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ERACLITO:

490 a.C. Mileto invasa dai persiani => fine secolo fioritura politica, culturale e filosofica

Eraclito è un uomo dal carattere sdegnoso e dell’esistenza appartata; è convinto che la maggior parte degli
uomini sia incapace di andare oltre le apparenze e di cogliere che cos’è davvero il mondo. La maggior parte
delle persone vive in uno stato di ignoranza e di illusione ciascuna chiuse nelle proprie ingannevoli fantasie
e in false certezze.

Soltanto pochi individui nonché i filosofici sono in grado di capire come stanno oggettivamente le cose.

FUOCO E LOGOS:

Eraclito va alla ricerca del principio fondamentale di tutte le cose e lo pone nel fuoco e osserva che tutte le
cose sono esposte a un cambiamento irresistibile e incessante => questo cambiamento è proprio il fuoco.

La differenza tra lui e i suoi predecessori è che per Eraclito il fuoco un simbolo del suo principio
fondamentale.

Il cambiamento incessante della natura non procede in modo disordinato e casuale, ma obbedisce a una
legge ben precisa, che governa tutto quello che esiste e che Eraclito designa con lo stesso termine che in
greco designa la ragione e il discorso mediante cui la ragione si esprime => il lògos.

Per i filosofi di Mileto era lo


strumento dell’indagine Per Eraclito è il principio
filosofica, un’indagine di cui fondamentale, vale a
la natura era l’oggetto, e la dire che vi è un’unica
scoperta del principio legge che governa sia il
fondamentale era pensiero sia la natura, e
l’obbiettivo. questa legge è il lògos.

Esso stabilisce che nessuna cosa possa mai rimanere identica a sé stessa e d’altra parte stabilisce che il
cambiamento deve svolgersi attraverso il conflitto di elementi fra loro opposti. Il conflitto però non è inteso
come una contrapposizione assoluta, ma bensì come una relazione tra elementi apparentemente opposti
ma in realtà profondamente interconnessi.
LA SCUOLA PITAGORICA:
V secolo viene recuperato il cadavere del filosofo Ippaso di Metaponto che destò sospetti di un possibile
omicidio, e i sospetti ricaddero sui membri della scuola pitagorica. Alcuni resoconti di epoche successive
lasciano intendere che Ippaso fu assassinato a causa di una scoperta da lui compiuta poco tempo prima:
l’incommensurabilità della diagonale del quadrato.

Prima ancora che una scuola filosofica, quella pitagorica è una setta religiosa, ispirata all’antica tradizione
greca dell’orfismo.

Pitagora attribuisce un ruolo cruciale alla ricerca del sapere => studio della matematica, astronomia e
musica.

IL FUNZIONAMENTO DELLA SCUOLA:

È una comunità di ricercatori, la ricerca del sapere segue un ordinamento rigidamente gerarchico.
La maggior parte ascolta in silenzio la lezione e soltanto alcuni erano autorizzati a fare domande e
commenti. Gli uditori silenziosi prendono il nome di acusmatici mentre coloro che intervengono di
chiamano matematici. Questi due daranno vita a due correnti contrapposte all’interno della scuola.

LA DOTTRINA PITAGORICA:

Per essi la matematica è considerata una teoria che permette di comprendere e spiegare tutto quello che
esiste.

La tesi fondamentale è che il principio fondamentale di tutte le cose che esistono in natura è il numero.
Sostanzialmente esso si può articolare in due affermazioni:

1) IL NUMERO è il principio di tutte le cose in quanto elemento naturale. Tutto quello che esiste in
natura si trova nello spazio, ma la geometria ci mostra che lo spazio è fatto di punti.
2) IL NUMERO è il principio di tutte le cose in quanto governa il funzionamento di tutto quello che
esiste: ciò che accade in natura si può comprendere in termini di valori numerici e relazioni tra
valori numerici.

La natura consiste in uno spazio che ha forma geometrica, tutto quello che esiste in quello spazio si può
spiegare mediante le leggi geometriche, che a ben vedere sono leggi matematiche che riguardano numeri e
rapporti fra numeri. Esistere vuol dire essere matematizzabile: essere un possibile oggetto di misure e
calcoli.

