Prof.Riccardo Chiaradonna
Fiamma Tarola
L’ontologia nasce con Platone e ha il suo pieno sviluppo con Aristotele, nella Metafisica. Dobbiamo
riconoscere che entrambi i filosofi sono debitori della tradizione parmenidea e pluralista la quale ha posto il
problema sull’essere, pur non fornendone una definizione, ricercando un principio (monismo) o più
(pluralismo) che spiegassero perché il mondo è così com’è. La ricerca di tali principi, a livello cosmologico, era
già introdotta dai filosofi ionici, i quali indagavano la natura. Con Parmenide si ha un primissimo tentativo di
leggere la realtà sotto un principio non naturale ma razionale, e Platone, con la teoria delle Idee, coglierà
questo aspetto inedito della filosofia parmenidea.
Introduzione
Nel libro A della Metafisica di Aristotele, egli ci propone un’ interessante serie di approcci allo studio dei
principi, gli arché, e un’indagine sugli enti, quella che noi denominiamo ontologia.
Da Talete a Parmenide a Platone è evidente il passaggio da una questione cosmologica ad una ontologica.
Per merito della filosofia dell’antichità greca e romana, termini come essenza, sostanza, ente, esistenza
sono stati moto discussi nell’ambito di una filosofia teoretica (dunque contemplativa), indipendente e
prima, la quale nel corso della storia ha conservato le sue peculiarità. L’indagine sull’essere, nel pensiero
dell’antichità greca, presenta un problema significativo, ovvero l’assenza della distinzione tra essere ed
esistere, che è esemplificata nella riflessione sul linguaggio e sul significato dell’essere di Parmenide e dei
sofisti, come Gorgia.
L’ontologia prende forma con l’essere di Parmenide, anche se la ricerca di un’entità, di un principio del reale
è presente già nei filosofi naturalisti (come li definiva Aristotele) originari di Mileto. L’essere di Parmenide è
un principio non fisico ma razionale e ciò lo differenzia dall’approccio della filosofia ad egli precedente, quella
ionica. Per Parmenide l’ambito della physis è difatti ingannevole e un’indagine della natura non condurrebbe
che al riscontro di mutevolezza, all’alternanza tra essere e non-essere.
La prospettiva di Parmenide è dunque una polemica alla filosofia eraclitea del divenire ed è un
allontanamento da una conoscenza empirica del reale. È rilevante evidenziare che l’indagine sull’essere sia
un discernimento tra verità (aletheia) e opinione (doxa), peculiarità ripresa dai filosofi successivi come
Socrate e Platone. L’essere e il pensare sono sul medesimo piano: piano ontologico, gnoseologico e linguistico
sono sovrapposti, e dunque il non-essere è non pensabile, non conoscibile e non esprimibile.1
1
Cfr. Chiaradonna, Pecere, 2018, pp. 42-43
La doxa è confusione, linguistica e non, tra essere e non-essere, l’essere non può mutare, né generarsi né
corrompersi. L’essere è uno e immutabile difatti, con un ragionamento per assurdo, si può dimostrare che
non può esserci il nulla prima dell’essere. L’essere è la vera realtà, predicare l’essere di qualcosa significa
comprenderne sia il piano esistenziale che epistemologico, significa conoscere la verità.
Il termine “essere” (éinai), come possiamo notare nell’utilizzo che ne fa Parmenide, ha varie funzioni: quella
esistenziale, copulativa e veritativa. Parmenide utilizza il verbo essere (eòn in greco) indicando, secondo la
prospettiva di Bruno Centrone, la totalità delle cose, tutto ciò che è. 2 Secondo il giudizio dello studioso
Centrone l’approccio di Parmenide è quello di un pensatore arcaico che, con un poema dai toni enigmatici,
persegue un’indagine di natura cosmologica. Il poema, il cui titolo è Sulla natura, si rifà alla tradizione orfica
e pitagorica che gli conferisce un tono religioso. Il verbo è sovente utilizzato nella forma del participio
presente on, preceduto da articolo (tò òn). L’eòn ha molteplici attribuiti fra i quali, immutabile, ingenerato,
unico, finito, sferico, identico a sé stesso, che confermerebbero la prospettiva cosmologica parmenidea.
