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Dopo Parmenide i filosofi successivi non potevano ignorare il rigore e la forza logica del suo pensiero, per cui
l'essere è o non è, e quindi la struttura profonda della realtà, ossia "l’essere", è unica e immutabile, essendo
assurdo pensare che una cosa che è diventi un "non essere" più quella cosa, giacché il non essere è il nulla, è
niente, ed il niente non esiste. Tuttavia non poteva nemmeno essere negata l'evidenza del divenire e la
molteplicità dei fenomeni, delle cose, come illustrato da Eraclito. Si trattava allora di conciliare il principio
parmenideo dell'eternità e immutabilità dell'essere con quello eracliteo del continuo divenire delle cose e della
loro pluralità. Il processo stesso della conoscenza (il modo di conoscere), venne ritenuto, non poteva essere
attribuito esclusivamente alla ragione, al ragionamento logico-astratto, ma bisognava tener conto anche della
conoscenza sensibile. Nel cercare una sintesi fu concepita quindi l'esistenza di una pluralità di esseri, o enti,
ciascuno eterno e immutabile come l'essere di Parmenide, e costituenti la base e la sostanza immodificabile
di tutte le cose, ma tali però che essi, combinandosi variamente fra loro, potessero spiegare altresì
l'origine, il divenire, la varietà e molteplicità delle diverse cose del mondo.
Pertanto, al fondo delle cose viene pensata la sussistenza di elementi, di enti od esseri, eterni e immutabili come
in Parmenide, ma tali da originare, variamente unendosi o separandosi, le cose sensibili quali noi vediamo,
molteplici e in continuo cambiamento. In tal senso, non vi è né nascita né morte delle cose ma solo varie
combinazioni di elementi in se stessi immutabili. Viene così formulato il principio per cui in natura nulla si crea
e nulla si distrugge veramente, ma tutto invece si trasforma.
I filosofi che elaborarono questa teoria, ritenendo molteplici, cioè plurimi, gli elementi di base costitutivi della
natura furono perciò chiamati "filosofi o fisici pluralisti".
Empedocle. Le quattro radici.
Nasce ad Agrigento, intorno al 484 a.C. È stato al tempo stesso scienziato e medico ed ha avuto fama di mago.
Ha scritto due opere in poesia: "Della natura" e "Le purificazioni". Muore nel 424 a.C.
Come Parmenide, Empedocle ritiene che l'essere non possa né nascere né perire, intesi come un venire dal
nulla e un andare nel nulla, perché il nulla è non essere, è assolutamente niente. Quindi la nascita e la morte
(degli uomini ma anche di tutte le cose) non esistono. Invece, ciò che ci appare come nascita e come morte,
cioè come continuo divenire e trasformarsi delle cose, deriva dal mescolarsi e dal dissolversi degli
elementi fondamentali che compongono le cose stesse e che permangono eternamente uguali e
indistruttibili. Tali elementi, che Empedocle chiama "radici di tutte le cose", sono l'acqua, l'aria, la terra e il
fuoco.
I filosofi della scuola di Mileto ed Eraclito avevano scelto chi solo uno o chi solo un altro di questi elementi. La
novità di Empedocle è di aver affermato che tutti e quattro insieme danno origine al mondo e alle cose e che
ognuno di essi è immutabile e non trasformabile. Nasce così il concetto di "elemento", concepito come
qualcosa di originario e qualitativamente immodificabile, ma in grado di unirsi o separarsi meccanicamente
nello spazio con un altro elemento. Sorge cioè la concezione pluralistica, che supera il monismo (il sussistere di
un unico e solo principio) dei filosofi ionici delle colonie dell'Asia minore oltre che degli Eleati.
Vi sono dunque quattro elementi, quattro radici, che unendosi danno origine alle cose e separandosi danno
origine al loro scomparire e trasformarsi. Ma che cosa spinge questi elementi ad unirsi o separarsi?
Empedocle spiega che i quattro elementi sono mossi e animati da due forze cosmiche, chiamate
rispettivamente Amore o Amicizia e Odio o Discordia: la prima è causa dell'unione e la seconda è causa della
separazione degli elementi (attrazione e repulsione). Queste forze si alternano a vicenda, prevalendo
ciclicamente una sull'altra e dando luogo a continui cicli cosmici. Quando predomina l'amore tutti gli elementi
si raccolgono in unità; non vi sono cose distinte ma c'è un Tutto uniforme, una compatta unità che Empedocle
chiama Uno o “Sfero” (ricorda la sfera di Parmenide). Quando predomina l'odio gli elementi si separano del
tutto; si ha il caos e neppure in questa fase del ciclo cosmico esistono le singole cose e il mondo. Le cose ed il
mondo nascono invece nelle due fasi intermedie del ciclo cosmico, quando l'amore comincia a riemergere dal
caos e riunifica gli elementi oppure quando comincia ad agire l'odio, che separa gli elementi traendoli fuori
dalla compatta unità dello Sfero.
In base ai quattro elementi ed alle due forze che li muovono Empedocle spiega anche come avviene la
conoscenza. Per Empedocle il principio fondamentale della conoscenza è che il simile si conosce col simile.
Dalle cose si sprigionano degli effluvi (emanazioni di particelle invisibili) che colpiscono gli organi di senso.
La conoscenza avviene dall'incontro tra l'elemento che è nei sensi dell'uomo e l'elemento simile,
corrispondente, che è nelle cose esterne: la terra si conosce attraverso il corrispondente elemento che è negli
organi di senso, e così l'acqua con l' acqua, l'aria con l'aria e il fuoco col fuoco.
Nel poema "Le purificazioni" Empedocle sviluppa concezione orfiche. L'anima dell'uomo è un démone, bandita
dall’Olimpo per una colpa originaria e gettata nel mondo per espiare. Empedocle si preoccupa quindi di
indicare le regole di vita atte a purificare l'anima e a liberarla dai cicli delle reincarnazioni per ritornare tra gli
dei. Divine sono per Empedocle le quattro radici e le due forze cosmiche, amore e odio, e démoni sono le
anime, poiché tutte sono partecipi del divino.