Idea del numero come emblema dell’opposizione tra il limite e l’illimitato.

I numeri pari sono emblemi dell’illimitato, perché la loro rappresentazione grafica individua due serie a cui
niente in linea di principio pone un limite, e che dunque potrebbe andare avanti all’infinito.

I numeri dispari permettono di porre un limite alle due serie.

L’unità (1) è l’elemento decisivo la cui aggiunta permette di trasformare un numero pari in un numero
dispari. In tal senso i pitagorici lo chiamano “parimpari” cioè il numero che è sia pari sia dispari.

Il numero 10 riveste un’importanza nel sistema pitagorico, in quanto somma dei primi quattro numeri e in
quanto rappresentabile geometricamente come un triangolo equilatero che ha quattro come misura del
lato, è composto da dieci punti e può essere costruito disegnando i primi quattro numeri uno sotto l’altro.
All’opposizione illimitato/limite i pitagorici riconducono tutte le altre coppie di opposti. In tutte queste
coppie il primo termine corrisponde al pari, illimitato, e porta in sé una certa imperfezione che può tuttavia
essere sanata dalla perfezione del secondo termine che corrisponde al dispari, al limite.

La riflessione sulle coppie di opposti fornisce ai pitagorici tutti gli elementi teorici necessari per dimostrare
la loro tesi sul fondamento matematico dell’intera realtà.

Sulla base di queste riflessioni che i pitagorici si interessano all’astronomia e alla musica. E a partire da
questi presupposti che essi applicano la spiegazione matematica anche al mondo umano, individuando nella
dottrina del numero la chiave per capire l’anima e la società.

GLI ASTRI:

i pitagorici osservano che il sole, la luna e gli altri astri si muovono lungo traiettorie che corrispondono a
curve geometriche. Gli astronomi della scuola pitagorica costruiscono un modello matematico con il quale
riescono a prevedere i movimenti delle stelle e dei pianeti e inoltre giungono ad ipotizzare la sfericità della
terra. Nella loro concezione il cosmo, la cui intelaiatura fondamentale consiste in una serie di sfere
trasparenti che ruotano emettendo suoni musicali talmente sublimi da risultare inudibili per gli esseri
umani.

LA MUSICA:

la scoperta delle relazioni matematiche su cui si basa la musica è uno dei grandi contributi della scuola
pitagorica l progresso della cultura umana. Le melodie e le armonie musicali sono tali in virtù di precisi
rapporti numerici tra i suoni.

L’ANIMA:

Nella concezione pitagorica, l’anima è un’entità <<invisibile, incorporea, stupendamente bella, addirittura
divina>> che si esprime però mediante un corpo <<di natura terrena e mortale>>. Per i pitagorici il corpo è
lo strumento musicale in cui l’anima risuona, e la pratica religiosa di purificazione e ascesi si può
interpretare come una tecnica per accordare questo peculiare strumento in modo che la sua musica, cioè il
pensiero che è l’attività dell’anima, risuoni nel miglior modo possibile.

LA SOCIETA’:

Nella prospettiva pitagorica, le proporzioni matematiche stanno a fondamento non soltanto dell’esistenza
dei singoli individui ma anche delle società in cui gli individui si aggregano. La nozione centrale in tal senso è
quella di giustizia => corretta proporzione tra le azioni dell’individuo e le reazioni della società.
LA SCUOLA ELEATICA:
Parmenide e Zenone erano giunti ad Atene dalla loro città. Ad Elea Parmenide aveva costruito una scuola
filosofica => SCUOLA ELEATICA.

Nel V secolo a.C. si era imposta una delle più innovative e influenti correnti di pensiero di quel periodo.

La filosofia eleatica non intende spiegare la molteplicità delle cose osservabili: intende negarla. Parmenide e
Zenone mettono radicalmente in discussione la realtà delle cose di cui facciamo esperienza e spostano
l’attenzione sull’essere.