Mentre con l’utilizzo di to on si indica la totalità delle cose, l’eòn senza articolo fa riferimento, secondo
Centrone, alle singole cose che sono nel mondo in modo continuo, il non-essere non può avere posto nel
cosmo di Parmenide. 3 Parmenide l’equivalenza tra essere e vero e l’inconoscibilità del non-essere fanno
emergere dei paradossi che porteranno Platone a chiarire, nel Sofista, le problematiche sull’essere (e il non-
essere). La tesi parmenidea venne supportata dal suo discepolo, Zenone di Elea, il quale adoperò il
ragionamento per assurdo del regresso all’infinito e il paradosso della tartaruga. Il filosofo (pensatore) di Elea
dimostrò le aporie degli argomenti a favore della pluralità del reale. Contro la filosofia monista di Parmenide
vi sono i pluralisti, tra i quali, Empedocle, Anassagora e Democrito. Essi recuperano la fisica dei filosofi ionici,
che era caratterizzata dall’approccio empirista, e includono nella loro prospettiva la molteplicità e le
apparenze.
I pluralisti
Prendendo in esame Empedocle, dobbiamo notare come egli rientri nel modello tipico del pensatore arcaico,
che unisce poesia, religiosità e riflessione razionale. Nella filosofia di Empedocle troviamo elementi mistici
come in Parmenide ed elementi fisici come nei filosofi di Mileto. Empedocle elabora le cause materiali degli
ionici in una prospettiva pluralista che vede l’esistenza di quattro sostanze, o radici: terra, fuoco, acqua e
aria. Tali sostanze di aggregano e disgregano formando il mondo fisico: il movimento non è solo apparenza
per Empedocle, ma ha una sua realtà fenomenica. La peculiarità di Empedocle è l’invenzione di una causa
motrice,(causa efficiente) assente secondo Aristotele nei filosofi ionici, che aggrega e disgrega, fondata su
due principi, Amore e Contesa. Amore è una forza centripeta e Contesa è una forza centrifuga. Vi sono varie
fasi: la fase in cui domina Amore, in cui le quattro radici sono compattate nello Sfero (un riferimento all’essere
2
Cfr. Centrone, 2015, p. 61
3
Cfr. Centrone, 2015, pp. 61-62
parmenideo), la fase del vortice in cui domina Contesa e la fase di passaggio in cui si avvicendano tali forze
e si generano tutte le cose del mondo.
Empedocle recupera il valore epistemico della mente umana e dei sensi, proponendo la teoria dei pori. I pori
sono delle aperture di piccole dimensioni che permettono agli esseri viventi la percezione e costituiscono
una via di comunicazione fra esterno ed interno. Con gli effluvi, che partono dagli oggetti, tramite i pori, vi è
una congiunzione con l’elemento corrispondente nel corpo percipiente.
Anassagora propone una cosmogonia che riprende la tradizione eleatica e la rinnova. Per Anassagora occorre
salvaguardare la ricchezza mutevole dei fenomeni, senza rinunciare alla perfezione dei principi. Il filosofo
afferma che nascita e morte non esistono, come Parmenide, ma che vi sia un processo aggregativo e
disgregativo. Le cause materiali sono i semi nel caso di Anassagora. Tali semi provengono da un apeiron (una
materia indefinita). Con l’introduzione di una causa motrice (causa efficiente), l’Intelletto (nous), si avvia una
forza centrifuga che determina la configurazione dell’universo. L’intelletto non è finalistico, come osserva
Platone nel Fedone, poiché dopo aver generato il movimento centrifugo, tale principio obbedisce alle forze
meccaniche del mondo. Pur teorizzando un principio autonomo, Anassagora ha pensato tale causa motrice
come una causa materiale.
Aristotele elogia Anassagora, che vede in quest’ultimo, e in Empedocle, un superamento della mera causa
materiale come arché del mondo 4 e criticherà per analoghe ragioni Democrito per il suo ritorno alla sola
causa materiale, gli atomi. Gli atomi democritei si muovono nel vuoto, e il loro movimento è meccanico e
dipeso da moti rotatori. Per Democrito l’essere e il non-essere coesistono e il mutamento delle cose, la morte
e la nascita sono effetti di aggregazione e disgregazione di tali atomi, che differentemente dai semi, non sono
divisibili. Gli atomi hanno delle proprietà (forma, ordine e posizione) e aggregano con atomi analoghi. Il
movimento di tali atomi è necessario ma non è diretto da un principio esterno, non c’è una prospettiva
teleologica, a cui si erano accostati in modo molto approssimato Empedocle e Anassagora. In Democrito è
possibile osservare una ripresa della filosofia parmenidea (gli atomi sono identici a sé stessi e immobili e
indivisibili) e una critica ad essa (l’inclusione di essere e non-essere e del movimento).
