le radici de inconvenienti
e vani principii, onde perfettamente sciogliesse tutte le
contrarie difficultà e venesse a liberar e sé ed altri da
tante vane inquisizioni e fermar la contemplazione ne le
cose costante e certe
Bruno vs Osiander
• Il dottor Torquato «di tutto il Copernico... avea
intesa certa Epistola superliminare attaccata non
so da chi asino ignorante e presuntuoso; il quale
(come volesse iscusando faurir l’autore, o pur a
fine che anco in questo libro gli altri asini,
trovando ancora le sue lattuche e frutticelli,
avessero occasione di non partirsene a fatto
diggiuni), in questo modo le avvertisce, avanti che
cominciano a legger eil libro e considerar le sue
sentenze»
PERCHE’ L’UNIVERSO E’ INFINITO
Per Bruno essendo l’universo l’effetto della potenza di Dio, affermare la finitezza
dell’universo significherebbe affermare la finitezza di Dio. Se Dio facesse un mondo finito
allora avrebbe una potenza finita.

Per Bruno una causa infinita DEVE avere un effetto infinito. Dio non può che creare
necessariamente infiniti mondi.
Per Bruno non è possibile una relazione tra ciò che è infinito e ciò che è finito.
Proprio per questa sua convinzione Cristo è una menzogna. Essendo il figlio di Dio,
Cristo dovrebbe essere al tempo stesso Dio ed uomo, brevemente finito ed infinito.
Per il filosofo nolano ciò è inammissibile.
Dio è mente al di sopra di tutto (mens super omnia) e mente presente in tutte le
cose (mens insita omnibus). Per quanto riguarda il primo aspetto, Dio si configura
come radicale alterità rispetto alla natura, trascendente e inconoscibile, e, dunque,
oggetto di fede; per il secondo aspetto, invece, è immanente al cosmo e coincide
quindi con la natura ed è accessibile alla mente umana.

Dio coincide con la materia (pantesimo) , che non è come pensava Aristotele mera
potenza ma energia vitale, produttiva da cui rampollano incessantemente le forme.
“L’uno infinito è perfetto semplicemente sia di per sé sia
assolutamente, poiché non può divenire né maggiore, né
migliore e niente lo può divenire rispetto a esso.
Qualsiasi cosa finita è imperfetta, il mondo sensibile è
imperfetto e in esso si trovano contemporaneamente il
male ed il bene, la materia e la forma, la luce e le tenebre,
il dolore e la gioia; e tutte le cose, ovunque, sono
soggette al mutamento e al moto e tutte, nell’infinito,
sottostanno alla ragione dell’unità, della verità, della
bontà: per cui, a buon diritto, si parla di «universo»”
Giordano Bruno – L’immenso e gli innumerevoli

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La causa e il principio di tutto
Causa dell’immenso e meraviglioso
universo non può che essere Dio. Ma
come vanno pensati i concetti di causa e di
principio? E come va pensato Dio?

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Causa
La causa è ciò che produce l’effetto rimanendo
distinto dall’effetto stesso. L’effetto sembra
fuoriuscire infatti dalla causa come, per fare un
esempio non bruniano, in un parto il figlio fuoriesce
dal grembo della madre. Ma, sempre utilizzando
l’esempio del parto, la madre non è solo causa del
figlio, bensì lascia al figlio qualcosa di sé (oggi
diremmo il suo patrimonio genetico).

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Principio
In questo senso essa è anche
principio. Il principio si definisce
infatti come ciò che
intrinsecamente concorre alla
costituzione di una cosa e
rimane nell’effetto. A tale
proposito bisogna pensare
all’arché dei presocratici, che era
l’inizio della realtà, ma anche la
sua componente essenziale,
l’aspetto della realtà che era
presente in tutte le cose.

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Dio
Orbene, Dio è causa e principio di tutta la realtà,
quindi al tempo stesso separato e presente in ogni fibra
di essa.
Per questo al tempo stesso Bruno può dire che Egli è
una mens super ominia (mente-sopra-tutto),
attribuendogli i caratteri neoplatonici ed ermetici di
unità infinità, ineffabilità; e una mens insita omnibus
(mente-dentro-tutto) che pervade con la sua essenza
tutte le cose.

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DEGLI EROICI FURORI

Tiziano – Atteone sorprende Diana al bagno

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L’EROICO FURORE

L’ atteggiamento etico bruniano è riassunto da una famosa espressione: eroico furore.


Questa espressione traduce e reinterpreta la concezione dell' amore platonico, che era
piuttosto diffusa all' epoca . Il termine " furore " va inteso come " pazzia " ( pensiamo all'
" Orlando furioso " di Ariosto all' incirca di quegli stessi anni ) e Platone stesso aveva
insistito sul fatto che l' eros fosse una follia, anche se positiva.