PARMENIDE:

La sua filosofia è esposta nel poema sulla natura, scritto in esametri, l’obbiettivo è la ricerca del sapere. Per
Parmenide la ricerca del sapere va condotta secondo il metodo razione e lo intende in un senso molto più
rigoroso dei suoi predecessori.

L’osservazione delle cose che ci circondano non è un punto di partenza adeguato: la ragione deve basarsi
unicamente su sé stessa, senza fare affidamento sull’esperienza.

Il contrasto tra verità (alètheia) e opinione (dòxa) si manifesta con grande forza espressiva nel proemio del
poema. Parmenide immagina che una divinità si rivolga a lui spiegandogli che la verità che deriva dalla
ragione e le opinioni che derivano dall’esperienza vanno conosciute entrambe, ma per motivi opposti: La
verità che è stabile, immutabile e perfetta come una sfera invece le opinioni dei mortali sono l’insidia da cui
occorre guardarsi. Quindi la divinità indica due opposte direzioni di ricerca:
la via che dice che è e che non è possibile che non sia e dall’altra la via che dice che non è e che non è
possibile che sia.

Per Parmenide la ragione ha in sé un criterio che le permette di procedere autonomamente nella ricerca
della verità.

Nozione => “non essere” ovvero qualcosa che “non è e non può essere” e quindi possiamo capire che il non
essere è impossibile da pensare.

Parmenide quindi arriva a conclusione => “il non essere” non lo puoi pensare né lo puoi esprimere e
dunque bisogna che il dire e il pensare sia l’essere. Il nostro linguaggio possono riferirsi solo all’essere ossia
a ciò che è.

Parmenide usa il verbo essere che ah due funzioni:

- una funzione esistentiva => consiste nel significare che una cosa esiste
- una funzione copulativa => consiste nel collegare un soggetto al nome o a un aggettivo per
significare che qualcosa ha una certa proprietà.

In entrambi i casi si ha a che fare con situazioni contingenti ossia dove è sempre possibile il contrario.

La via della verità indicata dalla dea ossia la via razionale che il filosofo vuole intraprendere impedisce di
ammettere contemporaneamente l’essere e il non essere di qualcosa, mostrando come l’esperienza
attestata dai sensi sia in contraddizione con il principio fondamentale della ragione. Per la verità dobbiamo
abbandonare i sensi e rivolgerci a quell’essere necessario che soltanto la ragione è in grado di comprendere.
Dopo aver individuato l’oggetto della vera conoscenza nell’essere, Parmenide procede a determinare le
caratteristiche fondamentali:

 l’essere è ingenerato:
 l’essere è imperituro:
 l’essere è indivisibile:
 l’essere è unico:
 l’essere è immobile e immutabile:

Essendo conoscibile soltanto mediante la ragione, l’essere non può risultare oggetto di esperienza, non può
coincidere con qualcosa che si osserva.

Parmenide paragone l’essere a quella che ritiene la più perfetta delle cose osservabili nonché la sfera.

Dopo essersi applicato al difficile tentativo di cogliere la verità dell’essere, Parmenide passa a considerare il
dominio delle opinioni.

L’indagine sulle opinioni è il tema della seconda parte del poema: Se l’unica cosa che esiste veramente è
l’essere, che è e non può non essere, come mai le persone comuni fanno esperienza di molteplicità di
cose mutevoli, in cui essere e non essere risultano mescolati?
i sensi attestano il cambiamento, il divenire, il nascere e il morire, cioè sembrano confermare il passaggio
dall’essere al non essere e viceversa; passaggio assolutamente negato dall’uso rigoroso della ragione.
L’interrogativo viene affrontato a partire da una spiegazione del mondo osservabile basata su due fattori
contrapposti ma entrambi interni all’essere. => possibilità di una opinione plausibile.
ZENONE:

La dottrina di Parmenide suscita anche alcune critiche, gli avversari della scuola eleatica insistono
sull’evidenza per cui le cose che esistono sono molteplici e capaci di movimento.

Zenone nato a Elea nel V sec a.C. scrive un’opera che leggerà in pubblico durante la sua visita ad Atene
impressionando il giovane Socrate.