L’ontologia avrà un volto nuovo con Platone, il quale riprenderà sia le tesi parmenidee che pluraliste e
codificherà una nuova concezione dell’essere.
Platone
Platone emerge nel panorama della filosofia antica per l’introduzione di cause non fisiche ma razionali,
dunque non sensibili. Nel Sofista abbiamo una nuova formulazione dell’essere che denota la consapevolezza
del problema ontologico che affliggeva sia la filosofia di Parmenide che quella dei pluralisti. Per Platone
4
Cfr. Donini, 1995, p. 48
l’essere è ciò che ha la capacità di agire e subire. Come evidenzia Centrone, Platone applica uno studio
semantico dei termini essere, è, ciò che è.5
Il personaggio dello Straniero nel Sofista riprende la modalità socratica dell’indagine delle espressioni ed
evidenzia le conseguenze ontologiche di suddette riguardanti l’essere. Tale formulazione dell’essere rende
quest’ultimo una categoria indipendente e sommo nella gerarchia dei generi. L’essere è distinto dalle cose
che sono, e ha una sua sostanzialità. Lo Straniero nel Sofista commette un vero e proprio parricidio criticando
l’ontologia di Parmenide e, come i pluralisti, include il non-essere, come Diverso, non come un nulla di
carattere assoluto che ha un aspetto relazionale, ovvero di partecipazione da parte delle Idee ed enti sensibili.
La teoria delle Idee, o Forme, viene dunque revisionata, infatti, possiamo notare che nei dialoghi precedenti
essa si sovrapponeva con la posizione degli idealisti. Lì la distinzione tra la totalità delle cose e l’essere
consente una conciliazione tra la posizione degli amici delle idee e i pluralisti, e il superamento del dualismo
tra quiete e movimento. L’essere non è più in relazione né con la quiete né col movimento. L’ipostatizzazione
dell’essere verrà criticata da Aristotele, ovvero un puro essere indipendente dalla natura non può darsi. Nella
domanda che cos’è l’essere di Aristotele, l’essere assume un aspetto gnoseologico.
Platone e Aristotele riconoscono nei filosofi precedenti di aver indagato quali cose siano ma di non aver
stabilito cosa sia l’essere.
Ciò che sin dai tempi antichi, e ora e sempre, è oggetto di indagine, e sempre oggetto di difficoltà, cioè che
cosa sia ciò che è, equivale a questo, che cosa sia la sostanza.
(ARISTOTELE, Metafisica VII, 1, 1028b2-4)
Platone esplica i significati del termine essere, e in particolar modo dell’usia. Usia deriva da usa, che è il
participio presente femminile del verbo essere.
L’usìa esprime dunque l’esserci delle cose, la loro esistenza, ed è da Platone che tale termine viene utilizzato
in modo astratto; tuttavia, precedentemente faceva riferimento al patrimonio ed era analogo all’utilizzo che
facciamo del termine sostanze per parlare degli averi. L’usìa è dunque l’essenza di qualcosa, è ciò che si cerca
chiedendo che cos’è X.
Nei dialoghi platonici è evidente il ricorso al ti esti socratico, la ricerca della definizione della cosa, come ad
esempio, nell’Eutrifone, l’indagine su cosa sia hòsion, l’esser pio. Per Platone usìa è il mondo dell’iperuranio,
le idee, ovvero ciò che realmente è, eterno e identico, a differenza delle cose sensibili. Essere, sostanza ed
essenza entrano a far parte del panorama filosofico con Platone prima, e dopo con Aristotele, che prenderà
spunto dalla divisione dei generi, presente nel Sofista, nella quale abbiamo l’essere, il movimento, la quiete,
l’identico e il diverso. Il Sofista, caratterizzato dal metodo della divisione (diairesis), ovvero ricercare la
5
Cfr. Centrone, 2015, pp. 64-66
definizione di qualcosa partendo dal concetto generale per poi dividerlo dicotomicamente, indaga concetti
che fanno parte della scienza dell’essere in quanto essere della Metafisica aristotelica. Platone sostiene infatti
che il ruolo del filosofo è comprendere elementi strutturali della realtà dati spesso per scontato, come il
simile, il diverso e l’identico. Inoltre, è indagato il vero e il falso, ovvero come sia possibile il falso nei discorsi.