Se furore vuol dire follia , eroico va letto sulla scia di Platone, in un duplice significato:
nel senso di valoroso e nel senso di erotico.

Ma cosa sono gli eroici furori? Sono la tendenza mistica propria dell' uomo, che ha
compreso certe realtà, ad assimilarsi a Dio.
Ma come è possibile identificarsi con Dio se in virtù del discorso bruniano, fondato
sull’immanenza, noi siamo già Dio?

Il problema è " diventare ciò che si è ", rendersi conto di essere Dio perché finché non ce
ne rendiamo conto è come se non lo fossimo. Per giungere ad un tale, superiore
magnifico “livello” , occorre essere furiosi ed eroici, bramare, agognare ardentemente
l’infinito e Dio stesso, scavalcando confini, limiti ed orizzonti imposti. Per illustrare questo
evento, questa trasformazione Bruno rielabora il mito greco di Atteone.
IL MITO DÌ ATTEONE
Nel dialogo intitolato De gli eroici furori Bruno racconta di un cacciatore, Atteone, che
inoltrandosi in una selva fitta e difficile da percorrere arriva ad un laghetto sul quale vede
riflessa l’immagine della dea Diana nuda, intenta a fare il bagno; per questo motivo viene
punito e trasformato in cervo e a questo punto i suoi cani , non riconoscendolo , lo
inseguono e lo sbranano.

Il significato originario del mito era fortemente negativo : ben emerge il tema dell’ hybris,
ossia della tracotanza , dell' uomo che fa un qualcosa che lo colloca su un piano che non è
il suo, su un piano eccessivo.

Invece Bruno lo legge diversamente


perché per lui nulla è più positivo che il
superare i limiti , l’espandersi
liberamente all' infinito.
L’INTERPRETAZIONE BRUNIANA DEL MITO
• Atteone é l' uomo ( più precisamente il filosofo );

• I cani sono di due tipi, alcuni più agili ma meno forti, altri più forti ma meno agili, e
rappresentano due aspetti delle facoltà umane , l' intelletto e la volontà.

• la metafora della caccia é poi tipica per descrivere la filosofia, quasi come se si andasse a
caccia del sapere. Atteone ( il filosofo ) insegue la preda ( che è la natura ): è il filosofo che
ricerca l' essenza della natura; ma la selva non é facile da attraversare e non tutti possono
farcela (concezione aristocratica del sapere).

• La dea che si rispecchia simboleggia la divinità che si rispecchia nella natura: Bruno
riprende un' espressione già usata da san Paolo secondo la quale la divinità può essere letta
" per speculum ", come attraverso lo specchio della natura .

• Il filosofo avendo inseguito la natura la vede nella sua nudità, nella sua essenza, e lui stesso
ne è trasformato ( infatti il cervo incarna anch' esso la natura ) . I cani si rivolgono contro di
lui, cioè i suoi pensieri prima rivolti ad una natura concepita come esterna finiscono per
rivolgersi contro lui stesso finché non viene da essi catturato, l' uomo arriva cioè a capire che
lui, la natura e la divinità sono la stessa cosa . L' uomo ricerca la natura e trova la divinità e
alla fine scopre che questa natura - divinità non è altro che lui stesso.
BRUNO E LA NUOVA RELIGIONE
Bruno nutre grande simpatia per la religione egizia, sebbene ai suoi tempi se ne sapesse
ben poco ( i geroglifici non erano ancora stati interpretati correttamente ) . In particolare
Bruno, che è un umanista a tutti gli effetti, descriverà il Rinascimento servendosi
dell' immagine di una pianta amputata, ma non ancora morta ; il tronco é ancora vivo e
dopo secoli bui ( il Medioevo ) ricomincia a germogliare: le radici per Bruno non sono
tanto costituite dal mondo latino e greco, quanto piuttosto da quello egizio .
Bruno era attratto dal mondo egizio soprattutto perché le divinità egizie erano
terioantropomorfiche ( nello stesso tempo umane e animali ) ; lui vedeva ciò come una
rappresentazione simbolica delle sue stesse idee : era convinto dell' identità
Dio - natura , ma anche natura - uomo e quindi Dio - uomo : questi tre aspetti sono
quindi ai suoi occhi la stessa cosa e l’assimilazione a Dio realizza proprio questa
identità.

Al posto del Cristianesimo Bruno indica una religione universale che veda nella natura
la manifestazione di Dio. Non importa tanto l’oggetto del culto (può essere una cipolla,
un coccodrillo ecc. ) quanto il fatto che in esso si colga un tramite per giungere alla
divinità.

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