Zenone si serve della dimostrazione per assurdo che consiste nell’ammettere per via ipotetica una certa tesi,
dimostrare attraverso il ragionamento che porta a conclusioni assurde e dunque riconoscere che è falsa. Fu
così che egli dimostra che quanto sostengono gli avversari della filosofia eleatica è falso, confuta le loro
affermazioni.

I risultati delle confutazioni di Zenone sono chiamati anche paradossi.

Zenone quindi condivide anche con il suo maestro Parmenide anche il metodo d’indagine che consiste
nell’utilizzare esclusivamente la ragione.

Queste confutazioni sono anche dette argomenti e sono suddivisi in due gruppi:

- in difesa dell’unicità dell’essere


- in difesa dell’immobilità dell’essere

In uno dei più efficaci argomenti contro il molteplice, Zenone parte dall’ipotesi che esista un certo numero N
di cose; quindi egli deduce che nello spazio che si frappone tra queste cose dovrà esserci qualcosa che le
separa; non può infatti esserci nulla, perché il nulla non può essere. Da qui ricava la conclusione che esiste
un numero di cose che è maggiore di N; conclusione assurda, poiché il numero di cose che esistono
risulterebbe al tempo stesso uguale a N e maggiore di N. in questo modo Zenone dimostra che l’ipotesi
deve essere falsa. Aveva dunque ragione Parmenide: esiste un’unica cosa, l’essere.

I più celebri paradossi di Zenone sono i suoi primi tre argomenti contro il movimento:

Paradosso dello Stadio: Immagina un corridore che deve attraversare uno stadio. Zenone sosteneva che il
corridore non può mai attraversare completamente lo stadio perché, prima di raggiungere la fine, deve
prima raggiungere il punto medio, e prima di raggiungere il punto medio, deve prima raggiungere il punto in
cui la sua corsa comincia. Questo processo si ripete all'infinito, impedendo al corridore di completare la
corsa.

Achille e la Tartaruga: Questo paradosso descrive una gara tra Achille (un atleta veloce) e una tartaruga.
Zenone afferma che, se la tartaruga riceve un vantaggio iniziale, Achille non potrà mai superarla. Prima di
raggiungere la posizione iniziale della tartaruga, Achille dovrà raggiungere il punto in cui la tartaruga si
trovava inizialmente, ma nel frattempo, la tartaruga avrà fatto un piccolo passo avanti. Zenone argomenta
che questo processo si ripete all'infinito, impedendo ad Achille di superare mai la tartaruga.

Freccia: le cose si muovono => una freccia, dopo essere stata scagliata si muove lungo una certa traiettoria.
In ogni istante di questo movimento la freccia occupa uno spazio pari alla sua lunghezza ed è immobile in
rapporto a questo spazio, il che contraddice l’ipotesi particolare per cui la freccia si sta muovendo, e dunque
anche la premessa generale per cui le cose si muovono.

Secondo Zenone lo spazio e il tempo risultano divisibili all’infinito e si rivelano a loro volta nozioni
contraddittorie, perché la loro estensione e durata comporta la molteplicità e il movimento, ma la loro
infinita divisibilità contraddice la molteplicità e il movimento.
I FISICI PLURALISTI:
La sfida per i filosofi del V secolo consiste quindi nel trovare un principio fondamentale che soddisfi il
requisito dell’immutabilità evidenziato dagli eleati, ma al tempo stesso riesca a salvare i fenomeni, cioè a
rendere ragione della varietà di cose osservabili in natura. Si tratta insomma di reintegrare le osservazioni
che derivano dall’esperienza nel metodo razionale.

Essi quindi ipotizzano che a fondamento della natura vi sia una pluralità di elementi e per questo sono
chiamati “fisici pluralisti”:

EMPEDOCLE => radici

ANASSAGORA => semi

DEMOCRITO => atomi

Ma se il principio consiste in una pluralità di elementi questi elementi sono in grado di generare tutte le
altre cose semplicemente componendosi e scomponendosi tra loro senza doversi trasformare essi stessi.
Dunque l’essere degli elementi fondamentali non si contamina con il non essere e persiste immutato: il
requisito dell’immutabilità è salvo.