Platone va oltre Parmenide: il falso, coincidente con il non-essere per quest’ultimo, deve essere esprimibile
dunque non può essere nulla. Tutto ciò che è non è altro, essere e non-essere si compenetrano, non sono
due opposti. Platone afferma che il falso è ciò che è differente dal vero, dunque non si riferisce a qualcosa di
non esistente. La tesi parmenidea renderebbe impossibile l’utilizzo del linguaggio, a meno di concepire il non-
essere come Diverso. La proposta di Platone è che vi è una corrispondenza tra discorso e realtà e su di essa
è fondato il dualismo vero-falso. A criticare la teoria delle Idee, così come era stata elaborata nei dialoghi
della fase matura come nel Fedone, nel Fedro e nella Repubblica, vi sono altre opere appartenenti alla fase
della revisione delle dottrine platoniche, oltre al Sofista, fra i quali il Parmenide. In questo dialogo è discusso
il concetto di uno e molti e un rinnovamento della definizione della partecipazione tra Idee e realtà sensibile.
Sono proposti due argomenti, quello del velo e quello del terzo uomo. Il primo asserisce che la presenza di
un’Idea in più oggetti ne causa la frammentazione e la moltiplicazione, il secondo afferma che posta una idea
X con una proprietà specifica che essa causa negli oggetti sensibili, allora si necessita una Idea Y che causi
tale proprietà sia nell’ idea X che negli oggetti sensibili, si ha dunque un regresso infinito. Una modalità di
risoluzione di tali aporie della partecipazione, che problematizzano l’unità delle Idee è l’inclusione delle
apparenze, della molteplicità e del disordine del mondo fenomenico, nelle quali si possono trovare ordine e
unità.
La teoria delle Idee non è un dogma ma è stata proposta in formulazioni differenti, in reazione alle critiche
emergenti dalle discussioni in Accademia. 6 Aristotele infatti parla di dottrine non scritte di tipo
matematizzante (pitagoriche), che fanno della teoria delle Idee una gerarchia, con l’Uno e la Diade (Grande
e Piccolo) che danno luogo alle Idee-Numero, le Idee, gli oggetti matematici e gli enti sensibili. L’affinità alla
matematica e alla geometria è presente in molti dialoghi platonici e le dottrine non scritte sono coerenti a
questo approccio pitagorico. Platone considerava gli oggetti matematici come oggetti intermedi tra quelli
sensibili e le Idee, perché eterni, intelligibili e immobili, e allo stesso tempo molteplici in specie e in numero.
Nella metafisica le Idee e le metaidee quali le idee-numero vengono criticate da Aristotele, che non vede in
esse delle reali cause formali. Le idee non spiegano perché le cose esistono e non sono un contributo alla
conoscenza del mondo. Per Aristotele le essenze sono immanenti al mondo come aspetti stabili e universali
del mondo.7
Conclusione
6
Cfr. Chiaradonna, 2017, p. 112
7
Cfr. Chiaradonna, Pecere, 2018, p. 331
L’ontologia, come possiamo concludere dalle suddette considerazioni, è una disciplina filosofica che nasce
con Platone e Aristotele ma è radicata a tutte le tradizioni filosofiche precedenti, dalle primissime
cosmogonie, a Parmenide e ai pluralisti. Le discussioni e i dibattiti sull’essere e l’essenza, che abbiamo per
esempio in Hegel o in Heidegger, rielaborano le opere platoniche e aristoteliche, la cui ricchezza filosofica le
rende attuali e tuttora molto problematiche.
Bibliografia di Lavoro
CHIARADONNA, Riccardo e PECERE, Paolo, 2018, Filosofia. La ricerca della conoscenza, vol.1, Milano:
Mondadori Education, 2018
CENTRONE, Bruno, 2015, Prima lezione di filosofia antica, editori Laterza, Roma-Bari, 2015
DONINI, Pierluigi, 1995, La metafisica di Aristotele. Introduzione alla lettura, Carocci, Roma, 1995