Per i pluralisti => pluralità e mobilità non intaccano l’essere degli elementi, non li espongono alle insidie del
non essere.

EMPEDOCLE:

Nasce intorno al 484-481 a.C. ad Agrigento. Fu uno scienziato e poeta. Lui ispirandosi all’idea di Parmenide,
espone le sue teorie in forma di un componimento poetico.

 I frammenti conservati si possono suddividere in due gruppi:


 I frammenti fisici, spiegazione razionale della natura
 I frammenti religiosi, ispirandosi alla tradizione dell’orfismo e alla filosofia pitagorica.

Le principali tesi si trovano nei frammenti “fisici”: egli sostiene che tutto quello che esiste deriva dalla
mescolanza e separazione di quattro elementi fondamentali, che egli definisce radici e identifica con aria,
acqua, terra e fuoco.

L’esistenza di cose mutevoli e transitorie è spiegata da Empedocle come un effetto dei processi di
mescolanza e scomposizione delle quattro radici, che gli uomini sono soliti a descrivere in modo
filosoficamente impreciso parlando di nascita e di morte.

Le 4 radici costituiscono le varie cose osservabili in natura e Empedocle invita a considerare come i colori di
una tavolozza costituiscono le varie figure in un dipinto, ovvero come i pittori dopo aver preso con le loro
mani le tinte multicolori, armonicamente mescolandole le une in misura maggiore le altre in misura minore,
da esse preparano forme simili a tutte le cose, componendo alberi, uomini, donne, fiere, uccelli e pesci.

I processi di mescolanza e scomposizione delle masse di aria, acqua, terra e fuoco sono determinati
dall’azione di due forze, che Empedocle denomina Amore e Odio.

Esso tende a far si che le masse Esso spinge invece le masse di


di radici differenti si attraggono una certa radice ad attrarsi
l’una con l’altra. esclusivamente tra loro.
Quando nella natura prevale l’Amore, le
radici tendono a formare una struttura
compatta che Empedocle descrive come una
sfera (riprendendo l’immagine di
Parmenide). => stato di ordine

Il mondo in cui vivono gli esseri viventi


rappresenta uno stato intermedio tra il
dominio assoluto dell’Amore e il dominio
 Contesa tra Amore e odio
assoluto dell’Odio.

 Contesa tra Amore e Odio

Quando invece prevale l’Odio, la natura entra


in uno stato dispersivo e caotico.
=> stato di caos

Empedocle di rende conto che la natura è interamente spiegabile in termini di elementi e forze, e altro non
è che una pluralità di elementi fondamentali, su cui un sistema di forze produce effetti di mescolanza e
scomposizione, da cui si generano tutte le cose che esistono.

Empedocle inoltre spiega come gli esseri umani percepiscano e conoscano le varie cose che esistono in
natura. La filosofia si applica anche all’indagine “epistemologica” su come facciamo a conoscerlo.

L’essere umano consiste in una peculiare mescolanza delle quattro radici.

Infine Empedocle afferma che la nostra percezione di una certa cosa si basa su una somiglianza tra la
combinazione di radici e forze che costituisce quella cosa e la combinazione di radici e forze che si attiva in
noi quando, mediante gli efflussi, entriamo in contatto con quella cosa: il simile conosce il simile.

Nella filosofia di Empedocle gli esseri umani sono parte integrante di una natura in cui tutto quello che
esiste è mescolanza di radici ed effetto delle forze di Amore e Odio. Gli esseri umani hanno due privilegi
inestimabili: possono conoscere quello che li circonda e possono agire allo scopo di favorire l’Amore a
scapito dell’Odio.

Morte filosofo: si suicidò buttandosi nel cratere dell’Etna intorno al 424-421 a.C.
ANASSAGORA:

lui è nato a Clazomene intorno al 500 a.C., e nel 462 si trasferisce ad Atene. Lui pubblica un trattato in prosa
che riscuote tanto successo ma anche criticità infatti le sue tesi procurano ad Anassagora non soltanto
grande popolarità ma anche dure critiche. Nel 432 a.C. egli subisce un processo per empietà in seguito al
quale è costretto a lasciare Atene per tornare in Asia Minore e infine morì nel 428 a.C.

L’obbiettivo di Anassagora è quello di spiegare tutto quello che si può osservare in natura in termini di
processi di composizione e scomposizione: ricercare il principio fondamentale di tutte le cose significa
dunque individuare gli elementi immutabili dalla cui composizione e scomposizione deriva tutto quello che
esiste.

Secondo Anassagora questi elementi sono particelle invisibili, infinitamente numerose e infinitamente
piccole e divisibili ed egli le chiama semi.

In ogni cosa vi sono semi di ogni tipo ma vi è una prevalenza numerica di semi di un certo tipo, e questo fa sì
che quella cosa abbia l’aspetto che possiamo osservare.

Anassagora ipotizza innanzitutto che la natura abbia avuto origine da uno stato primordiale in cui i semi si
trovavano mescolati e confusi in un unico blocco che poi per spiegare come i semi si siano separati da
questo blocco unitario generando la varietà delle cose, introduce la nozione di intelletto cosmico => noùs.

Esso esiste separatamente dai semi: è UNA SOSTANZA MATERIALE, ma risulta completamente autonomo,
non mescolato con nessun’altra, solo in sé stessa.

Se si vuole spiegare l’organizzazione e la regolarità che riscontriamo nella natura, occorre ipotizzare un
principio razionale che governi la natura stessa. Lo elogeranno ma lo criticheranno.

Anassagora descrive l’intelletto cosmico come un meccanismo che organizza la natura senza porsi nessun
fine; la sua teoria risulta così in maggiore sintonia con la scienza moderna. Lui spiega che la natura è
governato da leggi razionali senza nessuna divinità. => questo rifiuto di qualsiasi ruolo delle divinità nella
spiegazione della natura è all’origine delle rozze accuse di empietà.

Egli applica alla sua teoria dei semi anche alle esperienze e conoscenze che caratterizzano l’esistenza
umana.

L’epistemologia di Anassagora differisce nettamente da quella di Empedocle:

- Secondo Anassagora noi non conosciamo le cose tramite e mediante somiglianze, bensì mediante
differenze.
- Il conoscere consiste in un’immagine del mondo che la nostra mente si costruisce a partire da
caratteristiche che la distinguono dalla cosa conosciuta.
- Concepisce la mente umana come imperfetta e limitata.

I limiti della conoscenza umana sono tuttavia compensati da un’altra caratteristica che contraddistingue gli
esseri umani che è la capacità di agire.

Anassagora inoltre afferma che l’uomo è più intelligente tra gli animali in quanto dotato delle mani.
DEMOCRITO:

Nasce ad Abdera nel 460 a.C., egli è di una decina di anni più giovane di Socrate.

Democrito prosegue convintamente le ricerche sulla natura avviate quasi due secoli prima dai filosofi di
Mileto. Egli porta le indagini dei presocratici a quello che è probabilmente il loro massimo compimento.

Democrito procede nel solco di questa intuizione.

In primo luogo egli identifica l’essere con una pluralità di elementi materiali, ciascuno dei quali possiede due
caratteristiche essenziali che gli eleati attribuivano all’essere: immutabilità e indivisibilità. Questo significa
che gli elementi fondamentali rimangono sempre perfettamente identici a sé stessi e che non è possibile
dividerli in parti più piccole; per quest’ultima caratteristica vengono chiamati atomi.

Essi sono perfettamente ed eternamente pieni, si muovono nel vuoto e i loro movimenti incessanti
generano tutto quello che esiste in natura. Gli atomi si muovono di propria spontanea iniziativa.

La concezione della natura di Democrito è una forma di meccanicismo cioè una spiegazione della realtà che
ricorre alle nozioni di materia e di movimento. Nel ritenere la realtà interamente costituita dal movimento
degli atomi nel vuoto, Democrito propone anche una forma di determinismo ossia una spiegazione tale per
cui tutto ciò che accade obbedisce a una necessità interna alla natura stessa, da cui è quindi determinato.

L’unica condizione necessaria per il movimento degli atomi è il vuoto; Concependo il vuoto come la
condizione della possibilità del movimento degli atomi, Democrito riesce nell’impresa di far coesistere
l’essere e il non essere all’interno della natura stessa.

Per Democrito tutte le cose osservabili in natura derivano da movimenti degli atomi che li portano ad
avvicinarsi e ad aggregarsi.

L’atomo è perfettamente pieno e dunque indivisibile e indistruttibile, le cose formate da aggregazioni di


atomi hanno al loro interno interstizi di spazio vuoto.

Democrito introduce due innovazioni decisive:

- Gli atomi sono sì piccolissimi, ma di dimensioni finite e non ulteriormente divisibili.


- Gli atomi differiscono tra loro soltanto per la forma geometrica, per il loro orientamento e il loro
ordine nello spazio.

Nella concezione meccanicistica di Democrito organismi viventi non sono altro che particolari aggregati di
atomi. La peculiarità devi viventi consiste nell’essere composti di atomi il cui movimento genera il calore.
Quando il movimento degli atomi si esaurisce, il calore svanisce e l’organismo muore.

Nell’indagare come avvengano la percezione e la conoscenza, Democrito segue le orme dei suoi
predecessori Empedocle e Anassagora, che non si limitavano a proporre un’ontologia, ma ambivano a
sviluppare anche un’epistemologia.

L’epistemologia di Democrito si basa sulla tesi per cui vi sono flussi di atomi che si staccano dalle cose e
colpiscono gli organi di senso producendo nell’anima immagini (èidola) delle cose da cui gli atomi
provengono.

Le uniche proprietà reali di una certa cosa sono le caratteristiche determinate dal disporsi nello spazio degli
atomi che la costituiscono; dunque la forma, la grandezza e la posizione.
Poiché la percezione ci mostra qualità come il colore o il sapore che non sono proprietà reali delle cose,
l’esperienza percettiva non può essere considerata una fonte affidabile di conoscenza. Riprendendo una
distinzione cruciale della filosofia eleatica, quella tra verità e opinione, Democrito sostiene che l’esperienza
percettiva non ci mette in contatto con la realtà, e pertanto non ci conduce alla verità; la percezione ci
fornisce soltanto apparenze ingannevoli e pertanto quello che ne ricaviamo sono soltanto opinioni.

Per cogliere la verità occorre una forma di conoscenza, che Democrito identifica nella ragione; in tal senso
egli resta fedele alla tesi degli eleati per cui la percezione ci inganna mentre la ragione ci conduce alla verità.

Egli sottolinea l’importanza della facoltà dell’imitazione mediante la quale gli esseri umani apprendono dagli
animali le tecniche utili per la vita.

Democrito è convinto che gli uomini siano animali particolarmente perspicaci, i quali imparano ad agire sia
dagli altri animali mediante imitazione sia dagli altri uomini mediante quella forma speciale di imitazione
che chiamiamo “educazione”.

Nella concezione politica di Democrito, la società è fondamentalmente uno strumento per favorire la felicità
individuale. Il singolo individuo non è tenuto a legarsi a una particolare comunità.

Questa posizione politica prende il nome di cosmopolitismo: un atteggiamento che emerge e si diffonde nel
V secolo avanti Cristo, in un’epoca in cui si intensificano gli scambi commerciali, gli influssi culturali e le
alleanze politiche tra le varie città del mondo greco. Tuttavia, per Democrito, la costruzione di una società
giusta, anche su scala cosmopolita, resta soltanto un mezzo, non il fine ultimo dell’esistenza umana. La
società giusta è uno strumento efficace per perseguire la felicità individuale, la quale consiste in un
atteggiamento di sereno e razionale distacco nei confronti del mondo e delle varie vicissitudini che vi hanno
luogo, spiegabili interamente in termini di movimento di atomi nel vuoto.

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